LA LEGENDA
SANCTAE CLARAE VIRGINIS
INCOMINCIA IL TESTO DELLA VITA DI S. CHIARA VERGINE
E PER PRIMO DELLA SUA NASCITA
1. La mirabile donna Chiara per nome e virtù, della città di Assisi, trasse l'origine da assai chiara stirpe; col beato Francesco fu dapprima concittadina in terra e poi conregnante nei cieli. Il padre suo era cavaliere e tutto il gentilizio da entrambi i rami di nobiltà cavalleresca; la casa ben provvista, e copiose, in relazione allo stato della patria, le ricchezze. La madre sua, di nome Ortolana, che avrebbe partorito una pianticella fruttifera nell'orto della Chiesa, era essa medesima non poco doviziosa di buoni frutti. Invero, benché soggetta al giogo coniugale, benché vincolata dalle cure della famiglia, tuttavia si dedicava a tutto potere al culto divino e compiva frequenti opere di pietà. Giacché per devozione passò altremare con i pellegrini, e visitati quei luoghi che l'Uomo-Dio aveva santificati con le sue sacre orme, infine con gaudio ritornò indietro. Poi, ancora per pregare, arrivò a San Michele Arcangelo e più devotamente visitò il limitare degli Apostoli.
2. A che altre parole? Dal frutto si consce l'albero ed il frutto trae pregio dall'albero. Precedette nella radice copia di divino favore, affinché nel ramoscello seguisse abbondanza di santità. Infine la donna pregnante ed ormai vicina al parto, mentre davanti alla croce in chiesa pregava intensamente il Crocifisso che la liberasse salutarmente dal pericolo del parto, udì una voce dirle: "Non temere, donna, perché sane e salva partorirai una luce che più chiaramente farà risplendere il mondo stesso". Edotta da questa profezia, volle che la neonata, rinascendo col sacro battesimo, si chiamasse Chiara, sperando che avrebbe adempimento in qualche modo, a beneplacito della divina volontà, la chiarezza del promesso lume.
DEL TENOR DI VITA NELLA CASA PATERNA.
3. Data da poco alla luce, la piccoletta Chiara cominciò a rifulgere di assai precoce luminosità nell'ombra mondana, e fin dai teneri anni a risplendere per probità di costumi. Con docile cuore anzitutto ricevette dalla bocca della madre i primi insegnamenti della fede, ed interiormente istruendola e plasmandola lo Spirito, quel vaso davvero purissimo si rivelò un vasello di grazie. "Stendeva volentieri la mano ai poveri e dall'abbondanza della propria casa traeva di che supplire all'indigenza " di molti. Ed affinché il suo sacrificio fosse più gradito a Dio, sottraeva al proprio corpicciulo i cibi delicati, nascostamente inviandoli a mezzo di incaricati a ristorare le viscere dei deboli. Così crescendo con lei fin dall'infanzia la misericordia, ella aveva spirito compassionevole, commiserando le miserie dei miseri.
4. Si compiaceva dell'assiduità nella santa orazione, ed ivi assai di frequente soffusa di soave odore, a poco a poco attuava una vita di cielo. Poiché non aveva filze da fare scorrere per dire i PATER NOSTER, con un mucchietto di pietruzze contava le sue preghierine al Signore. Come dunque incominciò ad avvertire i primi moti dell'amore sacro, giudicò di dover disprezzare l'instabile coloritura del fiore della mondanità, ammaestrata dall'unzione dello Spirito Santo ad attribuire alle cose dappoco uno scarso valore. Perciò sotto le vesti preziose e morbide portava nascosto un piccolo cilicio, apparendo adorna al di fuori pel mondo, ma interiormente vestendosi di Cristo.
Finalmente, quando i suoi la vollero maritare nobilmente, non accondiscese punto, ma differendo, in apparenza, al futuro il connubio con un mortale, raccomandava la sua verginità al Signore.
Tali furono nella casa paterna i saggi della sua virtù, tali le primizie dello spirito, tali i preludi della santità. Perciò ridondando di sì intensi profumi, a guisa di cella digli aromi, quantunque ben chiusa, si tradiva con la sua stessa fragranza. Invero cominciò, sebbene inconsapevole, ad essere lodata dalla bocca dei vicini e poiché veridica fama manifestava le sue segrete opere, la notizia della sua bontà si divulgava tra il popolo.
DELLA CONOSCENZA E DELL'AMICIZIA DEL BEATO FRANCESCO.
5. Come ode in tal punto celebrare il nome di Francesco, il quale a guisa di uomo novello rinnovava con virtù nuove la via della perfezione cancellata nel mondo, subito desidera ascoltarlo e vederlo, a ciò persuasa dal Padre dagli Spiriti, di cui già l'uno e l'altra avevano ricevuto, sebbene in diverso modo, i primi impulsi. Né meno intensa è in lui, raggiunto dalla fama di sì graziosa fanciulla, la brama di vederla e conversare con lei, se inqualche modo, tutto inteso com'era alla preda e venuto per devastare il regno della mondanità, potesse strappare al secolo questa nobile preda e rivendicarla al suo Signore. Visita egli la fanciulla e più di frequente questa lui, regolando gli intervalli degli incontri, in modo che quella divina attrattiva non si potesse umanamente percepire da qualcuno, né derivasse detrimento da pubbliche mormorazioni.
Perciò accompagnata da un'unica persona a lei familiare, la fanciulla usciva dal palazzo avito e di nascosto si recava presso l'uomo di Dio, le cui parole le parevano di fiamma e le cui opere sovrumane. L'esorta il padre Francesco a disprezzare il mondo, dimostrandole con vivacità di linguaggio come sia arida la mondana speranza e fallace l'apparenza; instilla nelle sue orecchie la dolcezza delle nozze con Cristo, convincendola a custodire la gemma della purezza verginale per quel beato Sposo, che per amore si fece uomo.
6. A che indugiare in molte parole? Alle istanze del padre santissimo ed al suo incalzare solerte a guisa di fedelissimo paraninfo, la vergine non tarda ad acconsentire. Le si spalancò tosto l'intuizione degli eterni gaudii, onde a confronto di essi il mondo intero perdesse valore, per desiderio di essi ella s struggesse, per loro amore anelasse alle nozze superne.
Ed infatti accesa di fuoco celestiale, così sovranamente disprezzò la terrena vanagloria, da non nutrire più in cuore attaccamento di sorta alle pompe del mondo. Inoltre aborrendo dalle lusinghe della carne, ormai si proponeva di "ignorare il talamo quasi fosse colpa" bramosa di fare del proprio corpo un tempio solo per Dio e studiosa di meritare con la virtù l'unione col gran Re. Ed ora interamente si affida alla prudenza di Francesco, ellegendo lui dopo Dio come guida della via da tenere. Dipende ormai l'anima sua dai sacri avvisi di lui ed accoglie in affocato petto quanto egli intorno al buon Gesù le rivela col suo discorso. Ormai s'infastidisce dell'eleganza dei mondani adoranmenti e reputa come sterco ogni cosa, che richiami l'ammirazione di fuori, pur di guadagnare Cristo.
COME PER OPERA DEL BEATO FRANCESCO PASSO' DALLA VITA SECOLARE ALLA RELIGIOSA
7. Presto, affinché lo specchio della mente immacolata non venga oltre appannato da polvere terrena, né il contagio della vita secolare ponga il suo fermento di lievito in quella pura giovinezza, si affretta il pio padre a condurre Chiar fuori delle tenebre del secolo.
Era imminente la solennità delle Palme, quando la fanciulla con fervido cuore si reca dall'uomo di Dio, per interrogarlo intorno al suo mutamento di vita, quando ed in che modo debba attuarsi. Comanda il padre Francesco che nel dì festivo ella bene acconcia e adorna vada a reicevere la palma tra la massa del popolo, e la notte seguente "uscendo fuori dal campo" converta il mondano gaudio nel lutto della passione del Signore.
Perciò, venuta la domenica, nel gruppo delle signore la fanciulla, radiosa di splendore festivo, con le altre entra in chiesa. Ivi per conveniente presagio accadde che, correndo le altre a prendere le rame d'ulivo, mentre Chiara invece nel suo riserbo restava immobile al proprio posto, il Vescovo scendendo i gradini avanzò fino a lei e le pose la palma nelle mani. La notte seguente, preparatasi secondo il comando del Santo, pone in atto la desiderata fuga con onorevole compagnia. E poiché non le parve opportuno uscire per la porta consueta, un'altra porta, ostruita da legna e da pesanti pietre, riuscì, con una forza che a lei pure sembrò straordinaria, a disserrare con le sue mani.
8. Dunque abbandonati casa, città e consanguinei, s'affretto verso Santa Maria di Porziuncola, dove i frati, i quali presso il piccolo altare di Dio vegliavano in preghiera, ricevettero con lumi la vergine Chiara. Ivi tosto lasciate le brutture di Babilonia, ripudià il mondo; ivi, lasciando cadere per mano dei frati i capelli, abbandonò i variegati ornamenti.
Né sarebbe stato conveniente che al vespero dei tempi altrove spuntasse l'Ordine della fiorente verginità, se non nella corte di Colei che, prima di tutte e di tutte più degna, unica fu madre rimanendo vergine. Questo è quel luogo, nel quale la nuova milizia di poveri, sotto il comando di Francesco, ebbe felice esordio, sì che lucidamente si riconosce che l'uno e l'altro Ordine religioso la Madre di misericordia partorì nella sua dimora.
Poi, come davanti all'altare della beata Maria ebbe preso le insegne della santa penitenza, e quasi davanti al letto nuziale di questa Vergine l'umile ancella si fu disposata a Cristo, subito san Francesco la condusse alla chiesa di San Paolo, affinché ella ivi dimorasse finché l'Altissimo disponesse diversamente.
COME ALL'ASSALTO DEI CONSAGUINEI RESISTETTE CON FERMA PERSEVERANZA.
9. Ma come ai consanguinei volò la notizia, col cuore lacerato condannano il fatto ed il proposito della vergine, e tutti riuniti accorrono al luogo, nel tentativo di ottenere ciò ch'è impossibile. Si valgono dell'impeto della violenza, del veleno dei consigli, delle blande promesse, per indurla a ritrarsi da siffatta bassa condizione, che non s'accorda con la nobiltà del gentilizio, né trova conferma in altro esempio nella contrada. Ma ella, afferrando le tovaglie dell'altare, si denuda il capo tonduto e afferma che in nessun modo si lascerà strappare dal servizio di Cristo. Cresce il coraggio, col crescre della lotta dei suoi, e le somministra forze l'amore provocato dalle ingiurie. Così, così per più giorni, ostacolata nella via del Signore, ed opponendosi i suoi al suo proposito di santità, non vacillava l'animo, non si svigoriva il fervore; ma tra le loro parole ingiuriose ed il loro dispetto, ella tempra l'animo alla speranza, fino a che i parenti, respinti, cedono e si placano.
10. Trascorsi pochi giorni, si recò presso la chiesa di Sant'Angelo di Panzo; ma poiché ivi la sua anima non aveva pieno riposo, per decisione del beato Francesco, si trasferì presso la chiesa di San Damiano. Qui, fissata l'ancora della mente come in sicuro porto, non più ondeggia per mautar di luogo, non sta dubbiosa per la ristrettezza, non ha spavento per la solitudine. Questa è la chiesa, al cui restauro Francesco sudò con mirabile zelo, ed al cui sacerdote aveva offerto denaro per restaurarla. Questa è quella, nella quale, mentre Francesco pregava, la "voce discesa" dal legno della coroce sonò così:
FRANCESCO, VA E RIPARA LA MIA CASA, CHE, COME VEDI, TUTTA E' IN ROVINA.
Nell'ergastolo di questo luoghicciolo, per amore dello Sposo celeste, la vergine Chiara si rinchiuse. In questa, celandosi dalla tempesta del mondo, finché visse, incarcerò il suo corpo. "Nel cavo di questa macerie facendo il nido la colomba" d'argento generò un collegio di vergini di Cristo, fondò un monastero santo e dette principio all'Ordine delle Povere Donne. qui nella via della penitenza frange le zolle delle sue membra, qui semina i semi di perfetta giustizia, qui col suo incedere impronta le orme per le seguaci. In questa dura clausura per quarantadue anni spezza con i flagelli della disciplina l'alabastro del proprio corpo, affinché la casa della Chiesa si riempia della fragranza degli aromi. E come gloriosamente sia qui vissuta, si narrerà con evidenza solo quando prima si narri, quante e quali grandi anime per opera di lei siano venute a Cristo.
DELLA FAMA DELLE SUE VIRTU' TUTTO INTORNO DIFFUSA.
Si sparge invero poco dopo il concetto della santità della vergine Chiara per le vicine regioni, e "dietro l'odore dei suoi profumi" da ogni parte le donne corrono. Si affrettano le vergini, sull'esempio di lei, a mantenersi per Cristo come sono; si studiano le maritate di vivere pià castamente; nobili ed illustri persone, abbandonando i comodi palazzi, si costruiscono miseri monasteri e per amor di Cristo reputano grande gloria vivere "nella cenere e nel cilicio". Viene incitata alle incontaminate gare perfino la gagliardia dei giovani, e dai forti esempi del più debole sesso è provocata a disprezzare la fallacia della carne. Infine molti congiunti in matrimonio consensualmente si vincolano con la legge dell'astinenza, e i martiri entrano negli Ordini, le mogli nei monasteri. La madre invita la figlia, la figlia la madre a Cristo; la sorella attrae le sorelle e la zia le nipoti. Tutte con fervida emulazione desiderano servire a Cristo. Tutte bramano divenire partecipi di quest'angelica vita, illustrata da Chiara. Innumeri vergini, mosse dalla fama di Chiara, se non riescono ad impegnarsi nella vita del chiostro, nelle case paterne, pur senza il vincolo di un regola, si studiano di vivere nello spirito regolare. Si numerosi e grandi germi di salvezza partoriva con l'esempio la vergine Chiara, che parve adempirsi inlei la profezia: "Molti più saranno i figli della solitaria, che non di colei la quale ha marito".
COME LA NOTIZIA DELLA SUA BONTA' PERVENNE ANCHE ALLE LONTANE.
11. Frattanto, affinché la vena di questa celeste benedizione, che scaturisce nella valle spoletana, non rimanga circoscritta in brevi confini, per divina provvidenza si trasforma in larga corrente, per modo che "l'impeto del fiume rallegra tutta la popolazione della Chiesa". Infatti la novità di sì grandi avvenimenti si sparse inlungho e in largo da ogni parte e dovunque cominciò a guadagnare anime a Cristo. Pure standosene rinchiusa Chiara comincia a diffondere chiarore in tutto il mondo e per meritati elogi chiarissima rifulge.
Riempie la fama delle sue virtù le camere di signore illustri, perviene nei palazzi delle duchesse e penetra sino nei penetrali delle regine. Si piega il vertice della nobiltà a seguir le vestigia di lei e dalla schiatta superba del sangue dirazza per santa umiltà. Talune, degne delle nozze con duchi e re, invitate dall'ecomio di Chiara, fanno dura penitenza, e quelle che già avevano sposato i potenti, a lor modo imitano Chiara.
Si adornano di monasteri innumeri città; perfino zone campestri e montuose s'abbelliscono con la costruzione di tale celeste edificio. Si moltiplica il culto della catità nel mondo, aprendo la via Chiara santissima, e lo stato verginale è richiamato a nuova vita e riportato all'attualità. Di questi beati fiori, che Chiara produsse, oggi felicemente fiorisce la Chiesa, essa che domanda di esserne sostenuta, dicendo: "Sorreggetemi coi fiori, serratemi con i frutti, poiché languisco d'amore".
Ma ormai la penna torni all'assunto, affinché sia noto quale sia stato il suo tenor di vita.
DELLA SUA SANTA UMILTA'.
12. Costei, pietra primaria e nobile fondamento del suo Ordine, sul fondamento della santa umiltà fin dal principio si studiò d'impostare l'edificio di tutte le virtù. Infatti promise santa obbedienza al beato Francesco, e dalla promessa punto non deviò. Invero per un triennio dopo la sua conversione, declinando nome e ufficio di Abbadessa, volle piuttosto umilmente essere in sottordine che non a capo, e tra le ancelle di Cristo più volentieri servire che essere servita. Poi, costretta dal beato Francesco, assunse il governo delle Donne; dal quale ufficio nel suo cuore nacque timore, non boria, e crebbe non la libertà, ma la soggezione.
Giacché quanto più alta si vede per una tal quale apparenza di superiorità, tanto nella propria stima si ritrova più bassa, al dovere più pronta, nell'aspetto esterno più spregevole. Nessun'incombenza servile più rifiutò, così che per lo più versava lei acqua alle mani delle suore, se ne stava in piedi mentre esse sedevano, serviva in tavola quando mangiavano. Assai di mala voglia imparte qualche ordine, anzi spontaneamente lo adempie, preferendo far da sé piuttosto che comandare alle suore. Lavav le seggette delle inferme, essa, per quel suo nobile spirito, le detergeva senza rifuggire dal sudiciume, senza schifare il fetore. Molto spesso lavava i piedi delle servigiali, le quali tornavano da fuori, e dopo averli lavati li baciava.
Una volta stava lavando i piedi di una inserviente e mentre era sul punto di baciarli, quella, non sostenendo tanta umiliazione, ritrasse il piede e colpì in volto la sua signora. Ma ella riprese dolcemente il piede della suddita e sotto la pianta impresse ben aderente un bacio.
DELLA SANTA E VERA POVERTA'
13. Con la povertà dello spirito, che è umiltà verace, concordava la povertà d' ogni bene temporale. Anzitutto, all'inizio del suo mutamento di vita, fece alienare l'eredità paterna che le era pervenuta e senza trattenere per sé nulla del ricavato, tutto erogò ai poveri. Da questo punto, lasciato al di fuori il mondo, arricchita l'anima dentro, libera di pesi senza sacco corre dietro Cristo. Così forte patto, infine, strinse con la santa povertà, e di tanto amore le si legò, che nulla, se non Cristo Signore, volle avere, nulla alle sue figlie permise di possedere. Riteneva che "la preziosissima perla" del desiderio celeste "acquistata col vendere ogni cosa" non può assolutamente conservarsi insieme con la divorante preoccupazione dei beni temporali. Inculca con frequenti esortazioni alle sue suore, che la loro comunità allora sarà accetta a Dio, quando sia opulenta di povertà, e che in perpetuo durerà stabile, solo se difesa sempre con la torre dell'altissima povertà. Le esorta a conformarsi, nel piccolo nido di povertà, al Cristo povero, che la Madre poverella depose pargoletto in um misero presepio. Invero con questo peculiare ricordo, quasi a mo' di monile d'oro, s'affibbiava il petto, affinché polvere di terreni desideri non trovasse il passaggio all'interno.
14. Volendo che la sua religiosa famiglia s'intitolasse col titolo della povertà, ad Innocenzo terzo di buona memoria fece istanza per il privilegio della povertà. E quell'uomo magnifico, rallegrandosi di così gran fervore della vergine, rilevò la singolarità del proposito, giacché mai siffatto privilegio era stato domandato alla Sede Apostolica.
Ed affinché all'insolita petizione arridesse un favore insolito, il Pontefice stesso con grande ilarità di propria mano scrisse l'abbozzo del richiesto diploma. Il signor Papa Gregorio, uomo come della sede degnissimo, così anche per meriti personali venerando, con paterno affetto anche più familiarmente amava questa Santa. Ma a lui, che si studiava di persuaderla affinché acconsentisse ad avere qualche proprietà, per eventuali circostanze e per i pericoli del mondo, ed anzi gliene andava offrendo lui stesso liberalmente, Chiara si oppose con fortissimo animo e non accondiscese. E quando il Pontefice le replico: "Se temi per il voto, Noi te ne dispensiamo" , ella: "Santo Padre, - disse - a nessun patto desidero in eterno di essere dispensata dalla sequela di Cristo!".
I frammenti di elemosine,i minuzzoli di pane riportati dai questuanti li riceveva con molta giocondità, e rimanendo quasi mesta per i pani interi, piuttosto esultava per quei pezzetti. A che molte parole? Attendeva a conformarsi col povero Crocifisso in perfettissima povertà, sì che nessuna cosa peritura separasse l'amante dall'Amato,o impedisse la sua corsa insieme col Signore.
Mi si presentano, ecco, due miracoli, che l'amatrice della povertà fu degna di operare.
MIRACOLO DELLA MOLTIPLICAZIONE DEL PANE.
15. Un unico pane v'era in monastero, mentre già incalzavano e la fame e l'ora del desinare. Chiamata la dispensiera, ordina la Santa di dividere il pane e di mandarne parte ai frati, parte riterne dentro per le suore. Poi della metà riserbata ordina di fare cinquanta ritagli, secondo il numero delle Donne, e di metterli loro innanzi sulla mensa della povertà. E poiché la devota figlia rispose: Sarebbero qui necessari gli antichi miracoli di Cristo, affinché sì poco pane possa accogliere cinquanta fette, le replicò la Madre così: "Fa, o figliola, con sicurezza ciò che ti dico". S'affretta la figlia ad adempiere il comando della Madre; s'affretta la Madre a indirizzare al suo Cristo in favore delle figlie pii sospiri. Cresce per dono divino tra le mani di colei che la spezza quella scarsa materia e per ciascuna della comunità risultò la sua porzione abbondante.
ALTRO MIRACOLO DELL'OLIO DIVINAMENTE DONATO.
16. Un giorno alle ancelle di Cristo era così del tutto mancato l'olio, che non ve n'era da usarne di condimento neppure per le ammalate. Prende donna Chiara un vasello, e, maestra d'umiltà, lo lava con le proprie mani; pone il recipiente vuoto di fuori,affinché il frate questuante lo prenda, e vien chiamato anche il frate, perché vada a provvedere l'olio. Non indugia il devoto frate per soccorrere a tanta inopia e corre a prendere il vasello. "Ma non è affare di chi vuole e corre, sibbene di Dio misericordioso". Infatti per solo influsso di Dio, quel vaso si ritrova pieno d'olio, avendo la preghiera di santa chiara prevenuto il servigio del frate a sollievo delle povere figlie. Ma il frate predetto, quasi fosse stato inutilmente chiamato, mormorò sotto voce: "Per beffa queste donne m'han chiamato, sebbene, ecco, il vaso sia pieno!".
DELLA MORTIFICAZIONE DELLA CARNE.
17. Della mirabile mortificazione della carne forse gioverebbe tacere piuttosto che parlare, dal momento che ella ha compiuto tali penitenze, per le quali lo stupore di chi ode riferirle lotta con la realtà degli avvenimenti. Non era gran cosa il fatto che con una semplica tonachetta ed un vil mantello rozzo panno coprisse, più che riscaldare, il corpo delicato;né è da stupire che ignorasse interamente l'uso della calzature. Non era gran cosa che in ogni stagione digiunasse di continuo, né che si servisse di un lettuccio senza piuma. Infatti, in queste mortificazioni, poiché aveva nel chiostro le altre a lei simili, non meriterebbe forse lodi a lei riservate.
Ma quale congruenza v'era tra la carne verginale e la veste porcina? Si era procurata, infatti, la vergine santissima un indumento di cuoio di porco, e rivoltene verso la propria carne le setole ispide per il taglio, lo portava segretamente sotto la tonaca. Usava talvolta un duro cilicio, intrecciato di crini di cavallo e noduloso, che di qua e di là con rozze cordicelle stringeva alla persona. Avendolo prestato una volta ad una delle figliuole, la quale glielo richiedeva, ed essendosene questa rivestita, soccombendo immediatamente a tanta asprezza, non così lietamente lo chiese, come celermente dopo tre giorni lo restituì. La nuda terra e talvolta sarmenti di vite le servivano per letto, e un duro legno faceva sotto la testa le veci di guanciale. In seguito, veramente, indebolitosi il corpo, stese a terra una stuoia ed alla testa concesse in via di clemenza un po' di paglia. Infine, poiché una lunga infermità s'impadronì del corpo così severamente trattato, per comando del beato Francesco, usò un saccone pieno di paglia.
18. Pure nei digiuni era tanto il rigore della sua astineza, che a stento sarebbe vissuta fisicamente del tenue sostentamento che prendeva, se non l'avesse sotenuta una virtù soprannaturale. Infatti, finché fu sana, nella quaresima maggiore e nella quaresima di San Martino vescovo digiunava a pane ed acqua, gustando solo la domenica un po' di vino, se lo aveva. E affinché ammiri, tu che ascolti, ciò che non potresti imitare, tre giorni per settimana, ossia il lunedì, il mercoledì e il venerdì, durante quelle quaresime nulla prendeva per cibo. Così alternativamente si succedevano i giorni di una scarsa refezione e i giorni dell'acerba penitenza, per modo che la vigilia di completa inedia quasi si rilassava in un giorno festivo di pane ed aqua. Non è meraviglia se tanta rigidezza osservata a lungo assoggettò Chiara alle infermità, se consumò le sue forze, se snervò la vigoria del suo corpo. Perciò le devotissime figlie della santa Madre soffrivano per lei, e quelle morti che volontariamente ella ogni giorno sosteneva le deploravano con lacrime. Infine il beato Francesco e il Vescovo di Assisi proibirono a santa Chiara quel digiuno esiziale dei tre giorni, ordinandole che non lasciasse passare una giornata senza mangiare almeno un'oncia e mezza di pane. E se una grave macerazione corporale genera per solito afflizione di spirito, ben diversamente si vedeva in Chiara: infatti conservava in ogni sua mortificazione aspetto festoso e giulivo, così che pareva non avvertire, anzi deridere le angustie fisiche. Dalla qual cosa è dato capire senza ombra di dubbio che la santa letizia, dicui abbondava all'interno, ridondava esteriormente, giacché ai flagelli del corpo toglie ogni asprezza l'amore del cuore.
DELL'ESERCIZIO DELLA SANTA ORAZIONE.
19. Ella, poi, come avanti tempo morta alle esigenze della carne, così del tutto era estranea al mondo, e di continuo teneva l'anima occupata nelle sante preghiere e nelle divine lodi. La fervidissima vista dell'interno desiderio l'aveva già affissa alla luce, e come colei che aveva trasceso la sfera degli involucri terreni, più largamente apriva il seno della mente alle piogge delle grazie. Per lunghi tratti dopo Compieta prega con le Suore, e fiumi di lacrime , mentre in lei stessa prorompono, si eccitano nelle altre. Inoltre dopo che le altre andavano a ristorare le membra stanche sui duri giacigli, ella rimaneva in orazione assai desta e invitta, per "accogliere furtivamente le vene del divino susurrio" quando il sopore avesse preso le altre. Spessissimo, prostratasi col volto verso terra all'orazione, bagna il suolo di lacrime e lo sfiora coi baci. Mentre una volta piangeva nel cuor de la notte, le apparve l'angelo delle tenebre in forma di nero fanciullo e così l'ammonì: "Non piangere tanto, perché diverrai cieca". E subito rispondendogli lei: "Non sarà cieco chi vedrà Dio", quello confuso se ne partì. Nella medesima notte dopo Mattutino pregando Chiara, bagnata del solito rivolo di pianto, il fraudolento consigliere si accostò e: "Non piangere tanto, ripeté, se non vuoi che alla fine il cervello disfatto ti scorra giù per le narici, perché poi ne avrai il naso storto". E alla rapida risposta:"Nessuna stortura patisce chi serve al Signore", tosto fuggendo svanì.
20. Quanto corroboramento riceva nella fornace della fervente preghiera, quanto la bontà divina in quella fruizione le sia dolce, lo provano ripetuti indizi. Infatti allorché ritornava con giubilo dalla santa orazione, riportava dal fuoco dell'altare del Signore calde parole, tali da accendere il petto delle Suore. Constatavano infatti con ammirazione che una certa dolcezza emanava dal suo volto e la faccia appariva più luminosa del solito. "Certo nella sua dolcezza Dio aveva dato convito alla poverella" e dopo averle, luce vera, riempita nell'orazione la mente, al di fuori la manifestava ai sensi corporei in esempio. Così nel mondo labile congiunta inseparabilmente allo Sposo suo nobile, di continuo si delizia nelle cose superne: così nella ruota versatile sostenuta da virtù stabile e racchiudendo in un vaso di fragile argilla un tesoro di gloria, con il corpo dimora nella bassa terra con l'intelletto nell'alto dei cieli. Era solita per il Mattutino precedere le giovinette, che in silenzio svegliava con cenni, invitandole alle lodi di Dio. Spesso, mentre le altre dormivano, accendeva le lampade, spesso con le proprie mani sonava da sé la campana. Non v'era posto per la tiepidezza, non per l'ignavia nel suo chiostro, dove la pigrizia era stimolata da un pungente impulso a pregare e servire il Signore.
DELLE MERAVIGLIE DELLE SUE ORAZIONI E PER PRIMO DEI SARACENI MIRACOLOSAMENTE VOLTI IN FUGA.
21. Piace qui recitare i magnifici risultati delle sue orazioni, con verità scrupolosissima, pari alla conveniente venerazione. In quell'epoca di persecuzione, che sotto l'imperatore Federico in diverse parti del mondo la Chiesa soffriva, la valle spoletana con maggior frequenza beveva dal calice dell'ira. Si erano in essa stabilite per comando imperiale, col fine di devastare gli accampamenti e di espugnare le città, schiere di uomini a cavallo e di frombolieri saraceni a guisa di sciami di api. E una volta facendo impeto il furore nemico contro Assisi, città particolare del Signore, e già avvicinandosi fino alle sue porte l'esercito, i Saraceni, gente pessima, che han sete del sangue cristiano e osano ogni più impudente scelleratezza, si riversarono a San Damiano entro i limite del luogo anzi fin dentro il chiostro delle vergini. Son prossimi al deliquio i cuori delle Donne pel timore, tremano per l'orrore le parole, ed esse portano alla Madre i loro pianti. Ella con impavido cuore ordina di condurla, inferma com'è, all'uscio e di porla davanti ai nemici, preceduta dalla cassetta d'argento, racchiusa entro avorio, nella quale il Corpo del Santo dei Santi era devotisimamente custodito.
22. E come si fu tutta prosternata in preghiera al Signore, con lagrime parlò al suo Cristo: "Ti piace, mio Signore, le inermi tue ancelle, cui allevai all'amor tuo, consegnarle, ecco, alle mani di pagani? Custodisci, Signore, ti prego, queste serve tue, che al presente io da me non poso difendere". Tosto dal propiziatorio della nuova grazia una voce come di bambinello risonò alle sue orecchie: "Io sempre vi difenderò". "Mio Signore, riprese, ed anche proteggi, se credi, questa città, la quale per tuo amore ci sostenta". E Cristo a lei: "Sosterrà gravezze, ma dal mio patrocinio sarà difesa". Allora la vergine, ergendo la faccia bagnata di lacrime, conforta le piangenti dicendo: "Con fiducia vi assicuro, figliuole, che non soffrirete niente di male; soltanto confidate in Cristo!". Né vi fu ritardo: subito l'audacia di quei cani fu rintuzzata da sbigottimento, e rapidamente sgombrando da quei muri che avevano scalato, furono scompigliati dal valore della supplice. Tosto Chiara a quelle che avevano udita la predetta voce ha cura di intimare: "Guardatevi in tutti i modi, carissime figlie, di non palesare, finché io ho vita, quella voce a chicchessia".
UN ALTRO MIRACOLO ANCORA PER LA LIBERAZIONE DELLA CITTA'
23. In altra circostanza Vitale d'Anversa, uomo cupido di gloria e coraggioso in battaglia, mosse l'esercito, di cui era capitano, contro Assisi. Pertanto spogliò il territorio di alberi, devastò tutte le adiacente e così stabili l'assedio alla città. Dichiara con minacciose parole che assolutamente non recederà fino a che non abbia occupata la città stessa. E già si era pervenuti a tal punto che si temeva imminente la caduta della città. Ma come ciò riseppe Chiara, serva di Cristo, fortemente gemette e chiamate a sé le suore, disse: "Da questa città, carissime figlie, molti beni quotidianamente riceviamo; sarebbe grande empietà, se nel momento opportuno, per quanto a noi possibile, non la soccorriamo". Comanda di portare della cenere, comanda alle suore di denudare il capo. E per primo scoperto il proprio lo cosparge di molta cenere; poi sulle loro teste pone cenere. "Andate - soggiunge- al Signor nostro e domandate la liberazione della città con tutto il vostro sentimento". A che narrare i singoli particolari? A che ricordare le lacrime delle vergini, a che le preci violente? Il misericordioso Iddio al mattino seguente "conduce a prospero fine la prova " così che, disgregatosi l'intero esercito, e l'uomo superbo, contro i suoi propositi, s'allontanò e quella città non fu più oltre da lui vessata. Infatti lo stesso condottiero della guerra poco dopo fu ucciso di spata.
DELL'EFFICACIA DELLA SUA PREGHIERA NELLA CONVERSIONE DELLA GERMANA.
24. Ma non si deve seppellire nel silenzio neppure quel mirabile effetto della sua preghiera, che nei primordi della sua conversione convertì a Dio una prima anima e convertitala la protesse. Aveva infatti una sorella, tenera d'età, gemana per nascita e purezza; desiderandone la conversione, tra le primizie delle preci che offriva a Dio con pienezza d'affetto, questo domandava con maggiore insistenza, che cioè come nel secolo con la sorella aveva avuto adesione di sentimenti, così ormai nel servizio di Dio ci fosse tra loro uniformità di volere. Prega dunque istantamente il Padre della misericordia affinché alla sorella Agnese, lasciata in casa, il mondo dispiaccia, Dio divenga dolce e così la tramuti dal proposito delle nozze carnali all'unione del proprio amore, che quella seco in perpetua verginità si disposi allo Sposo di gloria. Infatti era radicato in entrambe un mirabile mutuo affetto, il quale, sebbene per diverso sentimento, aveva reso l'insolito strappo all'una ed all'altra doloroso. Favorisce prontamente la divina maestà la straordinaria oratrice, e quel primo dono in special modo domandato e che più a Dio piace di offrire, assai presto l'elargisce. Infatti sedici giorni dopo la consacrazione di Chiara, Agnese per afflato del divino Spirito si affretta a raggingere la soella ed aprendole il segreto della propria volontà, le afferma di volere del tutto servire a Dio. Ed ella gioiosamente abbracciandola, disse: "Ringrazio Dio, sorella dolcissima, perché nella mia sollecitudine per te mi ha esaudita".
25. Alla meravigliosa conversione un'assai mirabile difesa seguì. Infatti mentre le sorelle felici presso la chiesa di Sant'Angelo di Panzo aderivano alle vestigia di Cristo e colei che più sapeva el Signore ammaestrava la sua novizia e sorella germana, d'un tratto contro le fanciule sorge un nuovo assalto dei consanguinei. Udendo infatti che Agnese s'era trasferita presso Chiara, corrono al monastero il giorno seguente dodici uomini accesi di furore e dissimulando all'esterno il maligno proposito,fingono una pacifica visita. Poi subito rivolti ad Agnese, giacché in riguardo a Chiara già ormai avevano perduto le speranze, dicono: "Perché tu sei venuta a questo luogo? Affrettati al più presto a ritornare a casa con noi". Ma rispondendo essa di non volersi dipartire dalla sorella sua Chiara, si scaglia su di lei un cavaliere con animo afferato e, senza risparmio di pugni e di calci, tenta di trascinarla per capelli, mentre gli altri la spingono e la sollevano per le braccia. A ciò la fanciulletta, mentre viene strappata per così dire dalla mano del Signore, come se fosse presa da leoni, esclama: "Aiutami, sorella carissima, e non permettere ch'io sia ritolta a Cristo Signore!". Or dunque intanto che i violenti predoni trascinavano la giovinetta renitente giù per la china del monte, ne laceravano le vesti, e segnavano la via con i capelli strappati, Chiara, con lacrime, gettandosi in orazione, implora che alla sorella sia concessa costanza di propositi, implora che le forze di queli uomini siano superate dalla divina potenza.
26. Tosto, invero, di tanto peso parve aggravato il suo corpo giacente al suolo, che parecchi uomini, sforzandosi a loro potere, non riuscirono punto a trasportarla oltre un certo ruscello. Anche altri accorrono da campi e vigne nell'intento di recare aiuto a coloro, ma quel corpo non reiscono in nessun modo a sollevarlo da terra. E mentre devono desistere dal tentativo, scherzando commentano lo strano fatto: "Tutta la notte ha mangiato piombo, e perciò se pesa non è meraviglia". Invero anche messer Monaldo, zio paterno di lei,volendola, per la grande rabbia, percuotere rovinosamente col pugno, s'ebbe invasa da atroce dolore d'improvviso la mano che aveva alzata, e per molto tempo la tormentò un dolore angoscioso. Ecco ora, dopo il lungo cimento, Chiara, arrivata sul posto, prega i parenti di recedere da tale conflitto e d'affidare alle proprie cure Agnese che giaceva semiviva. Come quelli si allontanarono con amarezza di spirito, senza condurre a termine l'impresa, Agnese si rialzò gioconda e ormai godendo della croce di Cristo per il quale aveva combattuto in questa prima battaglia, si dedicò in perpetuo al servizio divino. E allora il beato Francesco di propria mano le tagliò i capelli ed insieme con la sorella l'ammaestrò nella via del Signore. Ma poiché la magnifica perfezione della sua vita non potrebbe essere illustrata da breve discorso, si riprenda a trattare di Chiara.
UN ALTRO MIRACOLO DELLA SCONFITTA DEI DEMONI.
27. Non è meraviglia se fu potente contro la malizia degli uomini la preghiera di Chiara, la quale respingeva anche i demoni. Una devota donna della diocesi di Pisa una volta si recò al monastero per ringraziare Dio e santa Chiara d'essere stata liberata da cinque demoni per i meriti di lei. Confessavano infatti i demoni nell'atto di essere espulsi, che le orazioni di santa Chiara li esacerbavano e li costringevano a uscire dal vasello posseduto. Non senza ragione il Signor Papa Gregorio aveva straordinaria fiducia nelle preghiere di questa Santa, perché aveva sperimentato quanto la loro virtù fosse efficace. Spesso in verità al sorgere, come suole accadere, di qualche nuova difficoltà, sia quand'era Vescovo d' Ostia sia dopo che fu innalzato al vertice apostolico, supplichevole per lettera alla medesima vergine domanda suffragio, ne riconosce il soccorso. Cosa, certo, come eccezionale per umiltà, così meritevole d'essere imitata con ogni premura, dal momento che il Vicario di Cristo sollecita aiuto dall'ancella di Cristo e si raccomanda alle sue virtù. Sapeva davvero che cosa può l'amore e come sia libero e spalancato per le pure vegini l'ingresso al concistoro della Maestà. Se dunque il Re dei cieli al loro fervido amore dona se stesso, qual cosa v'è che, se giova, non conceda alla loro devota orazione?
DELLA MERAVIGLIOSA DEVOZIONE SUA VERSO IL SACRAMENTO DELL'ALTARE.
28. Quanto fosse grande l'affetto di devozione della beata Chiara al Sacramento dell'altare lo dimostra l'effetto. In quella grave infermità che l'aveva costretta al giaciglio, si faceva sollevare, sorreggere con sostegni e seduta filava delicatissimi tessuti, dei quali fatte più di cinquanta paia di corporali, racchiusili in buste di seta o di porpora, li destinava a varie chiese per la piana e per le alture di Assisi. E quando stava per ricevere il Corpo del Signore, dapprima versava calde lacrime, e accostandosi con tremore non meno temeva Lui nascosto nel Sacramento che reggitore del cielo e della terra.
DI UNA CONSOLAZIONE VERAMENTE MIRABILE CHE IL SIGNORE LE ELARGI' NELL'INFERMITA'.
29. Come, inoltre, nell'infermità "con la memoria si rammentava" del Cristo suo, così anche Cristo la visitava nei suoi languori. In quell'ora del Natale, quando ilmondo giubila con gli angeli per il Pargoletto neonato, tutte le Donne se ne vanno pel Mattutino all'oratorio e lasciano sola la Madre oppressa dale infermità. Or avendo incominciato a riflettere intorno al pargolo Gesù, e molto rammaricandosi di non poter trovarsi di persona a cantarne le lodi, sospirando dice: "Signore Iddio, eccomiti lasciata sola in questo luogo". Di repente ecco quel meraviglioso concerto, che si faceva nella chiesa di San Francesco, cominciò a risonare alle sue orecchie. Udiva i frati salmodiare, con giubilo seguiva le armonia dei cantori, percepiva financo il suono degli strumenti. Non era certo così grande la vicinanza del luogo, da potere umanamente arrivare a queste percezioni, a meno che a quella solennità fosse estesa divinamente fino a lei la risonanza, o fosse rafforzato oltre la potenzialità umana il suo udito. Anzi, cosa che supera tutto questo prodigio auditivo, fu degna di vedere perfino il presepe del Signore. Allorché al mattino andarono a lei le figlie, disse la beata Chiara: "Benedetto il Signore Gesù Cristo, il quale, se mi avete abbandonato voi, non mi ha abbandonata! Ho proprio udito per grazia di Cristo tutte quelle cerimonie, che nella chiesa di San Francesco sono state celebrate questa notte".
DEL FERVIDISSIMO AMORE PER IL CROCIFISSO.
30. Familiare è il pianto sulla passione del Signore a lei, che ora dalle sacre ferite attinge amarore di mirra, ora ne sugge più soavi gaudi. La inebriano fortemente le lacrime di Cristo appassionato, e la memoria di frequente le rappresena Colui che l'amore le aveva impresso molto addentro nel cuore. Insegna alle novizie a piangere Cristo crocifisso, e ciò che insegna con le parole insieme lo dà in esempio con i fatti. Giacché spesso, mentre in particolare le esortava a tali affetti, prima che uscissero dalla sua bocca le parole fluivano le lacrime. Tra le ore del giorno, a Sesta e Nona è tocca per solito da maggior compunzione, volendo immolarsi con l'immolato Signore. Precisamente una volta nell'ora di Nona mentre pregava in cella, il diavolo la percosse sulla mascella e le soffuse di sangue un occhio e la gota di una lividura. Inoltre per pascere ininterrottamente l'anima delle delizie del Crocifisso, meditava assai di frequente l'orazione alle cinque piaghe del Signore. Apprese l'ufficio della Croce, come glielo aveva insegnato l'amante della croce Francesco, e fu solita recitarlo con somigliante disposizione. Cingeva sotto le vesti sulla carne una cordicella annodata con tredici nodi, segreto ricordo delle ferite del Salvatore.
UNA COMMEMORAZIONE DELLA PASSIONE DEL SIGNORE.
31. Era giunto un tempo il dì della santissima Cena, nella quale il Signore "amò i suoi fino all'estremo". Verso sera, all'avvicinarsi dell'agonia del Signore, Chiara triste e mesta si rinchiuse nel nascondimento della cella. E accompagnado con l'orazione il Signore in orazione, ed avendo "l'anima triste fino alla morte" attinto angoscia alla tristezza di Lui, e la memoria a poco a poco essendosi compenentrata della cattura e di tutto lo scherno, si riversò sul letto. Tutta quella notte pertanto e il giorno seguente così rimane assorta, così fuor di se stessa, che senza battere gli occhi sempre intenta ad un'unica visione, sembra confitta a Cristo e del tutto insensibile. Torna più volte a lei una figlia familiare, per vedere se per caso voglia qualche cosa, e la trova stare sempre nel medesimo modo. Venendo poi la notte sul sabato, la figlia devota accende una candela e richiama alla memoria della Madre l'ingiunzione di san Francesco con un cenno, non con parole. Infatti il Santo le aveva ingiunto di non lasciar passare giorno alcuno senza cibo. Mentre dunque quella le stava davanti, Chiara, quasi ritornasse da altro luogo, proferì questa frase: "Che necessità v'è di candela? Non è forse giorno?" "Madre, rispose l'altra, la notte se ne andò, anche il giorno è passato ed è tornata una seconda notte". E Chiara a lei: "Benedetto sia questo sonno, carissima figlia, giacché dopo essere stato lungamente desiderato, mi è stato concesso. Ma guardati dal riferire questo sonno a chiunque finché io stessa sarò in vita!".
DEI DIVERSI MIRACOLI CHE OPERAVA COL SEGNO E PER VIRTU' DELLA CROCE.
32. Rende lo scambio all'amante il Crocifisso amato e colei la quale è accesa di tanto amore pel mistero della croce è illustrata in evidenti prodigi dalla potenza della croce vivificatrice, mette meravigliosamente in fuga da loro le malattie. Toccherò alcuni tra i molti episodi. Un frate di nome Stefano, impazzito, dal beato Francesco fu invitato a donna Chiara, affinché su di lui facesse il segno dell santissima croce. Invero conosceva la sua gran perfezione e venerava in lei la grande virtù. Lo segna la figlia dell'obbedienza secondo l'ordine del Padre, e lo lascia per poco dormire nel luogo dove ella stessa era solita pregare. Ma quello poco dopo, sciolto dal sonno, si rialzò santo e tornò al Padre libero dall'insania.
33. Un bambino di tre anni, di nome Mattiolo, della città di Spoleto, aveva introdotto una pietruzza nella sue narici. Nessuno riusciva ad estrargliela dal naso né bambino a gettarla fuori. In grande pericolo ed angoscia è condotto a donna Chiara, e come è da lei segnato col segno della croce, tosto, espulsa la pietruzza, vien liberato.
Un altro fanciullo di Perugia, che aveva tutto un occhio velato da una macchia, fu condotto alla Santa di Dio. Ed ella, toccato l'occhio del bimbo, v'impresse il segno di croce e disse: "Conducetelo a mia madre affinché ella ripeta su lui il segno di croce". La madre di lei, voglio dire donna Ortolana, seguendo la sua planticella, dopo la figlia era entrata nell'Ordine e nell'orto chiuso con le vergini, da vedova, serviva il Signore. Ricevuto dunque pure da lei, il segno di croce, immediatamente l'occhio del bambino purificato dalla macchia vide chiaro e distinto. Asserisce perciò Chiara che il bambino è liberato per merito della madre, la madre declina il peso della lode in favore della figlia e si dichiara indegna di tanto.
34. Una delle suore, di nome Benvenuta, aveva sofferto per quasi dodici anni sotto un braccio una piaga fistolosa, la quale emetteva pus per cinque fori. Compassionandola la vergine di Dio Chiara, le applicò quel suo particolare trattamento del segno salutare; e tosto al tocco in forma di croce recuperò perfetta sanità dall'annosa ulcera.
Un'altra nel novero delle suore, dall'appellativo di Amata, da tredici mesi giaceva in letto appesantita da idropisia e per di più sofferente per tosse e mal di fianco. Mossa a pietà di lei, donna Chiara ricorre al nobile esperimento della sua arte medica: la segna con la croce in nome del suo Cristo e subito la rende a completa salute.
35. Un'altra ancella di Cristo, nativa di Perugia, aveva perduto la voce per due anni, che a stento poteva esprimersi con parole intelligibili. Ora nella notte dell'Assunzione di nostra Signora essendole stato rivelato in visione che donna Chiara l'avrebbe liberata, aspettava ansiosa il giorno. E fattasi la luce, s'affretta alla Madre, domanda il segno della croce, appena segnata recupera la voce.
Una suora di nome Cristiana, soffrendo per lungo tempo la sordità da un orecchio, aveva provato contro quel male, tuttavia invano, molti rimedi. Donna Chiara le segna la testa pietosamente, le tocca l'orecchio, e all'istante essa riacquista la potenza dell'udito.
V'era in monastero una moltitudine di suore inferme, afflitte da diversi dolori. Entra là Chiara, secondo l'uso, con il suo solito farmaco e, fatto cinque volte il segno di croce, cinque tosto ne solleva dal languore. Da questi fatti appar chiaro che nel petto della vergine era radicato l'albero della croce, il quale, mentre col suo frutto ristora le anime, col fogliame offre la medicina esteriore.
DEL QUOTIDIANO AMMAESTRAMENTO DELLE SUORE.
36. Davvero poiché era maestra delle incolte e simile a colei che nel palazzo del gran Re sta a capo alle fanciulle, le ammaestrava con tanta competenza e le tutelava con tanto affetto di carità, che nessun discorso potrà esprimerlo pienamente. Anzitutto insegna ad espellere dall'abitazione della mente ogni strepito, affinché possano rimaner fisse unicamente nei penetrali di Dio. Insegna a non lasciarsi più signoreggiare dall'amore dei parenti secondo la carne, e a dimenticare la casa paterna, per piacere a Cristo. Le esorta a trascurare le esigenze del corpo fragile ed a frenare con l'impero della ragione le quisquilie carnali. Dimostra che l'insidioso avversario tende lacci occulti alle anime pure; e che in un modo tenta i santi, in altro i mondani.
Infine vuole che inore determinate esse attendano a lavori manuali, in modo, tuttavia, che mediante l'esercizio dell'orazione, secondo il desiderio del Fondatore, subito ritrovino il calore, e abbandonando il torpore della negligenza, col fuoco del santo amore scuotano il freddo della negligenza, col fuoco del santo amore scuotano il freddo della indevozione. In nessun luogo sono più in auge l'evidenza e la sostanza di ogni decoro. Non ivi profluvio di parole parla di animo volubile, né leggerezze verbali manifestano leggerezza di affetti. Invero la maestra stessa parca di parole costringe in breve discorso i densi propositi della mente.
DELLA SOLLECITUDINE PER ASCOLTARE LA PAROLA DELLA SACRA PREDICASIONE.
37. Provvede alle figlie mediante devoti predicatori l'alimento della parola di Dio, della quale non si fa la parte peggiore. Giacché nell'udire la sacra predicazione è pervasa di tanta esultanza, si delizia così del ricordo del suo Gesù, che una volta, mentre predicava fra Filippo di Adria, un bellissimo bimbo apparve presso la vergine Chiara e per gran parte della predica la vezzeggiò dimostrando il suo gradimento. Alla vista di siffatta apparizione quella, che meritò di avere tale visione nei riguardi della madre, sentiva una soavità inesplicabile. Per di più Chiara, sebbene non fosse erudita nelle lettere, tuttavia godeva di ascoltare un sermone in bel latino giudicando che dentro il guscio delle parole si nasconde il nocciolo, che essa con sottile intendimento penetrava e molto saporosamente gustava. Sapeva dal discorso di qualsiasi oratore trar fuori ciò che giovi all'anima, conoscendo ch'è segno di non minore avvedutezza spiccare talvolta il fiore da un'aspra spina che mangiare il frutto da un albero pregevole. Una volta, avendo Papa Gregorio proibito che frate alcuno si recasse senza sua licenza ai monasteri delle Donne, rammaricandosi la pia madre che le Suore avrebbero avuto più raramente il cibo della dottrina sacra, con un gemito disse: "Tutti ce li tolga ormai i Frati, giacché ci ha tolto coloro che ci offrivano il nutrimento di vita!".
E immediatamente li rimandò al Ministro tutti, non volendo trattenere gli elemosinieri per procacciare il pane corporale, dopoché non avevano più gli elemosinieri del pane dello spirito. Ma come ciò riseppe Papa Gregorio, tosto rimise la proibizione in potere del Minitro generale.
DELLA SUA GRAN CARITA' VERSO LE SUORE.
38. Non solo le anime delle figlie sue ama questa veneranda Abbadessa, ella che pure ai loro corpi serve con mirabile zelo di carità. Infatti molto spesso nel freddo della notte di propria mano le ricopre mentre dormono e coloro che scorge incapaci d'osservare il rigore comune, vuole ch si accontentino di più mite regime. Se qualcuna fosse turbata da una tentazione, se qualcuna, come suole avvenire, fosse invasa da mestizia, soleva chiamarla in disparte e consolarla con lacrime. Talvolta si prostra ai piedi delle afflitte, per alleviare con materne carezze la foga del dolore.
E le figlie, non ingrate ai suoi benefici, la ripagano con la loro totale devozione. Comprendono da parte loro l'affetto con cui la madre le ama, rispettano nella maestra il dovere della superiorità, seguono nella istitutrice il retto procedere, e nella sposa di Dio ammirano la prerogativa della santità in tutte le sue sfumature.
DELLE SUE MALATTIE E DEL PROLUNGATO LANGUORE.
39. Quarant'anni aveva corso nello stadio dell'altissima povertà, quand'ecco ormai s'avvicinava al premio della chiamata superna, preceduto da molteplice infermità. Se, infatti, il vigore della costituzione fisica negli anni primi aveva dovuto soccombere all'austerità della penitenza, nel periodo posteriore ella fu preda di una dura infermità, quasi che, come da sana s'era arricchita dei meriti delle opere, inferma s'arricchisse con i meriti delle sofferenze. Infatti "la virtù si perfeziona nell'infermità". Ed in qual modo la sua meravigliosa virtù fosse portata a perfezione nell'infermità, da ciò specialmente è provato, che nel continuo languire per ventotto anni "non risuona una mormorazione, non una lamentela", ma sempre dalla sua bocca procede un santo conversare, sempre il ringraziamento. E sebbene aggravata dal peso delle malatie paresse affrettarsi verso la fine, piacque tuttavia a Dio ritardarne il transito fino al momento in cui dalla Chiesa Romana, della quale era creatura e figlia speciale, potesse venire esaltata con degni onori. Invero, poiché il Sommo Pontefice con i Cardinali si tratteneva a Lione, cominciando Chiara ad essere più del solito incalzata dal male, la spada di uno smisurato dolore crucciava lo spirito delle figlie.
40. Presto però ad un'ancella di Cristo, vergine a Dio consacrata nel monastero di San Paolo dell'Ordine di san Benedetto è mostrata questa visione. Le pare di trovarsi insieme con le sue Suore a San Damiano per assistenza all'infermità di Donna Chiara e che la stessa Chiara giaccia in un letto prezioso. Mentre piangono e in lacrime attendono il passaggio della beata Chiara, una donna maestosa appare a capo del letto e così parla alle piangenti: "Non piangete, figliole, chi ancora vivrà, giacché venga il Signore con i suoi discepoli". Ed ecco, dopo breve tempo, arrivare la Curia Romana a Perugia. Come ode l'aggravarsi della malattia di lei, si affretta il Signore Ostiense da Perugia a visitare la sposa di Cristo, della quale era stato per ufficio padre, per attenzione nutritore, per affetto purissimo sempre devoto amico. Egli ciba l'inferma sol Sacramento del Corpo del Signore,ciba anche le altre con l'esortazione di una predica salutare. Supplica ella con lacrime il Padre solo per raccomandargli la propria e le anime delle altre Donne nel nome di Cristo. Ma soprattutto di una grazia lo richiede, che cioè le impetri dal Signor Papa e dai Cardinali che sia confermato il Privilegio di povertà; la qual cosa egli, fedele tutore dell'Ordine,come promise verbalmente, così adempì di fatto. Passato quell'anno, il Signor Papa con i Cardinali da Perugia si trasferì ad Assisi si che la precedente visione intorno al transito della Santa poté avere il suo effetto. Giacché il Sommo Pontefice, posto al di là dell'umanità e al di qua della Divinità, in sé rappresenta la persona del Signore, ed a lui nel tempo della Chiesa militante sono presso in più stretta familiarità, come i discepoli, i signori Cardinali.
COME IL SIGNOR INNOCENZO LA VISITO' INFERMA, L'ASSOLSE E LA BANEDISSE.
41. Accelera ormai la divina Provvidenza ilcompimento del suo proposito nei riguardi di Chiara: accelera Cristo la sublimazione della povera pellegrina al palazzo del regno superno. Brama ormai ella e con tuttoil suo desiderio sospira "d'essere liberata da questo corpo di morte" e di vedere nelle eterne dimore regnare Cristo, che sulla terra povero con tutto il cuore povera ella pure aveva seguito. Pertanto sulle sacre membra già logorate da vecchio morbo s'accumula una nuova debolezza, che insieme indica prossima la chiamata al Signore e prepara la via della perpetua sanità. S'affretta il Signor Innocenzo IV di santa memoria insieme con i Cardinali a visitare l'ancella di Cristo e, come ne aveva approvato la vita al di sopra di quella delle donne del nostro tempo, non esita a venerarne la morte con la sua papale presenza. Entranto nel monastero, si dirige al lettuccio ed accosta al viso dell'ammalata la mano da baciare. La prende ella con trasporto, e poi anche il piede dell'Apostolico Sovrano reclama da baciare con somma riverenza. Salito su uno sgabello di legno, il cortese Signore si degna concedere il piede, sul quale ella stampa baci sopra e sotto e riverentemente appoggia il volto.
42. Domanda infine dal sommo Pontefice con angelico viso la remissione di tutti i peccati. Ed Egli, esclamando: "Magari anch'io avessi bisogno della piena assoluzione la grazia di un'ampia benedizione. Quando tutti se ne furono andati, poiché quel giorno dallamano del Ministro provinciale aveva ricevuto l'Ostia santa, sollevati al cielo gli occhi, e giunte le mani a Dio, con lagrime dice alle sue suore: "Lodate il Signore, figliole mie, perché oggi Cristo s'è degnato elargirmi tale beneficio, che terra e cielo non basterebbero a ripagare! Lui stesso Altissimo - spiegò - oggi ho ricevuto ed ho insieme meritato di vedere il suo Vicario".
COME RISPOSE ALLA GERMANA PIANGENTE.
43. Stanno intorno al letto de Madre le figlie che assai presto saranno orfane, "la cui anima trapassa una spada di acerbo dolore". Non le ritrae il sonno, non la fame le svelle di là: ma dimentiche del letto e della mensa, notte e giorno solo di piangere si dilettavano. Tra le quali Agnese, vergine devota, inebriata di lacrime salse, scongiura la sorella di non partire abbandonandola. Ed a lei Chiara risponde: "Piace a Dio, sorella carissima, che io mi allontani; ma tu desisti dal piangere, giacché dopo di me rapida verrai al Signore, ed una grande consolazione ti darà il Signore, prima ch'io mi diparta da te".
DEL SUO FINALE TRANSITO E DI CIO' CHE ALLORA AVVENNE O APPARVE IN VISIONE.
44. La si vede infine agonizzare per più giorni, durante i quali cresce la fede con la devozione del popolo. Anche di visite di Cardinali e di Prelati col seguito è onorata, come santa davvero, ogni giorno. E questo è mirabile a udire: benché non potesse per diciassette giorni prendere alcun cibo, di tanta fortezza fu rinvigorita dal Signore, che tutti coloro i quali andavano a lei confortava al servizio di Cristo. Infatti mentre il benigno fra Rainaldo l'andava esortando alla pazienza nel lungo martirio di sì gravi infermità, con liberissima voce gli rispose: "Da quando ho conosciuto la grazia del Signor mio Gesù Cristo per mezzo di quel servo suo Francesco, nessuna pena molesta, nessuna penitenza grave, nessuna infermità, fratello carissimo, mi è stata dura!".
45. Poi, facendosi più vicino il Signore e già quasi stando alla soglia, vuole che sacerdoti e frati spirituali le siano presso e le ripetano la Passione del Signore e sante parole. Tra di essi come le appare fra Grinepro, famoso giullare del Signore che spesso emetteva ardenti parole del Signore, perfusa di rinnovellata letizia, gli domanda se qualche cosa di nuovo a riguardo del Signore abbia alla mano. Ed egli aprendo la bocca, dalla fornace del fervido cuore emette fiammeggianti scintille di parole, e nelle sue parabole la vergine di Dio trova grande sollievo. Finalmente si volge alle figlie in pianto per raccomandar loro la povertà del Signore, e ricordare lodando i benefici divini. Benedice devoti e devote sue, e su tutte le Donne dei poveri monasteri sia presenti sia future implora larga grazia di benedizione. Il resto chi potrebbe narrarlo senza pianto? Sono presenti quei due benedetti compagni del beato Francesco, dei quali uno, Angelo, dolente lui stesso, consola le dolenti, e l'altro, Leone, bacia il lettuccio di lei prossima al passaggio.
La desolate figlie manifestano il cordoglio per l'allontanarsi della madre e quella che più oltre non sono per vedere accompagnano con lacrime nel suo dipartirsi . Si dolgono amarissimamente che tutta la loro consolazione se ne vada con lei e che esse, lasciate "nella valle di lacrime", non potranno più essere consolate dalla loro maestra. A stento il pudore soltanto trattiene la mano dal ferirsi, il fuoco del dolore è reso ancor più violento dal fatto che non gli si permette di svaporare con esterni segni di cordoglio. La severità claustrale impera silenzio, la violenza del dolore estorce gemiti e singhiozzi. Le gote son tumefatte per le lacrime e di continuo l'impeto del cuore mesto somministra nuovo umor lacrimale.
46. Volgendosi invece a se stessa la vergine santissima sommessa parla alla propria anima: "Va sicura, le dice, perché avrai buona scorta nel viaggio. Va, continua, perché Colui che ti ha creata, ti ha santificata, e sempre guardandoti, come madre il figlio, con tenero amore ti ha amata". E soggiunge: "Tu, Signore, sii benedetto, che mi hai creata". Interrogandola una delle Suore a chi parlasse, ella rispose: "Io parlo all'anima mia benedetta". Né quella gloriosa scorta era molto distante. Infatti, volgendosi ad una figlia, le domanda: "Vedi tu, o figliuola, il Re della gloria che io vedo?. Ed "anche su un'altra si manifestò la mano del Signore": con gli occhi del corpo tra le lacrime scorge una felice visione. Invero trapassata dal dardo di un profondo dolore, dirige lo sguardo verso la porta della casa: ed ecco, in bianche vesti entra una turba di vergini, che tutte portano serti d'oro sul capo. Avanza tra le altre una più luminosa delle rimanenti, dalla cui corona, che al sommo appare simile ad un turibolo traforato, s'irradia tanto splendore, che dentro la casa mutua la stessa notte in luce diurna. Si dirige verso il letto, dove giace la sposa del Figlio suo e amorevolissimamente inchinandosi su di lei, le dà un dolcissimo abbraccio. Viene offerto dalle vergini un pallio di meravigliosa belleza, e a gara tutte servendola, il corpo di Chiara è ricoperto e la camera adornata.
Il giorno successivo alla festa del beato Lorenzo, esce quell'anima santissima, degna d'essere incoronata dell'alloro del premio eterno, e, sciolta la compagnie del tempio di carne, lo spirito felicemente passa al cielo. Benedetta questa uscita dalla valle di miseir, che per lei divenne ingresso nella vita di beatitudine! Già incambio del tenue vitto s'allieta alla mensa dei cittadini superni, già in cambio della viltà delle ceneri si bea nel regno celeste, è decorata della stola dell'eterna gloria.
COME ALLE ESEQUIE DELLA VERGINE AFFLUI' LA CURIA ROMANA CON FOLLA DI POPOLO
47. Immediatamente il rumore intorno al transito della vergine conle stupende notizie scuote tutto il popolo della città. Affluiscono gli uomini, aflluiscono le donne al luogo, ed è un tale straripare di genti, che la città pare lasciata deserta. Tutti santa, tutti la proclamano a Dio cara, e tra le parole di lode parecchi sono bagnati di pianto. Accorre il podestà con una torma di cavalieri e con multitudine di uomini d'armi, e in quella sera ed in tutta la notte dispongono diligenti sentinelle, affinché non avvenisse di patir danno nei rigurdi del tesoro prezioso che giaceva in mezzo a loro.
Si muove il dì seguente la Curia intera: il Vicario di Cristo con i Cardinali accede al luogo, e tutta la cittadinanza dirige i propri passi alla volta di San Damiano. Si era giunti al momento di celebrare il divin Sacrificio, allorché, cominciando i frati l'ufficio dei morti, subito il Papa dice doversi intonare l'ufficio delle Vergini, non quello dei morti, sì che pareva volesse canonizzarla prima ancora che il corpo fosse confidato alla sepoltura. Ma obiettando l'eminentissimo personaggio ch'era il Signore d'Ostia, che in questa materia sia da trattare con maggiore ponderatezza, vien celebrata la Messa damorto. Di lì a poco, assisosi il Sommo Pontefice e con Lui il circolo dei Cardinali e dei Prelati, il Vescovo Ostiense, assunto il tema: "vanità delle vanità", elogia con nobile sermone la singolare dispregiatrice della vanità.
48. Circondano tosto la sacra spoglia con devota degnazione i preti Cardinali, ed intorno al corpo della Vergine compiono gli uffici di rito. Finalmente, poiché non ritengono né sicura né degna cosa, che sì prezioso pegno resti tanto lontano dai concittadini, è levato con inni e lodi, con clangore di trombe e giubilo solenne ed onorevolmente trasportato a San Giorgio: infatti è questo il luogo, dove il corpo del santo Padre Francesco dapprima era stato riposto; come se chia a lei vivente aveva tracciato la via della vita; anche a lei morta, per una specie di presagio, avesse preparato il luogo del riposo. Poi al tumulo della Vergine fu un concorso di molti popoli, che lodavano Dio e dicevano: " Veramente santa, veramente gloriosa regno con gli angeli, questa che tanto onore riceve dagli uomini sulla terra! Intercedi per noi presso Cristo, o primiceria della Povere Donne, la quale guidasti innumeri persone alle penitenza, innumeri alla vita. Trascorsi pochi giorni, Agnese, chiamata alle nozze dell'Agnello, seguì la sorella Chiara alle eterne delizie: dove entrambe figlie di Sion, per natura, per grazia e per regno germane, giubilano a Dio senza fine. E veramente ricevette quella consolazione, che Chiara promise ad Agnese prima ch'ella migrasse. Infatti come preceduta dalla sorella era passata dal mondo alla croce, così, mentre già Chiara cominciava a risplendere con segni e prodigi, Agnese dopo di lei dalla luce che finisce presto si svegliò in Dio; concedendolo il Signor nostro Gesù Cristo, il quale col Padre e con lo Spirito Santo vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.
PARTE SECONDA
DEI MIRACOLI DI SANTA CHIARA DOPO CHE PASSO' DAL MONDO
49 . Quelli proprio sono imeravigliosi segni dei Santi, e quelle le testimonianze venerande dei miracoli, che consistono nella santità dei costumi e nella perfezione delle opere. "Giovanni invero non dette alcun segno prodigioso", e tuttavia non saranno da ritenere più santi di Giovanni coloro che operano prodigi. Perciò basterebbe alla santa vergine Chiara, per testimoniarne la perfettissima santitò, l'elogio della sua vita, se non esigesse altro talvolta parte la tiepidezza, parte la devozione popolare. Pertanto Chiara, mentre viveva,era illustrata dai meriti, ed ora che è assorta nell'abisso della chiarità perpetua, non di meno ancora fino agli estremi della terra è meravigliosamente illustrata dalla luce dei miracoli. Mi costringe la sincera e giurata verità a descriverne molti; mi costringe l'abbondanza ad ometterne moltissimi.
DEGLI OSSESSI LIBERATI
50. Un fanciullo di nome Giacomino di Perugia non tanto pareva ammalato, quanto posseduto da un pessimo demonio. Infatti ora gettandosi disperatamente sul fuoco, ora dibattendosi per terra, ora mordendo pietre fino a spezzarzi i denti, si feriva miseramente il capo e s'insanguinava il corpo. Con la bocca torta, sporgendo fuori la lingua, con tanta facilità si raggomitolava in tutte le membra, ch spesso poneva la gamba sopra il collo. Ogni giorno per due volte lo tormentava la detta insania, e due persone non riuscivano a raffrenarlo dallo spogliarsi delle proprie vesti. Si cerca giovamento dai periti di medicina, ma non si trova alcuno che sappia provvedere. Il padre, di nome Guidolotto, dopo che non ebbe trovato presso gli uomini il rimedio a tanta sfortuna, si rivolse ai meriti di santa Chiara. "O vergine santissima - dice - o Chiara venerata dal mondo, a te voto il misero figlio, da te imploro con ogni supplica la sua guarigione". S'affretta pieno di fede al sepolcro di lei e deponendo sulla tomba delle vergine ilbambino portato seco, subito, mentre domanda soccorso, lo ottiene. Tosto infatti il bimbo è libero da quell'infermità, né più oltre è tormentato da simile danno.
UN ALTRO MIRACOLO.
51. Alessandrina della Frata della diocesi perugina era verssatta da un crudelissimo demonio. E così l'aveva ridotta in poter suo, che la faceva volteggiare a mo' di uccelletto su per un'eccelsa rupe che s'innalzava a un bordo del fiume, ed anche la faceva discendere lungo un sottilissimo ramo d'albero proteso sul Tevere, e penzolare ivi nel vuoto quasi per giuoco. Per giunta a causa dei suoi peccati, avendo del tutto perdito l'uso del lato sinistro e la mano contratta, dalle medicine spesso tentate nessun giovamento ritraeva. Viene con cuore compunto alla tomba della gloriosa vergine Chiara ed invocati i suoi meriti, contro quel suo triplice pericolo riceve un salutare effetto con un unico rimedio. Invero la mano contratta si distende, il lato ritorna sano es è liberata dall' ossessione diabolica. Un'altra donna della medesima località nel medesimo tempo davanti al sepolcro della Santa ottenne il dono della liberaizone dal demonio e da molti dolori.
DI UNO GUARITO DA PAZZIA.
52. Un giovinetto francese, il quale era al seguito della Curia, era stato preso da insania furiosa, che gli aveva tolto l'uso della parola e dava a tutto il corpo una mostruosa irrequietezza. Non poteva punto essere trattenuto da alcuno, ma piuttosto si dibatteva orribilmente tra le mani di chi tentava di trattenerlo. Viene legato con funi ad un cataletto e dai compatrioti vien portato renitente alla chiesa di santa Chiara e deposto innanzi al suo sepolcro, e subito per la fede di coloro che lo presentano è ottimamente liberato.
DI UNO LIBERATO DAL MAL CADUCO.
Valentino di Spello era tanto soggetto a disgrazia per il mal caduco, che sei volte al giorno cascava dovunque capitasse. Inoltre piagato per la contradizione di una gamba, non poteva liberamente camminare. Vien condotto su un asinello al sepolcro di santa Chiara, dove giace due giorni e tre notti; al terzo dì, senza che alcuno lo toccare, la sua gamba risonò con gran fragore, ed egli fu immediatamente sanato dall'una e dall'altra infermità.
DI UN CIECO ILLUMINATO
Giacomello detto il figlio della Spoletina, colpito da cecità di dodici anni, seguiva uno che lo guidasse, ma senza guida non poteva camminare se non con rischio. Infatti una volta, per poco lasciato da un fanciullo, precipitando riportò la frattura di un braccio con una ferita al capo. Mentre dormiva una notte vicino al ponte di Narni, gli apparve in sogno una Donna, e gli disse: "Giacomello, perché non vieni da me ad Assisi, e sarai liberato?". Ed egli al mattino alzandosi tremante racconta a due altri ciechi la visione. Rispondono quelli: "Una monaca da poco abbiam sentito che è morta nella città di Assisi, e si dice che il suo sepolcro è onorato dal Signore mediante grazie di guarigioni e molti miracoli!". Ciò udito, smessa la pigrizia, sollecitamente si mette in viaggio, e la notte, ospitato presso Spoleto, vede nuovamente la medesima visione. Più veloce, come se volasse, tutto si dispone a correre per amor della vista.
53. Come poi perviene in Assisi, trova sì grandi torme di gente che si raccolgono presso il mausoleo della vergine, che egli non può assolutamente entrare fino alla tomba. Si pone una pietra sotto la testa e con gran fede, ma dolendosi di non riuscire ad entrare, si addormenta davanti alla porta. Ed ecco, per la terza volta la voce a lui: "Ti farà grazia il Signore, Giacomo, se potrai entrare". Svegliato dunque prega con lagrime le turbe, gridando e raddopiiando preghiere affinché per amor di Dio si degnino di lascirgli il passaggio. Come gli vien dato, getta le calzature, si spoglia delle vesti, cinge il collo con una coreggia, e così umilmente toccando il sepolcro, s'addormenta di un blando sonno . "alzati, gli dice la beata Chiara, alzati, perché sei liberato". Immediatamente alzatosi, scossa ogni cecità, dissipata ogni caligine degli occhi, mentre chiaramente per merito di Chiara vede il chiarore della luce, lodando Dio la chiarifica, ed invita tutte le genti a benedire Dio per la meraviglia di sì grande portento.
DEL RIPRESO USO DI UNA MANO PERDUTA.
54. Un perugino chiamato Buongiovanni di Martino con i concittadini era andato in guerra contro i Fulginati.
Cominciato di qua e di là un grave scontro, un colpo di pietra gli produsse una pericolosa frattura ad una mano. Spende nei medici molto denaro per desiderio della guarigione; ma per nessun soccorso di medicina riceve aiuto a non portare la mano come inutile e del tutto impotente a qualsiasi opera. Dolendosi pertanto di soffrire il peso di quella destra quasi non sua, e d'esser privo dell'uso, più volte preferirebbe farsela troncare. Poi udendo ciò che il Signore si degnava mostrare per mezzo della serva sua Chiara, fatto un voto, si avvia al sepolcro della Vergine; vi offre una mano di cera e si distende sulla tomba di santa Chiara. E subito, prima ch'egli esca dalla chiesa, la sua mano torna sana.
DEI RATTRATTI
55. Un certo Pietruccio del castello di Bettona, consumato da una malattia triennale, pareva come tutto essiccato dalla consunzione del durevole languire. E per la violenza di quella malattia era così rattratto ai lombi, che sempre curvo e come ripiegato verso terra, a stento poteva avanzare col bastone. Il padre del fanciullo esperimentò l'abilità di molti medici, particolarmente degli specialisti nel curare le fratture ossee. Era pronto a spendere tutti i suoi beni per ricuperare la salute del fanciullo. Ma essendogli da tutti risposto che per nessun sussidio di arte medica si poteva riparare a quella malattia, si volse al soccorso della nuova Santa, della quale udiva le magnificenze. Vien portato il fanciullo al luogo dove riposano le preziose spoglie della vergine, e col giacere non a lungo davanti al sepolcro, riceve la grazia della perfetta guarigione. Immediatamente infatti si alza ritto e sano, "camminando e saltando e lodando Dio" ed invita il popolo accorso alle lodi di santa Chiara.
56. V'era un bambino di dieci anni nella villa di San Quirico della terra di Assisi, "claudicante dall'utero di sua madre": aveva le tibie sottili, gettava i piedi a traverso e camminando torno appena poteva alzarsi, che ricadeva. La madre sua più volte lo aveva votato al beato Francesco, né aveva ricevuto il soccorso di un miglioramento. Udendo che la beata Chiara risplendeva per miracoli recenti, portò il fanciullo al sepolcro di lei. Dopo alquanti giorni, le ossa delle tibie crocchiarono e le membra tornarono alla naturale dirittura, e ciò che san Francesco implorato con molte preci non dette, la sua discepola Chiara per divino favore concesse.
57. Un cittadino di Gubbio, di nome Giacomo di Franco, avendo un piccino di cinque anni che per debolezza dei piedi non aveva mai camminato, né poteva camminare, si rammaricava del bimbo come di una macchia della sua casa o obbrobrio della propria carne. si sdraiava sul pavimento, strisciava nelle cenere, volendo di tanto in tanto, ma non potendo, alzarsi con l'aiuto di un bastone: la natura gli aveva dato il desiderio di camminare, gliene aveva negato la facoltà. I genitori votano il bambino ai meriti di santa Chiara, e, per dire la loro espressione, vogliono che sia "uomo di santa Chiara" se per merito di lei avrà conseguito la guarigione. Tosto, formulato il voto, la vergine di Cristo guarisce il proprio uomo reintegrando nel fanciullo a lei oblato la libertà di deambulazione. Tosto i genitori affrettatisi col bambino al tumulo della vergine, lo offrono saltellante e giubilante al Signore.
58. Una donna del castello di Bevagna, di nome Pleneria, avendo sofferto a lungo di una contrazione delle reni, non poteva camminare se non sostenendosi col bastone. Tuttavia pure con quellamminicolo del bastone non poteva raddrizzare il corpo incurvato e traeva alla meglio i passi vacillanti. Si fece portare un venerdì al tumulo di santa Chiara, dove, effondendo le preghiere con somma devozione, rapidamente ottenne ciò che fiduciosamente domandò. Infatti il sabato seguente, ottenuta la completa guarigione, tornò a casa con i propi piedi, essa che era stata trasportata da altri.
DELLA GUARIGIONE DALLE GHIANDOLE IN GOLA.
Una fanciulla perugina, assai a lungo con molto dolore aveva portato enfiagioni della gola, che volgarmente chiamato scrofole. Invero venti glandole si contavano nella sua gola, così che questa pareva assai più grossa della testa. La condusse la madre spesso alla memoria della vergine Chiara, ove devotissimamente implorava il beneficio della stessa danna. E giacendo per tutta una notte la fanciulla davanti al sepolcro, grondando sudore, quelle glandole so cominciarono ad ammorbidire ed a muoversi un poco dalla loro posizione. In processo poi si tempo per i meriti di santa Chiara così scomparvero, che
non ne rimase vestigio alcuno.
59. Un male simile portava nella gola una delle suore, per nome Andrea, mentre ancora era in vita la vergine chiara. Strano davvero, che in mezzo alle pietre infocate si nascondesse un'anima tanto fredda, e tra le prudenti vergini facesse stoltezze un'imprudente. Questa invero una notte si strinse la gola fino alla soffocazione, per gettar fuori per la bocca quel globo, volendo su di sè sorpassare la divina volontà. Ma ciò immediatamente conobbe pe ispirazione divina Chiara. "Corri - disse ad una - corri in fratta al piano di sotto della casa e dà a suo Andrea da Ferrara da bere un uovo riscaldato, ed insieme col lei sali da me". Rapida quella ritrova la detta Andrea priva della favella vicina all'asfissia per la stretta delle proprie mani. La solleva, come può, e la conduce seco alla madre; ed a lei disse la serva di Dio: "Misera, confessa al Signore i tuoi pensieri, che anch'io conosco bene. Ecco, ciò che avresti voluto risanare, lo risanerà il Signore Gesù Cristo. Ma muta in meglio la tua vita, poiché da un'altra malattia, che patirai, non ti rialzerai". A tale monito ricevette lo spirito di compunzione e mutò assai notevolmente in meglio. Dopo poco dunque, risanata dalle scrofole, morì di altra infermità.
DEI LIBERATI DAI LUPI
60. La paurosa ferocia di lupi crudeli soleva vessare la contrada; essi perfino sugli uomini si scagliavano, e spesso si pascevano di carne umana. Ora una donna, di nome Bona, di Monte Galliano della diocesi di Assisi, dei due figli aveva appena finito di piangerne uno, che i lupi avevano rapito, quand'ecco avventarsi con uguale ferocia contro il secondo. Infatti mentre la madre stava in casa in faccende domestiche, sul bambino che passeggiava di fuori un lupo infligge i denti mordendolo alla nuca, e con tal preda quanto più presto si rinselva. Ma all'udire le strida del bimbo, alcuni uomini, i quali erano nelle vigne, gridano alla mamma: "Vedi se hai tuo figlio! giacchè abbiamo sentito poco fa dei pianti insoliti". La madre, accortasi che il figlio era stato rapito da un lupo, alza al cielo le grida e riempiendo l'aria di urli, invoca la vergine Chiara, dicendo: "Santa e gloriosa Chiara, rendimi il misero figlio mio. Che se non lo farai, mi ucciderò buttandomi in acqua". Intanto i vicini, correndo dietro al lupo, ritrovano il bambinello abbandonato dal pupo nella selva, e un cane che vicino al bimbo ne leccava le ferite. Dapprima la selvaggia bestia lo aveva afferrato col morso alla cervice, poi, per portare più comodamente la preda, s'era empite le fauci con i lombi del piccina, e qui e là aveva lasciato segni della presa non lieve. La donna, fedele al voto, con i suoi vicini si reca presto alla sua soccorritrice e mostrando a chiunque voglia vedere le varie ferite del piccolo, rende vive grazie a Dio ed a santa Chiara.
61. Una fanciulla del paese di Cannara di pieno giorno sedeva in un campo, e un'altra donna le aveva reclinato il capo in grembo. Ed ecco un lupo, rapace di uomini, affretta i suoi passi furtivi verso la preda. La fanciulla veramente lo vide, ma poiché lo credette un cane, non si spaventò. E continuando essa ad ispezionare i capelli dell'altra, la truculente bestia s'infuria contro di lei e serrandone il volto con la sua larga bocca spalancata, trascina la preda nella selva. S'alza immediatamente la donna sbalordita e, memore di santa Chiara, si mette a gridare: "Aiuto, santa Chiara, aiuto! a te adesso raccomando questa fanciulla!". Infine anche quella, meraviglia a dirsi! che era trasportata dai denti del lupo, inveisce contri di esso dicendo: "Mi porterai oltre, tu, ladrone, se sono raccomandata a sì gran Vergine?". Confuso all'invettiva, tosto depose dolcemente la fanciulla per terra e, quasi ladro sorpreso, s'affrettò ad allontanarsi.
DELLA CANONIZZAZIONE DI SANTA CHIARA VERGINE.
62. Mentre sedeva sul seggio di Pietro il clementissimo principe il signor Alessandro IV, amico di ogni santità, il quale era presidio dei Religiosi e ferma colonna degli Ordini religiosi, poiché correva il racconto di queste meraviglie e di giorno in giorno più largamente risonava la fama delle virtù della Vergine, il mondo stesso ormai aspettava con desiderio la canonizzazione di sì gran Vergine. Infine il detto Pontefice, dall'abbondanza di tanti prodigi quasi spinto ad una decisione insolita, cominciò a trattare con i Cardinali della canonizzazione di lei. Si affida a persone ragguardevoli e discrete l'esame dei miracoli e si dà pure incarico di discutere le grandezze della sua vita. Chiara vien ritrovata chiarissima per esercizio di tutte le virtù, mentr'era in vita; è ritrovata ammirevole, dopo il transito, per i veri e provati miracoli. Poiché nel giorno a ciò stabilito, essendosi raccolto il soleggio dei Cardinali e adunata l'assemblea degli Arcivescovi e Vescovi, alla presenza del clero e di una grandissima moltitudine dei religiosi, e di sapienti e potenti, dopo che il Sommo Pontefice ha esposto quel salutifero affare e chiesto il giudizio dei Prelati, tutti prontamente esprimono il loro voto favorevolissimo e dicono doversi chiarificare in terra Chiara, come Dio l'ha chiarificata nei cieli. Avvicinadosi poi il giorno del suo passaggio il Signore, trascorsi dal transito duo anni, convocata una moltitudine di Prelati e tutto il clero, premesso anche il discorso, il felice Alessandro, cui era stata riservata dal Signore questa grazia, con la massima solennità ascrisse riverentemente Chiara nel catalogo dei Santi e stabilì che in tutta la Chiesa se ne celebrasse solennemente la festa, ed egli per primo con tutta la Curia la celebrò con somma solennità. Tutto ciò di svolse in Anagni nella chiesa maggiore, nell'anno della Incarnazione del Signore 1255, primo del pontificato del Signor Alessandro; a lode del Signor nostro Gesù Cristo, il quale col Padre e lo Spirito Santo vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.