CantiI-X
CANTO
PRIMO
Le
donne, i cavallier, l'arme, gli amori,
le
cortesie, l'audaci imprese io canto,
che
furo al tempo che passaro i Mori
d'Africa
il mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo
l'ire e i giovenil furori
d'Agramante
lor re, che si diè vanto
di
vendicar la morte di Troiano
sopra
re Carlo imperator romano.
Dirò
d'Orlando in un medesmo tratto
cosa
non detta in prosa mai, né in rima:
che
per amor venne in furore e matto,
d'uom
che sì saggio era stimato prima;
se
da colei che tal quasi m'ha fatto,
che
il poco ingegno ad or ad or mi lima,
me
ne sarà però tanto concesso,
che
mi basti a finir quanto ho promesso.
Piacciavi,
generosa Erculea prole,
ornamento
e splendor del secol nostro,
Ippolito,
aggradir questo che vuole
e
darvi sol può l'umil servo vostro.
Quel
che io vi debbo, posso di parole
pagare
in parte e d'opera d'inchiostro;
né
che poco io vi dia da imputar sono,
che
quanto io posso dar, tutto vi dono.
Voi
sentirete fra i più degni eroi,
che
nominar con laude m'apparecchio,
ricordar
quel Ruggier, che fu di voi
e
de' vostri avi illustri il ceppo vecchio.
L'alto
valore e' chiari gesti suoi
vi
farò udir, se voi mi date orecchio,
e
vostri alti pensieri cedino un poco,
sì
che tra lor miei versi abbiano loco.
Orlando,
che gran tempo innamorato
fu
de la bella Angelica, e per lei
in
India, in Media, in Tartaria lasciato
avea
infiniti ed immortal trofei,
in
Ponente con essa era tornato,
dove
sotto i gran monti Pirenei
con
la gente di Francia e de Lamagna
re
Carlo era attendato alla campagna,
per
far al re Marsilio e al re Agramante
battersi
ancor del folle ardir la guancia,
d'aver
condotto, l'un, d'Africa quante
genti
erano atte a portar spada e lancia;
l'altro,
d'aver spinta la Spagna inante
a
destruzion del bel regno di Francia.
E
così Orlando arrivò quivi a punto:
ma
tosto si pentì d'esservi giunto:
Che
vi fu tolta la sua donna poi:
ecco
il giudicio uman come spesso erra!
Quella
che dagli esperi ai liti eoi
avea
difesa con sì lunga guerra,
or
tolta gli è fra tanti amici suoi,
senza
spada adoprar, ne la sua terra.
Il
savio imperator, che estinguer volse
un
grave incendio, fu che gli la tolse.
Nata
pochi dì inanzi era una gara
tra
il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo,
che
entrambi avean per la bellezza rara
d'amoroso
disio l'animo caldo.
Carlo,
che non avea tal lite cara,
che
gli rendea l'aiuto lor men saldo,
questa
donzella, che la causa n'era,
tolse,
e diè in mano al duca di Bavera;
in
premio promettendola a quel d'essi,
che
in quel conflitto, in quella gran giornata,
degli
infideli più copia uccidessi,
e
di sua man prestasse opra più grata.
Contrari
ai voti poi furo i successi;
che
in fuga andò la gente battezzata,
e
con molti altri fu il duca prigione,
e
restò abbandonato il padiglione.
Dove,
poi che rimase la donzella
che
esser dovea del vincitor mercede,
inanzi
al caso era salita in sella,
e
quando bisognò le spalle diede,
presaga
che quel giorno esser rubella
dovea
Fortuna alla cristiana fede:
entrò
in un bosco, e ne la stretta via
rincontrò
un cavallier che a piè venìa.
Indosso
la corazza, l'elmo in testa,
la
spada al fianco, e in braccio avea lo scudo;
e
più leggier correa per la foresta,
che
al pallio rosso il villan mezzo ignudo.
Timida
pastorella mai sì presta
non
volse piede inanzi a serpe crudo,
come
Angelica tosto il freno torse,
che
del guerrier, che a piè venìa, s'accorse.
Era
costui quel paladin gagliardo,
figliuol
d'Amon, signor di Montalbano,
a
cui pur dianzi il suo destrier Baiardo
per
strano caso uscito era di mano.
Come
alla donna egli drizzò lo sguardo,
riconobbe,
quantunque di lontano,
l'angelico
sembiante e quel bel volto
che
all'amorose reti il tenea involto.
La
donna il palafreno a dietro volta,
e
per la selva a tutta briglia il caccia;
né
per la rara più che per la folta,
la
più sicura e miglior via procaccia:
ma
pallida, tremando, e di sé tolta,
lascia
cura al destrier che la via faccia.
Di
sù di giù, ne l'alta selva fiera
tanto
girò, che venne a una riviera.
Su
la riviera Ferraù trovosse
di
sudor pieno e tutto polveroso.
Da
la battaglia dianzi lo rimosse
un
gran disio di bere e di riposo;
e
poi, mal grado suo, quivi fermosse,
perché,
de l'acqua ingordo e frettoloso,
l'elmo
nel fiume si lasciò cadere,
né
l'avea potuto anco riavere.
Quanto
potea più forte, ne veniva
gridando
la donzella ispaventata.
A
quella voce salta in su la riva
il
Saracino, e nel viso la guata;
e
la conosce subito che arriva,
ben
che di timor pallida e turbata,
e
sien più dì che non n'udì novella,
che
senza dubbio ell'è Angelica bella.
E
perché era cortese, e n'avea forse
non
men de' dui cugini il petto caldo,
l'aiuto
che potea tutto le porse,
pur
come avesse l'elmo, ardito e baldo:
trasse
la spada, e minacciando corse
dove
poco di lui temea Rinaldo.
Più
volte s'eran già non pur veduti,
m'al
paragon de l'arme conosciuti.
Cominciar
quivi una crudel battaglia,
come
a piè si trovar, coi brandi ignudi:
non
che le piastre e la minuta maglia,
ma
ai colpi lor non reggerian gli incudi.
Or,
mentre l'un con l'altro si travaglia,
bisogna
al palafren che il passo studi;
che
quanto può menar de le calcagna,
colei
lo caccia al bosco e alla campagna.
Poi
che s'affaticar gran pezzo invano
i
dui guerrier per por l'un l'altro sotto,
quando
non meno era con l'arme in mano
questo
di quel, né quel di questo dotto;
fu
primiero il signor di Montalbano,
che
al cavallier di Spagna fece motto,
sì
come quel che ha nel cuor tanto fuoco,
che
tutto n'arde e non ritrova loco.
Disse
al pagan: - Me sol creduto avrai,
e
pur avrai te meco ancora offeso:
se
questo avvien perché i fulgenti rai
del
nuovo sol t'abbino il petto acceso,
di
farmi qui tardar che guadagno hai?
che
quando ancor tu m'abbi morto o preso,
non
però tua la bella donna fia;
che,
mentre noi tardiam, se ne va via.
Quanto
fia meglio, amandola tu ancora,
che
tu le venga a traversar la strada,
a
ritenerla e farle far dimora,
prima
che più lontana se ne vada!
Come
l'avremo in potestate, allora
di
chi esser de' si provi con la spada:
non
so altrimenti, dopo un lungo affanno,
che
possa riuscirci altro che danno. -
Al
pagan la proposta non dispiacque:
così
fu differita la tenzone;
e
tal tregua tra lor subito nacque,
sì
l'odio e l'ira va in oblivione,
che
il pagano al partir da le fresche acque
non
lasciò a piedi il buon figliuol d'Amone:
con
preghi invita, ed al fin toglie in groppa,
e
per l'orme d'Angelica galoppa.
Oh
gran bontà de' cavallieri antiqui!
Eran
rivali, eran di fé diversi,
e
si sentian degli aspri colpi iniqui
per
tutta la persona anco dolersi;
e
pur per selve oscure e calli obliqui
insieme
van senza sospetto aversi.
Da
quattro sproni il destrier punto arriva
ove
una strada in due si dipartiva.
E
come quei che non sapean se l'una
o
l'altra via facesse la donzella
(però
che senza differenza alcuna
apparia
in amendue l'orma novella),
si
messero ad arbitrio di fortuna,
Rinaldo
a questa, il Saracino a quella.
Pel
bosco Ferraù molto s'avvolse,
e
ritrovossi al fine onde si tolse.
Pur
si ritrova ancor su la rivera,
là
dove l'elmo gli cascò ne l'onde.
Poi
che la donna ritrovar non spera,
per
aver l'elmo che il fiume gli asconde,
in
quella parte onde caduto gli era
discende
ne l'estreme umide sponde:
ma
quello era sì fitto ne la sabbia,
che
molto avrà da far prima che l'abbia.
Con
un gran ramo d'albero rimondo,
di
che avea fatto una pertica lunga,
tenta
il fiume e ricerca sino al fondo,
né
loco lascia ove non batta e punga.
Mentre
con la maggior stizza del mondo
tanto
l'indugio suo quivi prolunga,
vede
di mezzo il fiume un cavalliero
insino
al petto uscir, d'aspetto fiero.
Era,
fuor che la testa, tutto armato,
ed
avea un elmo ne la destra mano:
avea
il medesimo elmo che cercato
da
Ferraù fu lungamente invano.
A
Ferraù parlò come adirato,
e
disse: - Ah mancator di fé, marano!
perché
di lasciar l'elmo anche t'aggrevi,
che
render già gran tempo mi dovevi?
Ricordati,
pagan, quando uccidesti
d'Angelica
il fratel (che son quell'io),
dietro
all'altr'arme tu mi promettesti
gittar
fra pochi dì l'elmo nel rio.
Or
se Fortuna (quel che non volesti
far
tu) pone ad effetto il voler mio,
non
ti turbare; e se turbar ti déi,
turbati
che di fé mancato sei.
Ma
se desir pur hai d'un elmo fino,
trovane
un altro, ed abbil con più onore;
un
tal ne porta Orlando paladino,
un
tal Rinaldo, e forse anco migliore:
l'un
fu d'Almonte, e l'altro di Mambrino:
acquista
un di quei dui col tuo valore;
e
questo, che hai già di lasciarmi detto,
farai
bene a lasciarmi con effetto. -
All'apparir
che fece all'improvviso
de
l'acqua l'ombra, ogni pelo arricciossi,
e
scolorossi al Saracino il viso;
la
voce, che era per uscir, fermossi.
Udendo
poi da l'Argalia, che ucciso
quivi
avea già (che l'Argalia nomossi)
la
rotta fede così improverarse,
di
scorno e d'ira dentro e di fuor arse.
Né
tempo avendo a pensar altra scusa,
e
conoscendo ben che il ver gli disse,
restò
senza risposta a bocca chiusa;
ma
la vergogna il cor sì gli trafisse,
che
giurò per la vita di Lanfusa
non
voler mai che altro elmo lo coprisse,
se
non quel buono che già in Aspramonte
trasse
dal capo Orlando al fiero Almonte.
E
servò meglio questo giuramento,
che
non avea quell'altro fatto prima.
Quindi
si parte tanto malcontento,
che
molti giorni poi si rode e lima.
Sol
di cercare è il paladino intento
di
qua di là, dove trovarlo stima.
Altra
ventura al buon Rinaldo accade,
che
da costui tenea diverse strade.
Non
molto va Rinaldo, che si vede
saltare
inanzi il suo destrier feroce:
-
Ferma, Baiardo mio, deh, ferma il piede!
che
l'esser senza te troppo mi nuoce. -
Per
questo il destrier sordo, a lui non riede
anzi
più se ne va sempre veloce.
Segue
Rinaldo, e d'ira si distrugge:
ma
seguitiamo Angelica che fugge.
Fugge
tra selve spaventose e scure,
per
lochi inabitati, ermi e selvaggi.
Il
mover de le frondi e di verzure,
che
di cerri sentia, d'olmi e di faggi,
fatto
le avea con subite paure
trovar
di qua di là strani viaggi;
che
ad ogni ombra veduta o in monte o in valle,
temea
Rinaldo aver sempre alle spalle.
Qual
pargoletta o damma o capriuola,
che
tra le fronde del natio boschetto
alla
madre veduta abbia la gola
stringer
dal pardo, o aprirle il fianco o il petto,
di
selva in selva dal crudel s'invola,
e
di paura trema e di sospetto:
ad
ogni sterpo che passando tocca,
esser
si crede all'empia fera in bocca.
Quel
dì e la notte a mezzo l'altro giorno
s'andò
aggirando, e non sapeva dove.
Trovossi
al fin in un boschetto adorno,
che
lievemente la fresca aura muove.
Duo
chiari rivi, mormorando intorno,
sempre
l'erbe vi fan tenere e nuove;
e
rendea ad ascoltar dolce concento,
rotto
tra picciol sassi, il correr lento.
Quivi
parendo a lei d'esser sicura
e
lontana a Rinaldo mille miglia,
da
la via stanca e da l'estiva arsura,
di
riposare alquanto si consiglia:
tra'
fiori smonta, e lascia alla pastura
andare
il palafren senza la briglia;
e
quel va errando intorno alle chiare onde,
che
di fresca erba avean piene le sponde.
Ecco
non lungi un bel cespuglio vede
di
prun fioriti e di vermiglie rose,
che
de le liquide onde al specchio siede,
chiuso
dal sol fra l'alte querce ombrose;
così
voto nel mezzo, che concede
fresca
stanza fra l'ombre più nascose:
e
la foglia coi rami in modo è mista,
che
il sol non v'entra, non che minor vista.
Dentro
letto vi fan tenere erbette,
che
invitano a posar chi s'appresenta.
La
bella donna in mezzo a quel si mette,
ivi
si corca ed ivi s'addormenta.
Ma
non per lungo spazio così stette,
che
un calpestio le par che venir senta:
cheta
si leva e appresso alla riviera
vede
che armato un cavallier giunt'era.
Se
gli è amico o nemico non comprende:
tema
e speranza il dubbio cor le scuote;
e
di quella aventura il fine attende,
né
pur d'un sol sospir l'aria percuote.
Il
cavalliero in riva al fiume scende
sopra
l'un braccio a riposar le gote;
e
in un suo gran pensier tanto penètra,
che
par cangiato in insensibil pietra.
Pensoso
più d'un'ora a capo basso
stette,
Signore, il cavallier dolente;
poi
cominciò con suono afflitto e lasso
a
lamentarsi sì soavemente,
che
avrebbe di pietà spezzato un sasso,
una
tigre crudel fatta clemente.
Sospirante
piangea, tal che un ruscello
parean
le guance, e il petto un Mongibello.
-
Pensier (dicea) che il cor m'agghiacci ed ardi,
e
causi il duol che sempre il rode e lima,
che
debbo far, poi che io son giunto tardi,
e
che altri a corre il frutto è andato prima?
a
pena avuto io n'ho parole e sguardi,
ed
altri n'ha tutta la spoglia opima.
Se
non ne tocca a me frutto né fiore,
perché
affligger per lei mi vuo' più il core?
La
verginella è simile alla rosa,
che
in bel giardin su la nativa spina
mentre
sola e sicura si riposa,
né
gregge né pastor se le avvicina;
l'aura
soave e l'alba rugiadosa,
l'acqua,
la terra al suo favor s'inchina:
gioveni
vaghi e donne inamorate
amano
averne e seni e tempie ornate.
Ma
non sì tosto dal materno stelo
rimossa
viene e dal suo ceppo verde,
che
quanto avea dagli uomini e dal cielo
favor,
grazia e bellezza, tutto perde.
La
vergine che il fior, di che più zelo
che
de' begli occhi e de la vita aver de',
lascia
altrui corre, il pregio che avea inanti
perde
nel cor di tutti gli altri amanti.
Sia
Vile agli altri, e da quel solo amata
a
cui di sé fece sì larga copia.
Ah,
Fortuna crudel, Fortuna ingrata!
trionfan
gli altri, e ne moro io d'inopia.
Dunque
esser può che non mi sia più grata?
dunque
io posso lasciar mia vita propia?
Ah
più tosto oggi manchino i dì miei,
che
io viva più, s'amar non debbo lei! -
Se
mi domanda alcun chi costui sia,
che
versa sopra il rio lacrime tante,
io
dirò che egli è il re di Circassia,
quel
d'amor travagliato Sacripante;
io
dirò ancor, che di sua pena ria
sia
prima e sola causa essere amante,
è
pur un degli amanti di costei:
e
ben riconosciuto fu da lei.
Appresso
ove il sol cade, per suo amore
venuto
era dal capo d'Oriente;
che
seppe in India con suo gran dolore,
come
ella Orlando sequitò in Ponente:
poi
seppe in Francia che l'imperatore
sequestrata
l'avea da l'altra gente,
per
darla all'un de' duo che contra il Moro
più
quel giorno aiutasse i Gigli d'oro.
Stato
era in campo, e inteso avea di quella
rotta
crudel che dianzi ebbe re Carlo:
cercò
vestigio d'Angelica bella,
né
potuto avea ancora ritrovarlo.
Questa
è dunque la trista e ria novella
che
d'amorosa doglia fa penarlo,
affligger,
lamentare, e dir parole
che
di pietà potrian fermare il sole.
Mentre
costui così s'affligge e duole,
e
fa degli occhi suoi tepida fonte,
e
dice queste e molte altre parole,
che
non mi par bisogno esser racconte;
l'aventurosa
sua fortuna vuole
che
alle orecchie d'Angelica sian conte:
e
così quel ne viene a un'ora, a un punto,
che
in mille anni o mai più non è raggiunto.
Con
molta attenzion la bella donna
al
pianto, alle parole, al modo attende
di
colui che in amarla non assonna;
né
questo è il primo dì che ella l'intende:
ma
dura e fredda più d'una colonna,
ad
averne pietà non però scende,
come
colei c'ha tutto il mondo a sdegno,
e
non le par che alcun sia di lei degno.
Pur
tra quei boschi il ritrovarsi sola
le
fa pensar di tor costui per guida;
che
chi ne l'acqua sta fin alla gola
ben
è ostinato se mercé non grida.
Se
questa occasione or se l'invola,
non
troverà mai più scorta sì fida;
che
a lunga prova conosciuto inante
s'avea
quel re fedel sopra ogni amante.
Ma
non però disegna de l'affanno
che
lo distrugge alleggierir chi l'ama,
e
ristorar d'ogni passato danno
con
quel piacer che ogni amator più brama:
ma
alcuna fizione, alcuno inganno
di
tenerlo in speranza ordisce e trama;
tanto
che a quel bisogno se ne serva,
poi
torni all'uso suo dura e proterva.
E
fuor di quel cespuglio oscuro e cieco
fa
di sé bella ed improvvisa mostra,
come
di selva o fuor d'ombroso speco
Diana
in scena o Citerea si mostra;
e
dice all'apparir: - Pace sia teco;
teco
difenda Dio la fama nostra,
e
non comporti, contra ogni ragione,
che
abbi di me sì falsa opinione. -
Non
mai con tanto gaudio o stupor tanto
levò
gli occhi al figliuolo alcuna madre,
che
avea per morto sospirato e pianto,
poi
che senza esso udì tornar le squadre;
con
quanto gaudio il Saracin, con quanto
stupor
l'alta presenza e le leggiadre
maniere,
e il vero angelico sembiante,
improviso
apparir si vide inante.
Pieno
di dolce e d'amoroso affetto,
alla
sua donna, alla sua diva corse,
che
con le braccia al collo il tenne stretto,
quel
che al Catai non avria fatto forse.
Al
patrio regno, al suo natio ricetto,
seco
avendo costui, l'animo torse:
subito
in lei s'avviva la speranza
di
tosto riveder sua ricca stanza.
Ella
gli rende conto pienamente
dal
giorno che mandato fu da lei
a
domandar soccorso in Oriente
al
re de' Sericani e Nabatei;
e
come Orlando la guardò sovente
da
morte, da disnor, da casi rei:
e
che il fior virginal così avea salvo,
come
se lo portò del materno alvo.
Forse
era ver, ma non però credibile
a
chi del senso suo fosse signore;
ma
parve facilmente a lui possibile,
che
era perduto in via più grave errore.
Quel
che l'uom vede, Amor gli fa invisibiIe,
e
l'invisibil fa vedere Amore.
Questo
creduto fu; che il miser suole
dar
facile credenza a quel che vuole.
-
Se mal si seppe il cavallier d'Anglante
pigliar
per sua sciocchezza il tempo buono,
il
danno se ne avrà; che da qui inante
nol
chiamerà Fortuna a sì gran dono
(tra
sé tacito parla Sacripante):
ma
io per imitarlo già non sono,
che
lasci tanto ben che m'è concesso,
e
che a doler poi m'abbia di me stesso.
Corrò
la fresca e matutina rosa,
che,
tardando, stagion perder potria.
So
ben che a donna non si può far cosa
che
più soave e più piacevol sia,
ancor
che se ne mostri disdegnosa,
e
talor mesta e flebil se ne stia:
non
starò per repulsa o finto sdegno,
che
io non adombri e incarni il mio disegno. -
Così
dice egli; e mentre s'apparecchia
al
dolce assalto, un gran rumor che suona
dal
vicin bosco gli intruona l'orecchia,
sì
che mal grado l'impresa abbandona:
e
si pon l'elmo (che avea usanza vecchia
di
portar sempre armata la persona),
viene
al destriero e gli ripon la briglia,
rimonta
in sella e la sua lancia piglia.
Ecco
pel bosco un cavallier venire,
il
cui sembiante è d'uom gagliardo e fiero:
candido
come nieve è il suo vestire,
un
bianco pennoncello ha per cimiero.
Re
Sacripante, che non può patire
che
quel con l'importuno suo sentiero
gli
abbia interrotto il gran piacer che avea,
con
vista il guarda disdegnosa e rea.
Come
è più appresso, lo sfida a battaglia;
che
crede ben fargli votar l'arcione.
Quel
che di lui non stimo già che vaglia
un
grano meno, e ne fa paragone,
l'orgogliose
minacce a mezzo taglia,
sprona
a un tempo, e la lancia in resta pone.
Sacripante
ritorna con tempesta,
e
corronsi a ferir testa per testa.
Non
si vanno i leoni o i tori in salto
a
dar di petto, ad accozzar sì crudi,
sì
come i duo guerrieri al fiero assalto,
che
parimente si passar li scudi.
Fe'
lo scontro tremar dal basso all'alto
l'erbose
valli insino ai poggi ignudi;
e
ben giovò che fur buoni e perfetti
gli
osberghi sì, che lor salvaro i petti.
Già
non fero i cavalli un correr torto,
anzi
cozzaro a guisa di montoni:
quel
del guerrier pagan morì di corto,
che
era vivendo in numero de' buoni:
quell'altro
cadde ancor, ma fu risorto
tosto
che al fianco si sentì gli sproni.
Quel
del re saracin restò disteso
adosso
al suo signor con tutto il peso.
L'incognito
campion che restò ritto,
e
vide l'altro col cavallo in terra,
stimando
avere assai di quel conflitto,
non
si curò di rinovar la guerra;
ma
dove per la selva è il camin dritto,
correndo
a tutta briglia si disserra;
e
prima che di briga esca il pagano,
un
miglio o poco meno è già lontano.
Qual
istordito e stupido aratore,
poi
che è passato il fulmine, si leva
di
là dove l'altissimo fragore
appresso
ai morti buoi steso l'aveva;
che
mira senza fronde e senza onore
il
pin che di lontan veder soleva:
tal
si levò il pagano a piè rimaso,
Angelica
presente al duro caso.
Sospira
e geme, non perché l'annoi
che
piede o braccio s'abbi rotto o mosso,
ma
per vergogna sola, onde a' dì suoi
né
pria né dopo il viso ebbe sì rosso:
e
più, che oltre il cader, sua donna poi
fu
che gli tolse il gran peso d'adosso.
Muto
restava, mi cred'io, se quella
non
gli rendea la voce e la favella.
-
Deh! (diss'ella) signor, non vi rincresca!
che
del cader non è la colpa vostra,
ma
del cavallo, a cui riposo ed esca
meglio
si convenia che nuova giostra.
Né
perciò quel guerrier sua gloria accresca
che
d'esser stato il perditor dimostra:
così,
per quel che io me ne sappia, stimo,
quando
a lasciare il campo è stato primo. -
Mentre
costei conforta il Saracino,
ecco
col corno e con la tasca al fianco,
galoppando
venir sopra un ronzino
un
messagger che parea afflitto e stanco;
che
come a Sacripante fu vicino,
gli
domandò se con un scudo bianco
e
con un bianco pennoncello in testa
vide
un guerrier passar per la foresta.
Rispose
Sacripante: - Come vedi,
m'ha
qui abbattuto, e se ne parte or ora;
e
perche io sappia chi m'ha messo a piedi,
fa
che per nome io lo conosca ancora. -
Ed
egli a lui: - Di quel che tu mi chiedi
io
ti satisfarò senza dimora:
tu
dei saper che ti levò di sella
l'alto
valor d'una gentil donzella.
Ella
è gagliarda ed è più bella molto;
né
il suo famoso nome anco t'ascondo:
fu
Bradamante quella che t'ha tolto
quanto
onor mai tu guadagnasti al mondo. -
Poi
che ebbe così detto, a freno sciolto
il
Saracin lasciò poco giocondo,
che
non sa che si dica o che si faccia,
tutto
avvampato di vergogna in faccia.
Poi
che gran pezzo al caso intervenuto
ebbe
pensato invano, e finalmente
si
trovò da una femina abbattuto,
che
pensandovi più, più dolor sente;
montò
l'altro destrier, tacito e muto:
e
senza far parola, chetamente
tolse
Angelica in groppa, e differilla
a
più lieto uso, a stanza più tranquilla.
Non
furo iti due miglia, che sonare
odon
la selva che li cinge intorno,
con
tal rumore e strepito, che pare
che
triemi la foresta d'ogn'intorno;
e
poco dopo un gran destrier n'appare,
d'oro
guernito e riccamente adorno,
che
salta macchie e rivi, ed a fracasso
arbori
mena e ciò che vieta il passo.
-
Se l'intricati rami e l'aer fosco,
(disse
la donna) agli occhi non contende,
Baiardo
è quel destrier che in mezzo il bosco
con
tal rumor la chiusa via si fende.
Questo
è certo Baiardo, io il riconosco:
deh,
come ben nostro bisogno intende!
che
un sol ronzin per dui saria mal atto,
e
ne viene egli a satisfarci ratto. -
Smonta
il Circasso ed al destrier s'accosta,
e
si pensava dar di mano al freno.
Colle
groppe il destrier gli fa risposta,
che
fu presto al girar come un baleno;
ma
non arriva dove i calci apposta:
misero
il cavallier se giungea a pieno!
che
nei calci tal possa avea il cavallo,
che
avria spezzato un monte di metallo.
Indi
va mansueto alla donzella,
con
umile sembiante e gesto umano,
come
intorno al padrone il can saltella,
che
sia duo giorni o tre stato lontano.
Baiardo
ancora avea memoria d'ella,
che
in Albracca il servia già di sua mano
nel
tempo che da lei tanto era amato
Rinaldo,
allor crudele, allor ingrato.
Con
la sinistra man prende la briglia,
con
l'altra tocca e palpa il collo e il petto:
quel
destrier, che avea ingegno a maraviglia,
a
lei, come un agnel, si fa suggetto.
Intanto
Sacripante il tempo piglia:
monta
Baiardo e l'urta e lo tien stretto.
Del
ronzin disgravato la donzella
lascia
la groppa, e si ripone in sella.
Poi
rivolgendo a caso gli occhi, mira
venir
sonando d'arme un gran pedone.
Tutta
s'avvampa di dispetto e d'ira,
che
conosce il figliuol del duca Amone.
Più
che sua vita l'ama egli e desira;
l'odia
e fugge ella più che gru falcone.
Già
fu che esso odiò lei più che la morte;
ella
amò lui: or han cangiato sorte.
E
questo hanno causato due fontane
che
di diverso effetto hanno liquore,
ambe
in Ardenna, e non sono lontane:
d'amoroso
disio l'una empie il core;
chi
bee de l'altra, senza amor rimane,
e
volge tutto in ghiaccio il primo ardore.
Rinaldo
gustò d'una, e amor lo strugge;
Angelica
de l'altra, e l'odia e fugge.
Quel
liquor di secreto venen misto,
che
muta in odio l'amorosa cura,
fa
che la donna che Rinaldo ha visto,
nei
sereni occhi subito s'oscura;
e
con voce tremante e viso tristo
supplica
Sacripante e lo scongiura
che
quel guerrier più appresso non attenda,
ma
che insieme con lei la fuga prenda.
-
Son dunque (disse il Saracino), sono
dunque
in sì poco credito con vui,
che
mi stimiate inutile e non buono
da
potervi difender da costui?
Le
battaglie d'Albracca già vi sono
di
mente uscite, e la notte che io fui
per
la salute vostra, solo e nudo,
contra
Agricane e tutto il campo, scudo? -
Non
risponde ella, e non sa che si faccia,
perché
Rinaldo ormai l'è troppo appresso,
che
da lontan al Saracin minaccia,
come
vide il cavallo e conobbe esso,
e
riconohbe l'angelica faccia
che
l'amoroso incendio in cor gli ha messo.
Quel
che seguì tra questi duo superbi
vo'
che per l'altro canto si riserbi.
CANTO
SECONDO
Ingiustissimo
Amor, perché sì raro
corrispondenti
fai nostri desiri?
onde,
perfido, avvien che t'è sì caro
il
discorde voler che in duo cor miri?
Gir
non mi lasci al facil guado e chiaro,
e
nel più cieco e maggior fondo tiri:
da
chi disia il mio amor tu mi richiami,
e
chi m'ha in odio vuoi che adori ed ami.
Fai
che a Rinaldo Angelica par bella,
quando
esso a lei brutto e spiacevol pare:
quando
le parea bello e l'amava ella,
egli
odiò lei quanto si può più odiare.
Ora
s'affligge indarno e si flagella;
così
renduto ben gli è pare a pare:
ella
l'ha in odio, e l'odio è di tal sorte,
che
piu tosto che lui vorria la morte.
Rinaldo
al Saracin con molto orgoglio
gridò:
- Scendi, ladron, del mio cavallo!
Che
mi sia tolto il mio, patir non soglio,
ma
ben fo, a chi lo vuol, caro costallo:
e
levar questa donna anco ti voglio;
che
sarebbe a lasciartela gran fallo.
Sì
perfetto destrier, donna sì degna
a
un ladron non mi par che si convegna. -
-
Tu te ne menti che ladrone io sia
(rispose
il Saracin non meno altiero):
chi
dicesse a te ladro, lo diria
(quanto
io n'odo per fama) più con vero.
La
pruova or si vedrà, chi di noi sia
più
degno de la donna e del destriero;
ben
che, quanto a lei, teco io mi convegna
che
non è cosa al mondo altra sì degna. -
Come
soglion talor duo can mordenti,
o
per invidia o per altro odio mossi,
avicinarsi
digrignando i denti,
con
occhi bieci e più che bracia rossi;
indi
a' morsi venir, di rabbia ardenti,
con
aspri ringhi e ribuffati dossi:
così
alle spade e dai gridi e da l'onte
venne
il Circasso e quel di Chiaramonte.
A
piedi è l'un, l'altro a cavallo: or quale
credete
che abbia il Saracin vantaggio?
Né
ve n'ha però alcun; che così vale
forse
ancor men che uno inesperto paggio;
che
il destrier per istinto naturale
non
volea fare al suo signore oltraggio:
né
con man né con spron potea il Circasso
farlo
a voluntà sua muover mai passo.
Quando
crede cacciarlo, egli s'arresta;
E
se tener lo vuole, o corre o trotta:
poi
sotto il petto si caccia la testa,
giuoca
di schiene, e mena calci in frotta.
Vedendo
il Saracin che a domar questa
bestia
superba era mal tempo allotta,
ferma
le man sul primo arcione e s'alza,
e
dal sinistro fianco in piede sbalza.
Sciolto
che fu il pagan con leggier salto
da
l'ostinata furia di Baiardo,
si
vide cominciar ben degno assalto
d'un
par di cavallier tanto gagliardo.
Suona
l'un brando e l'altro, or basso or alto:
il
martel di Vulcano era più tardo
ne
la spelunca affumicata, dove
battea
all'incude i folgori di Giove.
Fanno
or con lunghi, ora con finti e scarsi
colpi
veder che mastri son del giuoco:
or
li vedi ire altieri, or rannicchiarsi,
ora
coprirsi, ora mostrarsi un poco,
ora
crescer inanzi, ora ritrarsi,
ribatter
colpi e spesso lor dar loco,
girarsi
intorno; e donde l'uno cede,
l'altro
aver posto immantinente il piede.
Ecco
Rinaldo con la spada adosso
a
Sacripante tutto s'abbandona;
e
quel porge lo scudo, che era d'osso,
con
la piastra d'acciar temprata e buona.
Taglial
Fusberta, ancor che molto grosso:
ne
geme la foresta e ne risuona.
L'osso
e l'acciar ne va che par di ghiaccio,
e
lascia al Saracin stordito il braccio.
Quando
vide la timida donzella
dal
fiero colpo uscir tanta ruina,
per
gran timor cangiò la faccia bella,
qual
il reo che al supplicio s'avvicina;
né
le par che vi sia da tardar, s'ella
non
vuol di quel Rinaldo esser rapina,
di
quel Rinaldo che ella tanto odiava,
quanto
esso lei miseramente amava.
Volta
il cavallo, e ne la selva folta
lo
caccia per un aspro e stretto calle:
e
spesso il viso smorto a dietro volta;
che
le par che Rinaldo abbia alle spalle.
Fuggendo
non avea fatto via molta,
che
scontrò un eremita in una valle,
che
avea lunga la barba a mezzo il petto,
devoto
e venerabile d'aspetto.
Dagli
anni e dal digiuno attenuato,
sopra
un lento asinel se ne veniva;
e
parea, più che alcun fosse mai stato,
di
coscienza scrupolosa e schiva.
Come
egli vide il viso delicato
de
la donzella che sopra gli arriva,
debil
quantunque e mal gagliarda fosse,
tutta
per carità se gli commosse.
La
donna al fraticel chiede la via
che
la conduca ad un porto di mare,
perché
levar di Francia si vorria,
per
non udir Rinaldo nominare.
Il
frate, che sapea negromanzia,
non
cessa la donzella confortare
che
presto la trarrà d'ogni periglio;
ed
ad una sua tasca diè di piglio.
Trassene
un libro, e mostrò grande effetto;
che
legger non finì la prima faccia,
che
uscir fa un spirto in forma di valletto,
e
gli commanda quanto vuol che el faccia.
Quel
se ne va, da la scrittura astretto,
dove
i dui cavallieri a faccia a faccia
eran
nel bosco, e non stavano al rezzo;
fra'
quali entrò con grande audacia in mezzo.
-
Per cortesia (disse), un di voi mi mostre,
quando
anco uccida l'altro, che gli vaglia:
che
merto avrete alle fatiche vostre,
finita
che tra voi sia la battaglia,
se
il conte Orlando, senza liti o giostre,
e
senza pur aver rotta una maglia,
verso
Parigi mena la donzella
che
v'ha condotti a questa pugna fella?
Vicino
un miglio ho ritrovato Orlando
che
ne va con Angelica a Parigi,
di
voi ridendo insieme, e motteggiando
che
senza frutto alcun siate in litigi.
Il
meglio forse vi sarebbe, or quando
non
son più lungi, a seguir lor vestigi;
che
s'in Parigi Orlando la può avere,
non
ve la lascia mai più rivedere. -
Veduto
avreste i cavallier turbarsi
a
quel annunzio, e mesti e sbigottiti,
senza
occhi e senza mente nominarsi,
che
gli avesse il rival così scherniti;
ma
il buon Rinaldo al suo cavallo trarsi
con
sospir che parean del fuoco usciti,
e
giurar per isdegno e per furore,
se
giungea Orlando, di cavargli il core.
E
dove aspetta il suo Baiardo, passa,
e
sopra vi si lancia, e via galoppa,
né
al cavallier, che a piè nel bosco lassa,
pur
dice a Dio, non che lo 'nviti in groppa.
L'animoso
cavallo urta e fracassa,
punto
dal suo signor, ciò che egli 'ntoppa:
non
ponno fosse o fiumi o sassi o spine
far
che dal corso il corridor decline.
Signor,
non voglio che vi paia strano
se
Rinaldo or sì tosto il destrier piglia,
che
già più giorni ha seguitato invano,
né
gli ha possuto mai toccar la briglia.
Fece
il destrier, che avea intelletto umano,
non
per vizio seguirsi tante miglia,
ma
per guidar dove la donna giva,
il
suo signor, da chi bramar l'udiva.
Quando
ella si fuggì dal padiglione,
la
vide ed appostolla il buon destriero,
che
si trovava aver voto l'arcione,
però
che n'era sceso il cavalliero
per
combatter di par con un barone,
che
men di lui non era in arme fiero;
poi
ne seguitò l'orme di lontano,
bramoso
porla al suo signore in mano.
Bramoso
di ritrarlo ove fosse ella,
per
la gran selva inanzi se gli messe;
né
lo volea lasciar montare in sella,
perché
ad altro camin non lo volgesse.
Per
lui trovò Rinaldo la donzella
una
e due volte, e mai non gli successe;
che
fu da Ferraù prima impedito,
poi
dal Circasso, come avete udito.
Ora
al demonio che mostrò a Rinaldo
de
la donzella li falsi vestigi,
credette
Baiardo anco, e stette saldo
e
mansueto ai soliti servigi.
Rinaldo
il caccia, d'ira e d'amor caldo,
a
tutta briglia, e sempre invêr Parigi;
e
vola tanto col disio, che lento,
non
che un destrier, ma gli parrebbe il vento.
La
notte a pena di seguir rimane,
per
affrontarsi col signor d'Anglante:
tanto
ha creduto alle parole vane
del
messagger del cauto negromante.
Non
cessa cavalcar sera e dimane,
che
si vede apparir la terra avante,
dove
re Carlo, rotto e mal condutto,
con
le reliquie sue s'era ridutto:
e
perché dal re d'Africa battaglia
ed
assedio s'aspetta, usa gran cura
a
raccor buona gente e vettovaglia,
far
cavamenti e riparar le mura.
Ciò
che a difesa spera che gli vaglia,
senza
gran diferir, tutto procura:
pensa
mandare in Inghilterra, e trarne
gente
onde possa un novo campo farne:
che
vuole uscir di nuovo alla campagna,
e
ritentar la sorte de la guerra.
Spaccia
Rinaldo subito in Bretagna,
Bretagna
che fu poi detta Inghilterra.
Ben
de l'andata il paladin si lagna:
non
che abbia così in odio quella terra;
ma
perché Carlo il manda allora allora,
né
pur lo lascia un giorno far dimora.
Rinaldo
mai di ciò non fece meno
volentier
cosa; poi che fu distolto
di
gir cercando il bel viso sereno
che
gli avea il cor di mezzo il petto tolto:
ma,
per ubidir Carlo, nondimeno
a
quella via si fu subito volto,
ed
a Calesse in poche ore trovossi;
e
giunto, il dì medesimo imbarcossi.
Contra
la voluntà d'ogni nocchiero,
pel
gran desir che di tornare avea,
entrò
nel mar che era turbato e fiero,
e
gran procella minacciar parea.
Il
Vento si sdegnò, che da l'altiero
sprezzar
si vide; e con tempesta rea
sollevò
il mar intorno, e con tal rabbia,
che
gli mandò a bagnar sino alla gabbia.
Calano
tosto i marinari accorti
le
maggior vele, e pensano dar volta,
e
ritornar ne li medesmi porti
donde
in mal punto avean la nave sciolta.
-
Non convien (dice il Vento) che io comporti
tanta
licenza che v'avete tolta; -
e
soffia e grida e naufragio minaccia,
s'altrove
van, che dove egli li caccia.
Or
a poppa, or all'orza hann'il crudele,
che
mai non cessa, e vien più ognor crescendo:
essi
di qua di là con umil vele
vansi
aggirando, e l'alto mar scorrendo.
Ma
perché varie fila a varie tele
uopo
mi son, che tutte ordire intendo,
lascio
Rinaldo e l'agitata prua,
e
torno a dir di Bradamante sua.
Io
parlo di quella inclita donzella,
per
cui re Sacripante in terra giacque,
che
di questo signor degna sorella,
del
duca Amone e di Beatrice nacque.
La
gran possanza e il molto ardir di quella
non
meno a Carlo e a tutta Francia piacque
(che
più d'un paragon ne vide saldo),
che
il lodato valor del buon Rinaldo.
La
donna amata fu da un cavalliero
che
d'Africa passò col re Agramante,
che
partorì del seme di Ruggiero
la
disperata figlia di Agolante:
e
costei, che né d'orso né di fiero
leone
uscì, non sdegnò tal amante;
ben
che concesso, fuor che vedersi una
volta
e parlarsi, non ha lor Fortuna.
Quindi
cercando Bradamante gìa
l'amante
suo, che avea nome dal padre,
così
sicura senza compagnia,
come
avesse in sua guardia mille squadre:
e
fatto che ebbe al re di Circassia
battere
il volto dell'antiqua madre,
traversò
un bosco, e dopo il bosco un monte,
tanto
che giunse ad una bella fonte.
La
fonte discorrea per mezzo un prato,
d'arbori
antiqui e di bell'ombre adorno,
Che
i viandanti col mormorio grato
a
ber invita e a far seco soggiorno:
un
culto monticel dal manco lato
le
difende il calor del mezzo giorno.
Quivi,
come i begli occhi prima torse,
d'un
cavallier la giovane s'accorse;
d'un
cavallier, che all'ombra d'un boschetto,
nel
margin verde e bianco e rosso e giallo
sedea
pensoso, tacito e soletto
sopra
quel chiaro e liquido cristallo.
Lo
scudo non lontan pende e l'elmetto
dal
faggio, ove legato era il cavallo;
ed
avea gli occhi molli e il viso basso,
e
si mostrava addolorato e lasso.
Questo
disir, che a tutti sta nel core,
de'
fatti altrui sempre cercar novella,
fece
a quel cavallier del suo dolore
la
cagion domandar da la donzella.
Egli
l'aperse e tutta mostrò fuore,
dal
cortese parlar mosso di quella,
e
dal sembiante altier, che al primo sguardo
gli
sembrò di guerrier molto gagliardo.
E
cominciò: - Signor, io conducea
pedoni
e cavallieri, e venìa in campo
là
dove Carlo Marsilio attendea,
perche
al scender del monte avesse inciampo;
e
una giovane bella meco avea,
del
cui fervido amor nel petto avampo:
e
ritrovai presso a Rodonna armato
un
che frenava un gran destriero alato.
Tosto
che il ladro, o sia mortale, o sia
una
de l'infernali anime orrende,
vede
la bella e cara donna mia;
come
falcon che per ferir discende,
cala
e poggia in un atimo, e tra via
getta
le mani, e lei smarrita prende.
Ancor
non m'era accorto de l'assalto,
che
de la donna io sentio il grido in alto.
Così
il rapace nibio furar suole
il
misero pulcin presso alla chioccia,
che
di sua inavvertenza poi si duole,
e
invan gli grida, e invan dietro gli croccia.
Io
non posso seguir un uom che vole,
chiuso
tra' monti, a piè d'un'erta roccia:
stanco
ho il destrier, che muta a pena i passi
ne
l'aspre vie de' faticosi sassi.
Ma,
come quel che men curato avrei
vedermi
trar di mezzo il petto il core,
lasciai
lor via seguir quegli altri miei,
senza
mia guida e senza alcun rettore:
per
li scoscesi poggi e manco rei
presi
la via che mi mostrava Amore,
e
dove mi parea che quel rapace
portassi
il mio conforto e la mia pace.
Sei
giorni me n'andai matina e sera
per
balze e per pendici orride e strane,
dove
non via, dove sentier non era,
dove
né segno di vestigie umane;
poi
giunsi in una valle inculta e fiera,
di
ripe cinta e spaventose tane,
che
nel mezzo s'un sasso avea un castello
forte
e ben posto, a maraviglia bello.
Da
lungi par che come fiamma lustri,
né
sia di terra cotta, né di marmi.
Come
più m'avicino ai muri illustri,
l'opra
più bella e più mirabil parmi.
E
seppi poi, come i demoni industri,
da
suffumigi tratti e sacri carmi,
tutto
d'acciaio avean cinto il bel loco,
temprato
all'onda ed allo stigio foco.
Di
sì forbito acciar luce ogni torre,
che
non vi può né ruggine né macchia.
Tutto
il paese giorno e notte scorre,
E
poi là dentro il rio ladron s'immacchia.
Cosa
non ha ripar che voglia torre:
sol
dietro invan se li bestemia e gracchia.
Quivi
la donna, anzi il mio cor mi tiene,
che
di mai ricovrar lascio ogni spene.
Ah
lasso! che poss'io più che mirare
la
rocca lungi, ove il mio ben m'è chiuso?
come
la volpe, che il figlio gridare
nel
nido oda de l'aquila di giuso,
s'aggira
intorno, e non sa che si fare,
poi
che l'ali non ha da gir là suso.
Erto
è quel sasso sì, tale è il castello,
che
non vi può salir chi non è augello.
Mentre
io tardava quivi, ecco venire
duo
cavallier che avean per guida un nano,
che
la speranza aggiunsero al desire;
ma
ben fu la speranza e il desir vano.
Ambi
erano guerrier di sommo ardire:
era
Gradasso l'un, re sericano;
era
l'altro Ruggier, giovene forte,
pregiato
assai ne l'africana corte.
-
Vengon (mi disse il nano) per far pruova
di
lor virtù col sir di quel castello,
che
per via strana, inusitata e nuova
cavalca
armato il quadrupede augello. -
-
Deh, signor (diss'io lor), pietà vi muova
del
duro caso mio spietato e fello!
Quando,
come ho speranza, voi vinciate,
vi
prego la mia donna mi rendiate. -
E
come mi fu tolta lor narrai,
con
lacrime affermando il dolor mio.
Quei,
lor mercé, mi proferiro assai,
e
giù calaro il poggio alpestre e rio.
Di
lontan la battaglia io riguardai,
pregando
per la lor vittoria Dio.
Era
sotto il castel tanto di piano,
quanto
in due volte si può trar con mano.
Poi
che fur giunti a piè de l'alta rocca,
l'uno
e l' altro volea combatter prima;
pur
a Gradasso, o fosse sorte, tocca,
o
pur che non ne fe' Ruggier più stima.
Quel
Serican si pone il corno a bocca:
rimbomba
il sasso e la fortezza in cima.
Ecco
apparire il cavalliero armato
fuor
de la porta, e sul cavallo alato.
Cominciò
a poco a poco indi a levarse,
come
suol far la peregrina grue,
che
corre prima, e poi vediamo alzarse
alla
terra vicina un braccio o due;
e
quando tutte sono all'aria sparse,
velocissime
mostra l'ale sue.
Sì
ad alto il negromante batte l'ale,
che
a tanta altezza a pena aquila sale.
Quando
gli parve poi, volse il destriero,
che
chiuse i vanni e venne a terra a piombo,
come
casca dal ciel falcon maniero
che
levar veggia l'anitra o il colombo.
Con
la lancia arrestata il cavalliero
l'aria
fendendo vien d'orribil rombo.
Gradasso
a pena del calar s'avede,
che
se lo sente addosso e che lo fiede.
Sopra
Gradasso il mago l'asta roppe;
ferì
Gradasso il vento e l'aria vana:
per
questo il volator non interroppe
il
batter l'ale, e quindi s'allontana.
Il
grave scontro fa chinar le groppe
sul
verde prato alla gagliarda alfana.
Gradasso
avea una alfana, la più bella
e
la miglior che mai portasse sella.
Sin
alle stelle il volator trascorse;
indi
girossi e tornò in fretta al basso,
e
percosse Ruggier che non s'accorse,
Ruggier
che tutto intento era a Gradasso.
Ruggier
del grave colpo si distorse,
e
il suo destrier più rinculò d'un passo;
e
quando si voltò per lui ferire,
da
sé lontano il vide al ciel salire.
Or
su Gradasso, or su Ruggier percote
ne
la fronte, nel petto e ne la schiena,
e
le botte di quei lascia ognor vote,
perché
è sì presto, che si vede a pena.
Girando
va con spaziose rote,
e
quando all'uno accenna, all'altro mena:
all'uno
e all'altro sì gli occhi abbarbaglia,
che
non ponno veder donde gli assaglia.
Fra
duo guerrieri in terra ed uno in cielo
la
battaglia durò sino a quella ora,
che
spiegando pel mondo oscuro velo,
tutte
le belle cose discolora.
Fu
quel che io dico, e non v'aggiungo un pelo:
io
il vidi, io il so: né m'assicuro ancora
di
dirlo altrui; che questa maraviglia
al
falso più che al ver si rassimiglia.
D'un
bel drappo di seta avea coperto
lo
scudo in braccio il cavallier celeste.
Come
avesse, non so, tanto sofferto
di
tenerlo nascosto in quella veste;
che
immantinente che lo mostra aperto,
forza
è, che il mira, abbarbagliato reste,
e
cada come corpo morto cade,
e
venga al negromante in potestade.
Splende
lo scudo a guisa di piropo,
e
luce altra non è tanto lucente.
Cadere
in terra allo splendor fu d'uopo
con
gli occhi abbacinati, e senza mente.
Perdei
da lungi anche io li sensi, e dopo
gran
spazio mi riebbi finalmente;
né
più i guerrier né più vidi quel nano,
ma
vòto il campo, e scuro il monte e il piano.
Pensai
per questo che l'incantatore
avesse
amendui colti a un tratto insieme,
e
tolto per virtù de lo splendore
la
libertade a loro, e a me la speme.
Così
a quel loco, che chiudea il mio core,
dissi,
partendo, le parole estreme.
Or
giudicate s'altra pena ria,
che
causi Amor, può pareggiar la mia. -
Ritornò
il cavallier nel primo duolo,
fatta
che n'ebbe la cagion palese.
Questo
era il conte Pinabel, figliuolo
d'Anselmo
d'Altaripa, maganzese;
che
tra sua gente scelerata, solo
leale
esser non volse né cortese,
ma
ne li vizi abominandi e brutti
non
pur gli altri adeguò, ma passò tutti.
La
bella donna con diverso aspetto
stette
ascoltando il Maganzese cheta;
che
come prima di Ruggier fu detto,
nel
viso si mostrò più che mai lieta:
ma
quando sentì poi che era in distretto,
turbossi
tutta d'amorosa pieta;
né
per una o due volte contentosse
che
ritornato a replicar le fosse.
E
poi che al fin le parve esserne chiara,
gli
disse: - Cavallier, datti riposo,
che
ben può la mia giunta esserti cara,
parerti
questo giorno aventuroso.
Andiam
pur tosto a quella stanza avara,
che
sì ricco tesor ci tiene ascoso;
né
spesa sarà invan questa fatica,
se
fortuna non m'è troppo nemica. -
Rispose
il cavallier: - Tu vòi che io passi
di
nuovo i monti, e mostriti la via?
A
me molto non è perdere i passi,
perduta
avendo ogni altra cosa mia;
ma
tu per balze e ruinosi sassi
cerchi
entrar in pregione; e così sia.
Non
hai di che dolerti di me, poi
che
io tel predico, e tu pur gir vi vòi. -
Così
dice egli, e torna al suo destriero,
e
di quella animosa si fa guida,
che
si mette a periglio per Ruggiero,
che
la pigli quel mago o che la ancida.
In
questo, ecco alle spalle il messaggero,
che
: - Aspetta, aspetta! - a tutta voce grida,
il
messagger da chi il Circasso intese
che
costei fu che all'erba lo distese.
A
Bradamante il messagger novella
di
Mompolier e di Narbona porta,
che
alzato gli stendardi di Castella
avean,
con tutto il lito d'Acquamorta;
e
che Marsilia, non v'essendo quella
che
la dovea guardar, mal si conforta,
e
consiglio e soccorso le domanda
per
questo messo, e se le raccomanda.
Questa
cittade, e intorno a molte miglia
ciò
che fra Varo e Rodano al mar siede,
avea
l'imperator dato alla figlia
del
duca Amon, in che avea speme e fede;
però
che il suo valor con maraviglia
riguardar
suol, quando armeggiar la vede.
Or,
com'io dico, a domandar aiuto
quel
messo da Marsilia era venuto.
Tra
sì e no la giovane suspesa,
di
voler ritornar dubita un poco:
quinci
l'onore e il debito le pesa,
quindi
l'incalza l'amoroso foco.
Fermasi
al fin di seguitar l'impresa,
e
trar Ruggier de l'incantato loco;
e
quando sua virtù non possa tanto,
almen
restargli prigioniera a canto.
E
fece iscusa tal, che quel messaggio
parve
contento rimanere e cheto.
Indi
girò la briglia al suo viaggio,
con
Pinabel che non ne parve lieto;
che
seppe esser costei di quel lignaggio
che
tanto ha in odio in publico e in secreto:
e
già s'avisa le future angosce,
se
lui per maganzese ella conosce.
Tra
casa di Maganza e di Chiarmonte
era
odio antico e inimicizia intensa;
e
più volte s'avean rotta la fronte,
e
sparso di lor sangue copia immensa:
e
però nel suo cor l'iniquo conte
tradir
l'incauta giovane si pensa;
o,
come prima commodo gli accada,
lasciarla
sola, e trovar altra strada.
E
tanto gli occupò la fantasia
il
nativo odio, il dubbio e la paura,
che
inavedutamente uscì di via:
e
ritrovossi in una selva oscura,
che
nel mezzo avea un monte che finia
la
nuda cima in una pietra dura;
e
la figlia del duca di Dordona
gli
è sempre dietro, e mai non l'abandona.
Come
si vide il Maganzese al bosco,
pensò
tôrsi la donna da le spalle.
Disse:
- Prima che il ciel torni più fosco,
verso
un albergo è meglio farsi il calle.
Oltra
quel monte, s'io lo riconosco,
siede
un ricco castel giù ne la valle.
Tu
qui m'aspetta; che dal nudo scoglio
certificar
con gli occhi me ne voglio. -
Così
dicendo, alla cima superna
del
solitario monte il destrier caccia,
mirando
pur s'alcuna via discerna,
come
lei possa tor da la sua traccia.
Ecco
nel sasso truova una caverna,
che
si profonda più di trenta braccia.
Tagliato
a picchi ed a scarpelli il sasso
scende
giù al dritto, ed ha una porta al basso.
Nel
fondo avea una porta ampla e capace,
che
in maggior stanza largo adito dava;
e
fuor n'uscìa splendor, come di face
che
ardesse in mezzo alla montana cava.
Mentre
quivi il fellon suspeso tace,
la
donna, che da lungi il seguitava
(perché
perderne l'orme si temea),
alla
spelonca gli sopragiungea.
Poi
che si vide il traditore uscire,
quel
che avea prima disegnato, invano,
o
da sé torla, o di farla morire,
nuovo
argumento imaginossi e strano.
Le
si fe' incontra, e su la fe' salire
là
dove il monte era forato e vano;
e
le disse che avea visto nel fondo
una
donzelIa di viso giocondo.
Che
a' bei sembianti ed alla ricca vesta
esser
parea di non ignobil grado;
ma
quanto più potea turbata e mesta,
mostrava
esservi chiusa suo mal grado:
e
per saper la condizion di questa,
che
avea già cominciato a entrar nel guado;
e
che era uscito de l'interna grotta
un
che dentro a furor l'avea ridotta.
Bradamante,
che come era animosa,
così
mal cauta, a Pinabel diè fede;
e
d'aiutar la donna, disiosa,
si
pensa come por colà giù il piede.
Ecco
d'un olmo alla cima frondosa
volgendo
gli occhi, un lungo ramo vede;
e
con la spada quel subito tronca,
e
lo declina giù ne la spelonca.
Dove
è tagliato, in man lo raccomanda
a
Pinabello, e poscia a quel s'apprende:
prima
giù i piedi ne la tana manda,
e
su le braccia tutta si suspende.
Sorride
Pinabello, e le domanda
come
ella salti; e le man apre e stende,
dicendole:
- Qui fosser teco insieme
tutti
li tuoi, che io ne spegnessi il seme! -
Non
come volse Pinabello avvenne
de
l'innocente giovane la sorte;
perché,
giù diroccando a ferir venne
prima
nel fondo il ramo saldo e forte.
Ben
si spezzò, ma tanto la sostenne,
che
il suo favor la liberò da morte.
Giacque
stordita la donzella alquanto,
come
io vi seguirò ne l'altro canto.
CANTO
TERZO
Chi
mi darà la voce e le parole
convenienti
a sì nobil suggetto?
chi
l'ale al verso presterà, che vole
tanto
che arrivi all'alto mio concetto?
Molto
maggior di quel furor che suole,
ben
or convien che mi riscaldi il petto;
che
questa parte al mio signor si debbe,
che
canta gli avi onde l'origin ebbe:
Di
cui fra tutti li signori illustri,
dal
ciel sortiti a governar la terra,
non
vedi, o Febo, che il gran mondo lustri,
più
gloriosa stirpe o in pace o in guerra;
né
che sua nobiltade abbia più lustri
servata,
e servarà (s'in me non erra
quel
profetico lume che m'ispiri)
fin
che d'intorno al polo il ciel s'aggiri.
E
volendone a pien dicer gli onori,
bisogna
non la mia, ma quella cetra
con
che tu dopo i gigantei furori
rendesti
grazia al regnator dell'etra.
S'istrumenti
avrò mai da te migliori,
atti
a sculpire in così degna pietra,
in
queste belle imagini disegno
porre
ogni mia fatica, ogni mio ingegno.
Levando
intanto queste prime rudi
scaglie
n'andrò con lo scarpello inetto:
forse
che ancor con più solerti studi
poi
ridurrò questo lavor perfetto.
Ma
ritorniano a quello, a cui né scudi
potran
né usberghi assicurare il petto:
parlo
di Pinabello di Maganza,
che
d'uccider la donna ebbe speranza.
Il
traditor pensò che la donzella
fosse
ne l'alto precipizio morta;
e
con pallida faccia lasciò quella
trista
e per lui contaminata porta,
e
tornò presto a rimontar in sella:
e
come quel che avea l'anima torta,
per
giunger colpa a colpa e fallo a fallo,
di
Bradamante ne menò il cavallo.
Lasciàn
costui, che mentre all'altrui vita
ordisce
inganno, il suo morir procura;
e
torniamo alla donna che, tradita,
quasi
ebbe a un tempo e morte e sepoltura.
Poi
che ella si levò tutta stordita,
che
avea percosso in su la pietra dura,
dentro
la porta andò, che adito dava
ne
la seconda assai più larga cava.
La
stanza, quadra e spaziosa, pare
una
devota e venerabil chiesa,
che
su colonne alabastrine e rare
con
bella architettura era suspesa.
Surgea
nel mezzo un ben locato altare,
che
avea dinanzi una lampada accesa;
e
quella di splendente e chiaro foco
rendea
gran lume all'uno e all'altro loco.
Di
devota umiltà la donna tocca,
come
si vide in loco sacro e pio,
incominciò
col core e con la bocca,
inginocchiata,
a mandar prieghi a Dio.
Un
picciol uscio intanto stride e crocca,
che
era all'incontro, onde una donna uscìo
discinta
e scalza, e sciolte avea le chiome,
che
la donzella salutò per nome.
E
disse: - O generosa Bradamante,
non
giunta qui senza voler divino,
di
te più giorni m'ha predetto inante
il
profetico spirto di Merlino,
che
visitar le sue reliquie sante
dovevi
per insolito camino:
e
qui son stata acciò che io ti riveli
quel
c'han di te già statuito i cieli.
Questa
è l'antiqua e memorabil grotta
che
edificò Merlino, il savio mago
che
forse ricordare odi talotta,
dove
ingannollo la Donna del Lago.
Il
sepolcro è qui giù, dove corrotta
giace
la carne sua; dove egli, vago
di
sodisfare a lei, che glil suase,
vivo
corcossi, e morto ci rimase.
Col
corpo morto il vivo spirto alberga,
sin
che oda il suon de l'angelica tromba
che
dal ciel lo bandisca o che ve l'erga,
secondo
che sarà corvo o colomba.
Vive
la voce; e come chiara emerga,
udir
potrai dalla marmorea tomba,
che
le passate e le future cose
a
chi gli domandò, sempre rispose.
Più
giorni son che in questo cimiterio
venni
di remotissimo paese,
perché
circa il mio studio alto misterio
mi
facesse Merlin meglio palese:
e
perché ebbi vederti desiderio,
poi
ci son stata oltre il disegno un mese;
che
Merlin, che il ver sempre mi predisse,
termine
al venir tuo questo dì fisse. -
Stassi
d'Amon la sbigottita figlia
tacita
e fissa al ragionar di questa;
ed
ha sì pieno il cor di maraviglia,
che
non sa s'ella dorme o s'ella è desta:
e
con rimesse e vergognose ciglia
(come
quella che tutta era modesta)
rispose:
- Di che merito son io,
che
antiveggian profeti il venir mio? -
E
lieta de l'insolita avventura,
dietro
alla Maga subito fu mossa,
che
la condusse a quella sepoltura
che
chiudea di Merlin l'anima e l'ossa.
Era
quell'arca d'una pietra dura,
lucida
e tersa, e come fiamma rossa;
tal
che alla stanza, ben che di sol priva,
dava
splendore il lume che n'usciva.
O
che natura sia d'alcuni marmi
che
muovin l'ombre a guisa di facelle,
o
forza pur di suffumigi e carmi
e
segni impressi all'osservate stelle
(come
più questo verisimil parmi),
discopria
lo splendor più cose belle
e
di scoltura e di color, che intorno
il
venerabil luogo aveano adorno.
A
pena ha Bradamante da la soglia
levato
il piè ne la secreta cella,
che
il vivo spirto da la morta spoglia
con
chiarissima voce le favella:
-
Favorisca Fortuna ogni tua voglia,
o
casta e nobilissima donzella,
del
cui ventre uscirà il seme fecondo
che
onorar deve Italia e tutto il mondo.
L'antiquo
sangue che venne da Troia,
per
li duo miglior rivi in te commisto,
produrrà
l'ornamento, il fior, la gioia
d'ogni
lignaggio che abbia il sol mai visto
tra
l'Indo e il Tago e il Nilo e la Danoia,
tra
quanto è 'n mezzo Antartico e Calisto.
Ne
la progenie tua con sommi onori
saran
marchesi, duci e imperatori.
I
capitani e i cavallier robusti
quindi
usciran, che col ferro e col senno
ricuperar
tutti gli onor vetusti
de
l'arme invitte alla sua Italia denno.
Quindi
terran lo scettro i signor giusti,
che,
come il savio Augusto e Numa fenno,
sotto
il benigno e buon governo loro
ritorneran
la prima età de l'oro.
Acciò
dunque il voler del ciel si metta
in
effetto per te, che di Ruggiero
t'ha
per moglier fin da principio eletta,
segue
animosamente il tuo sentiero;
che
cosa non sarà che s'intrometta
da
poterti turbar questo pensiero,
sì
che non mandi al primo assalto in terra
quel
rio ladron che ogni tuo ben ti serra. -
Tacque
Merlino avendo così detto,
ed
agio all'opre de la Maga diede,
che
a Bradamante dimostrar l'aspetto
si
preparava di ciascun suo erede.
Avea
di spirti un gran numero eletto,
non
so se da l'Inferno o da qual sede,
e
tutti quelli in un luogo raccolti
sotto
abiti diversi e vari volti.
Poi
la donzella a sé richiama in chiesa,
là
dove prima avea tirato un cerchio
che
la potea capir tutta distesa,
ed
avea un palmo ancora di superchio.
E
perché da li spirti non sia offesa,
le
fa d'un gran pentacolo coperchio;
e
le dice che taccia e stia a mirarla:
poi
scioglie il libro, e coi demoni parla.
Eccovi
fuor de la prima spelonca,
che
gente intorno al sacro cerchio ingrossa;
ma,
come vuole entrar, la via l'è tronca,
come
lo cinga intorno muro e fossa.
In
quella stanza, ove la bella conca
in
sé chiudea del gran profeta l'ossa,
entravan
l'ombre, poi che avean tre volte
fatto
d'intorno lor debite volte.
-
Se i nomi e i gesti di ciascun vo' dirti
(dicea
l'incantatrice a Bradamante),
di
questi che or per gli incantati spirti,
prima
che nati sien, ci sono avante,
non
so veder quando abbia da espedirti;
che
non basta una notte a cose tante:
sì
che io te ne verrò scegliendo alcuno,
secondo
il tempo, e che sarà oportuno.
Vedi
quel primo che ti rassimiglia
ne'
bei sembianti e nel giocondo aspetto:
capo
in Italia fia di tua famiglia,
del
seme di Ruggiero in te concetto.
Veder
del sangue di Pontier vermiglia
per
mano di costui la terra aspetto,
e
vendicato il tradimento e il torto
contra
quei che gli avranno il padre morto.
Per
opra di costui sarà deserto
il
re de' Longobardi Desiderio:
d'Este
e di Calaon per questo merto
il
bel dominio avrà dal sommo Imperio.
Quel
che gli è dietro, è il tuo nipote Uberto,
onor
de l'arme e del paese esperio:
per
costui contra Barbari difesa
più
d'una volta fia la santa Chiesa.
Vedi
qui Alberto, invitto capitano
che
ornerà di trofei tanti delubri:
Ugo
il figlio è con lui, che di Milano
farà
l'acquisto, e spiegherà i colubri.
Azzo
è quell'altro, a cui resterà in mano
dopo
il fratello, il regno degli Insubri.
Ecco
Albertazzo, il cui savio consiglio
torrà
d'Italia Beringario e il figlio;
e
sarà degno a cui Cesare Otone
Alda
sua figlia, in matrimonio aggiunga.
Vedi
un altro Ugo: oh bella successione,
che
dal patrio valor non si dislunga!
Costui
sarà, che per giusta cagione
ai
superbi Roman l'orgoglio emunga,
che
il terzo Otone e il pontefice tolga
de
le man loro, e il grave assedio sciolga.
Vedi
Folco, che par che al suo germano,
ciò
che in Italia avea, tutto abbi dato,
e
vada a possedere indi lontano
in
mezzo agli Alamanni un gran ducato;
e
dia alla casa di Sansogna mano,
che
caduta sarà tutta da un lato;
e
per la linea de la madre, erede,
con
la progenie sua la terrà in piede.
Questo
che or a nui viene è il secondo Azzo,
di
cortesia più che di guerre amico,
tra
dui figli, Bertoldo ed Albertazzo.
Vinto
da l'un sarà il secondo Enrico,
e
del sangue tedesco orribil guazzo
Parma
vedrà per tutto il campo aprico:
de
l'altro la contessa gloriosa,
saggia
e casta Matilde, sarà sposa.
Virtù
il farà di tal connubio degno;
che
a quella età non poca laude estimo
quasi
di mezza Italia in dote il regno,
e
la nipote aver d'Enrico primo.
Ecco
di quel Bertoldo il caro pegno,
Rinaldo
tuo, che avrà l'onor opimo
d'aver
la Chiesa de le man riscossa
de
l'empio Federico Barbarossa.
Ecco
un altro Azzo, ed è quel che Verona
avrà
in poter col suo bel tenitorio;
e
sarà detto marchese d'Ancona
dal
quarto Otone e dal secondo Onorio.
Lungo
sarà s'io mostro ogni persona
del
sangue tuo, che avrà del consistorio
il
confalone, e s'io narro ogni impresa
vinta
da lor per la romana Chiesa.
Obizzo
vedi e Folco, altri Azzi, altri Ughi,
ambi
gli Enrichi, il figlio al padre a canto;
duo
Guelfi, di quai l'uno Umbria soggiughi,
e
vesta di Spoleti il ducal manto.
Ecco
che il sangue e le gran piaghe asciughi
d'Italia
afflitta, e volga in riso il pianto:
di
costui parlo (e mostrolle Azzo quinto)
onde
Ezellin fia rotto, preso, estinto.
Ezellino,
immanissimo tiranno,
che
fia creduto figlio del demonio,
farà,
troncando i sudditi, tal danno,
e
distruggendo il bel paese ausonio,
che
pietosi apo lui stati saranno
Mario,
Silla, Neron, Caio ed Antonio.
E
Federico imperator secondo
fia
per questo Azzo rotto e messo al fondo.
Terrà
costui con più felice scettro
la
bella terra che siede sul fiume,
dove
chiamò con lacrimoso plettro
Febo
il figliuol che avea mal retto il lume,
quando
fu pianto il fabuloso elettro,
e
Cigno si vestì di bianche piume;
e
questa di mille oblighi mercede
gli
donerà l'Apostolica sede.
Dove
lascio il fratel Aldrobandino?
che
per dar al pontefice soccorso
contra
Oton quarto e il campo ghibellino
che
sarà presso al Campidoglio corso,
ed
avrà preso ogni luogo vicino,
e
posto agli Umbri e alli Piceni il morso;
né
potendo prestargli aiuto senza
molto
tesor, ne chiederà a Fiorenza;
e
non avendo gioie o miglior pegni,
per
sicurtà daralle il frate in mano.
Spiegherà
i suoi vittoriosi segni,
e
romperà l'esercito germano;
in
seggio riporrà la Chiesa, e degni
darà
supplici ai conti di Celano;
ed
al servizio del sommo Pastore
finirà
gli anni suoi nel più bel fiore.
Ed
Azzo, il suo fratel, lascierà erede
del
dominio d'Ancona e di Pisauro,
d'ogni
città che da Troento siede
tra
il mare e l'Apennin fin all'Isauro,
e
di grandezza d'animo e di fede,
e
di virtù, miglior che gemme ed auro:
che
dona e tolle ogn'altro ben Fortuna;
sol
in virtù non ha possanza alcuna.
Vedi
Rinaldo, in cui non minor raggio
splenderà
di valor, pur che non sia
a
tanta esaltazion del bel lignaggio
Morte
o Fortuna invidiosa e ria.
Udirne
il duol fin qui da Napoli aggio,
dove
del padre allor statico fia.
Or
Obizzo ne vien, che giovinetto
dopo
l'avo sarà principe eletto.
Al
bel dominio accrescerà costui
Reggio
giocondo, e Modona feroce.
Tal
sarà il suo valor, che signor lui
domanderanno
i populi a una voce.
Vedi
Azzo sesto, un de' figliuoli sui,
confalonier
de la cristiana croce:
avrà
il ducato d'Andria con la figlia
del
secondo re Carlo di Siciglia.
Vedi
in un bello ed amichevol groppo
de
li principi illustri l'eccellenza:
Obizzo,
Aldrobandin, Nicolò zoppo,
Alberto,
d'amor pieno e di clemenza.
Io
tacerò, per non tenerti troppo,
come
al bel regno aggiungeran Favenza,
e
con maggior fermezza Adria, che valse
da
sé nomar l'indomite acque salse;
Come
la terra, il cui produr di rose
le
diè piacevol nome in greche voci,
e
la città che in mezzo alle piscose
paludi,
del Po teme ambe le foci,
dove
abitan le genti disiose
che
il mar si turbi e sieno i venti atroci.
Taccio
d'Argenta, di Lugo e di mille
altre
castella e populose ville.
Ve'
Nicolò, che tenero fanciullo
il
popul crea signor de la sua terra,
e
di Tideo fa il pensier vano e nullo,
che
contra lui le civil arme afferra.
Sarà
di questo il pueril trastullo
sudar
nel ferro e travagliarsi in guerra;
e
da lo studio del tempo primiero
il
fior riuscirà d'ogni guerriero.
Farà
de' suoi ribelli uscire a voto
ogni
disegno, e lor tornare in danno;
ed
ogni stratagema avrà sì noto,
che
sarà duro il poter fargli inganno.
Tardi
di questo s'avedrà il terzo Oto,
e
di Reggio e di Parma aspro tiranno,
che
da costui spogliato a un tempo fia
e
del dominio e de la vita ria.
Avrà
il bel regno poi sempre augumento
senza
torcer mai piè dal camin dritto;
né
ad alcuno farà mai nocumento,
da
cui prima non sia d'ingiuria afflitto:
ed
è per questo il gran Motor contento
che
non gli sia alcun termine prescritto:
ma
duri prosperando in meglio sempre,
fin
che si volga il ciel ne le sue tempre.
Vedi
Leonello, e vedi il primo duce,
fama
de la sua età, l'inclito Borso,
che
siede in pace, e più trionfo adduce
di
quanti in altrui terre abbino corso.
Chiuderà
Marte ove non veggia luce,
e
stringerà al Furor le mani al dorso.
Di
questo signor splendido ogni intento
sarà
che il popul suo viva contento.
Ercole
or vien, che al suo vicin rinfaccia,
col
piè mezzo arso e con quei debol passi,
come
a Budrio col petto e con la faccia
il
campo volto in fuga gli fermassi;
non
perché in premio poi guerra gli faccia,
né,
per cacciarlo, fin nel Barco passi.
Questo
è il signor, di cui non so esplicarme
se
fia maggior la gloria o in pace o in arme.
Terran
Pugliesi, Calabri e Lucani
de'
gesti di costui lunga memoria,
là
dove avrà dal Re de' Catalani
di
pugna singular la prima gloria;
e
nome tra gli invitti capitani
s'acquisterà
con più d'una vittoria:
avrà
per sua virtù la signoria,
più
di trenta anni a lui debita pria.
E
quanto più aver obligo si possa
a
principe, sua terra avrà a costui;
non
perché fia de le paludi mossa
tra
campi fertilissimi da lui;
non
perché la farà con muro e fossa
meglio
capace a' cittadini sui,
e
l'ornarà di templi e di palagi,
di
piazze, di teatri e di mille agi;
non
perché dagli artigli de l'audace
aligero
Leon terrà difesa;
non
perché, quando la gallica face
per
tutto avrà la bella Italia accesa,
si
starà sola col suo stato in pace,
e
dal timore e dai tributi illesa:
non
sì per questi ed altri benefici
saran
sue genti ad Ercol debitrici:
quanto
che darà lor l'inclita prole,
il
giusto Alfonso e Ippolito benigno,
che
saran quai l'antiqua fama suole
narrar
de' figli del Tindareo cigno,
che
alternamente si privan del sole
per
trar l'un l'altro de l'aer maligno.
Sarà
ciascuno d'essi e pronto e forte
l'altro
salvar con sua perpetua morte.
Il
grande amor di questa bella coppia
renderà
il popul suo via più sicuro,
che
se, per opra di Vulcan, di doppia
cinta
di ferro avesse intorno il muro.
Alfonso
è quel che col saper accoppia
sì
la bontà, che al secolo futuro
la
gente crederà che sia dal cielo
tornata
Astrea dove può il caldo e il gielo.
A
grande uopo gli fia l'esser prudente,
e
di valore assimigliarsi al padre;
che
si ritroverà, con poca gente,
da
un lato aver le veneziane squadre,
colei
dall'altro, che più giustamente
non
so se devrà dir matrigna o madre;
ma
se per madre, a lui poco più pia,
che
Medea ai figli o Progne stata sia.
E
quante volte uscirà giorno o notte
col
suo popul fedel fuor de la terra,
tante
sconfitte e memorabil rotte
darà
a' nimici o per acqua o per terra.
Le
genti di Romagna mal condotte,
contra
i vicini e lor già amici, in guerra,
se
n'avedranno, insanguinando il suolo
che
serra il Po, Santerno e Zanniolo.
Nei
medesmi confini anco saprallo
del
gran Pastore il mercenario Ispano,
che
gli avrà dopo con poco intervallo
la
Bastìa tolta, e morto il castellano,
quando
l'avrà già preso; e per tal fallo
non
fia, dal minor fante al capitano,
che
del racquisto e del presidio ucciso
a
Roma riportar possa l'aviso.
Costui
sarà, col senno e con la lancia,
che
avrà l'onor, nei campi di Romagna,
d'aver
dato all'esercito di Francia
la
gran vittoria contra Iulio e Spagna.
Nuoteranno
i destrier fin alla pancia
nel
sangue uman per tutta la campagna;
che
a sepelire il popul verrà manco
tedesco,
ispano, greco, italo, e franco.
Quel
che in pontificale abito imprime
del
purpureo capel la sacra chioma,
è
il liberal, magnanimo, sublime,
gran
cardinal de la Chiesa di Roma
Ippolito,
che a prose, a versi, a rime
darà
materia eterna in ogni idioma;
la
cui fiorita età vuole il ciel iusto
che
abbia un Maron, come un altro ebbe Augusto.
Adornerà
la sua progenie bella,
come
orna il sol la machina del mondo
molto
più de la luna e d'ogni stella;
che
ogn'altro lume a lui sempre è secondo.
Costui
con pochi a piedi e meno in sella
veggio
uscir mesto, e poi tornar iocondo;
che
quindici galee mena captive,
oltra
mill'altri legni alle sue rive.
Vedi
poi l'uno e l'altro Sigismondo.
Vedi
d'Alfonso i cinque figli cari,
alla
cui fama ostar, che di sé il mondo
non
empia, i monti non potran né i mari:
gener
del re di Francia, Ercol secondo
è
l'un; quest'altro (acciò tutti gli impari)
Ippolito
è, che non con minor raggio
che
il zio, risplenderà nel suo lignaggio;
Francesco,
il terzo; Alfonsi gli altri dui
ambi
son detti. Or, come io dissi prima,
s'ho
da mostrarti ogni tuo ramo, il cui
valor
la stirpe sua tanto sublima,
bisognerà
che si rischiari e abbui
più
volte prima il ciel, che io te li esprima:
e
sarà tempo ormai, quando ti piaccia,
che
io dia licenza all'ombre e che io mi taccia. -
Così
con voluntà de la donzella
la
dotta incantatrice il libro chiuse.
Tutti
gli spirti allora ne la cella
spariro
in fretta, ove eran l'ossa chiuse.
Qui
Bradamante, poi che la favella
le
fu concessa usar, la bocca schiuse,
e
domandò: - Chi son li dua sì tristi,
che
tra Ippolito e Alfonso abbiamo visti?
Veniano
sospirando, e gli occhi bassi
parean
tener d'ogni baldanza privi;
e
gir lontan da loro io vedea i passi
dei
frati sì, che ne pareano schivi. -
Parve
che a tal domanda si cangiassi
la
maga in viso, e fe' degli occhi rivi,
e
gridò: - Ah sfortunati, a quanta pena
lungo
istigar d'uomini rei vi mena!
O
bona prole, o degna d'Ercol buono,
non
vinca il lor fallir vostra bontade:
di
vostro sangue i miseri pur sono;
qui
ceda la iustizia alla pietade. -
Indi
soggiunse con più basso suono:
-
Di ciò dirti più inanzi non accade.
Statti
col dolce in bocca; e non ti doglia
che
amareggiare al fin non te la voglia.
Tosto
che spunti in ciel la prima luce,
piglierai
meco la più dritta via
che
al lucente castel d'acciaio conduce,
dove
Ruggier vive in altrui balìa.
Io
tanto ti sarò compagna e duce,
che
tu sia fuor de l'aspra selva ria:
t'insegnerò,
poi che saren sul mare,
sì
ben la via, che non potresti errare. -
Quivi
l'audace giovane rimase
tutta
la notte, e gran pezzo ne spese
a
parlar con Merlin, che le suase
rendersi
tosto al suo Ruggier cortese.
Lasciò
di poi le sotterranee case,
che
di nuovo splendor l'aria s'accese,
per
un camin gran spazio oscuro e cieco,
avendo
la spirtal femmina seco.
E
riusciro in un burrone ascoso
tra
monti inaccessibili alle genti;
e
tutto il dì senza pigliar riposo
saliron
balze e traversar torrenti.
E
perché men l'andar fosse noioso,
di
piacevoli e bei ragionamenti,
di
quel che fu più conferir soave,
l'aspro
camin facean parer men grave:
di
quali era però la maggior parte,
che
a Bradamante vien la dotta maga
mostrando
con che astuzia e con qual arte
proceder
de', se di Ruggiero è vaga.
-
Se tu fossi (dicea) Pallade o Marte,
e
conducessi gente alla tua paga
più
che non ha il re Carlo e il re Agramante,
non
dureresti contra il negromante;
che
oltre che d'acciar murata sia
la
rocca inespugnabile, e tant'alta;
oltre
che il suo destrier si faccia via
per
mezzo l'aria, ove galoppa e salta;
ha
lo scudo mortal, che come pria
si
scopre, il suo splendor sì gli occhi assalta,
la
vista tolle, e tanto occupa i sensi,
che
come morto rimaner conviensi.
E
se forse ti pensi che ti vaglia
combattendo
tener serrati gli occhi,
come
potrai saper ne la battaglia
quando
ti schivi, o l'avversario tocchi?
Ma
per fuggire il lume che abbarbaglia,
e
gli altri incanti di colui far sciocchi,
ti
mostrerò un rimedio, una via presta;
né
altra in tutto il mondo è se non questa.
Il
re Agramante d'Africa uno annello,
che
fu rubato in India a una regina,
ha
dato a un suo baron detto Brunello,
che
poche miglia inanzi ne camina;
di
tal virtù, che chi nel dito ha quello,
contra
il mal degli incanti ha medicina.
Sa
de furti e d'inganni Brunel, quanto
colui,
che tien Ruggier, sappia d'incanto.
Questo
Brunel sì pratico e sì astuto,
come
io ti dico, è dal suo re mandato
acciò
che col suo ingegno e con l'aiuto
di
questo annello, in tal cose provato,
di
quella rocca dove è ritenuto,
traggia
Ruggier, che così s'è vantato,
ed
ha così promesso al suo signore,
a
cui Ruggiero è più d'ogn'altro a core.
Ma
perché il tuo Ruggiero a te sol abbia,
e
non al re Agramante, ad obligarsi
che
tratto sia de l'incantata gabbia,
t'insegnerò
il rimedio che de' usarsi.
Tu
te n'andrai tre dì lungo la sabbia
del
mar, che è oramai presso a dimostrarsi;
il
terzo giorno in un albergo teco
arriverà
costui c'ha l'annel seco.
La
sua statura, acciò tu lo conosca,
non
è sei palmi, ed ha il capo ricciuto;
le
chiome ha nere, ed ha la pelle fosca;
pallido
il viso, oltre il dover barbuto;
gli
occhi gonfiati e guardatura losca;
schiacciato
il naso, e ne le ciglia irsuto:
l'abito,
acciò che io lo dipinga intero,
è
stretto e corto, e sembra di corriero.
Con
esso lui t'accaderà soggetto
di
ragionar di quell'incanti strani:
mostra
d'aver, come tu avra' in effetto,
disio
che il mago sia teco alle mani;
ma
non mostrar che ti sia stato detto
di
quel suo annel che fa gli incanti vani.
Egli
t'offerirà mostrar la via
fin
alla rocca e farti compagnia.
Tu
gli va dietro: e come t'avicini
a
quella rocca sì che ella si scopra,
dàgli
la morte; né pietà t'inchini
che
tu non metta il mio consiglio in opra.
Né
far che egli il pensier tuo s'indovini,
e
che abbia tempo che l'annel lo copra;
perché
ti spariria dagli occhi, tosto
che
in bocca il sacro annel s'avesse posto. -
Così
parlando, giunsero sul mare,
dove
presso a Bordea mette Garonna.
Quivi,
non senza alquanto lagrimare,
si
dipartì l'una da l'altra donna.
La
figliuola d'Amon, che per slegare
di
prigione il suo amante non assonna,
caminò
tanto, che venne una sera
ad
uno albergo, ove Brunel prim'era.
Conosce
ella Brunel come lo vede,
di
cui la forma avea sculpita in mente:
onde
ne viene, ove ne va, gli chiede;
quel
le risponde, e d'ogni cosa mente.
La
donna, già prevista, non gli cede
in
dir menzogne, e simula ugualmente
e
patria e stirpe e setta e nome e sesso;
e
gli volta alle man pur gli occhi spesso.
Gli
va gli occhi alle man spesso voltando,
in
dubbio sempre esser da lui rubata;
né
lo lascia venir troppo accostando,
di
sua condizion bene informata.
Stavano
insieme in questa guisa, quando
l'orecchia
da un rumor lor fu intruonata.
Poi
vi dirò, Signor, che ne fu causa,
che
avrò fatto al cantar debita pausa.
CANTO
QUARTO.
Quantunque
il simular sia le più volte
ripreso,
e dia di mala mente indici,
si
trova pur in molte cose e molte
aver
fatti evidenti benefici,
e
danni e biasmi e morti aver già tolte;
che
non conversiam sempre con gli amici
in
questa assai più oscura che serena
vita
mortal, tutta d'invidia piena.
Se,
dopo lunga prova, a gran fatica
trovar
si può chi ti sia amico vero,
ed
a chi senza alcun sospetto dica
e
discoperto mostri il tuo pensiero;
che
de' far di Ruggier la bella amica
con
quel Brunel non puro e non sincero,
ma
tutto simulato e tutto finto,
come
la maga le l'avea dipinto?
Simula
anche ella; e così far conviene
con
esso lui di finzioni padre;
e,
come io dissi, spesso ella gli tiene
gli
occhi alle man, che eran rapaci e ladre.
Ecco
all'orecchie un gran rumor lor viene.
Disse
la donna: - O gloriosa Madre,
o
Re del ciel, che cosa sarà questa? -
E
dove era il rumor si trovò presta.
E
vede l'oste e tutta la famiglia,
e
chi a finestre e chi fuor ne la via,
tener
levati al ciel gli occhi e le ciglia,
come
l'ecclisse o la cometa sia.
Vede
la donna un'alta maraviglia,
che
di leggier creduta non saria:
vede
passar un gran destriero alato,
che
porta in aria un cavalliero armato.
Grandi
eran l'ale e di color diverso,
e
vi sedea nel mezzo un cavalliero,
di
ferro armato luminoso e terso;
e
vêr ponente avea dritto il sentiero.
Calossi,
e fu tra le montagne immerso:
e,
come dicea l'oste (e dicea il vero),
quel
era un negromante, e facea spesso
quel
varco, or più da lungi, or più da presso.
Volando,
talor s'alza ne le stelle,
e
poi quasi talor la terra rade;
e
ne porta con lui tutte le belle
donne
che trova per quelle contrade:
talmente
che le misere donzelle
che
abbino o aver si credano beltade
(come
affatto costui tutte le invole)
non
escon fuor sì che le veggia il sole.
-
Egli sul Pireneo tiene un castello
(narrava
l'oste) fatto per incanto,
tutto
d'acciaio, e sì lucente e bello,
che
altro al mondo non è mirabil tanto.
Già
molti cavallier sono iti a quello,
e
nessun del ritorno si dà vanto:
sì
che io penso, signore, e temo forte,
o
che sian presi, o sian condotti a morte. -
La
donna il tutto ascolta, e le ne giova,
credendo
far, come farà per certo,
con
l'annello mirabile tal prova,
che
ne fia il mago e il suo castel deserto;
e
dice a l'oste: - Or un de' tuoi mi trova,
che
più di me sia del viaggio esperto;
che
io non posso durar: tanto ho il cor vago
di
far battaglia contro a questo mago. -
-
Non ti mancherà guida (le rispose
Brunello
allora), e ne verrò teco io:
meco
ho la strada in scritto, ed altre cose
che
ti faran piacere il venir mio. -
Volse
dir de l'annel; ma non l'espose,
né
chiarì più, per non pagarne il fio.
-
Grato mi fia (disse ella) il venir tuo; -
volendo
dir che indi l'annel fia suo.
Quel
che era utile a dir disse; e quel tacque,
che
nuocer le potea col Saracino.
Avea
l'oste un destrier che a costei piacque,
che
era buon da battaglia e da camino:
comperollo
e partissi come nacque
del
bel giorno seguente il matutino.
Prese
la via per una stretta valle,
con
Brunello ora inanzi, ora alle spalle.
Di
monte in monte e d'uno in altro bosco
giunsero
ove l'altezza di Pirene
può
dimostrar, se non è l'aer fosco,
e
Francia e Spagna e due diverse arene,
come
Apennin scopre il mar schiavo e il tosco
del
giogo onde a Camaldoli si viene.
Quindi
per aspro e faticoso calle
si
discendea ne la profonda valle.
Vi
sorge in mezzo un sasso che la cima
d'un
bel muro d'acciar tutta si fascia;
e
quella tanto inverso il ciel sublima,
che
quanto ha intorno, inferior si lascia.
Non
faccia, chi non vola, andarvi stima;
che
spesa indarno vi saria ogni ambascia.
Brunel
disse: - Ecco dove prigionieri
il
mago tien le donne e i cavallieri. -
Da
quattro canti era tagliato, e tale
che
parea dritto a fil de la sinopia.
Da
nessun lato né sentier né scale
v'eran,
che di salir facesser copia:
e
ben appar che d'animal che abbia ale
sia
quella stanza nido e tana propia.
Quivi
la donna esser conosce l'ora
di
tor l'annello, e far che Brunel mora.
Ma
le par atto vile a insaguinarsi
d'un
uom senza arme e di sì ignobil sorte;
che
ben potrà posseditrice farsi
del
ricco annello, e lui non porre a morte.
Brunel
non avea mente a riguardarsi;
sì
che ella il prese, e lo legò ben forte
ad
uno abete che alta avea la cima:
ma
di dito l'annel gli trasse prima.
Né
per lacrime, gemiti o lamenti
che
facesse Brunel, lo volse sciorre.
Smontò
de la montagna a passi lenti,
tanto
che fu nel pian sotto la torre.
E
perché alla battaglia s'appresenti
il
negromante, al corno suo ricorre:
e
dopo il suon, con minacciose grida
lo
chiama al campo, ed alla pugna il sfida.
Non
stette molto a uscir fuor de la porta
l'incantator,
che udì il suono e la voce.
L'alato
corridor per l'aria il porta
contra
costei, che sembra uomo feroce.
La
donna da principio si conforta;
che
vede che colui poco le nuoce:
non
porta lancia né spada né mazza,
che
a forar l'abbia o romper la corazza.
Da
la sinistra sol lo scudo avea,
tutto
coperto di seta vermiglia;
ne
la man destra un libro, onde facea
nascer,
leggendo, l'alta maraviglia:
che
la lancia talor correr parea,
e
fatto avea a più d'un batter le ciglia;
talor
parea ferir con mazza o stocco,
e
lontano era, e non avea alcun tocco.
Non
è finto il destrier, ma naturale,
che
una giumenta generò d'un Grifo:
simile
al padre avea la piuma e l'ale,
li
piedi anteriori, il capo e il grifo;
in
tutte l'altre membra parea quale
era
la madre, e chiamasi ippogrifo;
che
nei monti Rifei vengon, ma rari,
molto
di là dagli aghiacciati mari.
Quivi
per forza lo tirò d'incanto;
e
poi che l'ebbe, ad altro non attese,
e
con studio e fatica operò tanto,
che
a sella e briglia il cavalcò in un mese:
così
che in terra e in aria e in ogni canto
lo
facea volteggiar senza contese.
Non
finzion d'incanto, come il resto,
ma
vero e natural si vedea questo.
Del
mago ogn'altra cosa era figmento,
che
comparir facea pel rosso il giallo;
ma
con la donna non fu di momento,
che
per l'annel non può vedere in fallo.
Più
colpi tuttavia diserra al vento,
e
quinci e quindi spinge il suo cavallo;
e
si dibatte e si travaglia tutta,
come
era, inanzi che venisse, istrutta.
E
poi che esercitata si fu alquanto
sopra
il destrier, smontar volse anco a piede,
per
poter meglio al fin venir di quanto
la
cauta maga istruzion le diede.
Il
mago vien per far l'estremo incanto;
che
del fatto ripar né sa né crede:
scuopre
lo scudo, e certo si prosume
farla
cader con l'incantato lume.
Potea
così scoprirlo al primo tratto,
senza
tenere i cavallieri a bada;
ma
gli piacea veder qualche bel tratto
di
correr l'asta o di girar la spada:
come
si vede che all'astuto gatto
scherzar
col topo alcuna volta aggrada;
e
poi che quel piacer gli viene a noia,
dargli
di morso, e al fin voler che muoia.
Dico
che il mago al gatto, e gli altri al topo
s'assimigliar
ne le battaglie dianzi;
ma
non s'assimigliar già così, dopo
che
con l'annel si fe' la donna inanzi.
Attenta
e fissa stava a quel che era uopo,
acciò
che nulla seco il mago avanzi;
e
come vide che lo scudo aperse,
chiuse
gli occhi, e lasciò quivi caderse.
Non
che il fulgor del lucido metallo,
come
soleva agli altri, a lei nocesse;
ma
così fece acciò che dal cavallo
contra
sé il vano incantator scendesse:
né
parte andò del suo disegno in fallo;
che
tosto che ella il capo in terra messe,
accelerando
il volator le penne,
con
larghe ruote in terra a por si venne.
Lascia
all'arcion lo scudo, che già posto
avea
ne la coperta, e a piè discende
verso
la donna che, come reposto
lupo
alla macchia il capriolo, attende.
Senza
più indugio ella si leva tosto
che
l'ha vicino, e ben stretto lo prende.
Avea
lasciato quel misero in terra
il
libro che facea tutta la guerra:
e
con una catena ne correa,
che
solea portar cinta a simil uso;
perché
non men legar colei credea,
che
per adietro altri legare era uso.
La
donna in terra posto già l'avea:
se
quel non si difese, io ben l'escuso;
che
troppo era la cosa differente
tra
un debol vecchio e lei tanto possente.
Disegnando
levargli ella la testa,
alza
la man vittoriosa in fretta;
ma
poi che il viso mira, il colpo arresta,
quasi
sdegnando sì bassa vendetta:
un
venerabil vecchio in faccia mesta
vede
esser quel che ella ha giunto alla stretta,
che
mostra al viso crespo e al pelo bianco,
età
di settanta anni o poco manco.
-
Tommi la vita, giovene, per Dio, -
dicea
il vecchio pien d'ira e di dispetto;
ma
quella a torla avea sì il cor restio,
come
quel di lasciarla avria diletto.
La
donna di sapere ebbe disio
chi
fosse il negromante, ed a che effetto
edificasse
in quel luogo selvaggio
la
rocca, e faccia a tutto il mondo oltraggio.
-
Né per maligna intenzione, ahi lasso!
(disse
piangendo il vecchio incantatore)
feci
la bella rocca in cima al sasso,
né
per avidità son rubatore;
ma
per ritrar sol dall'estremo passo
un
cavallier gentil, mi mosse amore,
che,
come il ciel mi mostra, in tempo breve
morir
cristiano a tradimento deve.
Non
vede il sol tra questo e il polo austrino
un
giovene sì bello e sì prestante:
Ruggiero
ha nome, il qual da piccolino
da
me nutrito fu, che io sono Atlante.
Disio
d'onore e suo fiero destino
l'han
tratto in Francia dietro al re Agramante;
ed
io, che l'amai sempre più che figlio,
lo
cerco trar di Francia e di periglio.
La
bella rocca solo edificai
per
tenervi Ruggier sicuramente,
che
preso fu da me, come sperai
che
fossi oggi tu preso similmente;
e
donne e cavallier, che tu vedrai,
poi
ci ho ridotti, ed altra nobil gente,
acciò
che quando a voglia sua non esca,
avendo
compagnia, men gli rincresca.
Pur
che uscir di là su non si domande,
d'ogn'altro
gaudio lor cura mi tocca;
che
quanto averne da tutte le bande
si
può del mondo, è tutto in quella rocca:
suoni,
canti, vestir, giuochi, vivande,
quanto
può cor pensar, può chieder bocca.
Ben
seminato avea, ben cogliea il frutto;
ma
tu sei giunto a disturbarmi il tutto.
Deh,
se non hai del viso il cor men bello,
non
impedir il mio consiglio onesto!
Piglia
lo scudo (che io tel dono) e quello
destrier
che va per l'aria così presto;
e
non t'impacciar oltra nel castello,
o
tranne uno o duo amici, e lascia il resto;
o
tranne tutti gli altri, e più non chero,
se
non che tu mi lasci il mio Ruggiero.
E
se disposto sei volermel torre,
deh,
prima almen che tu il rimeni in Francia,
piacciati
questa afflitta anima sciorre
de
la sua scorza ormai pntrida e rancia! -
Rispose
la donzella: - Lui vo' porre
in
libertà: tu, se sai, gracchia e ciancia;
né
mi offerir di dar lo scudo in dono,
o
quel destrier, che miei, non più tuoi sono:
né
s'anco stesse a te di torre e darli,
mi
parrebbe che il cambio convenisse.
Tu
dio che Ruggier tieni per vietarli
il
male influsso di sue stelle fisse.
O
che non puoi saperlo, o non schivarli,
sappiendol,
ciò che il ciel di lui prescrisse:
ma
se il mal tuo, c'hai sì vicin, non vedi,
peggio
l'altrui c'ha da venir prevedi.
Non
pregar che io t'uccida, che i tuoi preghi
sariano
indarno; e se pur vuoi la morte,
ancor
che tutto il mondo dar la nieghi,
da
sé la può aver sempre animo forte.
Ma
pria che l'alma da la carne sleghi,
a
tutti i tuoi prigioni apri le porte. -
Così
dice la donna, e tuttavia
il
mago preso incontra al sasso invia.
Legato
de la sua propria catena
andava
Atlante, e la donzella appresso,
che
così ancor se ne fidava a pena,
ben
che in vista parea tutto rimesso.
Non
molti passi dietro se la mena,
che
a piè del monte han ritrovato il fesso,
e
li scaglioni onde si monta in giro,
fin
che alla porta del castel saliro.
Di
su la soglia Atlante un sasso tolle,
di
caratteri e strani segni isculto.
Sotto,
vasi vi son, che chiamano olle,
che
fuman sempre, e dentro han foco occulto.
L'incantator
le spezza; e a un tratto il colle
riman
deserto, inospite ed inculto;
né
muro appar né torre in alcun lato,
come
se mai castel non vi sia stato.
Sbrigossi
de la donna il mago alora,
come
fa spesso il tordo da la ragna;
e
con lui sparve il suo castello a un'ora,
e
lasciò in libertà quella compagna.
Le
donne e i cavallier si trovar fuora
de
le superbe stanze alla campagna:
e
furon di lor molte a chi ne dolse;
che
tal franchezza un gran piacer lor tolse.
Quivi
è Gradasso, quivi è Sacripante,
quivi
è Prasildo, il nobil cavalliero
che
con Rinaldo venne di Levante,
e
seco Iroldo, il par d'amici vero.
Al
fin trovò la bella Bradamante
quivi
il desiderato suo Ruggiero,
che,
poi che n'ebbe certa conoscenza,
le
fe' buona e gratissima accoglienza;
come
a colei che più che gli occhi sui,
più
che il suo cor, più che la propria vita
Ruggiero
amò dal dì che essa per lui
si
trasse l'elmo, onde ne fu ferita.
Lungo
sarebbe a dir come, e da cui,
e
quanto ne la selva aspra e romita
si
cercar poi la notte e il giorno chiaro;
né,
se non qui, mai più si ritrovaro.
Or
che quivi la vede, e sa ben che ella
è
stata sola la sua redentrice,
di
tanto gaudio ha pieno il cor, che appella
sé
fortunato ed unico felice.
Scesero
il monte, e dismontaro in quella
valle,
ove fu la donna vincitrice,
e
dove l'ippogrifo trovaro anco,
che
avea lo scudo, ma coperto, al fianco.
La
donna va per prenderlo nel freno:
e
quel l'aspetta fin che se gli accosta;
poi
spiega l'ale per l'aer sereno,
e
si ripon non lungi a mezza costa.
Ella
lo segue: e quel né più né meno
si
leva in aria, e non troppo si scosta;
come
fa la cornacchia in secca arena,
che
dietro il cane or qua or là si mena.
Ruggier,
Gradasso, Sacripante, e tutti
quei
cavallier che scesi erano insieme,
chi
di sù, chi di giù, si son ridutti
dove
che torni il volatore han speme.
Quel,
poi che gli altri invano ebbe condutti
più
volte e sopra le cime supreme
e
negli umidi fondi tra quei sassi,
presso
a Ruggiero al fin ritenne i passi.
E
questa opera fu del vecchio Atlante,
di
cui non cessa la pietosa voglia
di
trar Rugier del gran periglio instante:
di
ciò sol pensa e di ciò solo ha doglia.
Però
gli manda or l'ippogrifo avante,
perché
d'Europa con questa arte il toglia.
Ruggier
lo piglia, e seco pensa trarlo;
ma
quel s'arretra, e non vuol seguitarlo.
Or
di Frontin quel animoso smonta
(Frontino
era nomato il suo destriero),
e
sopra quel che va per l'aria monta,
e
con li spron gli adizza il core altiero.
Quel
corre alquanto, ed indi i piedi ponta,
e
sale inverso il ciel, via più leggiero
che
il girifalco, a cui lieva il capello
il
mastro a tempo, e fa veder l'augello.
La
bella donna, che sì in alto vede
e
con tanto periglio il suo Ruggiero,
resta
attonita in modo, che non riede
per
lungo spazio al sentimento vero.
Ciò
che già inteso avea di Ganimede
che
al ciel fu assunto dal paterno impero,
dubita
assai che non accada a quello,
non
men gentil di Ganimede e bello.
Con
gli occhi fissi al ciel lo segue quanto
basta
il veder; ma poi che si dilegua
sì,
che la vista non può correr tanto,
lascia
che sempre l'animo lo segua.
Tuttavia
con sospir, gemito e pianto
non
ha, né vuol aver pace né triegua.
Poi
che Ruggier di vista se le tolse,
al
buon destrier Frontin gli occhi rivolse:
e
si deliberò di non lasciarlo,
che
fosse in preda a chi venisse prima;
ma
di condurlo seco e di poi darlo
al
suo signor, che anco veder pur stima.
Poggia
l'augel, né può Ruggier frenarlo:
di
sotto rimaner vede ogni cima
ed
abbassarsi in guisa, che non scorge
dove
è piano il terren né dove sorge.
Poi
che sì ad alto vien, che un picciol punto
lo
può stimar chi da la terra il mira,
prende
la via verso ove cade a punto
il
sol, quando col Granchio si raggira,
e
per l'aria ne va come legno unto
a
cui nel mar propizio vento spira.
Lasciamlo
andar, che farà buon camino,
e
torniamo a Rinaldo paladino.
Rinaldo
l'altro e l'altro giorno scorse,
spinto
dal vento, un gran spazio di mare,
quando
a ponente e quando contra l'Orse,
che
notte e dì non cessa mai soffiare.
Sopra
la Scozia ultimamente sorse,
dove
la selva Calidonia appare,
che
spesso fra gli antiqui ombrosi cerri
s'ode
sonar di bellicosi ferri.
Vanno
per quella i cavallieri erranti,
incliti
in arme, di tutta Bretagna,
e
de' prossimi luoghi e de' distanti,
di
Francia, di Norvegia e de Lamagna.
Chi
non ha gran valor, non vada inanti;
che
dove cerca onor, morte guadagna.
Gran
cose in essa già fece Tristano,
Lancillotto,
Galasso, Artù e Galvano,
ed
altri cavallieri e de la nuova
e
de la vecchia Tavola famosi:
restano
ancor di più d'una lor pruova
li
monumenti e li trofei pomposi.
L'arme
Rinaldo e il suo Baiardo truova,
e
tosto si fa por nei liti ombrosi,
ed
al nochier comanda che si spicche
e
lo vada aspettar a Beroicche.
Senza
scudiero e senza compagnia
va
il cavallier per quella selva immensa,
facendo
or una ed or un'altra via,
dove
più aver strane aventure pensa.
Capitò
il primo giorno a una badia,
che
buona parte del suo aver dispensa
in
onorar nel suo cenobio adorno
le
donne i cavallier che vanno attorno.
Bella
accoglienza i monachi e l'abbate
fero
a Rinaldo, il qual domandò loro
(non
prima già che con vivande grate
avesse
avuto il ventre amplo ristoro)
come
dai cavallier sien ritrovate
spesso
aventure per quel tenitoro,
dove
si possa in qualche fatto eggregio
l'uom
dimostrar, se merta biasmo o pregio.
Risposongli
che errando in quelli boschi,
trovar
potria strane aventure e molte:
ma
come i luoghi, i fatti ancor son foschi;
che
non se n'ha notizia le più volte.
-
Cerca (diceano) andar dove conoschi
che
l'opre tue non restino sepolte,
acciò
dietro al periglio e alla fatica
segua
la fama, e il debito ne dica.
E
se del tuo valor cerchi far prova,
t'è
preparata la più degna impresa
che
ne l'antiqua etade o ne la nova
giamai
da cavallier sia stata presa.
La
figlia del re nostro or si ritrova
bisognosa
d'aiuto e di difesa
contra
un baron che Lurcanio si chiama,
che
tor le cerca e la vita e la fama.
Questo
Lurcanio al padre l'ha accusata
(forse
per odio più che per ragione)
averla
a mezza notte ritrovata
trarr'un
suo amante a sé sopra un verrone.
Per
le leggi del regno condannata
al
foco fia, se non truova campione
che
fra un mese, oggimai presso a finire,
l'iniquo
accusator faccia mentire.
L'aspra
legge di Scozia, empia e severa,
vuol
che ogni donna, e di ciascuna sorte,
che
ad uomo si giunga, e non gli sia mogliera,
s'accusata
ne viene, abbia la morte.
Né
riparar si può che ella non pera,
quando
per lei non venga un guerrier forte
che
tolga la difesa, e che sostegna
che
sia innocente e di morire indegna.
Il
re, dolente per Ginevra bella
(che
così nominata è la sua figlia),
ha
publicato per città e castella,
che
s'alcun la difesa di lei piglia,
e
che l'estingua la calunnia fella
(pur
che sia nato di nobil famiglia),
l'avrà
per moglie, ed uno stato, quale
fia
convenevol dote a donna tale.
Ma
se fra un mese alcun per lei non viene,
o
venendo non vince, sarà uccisa.
Simile
impresa meglio ti conviene,
che
andar pei boschi errando a questa guisa:
oltre
che onor e fama te n'aviene
che
in eterno da te non fia divisa,
guadagni
il fior di quante belle donne
da
l'Indo sono all'Atlantee colonne;
e
una ricchezza appresso, ed uno stato
che
sempre far ti può viver contento;
e
la grazia del re, se suscitato
per
te gli fia il suo onor, che è quasi spento.
Poi
per cavalleria tu se' ubligato
a
vendicar di tanto tradimento
costei,
che per commune opinione,
di
vera pudicizia è un paragone. -
Pensò
Rinaldo alquanto, e poi rispose:
-
Una donzella dunque dè' morire
perché
lasciò sfogar ne l'amorose
sue
braccia al suo amator tanto desire?
Sia
maladetto chi tal legge pose,
e
maladetto chi la può patire!
Debitamente
muore una crudele,
non
chi dà vita al suo amator fedele.
Sia
vero o falso che Ginevra tolto
s'abbia
il suo amante, io non riguardo a questo:
d'averlo
fatto la loderei molto,
quando
non fosse stato manifesto.
Ho
in sua difesa ogni pensier rivolto:
datemi
pur un che mi guidi presto,
e
dove sia l'accusator mi mene;
che
io spero in Dio Ginevra trar di pene.
Non
vo' già dir che ella non l'abbia fatto;
che
nol sappiendo, il falso dir potrei:
dirò
ben che non de' per simil atto
punizion
cadere alcuna in lei;
e
dirò che fu ingiusto o che fu matto
chi
fece prima gli statuti rei;
e
come iniqui rivocar si denno,
e
nuova legge far con miglior senno.
S'un
medesimo ardor, s'un disir pare
inchina
e sforza l'uno e l'altro sesso
a
quel suave fin d'amor, che pare
all'ignorante
vulgo un grave eccesso;
perché
si de' punir donna o biasmare,
che
con uno o più d'uno abbia commesso
quel
che l'uom fa con quante n'ha appetito,
e
lodato ne va, non che impunito?
Son
fatti in questa legge disuguale
veramente
alle donne espressi torti;
e
spero in Dio mostrar che gli è gran male
che
tanto lungamente si comporti. -
Rinaldo
ebbe il consenso universale,
che
fur gli antiqui ingiusti e male accorti,
che
consentiro a così iniqua legge,
e
mal fa il re, che può, né la corregge.
Poi
che la luce candida e vermiglia
de
l'altro giorno aperse l'emispero,
Rinaldo
l'arme e il suo Baiardo piglia,
e
di quella badia tolle un scudiero,
che
con lui viene a molte leghe e miglia,
sempre
nel bosco orribilmente fiero,
verso
la terra ove la lite nuova
de
la donzella de' venir in pruova.
Avean,
cercando abbreviar camino,
lasciato
pel sentier la maggior via;
quando
un gran pianto udir sonar vicino,
che
la foresta d'ogn'intorno empìa.
Baiardo
spinse l'un, l'altro il ronzino
verso
una valle, onde quel grido uscìa:
e
fra dui mascalzoni una donzella
vider,
che di lontan parea assai bella;
ma
lacrimosa e addolorata quanto
donna
o donzella o mai persona fosse.
Le
sono dui col ferro nudo a canto,
per
farle far l'erbe di sangue rosse.
Ella
con preghi differendo alquanto
giva
il morir, sin che pietà si mosse.
Venne
Rinaldo; e come se n'accorse,
con
alti gridi e gran minacce accorse.
Voltaro
i malandrin tosto le spalle,
che
il soccorso lontan vider venire,
e
se appiattar ne la profonda valle.
Il
paladin non li curò seguire:
venne
a la donna, e qual gran colpa dàlle
tanta
punizion, cerca d'udire;
e
per tempo avanzar, fa allo scudiero
levarla
in groppa, e torna al suo sentiero.
E
cavalcando poi meglio la guata
molto
esser bella e di maniere accorte,
ancor
che fosse tutta spaventata
per
la paura che ebbe de la morte.
Poi
che ella fu di nuovo domandata
chi
l'avea tratta a sì infelice sorte,
incominciò
con umil voce a dire
quel
che io vo' all'altro canto differire.
CANTO
QUINTO
Tutti
gli altri animai che sono in terra,
o
che vivon quieti e stanno in pace,
o
se vengono a rissa e si fan guerra,
alla
femina il maschio non la face:
l'orsa
con l'orso al bosco sicura erra,
la
leonessa appresso il leon giace;
col
lupo vive la lupa sicura,
né
la iuvenca ha del torel paura.
Che
abominevol peste, che Megera
è
venuta a turbar gli umani petti?
che
si sente il marito e la mogliera
sempre
garrir d'ingiuriosi detti,
stracciar
la faccia e far livida e nera,
bagnar
di pianto i geniali letti;
e
non di pianto sol, ma alcuna volta
di
sangue gli ha bagnati l'ira stolta.
Parmi
non sol gran mal, ma che l'uom faccia
contra
natura e sia di Dio ribello,
che
s'induce a percuotere la faccia
di
bella donna, o romperle un capello:
ma
chi le dà veneno, o chi le caccia
l'alma
del corpo con laccio o coltello,
che
uomo sia quel non crederò in eterno,
ma
in vista umana uno spirto de l'inferno.
Cotali
esser doveano i duo ladroni
che
Rinaldo cacciò da la donzella,
da
lor condotta in quei scuri valloni
perché
non se n'udisse più novella.
Io
lasciai che ella render le cagioni
s'apparechiava
di sua sorte fella
al
paladin, che le fu buono amico:
or,
seguendo l'istoria, così dico.
La
donna incominciò: - Tu intenderai
la
maggior crudeltade e la più espressa,
che
in Tebe e in Argo o che in Micene mai,
o
in loco più crudel fosse commessa.
E
se rotando il sole i chiari rai,
qui
men che all'altre region s'appressa,
credo
che a noi malvolentieri arrivi,
perché
veder sì crudel gente schivi.
Che
agli nemici gli uomini sien crudi,
in
ogni età se n'è veduto esempio;
ma
dar la morte a chi procuri e studi
il
tuo ben sempre, è troppo ingiusto ed empio.
E
acciò che meglio il vero io ti denudi,
perché
costor volessero far scempio
degli
anni verdi miei contra ragione,
ti
dirò da principio ogni cagione.
Voglio
che sappi, signor mio, che essendo
tenera
ancora, alli servigi venni
de
la figlia del re, con cui crescendo,
buon
luogo in corte ed onorato tenni.
Crudele
Amore, al mio stato invidendo,
fe'
che seguace, ahi lassa! gli divenni:
fe'
d'ogni cavallier, d'ogni donzello
parermi
il duca d'Albania più bello.
Perché
egli mostrò amarmi più che molto,
io
ad amar lui con tutto il cor mi mossi.
Ben
s'ode il ragionar, si vede il volto,
ma
dentro il petto mal giudicar possi.
Credendo,
amando, non cessai che tolto
l'ebbi
nel letto, e non guardai che io fossi
di
tutte le real camere in quella
che
più secreta avea Ginevra bella;
dove
tenea le sue cose più care,
e
dove le più volte ella dormia.
Si
può di quella in s'un verrone entrare,
che
fuor del muro al discoperto uscìa.
Io
facea il mio amator quivi montare;
e
la scala di corde onde salia
io
stessa dal verron giù gli mandai
qual
volta meco aver lo desiai:
che
tante volte ve lo fei venire,
quante
Ginevra me ne diede l'agio,
che
solea mutar letto, or per fuggire
il
tempo ardente, or il brumal malvagio.
Non
fu veduto d'alcun mai salire;
però
che quella parte del palagio
risponde
verso alcune case rotte,
dove
nessun mai passa o giorno o notte.
Continuò
per molti giorni e mesi
tra
noi secreto l'amoroso gioco:
sempre
crebbe l'amore; e sì m'accesi,
che
tutta dentro io mi sentia di foco:
e
cieca ne fui sì, che io non compresi
che
egli fingeva molto, e amava poco;
ancor
che li suo' inganni discoperti
esser
doveanmi a mille segni certi.
Dopo
alcun dì si mostrò nuovo amante
de
la bella Ginevra. Io non so appunto
s'allora
cominciasse, o pur inante
de
l'amor mio, n'avesse il cor già punto.
Vedi
s'in me venuto era arrogante,
s'imperio
nel mio cor s'aveva assunto;
che
mi scoperse, e non ebbe rossore
chiedermi
aiuto in questo nuovo amore.
Ben
mi dicea che uguale al mio non era,
né
vero amor quel che egli avea a costei;
ma
simulando esserne acceso, spera
celebrarne
i legitimi imenei.
Dal
re ottenerla fia cosa leggiera,
qualor
vi sia la volontà di lei;
che
di sangue e di stato in tutto il regno
non
era, dopo il re, di lu' il più degno.
Mi
persuade, se per opra mia
potesse
al suo signor genero farsi
(che
veder posso che se n'alzeria
a
quanto presso al re possa uomo alzarsi),
che
me n'avria buon merto, e non saria
mai
tanto beneficio per scordarsi;
e
che alla moglie e che ad ogni altro inante
mi
porrebbe egli in sempre essermi amante.
Io,
che era tutta a satisfargli intenta,
né
seppi o volsi contradirgli mai,
e
sol quei giorni io mi vidi contenta,
che
averlo compiaciuto mi trovai;
piglio
l'occasion che s'appresenta
di
parlar d'esso e di lodarlo assai;
ed
ogni industria adopro, ogni fatica,
per
far del mio amator Ginevra amica.
Feci
col core e con l'effetto tutto
quel
che far si poteva, e sallo Idio;
né
con Ginevra mai potei far frutto,
che
io le ponessi in grazia il duca mio:
e
questo, che ad amar ella avea indutto
tutto
il pensiero e tutto il suo disio
un
gentil cavallier, bello e cortese,
venuto
in Scozia di lontan paese;
che
con un suo fratel ben giovinetto
venne
d'Italia a stare in questa corte;
si
fe' ne l'arme poi tanto perfetto,
che
la Bretagna non avea il più forte.
Il
re l'amava, e ne mostrò l'effetto;
che
gli donò di non picciola sorte
castella
e ville e iurisdizioni,
e
lo fe' grande al par dei gran baroni.
Grato
era al re, più grato era alla figlia
quel
cavallier chiamato Ariodante,
per
esser valoroso a maraviglia;
ma
più, che ella sapea che l'era amante.
Né
Vesuvio, né il monte di Siciglia,
né
Troia avampò mai di fiamme tante,
quanto
ella conoscea che per suo amore
Ariodante
ardea per tutto il core.
L'amar
che dunque ella facea colui
con
cor sincero e con perfetta fede,
fe'
che pel duca male udita fui;
né
mai risposta da sperar mi diede:
anzi
quanto io pregava più per lui
e
gli studiava d'impetrar mercede,
ella,
biasmandol sempre e dispregiando,
se
gli venìa più sempre inimicando.
Io
confortai l'amator mio sovente,
che
volesse lasciar la vana impresa;
né
si sperasse mai volger la mente
di
costei, troppo ad altro amore intesa:
e
gli feci conoscer chiaramente,
come
era sì d'Ariodante accesa,
che
quanta acqua è nel mar, piccola dramma
non
spegneria de la sua immensa fiamma.
Questo
da me più volte Polinesso
(che
così nome ha il duca) avendo udito,
e
ben compreso e visto per se stesso
che
molto male era il suo amor gradito;
non
pur di tanto amor si fu rimesso,
ma
di vedersi un altro preferito,
come
superbo, così mal sofferse,
che
tutto in ira e in odio si converse.
E
tra Ginevra e l'amator suo pensa
tanta
discordia e tanta lite porre,
e
farvi inimicizia così intensa,
che
mai più non si possino comporre;
e
por Ginevra in ignominia immensa,
donde
non s'abbia o viva o morta a torre:
né
de l'iniquo suo disegno meco
volse
o con altri ragionar, che seco.
Fatto
il pensier: - Dalinda mia, - mi dice
(che
così son nomata) - saper dèi,
che
come suol tornar da la radice
arbor
che tronchi e quattro volte e sei;
così
la pertinacia mia infelice,
ben
che sia tronca dai successi rei,
di
germogliar non resta; che venire
pur
vorria a fin di questo suo desire.
E
non lo bramo tanto per diletto,
qnanto
perché vorrei vincer la pruova;
e
non possendo farlo con effetto,
s'io
lo fo imaginando, anco mi giuova.
Voglio,
qual volta tu mi dài ricetto,
quando
allora Ginevra si ritruova
nuda
nel letto, che pigli ogni vesta
che
ella posta abbia, e tutta te ne vesta.
Come
ella s'orna e come il crin dispone
studia
imitarla, e cerca il più che sai
di
parer dessa, e poi sopra il verrone
a
mandar giù la scala ne verrai.
Io
verrò a te con imaginazione
che
quella sii, di cui tu i panni avrai:
e
così spero, me stesso ingannando,
venir
in breve il mio desir sciemando. -
Così
disse egli. Io che divisa e sevra
e
lungi era da me, non posi mente
che
questo in che pregando egli persevra,
era
una fraude pur troppo evidente;
e
dal verron, coi panni di Ginevra,
mandai
la scala onde salì sovente;
e
non m'accorsi prima de l'inganno,
che
n'era già tutto accaduto il danno.
Fatto
in quel tempo con Ariodante
il
duca avea queste parole o tali
(che
grandi amici erano stati inante
che
per Ginevra si fesson rivali):
-
Mi maraviglio (incominciò il mio amante)
che
avendoti io fra tutti li mie' uguali
sempre
avuto in rispetto e sempre amato,
che
io sia da te sì mal rimunerato.
Io
son ben certo che comprendi e sai
di
Ginevra e di me l'antiquo amore;
e
per sposa legittima oggimai
per
impetrarla son dal mio signore.
Perché
mi turbi tu? perché pur vai
senza
frutto in costei ponendo il core?
Io
ben a te rispetto avrei, per Dio,
s'io
nel tuo grado fossi, e tu nel mio. -
-
Ed io (rispose Ariodante a lui)
di
te mi maraviglio maggiormente;
che
di lei prima inamorato fui,
che
tu l'avessi vista solamente:
e
so che sai quanto è l'amor tra nui,
che
esser non può di quel che sia, più ardente;
e
sol d'essermi moglie intende e brama:
e
so che certo sai che ella non t'ama.
Perché
non hai tu dunque a me il rispetto
per
l'amicizia nostra, che domande
che
a te aver debba, e che io t'avre' in effetto,
se
tu fossi con lei di me più grande?
Né
men di te per moglie averla aspetto,
se
ben tu sei più ricco in queste bande:
io
non son meno al re, che tu sia, grato,
ma
più di te da la sua figlia amato. -
-
Oh (disse il duca a lui), grande è cotesto
errore
a che t'ha il folle amor condutto!
Tu
credi esser più amato; io credo questo
medesmo:
ma si può veder al frutto.
Tu
fammi ciò che hai seco, manifesto,
ed
io il secreto mio t'aprirò tutto;
e
quel di noi che manco aver si veggia,
ceda
a chi vince, e d'altro si provveggia.
E
sarò pronto, se tu vuoi che io giuri
di
non dir cosa mai che mi riveli:
così
voglio che ancor tu m'assicuri
che
quel che io ti dirò, sempre mi celi. -
Venner
dunque d'accordo alli scongiuri,
e
poser le man sugli Evangeli:
e
poi che di tacer fede si diero,
Ariodante
incominciò primiero.
E
disse per lo giusto e per lo dritto
come
tra sé e Ginevra era la cosa;
che
ella gli avea giurato e a bocca e in scritto,
che
mai non saria ad altri, che a lui, sposa;
e
se dal re le venìa contraditto,
gli
promettea di sempre esser ritrosa
da
tutti gli altri maritaggi poi,
e
viver sola in tutti i giorni suoi:
e
che esso era in speranza pel valore
che
avea mostrato in arme a più d'un segno,
ed
era per mostrare a laude, a onore,
a
beneficio del re e del suo regno,
di
crescer tanto in grazia al suo signore,
che
sarebbe da lui stimato degno
che
la figliuola sua per moglie avesse,
poi
che piacer a lei così intendesse.
Poi
disse: - A questo termine son io,
né
credo già che alcun mi venga appresso:
né
cerco più di questo, né desio
de
l'amor d'essa aver segno più espresso;
né
più vorrei, se non quanto da Dio
per
connubio legitimo è concesso:
e
saria invano il domandar più inanzi;
che
di bontà so come ogn'altra avanzi. -
Poi
che ebbe il vero Ariodante esposto
de
la mercé che aspetta a sua fatica,
Polinesso,
che già s'avea proposto
di
far Ginevra al suo amator nemica,
cominciò:
- Sei da me molto discosto,
e
vo' che di tua bocca anco tu il dica;
e
del mio ben veduta la radice,
che
confessi me solo esser felice.
Finge
ella teco, né t'ama né prezza;
che
ti pasce di speme e di parole:
oltra
questo, il tuo amor sempre a sciochezza,
quando
meco ragiona, imputar suole.
Io
ben d'esserle caro altra certezza
veduta
n'ho, che di promesse e fole;
e
tel dirò sotto la fé in secreto,
ben
che farei più il debito a star cheto.
Non
passa mese, che tre, quattro e sei
e
talor diece notti io non mi truovi
nudo
abbracciato in quel piacer con lei,
che
all'amoroso ardor par che sì giovi:
sì
che tu puoi veder s'a' piacer miei
son
d'aguagliar le ciance che tu pruovi.
Cedimi
dunque e d'altro ti provedi,
poi
che sì inferior di me ti vedi. -
-
Non ti vo' creder questo (gli rispose
Ariodante),
e certo so che menti;
e
composto fra te t'hai queste cose,
acciò
che da l'impresa io mi spaventi:
ma
perché a lei son troppo ingiuriose,
questo
c'hai detto sostener convienti;
che
non bugiardo sol, ma voglio ancora
che
tu sei traditor mostrarti or ora. -
Soggiunse
il duca: - Non sarebbe onesto
che
noi volessen la battaglia torre
di
quel che t'offerisco manifesto,
quando
ti piaccia, inanzi agli occhi porre. -
Resta
smarrito Ariodante a questo,
e
per l'ossa un tremor freddo gli scorre;
e
se creduto ben gli avesse a pieno,
venìa
sua vita allora allora meno.
Con
cor trafitto e con pallida faccia,
e
con voce tremante e bocca amara
rispose:
- Quando sia che tu mi faccia
veder
quest'aventura tua sì rara,
prometto
di costei lasciar la traccia,
a
te sì liberale, a me sì avara:
ma
che io tel voglia creder non far stima,
s'io
non lo veggio con questi occhi prima. -
-
Quando ne sarà il tempo, avisarotti, -
soggiunse
Polinesso, e dipartisse.
Non
credo che passar più di due notti,
che
ordine fu che il duca a me venisse.
Per
scoccar dunque i lacci che condotti
avea
sì cheti, andò al rivale, e disse
che
s'ascondesse la notte seguente
tra
quelle case ove non sta mai gente:
e
dimostrogli un luogo a dirimpetto
di
quel verrone ove solea salire.
Ariodante
avea preso sospetto
che
lo cercasse far quivi venire,
come
in un luogo dove avesse eletto
di
por gli aguati, e farvelo morire,
sotto
questa finzion, che vuol mostrargli
quel
di Ginevra, che impossibil pargli.
Di
volervi venir prese partito,
ma
in guisa che di lui non sia men forte;
perché
accadendo che fosse assalito,
si
truovi sì, che non tema di morte.
Un
suo fratello avea saggio ed ardito,
iI
più famoso in arme de la corte,
detto
Lurcanio; e avea più cor con esso,
che
se dieci altri avesse avuto appresso.
Seco
chiamollo, e volse che prendesse
l'arme;
e la notte lo menò con lui:
non
che il secreto suo già gli dicesse;
né
l'avria detto ad esso, né ad altrui.
Da
sé lontano un trar di pietra il messe:
-
Se mi senti chiamar, vien (disse) a nui;
ma
se non senti, prima che io ti chiami,
non
ti partir di qui, frate, se m'ami. -
-
Va pur, non dubitar, - disse il fratello:
e
così venne Ariodanle cheto,
e
si celò nel solitario ostello
che
era d'incontro al mio verron secreto.
Vien
d'altra parte il fraudolente e fello,
che
d'infamar Ginevra era sì lieto;
e
fa il segno, tra noi solito inante,
a
me che de l'inganno era ignorante.
Ed
io con veste candida, e fregiata
per
mezzo a liste d'oro e d'ogn'intorno,
e
con rete pur d'or, tutta adombrata
di
bei fiocchi vermigli al capo intorno
(foggia
che sol fu da Ginevra usata,
non
d'alcun'altra), udito il segno, torno
sopra
il verron, che in modo era locato,
che
mi scopria dinanzi e d'ogni lato.
Lurcanio
in questo mezzo dubitando
che
il fratello a pericolo non vada,
o
come è pur commun disio, cercando
di
spiar sempre ciò che ad altri accada;
l'era
pian pian venuto seguitando,
tenendo
l'ombre e la più oscura strada:
e
a men di dieci passi a lui discosto,
nel
medesimo ostel s'era riposto.
Non
sappiendo io di questo cosa alcuna,
venni
al verron ne l'abito c'ho detto,
sì
come già venuta era più d'una
e
più di due fiate a buono effetto.
Le
veste si vedean chiare alla luna;
né
dissimile essendo anche io d'aspetto
né
di persona da Ginevra molto,
fece
parere un per un altro il volto:
e
tanto più, che era gran spazio in mezzo
fra
dove io venni a quelle inculte case
ai
dui fratelli, che stavano al rezzo,
il
duca agevolmente persuase
quel
che era falso. Or pensa in che ribrezzo
Ariodante,
in che dolor rimase.
Vien
Polinesso, e alla scala s'appoggia
che
giù manda'gli, e monta in su la loggia.
A
prima giunta io gli getto le braccia
al
collo, che io non penso esser veduta;
lo
bacio in bocca e per tutta la faccia,
come
far soglio ad ogni sua venuta.
Egli
più de l'usato si procaccia
d'accarezzarmi,
e la sua fraude aiuta.
Quell'altro
al rio spettacolo condutto,
misero
sta lontano, e vede il tutto.
Cade
in tanto dolor, che si dispone
allora
allora di voler morire:
e
il pome de la spada in terra pone,
che
su la punta si volea ferire.
Lurcanio
che con grande ammirazione
avea
veduto il duca a me salire,
ma
non già conosciuto chi si fosse,
scorgendo
l'atto del fratel, si mosse;
e
gli vietò che con la propria mano
non
si passasse in quel furore il petto.
S'era
più tardo o poco più lontano,
non
giugnea a tempo, e non faceva effetto.
-
Ah misero fratel, fratello insano
(gridò),
perc'hai perduto l'intelletto,
che
una femina a morte trar ti debbia?
che
ir possan tutte come al vento nebbia!
Cerca
far morir lei, che morir merta,
e
serva a più tuo onor tu la tua morte.
Fu
d'amar lei, quando non t'era aperta
la
fraude sua: or è da odiar ben forte,
poi
che con gli occhi tuoi tu vedi certa,
quanto
sia meretrice, e di che sorte.
Serbi
quest'arme che volti in te stesso,
a
far dinanzi al re tal fallo espresso. -
Quando
si vede Ariodante giunto
sopra
il fratel, la dura impresa lascia;
ma
la sua intenzion da quel che assunto
avea
già di morir, poco s'accascia.
Quindi
si leva, e porta non che punto,
ma
trapassato il cor d'estrema ambascia;
pur
finge col fratel, che quel furore
non
abbia più, che dianzi avea nel core.
Il
seguente matin, senza far motto
al
suo fratello o ad altri, in via si messe
da
la mortal disperazion condotto;
né
di lui per più dì fu chi sapesse.
Fuor
che il duca e il fratello, ogn'altro indotto
era
chi mosso al dipartir l'avesse.
Ne
la casa del re di lui diversi
ragionamenti
e in tutta Scozia fersi.
In
capo d'otto o di più giorni in corte
venne
inanzi a Ginevra un viandante,
e
novelle arrecò di mala sorte:
che
s'era in mar summerso Ariodante
di
volontaria sua libera morte,
non
per colpa di borea o di levante.
D'un
sasso che sul mar sporgea molt'alto
avea
col capo in giù preso un gran salto.
Colui
dicea: - Pria che venisse a questo,
a
me che a caso riscontrò per via,
disse:
- Vien meco, acciò che manifesto
per
te a Ginevra il mio successo sia;
e
dille poi, che la cagion del resto
che
tu vedrai di me, che or ora fia,
è
stato sol perc'ho troppo veduto:
felice,
se senza occhi io fussi suto! -
Eramo
a caso sopra Capobasso,
che
verso Irlanda alquanto sporge in mare.
Così
dicendo, di cima d'un sasso
lo
vidi a capo in giù sott'acqua andare.
Io
lo lasciai nel mare, ed a gran passo
ti
son venuto la nuova a portare. -
Ginevra,
sbigottita e in viso smorta,
rimase
a quello annunzio mezza morta.
Oh
Dio, che disse e fece, poi che sola
si
ritrovò nel suo fidato letto!
percosse
il seno, e si stracciò la stola,
e
fece all'aureo crin danno e dispetto;
ripetendo
sovente la parola
che
Ariodante avea in estremo detto:
che
la cagion del suo caso empio e tristo
tutta
venìa per aver troppo visto.
Il
rumor scorse di costui per tutto,
che
per dolor s'avea dato la morte.
Di
questo il re non tenne il viso asciutto,
né
cavallier né donna de la corte.
Di
tutti il suo fratel mostrò più lutto;
e
si sommerse nel dolor sì forte,
che
ad esempio di lui, contra se stesso
voltò
quasi la man per irgli appresso.
E
molte volte ripetendo seco,
che
fu Ginevra che il fratel gli estinse,
e
che non fu se non quell'atto bieco
che
di lei vide, che a morir lo spinse;
di
voler vendicarsene sì cieco
venne,
e sì l'ira e sì il dolor lo vinse,
che
di perder la grazia vilipese,
ed
aver l'odio del re e del paese.
E
inanzi al re, quando era più di gente
la
sala piena, se ne venne, e disse:
-
Sappi, signor, che di levar la mente
al
mio fratel, sì che a morir ne gisse,
stata
è la figlia tua sola nocente;
che
a lui tanto dolor l'alma trafisse
d'aver
veduta lei poco pudica,
che
più che vita ebbe la morte amica.
Erane
amante, e perché le sue voglie
disoneste
non fur, nol vo' coprire:
per
virtù meritarla aver per moglie
da
te sperava e per fedel servire;
ma
mentre il lasso ad odorar le foglie
stava
lontano, altrui vide salire,
salir
su l'arbor riserbato, e tutto
essergli
tolto il disiato frutto. -
E
seguitò, come egli avea veduto
venir
Ginevra sul verrone, e come
mandò
la scala, onde era a lei venuto
un
drudo suo, di chi egli non sa il nome,
che
s'avea, per non esser conosciuto,
cambiati
i panni e nascose le chiome.
Soggiunse
che con l'arme egli volea
provar
tutto esser ver ciò che dicea.
Tu
puoi pensar se il padre addolorato
riman,
quando accusar sente la figlia;
sì
perché ode di lei quel che pensato
mai
non avrebbe, e n'ha gran maraviglia;
sì
perché sa che fia necessitato
(se
la difesa alcun guerrier non piglia,
il
qual Lurcanio possa far mentire)
di
condannarla e di farla morire.
Io
non credo, signor, che ti sia nuova
la
legge nostra che condanna a morte
ogni
donna e donzella, che si pruova
di
sé far copia altrui che al suo consorte.
Morta
ne vien, s'in un mese non truova
in
sua difesa un cavallier sì forte,
che
contra il falso accusator sostegna
che
sia innocente e di morire indegna.
Ha
fatto il re bandir, per liberarla
(che
pur gli par che a torto sia accusata),
che
vuol per moglie e con gran dote darla
a
chi torrà l'infamia che l'è data.
Chi
per lei comparisca non si parla
guerriero
ancora, anzi l'un l'altro guata;
che
quel Lurcanio in arme è così fiero,
che
par che di lui tema ogni guerriero.
Atteso
ha l'empia sorte, che Zerbino,
fratel
di lei, nel regno non si truove;
che
va già molti mesi peregrino,
mostrando
di sé in arme inclite pruove:
che
quando si trovasse più vicino
quel
cavallier gagliardo, o in luogo dove
potesse
avere a tempo la novella,
non
mancheria d'aiuto alla sorella.
Il
re, che intanto cerca di sapere
per
altra pruova, che per arme, ancora,
se
sono queste accuse o false o vere,
se
dritto o torto è che sua figlia mora;
ha
fatto prender certe cameriere
che
lo dovrian saper, se vero fôra:
ond'io
previdi, che se presa era io,
troppo
periglio era del duca e mio.
E
la notte medesima mi trassi
fuor
de la corte, e al duca mi condussi;
e
gli feci veder quanto importassi
al
capo d'amendua, se presa io fussi.
Lodommi,
e disse che io non dubitassi:
a'
suoi conforti poi venir m'indussi
ad
una sua fortezza che è qui presso,
in
compagnia di dui che mi diede esso.
Hai
sentito, signor, con quanti effetti
de
l'amor mio fei Polinesso certo;
e
s'era debitor per tai rispetti
d'avermi
cara o no, tu il vedi aperto.
Or
senti il guidardon che io ricevetti,
vedi
la gran mercé del mio gran merto;
vedi
se deve, per amare assai,
donna
sperar d'essere amata mai:
che
questo ingrato, perfido e crudele,
de
la mia fede ha preso dubbio al fine:
venuto
è in sospizion che io non rivele
a
lungo andar le fraudi sue volpine.
Ha
finto, acciò che m'allontane e cele
fin
che l'ira e il furor del re decline,
voler
mandarmi ad un suo luogo forte;
e
mi volea mandar dritto alla morte:
che
di secreto ha commesso alla guida,
che
come m'abbia in queste selve tratta,
per
degno premio di mia fé m'uccida.
Così
l'intenzion gli venìa fatta,
se
tu non eri appresso alle mia grida.
Ve'
come Amor ben chi lui segue, tratta! -
Così
narrò Dalinda al paladino
seguendo
tuttavolta il lor camino.
A
cui fu sopra ogn'aventura, grata
questa,
d'aver trovata la donzella
che
gli avea tutta l'istoria narrata
de
l'innocenza di Ginevra bella.
E
se sperato avea, quando accusata
ancor
fosse a ragion, d'aiutar quella,
via
con maggior baldanza or viene in prova,
poi
che evidente la calunnia truova.
E
verso la città di Santo Andrea,
dove
era il re con tutta la famiglia,
e
la battaglia singular dovea
esser
de la querela de la figlia,
andò
Rinaldo quanto andar potea,
fin
che vicino giunse a poche miglia;
alla
città vicino giunse, dove
trovò
un scudier che avea più fresche nuove:
che
un cavallier istrano era venuto,
che
a difender Ginevra s'avea tolto,
con
non usate insegne, e sconosciuto,
però
che sempre ascoso andava molto;
e
che dopo che v'era, ancor veduto
non
gli avea alcuno al discoperto il volto;
e
che il proprio scudier che gli servia,
dicea
giurando: - Io non so dir chi sia. -
Non
cavalcaro molto, che alle mura
si
trovar de la terra e in su la porta.
Dalinda
andar più inanzi avea paura;
pur
va, poi che Rinaldo la conforta.
La
porta è chiusa, ed a chi n'avea cura
Rinaldo
domandò: - Questo che importa?
E
fugli detto: perché il popol tutto
a
veder la battaglia era ridutto,
che
tra Lurcanio e un cavallier istrano
si
fa ne l'altro capo de la terra,
ove
era un prato spazioso e piano;
e
che già cominciata hanno la guerra.
Aperto
fu al signor di Montealbano,
e
tosto il portinar dietro gli serra.
Per
la vota città Rinaldo passa;
ma
la donzella al primo albergo lassa:
e
dice che sicura ivi si stia
fin
che ritorni a lei, che sarà tosto;
e
verso il campo poi ratto s'invia,
dove
li dui guerrier dato e risposto
molto
s'aveano, e davan tuttavia.
Stava
Lurcanio di mal cor disposto
contra
Ginevra; e l'altro in sua difesa
ben
sostenea la favorita impresa.
Sei
cavallier con lor ne lo steccato
erano
a piedi, armati di corazza,
col
duca d'Albania, che era montato
s'un
possente corsier di buona razza.
Come
a gran contestabile, a lui dato
la
guardia fu del campo e de la piazza:
e
di veder Ginevra in gran periglio
avea
il cor lieto, ed orgoglioso il ciglio.
Rinaldo
se ne va tra gente e gente;
fassi
far largo il buon destrier Baiardo:
chi
la tempesta del suo venir sente,
a
dargli via non par zoppo né tardo.
Rinaldo
vi compar sopra eminente,
e
ben rassembra il fior d'ogni gagliardo;
poi
si ferma all'incontro ove il re siede:
ognun
s'accosta per udir che chiede.
Rinaldo
disse al re: - Magno signore,
non
lasciar la battaglia più seguire;
perché
di questi dua qualunche more,
sappi
che a torto tu il lasci morire.
L'un
crede aver ragione, ed è in errore,
e
dice il falso, e non sa di mentire;
ma
quel medesmo error che il suo germano
a
morir trasse, a lui pon l'arme in mano.
L'altro
non sa se s'abbia dritto o torto;
ma
sol per gentilezza e per bontade
in
pericol si è posto d'esser morto,
per
non lasciar morir tanta beltade.
Io
la salute all'innocenza porto;
porto
il contrario a chi usa falsitade.
Ma,
per Dio, questa pugna prima parti,
poi
mi dà audienza a quel che io vo' narrarti. -
Fu
da l'autorità d'un uom sì degno,
come
Rinaldo gli parea al sembiante,
sì
mosso il re, che disse e fece segno
che
non andasse più la pugna inante;
al
quale insieme ed ai baron del regno
e
ai cavallieri e all'altre turbe tante
Rinaldo
fe' l'inganno tutto espresso,
che
avea ordito a Ginevra Polinesso.
Indi
s'offerse di voler provare
coll'arme,
che era ver quel che avea detto.
Chiamasi
Polinesso; ed ei compare,
ma
tutto conturbato ne l'aspetto:
pur
con audacia cominciò a negare.
Disse
Rinaldo: - Or noi vedrem l'effetto. -
L'uno
e l'altro era armato, il campo fatto,
sì
che senza indugiar vengono al fatto.
Oh
quanto ha il re, quanto ha il suo popul caro
che
Ginevra a provar s'abbi innocente!
tutti
han speranza che Dio mostri chiaro
che
impudica era detta ingiustamente.
Crudel
superbo e riputato avaro
fu
Polinesso, iniquo e fraudolente;
sì
che ad alcun miracolo non fia
che
l'inganno da lui tramato sia.
Sta
Polinesso con la faccia mesta,
col
cor tremante e con pallida guancia;
e
al terzo suon mette la lancia in resta.
Così
Rinaldo inverso lui si lancia,
che
disioso di finir la festa,
mira
a passargli il petto con la lancia:
né
discorde al disir seguì l'effetto;
ché
mezza l'asta gli cacciò nel petto.
Fisso
nel tronco lo trasporta in terra,
lontan
dal suo destrier più di sei braccia.
Rinaldo
smonta subito, e gli afferra
l'elmo,
pria che si levi, e gli lo slaccia:
ma
quel, che non può far più troppa guerra,
gli
domanda mercé con umil faccia,
e
gli confessa, udendo il re e la corte,
la
fraude sua che l'ha condutto a morte.
Non
finì il tutto, e in mezzo la parola
e
la voce e la vita l'abandona.
Il
re, che liberata la figliuola
vede
da morte e da fama non buona,
più
s'allegra, gioisce e raconsola,
che,
s'avendo perduta la corona,
ripor
se la vedesse allora allora;
sì
che Rinaldo unicamente onora.
E
poi che al trar dell'elmo conosciuto
l'ebbe,
perche altre volte l'avea visto,
levò
le mani a Dio, che d'un aiuto
come
era quel, gli avea sì ben provisto.
Quell'altro
cavallier che, sconosciuto,
soccorso
avea Ginevra al caso tristo,
ed
armato per lei s'era condutto,
stato
da parte era a vedere il tutto.
Dal
re pregato fu di dire il nome,
o
di lasciarsi almen veder scoperto,
acciò
da lui fosse premiato, come
di
sua buona intenzion chiedeva il merto.
Quel,
dopo lunghi preghi, da le chiome
si
levò l'elmo, e fe' palese e certo
quel
che ne l'altro canto ho da seguire,
se
grata vi sarà l'istoria udire.
CANTO
SESTO
Miser
chi mal oprando si confida
che
ognor star debbia il maleficio occulto;
che
quando ogn'altro taccia, intorno grida
l'aria
e la terra istessa in che è sepulto:
e
Dio fa spesso che il peccato guida
il
peccator, poi che alcun dì gli ha indulto,
che
sé medesmo, senza altrui richiesta,
innavedutamente
manifesta.
Avea
creduto il miser Polinesso
totalmente
il delitto suo coprire,
Dalinda
consapevole d'appresso
levandosi,
che sola il potea dire:
e
aggiungendo il secondo al primo eccesso,
affrettò
il mal che potea differire,
e
potea differire e schivar forse;
ma
se stesso spronando, a morir corse:
e
perdé amici a un tempo e vita e stato,
e
onor, che fu molto più grave danno.
Dissi
di sopra, che fu assai pregato
il
cavallier, che ancor chi sia non sanno.
Al
fin si trasse l'elmo, e il viso amato
scoperse,
che più volte veduto hanno:
e
dimostrò come era Ariodante,
per
tutta Scozia lacrimato inante;
Ariodante,
che Ginevra pianto
avea
per morto, e il fratel pianto avea,
il
re, la corte, il popul tutto quanto:
di
tal bontà, di tal valor splendea.
Adunque
il peregrin mentir di quanto
dianzi
di lui narrò, quivi apparea;
e
fu pur ver che dal sasso marino
gittarsi
in mar lo vide a capo chino.
Ma
(come aviene a un disperato spesso,
che
da lontan brama e disia la morte,
e
l'odia poi che se la vede appresso,
tanto
gli pare il passo acerbo e forte)
Ariodante,
poi che in mar fu messo,
si
pentì di morire: e come forte
e
come destro e più d'ogn'altro ardito,
si
messe a nuoto e ritornossi al lito;
e
dispregiando e nominando folle
il
desir che ebbe di lasciar la vita,
si
messe a caminar bagnato e molle,
e
capitò all'ostel d'un eremita.
Quivi
secretamente indugiar volle
tanto,
che la novella avesse udita,
se
del caso Ginevra s'allegrasse,
o
pur mesta e pietosa ne restasse.
Intese
prima, che per gran dolore
ella
era stata a rischio di morire
(la
fama andò di questo in modo fuore,
che
ne fu in tutta l'isola che dire):
contrario
effetto a quel che per errore
credea
aver visto con suo gran martire.
Intese
poi, come Lurcanio avea
fatta
Ginevra appresso il padre rea.
Contra
il fratel d'ira minor non arse,
che
per Ginevra già d'amor ardesse;
che
troppo empio e crudele atto gli parse,
ancora
che per lui fatto l'avesse.
Sentendo
poi, che per lei non comparse
cavallier
che difender la volesse
(che
Lurcanio sì forte era e gagliardo,
che
ognun d'andargli contra avea riguardo;
e
chi n'avea notizia, il riputava
tanto
discreto, e sì saggio ed accorto,
che
se non fosse ver quel che narrava,
non
si porrebbe a rischio d'esser morto;
per
questo la più parte dubitava
di
non pigliar questa difesa a torto);
Ariodante,
dopo gran discorsi,
pensò
all'accusa del fratello opporsi.
-
Ah lasso! io non potrei (seco dicea)
sentir
per mia cagion perir costei:
troppo
mia morte fôra acerba e rea,
se
inanzi a me morir vedessi lei.
Ella
è pur la mia donna e la mia dea,
questa
è la luce pur degli occhi miei:
convien
che a dritto e a torto, per suo scampo
pigli
l'impresa, e resti morto in campo.
So
che io m'appiglio al torto; e al torto sia:
e
ne morrò; né questo mi sconforta,
se
non che io so che per la morte mia
sì
bella donna ha da restar poi morta.
Un
sol conforto nel morir mi fia,
che,
se il suo Polinesso amor le porta,
chiaramente
veder avrà potuto,
che
non s'è mosso ancor per darle aiuto;
e
me, che tanto espressamente ha offeso,
vedrà,
per lei salvare, a morir giunto.
Di
mio fratello insieme, il quale acceso
tanto
fuoco ha, vendicherommi a un punto;
che
io lo farò doler, poi che compreso
il
fine avrà del suo crudele assunto:
creduto
vendicar avrà il germano,
e
gli avrà dato morte di sua mano. -
Concluso
che ebbe questo nel pensiero,
nuove
arme ritrovò, nuovo cavallo;
e
sopraveste nere, e scudo nero
portò,
fregiato a color verdegiallo.
Per
aventura si trovò un scudiero
ignoto
in quel paese, e menato hallo;
e
sconosciuto (come ho già narrato)
s'appresentò
contra il fratello armato.
Narrato
v'ho come il fatto successe,
come
fu conosciuto Ariodante.
Non
minor gaudio n'ebbe il re, che avesse
de
la figliuola liberata inante.
Seco
pensò che mai non si potesse
trovar
un più fedele e vero amante;
che
dopo tanta ingiuria, la difesa
di
lei, contra il fratel proprio, avea presa.
E
per sua inclinazion (che assai l'amava)
e
per li preghi di tutta la corte,
e
di Rinaldo, che più d'altri instava,
de
la bella figliuola il fa consorte.
La
duchea d'Albania che al re tornava
dopo
che Polinesso ebbe la morte,
in
miglior tempo discader non puote,
poi
che la dona alla sua figlia in dote.
Rinaldo
per Dalinda impetrò grazia,
che
se n'andò di tanto errore esente;
la
qual per voto, e perché molto sazia
era
del mondo, a Dio volse la mente:
monaca
s'andò a render fin in Dazia,
e
si levò di Scozia immantinente.
Ma
tempo è ormai di ritrovar Ruggiero,
che
scorre il ciel su l'animal leggiero.
Ben
che Ruggier sia d'animo costante,
né
cangiato abbia il solito colore,
io
non gli voglio creder che tremante
non
abbia dentro più che foglia il core.
Lasciato
avea di gran spazio distante
tutta
l'Europa, ed era uscito fuore
per
molto spazio il segno che prescritto
avea
già a' naviganti Ercole invitto.
Quello
ippogrifo, grande e strano augello,
lo
porta via con tal prestezza d'ale,
che
lasceria di lungo tratto quello
celer
ministro del fulmineo strale.
Non
va per l'aria altro animal sì snello,
che
di velocità gli fosse uguale:
credo
che a pena il tuono e la saetta
venga
in terra dal ciel con maggior fretta.
Poi
che l'augel trascorso ebbe gran spazio
per
linea dritta e senza mai piegarsi,
con
larghe ruote, omai de l'aria sazio,
cominciò
sopra una isola a calarsi;
pari
a quella ove, dopo lungo strazio
far
del suo amante e lungo a lui celarsi,
la
vergine Aretusa passò invano
di
sotto il mar per camin cieco e strano.
Non
vide né il più bel né il più giocondo
da
tutta l'aria ove le penne stese;
né
se tutto cercato avesse il mondo,
vedria
di questo il più gentil paese,
ove,
dopo un girarsi di gran tondo,
con
Ruggier seco il grande augel discese:
culte
pianure e delicati colli,
chiare
acque, ombrose ripe e prati molli.
Vaghi
boschetti di soavi allori,
di
palme e d'amenissime mortelle,
cedri
ed aranci che avean frutti e fiori
contesti
in varie forme e tutte belle,
facean
riparo ai fervidi calori
de'
giorni estivi con lor spesse ombrelle;
e
tra quei rami con sicuri voli
cantanto
se ne gìano i rosignuoli.
Tra
le purpuree rose e i bianchi gigli,
che
tiepida aura freschi ognora serba,
sicuri
si vedean lepri e conigli,
e
cervi con la fronte alta e superba,
senza
temer che alcun gli uccida o pigli,
pascano
o stiansi rominando l'erba;
saltano
i daini e i capri isnelli e destri,
che
sono in copia in quei luoghi campestri.
Come
sì presso è l'ippogrifo a terra,
che
esser ne può men periglioso il salto,
Ruggier
con fretta de l'arcion si sferra,
e
si ritruova in su l'erboso smalto;
tuttavia
in man le redine si serra,
che
non vuol che il destrier più vada in alto:
poi
lo lega nel margine marino
a
un verde mirto in mezzo un lauro e un pino.
E
quivi appresso, ove surgea una fonte
cinta
di cedri e di feconde palme,
pose
lo scudo, e l'elmo da la fronte
si
trasse, e disarmossi ambe le palme;
ed
ora alla marina ed ora al monte
volgea
la faccia all'aure fresche ed alme,
che
l'alte cime con mormorii lieti
fan
tremolar dei faggi e degli abeti.
Bagna
talor ne la chiara onda e fresca
l'asciutte
labra, e con le man diguazza,
acciò
che de le vene il calor esca
che
gli ha acceso il portar de la corazza.
Né
maraviglia è già che ella gli incresca;
che
non è stato un far vedersi in piazza:
ma
senza mai posar, d'arme guernito,
tremila
miglia ognor correndo era ito.
Quivi
stando, il destrier che avea lasciato
tra
le più dense frasche alla fresca ombra,
per
fuggir si rivolta, spaventato
di
non so che, che dentro al bosco adombra:
e
fa crollar sì il mirto ove è legato,
che
de le frondi intorno il piè gli ingombra:
crollar
fa il mirto, e fa cader la foglia;
né
succede però che se ne scioglia.
Come
ceppo talor, che le medolle
rare
e vote abbia, e posto al fuoco sia,
poi
che per gran calor quell'aria molle
resta
consunta che in mezzo l'empìa,
dentro
risuona e con strepito bolle
tanto
che quel furor truovi la via;
così
murmura e stride e si corruccia
quel
mirto offeso, e al fine apre la buccia.
Onde
con mesta e flebil voce uscìo
espedita
e chiarissima favella,
e
disse: - Se tu sei cortese e pio,
come
dimostri alla presenza bella,
lieva
questo animal da l'arbor mio:
basti
che il mio mal proprio mi flagella,
senza
altra pena, senza altro dolore
che
a tormentarmi ancor venga di fuore. -
Al
primo suon di quella voce torse
Ruggiero
il viso, e subito levosse;
e
poi che uscir da l'arbore s'accorse,
stupefatto
restò più che mai fosse.
A
levarne il destrier subito corse;
e
con le guance di vergogna rosse:
-
Qual che tu sii, perdonami (dicea),
o
spirto umano, o boschereccia dea.
Il
non aver saputo che s'asconda
sotto
ruvida scorza umano spirto,
m'ha
lasciato turbar la bella fronda
e
far ingiuria al tuo vivace mirto:
ma
non restar però, che non risponda
chi
tu ti sia, che in corpo orrido ed irto,
con
voce e razionale anima vivi;
se
da grandine il ciel sempre ti schivi.
E
s'ora o mai potrò questo dispetto
con
alcun beneficio compensarte,
per
quella bella donna ti prometto,
quella
che di me tien la miglior parte,
che
io farò con parole e con effetto,
che
avrai giusta cagion di me lodarte. -
Come
Ruggiero al suo parlar fin diede,
tremò
quel mirto da la cima al piede.
Poi
si vide sudar su per la scorza,
come
legno dal bosco allora tratto,
che
del fuoco venir sente la forza,
poscia
che invano ogni ripar gli ha fatto;
e
cominciò: - Tua cortesia mi sforza
a
discoprirti in un medesmo tratto
che
io fossi prima, e chi converso m'aggia
in
questo mirto in su l'amena spiaggia.
Il
nome mio fu Astolfo; e paladino
era
di Francia, assai temuto in guerra:
d'Orlando
e di Rinaldo era cugino,
la
cui fama alcun termine non serra;
e
si spettava a me tutto il domìno,
dopo
il mio padre Oton, de l'Inghilterra.
Leggiadro
e bel fui sì, che di me accesi
più
d'una donna: e al fin me solo offesi.
Ritornando
io da quelle isole estreme
che
da Levante il mar Indico lava,
dopo
Rinaldo ed alcun'altri insieme
meco
fur chiusi in parte oscura e cava,
ed
onde liberati le supreme
forze
n'avean del cavallier di Brava;
vêr
ponente io venìa lungo la sabbia
che
del settentrion sente la rabbia.
E
come la via nostra e il duro e fello
destin
ci trasse, uscimmo una matina
sopra
la bella spiaggia, ove un castello
siede
sul mar, de la possente Alcina.
Trovammo
lei che uscita era di quello,
e
stava sola in ripa alla marina;
e
senza rete e senza amo traea
tutti
li pesci al lito, che volea.
Veloci
vi correvano i delfini,
vi
venìa a bocca aperta il grosso tonno;
i
capidogli coi vecchi marini
vengon
turbati dal loro pigro sonno;
muli,
salpe, salmoni e coracini
nuotano
a schiere in più fretta che ponno;
pistrici,
fisiteri, orche e balene
escon
del mar con mostruose schiene.
Veggiamo
una balena, la maggiore
che
mai per tutto il mar veduta fosse:
undeci
passi e più dimostra fuore
de
l'onde salse le spallacce grosse.
Caschiamo
tutti insieme in uno errore,
perche
era ferma e che mai non si scosse:
che
ella sia una isoletta ci credemo,
così
distante a l'un da l'altro estremo.
Alcina
i pesci uscir facea de l' acque
con
semplici parole e puri incanti.
Con
la fata Morgana Alcina nacque,
io
non so dir s'a un parto o dopo o inanti.
Guardommi
Alcina; e subito le piacque
l'aspetto
mio, come mostrò ai sembianti:
e
pensò con astuzia e con ingegno
tormi
ai compagni; e riuscì il disegno.
Ci
venne incontra con allegra faccia
con
modi graziosi e riverenti,
e
disse: - Cavallier, quando vi piaccia
far
oggi meco i vostri alloggiamenti,
io
vi farò veder, ne la mia caccia,
di
tutti i pesci sorti differenti:
chi
scaglioso, chi molle e chi col pelo;
e
saran più che non ha stelle il cielo.
E
volendo vedere una sirena
che
col suo dolce canto acheta il mare,
passian
di qui fin su quell'altra arena,
dove
a quest'ora suol sempre tornare. -
E
ci mostrò quella maggior balena,
che,
come io dissi, una isoletta pare.
Io,
che sempre fui troppo (e me n'incresce)
volonteroso,
andai sopra quel pesce.
Rinaldo
m'accennava, e similmente
Dudon,
che io non v'andassi: e poco valse.
La
fata Alcina con faccia ridente,
lasciando
gli altri dua, dietro mi salse.
La
balena, all'ufficio diligente,
nuotando
se n'andò per l'onde salse.
Di
mia sciocchezza tosto fui pentito;
ma
troppo mi trovai lungi dal lito.
Rinaldo
si cacciò ne l'acqua a nuoto
per
aiutarmi, e quasi si sommerse,
perché
levossi un furioso Noto
che
d'ombra il cielo e il pelago coperse.
Qnel
che di lui seguì poi, non m'è noto.
Alcina
a confortarmi si converse;
e
quel dì tutto e la notte che venne,
sopra
quel mostro in mezzo il mar mi tenne.
Fin
che venimmo a questa isola bella,
di
cui gran parte Alcina ne possiede,
e
l'ha usurpata ad una sua sorella
che
il padre già lasciò del tutto erede,
perché
sola legitima avea quella;
e
(come alcun notizia me ne diede,
che
pienamente istrutto era di questo)
sono
quest'altre due nate d'incesto.
E
come sono inique e scelerate
e
piene d'ogni vizio infame e brutto
così
quella, vivendo in castitate,
posto
ha ne le virtuti il suo cor tutto.
Contra
lei queste due son congiurate;
e
già più d'uno esercito hanno istrutto
per
cacciarla de l'isola, e in più volte
più
di cento castella l'hanno tolte:
né
ci terrebbe ormai spanna di terra
colei,
che Logistilla è nominata,
se
non che quinci un golfo il passo serra,
e
quindi una montagna inabitata,
sì
come tien la Scozia e l'Inghilterra
il
monte e la riviera separata;
né
però Alcina né Morgana resta
che
non le voglia tor ciò che le resta.
Perché
di vizi è questa coppia rea,
odia
colei, perché è pudica e santa.
Ma,
per tornare a quel che io ti dicea,
e
seguir poi com'io divenni pianta,
Alcina
in gran delizie mi tenea,
e
del mio amore ardeva tutta quanta;
né
minor fiamma nel mio core accese
il
veder lei sì bella e sì cortese.
Io
mi godea le delicate membra;
pareami
aver qui tutto il ben raccolto
che
fra i mortali in più parti si smembra,
a
chi più ed a chi meno e a nessun molto;
né
di Francia né d'altro mi rimembra:
stavami
sempre a contemplar quel volto:
ogni
pensiero, ogni mio bel disegno
in
lei finia, né passava oltre il segno.
Io
da lei altretanto era o più amato:
Alcina
più non si curava d'altri;
ella
ogn'altro suo amante avea lasciato,
che
inanzi a me ben ce ne fur degli altri.
Me
consiglier, me avea dì e notte a lato,
e
me fe' quel che commandava agli altri:
a
me credeva, a me si riportava;
né
notte o dì con altri mai parlava.
Deh!
perché vo le mie piaghe toccando,
senza
speranza poi di medicina?
perché
l'avuto ben vo rimembrando,
quando
io patisco estrema disciplina?
Quando
credea d'esser felice, e quando
credea
che amar più mi dovesse Alcina,
il
cor che m'avea dato si ritolse,
e
ad altro nuovo amor tutta si volse.
Conobbi
tardi il suo mobil ingegno,
usato
amare e disamare a un punto.
Non
era stato oltre a duo mesi in regno,
che
un novo amante al loco mio fu assunto.
Da
sé cacciommi la fata con sdegno,
e
da la grazia sua m'ebbe disgiunto:
e
seppi poi, che tratti a simil porto
avea
mill'altri amanti, e tutti a torto.
E
perché essi non vadano pel mondo
di
lei narrando la vita lasciva,
chi
qua chi là, per lo terren fecondo
li
muta, altri in abete, altri in oliva,
altri
in palma, altri in cedro, altri secondo
che
vedi me su questa verde riva;
altri
in liquido fonte, alcuni in fiera,
come
più agrada a quella fata altiera.
Or
tu che sei per non usata via,
signor,
venuto all'isola fatale,
acciò
che alcuno amante per te sia
converso
in pietra o in onda, o fatto tale;
avrai
d'Alcina scettro e signoria,
e
sarai lieto sopra ogni mortale:
ma
certo sii di giunger tosto al passo
d'entrar
o in fiera o in fonte o in legno o in sasso.
Io
te n'ho dato volentieri aviso;
non
che io mi creda che debbia giovarte:
pur
meglio fia che non vadi improviso,
e
de' costumi suoi tu sappia parte;
che
forse, come è differente il viso,
è
differente ancor l'ingegno e l'arte.
Tu
saprai forse riparare al danno,
quel
che saputo mill'altri non hanno. -
Ruggier,
che conosciuto avea per fama
che
Astolfo alla sua donna cugin era,
si
dolse assai che in steril pianta e grama
mutato
avesse la sembianza vera;
e
per amor di quella che tanto ama
(pur
che saputo avesse in che maniera)
gli
avria fatto servizio: ma aiutarlo
in
altro non potea, che in confortarlo.
Lo
fe' al meglio che seppe; e domandolli
poi
se via c'era, che al regno guidassi
di
Logistilla, o per piano o per colli,
sì
che per quel d'Alcina non andassi.
Che
ben ve n'era un'altra, ritornolli
l'arbore
a dir, ma piena d'aspri sassi,
s'andando
un poco inanzi alla man destra
salisse
il poggio invêr la cima alpestra.
Ma
che non pensi già che seguir possa
il
suo camin per quella strada troppo:
incontro
avrà di gente ardita, grossa
e
fiera compagnia, con duro intoppo.
Alcina
ve li tien per muro e fossa
a
chi volesse uscir fuor del suo groppo.
Ruggier
quel mirto ringraziò del tutto,
poi
da lui si partì dotto ed istrutto.
Venne
al cavallo, e lo disciolse e prese
per
le redine, e dietro se lo trasse;
né,
come fece prima, più l'ascese,
perché
mal grado suo non lo portasse.
Seco
pensava come nel paese
di
Logistilla a salvamento andasse.
Era
disposto e fermo usar ogni opra,
che
non gli avesse imperio Alcina sopra.
Pensò
di rimontar sul suo cavallo,
e
per l'aria spronarlo a nuovo corso:
ma
dubitò di far poi maggior fallo;
che
troppo mal quel gli ubidiva al morso.
-
Io passerò per forza, s'io non fallo, -
dicea
tra sé, ma vano era il discorso.
Non
fu duo miglia lungi alla marina,
che
la bella città vide d'Alcina.
Lontan
si vide una muraglia lunga
che
gira intorno, e gran paese serra;
e
par che la sua altezza al ciel s'aggiunga,
e
d'oro sia da l'alta cima a terra.
Alcun
dal mio parer qui si dilunga,
e
dice che ell'è alchimia: e forse che erra;
ed
anco forse meglio di me intende:
a
me par oro, poi che sì risplende.
Come
fu presso alle sì ricche mura,
che
il mondo altre non ha de la lor sorte,
lasciò
la strada che per la pianura
ampla
e diritta andava alle gran porte;
ed
a man destra, a quella più sicura,
che
al monte già, piegossi il guerrier forte:
ma
tosto ritrovò l'iniqua frotta,
dal
cui furor gli fu turbata e rotta.
Non
fu veduta mai più strana torma,
più
monstruosi volti e peggio fatti:
alcun'
dal collo in giù d'uomini han forma,
col
viso altri di simie, altri di gatti;
stampano
alcun con piè caprigni l'orma;
alcuni
son centauri agili ed atti;
son
gioveni impudenti e vecchi stolti,
chi
nudi e chi di strane pelli involti.
Chi
senza freno in s'un destrier galoppa,
chi
lento va con l'asino o col bue,
altri
salisce ad un centauro in groppa,
struzzoli
molti han sotto, aquile e grue;
ponsi
altri a bocca il corno, altri la coppa;
chi
femina è, chi maschio, e chi amendue;
chi
porta uncino e chi scala di corda,
chi
pal di ferro e chi una lima sorda.
Di
questi il capitano si vedea
aver
gonfiato il ventre, e il viso grasso;
il
qual su una testuggine sedea,
che
con gran tardità mutava il passo.
Avea
di qua e di là chi lo reggea,
perché
egli era ebro, e tenea il ciglio basso:
altri
la fronte gli asciugava e il mento,
altri
i panni scuotea per fargli vento.
Un
che avea umana forma i piedi e il ventre,
e
collo avea di cane, orecchie e testa,
contra
Ruggiero abaia, acciò che egli entre
ne
la bella città che a dietro resta.
Rispose
il cavallier: - Nol farò, mentre
avrà
forza la man di regger questa! -
e
gli mostra la spada, di cui volta
avea
l'aguzza punta alla sua volta.
Quel
mostro lui ferir vuol d'una lancia,
ma
Ruggier presto se gli aventa addosso:
una
stoccata gli trasse alla pancia,
e
la fe' un palmo riuscir pel dosso.
Lo
scudo imbraccia, e qua e là si lancia,
ma
l'inimico stuolo è troppo grosso:
l'un
quinci il punge, e l'altro quindi afferra:
egli
s'arrosta, e fa lor aspra guerra.
L'un
sin a' denti, e l'altro sin al petto
partendo
va di quella iniqua razza;
che
alla sua spada non s'oppone elmetto,
né
scudo, né panziera, né corazza:
ma
da tutte le parti è così astretto,
che
bisogno saria, per trovar piazza
e
tener da sé largo il popul reo,
d'aver
più braccia e man che Briareo.
Se
di scoprire avesse avuto aviso
lo
scudo che già fu del negromante
(io
dico quel che abbarbagliava il viso,
quel
che all'arcione avea lasciato Atlante),
subito
avria quel brutto stuol conquiso
e
fattosel cader cieco davante;
e
forse ben, che disprezzò quel modo,
perché
virtude usar volse, e non frodo.
Sia
quel che può, più tosto vuol morire,
che
rendersi prigione a sì vil gente.
Eccoti
intanto da la porta uscire
del
muro, che io dicea d'oro lucente,
due
giovani che ai gesti ed al vestire
non
eran da stimar nate umilmente,
né
da pastor nutrite con disagi,
ma
fra delizie di real palagi.
L'una
e l'altra sedea s'un liocorno,
candido
più che candido armelino;
l'una
e l'altra era bella, e di sì adorno
abito,
e modo tanto pellegrino,
che
a l'uom, guardando e contemplando intorno,
bisognerebbe
aver occhio divino
per
far di lor giudizio: e tal saria
Beltà,
s'avesse corpo, e Leggiadria.
L'una
e l'altra n'andò dove nel prato
Ruggiero
è oppresso da lo stuol villano.
Tutta
la turba si levò da lato;
e
quelle al cavallier porser la mano,
che
tinto in viso di color rosato,
le
donne ringraziò de l'atto umano:
e
fu contento, compiacendo loro,
di
ritornarsi a quella porta d'oro.
L'adornamento
che s'aggira sopra
la
bella porta e sporge un poco avante,
parte
non ha che tutta non si cuopra
de
le più rare gemme di Levante.
Da
quattro parti si riposa sopra
grosse
colonne d'integro diamante.
O
ver o falso che all'occhio risponda,
non
è cosa più bella o più gioconda.
Su
per la soglia e fuor per le colonne
corron
scherzando lascive donzelle,
che,
se i rispetti debiti alle donne
servasser
più, sarian forse più belle.
Tutte
vestite eran di verdi gonne,
e
coronate di frondi novelle.
Queste,
con molte offerte e con buon viso,
Ruggier
fecero entrar nel paradiso:
che
si può ben così nomar quel loco,
ove
mi credo che nascesse Amore.
Non
vi si sta se non in danza e in giuoco,
e
tutte in festa vi si spendon l'ore:
pensier
canuto né molto né poco
si
può quivi albergare in alcun core:
non
entra quivi disagio né inopia,
ma
vi sta ognor col corno pien la Copia.
Qui,
dove con serena e lieta fronte
par
che ognor rida il grazioso aprile,
gioveni
e donne son: qual presso a fonte
canta
con dolce e dilettoso stile;
qual
d'un arbore all'ombra e qual d'un monte
o
giuoca o danza o fa cosa non vile;
e
qual, lungi dagli altri, a un suo fedele
discuopre
l'amorose sue querele.
Per
le cime dei pini e degli allori,
degli
alti faggi e degli irsuti abeti,
volan
scherzando i pargoletti Amori:
di
lor vittorie altri godendo lieti,
altri
pigliando a saettare i cori,
la
mira quindi, altri tendendo reti;
chi
tempra dardi ad un ruscel più basso,
e
chi gli aguzza ad un volubil sasso.
Quivi
a Ruggier un gran corsier fu dato,
forte,
gagliardo, e tutto di pel sauro,
che
avea il bel guernimento ricamato
di
preziose gemme e di fin auro;
e
fu lasciato in guardia quello alato,
quel
che solea ubidire al vecchio Mauro,
a
un giovene che dietro lo menassi
al
buon Ruggier, con men frettosi passi.
Quelle
due belle giovani amorose
che
avean Ruggier da l'empio stuol difeso,
da
l'empio stuol che dianzi se gli oppose
su
quel camin che avea a man destra preso,
gli
dissero: - Signor, le virtuose
opere
vostre che già abbiamo inteso,
ne
fan sì ardite, che l'aiuto vostro
vi
chiederemo a beneficio nostro.
Noi
troverem tra via tosto una lama,
che
fa due parti di questa pianura.
Una
crudel, che Erifilla si chiama,
difende
il ponte, e sforza e inganna e fura
chiunque
andar ne l'altra ripa brama;
ed
ella è gigantessa di statura,
li
denti ha lunghi e velenoso il morso,
acute
l'ugne, e graffia come un orso.
Oltre
che sempre ci turbi il camino,
che
libero saria se non fosse ella,
spesso,
correndo per tutto il giardino,
va
disturbando or questa cosa or quella.
Sappiate
che del populo assassino
che
vi assalì fuor de la porta bella,
molti
suoi figli son, tutti seguaci,
empi,
come ella, inospiti e rapaci. -
Ruggier
rispose: - Non che una battaglia,
ma
per voi sarò pronto a farne cento:
di
mia persona, in tutto quel che vaglia,
fatene
voi secondo il vostro intento;
che
la cagion che io vesto piastra e maglia,
non
è per guadagnar terre né argento,
ma
sol per farne beneficio altrui,
tanto
più a belle donne come vui. -
Le
donne molte grazie riferiro
degne
d'un cavallier, come quell'era:
e
così ragionando ne veniro
dove
videro il ponte e la riviera;
e
di smeraldo ornata e di zaffiro
su
l'arme d'or, vider la donna altiera.
Ma
dir ne l'altro canto differisco,
come
Ruggier con lei si pose a risco.
CANTO
SETTIMO
Chi
va lontan da la sua patria, vede
cose,
da quel che già credea, lontane;
che
narrandole poi, non se gli crede,
e
stimato bugiardo ne rimane:
che
il sciocco vulgo non gli vuol dar fede,
se
non le vede e tocca chiare e piane.
Per
questo io so che l'inesperienza
farà
al mio canto dar poca credenza.
Poca
o molta che io ci abbia, non bisogna
che
io ponga mente al vulgo sciocco e ignaro.
A
voi so ben che non parrà menzogna,
che
il lume del discorso avete chiaro;
ed
a voi soli ogni mio intento agogna
che
il frutto sia di mie fatiche caro.
Io
vi lasciai che il ponte e la riviera
vider,
che'n guardia avea Erifilla altiera.
Quell'era
armata del più fin metallo,
che
avean di piu color gemme distinto:
rubin
vermiglio, crisolito giallo,
verde
smeraldo, con flavo iacinto.
Era
montata, ma non a cavallo;
invece
avea di quello un lupo spinto:
spinto
avea un lupo ove si passa il fiume,
con
ricca sella fuor d'ogni costume.
Non
credo che un sì grande Apulia n'abbia:
egli
era grosso ed alto più d'un bue.
Con
fren spumar non gli facea le labbia,
né
so come lo regga a voglie sue.
La
sopravesta di color di sabbia
su
l'arme avea la maledetta lue:
era,
fuor che il color, di quella sorte
che
i vescovi e i prelati usano in corte.
Ed
avea ne lo scudo e sul cimiero
una
gonfiata e velenosa botta.
Le
donne la mostraro al cavalliero,
di
qua dal ponte per giostrar ridotta,
e
fargli scorno e rompergli il sentiero,
come
ad alcuni usata era talotta.
Ella
a Ruggier, che torni a dietro, grida:
quel
piglia un'asta, e la minaccia e sfida.
Non
men la gigantessa ardita e presta
sprona
il gran lupo e ne l'arcion si serra,
e
pon la lancia a mezzo il corso in resta,
e
fa tremar nel suo venir la terra.
Ma
pur sul prato al fiero incontro resta;
che
sotto l'elmo il buon Ruggier l'afferra,
e
de l'arcion con tal furor la caccia,
che
la riporta indietro oltra sei braccia.
E
già, tratta la spada che avea cinta,
venìa
a levarne la testa superba:
e
ben lo potea far, che come estinta
Erifilla
giacea tra' fiori e l'erba.
Ma
le donne gridar: - Basti sia vinta,
senza
pigliarne altra vendetta acerba.
Ripon,
cortese cavallier, la spada;
passiamo
il ponte e seguitian la strada. -
Alquanto
malagevole ed aspretta
per
mezzo un bosco presero la via,
che
oltra che sassosa fosse e stretta,
quasi
su dritta alla collina gìa.
Ma
poi che furo ascesi in su la vetta,
usciro
in spaziosa prateria,
dove
il più bel palazzo e il più giocondo
vider,
che mai fosse veduto al mondo.
La
bella Alcina venne un pezzo inante,
verso
Ruggier fuor de le prime porte,
e
lo raccolse in signoril sembiante,
in
mezzo bella ed onorata corte.
Da
tutti gli altri tanto onore e tante
riverenze
fur fatte al guerrier forte,
che
non potrian far più, se tra loro
fosse
Dio sceso dal superno coro.
Non
tanto il bel palazzo era eccellente,
perché
vincesse ogn'altro di ricchezza,
quanto
che avea la più piacevol gente
che
fosse al mondo e di più gentilezza.
Poco
era l'un da l'altro differente
e
di fiorita etade e di bellezza:
sola
di tutti Alcina era più bella,
sì
come è bello il sol più d'ogni stella.
Di
persona era tanto ben formata,
quanto
me' finger san pittori industri;
con
bionda chioma lunga ed annodata:
oro
non è che più risplenda e lustri.
Spargeasi
per la guancia delicata
misto
color di rose e di ligustri;
di
terso avorio era la fronte lieta,
che
lo spazio finia con giusta meta.
Sotto
duo negri e sottilissimi archi
son
duo negri occhi, anzi duo chiari soli,
pietosi
a riguardare, a mover parchi;
intorno
cui par che Amor scherzi e voli,
e
che indi tutta la faretra scarchi
e
che visibilmente i cori involi:
quindi
il naso per mezzo il viso scende,
che
non truova l'invidia ove l'emende.
Sotto
quel sta, quasi fra due vallette,
la
bocca sparsa di natio cinabro;
quivi
due filze son di perle elette,
che
chiude ed apre un bello e dolce labro:
quindi
escon le cortesi parolette
da
render molle ogni cor rozzo e scabro;
quivi
si forma quel suave riso,
che
apre a sua posta in terra il paradiso.
Bianca
nieve è il bel collo, e il petto latte;
il
collo è tondo, il petto colmo e largo:
due
pome acerbe, e pur d'avorio fatte,
vengono
e van come onda al primo margo,
quando
piacevole aura il mar combatte.
Non
potria l'altre parti veder Argo:
ben
si può giudicar che corrisponde
a
quel che appar di fuor quel che s'asconde.
Mostran
le braccia sua misura giusta;
e
la candida man spesso si vede
lunghetta
alquanto e di larghezza angusta,
dove
né nodo appar, né vena eccede.
Si
vede al fin de la persona augusta
il
breve, asciutto e ritondetto piede.
Gli
angelici sembianti nati in cielo
non
si ponno celar sotto alcun velo.
Avea
in ogni sua parte un laccio teso,
o
parli o rida o canti o passo muova:
né
maraviglia è se Ruggier n'è preso,
poi
che tanto benigna se la truova.
Quel
che di lei già avea dal mirto inteso,
com'è
perfida e ria, poco gli giova;
che
inganno o tradimento non gli è aviso
che
possa star con sì soave riso.
Anzi
pur creder vuol che da costei
fosse
converso Astolfo in su l'arena
per
li suoi portamenti ingrati e rei,
e
sia degno di questa e di più pena:
e
tutto quel che udito avea di lei,
stima
esser falso; e che vendetta mena,
e
mena astio ed invidia quel dolente
a
lei biasmare, e che del tutto mente.
La
bella donna che cotanto amava,
novellamente
gli è dal cor partita;
che
per incanto Alcina gli lo lava
d'ogni
antica amorosa sua ferita;
e
di sé sola e del suo amor lo grava,
e
in quello essa riman sola sculpita:
sì
che scusar il buon Ruggier si deve,
se
si mostrò quivi incostante e lieve.
A
quella mensa citare, arpe e lire,
e
diversi altri dilettevol suoni
faceano
intorno l'aria tintinire
d'armonia
dolce e di concenti buoni.
Non
vi mancava chie, cantando, dire
d'amor
sapesse gaudi e passioni,
o
con invenzioni e poesie
rappresentasse
grate fantasie.
Qual
mensa trionfante e suntuosa
di
qualsivoglia successor di Nino,
o
qual mai tanto celebre e famosa
di
Cleopatra al vincitor latino,
potria
a questa esser par, che l'amorosa
fata
avea posta inanzi al paladino?
Tal
non cred'io che s'apparecchi dove
ministra
Ganimede al sommo Giove.
Tolte
che fur le mense e le vivande,
facean,
sedendo in cerchio, un giuoco lieto:
che
ne l'orecchio l'un l'altro domande,
come
più piace lor, qualche secreto;
il
che agli amanti fu commodo grande
di
scoprir l'amor lor senza divieto:
e
furon lor conclusioni estreme
di
ritrovarsi quella notte insieme.
Finir
quel giuoco tosto, e molto inanzi
che
non solea là dentro esser costume:
con
torchi allora i paggi entrati inanzi,
le
tenebre cacciar con molto lume.
Tra
bella compagnia dietro e dinanzi
andò
Ruggiero a ritrovar le piume
in
una adorna e fresca cameretta,
per
la miglior di tutte l'altre eletta.
E
poi che di confetti e di buon vini
di
nuovo fatti fur debiti inviti,
e
partir gli altri riverenti e chini,
ed
alle stanze lor tutti sono iti;
Ruggiero
entrò ne' profumati lini
che
pareano di man d'Aracne usciti,
tenendo
tuttavia l'orecchie attente,
s'ancora
venir la bella donna sente.
Ad
ogni piccol moto che egli udiva,
sperando
che fosse ella, il capo alzava:
sentir
credeasi, e spesso non sentiva;
poi
del suo errore accorto sospirava.
Talvolta
uscia del letto e l'uscio apriva,
guatava
fuori, e nulla vi trovava:
e
maledì ben mille volte l'ora
che
facea al trapassar tanta dimora.
Tra
sé dicea sovente: - Or si parte ella; -
e
cominciava a noverare i passi
che
esser potean da la sua stanza a quella
donde
aspettando sta che Alcina passi;
e
questi ed altri, prima che la bella
donna
vi sia, vani disegni fassi.
Teme
di qualche impedimento spesso,
che
tra il frutto e la man non gli sia messo.
Alcina,
poi che a' preziosi odori
dopo
gran spazio pose alcuna meta,
venuto
il tempo che più non dimori,
ormai
che in casa era ogni cosa cheta,
de
la camera sua sola uscì fuori;
e
tacita n'andò per via secreta
dove
a Ruggiero avean timore e speme
gran
pezzo intorno al cor pugnato insieme.
Come
si vide il successor d'Astolfo
sopra
apparir quelle ridenti stelle,
come
abbia ne le vene acceso zolfo,
non
par che capir possa ne la pelle.
Or
sino agli occhi ben nuota nel golfo
de
le delizie e de le cose belle:
salta
del letto, e in braccio la raccoglie,
né
può tanto aspettar che ella si spoglie;
ben
che né gonna né faldiglia avesse;
che
venne avolta in un leggier zendado
che
sopra una camicia ella si messe,
bianca
e suttil nel più eccellente grado.
Come
Ruggiero abbracciò lei, gli cesse
il
manto: e restò il vel suttile e rado,
che
non copria dinanzi né di dietro,
più
che le rose o i gigli un chiaro vetro.
Non
così strettamente edera preme
pianta
ove intorno abbarbicata s'abbia,
come
si stringon li dui amanti insieme,
cogliendo
de lo spirto in su le labbia
suave
fior, qual non produce seme
indo
o sabeo ne l'odorata sabbia.
Del
gran piacer che avean, lor dicer tocca;
che
spesso avean più d'una lingua in bocca.
Queste
cose là dentro eran secrete,
o
se pur non secrete, almen taciute;
che
raro fu tener le labra chete
biasmo
ad alcun, ma ben spesso virtute.
Tutte
proferte ed accoglienze liete
fanno
a Ruggier quelle persone astute:
ognun
lo reverisce e se gli inchina;
che
così vuol l'innamorata Alcina.
Non
è diletto alcun che di fuor reste;
che
tutti son ne l'amorosa stanza.
E
due e tre volte il dì mutano veste,
fatte
or ad una ora ad un'altra usanza.
Spesso
in conviti, e sempre stanno in feste,
in
giostre, in lotte, in scene, in bagno, in danza:
or
presso ai fonti, all'ombre de' poggetti,
leggon
d'antiqui gli amorosi detti;
or
per l'ombrose valli e lieti colli
vanno
cacciando le paurose lepri;
or
con sagaci cani i fagian folli
con
strepito uscir fan di stoppie e vepri;
or
a' tordi lacciuoli, or veschi molli
tendon
tra gli odoriferi ginepri;
or
con ami inescati ed or con reti
turban
a' pesci i grati lor secreti.
Stava
Ruggiero in tanta gioia e festa,
mentre
Carlo in travaglio ed Agramante,
di
cui l'istoria io non vorrei per questa
porre
in oblio, né lasciar Bradamante,
che
con travaglio e con pena molesta
pianse
più giorni il disiato amante,
che
avea per strade disusate e nuove
veduto
portar via, né sapea dove.
Di
costei prima che degli altri dico,
che
molti giorni andò cercando invano
pei
boschi ombrosi e per lo campo aprico,
per
ville, per città, per monte e piano;
né
mai potè saper del caro amico,
che
di tanto intervallo era lontano.
Ne
l'oste saracin spesso venìa,
né
mai del suo Ruggier ritrovò spia.
Ogni
dì ne domanda a più di cento,
né
alcun le ne sa mai render ragioni.
D'alloggiamento
va in alloggiamento,
cercandone
e trabacche e padiglioni:
e
lo può far; che senza impedimento
passa
tra cavallieri e tra pedoni,
mercè
all'annel che fuor d'ogni uman uso
la
fa sparir quando l'è in bocca chiuso.
Né
può né creder vuol che morto sia;
perché
di sì grande uom l'alta ruina
da
l'onde idaspe udita si saria
fin
dove il sole a riposar declina.
Non
sa né dir né imaginar che via
far
possa o in cielo o in terra; e pur meschina
lo
va cercando, e per compagni mena
sospiri
e pianti ed ogni acerba pena.
Pensò
al fin di tornare alla spelonca
dove
eran l'ossa di Merlin profeta,
e
gridar tanto intorno a quella conca,
che
il freddo marmo si movesse a pieta;
che
se vivea Ruggiero, o gli avea tronca
l'alta
necessità la vita lieta,
si
sapria quindi: e poi s'appiglierebbe
a
quel miglior consiglio che n'avrebbe.
Con
questa intenzion prese il camino
verso
le selve prossime a Pontiero,
dove
la vocal tomba di Merlino
era
nascosa in loco alpestro e fiero.
Ma
quella maga che sempre vicino
tenuto
a Bradamante avea il pensiero,
quella,
dico io, che ne la bella grotta
l'avea
de la sua stirpe istrutta e dotta;
quella
benigna e saggia incantatrice,
la
quale ha sempre cura di costei,
sappiendo
che esser de' progenitrice
d'uomini
invitti, anzi di semidei;
ciascun
dì vuol sapere che fa, che dice,
e
getta ciascun dì sorte per lei.
Di
Ruggier liberato e poi perduto,
e
dove in India andò, tutto ha saputo.
Ben
veduto l'avea su quel cavallo
che
regger non potea, che era sfrenato,
scostarsi
di lunghissimo intervallo
per
sentier periglioso e non usato;
e
ben sapea che stava in giuoco e in ballo
e
in cibo e in ozio molle e delicato,
né
più memoria avea del suo signore,
né
de la donna sua, né del suo onore.
E
così il fior de li begli anni suoi
in
lunga inerzia aver potria consunto
sì
gentil cavallier, per dover poi
perdere
il corpo e l'anima in un punto;
e
quel odor che sol riman di noi,
poscia
che il resto fragile è defunto,
che
tra' l'uom del sepulcro e in vita il serba,
gli
saria stato o tronco o svelto in erba.
Ma
quella gentil maga, che più cura
n'avea
che egli medesmo di se stesso,
pensò
di trarlo per via alpestre e dura
alla
vera virtù, mal grado d'esso:
come
eccellente medico, che cura
con
ferro e fuoco e con veneno spesso,
che
se ben molto da principio offende,
poi
giova al fine, e grazia se gli rende.
Ella
non gli era facile, e talmente
fattane
cieca di superchio amore,
che,
come facea Atlante, solamente
a
darli vita avesse posto il core.
Quel
piu tosto volea che lungamente
vivesse
e senza fama e senza onore,
che,
con tutta la laude che sia al mondo,
mancasse
un anno al suo viver giocondo.
L'avea
mandato all'isola d'Alcina,
perché
obliasse l'arme in quella corte;
e
come mago di somma dottrina,
che
usar sapea gli incanti d'ogni sorte,
avea
il cor stretto di quella regina
ne
l'amor d'esso d'un laccio sì forte,
che
non se ne era mai per poter sciorre,
s'invecchiasse
Ruggier più di Nestorre.
Or
tornando a colei, che era presaga
di
quanto de' avvenir, dico che tenne
la
dritta via dove l'errante e vaga
figlia
d'Amon seco a incontrar si venne.
Bradamante
vedendo la sua maga,
muta
la pena che prima sostenne,
tutta
in speranza; e quella l'apre il vero:
che
ad Alcina è condotto il suo Ruggiero.
La
giovane riman presso che morta,
quando
ode che il suo amante è così lunge;
e
più, che nel suo amor periglio porta,
se
gran rimedio e subito non giunge:
ma
la benigna maga la conforta,
e
presta pon l'impiastro ove il duol punge,
e
le promette e giura, in pochi giorni
far
che Ruggiero a riveder lei torni.
-
Da che, donna (dicea), l'annello hai teco,
che
val contra ogni magico fattura,
io
non ho dubbio alcun, che s'io l'arreco
là
dove Alcina ogni tuo ben ti fura,
che
io non le rompa il suo disegno, e meco
non
ti rimeni la tua dolce cura.
Me
n'andrò questa sera alla prim'ora,
e
sarò in India al nascer de l'aurora.
E
seguitando, del modo narrolle
che
disegnato avea d'adoperarlo,
per
trar del regno effeminato e molle
il
caro amante, e in Francia rimenarlo.
Bradamante
l'annel del dito tolle;
né
solamente avria voluto darlo,
ma
dato il core e dato avria la vita,
pur
che n'avesse il suo Ruggiero aita.
Le
dà l'annello e se le raccomanda;
e
più le raccomanda il suo Ruggiero,
a
cui per lei mille saluti manda:
poi
prese vêr Provenza altro sentiero.
Andò
l'incantatrice a un'altra banda;
e
per porre in effetto il suo pensiero,
un
palafren fece apparir la sera,
che
avea un piè rosso, e ogn'altra parte nera.
Credo
fosse un Alchino o un Farfarello,
che
da l'Inferno in quella forma trasse;
e
scinta e scalza montò sopra a quello,
a
chiome sciolte e orribilmente passe:
ma
ben di dito si levò l'annello,
perché
gli incanti suoi non le vietasse.
Poi
con tal fretta andò, che la matina
si
ritrovò ne l'isola d'Alcina.
Quivi
mirabilmente transmutosse:
s'accrebbe
più d'un palmo di statura,
e
fe' le membra a proporzion più grosse;
e
restò a punto di quella misura
che
si pensò che il negromante fosse,
quel
che nutrì Ruggier con sì gran cura.
Vestì
di lunga barba le mascelle,
e
fe' crespa la fronte e l'altra pelle.
Di
faccia, di parole e di sembiante
sì
lo seppe imitar, che totalmente
potea
parer l'incantator Atlante.
Poi
si nascose, e tanto pose mente,
che
da Ruggiero allontanar l'amante
Alcina
vide un giorno finalmente:
e
fu gran sorte; che di stare o d'ire
senza
esso un'ora potea mal patire.
Soletto
lo trovò, come lo volle,
che
si godea il matin fresco e sereno
lungo
un bel rio che discorrea d'un colle
verso
un laghetto limpido ed ameno.
Il
suo vestir delizioso e molle
tutto
era d'ozio e di lascivia pieno,
che
de sua man gli avea di seta e d'oro
tessuto
Alcina con sottil lavoro.
Di
ricche gemme un splendido monile
gli
discendea dal collo in mezzo il petto;
e
ne l'uno e ne l'altro già virile
braccio
girava un lucido cerchietto.
Gli
avea forato un fil d'oro sottile
ambe
l'orecchie, in forma d'annelletto;
e
due gran perle pendevano quindi,
qua'
mai non ebbon gli Arabi né gli Indi.
Umide
avea l'innanellate chiome
de'
più suavi odor che sieno in prezzo:
tutto
ne' gesti era amoroso, come
fosse
in Valenza a servir donne avezzo:
non
era in lui di sano altro che il nome;
corrotto
tutto il resto, e più che mézzo.
Così
Ruggier fu ritrovato, tanto
da
l'esser suo mutato per incanto.
Ne
la forma d'Atlante se gli affaccia
colei,
che la sembianza ne tenea,
con
quella grave e venerabil faccia
che
Ruggier sempre riverir solea,
con
quello occhio pien d'ira e di minaccia,
che
sì temuto già fanciullo avea;
dicendo:
- È questo dunque il frutto che io
lungamente
atteso ho del sudor mio?
Di
medolle già d'orsi e di leoni
ti
porsi io dunque li primi alimenti;
t'ho
per caverne ed orridi burroni
fanciullo
avezzo a strangolar serpenti,
pantere
e tigri disarmar d'ungioni
ed
a vivi cingial trar spesso i denti,
acciò
che, dopo tanta disciplina,
tu
sii l'Adone o l'Atide d'Alcina?
È
questo, quel che l'osservate stelle,
le
sacre fibre e gli accoppiati punti,
responsi,
auguri, sogni e tutte quelle
sorti,
ove ho troppo i miei studi consunti,
di
te promesso sin da le mammelle
m'avean,
come quest'anni fusser giunti:
che
in arme l'opre tue così preclare
esser
dovean, che sarian senza pare?
Questo
è ben veramente alto principio
onde
si può sperar che tu sia presto
a
farti un Alessandro, un Iulio, un Scipio!
Chi
potea, ohimè! di te mai creder questo,
che
ti facessi d'Alcina mancipio?
E
perché ognun lo veggia manifesto,
al
collo ed alle braccia hai la catena
con
che ella a voglia sua preso ti mena.
Se
non ti muovon le tue proprie laudi,
e
l'opre e scelse a chi t'ha il cielo eletto,
la
tua succession perché defraudi
del
ben che mille volte io t'ho predetto?
deh,
perché il ventre eternamente claudi,
dove
il ciel vuol che sia per te concetto
la
gloriosa e soprumana prole
che
esser de' al mondo più chiara che il sole?
Deh
non vietar che le più nobil alme,
che
sian formate ne l'eterne idee,
di
tempo in tempo abbian corporee salme
dal
ceppo che radice in te aver dee!
Deh
non vietar mille trionfi e palme,
con
che, dopo aspri danni e piaghe ree,
tuoi
figli, tuoi nipoti e successori
Italia
torneran nei primi onori!
Non
che a piegarti a questo tante e tante
anime
belle aver dovesson pondo,
che
chiare, illustri, inclite, invitte e sante
son
per fiorir da l'arbor tuo fecondo;
ma
ti dovria un coppia esser bastante:
Ippolito
e il fratel; che pochi il mondo
ha
tali avuti ancor fin al dì d'oggi,
per
tutti i gradi onde a virtù si poggi.
Io
solea più di questi dui narrarti,
che
io non facea di tutti gli altri insieme;
sì
perché essi terran le maggior parti,
che
gli altri tuoi, ne le virtù supreme;
sì
perché al dir di lor mi vedea darti
più
attenzion, che d'altri del tuo seme:
vedea
goderti che sì chiari eroi
esser
dovessen dei nipoti tuoi.
Che
ha costei che t'hai fatto regina,
che
non abbian mill'altre meretrici?
costei
che di tant'altri è concubina,
che
al fin sai ben s'ella suol far felici.
Ma
perché tu conosca chi sia Alcina,
levatone
le fraudi e gli artifici,
tien
questo annello in dito, e torna ad ella,
che
aveder ti potrai come sia bella. -
Ruggier
si stava vergognoso e muto
mirando
in terra, e mal sapea che dire;
a
cui la maga nel dito minuto
pose
l'annello, e lo fe' risentire.
Come
Ruggiero in sé fu rivenuto,
di
tanto scorno si vide assalire,
che
esser vorria sotterra mille braccia,
che
alcun veder non lo potesse in faccia.
Ne
la sua prima forma in uno istante,
così
parlando, la maga rivenne;
né
bisognava più quella d'Atlante,
seguitone
l'effetto per che venne.
Per
dirvi quel che io non vi dissi inante,
costei
Melissa nominata venne,
che
or diè a Ruggier di sé notizia vera,
e
dissegli a che effetto venuta era;
mandata
da colei, che d'amor piena
sempre
il disia, né più può starne senza,
per
liberarlo da quella catena
di
che lo cinse magica violenza:
e
preso avea d'Atlante di Carena
la
forma, per trovar meglio credenza.
Ma
poi che a sanità l'ha ormai ridutto,
gli
vuole aprire e far che veggia il tutto.
-
Quella donna gentil che t'ama tanto,
quella
che del tuo amor degna sarebbe,
a
cui, se non ti scorda, tu sai quanto
tua
libertà, da lei servata, debbe;
questo
annel che ripara ad ogni incanto,
ti
manda: e così il cor mandato avrebbe,
s'avesse
avuto il cor così virtute,
come
l'annello, atta alla tua salute. -
E
seguitò narrandogli l'amore
che
Bradamante gli ha portato e porta;
di
questa insieme comendò il valore,
in
quanto il vero e l'affezion comporta;
ed
usò modo e termine migliore
che
si convenga a messaggera accorta:
ed
in quel odio Alcina a Ruggier pose,
in
che soglionsi aver l'orribil cose.
In
odio gli la pose, ancor che tanto
l'amasse
dianzi: e non vi paia strano,
quando
il suo amor per forza era d'incanto,
che
essendovi l'annel, rimase vano.
Fece
l'annel palese ancor, che quanto
di
beltà Alcina avea, tutto era estrano:
estrano
avea, e non suo, dal piè alla treccia;
il
bel ne sparve, e le restò la feccia.
Come
fanciullo che maturo frutto
ripone,
e poi si scorda ove è riposto,
e
dopo molti giorni è ricondutto
là
dove truova a caso il suo deposto,
si
maraviglia di vederlo tutto
putrido
e guasto, e non come fu posto;
e
dove amarlo e caro aver solia,
l'odia,
sprezza, n'ha schivo, e getta via:
così
Ruggier, poi che Melissa fece
che
a riveder se ne tornò la fata
con
quell'annello inanzi a cui non lece,
quando
s'ha in dito, usare opra incantata,
ritruova,
contra ogni sua stima, invece
de
la bella, che dianzi avea lasciata,
donna
sì laida, che la terra tutta
né
la più vecchia avea né la più brutta.
Pallido,
crespo e macilente avea
Alcina
il viso, il crin raro e canuto,
sua
statura a sei palmi non giungea:
ogni
dente di bocca era caduto;
che
più d'Ecuba e più de la Cumea,
ed
avea più d'ogn'altra mai vivuto.
Ma
sì l'arti usa al nostro tempo ignote,
che
bella e giovanetta parer puote.
Giovane
e bella ella si fa con arte,
si
che molti ingannò come Ruggiero;
ma
l'annel venne a interpretar le carte
che
già molti anni avean celato il vero.
Miracol
non è dunque, se si parte
de
l'animo a Ruggier ogni pensiero
che
avea d'amare Alcina, or che la truova
in
guisa, che sua fraude non le giova.
Ma
come l'avisò Melissa, stette
senza
mutare il solito sembiante,
fin
che l'arme sue, più dì neglette,
si
fu vestito dal capo alle piante;
e
per non farle ad Alcina suspette,
finse
provar s'in esse era aiutante,
finse
provar se gli era fatto grosso,
dopo
alcun dì che non l'ha avute indosso.
E
Balisarda poi si messe al fianco
(che
così nome la sua spada avea);
e
lo scudo mirabile tolse anco,
che
non pur gli occhi abbarbagliar solea,
ma
l'anima facea sì venir manco,
che
dal corpo esalata esser parea.
Lo
tolse, e col zendado in che trovollo,
che
tutto lo copria, sel messe al collo.
Venne
alla stalla, e fece briglia e sella
porre
a un destrier più che la pece nero:
così
Melissa l'avea istrutto; che ella
sapea
quanto nel corso era leggiero.
Chi
lo conosce, Rabican l'appella;
ed
è quel proprio che col cavalliero
del
quale i venti or presso al mar fan gioco,
portò
già la balena in questo loco.
Potea
aver l'ippogrifo similmente,
che
presso a Rabicano era legato;
ma
gli avea detto la maga: - Abbi mente,
che
egli è (come tu sai) troppo sfrenato. -
E
gli diede intenzion che il dì seguente
gli
lo trarrebbe fuor di quello stato,
là
dove ad agio poi sarebbe istrutto
come
frenarlo e farlo gir per tutto.
Né
sospetto darà, se non lo tolle,
de
la tacita fuga che apparecchia.
Fece
Ruggier come Melissa volle,
che
invisibile ognor gli era all'orecchia.
Così
fingendo, del lascivo e molle
palazzo
uscì de la puttana vecchia;
e
si venne accostando ad una porta,
donde
è la via che a Logistilla il porta.
Assaltò
li guardiani all'improviso,
e
si cacciò tra lor col ferro in mano,
e
qual lasciò ferito, e quale ucciso;
e
corse fuor del ponte a mano a mano:
e
prima che n'avesse Alcina aviso,
di
molto spazio fu Ruggier lontano.
Dirò
ne l'altro canto che via tenne;
poi
come a Logistilla se ne venne.
CANTO
OTTAVO
Oh
quante sono incantatrici, oh quanti
incantator
tra noi, che non si sanno!
che
con lor arti uomini e donne amanti
di
sé, cangiando i visi lor, fatto hanno.
Non
con spirti costretti tali incanti,
né
con osservazion di stelle fanno;
ma
con simulazion, menzogne e frodi
legano
i cor d'indissolubil nodi.
Chi
l'annello d'Angelica, o piu tosto
chi
avesse quel de la ragion, potria
veder
a tutti il viso, che nascosto
da
finzione e d'arte non saria.
Tal
ci par bello e buono, che, deposto
il
liscio, brutto e rio forse parria.
Fu
gran ventura quella di Ruggiero,
che
ebbe l'annel che gli scoperse il vero.
Ruggier
(come io dicea) dissimulando,
su
Rabican venne alla porta armato:
trovò
le guardie sprovedute, e quando
giunse
tra lor, non tenne il brando a lato.
Chi
morto e chi a mal termine lasciando,
esce
del ponte, e il rastrello ha spezzato:
prende
al bosco la via; ma poco corre,
che
ad un de' servi de la fata occorre.
Il
servo in pugno avea un augel grifagno
che
volar con piacer facea ogni giorno,
ora
a campagna, ora a un vicino stagno,
dove
era sempre da far preda intorno:
avea
da lato il can fido compagno:
cavalcava
un ronzin non troppo adorno.
Ben
pensò che Ruggier dovea fuggire,
quando
lo vide in tal fretta venire.
Se
gli fe' incontra, e con sembiante altiero
gli
domandò perché in tal fretta gisse.
Risponder
non gli volse il buon Ruggiero:
perciò
colui, più certo che fuggisse,
di
volerlo arrestar fece pensiero;
e
distendendo il braccio manco, disse:
-
Che dirai tu, se subito ti fermo?
se
contra questo augel non avrai schermo? -
Spinge
l'augello: e quel batte sì l'ale,
che
non l'avanza Rabican di corso.
Del
palafreno il cacciator giù sale,
e
tutto a un tempo gli ha levato il morso.
Quel
par da l'arco uno aventato strale,
di
calci formidabile e di morso;
e
il servo dietro sì veloce viene,
che
par che il vento, anzi che il fuoco il mene.
Non
vuol parere il can d'esser più tardo;
ma
segue Rabican con quella fretta
con
che le lepri suol seguire il pardo.
Vergogna
a Ruggier par, se non aspetta.
Voltasi
a quel che vien sì a piè gagliardo;
né
gli vede arme, fuor che una bacchetta,
quella
con che ubidire al cane insegna:
Ruggier
di trar la spada si disdegna.
Quel
se gli appressa, e forte lo percuote:
lo
morde a un tempo il can nel piede manco.
Lo
sfrenato destrier la groppa scuote
tre
volte e più, né falla il destro fianco.
Gira
l'augello e gli fa mille ruote,
e
con l'ugna sovente il ferisce anco:
sì
il destrier collo strido impaurisce,
che
alla mano e allo spron poco ubidisce.
Ruggiero,
al fin costretto, il ferro caccia:
e
perché tal molestia se ne vada,
or
gli animali, or quel villan minaccia
col
taglio e con la punta de la spada.
Quella
importuna turba più l'impaccia:
presa
ha chi qua chi là tutta la strada.
Vede
Ruggiero il disonore e il danno
che
gli avverrà, se più tardar lo fanno.
Sa
che ogni poco più che ivi rimane,
Alcina
avrà col populo alle spalle:
di
trombe, di tamburi e di campane
già
s'ode alto rumore in ogni valle.
Contra
un servo senza arme e contra un cane
gli
par che a usar la spada troppo falle:
meglio
e più breve è dunque che gli scopra
lo
scudo che d'Atlante era stato opra.
Levò
il drappo vermiglio in che coperto
già
molti giorni lo scudo si tenne.
Fece
l'effetto mille volte esperto
il
lume, ove a ferir negli occhi venne:
resta
dai sensi il cacciator deserto,
cade
il cane e il ronzin, cadon le penne,
che
in aria sostener l'augel non ponno.
Lieto
Ruggier li lascia in preda al sonno.
Alcina,
che avea intanto avuto aviso
di
Ruggier, che sforzato avea la porta,
e
de la guardia buon numero ucciso,
fu,
vinta dal dolor, per restar morta.
Squarciossi
i panni e si percosse il viso,
e
sciocca nominossi e malaccorta;
e
fece dar all'arme immantinente,
e
intorno a sé raccor tutta sua gente.
E
poi ne fa due parti, e manda l'una
per
quella strada ove Ruggier camina;
al
porto l'altra subito raguna,
imbarca,
ed uscir fa ne la marina:
sotto
le vele aperte il mar s'imbruna.
Con
questi va la disperata Alcina,
che
il desiderio di Ruggier sì rode,
che
lascia sua città senza custode.
Non
lascia alcuno a guardia del palagio:
il
che a Melissa che stava alla posta
per
liberar di quel regno malvagio
la
gente che in miseria v'era posta,
diede
commodità, diede grande agio
di
gir cercando ogni cosa a sua posta,
imagini
abbruciar, suggelli torre,
e
nodi e rombi e turbini disciorre.
Indi
pei campi accelerando i passi,
gli
antiqui amanti, che erano in gran torma
conversi
in fonti, in fere, in legni, in sassi,
fe'
ritornar ne la lor prima forma.
E
quei, poi che allargati furo i passi,
tutti
del buon Ruggier seguiron l'orma:
a
Logistilla si salvaro; ed indi
tornaro
a Sciti, a Persi, a Greci, ad Indi.
Li
rimandò Melissa in lor paesi,
con
obligo di mai non esser sciolto.
Fu
inanzi agli altri il duca degli Inglesi
ad
esser ritornato in uman volto;
che
il parentado in questo e li cortesi
prieghi
del buon Ruggier gli giovar molto:
oltre
i prieghi, Ruggier le diè l'annello,
acciò
meglio potesse aiutar quello.
A'
prieghi dunque di Ruggier, rifatto
fu
il paladin ne la sua prima faccia.
Nulla
pare a Melissa d'aver fatto,
quando
ricovrar l'arme non gli faccia,
e
quella lancia d'or, che al primo tratto
quanti
ne tocca de la sella caccia:
de
l'Argalia, poi fu d'Astolfo lancia,
e
molto onor fe' all'uno e a l'altro in Francia.
Trovò
Melissa questa lancia d'oro,
che
Alcina avea reposta nel palagio,
e
tutte l'arme che del duca foro,
e
gli fur tolte ne l'ostel malvagio.
Montò
il destrier del negromante moro,
e
fe' montar Astolfo in groppa ad agio;
e
quindi a Logistilla si condusse
d'un'ora
prima che Ruggier vi fusse.
Tra
duri sassi e folte spine gìa
Ruggiero
intanto invêr la fata saggia,
di
balzo in balzo, e d'una in altra via
aspra,
solinga, inospita e selvaggia;
tanto
che a gran fatica riuscia
su
la fervida nona in una spiaggia
tra
il mare e il monte, al mezzodì scoperta,
arsiccia,
nuda, sterile e deserta.
Percuote
il sole ardente il vicin colle;
e
del calor che si riflette a dietro,
in
modo l'aria e l'arena ne bolle,
che
saria troppo a far liquido il vetro.
Stassi
cheto ogni augello all'ombra molle:
sol
la cicala col noioso metro
fra
i densi rami del fronzuto stelo
le
valli e i monti assorda, e il mare e il cielo.
Quivi
il caldo, la sete, e la fatica
che
era di gir per quella via arenosa,
facean,
lungo la spiaggia erma ed aprica,
a
Ruggier compagnia grave e noiosa.
Ma
perché non convien che sempre io dica,
né
che io vi occupi sempre in una cosa,
io
lascerò Ruggiero in questo caldo,
e
girò in Scozia a ritrovar Rinaldo.
Era
Rinaldo molto ben veduto
dal
re, da la figliuola e dal paese.
Poi
la cagion che quivi era venuto,
più
ad agio il paladin fece palese:
che
in nome del suo re chiedeva aiuto
e
dal regno di Scozia e da l'Inglese;
ed
ai preghi soggiunse anco di Carlo,
giustissime
cagion di dover farlo.
Dal
re, senza indugiar, gli fu risposto,
che
di quanto sua forza s'estendea,
per
utile ed onor sempre disposto
di
Carlo e de l'Imperio esser volea;
e
che fra pochi dì gli avrebbe posto
più
cavallieri in punto che potea;
e
se non che esso era oggimai pur vecchio,
capitano
verria del suo apparecchio.
Né
tal rispetto ancor gli parria degno
di
farlo rimaner, se non avesse
il
figlio, che di forza, e più d'ingegno,
dignissimo
era a chiil governo desse,
ben
che non si trovasse allor nel regno;
ma
che sperava che venir dovesse
mentre
che insieme aduneria lo stuolo;
e
che adunato il troveria il figliuolo.
Così
mandò per tutta la sua terra
suoi
tesorieri a far cavalli e gente;
navi
apparecchia e munizion da guerra,
vettovaglia
e danar maturamente.
Venne
intanto Rinaldo in Inghilterra,
e
il re nel suo partir cortesemente
insino
a Beroicche accompagnollo;
e
visto pianger fu quando lasciollo.
Spirando
il vento prospero alla poppa,
monta
Rinaldo, ed a Dio dice a tutti:
la
fune indi al viaggio il nocchier sgroppa;
tanto
che giunge ove nei salsi flutti
il
bel Tamigi amareggiando intoppa.
Col
gran flusso del mar quindi condutti
i
naviganti per camin sicuro
a
vela e remi insino a Londra furo.
Rinaldo
avea da Carlo e dal re Otone,
che
con Carlo in Parigi era assediato,
al
principe di Vallia commissione
per
contrasegni e lettere portato,
che
ciò che potea far la regione
di
fanti e di cavalli in ogni lato,
tutto
debba a Calesio traghittarlo,
sì
che aiutar si possa Francia e Carlo.
Il
principe che io dico, che era, in vece
d'Oton,
rimaso nel seggio reale,
a
Rinaldo d'Amon tanto onor fece,
che
non l'avrebbe al suo re fatto uguale:
indi
alle sue domande satisfece;
perché
a tutta la gente marziale
e
di Bretagna e de l'isole intorno
di
ritrovarsi al mar prefisse il giorno.
Signor,
far mi convien come fa il buono
sonator
sopra il suo istrumento arguto,
che
spesso muta corda, e varia suono,
ricercando
ora il grave, ora l'acuto.
Mentre
a dir di Rinaldo attento sono,
d'Angelica
gentil m'è sovenuto,
di
che lasciai che era da lui fuggita,
e
che avea riscontrato uno eremita.
Alquanto
la sua istoria io vo' seguire.
Dissi
che domandava con gran cura,
come
potesse alla marina gire;
che
di Rinaldo avea tanta paura,
che,
non passando il mar, credea morire,
né
in tutta Europa si tenea sicura:
ma
l'eremita a bada la tenea,
perché
di star con lei piacere avea.
Quella
rara bellezza il cor gli accese,
e
gli scaldò le frigide medolle:
ma
poi che vide che poco gli attese,
e
che oltra soggiornar seco non volle,
di
cento punte l'asinello offese;
né
di sua tardità però lo tolle:
e
poco va di passo e men di trotto,
né
stender gli si vuol la bestia sotto.
E
perché molto dilungata s'era,
e
poco più, n'avria perduta l'orma,
ricorse
il frate alla spelonca nera,
e
di demoni uscir fece una torma:
e
ne sceglie uno di tutta la schiera,
e
del bisogno suo prima l'informa;
poi
lo fa entrare adosso al corridore,
che
via gli porta con la donna il core.
E
qual sagace can, nel monte usato
a
volpi o lepri dar spesso la caccia,
che
se la fera andar vede da un lato,
ne
va da un altro, e par sprezzi la traccia;
al
varco poi lo sentono arrivato,
che
l'ha già in bocca, e l'apre il fianco e straccia:
tal
l'eremita per diversa strada
aggiugnerà
la donna ovunque vada.
Che
sia il disegno suo, ben io comprendo:
e
dirollo anco a voi, ma in altro loco.
Angelica
di ciò nulla temendo,
cavalcava
a giornate, or molto or poco.
Nel
cavallo il demon si gìa coprendo,
come
si cuopre alcuna volta il fuoco,
che
con sì grave incendio poscia avampa,
che
non si estingue, e a pena se ne scampa.
Poi
che la donna preso ebbe il sentiero
dietro
il gran mar che li Guasconi lava,
tenendo
appresso all'onde il suo destriero,
dove
l'umor la via più ferma dava;
quel
le fu tratto dal demonio fiero
ne
l'acqua sì, che dentro vi nuotava.
Non
sa che far la timida donzella,
se
non tenersi ferma in su la sella.
Per
tirar briglia, non gli può dar volta:
più
e più sempre quel si caccia in alto.
Ella
tenea la vesta in su raccolta
per
non bagnarla, e traea i piedi in alto.
Per
le spalle la chioma iva disciolta,
e
l'aura le facea lascivo assalto.
Stavano
cheti tutti i maggior venti,
forse
a tanta beltà, col mare, attenti.
Ella
volgea i begli occhi a terra invano,
che
bagnavan di pianto il viso e il seno,
e
vedea il lito andar sempre lontano
e
decrescer più sempre e venir meno.
Il
destrier, che nuotava a destra mano,
dopo
un gran giro la portò al terreno
tra
scuri sassi e spaventose grotte,
già
cominciando ad oscurar la notte.
Quando
si vide sola in quel deserto,
che
a riguardarlo sol, mettea paura,
ne
l'ora che nel mar Febo coperto
l'aria
e la terra avea lasciata oscura,
fermossi
in atto che avria fatto incerto
chiunque
avesse vista sua figura,
s'ella
era donna sensitiva e vera,
o
sasso colorito in tal maniera.
Stupida
e fissa ne la incerta sabbia,
coi
capelli disciolti e rabuffati,
con
le man giunte e con l'immote labbia,
i
languidi occhi al ciel tenea levati,
come
accusando il gran Motor che l'abbia
tutti
inclinati nel suo danno i fati.
Immota
e come attonita stè alquanto;
poi
sciolse al duol la lingua, e gli occhi al pianto.
Dicea:
- Fortuna, che più a far ti resta
acciò
di me ti sazi e ti disfami?
che
dar ti posso omai più, se non questa
misera
vita? ma tu non la brami;
che
ora a trarla del mar sei stata presta,
quando
potea finir suoi giorni grami:
perché
ti parve di voler più ancora
vedermi
tormentar prima che io muora.
Ma
che mi possi nuocere non veggio,
più
di quel che sin qui nociuto m'hai.
Per
te cacciata son del real seggio,
dove
più ritornar non spero mai:
ho
perduto l'onor, che è stato peggio;
che,
se ben con effetto io non peccai,
io
do però materia che ognun dica,
che
essendo vagabonda, io sia impudica.
Che
aver può donna al mondo più di buono,
a
cui la castità levata sia?
Mi
nuoce, ahimè! che io son giovane, e sono
tenuta
bella, o sia vero o bugia.
Già
non ringrazio il ciel di questo dono;
che
di qui nasce ogni ruina mia:
morto
per questo fu Argalia mio frate,
che
poco gli giovar l'arme incantate:
per
questo il re di Tartaria Agricane
disfece
il genitor mio Galafrone,
che
in India, del Cataio era gran Cane;
onde
io son giunta a tal condizione,
che
muto albergo da sera a dimane.
Se
l'aver, se l'onor, se le persone
m'hai
tolto, e fatto il mal che far mi puoi,
a
che più doglia anco serbar mi vuoi?
Se
l'affogarmi in mar morte non era
a
tuo senno crudel, pur che io ti sazi,
non
recuso che mandi alcuna fera
che
mi divori, e non mi tenga in strazi.
D'ogni
martir che sia, pur che io ne pera,
esser
non può che assai non ti ringrazi. -
Così
dicea la donna con gran pianto,
quando
le apparve l'eremita accanto.
Avea
mirato da l'estrema cima
d'un
rilevato sasso l'eremita
Angelica,
che giunta alla parte ima
è
dello scoglio, afflitta e sbigottita.
Era
sei giorni egli venuto prima;
che
un demonio il portò per via non trita:
e
venne a lei fingendo divozione
quanta
avesse mai Paulo o Ilarione.
Come
la donna il cominciò a vedere,
prese,
non conoscendolo, conforto;
e
cessò a poco a poco il suo temere,
ben
che ella avesse ancora il viso smorto.
Come
fu presso, disse: - Miserere,
padre,
di me, che io son giunta a mal porto. -
E
con voce interrotta dal singulto
gli
disse quel che a lui non era occulto.
Comincia
l'eremita a confortarla
con
alquante ragion belle e divote;
e
pon l'audaci man, mentre che parla,
or
per lo seno, or per l'umide gote:
poi
più sicuro va per abbracciarla;
ed
ella sdegnosetta lo percuote
con
una man nel petto, e lo rispinge,
e
d'onesto rossor tutta si tinge.
Egli,
che allato avea una tasca, aprilla,
e
trassene una ampolla di liquore;
e
negli occhi possenti, onde sfavilla
la
più cocente face che abbia Amore,
spruzzò
di quel leggiermente una stilla,
che
di farla dormire ebbe valore.
Già
resupina ne l'arena giace
a
tutte voglie del vecchio rapace.
Egli
l'abbraccia ed a piacer la tocca
ed
ella dorme e non può fare ischermo.
Or
le bacia il bel petto, ora la bocca;
non
è chi il veggia in quel loco aspro ed ermo.
Ma
ne l'incontro il suo destrier trabocca;
che
al disio non risponde il corpo infermo:
era
mal atto, perché avea troppi anni;
e
potrà peggio, quanto più l'affanni.
Tutte
le vie, tutti li modi tenta,
ma
quel pigro rozzon non però salta.
Indarno
il fren gli scuote, e lo tormenta;
e
non può far che tenga la testa alta.
Al
fin presso alla donna s'addormenta;
e
nuova altra sciagura anco l'assalta:
non
comincia Fortuna mai per poco,
quando
un mortal si piglia a scherno e a gioco.
Bisogna,
prima che io vi narri il caso,
che
un poco dal sentier dritto mi torca.
Nel
mar di tramontana invêr l'occaso,
oltre
l'Irlanda una isola si corca,
Ebuda
nominata; ove è rimaso
il
popul raro, poi che la brutta orca
e
l'altro marin gregge la distrusse,
che
in sua vendetta Proteo vi condusse.
Narran
l'antique istorie, o vere o false,
che
tenne già quel luogo un re possente,
che
ebbe una figlia, in cui bellezza valse
e
grazia sì, che poté facilmente,
poi
che mostrossi in su l'arene salse,
Proteo
lasciare in mezzo l'acque ardente;
e
quello, un dì che sola ritrovolla,
compresse,
e di sé gravida lasciolla.
La
cosa fu gravissima e molesta
al
padre, più d'ogn'altro empio e severo:
né
per iscusa o per pietà, la testa
le
perdonò: sì può lo sdegno fiero.
Né
per vederla gravida, si resta
di
subito esequire il crudo impero:
e
il nipotin che non avea peccato,
prima
fece morir che fosse nato.
Proteo
marin, che pasce il fiero armento
di
Nettunno che l'onda tutta regge,
sente
de la sua donna aspro tormento,
e
per grand'ira, rompe ordine e legge;
sì
che a mandare in terra non è lento
l'orche
e le foche, e tutto il marin gregge,
che
distruggon non sol pecore e buoi,
ma
ville e borghi e li cultori suoi:
e
spesso vanno alle città murate,
e
d'ogn'intorno lor mettono assedio.
Notte
e dì stanno le persone armate,
con
gran timore e dispiacevol tedio:
tutte
hanno le campagne abbandonate;
e
per trovarvi al fin qualche rimedio,
andarsi
a consigliar di queste cose
all'oracol,
che lor così rispose:
che
trovar bisognava una donzella
che
fosse all'altra di bellezza pare,
ed
a Proteo sdegnato offerir quella,
in
cambio de la morta, in lito al mare.
S'a
sua satisfazion gli parrà bella,
se
la terrà, né li verrà a sturbare:
se
per questo non sta, se gli appresenti
una
ed un'altra, fin che si contenti.
E
così cominciò la dura sorte
tra
quelle che più grate eran di faccia,
che
a Proteo ciascun giorno una si porte,
fin
che trovino donna che gli piaccia.
La
prima e tutte l'altre ebbero morte;
che
tutte giù pel ventre se le caccia
un'orca,
che restò presso alla foce,
poi
che il resto partì del gregge atroce.
O
vera o falsa che fosse la cosa
di
Proteo (che io non so che me ne dica),
servosse
in quella terra, con tal chiosa,
contra
le donne un'empia lege antica:
che
di lor carne l'orca mostruosa
che
viene ogni dì al lito, si notrica.
Ben
che esser donna sia in tutte le bande
danno
e sciagura, quivi era pur grande.
Oh
misere donzelle che trasporte
fortuna
ingiuriosa al lito infausto!
dove
le genti stan sul mare accorte
per
far de le straniere empio olocausto;
che,
come più di fuor ne sono morte,
il
numer de le loro è meno esausto:
ma
perché il vento ognor preda non mena,
ricercando
ne van per ogni arena.
Van
discorrendo tutta la marina
con
fuste e grippi ed altri legni loro,
e
da lontana parte e da vicina
portan
sollevamento al lor martoro.
Molte
donne han per forza e per rapina,
alcune
per lusinghe, altre per oro;
e
sempre da diverse regioni
n'hanno
piene le torri e le prigioni.
Passando
una lor fusta a terra a terra
inanzi
a quella solitaria riva
dove
fra sterpi in su l'erbosa terra
la
sfortunata Angelica dormiva,
smontaro
alquanti galeotti in terra
per
riportarne e legna ed acqua viva;
e
di quante mai fur belle e leggiadre
trovaro
il fiore in braccio al santo padre.
Oh
troppo cara, oh troppo eccelsa preda
per
sì barbare genti e sì villane!
Oh
Fortuna crudel, chi fia che il creda,
che
tanta forza hai ne le cose umane,
che
per cibo d'un mostro tu conceda
la
gran beltà, che in India il re Agricane
fece
venir da le caucasee porte
con
mezza Scizia a guadagnar la morte?
La
gran beltà, che fu da Sacripante
posta
inanzi al suo onore e al suo bel regno;
la
gran beltà, che al gran signor d'Anglante
macchiò
la chiara fama e l'alto ingegno;
la
gran beltà che fe' tutto Levante
sottosopra
voltarsi e stare al segno,
ora
non ha (così è rimasa sola)
chi
le dia aiuto pur d'una parola.
La
bella donna, di gran sonno oppressa,
incatenata
fu prima che desta.
Portaro
il frate incantator con essa
nel
legno pien di turba afflitta e mesta.
La
vela, in cima all'arbore rimessa,
rendé
la nave all'isola funesta,
dove
chiuser la donna in rocca forte,
fin
a quel dì che a lei toccò la sorte.
Ma
poté sì, per esser tanto bella,
la
fiera gente muovere a pietade,
che
molti dì le differiron quella
morte,
e serbarla a gran necessitade;
e
fin che ebber di fuore altra donzella,
perdonaro
all'angelica beltade.
Al
mostro fu condotta finalmente,
piangendo
dietro a lei tutta la gente.
Chi
narrerà l'angosce, i pianti, i gridi,
l'alta
querela che nel ciel penetra?
maraviglia
ho che non s'apriro i lidi,
quando
fu posta in su la fredda pietra,
dove
in catena, priva di sussidi,
morte
aspettava abominosa e tetra.
Io
nol dirò; che sì il dolor mi muove,
che
mi sforza voltar le rime altrove,
e
trovar versi non tanto lugubri,
fin
che il mio spirto stanco si riabbia;
che
non potrian li squalidi colubri,
né
l'orba tigre accesa in maggior rabbia,
né
ciò che da l'Atlante ai liti rubri
venenoso
erra per la calda sabbia,
né
veder né pensar senza cordoglio,
Angelica
legata al nudo scoglio.
Oh
se l'avesse il suo Orlando saputo,
che
era per ritrovarla ito a Parigi;
o
li dui che ingannò quel vecchio astuto
col
messo che venìa dai luoghi stigi!
fra
mille morti, per donarle aiuto,
cercato
avrian gli angelici vestigi:
ma
che fariano, avendone anco spia,
poi
che distanti son di tanta via?
Parigi
intanto avea l'assedio intorno
dal
famoso figliuol del re Troiano;
e
venne a tanta estremitade un giorno,
che
n'andò quasi al suo nimico in mano:
e
se non che li voti il ciel placorno,
che
dilagò di pioggia oscura il piano,
cadea
quel dì per l'africana lancia
il
santo Impero e il gran nome di Francia.
Il
sommo Creator gli occhi rivolse
al
giusto lamentar del vecchio Carlo;
e
con subita pioggia il fuoco tolse:
né
forse uman saper potea smorzarlo.
Savio
chiunque a Dio sempre si volse;
che
altri non poté mai meglio aiutarlo.
Ben
dal devoto re fu conosciuto,
che
si salvò per lo divino aiuto.
La
notte Orlando alle noiose piume
del
veloce pensier fa parte assai.
Or
quinci or quindi il volta, or lo rassume
tutto
in un loco, e non l'afferma mai:
qual
d'acqua chiara il tremolante lume,
dal
sol percossa o da' notturni rai,
per
gli ampli tetti va con lungo salto
a
destra ed a sinistra, e basso ed alto.
La
donna sua, che gli ritorna a mente,
anzi
che mai non era indi partita,
gli
raccende nel core e fa più ardente
la
fiamma che nel dì parea sopita.
Costei
venuta seco era in Ponente
fin
dal Cataio; e qui l'avea smarrita,
né
ritrovato poi vestigio d'ella
che
Carlo rotto fu presso a Bordella.
Di
questo Orlando avea gran doglia, e seco
indarno
a sua sciocchezza ripensava.
-
Cor mio (dicea), come vilmente teco
mi
son portato! ohimè, quanto mi grava
che
potendoti aver notte e dì meco,
quando
la tua bontà non mel negava,
t'abbia
lasciato in man di Namo porre,
per
non sapermi a tanta ingiuria opporre!
Non
aveva ragione io di scusarme?
e
Carlo non m'avria forse disdetto:
se
pur disdetto, e chi potea sforzarme?
chi
ti mi volea torre al mio dispetto?
non
poteva io venir più tosto all'arme?
lasciar
più tosto trarmi il cor del petto?
Ma
né Carlo né tutta la sua gente
di
tormiti per forza era possente.
Almen
l'avesse posta in guardia buona
dentro
a Parigi o in qualche rocca forte.
Che
l'abbia data a Namo mi consona,
sol
perché a perder l'abbia a questa sorte.
Chi
la dovea guardar meglio persona
di
me? che io dovea farlo fino a morte;
guardarla
più che il cor, che gli occhi miei:
e
dovea e potea farlo, e pur nol fei.
Deh,
dove senza me, dolce mia vita,
rimasa
sei sì giovane e sì bella?
come,
poi che la luce è dipartita,
riman
tra' boschi la smarrita agnella,
che
dal pastor sperando esser udita,
si
va lagnando in questa parte e in quella;
tanto
che il lupo l'ode da lontano,
e
il misero pastor ne piagne invano.
Dove,
speranza mia, dove ora sei?
vai
tu soletta forse ancor errando?
o
pur t'hanno trovata i lupi rei
senza
la guardia del tuo fido Orlando?
e
il fior che in ciel potea pormi fra i dei,
il
fior che intatto io mi venìa serbando
per
non turbarti, ohimè! l'animo casto,
ohimè!
per forza avranno colto e guasto.
Oh
infelice! oh misero! che voglio
se
non morir, se il mio bel fior colto hanno?
O
sommo Dio, fammi sentir cordoglio
prima
d'ogn'altro, che di questo danno.
Se
questo è ver, con le mie man mi toglio
la
vita, e l'alma disperata danno. -
Così,
piangendo forte e sospirando,
seco
dicea l'addolorato Orlando.
Già
in ogni parte gli animanti lassi
davan
riposo ai travagliati spirti,
chi
su le piume, e chi sui duri sassi,
e
chi su l'erbe, e chi su faggi o mirti:
tu
le palpebre, Orlando, a pena abbassi,
punto
da' tuoi pensieri acuti ed irti;
né
quel sì breve e fuggitivo sonno
godere
in pace anco lasciar ti ponno.
Parea
ad Orlando, s'una verde riva
d'odoriferi
fior tutta dipinta,
mirare
il bello avorio, e la nativa
purpura
che avea Amor di sua man tinta,
e
le due chiare stelle onde nutriva
ne
le reti d'Amor l'anima avinta:
io
parlo de' begli occhi e del bel volto,
che
gli hanno il cor di mezzo il petto tolto.
Sentia
il maggior piacer, la maggior festa
che
sentir possa alcun felice amante:
ma
ecco intanto uscire una tempesta
che
struggea i fior, ed abbattea le piante:
non
se ne suol veder simile a questa,
quando
giostra aquilone, austro e levante.
Parea
che per trovar qualche coperto,
andasse
errando invan per un deserto.
Intanto
l'infelice (e non sa come)
perde
la donna sua per l'aer fosco;
onde
di qua e di là del suo bel nome
fa
risonare ogni campagna e bosco.
E
mentre dice indarno: - Misero me!
chi
ha cangiata mia dolcezza in tosco? -
ode
la donna sua che gli domanda,
piangendo,
aiuto, e se gli raccomanda.
Onde
par che esca il grido, va veloce,
e
quinci e quindi s'affatica assai.
Oh
quanto è il suo dolore aspro ed atroce,
che
non può rivedere i dolci rai!
Ecco
che altronde ode da un'altra voce:
-
Non sperar più gioirne in terra mai. -
A
questo orribil grido risvegliossi,
e
tutto pien di lacrime trovossi.
Senza
pensar che sian l'immagin false
quando
per tema o per disio si sogna,
de
la donzella per modo gli calse,
che
stimò giunta a danno od a vergogna,
che
fulminando fuor del letto salse.
Di
piastra e maglia, quanto gli bisogna,
tutto
guarnissi, e Brigliadoro tolse;
né
di scudiero alcun servigio volse.
E
per poter entrare ogni sentiero,
che
la sua dignità macchia non pigli,
non
l'onorata insegna del quartiero,
distinta
di color bianchi e vermigli,
ma
portar volse un ornamento nero;
e
forse acciò che al suo dolor simigli:
e
quello avea già tolto a uno amostante,
che
uccise di sua man pochi anni inante.
Da
mezza notte tacito si parte,
e
non saluta e non fa motto al zio;
né
al fido suo compagno Brandimarte,
che
tanto amar solea, pur dice a Dio.
Ma
poi che il Sol con l'auree chiome sparte
del
ricco albergo di Titone uscìo
e
fe' l'ombra fugire umida e nera,
s'avide
il re che il paladin non v'era.
Con
suo gran dispiacer s'avede Carlo
che
partito la notte è il suo nipote,
quando
esser dovea seco e più aiutarlo;
e
ritener la colera non puote,
che
a lamentarsi d'esso, ed a gravarlo
non
incominci di biasmevol note:
e
minacciar, se non ritorna, e dire
che
lo faria di tanto error pentire.
Brandimarte,
che Orlando amava a pare
di
sé medesmo, non fece soggiorno;
o
che sperasse farlo ritornare,
o
sdegno avesse udirne biasmo e scorno;
e
volse a pena tanto dimorare,
che
uscisse fuor ne l'oscurar del giorno.
A
Fiordiligi sua nulla ne disse,
perché
il disegno suo non gli impedisse.
Era
questa una donna che fu molto
da
lui diletta, e ne fu raro senza;
di
costumi, di grazia e di bel volto
dotata
e d'accortezza e di prudenza:
e
se licenza or non n'aveva tolto,
fu
che sperò tornarle alla presenza
il
dì medesmo; ma gli accadde poi,
che
lo tardò più dei disegni suoi.
E
poi che ella aspettato quasi un mese
indarno
l'ebbe, e che tornar nol vide,
di
desiderio sì di lui s'accese,
che
si partì senza compagni o guide;
e
cercandone andò molto paese,
come
l'istoria al luogo suo dicide.
Di
questi dua non vi dico or più inante;
che
più m'importa il cavallier d'Anglante.
Il
qual, poi che mutato ebbe d'Almonte
le
gloriose insegne, andò alla porta,
e
disse ne l'orecchio: - Io sono il conte -
a
un capitan che vi facea la scorta;
e
fattosi abassar subito il ponte,
per
quella strada che più breve porta
agli
inimici, se n'andò diritto.
Quel
che seguì, ne l'altro canto è scritto.
CANTO
NONO
Che
non può far d'un cor che abbia suggetto
questo
crudele e traditore Amore,
poi
che ad Orlando può levar del petto
la
tanta fe' che debbe al suo Signore?
Già
savio e pieno fu d'ogni rispetto,
e
de la santa Chiesa difensore;
or
per un vano amor, poco del zio,
e
di sé poco, e men cura di Dio.
Ma
l'escuso io pur troppo, e mi rallegro
nel
mio difetto aver compagno tale;
che
anche io sono al mio ben languido ed egro,
sano
e gagliardo a seguitare il male.
Quel
se ne va tutto vestito a negro,
né
tanti amici abandonar gli cale;
e
passa dove d'Africa e di Spagna
la
gente era attendata alla campagna:
anzi
non attendata, perché sotto
alberi
e tetti l'ha sparsa la pioggia
a
dieci, a venti, a quattro, a sette, ad otto;
chi
più distante e chi più presso alloggia.
Ognuno
dorme travagliato e rotto:
chi
steso in terra, e chi alla man s'appoggia.
Dormono;
e il conte uccider ne può assai:
né
però stringe Durindana mai.
Di
tanto core è il generoso Orlando,
che
non degna ferir gente che dorma.
Or
questo, e quando quel luogo cercando
va,
per trovar de la sua donna l'orma.
Se
truova alcun che veggi, sospirando
gli
ne dipinge l'abito e la forma;
e
poi lo priega che per cortesia
gli
insegni andar in parte ove ella sia.
E
poi che venne il dì chiaro e lucente,
tutto
cercò l'esercito moresco:
e
ben lo potea far sicuramente,
avendo
indosso l'abito arabesco;
ed
aiutollo in questo parimente,
che
sapeva altro idioma che francesco,
e
l'africano tanto avea espedito,
che
parea nato a Tripoli e nutrito.
Quivi
il tutto cercò, dove dimora
fece
tre giorni, e non per altro effetto;
poi
dentro alle cittadi e a' borghi fuora
non
spiò sol per Francia e suo distretto,
ma
per Uvernia e per Guascogna ancora
rivide
sin all'ultimo borghetto:
e
cercò da Provenza alla Bretagna,
e
dai Picardi ai termini di Spagna.
Tra
il fin d'ottobre e il capo di novembre,
ne
la stagion che la frondosa vesta
vede
levarsi e discoprir le membre
trepida
pianta, fin che nuda resta,
e
van gli augelli a strette schiere insembre,
Orlando
entrò ne l'amorosa inchiesta;
né
tutto il verno appresso lasciò quella,
né
la lasciò ne la stagion novella.
Passando
un giorno, come avea costume,
d'un
paese in un altro, arrivò dove
parte
i Normandi dai Bretoni un fiume,
e
verso il vicin mar cheto si muove;
che
allora gonfio e bianco già di spume
per
nieve sciolta e per montane piove:
e
l'impeto de l'acqua avea disciolto
e
tratto seco il ponte, e il passo tolto.
Con
gli occhi cerca or questo lato or quello,
lungo
le ripe il paladin, se vede
(quando
né pesce egli non è, né augello)
come
abbia a por ne l'altra ripa il piede:
ed
ecco a sé venir vede un battello,
ne
la cui poppa una donzella siede,
che
di volere a lui venir fa segno;
né
lascia poi che arrivi in terra il legno.
Prora
in terra non pon; ché d'esser carca
contra
sua volontà forse sospetta.
Orlando
priega lei che ne la barca
seco
lo tolga, ed oltre il fiume il metta.
Ed
ella lui: - Qui cavallier non varca,
il
qual su la sua fé non mi prometta
di
fare una battaglia a mia richiesta,
la
più giusta del mondo e la più onesta.
Sì
che s'avete, cavallier, desire
di
por per me ne l'altra ripa i passi,
promettetemi,
prima che finire
quest'altro
mese prossimo si lassi,
che
al re d'Ibernia v'anderete a unire,
appresso
al qual la bella armata fassi
per
distrugger quell'isola d'Ebuda,
che,
di quante il mar cinge, è la più cruda.
Voi
dovete saper che oltre l'Irlanda,
fra
molte che vi son, l'isola giace
nomata
Ebuda, che per legge manda
rubando
intorno il suo popul rapace;
e
quante donne può pigliar, vivanda
tutte
destina a un animal vorace,
che
viene ogni dì al lito, e sempre nuova
donna
o donzella, onde si pasca, truova;
che
mercanti e corsar che vanno attorno,
ve
ne fan copia, e più de le più belle.
Ben
potete contare, una per giorno,
quante
morte vi sian donne e donzelle.
Ma
se pietade in voi truova soggiorno,
se
non sete d'Amor tutto ribelle,
siate
contento esser tra questi eletto,
che
van per far sì fruttuoso effetto. -
Orlando
volse a pena udire il tutto,
che
giurò d'esser primo a quella impresa,
come
quel che alcun atto iniquo e brutto
non
può sentire, e d'ascoltar gli pesa:
e
fu a pensare, indi a temere indutto,
che
quella gente Angelica abbia presa;
poi
che cercata l'ha per tanta via,
né
potutone ancor ritrovar spia.
Questa
imaginazion sì gli confuse
e
sì gli tolse ogni primier disegno,
che,
quanto in fretta più potea, conchiuse
di
navigare a quello iniquo regno.
Né
prima l'altro sol nel mar si chiuse,
che
presso a San Malò ritrovò un legno,
nel
qual si pose; e fatto alzar le vele,
passò
la notte il monte San Michele.
Breaco
e Landriglier lascia a man manca,
e
va radendo il gran lito britone;
e
poi si drizza invêr l'arena bianca,
onde
Ingleterra si nomò Albione;
ma
il vento, che era da meriggie, manca,
e
soffia tra il ponente e l'aquilone
con
tanta forza, che fa al basso porre
tutte
le vele, e sé per poppa torre.
Quanto
il navilio inanzi era venuto
in
quattro giorni, in un ritornò indietro,
ne
l'alto mar dal buon nochier tenuto,
che
non dia in terra e sembri un fragil vetro.
Il
vento, poi che furioso suto
fu
quattro giorni, il quinto cangiò metro:
lasciò
senza contrasto il legno entrare
dove
il fiume d'Anversa ha foce in mare.
Tosto
che ne la foce entrò lo stanco
nochier
col legno afflitto, e il lito prese,
fuor
d'una terra che sul destro fianco
di
quel fiume sedeva, un vecchio scese,
di
molta età, per quanto il crine bianco
ne
dava indicio; il qual tutto cortese,
dopo
i saluti, al conte rivoltosse,
che
capo giudicò che di lor fosse.
E
da parte il pregò d'una donzella,
che
a lei venir non gli paresse grave,
la
qual ritroverebbe, oltre che bella,
più
che altra al mondo affabile e soave;
over
fosse contento aspettar che ella
verrebbe
a trovar lui fin alla nave:
né
più restio volesse esser di quanti
quivi
eran giunti cavallieri erranti;
che
nessun altro cavallier, che arriva
o
per terra o per mare a questa foce,
di
ragionar con la donzella schiva,
per
consigliarla in un suo caso atroce.
Udito
questo, Orlando in su la riva
senza
punto indugiarsi uscì veloce;
e
come umano e pien di cortesia,
dove
il vecchio il menò, prese la via.
Fu
ne la terra il paladin condutto
dentro
un palazzo, ove al salir le scale,
una
donna trovò piena di lutto,
per
quanto il viso ne facea segnale,
e
i negri panni che coprian per tutto
e
le logge e le camere e le sale;
la
qual, dopo accoglienza grata e onesta
fattol
seder, gli disse in voce mesta:
-
Io voglio che sappiate che figliuola
fui
del conte d'Olanda, a lui sì grata
(quantunque
prole io non gli fossi sola,
che
era da dui fratelli accompagnata),
che
a quanto io gli chiedea, da lui parola
contraria
non mi fu mai replicata.
Standomi
lieta in questo stato, avenne
che
ne la nostra terra un duca venne.
Duca
era di Selandia, e se ne giva
verso
Biscaglia a guerreggiar coi Mori.
La
bellezza e l'età che in lui fioriva,
e
li non più da me sentiti amori
con
poca guerra me gli fer captiva;
tanto
più che, per quel che apparea fuori,
io
credea e credo, e creder credo il vero,
che
amasse ed ami me con cor sincero.
Quei
giorni che con noi contrario vento,
contrario
agli altri, a me propizio, il tenne
(che
agli altri fur quaranta, a me un momento;
così
al fuggire ebbon veloci penne),
fummo
più volte insieme a parlamento,
dove,
che il matrimonio con solenne
rito
al ritorno suo saria tra nui
mi
promise egli, ed io il promisi a lui.
Bireno
a pena era da noi partito
(che
così ha nome il mio fedele amante),
che
il re di Frisa (la qual, quanto il lito
del
mar divide il fiume, è a noi distante),
disegnando
il figliuol farmi marito,
che
unico al mondo avea, nomato Arbante,
per
li più degni del suo stato manda
a
domandarmi al mio padre in Olanda.
Io
che all'amante mio di quella fede
mancar
non posso, che gli aveva data,
e
anco che io possa. Amor non mi conciede
che
poter voglia, e che io sia tanto ingrata;
per
ruinar la pratica che in piede
era
gagliarda, e presso al fin guidata,
dico
a mio padre, che prima che in Frisa
mi
dia marito, io voglio essere uccisa.
Il
mio buon padre, al qual sol piacea quanto
a
me piacea, né mai turbar mi volse,
per
consolarmi e far cessare il pianto
che
io ne facea, la pratica disciolse:
di
che il superbo re di Frisa tanto
isdegno
prese e a tanto odio si volse,
che
entrò in Olanda, e cominciò la guerra
che
tutto il sangue mio cacciò sotterra.
Oltre
che sia robusto, e sì possente,
che
pochi pari a nostra età ritruova,
e
sì astuto in mal far, che altrui niente
la
possanza, l'ardir, l'ingegno giova;
porta
alcun'arme che l'antica gente
non
vide mai, né fuor che a lui, la nuova:
un
ferro bugio, lungo da dua braccia,
dentro
a cui polve ed una palla caccia.
Col
fuoco dietro ove la canna è chiusa,
tocca
un spiraglio che si vede a pena;
a
guisa che toccare il medico usa
dove
è bisogno d'allacciar la vena:
onde
vien con tal suon la palla esclusa,
che
si può dir che tuona e che balena;
né
men che soglia il fulmine ove passa,
ciò
che tocca, arde, abatte, apre e fracassa.
Pose
due volte il nostro campo in rotta
con
questo inganno, e i miei fratelli uccise:
nel
primo assalto il primo; che la botta,
rotto
l'usbergo, in mezzo il cor gli mise;
ne
l'altra zuffa a l'altro, il quale in frotta
fuggìa,
dal corpo l'anima divise;
e
lo ferì lontan dietro la spalla,
e
fuor del petto uscir fece la palla.
Difendendosi
poi mio padre un giorno
dentro
un castel che sol gli era rimaso,
che
tutto il resto avea perduto intorno,
lo
fe' con simil colpo ire all'occaso;
che
mentre andava e che facea ritorno,
provedendo
or a questo or a quel caso,
dal
traditor fu in mezzo gli occhi colto,
che
l'avea di lontan di mira tolto.
Morto
i fratelli e il padre, e rimasa io
de
l'isola d'Olanda unica erede,
il
re di Frisa, perché avea disio
di
ben fermare in quello stato il piede,
mi
fa sapere, e così al popul mio,
che
pace e che riposo mi conciede,
quando
io vogli or, quel che non volsi inante,
tor
per marito il suo figliuolo Arbante.
Io
per l'odio non sì, che grave porto
a
lui e a tutta la sua iniqua schiatta,
il
qual m'ha dui fratelli e il padre morto,
saccheggiata
la patria, arsa e disfatta;
come
perché a colui non vo' far torto,
a
cui già la promessa aveva fatta,
che
altr'uomo non saria che mi sposasse,
fin
che di Spagna a me non ritornasse:
-
Per un mal che io patisco, ne vo' cento
patir
(rispondo), e far di tutto il resto;
esser
morta, arsa viva, e che sia al vento
la
cener sparsa, inanzi che far questo. -
Studia
la gente mia di questo intento
tormi:
chi priega, e chi mi fa protesto
di
dargli in mano me e la terra, prima
che
la mia ostinazion tutti ci opprima.
Così,
poi che i protesti e i prieghi invano
vider
gittarsi, e che pur stava dura,
presero
accordo col Frisone, e in mano,
come
avean detto, gli dier me e le mura.
Quel,
senza farmi alcuno atto villano,
de
la vita e del regno m'assicura,
pur
che io indolcisca l'indurate voglie,
e
che d'Arbante suo mi faccia moglie.
Io
che sforzar così mi veggio, voglio,
per
uscirgli di man, perder la vita;
ma
se pria non mi vendico, mi doglio
più
che di quanta ingiuria abbia patita.
Fo
pensier molti; e veggio al mio cordoglio
che
solo il simular può dare aita:
fingo
che io brami, non che non mi piaccia,
che
mi perdoni e sua nuora mi faccia.
Fra
molti che al servizio erano stati
già
di mio padre, io scelgo dui fratelli,
di
grande ingegno e di gran cor dotati,
ma
più di vera fede, come quelli
che
cresciutici in corte ed allevati
si
son con noi da teneri citelli;
e
tanto miei, che poco lor parria
la
vita por per la salute mia.
Communico
con loro il mio disegno:
essi
prometton d'essermi in aiuto.
L'un
viene in Fiandra, e v'apparecchia un legno;
l'altro
meco in Olanda ho ritenuto.
Or
mentre i forestieri e quei del regno
s'invitano
alle nozze, fu saputo
che
Bireno in Biscaglia avea una armata,
per
venire in Olanda, apparecchiata.
Però
che, fatta la prima battaglia
dove
fu rotto un mio fratello e ucciso,
spacciar
tosto un corrier feci in Biscaglia,
che
portassi a Bireno il tristo aviso;
il
qual mentre che s'arma e si travaglia,
dal
re di Frisa il resto fu conquiso.
Bireno,
che di ciò nulla sapea,
per
darci aiuto i legni sciolti avea.
Di
questo avuto aviso il re frisone,
de
le nozze al figliuol la cura lassa;
e
con l'armata sua nel mar si pone:
truova
il duca, lo rompe, arde e fracassa,
e,
come vuol Fortuna, il fa prigione;
ma
di ciò ancor la nuova a noi non passa.
Mi
sposa intanto il giovene, e si vuole
meco
corcar come si corchi il sole.
Io
dietro alle cortine avea nascoso
quel
mio fedele; il qual nulla si mosse
prima
che a me venir vide lo sposo;
e
non l'attese che corcato fosse,
che
alzò un'accetta, e con sì valoroso
braccio
dietro nel capo lo percosse,
che
gli levò la vita e la parola:
io
saltai presta, e gli segai la gola.
Come
cadere il bue suole al macello,
cade
il malnato giovene, in dispetto
del
re Cimosco, il più d'ogn'altro fello;
che
l'empio re di Frisa è così detto,
che
morto l'uno e l'altro mio fratello
m'avea
col padre, e per meglio suggetto
farsi
il mio stato, mi volea per nuora;
e
forse un giorno uccisa avria me ancora.
Prima
che altro disturbo vi si metta,
tolto
quel che più vale e meno pesa,
il
mio compagno al mar mi cala in fretta
da
la finestra a un canape sospesa,
là
dove attento il suo fratello aspetta
sopra
la barca che avea in Fiandra presa.
Demmo
le vele ai venti e i remi all'acque,
e
tutti ci salvian, come a Dio piacque.
Non
so se il re di Frisa più dolente
del
figliuol morto, o se più d'ira acceso
fosse
contra di me, che il dì seguente
giunse
là dove si trovò sì offeso.
Superbo
ritornava egli e sua gente
de
la vittoria e di Bireno preso;
e
credendo venire a nozze e a festa,
ogni
cosa trovò scura e funesta.
La
pietà del figliuol, l'odio che aveva
a
me, né dì né notte il lascia mai.
Ma
perché il pianger morti non rileva,
e
la vendetta sfoga l'odio assai,
la
parte del pensier, che esser doveva
de
la pietade in sospirare e in guai,
vuol
che con l'odio a investigar s'unisca,
come
egli m'abbia in mano e mi punisca.
Quei
tutti che sapeva e gli era detto
che
mi fossino amici, o di quei miei
che
m'aveano aiutata a far l'effetto,
uccise,
o lor beni arse, o li fe' rei.
Volse
uccider Bireno in mio dispetto;
che
d'altro sì doler non mi potrei:
gli
parve poi, se vivo lo tenesse,
che
per pigliarmi, in man la rete avesse.
Ma
gli propone una crudele e dura
condizion:
gli fa termine un anno,
al
fin del qual gli darà morte oscura,
se
prima egli per forza o per inganno,
con
amici e parenti non procura,
con
tutto ciò che ponno e ciò che sanno,
di
darmigli in prigion: sì che la via
di
lui salvare è sol la morte mia.
Ciò
che si possa far per sua salute,
fuor
che perder me stessa, il tutto ho fatto.
Sei
castella ebbi in Fiandra, e l'ho vendute:
e
il poco o il molto prezzo che io n'ho tratto,
parte,
tentando per persone astute
i
guardiani corrumpere, ho distratto;
e
parte, per far muovere alli danni
di
quell'empio or gli Inglesi, or gli Alamanni.
I
mezzi, o che non abbiano potuto,
o
che non abbian fatto il dover loro,
m'hanno
dato parole e non aiuto;
e
sprezzano or che n'han cavato l'oro:
e
presso al fine il termine è venuto,
dopo
il qual né la forza né il tesoro
potrà
giunger più a tempo, sì che morte
e
strazio schivi al mio caro consorte.
Mio
padre e' miei fratelli mi son stati
morti
per lui; per lui toltomi il regno;
per
lui quei pochi beni che restati
m'eran,
del viver mio soli sostegno,
per
trarlo di prigione ho disipati:
né
mi resta ora in che più far disegno,
se
non d'andarmi io stessa in mano a porre
di
sì crudel nimico, e lui disciorre.
Se
dunque da far altro non mi resta,
né
si truova al suo scampo altro riparo
che
per lui por questa mia vita, questa
mia
vita per lui por mi sarà caro.
Ma
sola una paura mi molesta,
che
non saprò far patto così chiaro,
che
m'assicuri che non sia il tiranno,
poi
che avuta m'avrà, per fare inganno.
Io
dubito che poi che m'avrà in gabbia
e
fatto avrà di me tutti li strazi,
né
Bireno per questo a lasciare abbia,
sì
che esser per me sciolto mi ringrazi;
come
periuro, e pien di tanta rabbia,
che
di me sola uccider non si sazi:
e
quel che avrà di me, né più né meno
faccia
di poi del misero Bireno.
Or
la cagion che conferir con voi
mi
fa i miei casi, e che io li dico a quanti
signori
e cavallier vengono a noi,
è
solo acciò, parlandone con tanti,
m'insegni
alcun d'assicurar che, poi
che
a quel crudel mi sia condotta avanti,
non
abbia a ritener Bireno ancora,
né
voglia, morta me, che esso poi mora.
Pregato
ho alcun guerrier, che meco sia
quando
io mi darò in mano al re di Frisa;
ma
mi prometta e la sua fe' mi dia,
che
questo cambio sarà fatto in guisa,
che
a un tempo io data, e liberato fia
Bireno:
sì che quando io sarò uccisa,
morrò
contenta, poi che la mia morte
avrà
dato la vita al mio consorte.
Né
fino a questo dì truovo chi toglia
sopra
la fede sua d'assicurarmi,
che
quando io sia condotta, e che mi voglia
aver
quel re, senza Bireno darmi,
egli
non lascierà contra mia voglia
che
presa io sia: sì teme ognun quell'armi;
teme
quell'armi, a cui par che non possa
star
piastra incontra, e sia quanto vuol grossa.
Or,
s'in voi la virtù non è diforme
dal
fier sembiante e da l'erculeo aspetto,
e
credete poter darmegli, e torme
anco
da lui, quando non vada retto;
siate
contento d'esser meco a porme
ne
le man sue: che io non avrò sospetto,
quando
voi siate meco, se ben io
poi
ne morrò, che muora il signor mio. -
Qui
la donzella il suo parlar conchiuse,
che
con pianto e sospir spesso interroppe.
Orlando,
poi che ella la bocca chiuse,
le
cui voglie al ben far mai non fur zoppe,
in
parole con lei non si diffuse;
che
di natura non usava troppe:
ma
le promise, e la sua fé le diede,
che
farìa più di quel che ella gli chiede.
Non
è sua intenzion che ella in man vada
del
suo nimico per salvar Bireno:
ben
salverà amendui, se la sua spada
e
l'usato valor non gli vien meno.
Il
medesimo dì piglian la strada,
poi
c'hanno il vento prospero e sereno.
Il
paladin s'affretta; che di gire
all'isola
del mostro avea desire.
Or
volta all'una, or volta all'altra banda
per
gli alti stagni il buon nochier la vela:
scuopre
un'isola e un'altra di Zilanda;
scuopre
una inanzi, e un'altra a dietro cela.
Orlando
smonta il terzo dì in Olanda;
ma
non smonta colei che si querela
del
re di Frisa: Orlando vuol che intenda
la
morte di quel rio, prima che scenda.
Nel
lito armato il paladino varca
sopra
un corsier di pel tra bigio e nero,
nutrito
in Fiandra e nato in Danismarca,
grande
e possente assai più che leggiero;
però
che avea, quando si messe in barca,
in
Bretagna lasciato il suo destriero,
quel
Brigliador sì bello e sì gagliardo,
che
non ha paragon, fuor che Baiardo.
Giunge
Orlando a Dordreche, e quivi truova
di
molta gente armata in su la porta;
sì
perché sempre, ma più quando è nuova,
seco
ogni signoria sospetto porta;
sì
perché dianzi giunta era una nuova,
che
di Selandia con armata scorta
di
navili e di gente un cugin viene
di
quel signor che qui prigion si tiene.
Orlando
prega uno di lor, che vada
e
dica al re, che un cavalliero errante
disia
con lui provarsi a lancia e a spada;
ma
che vuol che tra lor sia patto inante:
che
se il re fa che, chi lo sfida, cada,
la
donna abbia d'aver, che uccise Arbante;
che
il cavallier l'ha in loco non lontano
da
poter sempremai darglila in mano;
ed
all'incontro vuol che il re prometta,
che
ove egli vinto ne la pugna sia,
Bireno
in libertà subito metta,
e
che lo lasci andare alla sua via.
Il
fante al re fa l'ambasciata in fretta:
ma
quel, che né virtù né cortesia
conobbe
mai, drizzò tutto il suo intento
alla
fraude, all'inganno, al tradimento.
Gli
par che avendo in mano il cavalliero,
avrà
la donna ancor, che sì l'ha offeso,
s'in
possanza di lui la donna è vero
che
si ritruovi, e il fante ha ben inteso.
Trenta
uomini pigliar fece sentiero
diverso
da la porta ov'era atteso,
che
dopo occulto ed assai lungo giro,
dietro
alle spalle al paladino usciro.
Il
traditore intanto dar parole
fatto
gli avea, sin che i cavalli e i fanti
vede
esser giunti al loco ove gli vuole;
da
la porta esce poi con altretanti.
Come
le fere e il bosco cinger suole
perito
cacciator da tutti i canti;
come
appresso a Volana i pesci e l'onda
con
lunga rete il pescator circonda:
così
per ogni via dal re di Frisa,
che
quel guerrier non fugga, si provede.
Vivo
lo vuole, e non in altra guisa:
e
questo far sì facilmente crede,
che
il fulmine terrestre, con che uccisa
ha
tanta e tanta gente, ora non chiede;
che
quivi non gli par che si convegna,
dove
pigliar, non far morir, disegna.
Qual
cauto ucellator che serba vivi,
intento
a maggior preda, i primi augelli,
acciò
in più quantitade altri captivi
faccia
col giuoco e col zimbel di quelli:
tal
esser volse il re Cimosco quivi:
ma
già non volse Orlando esser di quelli
che
si lascin pigliar al primo tratto;
e
tosto roppe il cerchio che avean fatto.
Il
cavallier d'Anglante, ove più spesse
vide
le genti e l'arme, abbassò l'asta;
ed
uno in quella e poscia un altro messe,
e
un altro e un altro, che sembrar di pasta;
e
fin a sei ve n'infilzò, e li resse
tutti
una lancia: e perche ella non basta
a
più capir, lasciò il settimo fuore
ferito
sì, che di quel colpo muore.
Non
altrimente ne l'estrema arena
veggiàn
le rane de canali e fosse
dal
cauto arcier nei fianchi e ne la schiena,
l'una
vicina all'altra, esser percosse;
né
da la freccia, fin che tutta piena
non
sia da un capo all'altro, esser rimosse.
La
grave lancia Orlando da sé scaglia,
e
con la spada entrò ne la battaglia.
Rotta
la lancia, quella spada strinse,
quella
che mai non fu menata in fallo;
e
ad ogni colpo, o taglio o punta, estinse
quando
uomo a piedi, e quando uomo a cavallo:
dove
toccò, sempre in vermiglio tinse
l'azzurro,
il verde, il bianco, il nero, il giallo.
Duolsi
Cimosco che la canna e il fuoco
seco
or non ha, quando v'avrian più loco.
E
con gran voce e con minacce chiede
che
portati gli sian, ma poco è udito;
che
chi ha ritratto a salvamento il piede
ne
la città, non è d'uscir più ardito.
Il
re frison, che fuggir gli altri vede,
d'esser
salvo egli ancor piglia partito:
corre
alla porta, e vuole alzare il ponte,
ma
troppo è presto ad arrivare il conte.
Il
re volta le spalle, e signor lassa
del
ponte Orlando e d'amendue le porte;
e
fugge, e inanzi a tutti gli altri passa,
mercé
che il suo destrier corre più forte.
Non
mira Orlando a quella plebe bassa:
vuole
il fellon, non gli altri, porre a morte;
ma
il suo destrier sì al corso poco vale,
che
restio sembra, e chi fugge, abbia l'ale.
D'una
in un'altra via si leva ratto
di
vista al paladin; ma indugia poco,
che
torna con nuove armi; che s'ha fatto
portare
intanto il cavo ferro e il fuoco:
e
dietro un canto postosi di piatto,
l'attende,
come il cacciatore al loco,
coi
cani armati e con lo spiedo, attende
il
fier cingial che ruinoso scende;
che
spezza i rami e fa cadere i sassi,
e
ovunque drizzi l'orgogliosa fronte,
sembra
a tanto rumor che si fracassi
la
selva intorno, e che si svella il monte.
Sta
Cimosco alla posta, acciò non passi
senza
pagargli il fio l'audace conte:
tosto
che appare, allo spiraglio tocca
col
fuoco il ferro, e quel subito scocca.
Dietro
lampeggia a guisa di baleno,
dinanzi
scoppia, e manda in aria il tuono.
Trieman
le mura, e sotto i piè il terreno;
il
ciel ribomba al paventoso suono.
L'ardente
stral, che spezza e venir meno
fa
ciò che incontra, e dà a nessun perdono,
sibila
e stride; ma, come è il desire
di
quel brutto assassin, non va a ferire.
O
sia la fretta, o sia la troppa voglia
d'uccider
quel baron, che errar lo faccia;
o
sia che il cor, tremando come foglia,
faccia
insieme tremare e mani e braccia;
o
la bontà divina che non voglia
che
il suo fedel campion sì tosto giaccia:
quel
colpo al ventre del destrier si torse;
lo
cacciò in terra, onde mai più non sorse.
Cade
a terra il cavallo e il cavalliero:
la
preme l'un, la tocca l'altro a pena;
che
si leva sì destro e sì leggiero,
come
cresciuto gli sia possa e lena.
Quale
il libico Anteo sempre più fiero
surger
solea da la percossa arena,
tal
surger parve, e che la forza, quando
toccò
il terren, si radoppiasse a Orlando.
Chi
vide mai dal ciel cadere il foco
che
con sì orrendo suon Giove disserra,
e
penetrare ove un richiuso loco
carbon
con zolfo e con salnitro serra;
che
a pena arriva, a pena tocca un poco,
che
par che avampi il ciel, non che la terra;
spezza
le mura, e i gravi marmi svelle,
e
fa i sassi volar sin alle stelle;
s'imagini
che tal, poi che cadendo
toccò
la terra, il paladino fosse:
con
sì fiero sembiante aspro ed orrendo,
da
far tremar nel ciel Marte, si mosse.
Di
che smarrito il re frison, torcendo
la
briglia indietro, per fuggir voltosse;
ma
gli fu dietro Orlando con più fretta,
che
non esce da l'arco una saetta:
e
quel che non avea potuto prima
fare
a cavallo, or farà essendo a piede.
Lo
seguita sì ratto, che ogni stima
di
chi nol vide, ogni credenza eccede.
Lo
giunse in poca strada; ed alla cima
de
l'elmo alza la spada, e sì lo fiede,
che
gli parte la testa fin al collo,
e
in terra il manda a dar l'ultimo crollo.
Ecco
levar ne la città si sente
nuovo
rumor, nuovo menar di spade;
che
il cugin di Bireno con la gente
che
avea condutta da le sue contrade,
poi
che la porta ritrovò patente,
era
venuto dentro alla cittade,
dal
paladino in tal timor ridutta,
che
senza intoppo la può scorrer tutta.
Fugge
il populo in rotta, che non scorge
chi
questa gente sia, né che domandi;
ma
poi che uno ed un altro pur s'accorge
all'abito
e al parlar, che son Selandi,
chiede
lor pace, e il foglio bianco porge;
e
dice al capitan che gli comandi,
e
dar gli vuol contro i Frisoni aiuto,
che
il suo duca in prigion gli han ritenuto.
Quel
popul sempre stato era nimico
del
re di Frisa e d'ogni suo seguace,
perché
morto gli avea il signore antico,
ma
più perche era ingiusto, empio e rapace.
Orlando
s'interpose come amico
d'ambe
le parti, e fece lor far pace;
le
quali unite, non lasciar Frisone
che
non morisse o non fosse prigione.
Le
porte de le carceri gittate
a
terra sono, e non si cerca chiave.
Bireno
al conte con parole grate
mostra
conoscer l'obligo che gli have.
Indi
insieme e con molte altre brigate
se
ne vanno ove attende Olimpia in nave:
così
la donna, a cui di ragion spetta
il
dominio de l'isola, era detta;
quella
che quivi Orlando avea condutto
non
con pensier che far dovesse tanto;
che
la parea bastar, che posta in lutto
sol
lei, lo sposo avesse a trar di pianto.
Lei
riverisce e onora il popul tutto.
Lungo
sarebbe a ricontarvi quanto
lei
Bireno accarezzi, ed ella lui;
quai
grazie al conte rendano ambidui.
Il
popul la donzella nel paterno
seggio
rimette, e fedeltà le giura.
Ella
a Bireno, a cui con nodo eterno
la
legò Amor d'una catena dura,
de
lo stato e di sé dona il governo.
Ed
egli tratto poi da un'altra cura,
de
le fortezze e di tutto il domìno
de
l'isola guardian lascia il cugino;
che
tornare in Selandia avea disegno,
e
menar seco la fedel consorte:
e
dicea voler fare indi nel regno
di
Frisa esperienza di sua sorte;
perché
di ciò l'assicurava un pegno
che
egli aveva in mano, e lo stimava forte:
la
figliuola del re, che fra i captivi,
che
vi fur molti, avea trovata quivi.
E
dice che egli vuol che un suo germano,
che
era minor d'età, l'abbia per moglie.
Quindi
si parte il senator romano
il
dì medesmo che Bireno scioglie.
Non
volse porre ad altra cosa mano,
fra
tante e tante guadagnate spoglie,
se
non a quel tormento che abbiàn detto
che
al fulmine assimiglia in ogni effetto.
L'intenzion
non già, perché lo tolle,
fu
per voglia d'usarlo in sua difesa;
che
sempre atto stimò d'animo molle
gir
con vantaggio in qualsivoglia impresa:
ma
per gittarlo in parte, onde non volle
che
mai potesse ad uomo più fare offesa:
e
la polve e le palle e tutto il resto
seco
portò, che apparteneva a questo.
E
così, poi che fuor de la marea
nel
più profondo mar si vide uscito,
sì
che segno lontan non si vedea
del
destro più né del sinistro lito;
lo
tolse, e disse: - Acciò più non istea
mai
cavallier per te d'esser ardito,
né
quanto il buono val, mai più si vanti
il
rio per te valer, qui giù rimanti.
O
maladetto, o abominoso ordigno,
che
fabricato nel tartareo fondo
fosti
per man di Belzebù maligno
che
ruinar per te disegnò il mondo,
all'inferno,
onde uscisti, ti rasigno. -
Così
dicendo, lo gittò in profondo.
Il
vento intanto le gonfiate vele
spinge
alla via de l'isola crudele.
Tanto
desire il paladino preme
di
saper se la donna ivi si truova,
che
ama assai più che tutto il mondo insieme,
né
un'ora senza lei viver gli giova;
che
s'in Ibernia mette il piede, teme
di
non dar tempo a qualche cosa nuova,
sì
che abbia poi da dir invano: - Ahi lasso!
che
al venir mio non affrettai più il passo. -
Né
scala in Inghelterra né in Irlanda
mai
lasciò far, né sul contrario lito.
Ma
lasciamolo andar dove lo manda
il
nudo arcier che l'ha nel cor ferito.
Prima
che più io ne parli, io vo' in Olanda
tornare,
e voi meco a tornarvi invito;
che,
come a me, so spiacerebbe a voi,
che
quelle nozze fosson senza noi.
Le
nozze belle e sontuose fanno;
ma
non sì sontuose né sì belle,
come
in Selandia dicon che faranno.
Pur
non disegno che vegnate a quelle;
perché
nuovi accidenti a nascere hanno
per
disturbarle, de' quai le novelle
all'altro
canto vi farò sentire,
s'all'altro
canto mi verrete a udire.
CANTO
DECIMO
Fra
quanti amor, fra quante fede al mondo
mai
si trovar, fra quanti cor constanti,
fra
quante, o per dolente o per iocondo
stato,
fer prove mai famosi amanti;
più
tosto il primo loco che il secondo
darò
ad Olimpia: e se pur non va inanti,
ben
voglio dir che fra gli antiqui e nuovi
maggior
de l'amor suo non si ritruovi;
e
che con tante e con sì chiare note
di
questo ha fatto il suo Bireno certo,
che
donna più far certo uomo non puote,
quando
anco il petto e il cor mostrasse aperto.
E
s'anime sì fide e sì devote
d'un
reciproco amor denno aver merto,
dico
che Olimpia è degna che non meno,
anzi
più che sé ancor, l'ami Bireno:
e
che non pur l'abandoni mai
per
altra donna, se ben fosse quella
che
Europa ed Asia messe in tanti guai,
o
s'altra ha maggior titolo di bella;
ma
più tosto che lei, lasci coi rai
del
sol l'udita e il gusto e la favella
e
la vita e la fama, e s'altra cosa
dire
o pensar si può più preciosa.
Se
Bireno amò lei come ella amato
Bireno
avea, se fu sì a lei fedele
come
ella a lui, se mai non ha voltato
ad
altra via, che a seguir lei, le vele;
o
pur s'a tanta servitù fu ingrato,
a
tanta fede e a tanto amor crudele,
io
vi vo' dire, e far di maraviglia
stringer
le labra ed inarcar le ciglia.
E
poi che nota l'impietà vi fia,
che
di tanta bontà fu a lei mercede,
donne,
alcuna di voi mai più non sia,
che
a parole d'amante abbia a dar fede.
L'amante,
per aver quel che desia,
senza
guardar che Dio tutto ode e vede,
aviluppa
promesse e giuramenti,
che
tutti spargon poi per l'aria i venti.
I
giuramenti e le promesse vanno
dai
venti in aria disipate e sparse,
tosto
che tratta questi amanti s'hanno
l'avida
sete che gli accese ed arse.
Siate
a' prieghi ed a' pianti che vi fanno,
per
questo esempio, a credere più scarse.
Bene
è felice quel, donne mie care,
che
essere accorto all'altrui spese impare.
Guardatevi
da questi che sul fiore
de'
lor begli anni il viso han sì polito;
che
presto nasce in loro e presto muore,
quasi
un foco di paglia, ogni appetito.
Come
segue la lepre il cacciatore
al
freddo, al caldo, alla montagna, al lito,
né
più l'estima poi che presa vede;
e
sol dietro a chi fugge affretta il piede:
così
fan questi gioveni, che tanto
che
vi mostrate lor dure e proterve,
v'amano
e riveriscono con quanto
studio
de' far chi fedelmente serve;
ma
non sì tosto si potran dar vanto
de
la vittoria, che, di donne, serve
vi
dorrete esser fatte; e da voi tolto
vedrete
il falso amore, e altrove volto.
Non
vi vieto per questo (che avrei torto)
che
vi lasciate amar; che senza amante
sareste
come inculta vite in orto,
che
non ha palo ove s'appoggi o piante.
Sol
la prima lanugine vi esorto
tutta
a fuggir, volubile e incostante,
e
corre i frutti non acerbi e duri,
ma
che non sien però troppo maturi.
Di
sopra io vi dicea che una figliuola
del
re di Frisa quivi hanno trovata,
che
fia, per quanto n'han mosso parola,
da
Bireno al fratel per moglie data.
Ma,
a dire il vero, esso v'avea la gola;
che
vivanda era troppo delicata:
e
riputato avria cortesia sciocca,
per
darla altrui, levarsela di bocca.
La
damigella non passava ancora
quattordici
anni, ed era bella e fresca,
come
rosa che spunti alora alora
fuor
de la buccia e col sol nuovo cresca.
Non
pur di lei Bireno s'innamora,
ma
fuoco mai così non accese esca,
né
se lo pongan l'invide e nimiche
mani
talor ne le mature spiche;
come
egli se n'accese immantinente,
come
egli n'arse fin ne le medolle,
che
sopra il padre morto lei dolente
vide
di pianto il bel viso far molle.
E
come suol, se l'acqua fredda sente,
quella
restar che prima al fuoco bolle;
così
l'ardor che accese Olimpia, vinto
dal
nuovo successore, in lui fu estinto.
Non
pur sazio di lei, ma fastidito
n'è
già così, che può vederla a pena;
e
sì de l'altra acceso ha l'appetito,
che
ne morrà se troppo in lungo il mena:
pur
fin che giunga il dì c'ha statuito
a
dar fine al disio, tanto l'affrena,
che
par che adori Olimpia, non che l'ami,
e
quel che piace a lei, sol voglia e brami.
E
se accarezza l'altra (che non puote
far
che non l'accarezzi più del dritto),
non
è chi questo in mala parte note;
anzi
a pietade, anzi a bontà gli è ascritto:
che
rilevare un che Fortuna ruote
talora
al fondo, e consolar l'afflitto,
mai
non fu biasmo, ma gloria sovente;
tanto
più una fanciulla, una innocente.
Oh
sommo Dio, come i giudìci umani
spesso
offuscati son da un nembo oscuro!
i
modi di Bireno empi e profani,
pietosi
e santi riputati furo.
I
marinari, già messo le mani
ai
remi, e sciolti dal lito sicuro,
portavan
lieti pei salati stagni
verso
Selandia il duca e i suoi compagni.
Già
dietro rimasi erano e perduti
tutti
di vista i termini d'Olanda
(che
per non toccar Frisa, più tenuti
s'eran
vêr Scozia alla sinistra banda),
quando
da un vento fur sopravenuti,
che
errando in alto mar tre dì li manda.
Sursero
il terzo, già presso alla sera,
dove
inculta e deserta un'isola era.
Tratti
che si fur dentro un picciol seno,
Olimpia
venne in terra; e con diletto
in
compagnia de l'infedel Bireno
cenò
contenta e fuor d'ogni sospetto:
indi
con lui, là dove in loco ameno
teso
era un padiglione, entrò nel letto.
Tutti
gli altri compagni ritornaro,
e
sopra i legni lor si riposaro.
Il
travaglio del mare e la paura
che
tenuta alcun dì l'aveano desta,
il
ritrovarsi al lito ora sicura,
lontana
da rumor ne la foresta,
e
che nessun pensier, nessuna cura,
poi
che il suo amante ha seco, la molesta;
fur
cagion che ebbe Olimpia sì gran sonno,
che
gli orsi e i ghiri aver maggior nol ponno.
Il
falso amante che i pensati inganni
veggiar
facean, come dormir lei sente,
pian
piano esce del letto, e de' suoi panni
fatto
un fastel, non si veste altrimente;
e
lascia il padiglione; e come i vanni
nati
gli sian, rivola alla sua gente,
e
li risveglia; e senza udirsi un grido,
fa
entrar ne l'alto e abandonare il lido.
Rimase
a dietro il lido e la meschina
Olimpia,
che dormì senza destarse,
fin
che l'Aurora la gelata brina
da
le dorate ruote in terra sparse,
e
s'udir le Alcione alla marina
de
l'antico infortunio lamentarse.
Né
desta né dormendo, ella la mano
per
Bireno abbracciar stese, ma invano.
Nessuno
truova: a sé la man ritira:
di
nuovo tenta, e pur nessuno truova.
Di
qua l'un braccio, e di là l'altro gira,
or
l'una or l'altra gamba; e nulla giova.
Caccia
il sonno il timor: gli occhi apre, e mira:
non
vede alcuno. Or già non scalda e cova
più
le vedove piume, ma si getta
del
letto e fuor del padiglione in fretta:
e
corre al mar, graffiandosi le gote,
presaga
e certa ormai di sua fortuna.
Si
straccia i crini, e il petto si percuote,
e
va guardando (che splendea la luna)
se
veder cosa, fuor che il lito, puote;
né
fuor che il lito, vede cosa alcuna.
Bireno
chiama: e al nome di Bireno
rispondean
gli Antri che pietà n'avieno.
Quivi
surgea nel lito estremo un sasso,
che
aveano l'onde, col picchiar frequente,
cavo
e ridutto a guisa d'arco al basso;
e
stava sopra il mar curvo e pendente.
Olimpia
in cima vi salì a gran passo
(così
la facea l'animo possente),
e
di lontano le gonfiate vele
vide
fuggir del suo signor crudele:
vide
lontano, o le parve vedere;
che
l'aria chiara ancor non era molto.
Tutta
tremante si lasciò cadere,
più
bianca e più che nieve fredda in volto;
ma
poi che di levarsi ebbe potere,
al
camin de le navi il grido volto,
chiamò,
quanto potea chiamar più forte,
più
volte il nome del crudel consorte:
e
dove non potea la debil voce,
supliva
il pianto e il batter' palma a palma.
-
Dove fuggi, crudel, così veloce?
Non
ha il tuo legno la debita salma.
Fa
che lievi me ancor: poco gli nuoce
che
porti il corpo, poi che porta l'alma. -
E
con le braccia e con le vesti segno
fa
tuttavia, perché ritorni il legno.
Ma
i venti che portavano le vele
per
l'alto mar di quel giovene infido,
portavano
anco i prieghi e le querele
de
l'infelice Olimpia, e il pianto e il grido;
la
qual tre volte, a se stessa crudele,
per
affogarsi si spiccò dal lido:
pur
al fin si levò da mirar l'acque,
e
ritornò dove la notte giacque.
E
con la faccia in giù stesa sul letto,
bagnandolo
di pianto, dicea lui:
-
Iersera desti insieme a dui ricetto;
perché
insieme al levar non siamo dui?
O
perfido Bireno, o maladetto
giorno
che al mondo generata fui!
Che
debbo far? che poss'io far qui sola?
chi
mi dà aiuto? ohimè, chi mi consola?
Uomo
non veggio qui, non ci veggio opra
donde
io possa stimar che uomo qui sia;
nave
non veggio, a cui salendo sopra,
speri
allo scampo mio ritrovar via.
Di
disagio morrò; né chi mi cuopra
gli
occhi sarà, né chi sepolcro dia,
se
forse in ventre lor non me lo dànno
i
lupi, ohimè, che in queste selve stanno.
Io
sto in sospetto, e già di veder parmi
di
questi boschi orsi o leoni uscire,
o
tigri o fiere tal, che natura armi
d'aguzzi
denti e d'ugne da ferire.
Ma
quai fere crudel potriano farmi,
fera
crudel, peggio di te morire?
darmi
una morte, so, lor parrà assai;
e
tu di mille, ohimè, morir mi fai.
Ma
presupongo ancor che or ora arrivi
nochier
che per pietà di qui mi porti;
e
così lupi, orsi, leoni schivi,
strazi,
disagi ed altre orribil morti:
mi
porterà forse in Olanda, s'ivi
per
te si guardan le fortezze e i porti?
mi
porterà alla terra ove son nata,
se
tu con fraude già me l'hai levata?
Tu
m'hai lo stato mio, sotto pretesto
di
parentado e d'amicizia, tolto.
Ben
fosti a porvi le tue genti presto,
per
avere il dominio a te rivolto.
Tornerò
in Fiandra? ove ho venduto il resto
di
che io vivea, ben che non fossi molto,
per
sovenirti e di prigione trarte.
Mischina!
dove andrò? non so in qual parte.
Debbo
forse ire in Frisa, ove io potei,
e
per te non vi volsi esser regina?
il
che del padre e dei fratelli miei
e
d'ogn'altro mio ben fu la ruina.
Quel
c'ho fatto per te, non ti vorrei,
ingrato,
improverar, né disciplina
dartene;
che non men di me lo sai:
or
ecco il guiderdon che me ne dai.
Deh,
pur che da color che vanno in corso
io
non sia presa, e poi venduta schiava!
Prima
che questo, il lupo, il leon, l'orso
venga,
e la tigre e ogn'altra fera brava,
di
cui l'ugna mi stracci, e franga il morso;
e
morta mi strascini alla sua cava. -
Così
dicendo, le mani si caccia
ne'
capei d'oro, e a chiocca a chiocca straccia.
Corre
di nuovo in su l'estrema sabbia,
e
ruota il capo e sparge all'aria il crine;
e
sembra forsennata, e che adosso abbia
non
un demonio sol, ma le decine;
o,
qual Ecuba, sia conversa in rabbia,
vistosi
morto Polidoro al fine.
Or
si ferma s'un sasso, e guarda il mare;
né
men d'un vero sasso, un sasso pare.
Ma
lasciànla doler fin che io ritorno,
per
voler di Ruggier dirvi pur anco,
che
nel più intenso ardor del mezzo giorno
cavalca
il lito, affaticato e stanco.
Percuote
il sol nel colle e fa ritorno:
di
sotto bolle il sabbion trito e bianco.
Mancava
all'arme che avea indosso, poco
ad
esser, come già, tutte di fuoco.
Mentre
la sete, e de l'andar fatica
per
l'alta sabbia e la solinga via
gli
facean, lungo quella spiaggia aprica,
noiosa
e dispiacevol compagnia;
trovò
che all'ombra d'una torre antica
che
fuor de l'onde appresso il lito uscia,
de
la corte d'Alcina eran tre donne,
che
le conobbe ai gesti ed alle gonne.
Corcate
su tapeti allessandrini
godeansi
il fresco rezzo in gran diletto,
fra
molti vasi di diversi vini
e
d'ogni buona sorte di confetto.
Presso
alla spiaggia, coi flutti marini
scherzando,
le aspettava un lor legnetto
fin
che la vela empiesse agevol òra;
che
un fiato pur non ne spirava allora.
Queste,
che andar per la non ferma sabbia
vider
Ruggier al suo viaggio dritto,
che
sculta avea la sete in su le labbia,
tutto
pien di sudore il viso afflitto,
gli
cominciaro a dir che sì non abbia
il
cor voluntaroso al camin fitto,
che
alla fresca e dolce ombra non si pieghi,
e
ristorar lo stanco corpo nieghi.
E
di lor una s'accostò al cavallo
per
la staffa tener, che ne scendesse;
l'altra
con una coppa di cristallo
di
vin spumante, più sete gli messe:
ma
Ruggiero a quel suon non entrò in ballo;
perché
d'ogni tardar che fatto avesse,
tempo
di giunger dato avria ad Alcina,
che
venìa dietro ed era omai vicina.
Non
così fin salnitro e zolfo puro,
tocco
dal fuoco, subito s'avampa;
né
così freme il mar quando l'oscuro
turbo
discende e in mezzo se gli accampa:
come,
vedendo che Ruggier sicuro
al
suo dritto camin l'arena stampa,
e
che le sprezza (e pur si tenean belle),
d'ira
arse e di furor la terza d'elle.
-
Tu non sei né gentil né cavalliero
(dice
gridando quanto può più forte),
ed
hai rubate l'arme; e quel destriero
non
saria tuo per veruna altra sorte:
e
così, come ben m'appongo al vero,
ti
vedessi punir di degna morte;
che
fossi fatto in quarti, arso o impiccato,
brutto
ladron, villan, superbo, ingrato. -
Oltr'a
queste e molt'altre ingiuriose
parole
che gli usò la donna altiera,
ancor
che mai Ruggier non le rispose,
che
di sì vil tenzon poco onor spera;
con
le sorelle tosto ella si pose
sul
legno in mar, che al lor servigio v'era:
ed
affrettando i remi, lo seguiva,
vedendol
tuttavia dietro alla riva.
Minaccia
sempre, maledice e incarca;
che
l'onte sa trovar per ogni punto.
Intanto
a quello stretto, onde si varca
alla
fata più bella, è Ruggier giunto;
dove
un vecchio nochiero una sua barca
scioglier
da l'altra ripa vede, a punto
come,
avisato e già provisto, quivi
si
stia aspettando che Ruggiero arrivi.
Scioglie
il nochier, come venir lo vede,
di
trasportarlo a miglior ripa lieto;
che,
se la faccia può del cor dar fede,
tutto
benigno e tutto era discreto.
Pose
Ruggier sopra il navilio il piede,
Dio
ringraziando; e per lo mar quieto
ragionando
venìa col galeotto,
saggio
e di lunga esperienza dotto.
Quel
lodava Ruggier, che sì se avesse
saputo
a tempo tor da Alcina, e inanti
che
il calice incantato ella gli desse,
che
avea al fin dato a tutti gli altri amanti;
e
poi, che a Logistilla si traesse,
dove
veder potria costumi santi,
bellezza
eterna ed infinita grazia
che
il cor notrisce e pasce, e mai non sazia.
-
Costei (dicea) stupore e riverenza
induce
all'alma, ove si scuopre prima.
Contempla
meglio poi l'alta presenza:
ogn'altro
ben ti par di poca stima.
Il
suo amore ha dagli altri differenza:
speme
o timor negli altri il cor ti lima;
in
questo il desiderio più non chiede,
e
contento riman come la vede.
Ella
t'insegnerà studi più grati,
che
suoni, danze, odori, bagni e cibi:
ma
come i pensier tuoi meglio formati
poggin
più ad alto, che per l'aria i nibi,
e
come de la gloria de' beati
nel
mortal corpo parte si delibi. -
Così
parlando il marinar veniva,
lontano
ancora alla sicura riva;
quando
vide scoprire alla marina
molti
navili, e tutti alla sua volta.
Con
quei ne vien l'ingiuriata Alcina;
e
molta di sua gente have raccolta
per
por lo stato a se stessa in ruina,
o
racquistar la cara cosa tolta.
E
bene è amor di ciò cagion non lieve,
ma
l'ingiuria non men che ne riceve.
Ella
non ebbe sdegno, da che nacque,
di
questo il maggior mai, che ora la rode;
onde
fa i remi sì affrettar per l'acque,
che
la spuma ne sparge ambe le prode.
Al
gran rumor né mar né ripa tacque,
ed
Ecco risonar per tutto s'ode.
-
Scuopre, Ruggier, lo scudo, che bisogna;
se
non, sei morto, o preso con vergogna. -
Così
disse il nocchier di Logistilla:
ed
oltre il detto, egli medesmo prese
la
tasca e da lo scudo dipartilla,
e
fe' il lume di quel chiaro e palese.
L'incantato
splendor che ne sfavilla,
gli
occhi degli aversari così offese,
che
li fe' restar ciechi allora allora,
e
cader chi da poppa e chi da prora.
Un
che era alla veletta in su la rocca,
de
l'armata d'Alcina si fu accorto;
e
la campana martellando tocca,
onde
il soccorso vien subito al porto.
L'artegliaria,
come tempesta, fiocca
contra
chi vuole al buon Ruggier far torto:
sì
che gli venne d'ogni parte aita,
tal
che salvò la libertà e la vita.
Giunte
son quattro donne in su la spiaggia,
che
subito ha mandate Logistilla:
la
valorosa Andronica e la saggia
Fronesia
e l'onestissima Dicilla
e
Sofrosina casta, che, come aggia
quivi
a far più che l'altre, arde e sfavilla.
L'esercito
che al mondo è senza pare,
del
castello esce, e si distende al mare.
Sotto
il castel ne la tranquilla foce
di
molti e grossi legni era una armata,
ad
un botto di squilla, ad una voce
giorno
e notte a battaglia apparecchiata.
E
così fu la pugna aspra ed atroce,
e
per acqua e per terra, incominciata;
per
cui fu il regno sottosopra volto,
che
avea già Alcina alla sorella tolto.
Oh
di quante battaglie il fin successe
diverso
a quel che si credette inante!
Non
sol che Alcina alor non riavesse,
come
stimossi, il fugitivo amante;
ma
dele navi che pur dianzi spesse
fur
sì, che a pena il mar ne capia tante,
fuor
de la fiamma che tutt'altre avampa,
con
un legnetto sol misera scampa.
Fuggesi
Alcina, e sua misera gente
arsa
e presa riman, rotta e sommersa.
D'aver
Ruggier perduto, ella si sente
via
più doler che d'altra cosa aversa:
notte
e dì per lui geme amaramente,
e
lacrime per lui dagli occhi versa;
e
per dar fine a tanto aspro martire,
spesso
si duol di non poter morire.
Morir
non puote alcuna fata mai,
fin
che il sol gira, o il ciel non muta stilo.
Se
ciò non fosse, era il dolore assai
per
muover Cloto ad inasparle il filo;
o,
qual Didon, finia col ferro i guai;
o
la regina splendida del Nilo
avria
imitata con mortifer sonno:
ma
le fate morir sempre non ponno.
Torniamo
a quel di eterna gloria degno
Ruggiero;
e Alcina stia ne la sua pena.
Dico
di lui, che poi che fuor del legno
si
fu condutto in più sicura arena,
Dio
ringraziando che tutto il disegno
gli
era successo, al mar voltò la schiena;
ed
affrettando per l'asciutto il piede,
alla
rocca ne va che quivi siede.
Né
la più forte ancor né la più bella
mai
vide occhio mortal prima né dopo.
Son
di più prezzo le mura di quella,
che
se diamante fossino o piropo.
Di
tai gemme qua giù non si favella:
ed
a chi vuol notizia averne, è d'uopo
che
vada quivi; che non credo altrove,
se
non forse su in ciel, se ne ritruove.
Quel
che più fa che lor si inchina e cede
ogn'altra
gemma, è che, mirando in esse,
l'uom
sin in mezzo all'anima si vede;
vede
suoi vizi e sue virtudi espresse,
sì
che a lusinghe poi di sé non crede,
né
a chi dar biasmo a torto gli volesse:
fassi,
mirando allo specchio lucente
se
stesso, conoscendosi, prudente.
Il
chiaro lume lor, che imita il sole,
manda
splendore in tanta copia intorno,
che
chi l'ha, ovunque sia, sempre che vuole,
Febo,
mal grado tuo, si può far giorno.
Né
mirabil vi son le pietre sole;
ma
la materia e l'artificio adorno
contendon
sì, che mal giudicar puossi
qual
de le due eccellenze maggior fossi.
Sopra
gli altissimi archi, che puntelli
parean
che del ciel fossino a vederli,
eran
giardin sì spaziosi e belli,
che
saria al piano anco fatica averli.
Verdeggiar
gli odoriferi arbuscelli
si
puon veder fra i luminosi merli,
che
adorni son l'estate e il verno tutti
di
vaghi fiori e di maturi frutti.
Di
così nobili arbori non suole
prodursi
fuor di questi bei giardini,
né
di tai rose o di simil viole,
di
gigli, di amaranti o di gesmini.
Altrove
appar come a un medesmo sole
e
nasca e viva, e morto il capo inchini,
e
come lasci vedovo il suo stelo
il
fior suggetto al variar del cielo:
ma
quivi era perpetua la verdura,
perpetua
la beltà de' fiori eterni:
non
che benignità de la Natura
sì
temperatamente li governi;
ma
LogistilIa con suo studio e cura,
senza
bisogno de' moti superni
(quel
che agli altri impossibile parea),
sua
primavera ognor ferma tenea.
Logistilla
mostrò molto aver grato
che
a lei venisse un sì gentil signore;
e
comandò che fosse accarezzato,
e
che studiasse ognun di fargli onore.
Gran
pezzo inanzi Astolfo era arrivato,
che
visto da Ruggier fu di buon core.
Fra
pochi giorni venner gli altri tutti,
che
a l'esser lor Melissa avea ridutti.
Poi
che si fur posati un giorno e dui,
venne
Ruggiero alla fata prudente
col
duca Astolfo, che non men di lui
avea
desir di riveder Ponente.
Melissa
le parlò per amendui;
e
supplica la fata umilemente,
che
li consigli, favorisca e aiuti,
sì
che ritornin donde eran venuti.
Disse
la fata: - Io ci porrò il pensiero,
e
fra dui dì te li darò espediti. -
Discorre
poi tra sé, come Ruggiero,
e
dopo lui, come quel duca aiti:
conchiude
infin che il volator destriero
ritorni
il primo agli aquitani liti;
ma
prima vuol che se gli faccia un morso,
con
che lo volga, e gli raffreni il corso.
Gli
mostra come egli abbia a far, se vuole
che
poggi in alto, e come a far che cali;
e
come, se vorrà che in giro vole,
o
vada ratto, o che si stia su l'ali:
e
quali effetti il cavallier far suole
di
buon destriero in piana terra, tali
facea
Ruggier che mastro ne divenne,
per
l'aria, del destrier che avea le penne.
Poi
che Ruggier fu d'ogni cosa in punto,
da
la fata gentil comiato prese,
alla
qual restò poi sempre congiunto
di
grande amore; e uscì di quel paese.
Prima
di lui che se n'andò in buon punto,
e
poi dirò come il guerriero inglese
tornasse
con più tempo e più fatica
al
magno Carlo ed alla corte amica.
Quindi
partì Ruggier, ma non rivenne
per
quella via che fe' già suo mal grado,
allor
che sempre l'ippogrifo il tenne
sopra
il mare, e terren vide di rado:
ma
potendogli or far batter le penne
di
qua di là, dove più gli era a grado,
volse
al ritorno far nuovo sentiero,
come,
schivando Erode, i Magi fero.
Al
venir quivi, era, lasciando Spagna,
venuto
India a trovar per dritta riga,
là
dove il mare oriental la bagna;
dove
una fata avea con l'altra briga.
Or
veder si dispose altra campagna,
che
quella dove i venti Eolo istiga,
e
finir tutto il cominciato tondo,
per
aver, come il sol, girato il mondo.
Quinci
il Cataio, e quindi Mangiana
sopra
il gran Quinsaì vide passando:
volò
sopra l'Imavo, e Sericana
lasciò
a man destra; e sempre declinando
da
l'iperborei Sciti a l'onda ircana,
giunse
alle parti di Sarmazia: e quando
fu
dove Asia da Europa si divide,
Russi
e Pruteni e la Pomeria vide.
Ben
che di Ruggier fosse ogni desire
di
ritornare a Bradamante presto;
pur,
gustato il piacer che avea di gire
cercando
il mondo, non restò per questo,
che
alli Pollacchi, agli Ungari venire
non
volesse anco, alli Germani, e al resto
di
quella boreale orrida terra:
e
venne al fin ne l'ultima Inghilterra.
Non
crediate, Signor, che però stia
per
sì lungo camin sempre su l'ale:
ogni
sera all'albergo se ne gìa,
schivando
a suo poter d'alloggiar male.
E
spese giorni e mesi in questa via,
sì
di veder la terra e il mar gli cale.
Or
presso a Londra giunto una matina,
sopra
Tamigi il volator declina.
Dove
ne' prati alla città vicini
vide
adunati uomini d'arme e fanti,
che
a suon di trombe e a suon di tamburini
venian,
partiti a belle schiere, avanti
il
buon Rinaldo, onor de' paladini;
del
qual, se vi ricorda, io dissi inanti,
che
mandato da Carlo, era venuto
in
queste parti a ricercar aiuto.
Giunse
a punto Ruggier, che si facea
la
bella mostra fuor di quella terra;
e
per sapere il tutto, ne chiedea
un
cavallier, ma scese prima in terra:
e
quel, che affabil era, gli dicea
che
di Scozia e d'Irlanda e d'Inghilterra
e
de l'isole intorno eran le schiere
che
quivi alzate avean tante bandiere:
e
finita la mostra che faceano,
alla
marina se distenderanno,
dove
aspettati per solcar l'Oceano
son
dai navili che nel porto stanno.
I
Franceschi assediati si ricreano,
sperando
in questi che a salvar li vanno.
-
Ma acciò tu te n'informi pienamente,
io
ti distinguerò tutta la gente.
Tu
vedi ben quella bandiera grande,
che
insieme pon la fiordaligi e i pardi:
quella
il gran capitano all'aria spande,
e
quella han da seguir gli altri stendardi.
Il
suo nome, famoso in queste bande,
è
Leonetto, il fior de li gagliardi,
di
consiglio e d'ardire in guerra mastro,
del
re nipote, e duca di Lincastro.
La
prima, appresso il gonfalon reale,
che
il vento tremolar fa verso il monte,
e
tien nel campo verde tre bianche ale,
porta
Ricardo, di Varvecia conte.
Del
duca di Glocestra è quel segnale,
c'ha
duo corna di cervio e mezza fronte.
Del
duca di Chiarenza è quella face;
quel
arbore è del duca d'Eborace.
Vedi
in tre pezzi una spezzata lancia:
gli
è il gonfalon del duca di Nortfozia.
La
fulgure è del buon conte di Cancia;
il
grifone è del conte di Pembrozia.
Il
duca di Sufolcia ha la bilancia.
Vedi
quel giogo che due serpi assozia:
è
del conte d'Esenia, e la ghirlanda
in
campo azzurro ha quel di Norbelanda.
Il
conte d'Arindelia è quel c'ha messo
in
mar quella barchetta che s'affonda.
Vedi
il marchese di Barclei; e appresso
di
Marchia il conte e il conte di Ritmonda:
il
primo porta in bianco un monte fesso,
l'altro
la palma, il terzo un pin ne l'onda.
Quel
di Dorsezia è conte, e quel d'Antona,
che
l'uno ha il carro, e l'altro la corona.
Il
falcon che sul nido i vanni inchina,
porta
Raimondo, il conte di Devonia.
Il
giallo e negro ha quel di Vigorina;
il
can quel d'Erbia un orso quel d'Osonia.
La
croce che là vedi cristallina,
è
del ricco prelato di Battonia.
Vedi
nel bigio una spezzata sedia:
è
del duca Ariman di Sormosedia.
Gli
uomini d'arme e gli arcieri a cavallo
di
quarantaduomila numer fanno.
Sono
duo tanti, o di cento non fallo,
quelli
che a piè ne la battaglia vanno.
Mira
quei segni, un bigio, un verde, un giallo,
e
di nero e d'azzur listato un panno:
Gofredo,
Enrigo, Ermante ed Odoardo
guidan
pedoni, ognun col suo stendardo.
Duca
di Bocchingamia è quel dinante;
Enrigo
ha la contea di Sarisberia;
signoreggia
Burgenia il vecchio Ermante;
quello
Odoardo è conte di Croisberia.
Questi
alloggiati più verso levante
sono
gli Inglesi. Or volgeti all'Esperia,
dove
si veggion trentamila Scotti,
da
Zerbin, figlio del lor re, condotti.
Vedi
tra duo unicorni il gran leone,
che
la spada d'argento ha ne la zampa:
quell'è
del re di Scozia il gonfalone;
il
suo figliol Zerbino ivi s'accampa.
Non
è un sì bello in tante altre persone:
natura
il fece, e poi roppe la stampa.
Non
è in cui tal virtù, tal grazia luca,
o
tal possanza: ed è di Roscia duca.
Porta
in azzurro una dorata sbarra
il
conte d'Ottonlei ne lo stendardo.
L'altra
bandiera è del duca di Marra,
che
nel travaglio porta il leopardo.
Di
più colori e di più augei bizzarra
mira
l'insegna d'Alcabrun gagliardo,
che
non è duca, conte, né marchese,
ma
primo nel salvatico paese.
Del
duca di Trasfordia è quella insegna,
dove
è l'augel che al sol tien gli occhi franchi.
Lurcanio
conte, che in Angoscia regna,
porta
quel tauro, c'ha duo veltri ai fianchi.
Vedi
là il duca d'Albania, che segna
il
campo di colori azzurri e bianchi.
Quel
avoltor, che un drago verde lania,
è
l'insegna del conte di Boccania.
Signoreggia
Forbesse il forte Armano,
che
di bianco e di nero ha la bandiera;
ed
ha il conte d'Erelia a destra mano,
che
porta in campo verde una lumiera.
Or
guarda gli Ibernesi appresso il piano:
sono
duo squadre; e il conte di Childera
mena
la prima, e il conte di Desmonda
da
fieri monti ha tratta la seconda.
Ne
lo stendardo il primo ha un pino ardente;
l'altro
nel bianco una vermiglia banda.
Non
dà soccorso a Carlo solamente
la
terra inglese, e la Scozia e l'Irlanda;
ma
vien di Svezia e di Norvegia gente,
da
Tile, e fin da la remota Islanda:
da
ogni terra, insomma, che là giace,
nimica
naturalmente di pace.
Sedicimila
sono, o poco manco,
de
le spelonche usciti e de le selve;
hanno
piloso il viso, il petto, il fianco,
e
dossi e braccia e gambe, come belve.
Intorno
allo stendardo tutto bianco
par
che quel pian di lor lance s'inselve:
così
Moratto il porta, il capo loro,
per
dipingerlo poi di sangue Moro. -
Mentre
Ruggier di quella gente bella,
che
per soccorrer Francia si prepara,
mira
le varie insegne e ne favella,
e
dei signor britanni i nomi impara;
uno
ed un altro a lui, per mirar quella
bestia
sopra cui siede, unica o rara,
maraviglioso
corre e stupefatto;
e
tosto il cerchio intorno gli fu fatto.
Sì
che per dare ancor più maraviglia,
e
per pigliarne il buon Ruggier più gioco,
al
volante corsier scuote la briglia,
e
con gli sproni ai fianchi il tocca un poco:
quel
verso il ciel per l'aria il camin piglia,
e
lascia ognuno attonito in quel loco.
Quindi
Ruggier, poi che di banda in banda
vide
gli Inglesi, andò verso l'Irlanda.
E
vide Ibernia fabulosa, dove
il
santo vecchiarel fece la cava,
in
che tanta mercé par che si truove,
che
l'uom vi purga ogni sua colpa prava.
Quindi
poi sopra il mare il destrier muove
là
dove la minor Bretagna lava:
e
nel passar vide, mirando a basso,
Angelica
legata al nudo sasso.
Al
nudo sasso, all'Isola del pianto;
che
l'Isola del pianto era nomata
quella
che da crudele e fiera tanto
ed
inumana gente era abitata,
che
(come io vi dicea sopra nel canto)
per
vari liti sparsa iva in armata
tutte
le belle donne depredando,
per
farne a un mostro poi cibo nefando.
Vi
fu legata pur quella matina,
dove
venìa per trangugiarla viva
quel
smisurato mostro, orca marina,
che
di aborrevole esca si nutriva.
Dissi
di sopra, come fu rapina
di
quei che la trovaro in su la riva
dormire
al vecchio incantatore a canto,
che
ivi l'avea tirata per incanto.
La
fiera gente inospitale e cruda
alla
bestia crudel nel lito espose
la
bellissima donna, così ignuda
come
Natura prima la compose.
Un
velo non ha pure, in che richiuda
i
bianchi gigli e le vermiglie rose,
da
non cader per luglio o per dicembre,
di
che son sparse le polite membre.
Creduto
avria che fosse statua finta
o
d'alabastro o d'altri marmi illustri
Ruggiero,
e su lo scoglio così avinta
per
artificio di scultori industri;
se
non vedea la lacrima distinta
tra
fresche rose e candidi ligustri
far
rugiadose le crudette pome,
e
l'aura sventolar l'aurate chiome.
E
come ne' begli occhi gli occhi affisse,
de
la sua Bradamante gli sovvenne.
Pietade
e amore a un tempo lo trafisse,
e
di piangere a pena si ritenne;
e
dolcemente alla donzella disse,
poi
che del suo destrier frenò le penne:
-
O donna, degna sol de la catena
con
chi i suoi servi Amor legati mena,
e
ben di questo e d'ogni male indegna,
chi
è quel crudel che con voler perverso
d'importuno
livor stringendo segna
di
queste belle man l'avorio terso? -
Forza
è che a quel parlare ella divegna
quale
è di grana un bianco avorio asperso,
di
sé vedendo quelle parti ignude,
che
ancor che belle sian, vergogna chiude.
E
coperto con man s'avrebbe il volto,
se
non eran legate al duro sasso;
ma
del pianto, che almen non l'era tolto,
lo
sparse, e si sforzò di tener basso.
E
dopo alcun' signozzi il parlar sciolto,
incominciò
con fioco suono e lasso:
ma
non seguì; che dentro il fe' restare
il
gran rumor che si sentì nel mare.
Ecco
apparir lo smisurato mostro
mezzo
ascoso ne l'onda e mezzo sorto.
Come
sospinto suol da borea o d'ostro
venir
lungo navilio a pigliar porto,
così
ne viene al cibo che l'è mostro
la
bestia orrenda; e l'intervallo è corto.
La
donna è mezza morta di paura;
né
per conforto altrui si rassicura.
Tenea
Ruggier la lancia non in resta,
ma
sopra mano, e percoteva l'orca.
Altro
non so che s'assimigli a questa,
che
una gran massa che s'aggiri e torca;
né
forma ha d'animal, se non la testa,
c'ha
gli occhi e i denti fuor, come di porca.
Ruggier
in fronte la ferìa tra gli occhi;
ma
par che un ferro o un duro sasso tocchi.
Poi
che la prima botta poco vale,
ritorna
per far meglio la seconda.
L'orca,
che vede sotto le grandi ale
l'ombra
di qua e di là correr su l'onda,
lascia
la preda certa litorale,
e
quella vana segue furibonda:
dietro
quella si volve e si raggira.
Ruggier
giù cala, e spessi colpi tira.
Come
d'alto venendo aquila suole,
che
errar fra l'erbe visto abbia la biscia,
o
che stia sopra un nudo sasso al sole,
dove
le spoglie d'oro abbella e liscia;
non
assalir da quel lato la vuole
onde
la velenosa e soffia e striscia,
ma
da tergo la adugna, e batte i vanni,
acciò
non se le volga e non la azzanni:
così
Ruggier con l'asta e con la spada,
non
dove era de' denti armato il muso,
ma
vuol che il colpo tra l'orecchie cada,
or
su le schene, or ne la coda giuso.
Se
la fera si volta, ei muta strada,
ed
a tempo giù cala, e poggia in suso:
ma
come sempre giunga in un diaspro,
non
può tagliar lo scoglio duro ed aspro.
Simil
battaglia fa la mosca audace
contra
il mastin nel polveroso agosto,
o
nel mese dinanzi o nel seguace,
l'uno
di spiche e l'altro pien di mosto:
negli
occhi il punge e nel grifo mordace,
volagli
intorno e gli sta sempre accosto;
e
quel suonar fa spesso il dente asciutto:
ma
un tratto che gli arrivi, appaga il tutto.
Sì
forte ella nel mar batte la coda,
che
fa vicino al ciel l'acqua inalzare;
tal
che non sa se l'ale in aria snoda,
o
pur se il suo destrier nuota nel mare.
Gli
è spesso che disia trovarsi a proda;
che
se lo sprazzo in tal modo ha a durare,
teme
sì l'ale inaffi all'ippogrifo,
che
brami invano avere o zucca o schifo.
Prese
nuovo consiglio, e fu il migliore,
di
vincer con altre arme il mostro crudo:
abbarbagliar
lo vuol con lo splendore
che
era incantato nel coperto scudo.
Vola
nel lito; e per non fare errore,
alla
donna legata al sasso nudo
lascia
nel minor dito de la mano
l'annel,
che potea far l'incanto vano:
dico
l'annel che Bradamante avea,
per
liberar Ruggier, tolto a Brunello,
poi
per trarlo di man d'Alcina rea,
mandato
in India per Melissa a quello.
Melissa
(come dianzi io vi dicea)
in
ben di molti adoperò l'annello;
indi
l'avea a Ruggier restituito,
dal
qual poi sempre fu portato in dito.
Lo
dà ad Angelica ora, perché teme
che
del suo scudo il fulgurar non viete,
e
perché a lei ne sien difesi insieme
gli
occhi che già l'avean preso alla rete.
Or
viene al lito e sotto il ventre preme
ben
mezzo il mar la smisurata cete.
Sta
Ruggiero alla posta, e lieva il velo;
e
par che aggiunga un altro sole al cielo.
Ferì
negli occhi l'incantato lume
di
quella fera, e fece al modo usato.
Quale
o trota o scaglion va giù pel fiume
c'ha
con calcina il montanar turbato,
tal
si vedea ne le marine schiume
il
mostro orribilmente riversciato.
Di
qua di là Ruggier percuote assai,
ma
di ferirlo via non truova mai.
La
bella donna tuttavolta priega
che
invan la dura squama oltre non pesti.
-
Torna, per Dio, signor: prima mi slega
(dicea
piangendo), che l'orca si desti:
portami
teco e in mezzo il mar mi anniega:
non
far che in ventre al brutto pesce io resti. -
Ruggier,
commosso dunque al giusto grido,
slegò
la donna, e la levò dal lido.
Il
destrier punto, ponta i piè all'arena
e
sbalza in aria, e per lo ciel galoppa;
e
porta il cavalliero in su la schena,
e
la donzella dietro in su la groppa.
Così
privò la fera de la cena
per
lei soave e delicata troppa.
Ruggier
si va volgendo, e mille baci
figge
nel petto e negli occhi vivaci.
Non
più tenne la via, come propose
prima,
di circundar tutta la Spagna;
ma
nel propinquo lito il destrier pose,
dove
entra in mar più la minor Bretagna.
Sul
lito un bosco era di querce ombrose,
dove
ognor par che Filomena piagna;
che
in mezzo avea un pratel con una fonte,
e
quinci e quindi un solitario monte.
Quivi
il bramoso cavallier ritenne
l'audace
corso, e nel pratel discese;
e
fe' raccorre al suo destrier le penne,
ma
non a tal che più le avea distese.
Del
destrier sceso, a pena si ritenne
di
salir altri; ma tennel l'arnese:
l'arnese
il tenne, che bisognò trarre,
e
contra il suo disir messe le sbarre.
Frettoloso,
or da questo or da quel canto
confusamente
l'arme si levava.
Non
gli parve altra volta mai star tanto;
che
s'un laccio sciogliea, dui n'annodava.
Ma
troppo è lungo ormai, Signor, il canto,
e
forse che anco l'ascoltar vi grava:
sì
che io differirò l'istoria mia
in
altro tempo che più grata sia.