Ludovico Ariosto
L'Orlando Furioso
Canti XLI-XLVI
CANTO QUARANTUNESIMO
L'odor
che è sparso in ben notrita e bella
o
chioma o barba o delicata vesta
di
giovene leggiadro o di donzella,
che
Amor sovente lacrimando desta,
se
spira e fa sentir di sé novella,
e
dopo molti giorni ancora resta;
mostra
con chiaro ed evidente effetto,
come
a principio buono era e perfetto.
L'almo
liquor che ai meditori suoi
fece
Icaro gustar con suo gran danno,
e
che si dice che già Celte e Boi
fe'
passar l'Alpe e non sentir l'affanno;
mostra
che dolce era a principio, poi
che
si serva ancor dolce al fin de l'anno.
L'arbor
che al tempo rio foglia non perde,
mostra
che a primavera era ancor verde.
L'inclita
stirpe che per tanti lustri
mostrò
di cortesia sempre gran lume,
e
par che ognor più ne risplenda e lustri,
fa
che con chiaro indizio si presume,
che
chi progenerò gli Estensi illustri,
dovea
d'ogni laudabile costume
che
sublimar al ciel gli uomini suole,
splender
non men che fra le stelle il sole.
Ruggier,
come in ciascun suo degno gesto,
d'alto
valor, di cortesia solea
dimostrar
chiaro segno e manifesto,
e
sempre più magnanimo apparea;
così
verso Dudon lo mostrò in questo,
col
qual (come di sopra io vi dicea)
dissimulato
avea quanto era forte,
per
pietà che gli avea di porlo a morte.
Avea
Dudon ben conosciuto certo,
che
ucciderlo Ruggier non l'ha voluto;
perche
or s'ha ritrovato allo scoperto,
or
stanco sì, che più non ha potuto.
Poi
che chiaro comprende, e vede aperto
che
gli ha rispetto, e che va ritenuto;
quando
di forza e di vigor val meno,
di
cortesia non vuol cedergli almeno.
-
Per Dio (dice), signor, pace facciamo;
che
esser non può più la vittoria mia:
esser
non può più mia; che già mi chiamo
vinto
e prigion de la tua cortesia. -
Ruggier
rispose: - Ed io la pace bramo
non
men di te; ma che con patto sia,
che
questi sette re c'hai qui legati,
lasci
che in libertà mi sieno dati. -
E
gli mostrò quei sette re che io dissi
che
stavano legati a capo chino;
e
gli soggiunse che non gli impedissi
pigliar
con essi in Africa il camino.
E
così furo in libertà remissi
quei
re; che gliel concesse il paladino;
e
gli concesse ancor che un legno tolse,
quel
che a lui parve, e verso Africa sciolse.
Il
legno sciolse, e fe' scioglier la vela,
e
se diè al vento perfido in possanza,
che
da principio la gonfiata tela
drizzò
a camino, e diè al nocchier baldanza.
Il
lito fugge, e in tal modo si cela,
che
par che ne sia il mar rimaso sanza.
Ne
l'oscurar del giorno fece il vento
chiara
la sua perfidia e il tradimento.
Mutossi
da la poppa ne le sponde,
indi
alla prora, e qui non rimase anco:
ruota
la nave, ed i nocchier confonde;
che
or di dietro or dinanzi or loro è al fianco.
Surgono
altiere e minacciose l'onde:
mugliando
sopra il mar va il gregge bianco.
Di
tante morti in dubbio e in pena stanno,
quanto
son l'acque che a ferir li vanno.
Or
da fronte or da tergo il vento spira;
e
questo inanzi, e quello a dietro caccia:
un
altro da traverso il legno aggira;
e
ciascun pur naufragio gli minaccia.
Quel
che siede al governo, alto sospira
pallido
e sbigottito ne la faccia;
e
grida invano, e invan con mano accenna
or
di voltare, or di calar l'antenna.
Ma
poco il cenno, e il gridar poco vale:
tolto
è il veder da la piovosa notte.
La
voce, senza udirsi, in aria sale,
in
aria che ferìa con maggior botte
de'
naviganti il grido universale,
e
il fremito de l'onde insieme rotte:
e
in prora e in poppa e in amendue le bande
non
si può cosa udir, che si commande.
Da
la rabbia del vento che si fende
ne
le ritorte, escono orribil suoni:
di
spessi lampi l'aria si raccende,
risuona
il ciel di spaventosi tuoni.
V'è
chi corre al timon, chi i remi prende;
van
per uso agli uffici a che son buoni:
chi
s'affatica a sciorre e chi a legare;
vota
altri l'acqua, e torna il mar nel mare.
Ecco
stridendo l'orribil procella
che
il repentin furor di borea spinge,
la
vela contra l'arbore flagella:
il
mar si leva, e quasi il cielo attinge.
Frangonsi
i remi; e di fortuna fella
tanto
la rabbia impetuosa stringe,
che
la prora si volta, e verso l'onda
fa
rimaner la disarmata sponda.
Tutta
sotto acqua va la destra banda,
e
sta per riversar di sopra il fondo.
Ognun,
gridando, a Dio si raccomanda;
che
più che certi son gire al profondo.
D'uno
in un altro mal fortuna manda:
il
primo scorre, e vien dietro il secondo.
Il
legno vinto in più parti si lassa,
e
dentro l'inimica onda vi passa.
Muove
crudele e spaventoso assalto
da
tutti i lati il tempestoso verno.
Veggon
talvolta il mar venir tant'alto,
che
par che arrivi insin al ciel superno.
Talor
fan sopra l'onde in su tal salto,
che
a mirar giù par lor veder lo 'nferno.
O
nulla o poca speme è che conforte;
e
sta presente inevitabil morte.
Tutta
la notte per diverso mare
scorsero
errando ove cacciolli il vento;
il
fiero vento che dovea cessare
nascendo
il giorno, e ripigliò augumento.
Ecco
dinanzi un nudo scoglio appare:
voglion
schivarlo, e non v'hanno argumento.
Li
porta, lor mal grado, a quella via
il
crudo vento e la tempesta ria.
Tre
volte e quattro il pallido nocchiero
mette
vigor perché il timon sia volto
e
trovi più sicuro altro sentiero;
ma
quel si rompe, e poi dal mar gli è tolto.
Ha
sì la vela piena il vento fiero,
che
non si può calar poco né molto:
né
tempo han di riparo o di consiglio;
che
troppo appresso è quel mortal periglio.
Poi
che senza rimedio si comprende
la
irreparabil rotta de la nave,
ciascuno
al suo privato utile attende,
ciascun
salvar la vita sua cura have.
Chi
può più presto al palischermo scende;
ma
quello è fatto subito sì grave
per
tanta gente che sopra v'abbonda,
che
poco avanza a gir sotto la sponda.
Ruggier
che vide il comite e il padrone
e
gli altri abbandonar con fretta il legno,
come
senz'arme si trovò in giubbone,
campar
su quel battel fece disegno:
ma
lo trovò sì carco di persone,
e
tante venner poi, che l'acque il segno
passaro
in guisa, che per troppo pondo
con
tutto il carco andò il legnetto al fondo:
del
mare al fondo: e seco trasse quanti
lasciaro
a sua speranza il maggior legno.
Allor
s'udì con dolorosi pianti
chiamar
soccorso dal celeste regno:
ma
quelle voci andaro poco inanti,
che
venne il mar pien d'ira e di disdegno,
e
subito occupò tutta la via
onde
il lamento e il flebil grido uscia.
Altri
là giù, senza apparir più, resta;
altri
risorge e sopra l'onde sbalza;
chi
vien nuotando e mostra fuor la testa,
chi
mostra un braccio, e chi una gamba scalza.
Ruggier
che il minacciar de la tempesta
temer
non vuol, dal fondo al sommo s'alza,
e
vede il nudo scoglio non lontano,
che
egli e i compagni avean fuggito invano.
Spera,
per forza di piedi e di braccia
nuotando,
di salir sul lito asciutto.
Soffiando
viene, e lungi da la faccia
l'onda
respinge e l'importuno flutto.
Il
vento intanto e la tempesta caccia
il
legno voto, e abbandonato in tutto
da
quelli che per lor pessima sorte
il
disio di campar trasse alla morte.
Oh
fallace degli uomini credenza!
campò
la nave che dovea perire;
quando
il padrone e i galleotti senza
governo
alcun l'avean lasciata gire.
Parve
che si mutasse di sentenza
il
vento, poi che ogni uom vide fuggire:
fece
che il legno a miglior via si torse,
né
toccò terra, e in sicura onda corse.
E
dove col nocchier tenne via incerta,
poi
che non l'ebbe, andò in Africa al dritto,
e
venne a capitar presso a Biserta
tre
miglia o due, dal lato verso Egitto;
e
ne l'arena sterile e deserta
restò,
mancando il vento e l'acqua, fitto.
Or
quivi sopravenne, a spasso andando,
come
di sopra io vi narrava, Orlando.
E
disioso di saper se fusse
la
nave sola, e fusse o vota o carca,
con
Brandimarte a quella si condusse
e
col cognato, in su una lieve barca.
Poi
che sotto coverta s'introdusse,
tutta
la ritrovò d'uomini scarca:
vi
trovò sol Frontino il buon destriero,
l'armatura
e la spada di Ruggiero;
di
cui fu per campar tanto la fretta,
che
a tor la spada non ebbe pur tempo.
Conobbe
quella il paladin, che detta
fu
Balisarda, e che già sua fu un tempo.
So
che tutta l'istoria avete letta,
come
la tolse a Falerina, al tempo
che
le distrusse anco il giardin sì bello,
e
come a lui poi la rubò Brunello;
e
come sotto il monte di Carena
Brunel
ne fe' a Ruggier libero dono.
Di
che taglio ella fosse e di che schena,
n'avea
già fatto esperimento buono;
io
dico Orlando: e però n'ebbe piena
letizia,
e ringrazionne il sommo Trono;
e
si credette (e spesso il disse dopo),
che
Dio gliele mandasse a sì grande uopo:
a
sì grande uopo, come era, dovendo
condursi
col signor di Sericana;
che
oltre che di valor fosse tremendo,
sapea
che avea Baiardo e Durindana.
L'altra
armatura, non la conoscendo,
non
apprezzò per cosa sì soprana,
come
chi ne fe' prova apprezzò quella,
per
buona sì, ma per più ricca e bella.
E
perché gli facean poco mestiero
l'arme
(che era inviolabile e affatato),
contento
fu che l'avesse Oliviero;
il
brando no, che sel pose egli a lato:
a
Brandimarte consegnò il destriero.
Così
diviso ed ugualmente dato
volse
che fosse a ciaschedun compagno
che
insieme si trovar, di quel guadagno.
Pel
dì de la battaglia ogni guerriero
studia
aver ricco e nuovo abito indosso.
Orlando
riccamar fa nel quartiero
l'alto
Babel dal fulmine percosso.
Un
can d'argento aver vuole Oliviero,
che
giaccia, e che la lassa abbia sul dosso,
con
un motto che dica: Fin che vegna:
e
vuol d'oro la vesta e di sé degna.
Fece
disegno Brandimarte, il giorno
de
la battaglia, per amor del padre,
e
per suo onor, di non andare adorno
se
non di sopraveste oscure ed adre.
Fiordiligi
le fe' con fregio intorno,
quanto
più seppe far, belle e leggiadre.
Di
ricche gemme il fregio era contesto;
d'un
schietto drappo e tutto nero il resto.
Fece
la donna di sua man le sopra-
vesti
a cui l'arme converrian più fine,
de'
quai l'osbergo il cavallier si cuopra,
e
la groppa al cavallo e il petto e il crine.
Ma
da quel dì che cominciò quest'opra,
continuando
a quel che le diè fine,
e
dopo ancora, mai segno di riso
far
non poté, né d'allegrezza in viso.
Sempre
ha timor nel cor, sempre tormento
che
Brandimarte suo non le sia tolto.
Già
l'ha veduto in cento lochi e cento
in
gran battaglie e perigliose avvolto;
né
mai, come ora, simile spavento
le
agghiacciò il sangue e impallidille il volto:
e
questa novità d'aver timore
le
fa tremar di doppia tema il core.
Poi
che son d'arme e d'ogni arnese in punto,
alzano
al vento i cavallier le vele.
Astolfo
e Sansonetto con l'assunto
riman
del grande esercito fedele.
Fiordiligi
col cor di timor punto,
empiendo
il ciel di voti e di querele,
quanto
con vista seguitar le puote,
segue
le vele in alto mar remote.
Astolfo
a gran fatica e Sansonetto
poté
levarla dal mirar ne l'onda
e
ritrarla al palagio, ove sul letto
la
lasciaro affannata e tremebonda.
Portava
intanto il bel numero eletto
dei
tre buon cavallier l'aura seconda.
Andò
il legno a trovar l'isola al dritto,
ove
far si dovea tanto conflitto.
Sceso
nel lito il cavallier d'Anglante,
il
cognato Oliviero e Brandimarte,
col
padiglione il lato di levante
primi
occupar; né forse il fer senz'arte.
Giunse
quel dì medesimo Agramante,
e
s'accampò da la contraria parte;
ma
perché molto era inchinata l'ora,
differir
la battaglia ne l'aurora.
Di
qua e di là sin alla nuova luce
stanno
alla guardia i servitori armati.
La
sera Brandimarte si conduce
là
dove i Saracin sono alloggiati,
e
parla, con licenza del suo duce,
al
re african; che amici erano stati:
e
Brandimarte già con la bandiera
del
re Agramante in Francia passato era.
Dopo
i saluti e il giunger mano a mano,
molte
ragion, sì come amico, disse
il
fedel cavalliero al re pagano,
perché
a questa battaglia non venisse:
e
di riporgli ogni cittade in mano,
che
sia tra il Nilo e il segno che Ercol fisse,
con
volontà d'Orlando gli offeria,
se
creder volea al Figlio di Maria.
-
Perché sempre v'ho amato ed amo molto,
questo
consiglio (gli dicea) vi dono;
e
quando già, signor, per me l'ho tolto,
creder
potete che io l'estimo buono.
Cristo
conobbi Dio, Maumette stolto;
e
bramo voi por ne la via in che io sono:
ne
la via di salute, signor, bramo
che
siate meco, e tutti gli altri che amo.
Qui
consiste il ben vostro; né consiglio
altro
potete prender, che vi vaglia;
e
men di tutti gli altri, se col figlio
di
Milon vi mettete alla battaglia;
che
il guadagno del vincere al periglio
de
la perdita grande non si agguaglia.
Vincendo
voi, poco acquistar potete;
ma
non perder già poco, se perdete.
Quando
uccidiate Orlando, e noi venuti
qui
per morire o vincere con lui,
io
non veggo per questo che i perduti
domini
a racquistar s'abbian per vui.
Né
dovete sperar che sì si muti
lo
stato de le cose, morti nui,
che
uomini a Carlo manchino da porre
quivi
a guardar fin all'estrema torre. -
Così
parlava Brandimarte, ed era
per
suggiungere ancor molte altre cose;
ma
fu con voce irata e faccia altiera
dal
pagano interrotto, che rispose:
-
Temerità per certo e pazzia vera
è
la tua, e di qualunque che si pose
a
consigliar mai cosa o buona o ria,
ove
chiamato a consigliar non sia.
E
che il consiglio che mi dai, proceda
da
ben che m'hai voluto e vuommi ancora,
io
non so, a dire il ver, come io tel creda,
quando
qui con Orlando ti veggo ora.
Crederò
ben, tu che ti vedi in preda
di
quel dragon che l'anime devora,
che
brami teco nel dolore eterno
tutto
il mondo poter trarre all'inferno.
Che
io vinca o perda, o debba nel mio regno
tornare
antiquo, o sempre starne in bando,
in
mente sua n'ha Dio fatto disegno,
il
qual né io, né tu, né vede Orlando.
Sia
quel che vuol, non potrà ad atto indegno
di
re inchinarmi mai timor nefando.
S'io
fossi certo di morir, vo' morto
prima
restar, che al sangue mio far torto.
Or
ti puoi ritornar; che se migliore
non
sei dimani in questo campo armato,
che
tu mi sia paruto oggi oratore,
mal
troverassi Orlando accompagnato. -
Queste
ultime parole usciron fuore
del
petto acceso d'Agramante irato.
Ritornò
l'uno e l'altro, e ripososse,
fin
che del mare il giorno uscito fosse.
Nel
biancheggiar de la nuova alba armati,
e
in un momento fur tutti a cavallo.
Pochi
sermon si son tra loro usati:
non
vi fu indugio, non vi fu intervallo,
che
i ferri de le lance hanno abbassati.
Ma
mi parria, Signor, far troppo fallo,
se,
per voler di costor dir, lasciassi
tanto
Ruggier nel mar, che v'affogassi.
Il
giovinetto con piedi e con braccia
percotendo
venìa l'orribil onde.
Il
vento e la tempesta gli minaccia;
ma
più la coscienza lo confonde.
Teme
che Cristo ora vendetta faccia;
che,
poi che battezzar ne l'acque monde,
quando
ebbe tempo, sì poco gli calse,
or
si battezzi in queste amare e salse.
Gli
ritornano a mente le promesse
che
tante volte alla sua donna fece;
quel
che giurato avea quando si messe
contra
Rinaldo, e nulla satisfece.
A
Dio, che ivi punir non lo volesse,
pentito
disse quattro volte e diece;
e
fece voto di core e di fede
d'esser
cristian, se ponea in terra il piede:
e
mai più non pigliar spada né lancia
contra
ai fedeli in aiuto de' Mori;
ma
che ritorneria subito in Francia,
e
a Carlo renderia debiti onori;
né
Bradamante più terrebbe a ciancia,
e
verria a fine onesto dei suo' amori.
Miracol
fu, che sentì al fin del voto
crescersi
forza e agevolarsi il nuoto.
Cresce
la forza e l'animo indefesso:
Ruggier
percuote l'onde e le respinge,
l'onde
che seguon l'una all'altra presso,
di
che una il leva, un'altra lo sospinge.
Così
montando e discendendo spesso
con
gran travaglio, al fin l'arena attinge;
e
da la parte onde s'inchina il colle
più
verso il mar, esce bagnato e molle.
Fur
tutti gli altri che nel mar si diero,
vinti
da l'onde, e al fin restar ne l'acque.
Nel
solitario scoglio uscì Ruggiero,
come
all'alta Bontà divina piacque.
Poi
che fu sopra il monte inculto e fiero
sicur
dal mar, nuovo timor gli nacque
d'avere
esilio in sì strette confine,
e
di morirvi di disagio al fine.
Ma
pur col core indomito, e costante
di
patir quanto è in ciel di lui prescritto,
pei
duri sassi l'intrepide piante
mosse,
poggiando invêr la cima al dritto.
Non
era cento passi andato inante,
che
vide d'anni e d'astinenze afflitto
uom
che avea d'eremita abito e segno,
di
molta riverenza e d'onor degno;
che,
come gli fu presso: - Saulo, Saulo,
(gridò),
perché persegui la mia fede?
(come
allor il Signor disse a san Paulo,
che
il colpo salutifero gli diede).
Passar
credesti il mar, né pagar naulo,
e
defraudare altrui de la mercede.
Vedi
che Dio, c'ha lunga man, ti giunge
quando
tu gli pensasti esser più lunge. -
E
seguitò il santissimo eremita,
il
qual la notte inanzi avuto avea
in
vision da Dio, che con sua aita
allo
scoglio Ruggier giunger dovea:
e
di lui tutta la passata vita,
e
la futura, e ancor la morte rea,
figli
e nipoti ed ogni discendente
gli
avea Dio rivelato interamente.
Seguitò
l'eremita riprendendo
prima
Ruggiero; e al fin poi confortollo.
Lo
riprendea che era ito differendo
sotto
il soave giogo a porre il collo;
e
quel che dovea far, libero essendo,
mentre
Cristo pregando a sé chiamollo,
fatto
avea poi con poca grazia, quando
venir
con sferza il vide minacciando.
Poi
confortollo che non niega il cielo
tardi
o per tempo Cristo a chi gliel chiede;
e
di quelli operarii del Vangelo
narrò,
che tutti ebbono ugual mercede.
Con
caritade e con devoto zelo
lo
venne ammaestrando ne la fede,
verso
la cella sua con lento passo,
che
era cavata a mezzo il duro sasso.
Di
sopra siede alla devota cella
una
piccola chiesa che risponde
all'oriente,
assai commoda e bella:
di
sotto un bosco scende sin all'onde,
di
lauri e di ginepri e di mortella,
e
di palme fruttifere e feconde;
che
riga sempre una liquida fonte,
che
mormorando cade giù dal monte.
Eran
degli anni ormai presso a quaranta
che
su lo scoglio il fraticel si messe;
che
a menar vita solitaria e santa
luogo
oportuno il Salvator gli elesse.
Di
frutte colte or d'una or d'altra pianta,
e
d'acqua pura la sua vita resse,
che
valida e robusta e senza affanno
era
venuta all'ottantesimo anno.
Dentro
la cella il vecchio accese il fuoco,
e
la mensa ingombrò di vari frutti,
ove
si ricreò Ruggiero un poco,
poscia
che i panni e i capelli ebbe asciutti.
Imparò
poi più ad agio in questo loco
de
nostra fede i gran misteri tutti;
ed
alla pura fonte ebbe battesmo
il
dì seguente dal vecchio medesmo.
Secondo
il luogo, assai contento stava
quivi
Ruggier; che il buon servo di Dio
fra
pochi giorni intenzion gli dava
di
rimandarlo ove più avea disio.
Di
molte cose intanto ragionava
con
lui sovente, or al regno di Dio,
or
agli propri casi appertinenti,
or
del suo sangue alle future genti.
Avea
il Signor, che il tutto intende e vede,
rivelato
al santissimo eremita,
che
Ruggier da quel dì che ebbe la fede,
dovea
sette anni, e non più, stare in vita;
che
per la morte che sua donna diede
a
Pinabel, che a lui fia attribuita,
saria,
e per quella ancor di Bertolagi,
morto
dai Maganzesi empi e malvagi.
E
che quel tradimento andrà sì occulto,
che
non se n'udirà di fuor novella;
perché
nel proprio loco fia sepulto
ove
anco ucciso da la gente fella:
per
questo tardi vendicato ed ulto
fia
da la moglie e da la sua sorella.
E
che col ventre pien per lunga via
da
la moglie fedel cercato fia.
Fra
l'Adice e la Brenta a piè de' colli
che
al troiano Antenòr piacqueno tanto,
con
le sulfuree vene e rivi molli,
con
lieti solchi e prati ameni a canto,
che
con l'alta Ida volentier mutolli,
col
sospirato Ascanio e caro Xanto,
a
parturir verrà ne le foreste
che
son poco lontane al frigio Ateste.
E
che in bellezza ed in valor cresciuto
il
parto suo, che pur Ruggier fia detto,
e
del sangue troian riconosciuto
da
quei Troiani, in lor signor fia elletto;
e
poi da Carlo, a cui sarà in aiuto
incontra
i Longobardi giovinetto,
dominio
giusto avrà del bel paese,
e
titolo onorato di marchese.
E
perché dirà Carlo in latino: - "Este"
signori
qui, - quando faragli il dono,
nel
secolo futur nominato Este
sarà
il bel luogo con augurio buono;
e
così lascierà il nome d'Ateste
de
le due prime note il vecchio suono.
Avea
Dio ancora al servo suo predetta
di
Ruggier la futura aspra vendetta:
che
in visione alla fedel consorte
apparirà
dinanzi al giorno un poco;
e
le dirà chi l'avrà messo a morte,
e,
dove giacerà, mostrerà il loco:
onde
ella poi con la cognata forte
distruggerà
Pontieri a ferro e a fuoco;
né
farà a' Maganzesi minor danni
il
figlio suo Ruggiero, ov'abbia gli anni.
D'Azzi,
d'Alberti, d'Obici discorso
fatto
gli aveva, e di lor stirpe bella,
insino
a Nicolò, Leonello, Borso,
Ercole,
Alfonso, Ippolito e Issabella.
Ma
il santo vecchio, che alla lingua ha il morso,
non
di quanto egli sa però favella:
narra
a Ruggier quel che narrar conviensi;
e
quel che in sé de' ritener, ritiensi.
In
questo tempo Orlando e Brandimarte
e
il marchese Olivier col ferro basso
vanno
a trovare il saracino Marte
(che
così nominar si può Gradasso)
e
gli altri duo che da contraria parte
han
mosso i buon destrier più che di passo;
io
dico il re Agramante e il re Sobrino:
rimbomba
al corso il lito e il mar vicino.
Quando
allo scontro vengono a trovarsi,
e
in tronchi vola al ciel rotta ogni lancia,
del
gran rumor fu visto il mar gonfiarsi,
del
gran rumor che s'udì sino in Francia.
Venne
Orlando e Gradasso a riscontrarsi;
e
potea stare ugual questa bilancia,
se
non era il vantaggio di Baiardo,
che
fe' parer Gradasso più gagliardo.
Percosse
egli il destrier di minor forza,
che
Orlando avea, d'un urto così strano,
che
lo fece piegare a poggia e ad orza,
e
poi cader, quanto era lungo, al piano.
Orlando
di levarlo si risforza
tre
volte e quattro, e con sproni e con mano;
e
quando al fin nol può levar, ne scende,
lo
scudo imbraccia, e Balisarda prende.
Scontrossi
col re d'Africa Oliviero;
e
fur di quello incontro a paro a paro.
Brandimarte
restar senza destriero
fece
Sobrin: ma non si seppe chiaro
se
v'ebbe il destrier colpa o il cavalliero;
che
avezzo era cader Sobrin di raro.
O
del destriero o suo pur fosse il fallo,
Sobrin
si ritrovò giù del cavallo.
Or
Brandimarte che vide per terra
il
re Sobrin, non l'assalì altrimente,
ma
contra il re Gradasso si disserra,
che
avea abbattuto Orlando parimente.
Tra
il marchese e Agramante andò la guerra
come
fu cominciata primamente:
poi
che si roppon l'aste negli scudi,
s'eran
tornati incontra a stocchi ignudi.
Orlando,
che Gradasso in atto vede,
che
par che a lui tornar poco gli caglia;
né
tornar Brandimarte gli concede,
tanto
lo stringe e tanto lo travaglia;
si
volge intorno, e similmente a piede
vede
Sobrin che sta senza battaglia.
Vêr
lui s'aventa; e al muover de le piante
fa
il ciel tremar del suo fiero sembiante.
Sobrin
che di tanto uom vede l'assalto,
stretto
ne l'arme s'apparecchia tutto:
come
nocchiero a cui vegna a gran salto
muggendo
incontra il minaccioso flutto,
drizza
la prora; e quando il mar tant'alto
vede
salire, esser vorria all'asciutto.
Sobrin
lo scudo oppone alla ruina
che
da la spada vien di Falerina.
Di
tal finezza è quella Balisarda,
che
l'arme le puon far poco riparo;
in
man poi di persona sì gagliarda,
in
man d'Orlando, unico al mondo o raro,
taglia
lo scudo; e nulla la ritarda,
perché
cerchiato sia tutto d'acciaro:
taglia
lo scudo e sino al fondo fende,
e
sotto a quello in su la spalla scende.
Scende
alla spalla; e perché la ritrovi
di
doppia lama e di maglia coperta,
non
vuol però che molto ella le giovi,
che
di gran piaga non la lasci aperta.
Mena
Sobrin; ma indarno è che si provi
ferire
Orlando, a cui per grazia certa
diede
il Motor del cielo e de le stelle,
che
mai forar non se gli può la pelle.
Radoppia
il colpo il valoroso conte,
e
pensa da le spalle il capo torgli.
Sobrin
che sa il valor di Chiaramonte,
e
che poco gli val lo scudo opporgli,
s'arretra,
ma non tanto, che la fronte
non
venisse anco Balisarda a corgli.
Di
piatto fu, ma il colpo tanto fello,
che
amaccò l'elmo, e gli intronò il cervello.
Cadde
Sobrin del fiero colpo in terra,
onde
a gran pezzo poi non è risorto.
Crede
finita aver con lui la guerra
il
paladino, e che si giaccia morto;
e
verso il re Gradasso si disserra,
che
Brandimarte non meni a mal porto:
che
il pagan d'arme e di spada l'avanza
e
di destriero, e forse di possanza.
L'ardito
Brandimarte in su Frontino,
quel
buon destrier che di Ruggier fu dianzi,
si
porta così ben col Saracino,
che
non par già che quel troppo l'avanzi:
e
s'egli avesse osbergo così fino
come
il pagan, gli staria meglio inanzi;
ma
gli convien (che mal si sente armato)
spesso
dar luogo or d'uno or d'altro lato.
Altro
destrier non è che meglio intenda
di
quel Frontino il cavalliero a cenno:
par
che dovunque Durindana scenda,
or
quinci or quindi abbia a schivarla senno.
Agramante
e Olivier battaglia orrenda
altrove
fanno, e giudicar si denno
per
duo guerrier di pari in arme accorti,
e
pochi differenti in esser forti.
Avea
lasciato, come io dissi, Orlando
Sobrino
in terra; e contra il re Gradasso,
soccorrer
Brandimarte disiando,
come
si trovò a piè, venìa a gran passo.
Era
vicin per assalirlo, quando
vide
in mezzo del campo andare a spasso
il
buon cavallo onde Sobrin fu spinto;
e
per averlo, presto si fu accinto.
Ebbe
il destrier, che non trovò contesa,
e
levò un salto, ed entrò ne la sella.
Ne
l'una man la spada tien sospesa,
mette
l'altra alla briglia ricca e bella.
Gradasso
vede Orlando, e non gli pesa,
che
a lui ne viene, e per nome l'appella.
Ad
esso e a Brandimarte e all'altro spera
far
parer notte, e che non sia ancor sera.
Voltasi
al conte, e Brandimarte lassa,
e
d'una punta lo trova al camaglio:
fuor
che la carne, ogni altra cosa passa:
per
forar quella è vano ogni travaglio.
Orlando
a un tempo Balisarda abbassa:
non
vale incanto ov'ella mette il taglio.
L'elmo,
lo scudo, l'osbergo e l'arnese,
venne
fendendo in giù ciò che ella prese;
e
nel volto e nel petto e ne la coscia
lasciò
ferito il re di Sericana,
di
cui non fu mai tratto sangue, poscia
che
ebbe quell'arme: or gli par cosa strana
che
quella spada (e n'ha dispetto e angoscia)
le
tagli or sì; né pur è Durindana.
E
se più lungo il colpo era o più appresso,
l'avria
dal capo insino al ventre fesso.
Non
bisogna più aver ne l'arme fede,
come
avea dianzi; che la prova è fatta.
Con
più riguardo e più ragion procede,
che
non solea; meglio al parar si adatta.
Brandimarte
che Orlando entrato vede,
che
gli ha di man quella battaglia tratta,
si
pone in mezzo all'una e all'altra pugna,
perché
in aiuto, ove è bisogno, giugna.
Essendo
la battaglia in tale istato,
Sobrin,
che era giaciuto in terra molto,
si
levò, poi che in sé fu ritornato;
e
molto gli dolea la spalla e il volto:
alzò
la vista e mirò in ogni lato;
poi
dove vide il suo signor, rivolto,
per
dargli aiuto i lunghi passi torse
tacito
sì, che alcun non se n'accorse.
Vien
dietro ad Olivier che tenea gli occhi
al
re Agramante e poco altro attendea;
e
gli ferì nei deretan ginocchi
il
destrier di percossa in modo rea,
che
senza indugio è forza che trabocchi.
Cade
Olivier, né il piede aver potea,
il
manco piè, che al non pensato caso
sotto
il cavallo in staffa era rimaso.
Sobrin
radoppia il colpo, e di riverso
gli
mena, e se gli crede il capo torre;
ma
lo vieta l'acciar lucido e terso,
che
temprò già Vulcan, portò già Ettorre.
Vede
il periglio Brandimarte, e verso
il
re Sobrino a tutta briglia corre;
e
lo fere in sul capo, e gli dà d'urto;
ma
il fiero vecchio è tosto in piè risurto;
e
torna ad Olivier per dargli spaccio,
sì
che espedito all'altra vita vada;
o
non lasciare almen che esca d'impaccio,
ma
che si stia sotto il cavallo a bada.
Olivier
c'ha di sopra il miglior braccio,
sì
che si può difender con la spada,
di
qua di là tanto percuote e punge,
che,
quanta è lunga, fa Sobrin star lunge.
Spera,
s'alquanto il tien da sé rispinto,
in
poco spazio uscir di quella pena.
Tutto
di sangue il vede molle e tinto,
e
che ne versa tanto in su l'arena,
che
gli par che abbia tosto a restar vinto:
debole
è sì, che si sostiene a pena.
Fa
per levarsi Olivier molte prove,
né
da dosso il destrier però si muove.
Trovato
ha Brandimarte il re Agramante,
e
cominciato a tempestargli intorno:
or
con Frontin gli è al fianco, or gli è davante,
con
quel Frontin che gira come un torno.
Buon
cavallo ha il figliuol di Monodante:
non
l'ha peggiore il re di Mezzogiorno;
ha
Brigliador che gli donò Ruggiero
poi
che lo tolse a Mandricardo altiero.
Vantaggio
ha bene assai de l'armatura;
a
tutta prova l'ha buona e perfetta.
Brandimarte
la sua tolse a ventura,
qual
poté avere a tal bisogno in fretta:
ma
sua animosità sì l'assicura,
che
in miglior tosto di cangiarla aspetta;
come
che il re african d'aspra percossa
la
spalla destra gli avea fatta rossa;
e
serbi da Gradasso anco nel fianco
piaga
da non pigliar però da giuoco.
Tanto
l'attese al varco il guerrier franco,
che
di cacciar la spada trovò loco.
Spezzò
lo scudo, e ferì il braccio manco,
e
poi ne la man destra il toccò un poco.
Ma
questo un scherzo si può dire e un spasso
verso
quel che fa Orlando e il re Gradasso.
Gradasso
ha mezzo Orlando disarmato;
l'elmo
gli ha in cima e da dui lati rotto,
e
fattogli cader lo scudo al prato,
osbergo
e maglia apertagli di sotto:
non
l'ha ferito già, che era affatato.
Ma
il paladino ha lui peggio condotto:
in
faccia, ne la gola, in mezzo il petto
l'ha
ferito, oltre a quel che già v'ho detto.
Gradasso
disperato, che si vede
del
proprio sangue tutto molle e brutto,
e
che Orlando del suo dal capo al piede
sta
dopo tanti colpi ancora asciutto;
leva
il brando a due mani, e ben si crede
partirgli
il capo, il petto, il ventre e il tutto:
e
a punto, come vuol, sopra la fronte
percuote
a mezza spada il fiero conte.
E
s'era altro che Orlando, l'avria fatto,
l'avria
sparato fin sopra la sella:
ma,
come colto l'avesse di piatto,
la
spada ritornò lucida e bella.
De
la percossa Orlando stupefatto,
vide,
mirando in terra, alcuna stella:
lasciò
la briglia, e il brando avria lasciato;
ma
di catena al braccio era legato.
Del
suon del colpo fu tanto smarrito
il
corridor che Orlando avea sul dorso,
che
discorrendo il polveroso lito,
mostrando
gìa quanto era buono al corso.
De
la percossa il conte tramortito,
non
ha valor di ritenergli il morso.
Segue
Gradasso, e l'avria tosto giunto,
poco
più che Baiardo avesse punto.
Ma
nel voltar degli occhi, il re Agramante
vide
condotto all'ultimo periglio:
che
ne l'elmo il figliuol di Monodante
col
braccio manco gli ha dato di piglio;
e
glie l'ha dislacciato già davante,
e
tenta col pugnal nuovo consiglio:
né
gli può far quel re difesa molta,
perché
di man gli ha ancor la spada tolta.
Volta
Gradasso, e più non segue Orlando,
ma,
dove vede il re Agramante, accorre.
L'incauto
Brandimarte, non pensando
che
Orlando costui lasci da sé torre,
non
gli ha né gli occhi né il pensiero, instando
il
coltel ne la gola al pagan porre.
Giunge
Gradasso, e a tutto suo potere
con
la spada a due man l'elmo gli fere.
Padre
del ciel, dà fra gli eletti tuoi
spiriti
luogo al martir tuo fedele,
che
giunto al fin de' tempestosi suoi
viaggi,
in porto ormai lega le vele.
Ah
Durindana, dunque esser tu puoi
al
tuo signore Orlando sì crudele,
che
la più grata compagnia e più fida
che
egli abbia al mondo, inanzi tu gli uccida?
Di
ferro un cerchio grosso era duo dita
intorno
all'elmo, e fu tagliato e rotto
dal
gravissimo colpo, e fu partita
la
cuffia de l'acciar che era di sotto.
Brandimarte
con faccia sbigottita
giù
del destrier si riversciò di botto;
e
fuor del capo fe' con larga vena
correr
di sangue un fiume in su l'arena.
Il
conte si risente, e gli occhi gira,
ed
ha il suo Brandimarte in terra scorto;
e
sopra in atto il Serican gli mira,
che
ben conoscer può che glie l'ha morto.
Non
so se in lui poté più il duolo o l'ira;
ma
da piangere il tempo avea sì corto,
che
restò il duolo, e l'ira uscì più in fretta.
Ma
tempo è ormai che fine al canto io metta.
CANTO
QUARANTADUESIMO
Qual
duro freno o qual ferrigno nodo,
qual,
s'esser può, catena di diamante
farà
che l'ira servi ordine e modo,
che
non trascorra oltre al prescritto inante,
quando
persona che con saldo chiodo
t'abbia
già fissa Amor nel cor costante,
tu
vegga o per violenza o per inganno
patire
o disonore o mortal danno?
E
s'a crudel, s'ad inumano effetto
quell'impeto
talor l'animo svia,
merita
escusa, perché allor del petto
non
ha ragione imperio né balìa.
Achille,
poi che sotto il falso elmetto
vide
Patròclo insanguinar la via,
d'uccider
chi l'uccise non fu sazio,
se
nol traea, se non ne facea strazio.
Invitto
Alfonso, simile ira accese
la
vostra gente il dì che vi percosse
la
fronte il grave sasso, e sì v'offese,
che
ognun pensò che l'alma gita fosse:
l'accese
in tal furor, che non difese
vostri
inimici argini o mura o fosse,
che
non fossino insieme tutti morti,
senza
lasciar chi la novella porti.
Il
vedervi cader causò il dolore
che
i vostri a furor mosse e a crudeltade.
S'eravate
in piè voi, forse minore
licenza
avriano avute le lor spade.
Eravi
assai, che la Bastia in manche ore
v'aveste
ritornata in potestade,
che
tolta in giorni a voi non era stata
da
gente cordovese e di Granata.
Forse
fu da Dio vindice permesso
che
vi trovaste a quel caso impedito,
acciò
che il crudo e scelerato eccesso
che
dianzi fatto avean, fosse punito:
che,
poi che in lor man vinto si fu messo
il
miser Vestidel, lasso e ferito,
senz'arme
fu tra cento spade ucciso
dal
popul la più parte circonciso.
Ma
perche io vo' concludere, vi dico
che
nessun'altra quell'ira pareggia,
quando
signor, parente, o sozio antico
dinanzi
agli occhi ingiuriar ti veggia.
Dunque
è ben dritto per sì caro amico,
che
subit'ira il cor d'Orlando feggia;
che
de l'orribil colpo che gli diede
il
re Gradasso, morto in terra il vede.
Quel
nomade pastor che vedut'abbia
fuggir
strisciando l'orrido serpente
che
il figliuol che giocava ne la sabbia,
ucciso
gli ha col venenoso dente,
stringe
il baston con colera e con rabbia;
tal
la spada d'ogni altra più tagliente
stringe
con ira il cavallier d'Anglante:
il
primo che trovò, fu il re Agramante;
che
sanguinoso e de la spada privo,
con
mezzo scudo e con l'elmo disciolto,
e
ferito in più parti che io non scrivo,
s'era
di man di Brandimarte tolto,
come
di piè all'astor sparvier mal vivo,
a
cui lasciò alla coda invido o stolto.
Orlando
giunse, e messe il colpo giusto
ove
il capo si termina col busto.
Sciolto
era l'elmo e disarmato il collo,
sì
che lo tagliò netto come un giunco.
Cadde,
e diè nel sabbion l'ultimo crollo
del
regnator di Libia il grave trunco.
Corse
lo spirto all'acque, onde tirollo
Caron
nel legno suo col graffio adunco.
Orlando
sopra lui non si ritarda,
ma
trova il Serican con Balisarda.
Come
vide Gradasso d'Agramante
cadere
il busto dal capo diviso;
quel
che accaduto mai non gli era inante,
tremò
nel core e si smarrì nel viso;
e
all'arrivar del cavallier d'Anglante,
presago
del suo mal, parve conquiso.
Per
schermo suo partito alcun non prese,
quando
il colpo mortal sopra gli scese.
Orlando
lo ferì nel destro fianco
sotto
l'ultima costa; e il ferro, immerso
nel
ventre, un palmo uscì dal lato manco,
di
sangue sin all'elsa tutto asperso.
Mostrò
ben che di man fu del più franco
e
del meglior guerrier de l'universo
il
colpo che un signor condusse a morte,
di
cui non era in Pagania il più forte.
Di
tal vittoria non troppo gioioso,
presto
di sella il paladin si getta;
e
col viso turbato e lacrimoso
a
Brandimarte suo corre a gran fretta.
Gli
vede intorno il campo sanguinoso:
l'elmo
che par che aperto abbia una accetta,
se
fosse stato fral più che di scorza,
difeso
non l'avria con minor forza.
Orlando
l'elmo gli levò dal viso,
e
ritrovò che il capo sino al naso
fra
l'uno e l'altro ciglio era diviso:
ma
pur gli è tanto spirto anco rimaso,
che
de' suoi falli al Re del paradiso
può
domandar perdono anzi l'occaso;
e
confortare il conte, che le gote
sparge
di pianto, a pazienza puote;
e
dirgli: - Orlando, fa che ti raccordi
di
me ne l'orazion tue grate a Dio;
né
men ti raccomando la mia Fiordi... -
ma
dir non poté: - ... ligi -, e qui finio.
E
voci e suoni d'angeli concordi
tosto
in aria s'udir, che l'alma uscìo;
la
qual disciolta dal corporeo velo
fra
dolce melodia salì nel cielo.
Orlando,
ancor che far dovea allegrezza
di
sì devoto fine, e sapea certo
che
Brandimarte alla suprema altezza
salito
era (che il ciel gli vide aperto);
pur
da la umana volontade, avezza
coi
fragil sensi, male era sofferto
che
un tal più che fratel gli fosse tolto,
e
non aver di pianto umido il volto.
Sobrin
che molto sangue avea perduto,
che
gli piovea sul fianco e su le gote,
riverso
già gran pezzo era caduto,
e
aver ne dovea ormai le vene vote.
Ancor
giacea Olivier, né riavuto
il
piede avea, né riaver lo puote
se
non ismosso, e de lo star che tanto
gli
fece il destrier sopra, mezzo infranto:
e
se il cognato non venìa ad aitarlo
(sì
come lacrimoso era e dolente),
per
sé medesmo non potea ritrarlo;
e
tanta doglia e tal martìr ne sente,
che
ritratto che l'ebbe, né a mutarlo
né
a fermarvisi sopra era possente;
e
n'ha insieme la gamba sì stordita,
che
muover non si può, se non si aita.
De
la vittoria poco rallegrosse
Orlando;
e troppo gli era acerbo e duro
veder
che morto Brandimarte fosse,
né
del cognato molto esser sicuro.
Sobrin,
che vivea ancora, ritrovosse,
ma
poco chiaro avea con molto oscuro;
che
la sua vita per l'uscito sangue
era
vicina a rimanere esangue.
Lo
fece tor, che tutto era sanguigno,
il
conte, e medicar discretamente;
e
confortollo con parlar benigno,
come
se stato gli fosse parente;
che
dopo il fatto nulla di maligno
in
sé tenea, ma tutto era clemente.
Fece
dei morti arme e cavalli torre;
del
resto a' servi lor lasciò disporre.
Qui
de la istoria mia, che non sia vera,
Federigo
Fulgoso è in dubbio alquanto;
che
con l'armata avendo la riviera
di
Barberia trascorsa in ogni canto,
capitò
quivi, e l'isola sì fiera,
montuosa
e inegual ritrovò tanto,
che
non è, dice, in tutto il luogo strano,
ove
un sol piè si possa metter piano:
né
verisimil tien che ne l'alpestre
scoglio
sei cavallieri, il fior del mondo,
potesson
far quella battaglia equestre.
Alla
quale obiezion così rispondo:
che
a quel tempo una piazza de le destre,
che
sieno a questo, avea lo scoglio al fondo;
ma
poi, che un sasso che il tremuoto aperse,
le
cadde sopra, e tutta la coperse.
Sì
che, o chiaro fulgor de la Fulgosa
stirpe,
o serena, o sempre viva luce,
se
mai mi riprendeste in questa cosa,
e
forse inanti a quello invitto duce
per
cui la vostra patria or si riposa,
lascia
ogni odio, e in amor tutta s'induce;
vi
priego che non siate a dirgli tardo,
che
esser può che né in questo io sia bugiardo.
In
questo tempo, alzando gli occhi al mare,
vide
Orlando venire a vela in fretta
un
navilio leggier, che di calare
facea
sembiante sopra l'isoletta.
Di
chi si fosse, io non voglio or contare,
perc'ho
più d'uno altrove che m'aspetta.
Veggiamo
in Francia, poi che spinto n'hanno
i
Saracin, se mesti o lieti stanno.
Veggiàn
che fa quella fedele amante
che
vede il suo contento ir sì lontano;
dico
la travagliata Bradamante,
poi
che ritrova il giuramento vano,
che
avea fatto Ruggier pochi dì inante,
udendo
il nostro e l'altro stuol pagano.
Poi
che in questo ancor manca, non le avanza
in
che ella debba più metter speranza.
E
ripetendo i pianti e le querele
che
pur troppo domestiche le furo,
tornò
a sua usanza a nominar crudele
Ruggiero,
e il suo destin spietato e duro.
Indi
sciogliendo al gran dolor le vele,
il
ciel, che consentia tanto pergiuro,
né
fatto n'avea ancor segno evidente,
ingiusto
chiama, debole e impotente.
Ad
accusar Melissa si converse,
e
maledir l'oracol de la grotta;
che
a lor mendace suasion s'immerse
nel
mar d'amore, ov'è a morir condotta.
Poi
con Marfisa ritornò a dolerse
del
suo fratel che le ha la fede rotta:
con
lei grida e si sfoga, e le domanda,
piangendo,
aiuto, e se le raccomanda.
Marfisa
si ristringe ne le spalle,
e,
quel sol che pò far, le dà conforto;
né
crede che Ruggier mai così falle,
che
a lei non debba ritornar di corto.
E
se non torna pur, sua fede dalle,
che
ella non patirà sì grave torto;
o
che battaglia piglierà con esso,
o
gli farà osservar ciò c'ha promesso.
Così
fa che ella un poco il duol raffrena;
che
avendo ove sfogarlo, è meno acerbo.
Or
che abbiam vista Bradamante in pena,
chiamar
Ruggier pergiuro, empio e superbo;
veggiamo
ancor, se miglior vita mena
il
fratel suo che non ha polso o nerbo,
osso
o medolla che non senta caldo
de
le fiamme d'amor; dico Rinaldo.
dico
Rinaldo, il qual, come sapete,
Angelica
la bella amava tanto;
né
l'avea tratto all'amorosa rete
sì
la beltà di lei, come l'incanto.
Aveano
gli altri paladin quiete,
essendo
ai Mori ogni vigore affranto:
tra
i vincitori era rimaso solo
egli
captivo in amoroso duolo.
Cento
messi a cercar che di lei fusse
avea
mandato, e cerconne egli stesso.
Al
fine a Malagigi si ridusse,
che
nei bisogni suoi l'aiutò spesso.
A
narrar il suo amor se gli condusse
col
viso rosso e col ciglio demesso;
indi
lo priega che gli insegni dove
la
desiata Angelica si trove.
Gran
maraviglia di sì strano caso
va
rivolgendo a Malagigi il petto.
Sa
che sol per Rinaldo era rimaso
d'averla
cento volte e più nel letto:
ed
egli stesso, acciò che persuaso
fosse
di questo, avea assai fatto e detto
con
prieghi e con minacce per piegarlo;
né
mai avuto avea poter di farlo:
e
tanto più, che allor Rinaldo avrebbe
tratto
fuor Malagigi di prigione.
Fare
or spontaneamente lo vorrebbe,
che
nulla giova, e n'ha minor cagione.
Poi
priega lui che ricordar si debbe
pur
quanto ha offeso in questo oltr'a ragione;
che
per negargli già, vi mancò poco
di
non farlo morire in scuro loco.
Ma
quanto a Malagigi le domande
di
Rinaldo importune più pareano,
tanto,
che l'amor suo fosse più grande,
indizio
manifesto gli faceano.
I
prieghi che con lui vani non spande,
fan
che subito immerge ne l'oceano
ogni
memoria de la ingiuria vecchia,
e
che a dargli soccorso s'apparecchia.
Termine
tolse alla risposta, e spene
gli
diè, che favorevol gli saria,
e
che gli saprà dir la via che tiene
Angelica,
o sia in Francia o dove sia.
E
quindi Malagigi al luogo viene
ove
i demoni scongiurar solia,
che
era fra monti inaccessibil grotta:
apre
il libro, e li spirti chiama in frotta.
Poi
ne sceglie un che de' casi d'amore
avea
notizia, e da lui saper volle,
come
sia che Rinaldo che avea il core
dianzi
sì duro, or l'abbia tanto molle:
e
di quelle due fonti ode il tenore,
di
che l'una dà il fuoco, e l'altra il tolle;
e
al mal che l'una fa, nulla soccorre,
se
non l'altra acqua che contraria corre.
Ed
ode come avendo già di quella
che
l'amor caccia, beuto Rinaldo,
ai
lunghi prieghi d'Angelica bella
si
dimostrò così ostinato e saldo;
e
che poi giunto per sua iniqua stella
a
ber ne l'altra l'amoroso caldo,
tornò
ad amar, per forza di quelle acque,
lei
che pur dianzi oltr'al dover gli spiacque.
Da
iniqua stella e fier destin fu giunto
a
ber la fiamma in quel ghiacciato rivo;
perché
Angelica venne quasi a un punto
a
ber ne l'altro di dolcezza privo,
che
d'ogni amor le lasciò il cor sì emunto,
che
indi ebbe lui più che le serpi a schivo:
egli
amò lei, e l'amor giunse al segno
in
che era già di lei l'odio e lo sdegno.
Del
caso strano di Rinaldo a pieno
fu
Malagigi dal demonio istrutto,
che
gli narrò d'Angelica non meno,
che
a un giovine african si donò in tutto;
e
come poi lasciato avea il terreno
tutto
d'Europa, e per l'instabil flutto
verso
India sciolto avea dai liti ispani
su
l'audaci galee de' Catallani.
Poi
che venne il cugin per la risposta,
molto
gli disuase Malagigi
di
più Angelica amar, che s'era posta
d'un
vilissimo barbaro ai servigi;
ed
ora sì da Francia si discosta,
che
mal seguir se ne potria i vestigi:
che
era oggimai più là che a mezza strada,
per
andar con Medoro in sua contrada.
La
partita d'Angelica non molto
sarebbe
grave all'animoso amante;
né
pur gli avria turbato il sonno, o tolto
il
pensier di tornarsene in Levante:
ma
sentendo che avea del suo amor colto
un
Saracino le primizie inante,
tal
passione e tal cordoglio sente,
che
non fu in vita sua, mai, più dolente.
Non
ha poter d'una risposta sola;
triema
il cor dentro, e trieman fuor le labbia;
non
può la lingua disnodar parola;
la
bocca ha amara, e par che tosco v'abbia.
Da
Malagigi subito s'invola;
e
come il caccia la gelosa rabbia,
dopo
gran pianto e gran ramaricarsi,
verso
Levante fa pensier tornarsi.
Chiede
licenza al figlio di Pipino:
e
trova scusa che il destrier Baiardo,
che
ne mena Gradasso saracino
contra
il dover di cavallier gagliardo,
lo
muove per suo onore a quel camino,
acciò
che vieti al Serican bugiardo
di
mai vantarsi che con spada o lancia
l'abbia
levato a un paladin di Francia.
Lasciollo
andar con sua licenza Carlo,
ben
che ne fu con tutta Francia mesto;
ma
finalmente non seppe negarlo,
tanto
gli parve il desiderio onesto.
Vuol
Dudon, vuol Guidone accompagnarlo;
ma
lo niega Rinaldo a quello e a questo.
Lascia
Parigi, e se ne va via solo,
pien
di sospiri e d'amoroso duolo.
Sempre
ha in memoria, e mai non se gli tolle,
che
averla mille volte avea potuto,
e
mille volte avea ostinato e folle
di
sì rara beltà fatto rifiuto;
e
di tanto piacer che aver non volle,
sì
bello e sì buon tempo era perduto:
ed
ora eleggerebbe un giorno corto
averne
solo, e rimaner poi morto.
Ha
sempre in mente, e mai non se ne parte,
come
esser puote che un povero fante
abbia
del cor di lei spinto da parte
merito
e amor d'ogni altro primo amante.
Con
tal pensier che il cor gli straccia e parte,
Rinaldo
se ne va verso Levante;
e
dritto al Reno e a Basilea si tiene,
fin
che d'Ardenna alla gran selva viene.
Poi
che fu dentro a molte miglia andato
il
paladin pel bosco aventuroso,
da
ville e da castella allontanato,
ove
aspro era più il luogo e periglioso,
tutto
in un tratto vide il ciel turbato,
sparito
il sol tra nuvoli nascoso,
ed
uscir fuor d'una caverna oscura
un
strano mostro in feminil figura.
Mill'occhi
in capo avea senza palpèbre;
non
può serrarli, e non credo che dorma:
non
men che gli occhi, avea l'orecchie crebre;
avea
in loco de crin serpi a gran torma.
Fuor
de le diaboliche tenèbre
nel
mondo uscì la spaventevol forma.
Un
fiero e maggior serpe ha per la coda,
che
pel petto si gira e che l'annoda.
Quel
che a Rinaldo in mille e mille imprese
più
non avvenne mai, quivi gli avviene;
che
come vede il mostro che all'offese
se
gli apparecchia, e che a trovar lo viene,
tanta
paura, quanta mai non scese
in
altri forse, gli entra ne le vene:
ma
pur l'usato ardir simula e finge,
e
con trepida man la spada stringe.
S'acconcia
il mostro in guisa al fiero assalto,
che
si può dir che sia mastro di guerra:
vibra
il serpente venenoso in alto,
e
poi contra Rinaldo si disserra;
di
qua di là gli vien sopra a gran salto.
Rinaldo
contra lui vaneggia ed erra:
colpi
a dritto e a riverso tira assai,
ma
non ne tira alcun che fera mai.
Il
mostro al petto il serpe ora gli appicca,
che
sotto l'arme e sin nel cor l'agghiaccia;
ora
per la visiera gliele ficca,
e
fa che erra pel collo e per la faccia.
Rinaldo
da l'impresa si dispicca,
e
quanto può con sproni il destrier caccia:
ma
la Furia infernal già non par zoppa,
che
spicca un salto, e gli è subito in groppa.
Vada
al traverso, al dritto, ove si voglia,
sempre
ha con lui la maledetta peste;
né
sa modo trovar, che se ne scioglia,
ben
che il destrier di calcitrar non reste.
Triema
a Rinaldo il cor come una foglia:
non
che altrimente il serpe lo moleste;
ma
tanto orror ne sente e tanto schivo,
che
stride e geme, e duolsi che egli è vivo.
Nel
più tristo sentier, nel peggior calle
scorrendo
va, nel più intricato bosco,
ove
ha più asprezza il balzo, ove la valle
è
più spinosa, ov'è l'aer più fosco,
così
sperando torsi da le spalle
quel
brutto, abominoso, orrido tosco;
e
ne saria mal capitato forse,
se
tosto non giungea chi lo soccorse.
Ma
lo soccorse a tempo un cavalliero
di
bello armato e lucido metallo,
che
porta un giogo rotto per cimiero,
di
rosse fiamme ha pien lo scudo giallo;
così
trapunto il suo vestire altiero,
così
la sopravesta del cavallo:
la
lancia ha in pugno, e la spada al suo loco,
e
la mazza all'arcion, che getta foco.
Piena
d'un foco eterno è quella mazza,
che
senza consumarsi ognora avampa:
né
per buon scudo o tempra di corazza
o
per grossezza d'elmo se ne scampa.
Dunque
si debbe il cavallier far piazza,
giri
ove vuol l'inestinguibil lampa:
né
manco bisognava al guerrier nostro,
per
levarlo di man del crudel mostro.
E
come cavallier d'animo saldo,
ove
ha udito il rumor, corre e galoppa,
tanto
che vede il mostro che Rinaldo
col
brutto serpe in mille nodi agroppa,
e
sentir fagli a un tempo freddo e caldo;
che
non ha via di torlosi di groppa.
Va
il cavalliero, e fere il mostro al fianco,
e
lo fa trabboccar dal lato manco.
Ma
quello è a pena in terra che si rizza,
e
il lungo serpe intorno aggira e vibra.
Quest'altro
più con l'asta non l'attizza;
ma
di farla col fuoco si delibra.
La
mazza impugna, e dove il serpe guizza,
spessi
come tempesta i colpi libra;
né
lascia tempo a quel brutto animale,
che
possa farne un solo o bene o male:
e
mentre a dietro il caccia o tiene a bada,
e
lo percuote, e vendica mille onte,
consiglia
il paladin che se ne vada
per
quella via che s'alza verso il monte.
Quel
s'appiglia al consiglio ed alla strada;
e
senza dietro mai volger la fronte,
non
cessa, che di vista se gli tolle,
ben
che molto aspro era a salir quel colle.
Il
cavallier, poi che alla scura buca
fece
tornare il mostro da l'inferno,
ove
rode se stesso e si manuca,
e
da mille occhi versa il pianto eterno;
per
esser di Rinaldo guida e duca
gli
salì dietro, e sul giogo superno
gli
fu alle spalle, e si mise con lui
per
trarlo fuor de' luoghi oscuri e bui.
Come
Rinaldo il vide ritornato,
gli
disse che gli avea grazia infinita,
e
che era debitore in ogni lato
di
porre a beneficio suo la vita.
Poi
lo domanda come sia nomato,
acciò
dir sappia chi gli ha dato aita,
e
tra guerrieri possa e inanzi a Carlo
de
l'alta sua bontà sempre esaltarlo.
Rispose
il cavallier: - Non ti rincresca
se
il nome mio scoprir non ti voglioora:
ben
tel dirò prima che un passo cresca
l'ombra;
che ci sarà poca dimora. -
Trovaro,
andando insieme, un'acqua fresca
che
col suo mormorio facea talora
pastori
e viandanti al chiaro rio
venire,
e berne l'amoroso oblio.
Signor,
queste eran quelle gelide acque,
quelle
che spengon l'amoroso caldo;
di
cui bevendo, ad Angelica nacque
l'odio
che ebbe di poi sempre a Rinaldo.
E
s'ella un tempo a lui prima dispiacque,
e
se ne l'odio il ritrovò sì saldo,
non
derivò, Signor, la causa altronde,
se
non d'aver beuto di queste onde.
Il
cavallier che con Rinaldo viene,
come
si vede inanzi al chiaro rivo,
caldo
per la fatica il destrier tiene,
e
dice: - Il posar qui non fia nocivo. -
-
Non fia (disse Rinaldo) se non bene;
che
oltre che prema il mezzogiorno estivo,
m'ha
così il brutto mostro travagliato,
che
il riposar mi fia commodo e grato. -
L'un
e l'altro smontò del suo cavallo,
e
pascer lo lasciò per la foresta;
e
nel fiorito verde a rosso e a giallo
ambi
si trasson l'elmo de la testa.
Corse
Rinaldo al liquido cristallo,
spinto
da caldo e da sete molesta,
e
cacciò, a un sorso del freddo liquore,
dal
petto ardente e la sete e l'amore.
Quando
lo vide l'altro cavalliero
la
bocca sollevar de l'acqua molle,
e
ritrarne pentito ogni pensiero
di
quel desir che ebbe d'amor sì folle;
si
levò ritto, e con sembiante altiero
gli
disse quel che dianzi dir non volle:
-
Sappi, Rinaldo, il nome mio è lo Sdegno,
venuto
sol per sciorti il giogo indegno. -
Così
dicendo, subito gli sparve,
e
sparve insieme il suo destrier con lui.
Questo
a Rinaldo un gran miracol parve;
s'aggirò
intorno, e disse: - Ove è costui? -
Stimar
non sa se sian magiche larve,
che
Malagigi un de' ministri sui
gli
abbia mandato a romper la catena
che
lungamente l'ha tenuto in pena:
o
pur che Dio da l'alta ierarchia
gli
abbia per ineffabil sua bontade
mandato,
come già mandò a Tobia,
un
angelo a levar di cecitade.
Ma
buono o rio demonio, o quel che sia,
che
gli ha renduta la sua libertade,
ringrazia
e loda; e da lui sol conosce
che
sano ha il cor da l'amorose angosce.
Gli
fu nel primier odio ritornata
Angelica;
e gli parve troppo indegna
d'esser,
non che sì lungi seguitata,
ma
che per lei pur mezza lega vegna.
Per
Baiardo riaver tutta fiata
verso
India in Sericana andar disegna,
sì
perché l'onor suo lo stringe a farlo,
sì
per averne già parlato a Carlo.
Giunse
il giorno seguente a Basilea,
ove
la nuova era venuta inante,
che
il conte Orlando aver pugna dovea
contra
Gradasso e contro il re Agramante.
Né
questo per aviso si sapea,
che
avesse dato il cavallier d'Anglante;
ma
di Sicilia in fretta venut'era
chi
la novella v'apportò per vera.
Rinaldo
vuol trovarsi con Orlando
alla
battaglia, e se ne vede lunge.
Di
dieci in dieci miglia va mutando
cavalli
e guide, e corre e sferza e punge.
Passa
il Reno a Costanza, e in su volando,
traversa
l'Alpe, ed in Italia giunge.
Verona
a dietro, a dietro Mantua lassa;
sul
Po si trova, e con gran fretta il passa.
Già
s'inchinava il sol molto alla sera,
e
già apparia nel ciel la prima stella,
quando
Rinaldo in ripa alla riviera
stando
in pensier s'avea da mutar sella,
o
tanto soggiornar, che l'aria nera
fuggisse
inanzi all'altra aurora bella,
venir
si vede un cavalliero inanti
cortese
ne l'aspetto e nei sembianti.
Costui,
dopo il saluto, con bel modo
gli
domandò s'aggiunto a moglie fosse.
Disse
Rinaldo: - Io son nel giugal nodo: -
ma
di tal domandar maravigliosse.
Soggiunse
quel: - Che sia così, ne godo. -
Poi,
per chiarir perché tal detto mosse,
disse:
- Io ti priego che tu sia contento
che
io ti dia questa sera alloggiamento;
che
ti farò veder cosa che debbe
ben
volentieri veder chi ha moglie a lato. -
Rinaldo,
sì perché posar vorrebbe,
ormai
di correr tanto affaticato;
sì
perché di vedere e d'udire ebbe
sempre
aventure un desiderio innato;
accettò
l'offerir del cavalliero,
e
dietro gli pigliò nuovo sentiero.
Un
tratto d'arco fuor di strada usciro,
e
inanzi un gran palazzo si trovaro,
onde
scudieri in gran frotta veniro
con
torchi accesi, e fero intorno chiaro.
Entrò
Rinaldo, e voltò gli occhi in giro,
e
vide loco il qual si vede raro,
di
gran fabrica e bella e bene intesa;
né
a privato uom convenia tanta spesa.
Di
serpentin, di porfido le dure
pietre
fan de la porta il ricco volto.
Quel
che chiude è di bronzo, con figure
che
sembrano spirar, muovere il volto.
Sotto
un arco poi s'entra, ove misture
di
bel musaico ingannan l'occhio molto.
Quindi
si va in un quadro che ogni faccia
de
le sue logge ha lunga cento braccia.
La
sua porta ha per sé ciascuna loggia,
e
tra la porta e sé ciascuna ha un arco:
d'ampiezza
pari son, ma varia foggia
fe'
d'ornamenti il mastro lor non parco.
Da
ciascuno arco s'entra, ove si poggia
sì
facil, che un somier vi può gir carco.
Un
altro arco di su trova ogni scala;
e
s'entra per ogni arco in una sala.
Gli
archi di sopra escono fuor del segno
tanto,
che fan coperchio alle gran porte;
e
ciascun due colonne ha per sostegno,
altre
di bronzo, altre di pietra forte.
Lungo
sarà, se tutti vi disegno
gli
ornati alloggiamenti de la corte;
e
oltr'a quel che appar, quanti agi sotto
la
cava terra il mastro avea ridotto.
L'alte
colonne e i capitelli d'oro,
da
che i gemmati palchi eran suffulti,
i
peregrini marmi che vi foro
da
dotta mano in varie forme sculti,
pitture
e getti, e tant'altro lavoro
(ben
che la notte agli occhi il più ne occulti),
mostran
che non bastaro a tanta mole
di
duo re insieme le ricchezze sole.
Sopra
gli altri ornamenti ricchi e belli,
che
erano assai ne la gioconda stanza,
v'era
una fonte che per più ruscelli
spargea
freschissime acque in abondanza.
Poste
le mense avean quivi i donzelli;
che
era nel mezzo per ugual distanza:
vedeva,
e parimente veduta era
da
quattro porte de la casa altiera.
Fatta
da mastro diligente e dotto
la
fonte era con molta e suttil opra,
di
loggia a guisa, o padiglion che in otto
facce
distinto, intorno adombri e cuopra.
Un
ciel d'oro, che tutto era di sotto
colorito
di smalto, le sta sopra;
ed
otto statue son di marmo bianco,
che
sostengon quel ciel col braccio manco.
Ne
la man destra il corno d'Amaltea
sculto
aveva lor l'ingenioso mastro,
onde
con grato murmure cadea
l'acqua
di fuore in vaso d'alabastro;
ed
a sembianza di gran donna avea
ridutto
con grande arte ogni pilastro.
Son
d'abito e di faccia differente,
ma
grazia hanno e beltà tutte ugualmente.
Fermava
il piè ciascuno di questi segni
sopra
due belle imagini più basse,
che
con la bocca aperta facean segni
che
il canto e l'armonia lor dilettasse;
e
quell'atto in che son, par che disegni
che
l'opra e studio lor tutto lodasse
le
belle donne che sugli omeri hanno,
se
fosser quei di cu' in sembianza stanno.
I
simulacri inferiori in mano
avean
lunghe ed amplissime scritture,
ove
facean con molta laude piano
i
nomi de le più degne figure;
e
mostravano ancor poco lontano
i
propri loro in note non oscure.
Mirò
Rinaldo a lume di doppieri
le
donne ad una ad una e i cavallieri.
La
prima iscrizion che agli occhi occorre,
con
lungo onor Lucrezia Borgia noma,
la
cui bellezza ed onestà preporre
debbe
all'antiqua la sua patria Roma.
I
duo che voluto han sopra sé torre
tanto
eccellente ed onorata soma,
noma
lo scritto, Antonio Tebaldeo,
Ercole
Strozza: un Lino ed uno Orfeo.
Non
men gioconda statua né men bella
si
vede appresso, e la scrittura dice:
-
Ecco la figlia d'Ercole, Issabella,
per
cui Ferrara si terrà felice
via
più, perché in lei nata sarà quella,
che
d'altro ben che prospera e fautrice
e
benigna Fortuna dar le deve,
volgendo
gli anni nel suo corso lieve. -
I
duo che mostran disiosi affetti
che
la gloria di lei sempre risuone,
Gian
Iacobi ugualmente erano detti,
l'uno
Calandra, e l'altro Bardelone.
Nel
terzo e quarto loco ove per stretti
rivi
l'acqua esce fuor del padiglione,
due
donne son, che patria, stirpe, onore
hanno
di par, di par beltà e valore.
Elissabetta
l'una e Leonora
nominata
era l'altra: e fia, per quanto
narrava
il marmo sculto, d'esse ancora
sì
gloriosa la terra di Manto,
che
di Vergilio, che tanto l'onora,
più
che di queste, non si darà vanto.
Avea
la prima a piè del sacro lembo
Iacobo
Sadoletto e Pietro Bembo.
Uno
elegante Castiglione, e un culto
Muzio
Arelio de l'altra eran sostegni.
Di
questi nomi era il bel marmo sculto,
ignoti
allora, or sì famosi e degni.
Veggon
poi quella a cui dal cielo indulto
tanta
virtù sarà, quanta ne regni,
o
mai regnata in alcun tempo sia,
versata
da Fortuna or buona or ria.
Lo
scritto d'oro esser costei dichiara
Lucrezia
Bentivoglia; e fra le lode
pone
di lei, che il duca di Ferrara
d'esserle
padre si rallegra e gode.
Di
costei canta con soave e chiara
voce
un Camil che il Reno e Felsina ode
con
tanta attenzion, tanto stupore,
con
quanta Anfriso udì già il suo pastore;
ed
un per cui la terra, ove l'Isauro
le
sue dolci acque insala in maggior vase,
nominata
sarà da l'Indo al Mauro,
e
da l'austrine all'iperboree case,
via
più che per pesare il romano auro,
di
che perpetuo nome le rimase;
Guido
Postumo, a cui doppia corona
Pallade
quinci, e quindi Febo dona.
L'altra
che segue in ordine, è Diana.
-
Non guardar (dice il marmo scritto) che ella
sia
altiera in vista; che nel core umana
non
sarà però men che in viso bella. -
Il
dotto Celio Calcagnin lontana
farà
la gloria e il bel nome di quella
nel
regno di Monese, in quel di Iuba,
in
India e Spagna udir con chiara tuba:
ed
un Marco Cavallo, che tal fonte
farà
di poesia nascer d'Ancona,
qual
fe' il cavallo alato uscir del monte,
non
so se di Parnasso o d'Elicona.
Beatrice
appresso a questo alza la fronte,
di
cui lo scritto suo così ragiona:
-
Beatrice bea, vivendo, il suo consorte,
e
lo lascia infelice alla sua morte;
anzi
tutta l'Italia, che con lei
fia
triunfante, e senza lei, captiva. -
Un
signor di Coreggio di costei
con
alto stil par che cantando scriva,
e
Timoteo, l'onor de' Bendedei:
ambi
faran tra l'una e l'altra riva
fermare
al suon de' lor soavi plettri
il
fiume ove sudar gli antiqui elettri.
Tra
questo loco e quel de la colonna
che
fu sculpita in Borgia, com'è detto,
formata
in alabastro una gran donna
era
di tanto e sì sublime aspetto,
che
sotto puro velo, in nera gonna,
senza
oro e gemme, in un vestire schietto,
tra
le più adorne non parea men bella,
che
sia tra l'altre la ciprigna stella.
Non
si potea, ben contemplando fiso,
conoscer
se più grazia o più beltade,
o
maggior maestà fosse nel viso,
o
più indizio d'ingegno o d'onestade.
-
Chi vorrà di costei (dicea l'inciso
marmo)
parlar, quanto parlar n'accade,
ben
torrà impresa più d'ogn'altra degna;
ma
non però che a fin mai se ne vegna. -
Dolce
quantunque e pien di grazia tanto
fosse
il suo bello e ben formato segno,
parea
sdegnarsi che con umil canto
ardisse
lei lodar sì rozzo ingegno,
com'era
quel che sol, senz'altri a canto
(non
so perché), le fu fatto sostegno.
Di
tutto il resto erano i nomi sculti;
sol
questi due l'artefice avea occulti.
Fanno
le statue in mezzo un luogo tondo,
che
il pavimento asciutto ha di corallo,
di
freddo soavissimo giocondo,
che
rendea il puro e liquido cristallo,
che
di fuor cade in un canal fecondo,
che
il prato verde, azzurro, bianco e giallo
rigando,
scorre per vari ruscelli,
grato
alle morbide erbe e agli arbuscelli.
Col
cortese oste ragionando stava
il
paladino a mensa; e spesso spesso,
senza
più differir, gli ricordava
che
gli attenesse quanto avea promesso:
e
ad or ad or mirandolo, osservava
che
avea di grande affanno il core oppresso;
che
non può star momento che non abbia
un
cocente sospiro in su le labbia.
Spesso
la voce dal disio cacciata
viene
a Rinaldo sin presso alla bocca
per
domandarlo; e quivi, raffrenata
di
cortese modestia, fuor non scocca.
Ora
essendo la cena terminata,
ecco
un donzello a chi l'ufficio tocca,
pon
su la mensa un bel nappo d'or fino,
di
fuor di gemme, e dentro pien di vino.
Il
signor de la casa allora alquanto
sorridendo,
a Rinaldo levò il viso;
ma
chi ben lo notava, più di pianto
parea
che avesse voglia che di riso.
Disse:
- Ora a quel che mi ricordi tanto,
che
tempo sia di sodisfar m'è aviso;
mostrarti
un paragon che esser de' grato
di
vedere a ciascun c'ha moglie allato.
Ciascun
marito, a mio giudizio, deve
sempre
spiar se la sua donna l'ama;
saper
s'onore o biasmo ne riceve,
se
per lei bestia, o se pur uom si chiama.
L'incarco
de le corna è lo più lieve
che
al mondo sia, se ben l'uom tanto infama:
lo
vede quasi tutta l'altra gente;
e
chi l'ha in capo, mai non se lo sente.
Se
tu sai che fedel la moglie sia,
hai
di più amarla e d'onorar ragione,
che
non ha quel che la conosce ria,
o
quel che ne sta in dubbio e in passione.
Di
molte n'hanno a torto gelosia
i
lor mariti, che son caste e buone:
molti
di molte anco sicuri stanno,
che
con le corna in capo se ne vanno.
Se
vuoi saper se la tua sia pudica
(come
io credo che credi, e creder déi;
che
altrimente far credere è fatica,
se
chiaro già per prova non ne sei),
tu
per te stesso, senza che altri il dica,
te
n'avvedrai, s'in questo vaso bei;
che
per altra cagion non è qui messo,
che
per mostrarti quanto io t'ho promesso.
Se
béi con questo, vedrai grande effetto;
che
se porti il cimier di Cornovaglia,
il
vin ti spargerai tutto sul petto,
né
gocciola sarà che in bocca saglia:
ma
s'hai moglie fedel, tu berai netto.
Or
di veder tua sorte ti travaglia. -
Così
dicendo, per mirar tien gli occhi,
che
in seno il vin Rinaldo si trabbocchi.
Quasi
Rinaldo di cercar suaso
quel
che poi ritrovar non vorria forse,
messa
la mano inanzi, e preso il vaso,
fu
presso di volere in prova porse:
poi,
quanto fosse periglioso il caso
a
porvi i labri, col pensier discorse.
Ma
lasciate, Signor, che io mi ripose;
poi
dirò quel che il paladin rispose.
CANTO
QUARANTATREESIMO
O
esecrabile Avarizia, o ingorda
fame
d'avere, io non mi maraviglio
che
ad alma vile e d'altre macchie lorda,
sì
facilmente dar possi di piglio;
ma
che meni legato in una corda,
e
che tu impiaghi del medesmo artiglio
alcun,
che per altezza era d'ingegno,
se
te schivar potea, d'ogni onor degno.
Alcun
la terra e il mare e il ciel misura,
e
render sa tutte le cause a pieno
d'ogni
opra, d'ogni effetto di Natura,
e
poggia sì che a Dio riguarda in seno;
e
non può aver più ferma e maggior cura,
morso
dal tuo mortifero veleno,
che
unir tesoro: e questo sol gli preme,
e
ponvi ogni salute, ogni sua speme.
Rompe
eserciti alcuno, e ne le porte
si
vede entrar di bellicose terre,
ed
esser primo a porre il petto forte,
ultimo
a trarre, in perigliose guerre;
e
non può riparar che sino a morte
tu
nel tuo cieco carcere nol serre.
Altri
d'altre arti e d'altri studi industri,
oscuri
fai, che sarian chiari e illustri.
Che
d'alcune dirò belle e gran donne
che
a bellezza, a virtù de fidi amanti,
a
lunga servitù, più che colonne
io
veggo dure, immobili e costanti?
Veggo
venir poi l'Avarizia, e ponne
far
sì, che par che subito le incanti:
in
un dì, senza amor (chi fia che il creda?)
a
un vecchio, a un brutto, a un mostro le dà in preda.
Non
è senza cagion s'io me ne doglio:
intendami
chi può, che m'intend'io.
Né
però di proposito mi toglio,
né
la materia del mio canto oblio;
ma
non più a quel c'ho detto, adattar voglio,
che
a quel che io v'ho da dire, il parlar mio.
Or
torniamo a contar del paladino
che
ad assaggiare il vaso fu vicino.
Io
vi dicea che alquanto pensar volle,
prima
che ai labri il vaso s'appressasse.
Pensò,
e poi disse: - Ben sarebbe folle
chi
quel che non vorria trovar, cercasse.
Mia
donna è donna, ed ogni donna è molle:
lasciàn
star mia credenza come stasse.
Sin
qui m'ha il creder mio giovato, e giova:
che
poss'io megliorar per farne prova?
Potria
poco giovare e nuocer molto;
che
il tentar qualche volta Idio disdegna.
Non
so s'in questo io mi sia saggio o stolto;
ma
non vo' più saper, che mi convegna.
Or
questo vin dinanzi mi sia tolto:
sete
non n'ho, né vo' che me ne vegna;
che
tal certezza ha Dio più proibita,
che
al primo padre l'arbor de la vita.
Che
come Adam, poi che gustò del pomo
che
Dio con propria bocca gli interdisse,
da
la letizia al pianto fece un tomo,
onde
in miseria poi sempre s'afflisse;
così,
se de la moglie sua vuol l'uomo
tutto
saper quanto ella fece e disse,
cade
de l'allegrezze in pianti e in guai,
onde
non può più rilevarsi mai. -
Così
dicendo il buon Rinaldo, e intanto
respingendo
da sé l'odiato vase,
vide
abondare un gran rivo di pianto
dagli
occhi del signor di quelle case,
che
disse, poi che racchetossi alquanto:
-
Sia maledetto chi mi persuase
che
io facesse la prova, ohimè! di sorte,
che
mi levò la dolce mia consorte.
Perché
non ti conobbi già dieci anni,
sì
che io mi fossi consigliato teco,
prima
che cominciassero gli affanni,
e
il lungo pianto onde io son quasi cieco?
Ma
vo' levarti da la scena i panni;
che
il mio mal vegghi, e te ne dogli meco:
e
ti dirò il principio e l'argumento
del
mio non comparabile tormento.
Qua
su lasciasti una città vicina,
a
cui fa intorno un chiaro fiume laco,
che
poi si stende e in questo Po declina,
e
l'origine sua vien di Benaco.
Fu
fatta la città, quando a ruina
le
mura andar de l'agenoreo draco.
Quivi
nacque io di stirpe assai gentile,
ma
in pover tetto e in facultade umile.
Se
Fortuna di me non ebbe cura
sì
che mi desse al nascer mio ricchezza,
al
diffetto di lei supplì Natura,
che
sopra ogni mio ugual mi diè bellezza.
Donne
e donzelle già di mia figura
arder
più d'una vidi in giovanezza;
che
io ci seppi accoppiar cortesi modi;
ben
che stia mal che l'uom se stesso lodi.
Ne
la nostra cittade era un uom saggio,
di
tutte l'arti oltre ogni creder dotto,
che
quando chiuse gli occhi al febeo raggio,
contava
gli anni suoi cento e ventotto.
Visse
tutta sua età solo e selvaggio,
se
non l'estrema; che d'Amor condotto,
con
premio ottenne una matrona bella,
e
n'ebbe di nascosto una cittella.
E
per vietar che simil la figliuola
alla
matre non sia, che per mercede
vendé
sua castità che valea sola
più
che quanto oro al mondo si possiede,
fuor
del commercio popular la invola;
ed
ove più solingo il luogo vede,
questo
amplo e bel palagio e ricco tanto
fece
fare a' demoni per incanto.
A
vecchie donne e caste fe' nutrire
la
figlia qui, che in gran beltà poi venne;
né
che potesse altr'uom veder, né udire
pur
ragionarne in quella età, sostenne.
E
perche avesse esempio da seguire,
ogni
pudica donna che mai tenne
contra
illicito amor chiuse le sbarre,
ci
fe' d'intaglio o di color ritrarre:
non
quelle sol che di virtude amiche
hanno
sì il mondo all'età prisca adorno;
di
quai la fama per l'istorie antiche
non
è per veder mai l'ultimo giorno:
ma
nel futuro ancora altre pudiche
che
faran bella Italia d'ogn'intorno,
ci
fe' ritrarre in lor fattezze conte,
come
otto che ne vedi a questa fonte.
Poi
che la figlia al vecchio par matura
sì,
che ne possa l'uom cogliere i frutti;
o
fosse mia disgrazia o mia aventura,
eletto
fui degno di lei fra tutti.
I
lati campi oltre alle belle mura,
non
meno i pescarecci, che gli asciutti,
che
ci son d'ogn'intorno a venti miglia,
mi
consegnò per dote de la figlia.
Ella
era bella e costumata tanto,
che
più desiderar non si potea.
Di
bei trapunti e di riccami, quanto
mai
ne sapesse Pallade, sapea.
Vedila
andare, odine il suono e il canto:
celeste
e non mortal cosa parea.
E
in modo all'arti liberali attese,
che,
quanto il padre, o poco men n'intese.
Con
grande ingegno, e non minor bellezza
che
fatta l'avria amabil fin ai sassi,
era
giunto un amore, una dolcezza,
che
par che a rimembrarne il cor mi passi.
Non
aveva più piacer né più vaghezza,
che
d'esser meco ov'io mi stessi o andassi.
Senza
aver lite mai stemmo gran pezzo:
l'avemmo
poi, per colpa mia, da sezzo.
Morto
il suocero mio dopo cinque anni
che
io sottoposi il collo al giugal nodo,
non
stero molto a cominciar gli affanni
che
io sento ancora, e ti dirò in che modo.
Mentre
mi rinchiudea tutto coi vanni
l'amor
di questa mia che sì ti lodo,
una
femina nobil del paese,
quanto
accender si può, di me s'accese.
Ella
sapea d'incanti e di malie
quel
che saper ne possa alcuna maga:
rendea
la notte chiara, oscuro il die
fermava
il sol, facea la terra vaga.
Non
potea trar però le voglie mie,
che
le sanassin l'amorosa piaga
col
rimedio che dar non le potria
senza
alta ingiuria de la donna mia.
Non
perché fosse assai gentile e bella,
né
perché sapess'io che sì me amassi,
né
per gran don, né per promesse che ella
mi
fêsse molte, e di continuo instassi,
ottener
poté mai che una fiammella,
per
darla a lei, del primo amor levassi;
che
a dietro ne traea tutte mie voglie
il
conoscermi fida la mia moglie.
La
speme, la credenza, la certezza
che
de la fede di mia moglie avea,
m'avria
fatto sprezzar quanta bellezza
avesse
mai la giovane ledea,
o
quanto offerto mai senno e ricchezza
fu
al gran pastor de la montagna Idea.
Ma
le repulse mie non valean tanto,
che
potesson levarmela da canto.
Un
dì che mi trovò fuor del palagio
la
maga, che nomata era Melissa,
e
mi poté parlare a suo grande agio,
modo
trovò da por mia pace in rissa,
e
con lo spron di gelosia malvagio
cacciar
del cor la fé che v'era fissa.
Comincia
a comendar la intenzion mia,
che
io sia fedele a chi fedel mi sia.
-
Ma che ti sia fedel, tu non puoi dire,
prima
che di sua fé prova non vedi.
S'ella
non falle, e che potria fallire,
che
sia fedel, che sia pudica credi.
Ma
se mai senza te non la lasci ire,
se
mai vedere altr'uom non le concedi,
onde
hai questa baldanza, che tu dica
e
mi vogli affermar che sia pudica?
Scostati
un poco, scostati da casa;
fa
che le cittadi odano e i villaggi,
che
tu sia andato, e che ella sia rimasa;
agli
amanti dà commodo e ai messaggi.
S'a
prieghi, a doni non fia persuasa
di
fare al letto maritale oltraggi,
e
che, facendol, creda che si cele,
allora
dir potrai che sia fedele. -
Con
tal parole e simili non cessa
l'incantatrice,
fin che mi dispone
che
de la donna mia la fede espressa
veder
voglia, e provare a paragone.
-
Ora pogniamo (le soggiungo) che essa
sia
qual non posso averne opinione:
come
potrò di lei poi farmi certo
che
sia di punizion degna o di merto? -
Disse
Melissa: - Io ti darò un vasello
fatto
da ber, di virtù rara e strana;
qual
già per fare accorto il suo fratello
del
fallo di Genevra, fe' Morgana.
Chi
la moglie ha pudica, bee con quello:
ma
non vi può già ber chi l'ha puttana;
che
il vin, quando lo crede in bocca porre,
tutto
si sparge, e fuor nel petto scorre.
Prima
che parti, ne farai la prova,
e
per lo creder mio tu berai netto;
che
credo che ancor netta si ritrova
la
moglie tua: pur ne vedrai l'effetto.
Ma
s'al ritorno esperienza nuova
poi
ne farai, non t'assicuro il petto:
che
se tu non lo immolli, e netto bèi,
d'ogni
marito il più felice sei. -
L'offerta
accetto; il vaso ella mi dona:
ne
fo la prova, e mi succede a punto;
che,
com'era il disio, pudica e buona
la
cara moglie mia trovo a quel punto.
Dice
Melissa: - Un poco l'abbandona;
per
un mese o per duo stanne disgiunto:
poi
torna; poi di nuovo il vaso tolli;
prova
se bevi, o pur se il petto immolli. -
A
me duro parea pur di partire;
non
perché di sua fe' sì dubitassi,
come
che io non potea duo dì patire,
né
un'ora pur, che senza me restassi.
Disse
Melissa: - Io ti farò venire
a
conoscere il ver con altri passi.
Vo'
che muti il parlare e i vestimenti,
e
sotto viso altrui te l'appresenti. -
Signor,
qui presso una città difende
il
Po fra minacciose e fiere corna;
la
cui iuridizion di qui si stende
fin
dove il mar fugge dal lito e torna.
Cede
d'antiquità, ma ben contende
con
le vicine in esser ricca e adorna.
Le
reliquie troiane la fondaro,
che
dal flagello d'Attila camparo.
Astringe
e lenta a questa terra il morso
un
cavallier giovene, ricco e bello,
che
dietro un giorno a un suo falcone iscorso,
essendo
capitato entro il mio ostello,
vide
la donna, e sì nel primo occorso
gli
piacque, che nel cor portò il suggello;
né
cessò molte pratiche far poi,
per
inchinarla ai desideri suoi.
Ella
gli fece dar tante repulse,
che
più tentarla al fine egli non volse;
ma
la beltà di lei, che Amor vi sculse,
di
memoria però non se gli tolse.
Tanto
Melissa allosingommi e mulse,
che
a tor la forma di colui mi volse;
e
mi mutò (né so ben dirti come)
di
faccia, di parlar, d'occhi e di chiome.
Già
con mia moglie avendo simulato
d'esser
partito e gitone in Levante,
nel
giovene amator così mutato
l'andar,
la voce, l'abito e il sembiante,
me
ne ritorno, ed ho Melissa a lato,
che
s'era trasformata, e parea un fante;
e
le più ricche gemme avea con lei,
che
mai mandassin gli Indi o gli Eritrei.
Io
che l'uso sapea del mio palagio,
entro
sicuro e vien Melissa meco;
e
madonna ritrovo a sì grande agio,
che
non ha né scudier né donna seco.
I
miei prieghi le espongo, indi il malvagio
stimulo
inanzi del mal far le arreco:
i
rubini, i diamanti e gli smeraldi,
che
mosso arebbon tutti i cor più saldi.
E
le dico che poco è questo dono
verso
quel che sperar da me dovea:
de
la commodità poi le ragiono,
che,
non v'essendo il suo marito, avea:
e
le ricordo che gran tempo sono
stato
suo amante, com'ella sapea;
e
che l'amar mio lei con tanta fede
degno
era avere al fin qualche mercede.
Turbossi
nel principio ella non poco,
divenne
rossa, ed ascoltar non volle;
ma
il veder fiammeggiar poi, come fuoco,
le
belle gemme, il duro cor fe' molle:
e
con parlar rispose breve e fioco,
quel
che la vita a rimembrar mi tolle;
che
mi compiaceria, quando credesse
che
altra persona mai nol risapesse.
Fu
tal risposta un venenato telo
di
che me ne sentio l'alma traffissa:
per
l'ossa andommi e per le vene un gelo;
ne
le fauci restò la voce fissa.
Levando
allora del suo incanto il velo,
ne
la mia forma mi tornò Melissa.
Pensa
di che color dovesse farsi,
che
in tanto error da me vide trovarsi.
Divenimmo
ambi di color di morte,
muti
ambi, ambi restiàn con gli occhi bassi.
Potei
la lingua a pena aver sì forte,
e
tanta voce a pena, che io gridassi:
-
Me tradiresti dunque tu, consorte,
quando
tu avessi chi il mio onor comprassi ? -
Altra
risposta darmi ella non puote,
che
di rigar di lacrime le gote.
Ben
la vergogna è assai, ma più lo sdegno
che
ella ha, da me veder farsi quella onta;
e
multiplica sì senza ritegno,
che
in ira al fine e in crudele odio monta.
Da
me fuggirsi tosto fa disegno;
e
ne l'ora che il Sol del carro smonta,
al
fiume corre, e in una sua barchetta
si
fa calar tutta la notte in fretta:
e
la matina s'appresenta avante
al
cavallier che l'avea un tempo amata,
sotto
il cui viso, sotto il cui sembiante
fu
contra l'onor mio da me tentata.
A
lui che n'era stato ed era amante,
creder
si può che fu la giunta grata.
Quindi
ella mi fe' dir che io non sperassi
che
mai più fosse mia, né più m'amassi.
Ah
lasso! da quel dì con lui dimora
in
gran piacere, e di me prende giuoco;
ed
io del mal che procacciammi allora,
ancor
languisco, e non ritrovo loco.
Cresce
il mal sempre, e giusto è che io ne muora;
e
resta omai da consumarci poco.
Ben
credo che il primo anno sarei morto,
se
non mi dava aiuto un sol conforto.
Il
conforto che io prendo, è che di quanti
per
dieci anni mai fur sotto al mio tetto
(che
a tutti questo vaso ho messo inanti),
non
ne trovo un che non s'immolli il petto.
Aver
nel caso mio compagni tanti
mi
dà fra tanto mal qualche diletto.
Tu
tra infiniti sol sei stato saggio,
che
far negasti il periglioso saggio.
Il
mio voler cercare oltre alla meta
che
de la donna sua cercar si deve,
fa
che mai più trovare ora quieta
non
può la vita mia, sia lunga o breve.
Di
ciò Melissa fu a principio lieta:
ma
cessò tosto la sua gioia lieve;
che
essendo causa del mio mal stata ella,
io
l'odiai sì, che non potea vedella.
Ella
d'esser odiata impaziente
da
me che dicea amar più che sua vita,
ove
donna restarne immantinente
creduto
avea, che l'altra ne fosse ita;
per
non aver sua doglia sì presente,
non
tardò molto a far di qui partita;
e
in modo abbandonò questo paese,
che
dopo mai per me non se n'intese. -
Così
narrava il mesto cavalliero:
e
quando fine alla sua istoria pose,
Rinaldo
alquanto ste' sopra pensiero,
da
pietà vinto, e poi così rispose:
-
Mal consiglio di diè Melissa in vero,
che
d'attizzar le vespe ti propose;
e
tu fusti a cercar poco avveduto
quel
che tu avresti non trovar voluto.
Se
d'avarizia la tua donna vinta
a
voler fede romperti fu indutta,
non
t'ammirar; né prima ella né quinta
fu
de le donne prese in sì gran lutta;
e
mente via più salda ancora è spinta
per
minor prezzo a far cosa più brutta.
Quanti
uomini odi tu, che già per oro
han
traditi padroni e amici loro?
Non
dovevi assalir con sì fiere armi,
se
bramavi veder farle difesa.
Non
sai tu, contra l'oro, che né i marmi
né
il durissimo acciar sta alla contesa?
Che
più fallasti tu a tentarla parmi,
di
lei che così tosto restò presa.
Se
te altretanto avesse ella tentato,
non
so se tu più saldo fossi stato. -
Qui
Rinaldo fe' fine, e da la mensa
levossi
a un tempo, e domandò dormire;
che
riposare un poco, e poi si pensa
inanzi
al dì d'un'ora o due partire.
Ha
poco tempo, e il poco c'ha, dispensa
con
gran misura, e invan nol lascia gire.
Il
signor di là dentro, a suo piacere,
disse,
che si potea porre a giacere;
che
apparecchiata era la stanza e il letto:
ma
che se volea far per suo consiglio,
tutta
notte dormir potria a diletto,
e
dormendo avanzarsi qualche miglio.
-
Acconciar ti farò (disse) un legnetto,
con
che volando, e senz'alcun periglio
tutta
notte dormendo vo' che vada,
e
una giornata avanzi de la strada. -
La
proferta a Rinaldo accettar piacque,
e
molto ringraziò l'oste cortese:
poi
senza indugio là, dove ne l'acque
da'
naviganti era aspettato, scese.
Quivi
a grande agio riposato giacque,
mentre
il corso del fiume il legno prese,
che
da sei remi spinto, lieve e snello
pel
fiume andò, come per l'aria augello.
Così
tosto come ebbe il capo chino,
il
cavallier di Francia adormentosse;
imposto
avendo già, come vicino
giungea
a Ferrara, che svegliato fosse.
Restò
Melara nel lito mancino;
nel
lito destro Sermide restosse:
Figarolo
e Stellata il legno passa,
ove
le corna il Po iracondo abbassa.
De
le due corna il nocchier prese il destro,
e
lasciò andar verso Vinegia il manco;
passò
il Bondeno: e già il color cilestro
si
vedea in oriente venir manco,
che
votando di fior tutto il canestro,
l'Aurora
vi facea vermiglio e bianco;
quando,
lontan scoprendo di Tealdo
ambe
le rocche, il capo alzò Rinaldo.
-
O città bene aventurosa (disse),
di
cui già Malagigi, il mio cugino,
contemplando
le stelle erranti e fisse,
e
costringendo alcun spirto indovino,
nei
secoli futuri mi predisse
(già
che io facea con lui questo camino)
che
ancor la gloria tua salirà tanto,
che
avrai di tutta Italia il pregio e il vanto. -
Così
dicendo, e pur tuttavia in fretta
su
quel battel che parea aver le penne,
scorrendo
il re de' fiumi, all'isoletta
che
alla cittade è più propinqua, venne:
e
ben che fosse allora erma e negletta,
pur
s'allegrò di rivederla, e fenne
non
poca festa; che sapea quanto ella,
volgendo
gli anni, saria ornata e bella.
Altra
fiata che fe' questa via,
udì
da Malagigi, il qual seco era,
che
settecento volte che si sia
girata
col monton la quarta sfera,
questa
la più ioconda isola fia
di
quante cinga mar, stagno o riviera;
sì
che, veduta lei, non sarà che oda
dar
più alla patria di Nausicaa loda.
Udì
che di bei tetti posta inante
sarebbe
a quella sì a Tiberio cara;
che
cederian l'Esperide alle piante
che
avria il bel loco, d'ogni sorte rara;
che
tante spezie d'animali, quante
vi
fien, né in mandra Circe ebbe né in hara;
che
v'avria con le Grazie e con Cupido
Venere
stanza, e non più in Cipro o in Gnido:
e
che sarebbe tal per studio e cura
di
chi al sapere ed al potere unita
la
voglia avendo, d'argini e di mura
avria
sì ancor la sua città munita,
che
contra tutto il mondo star sicura
potria,
senza chiamar di fuori aita:
e
che d'Ercol figliuol, d'Ercol sarebbe
padre
il signor che questo e quel far debbe.
Così
venìa Rinaldo ricordando
quel
che già il suo cugin detto gli avea,
de
le future cose divinando,
che
spesso conferir seco solea.
E
tuttavia l'umil città mirando:
-
Come esser può che ancor (seco dicea)
debban
così fiorir queste paludi
de
tutti i liberali e degni studi?
e
crescer abbia di sì piccol borgo
ampla
cittade e di sì gran bellezza?
e
ciò che intorno è tutto stagno e gorgo,
sien
lieti e pieni campi di ricchezza?
Città,
sin ora a riverire assorgo
l'amor,
la cortesia, la gentilezza
de'
tuoi signori, e gli onorati pregi
dei
cavallier, dei cittadini egregi.
L'ineffabil
bontà del Redentore,
de'
tuoi principi il senno e la iustizia,
sempre
con pace, sempre con amore
ti
tenga in abondanza ed in letizia;
e
ti difenda contra ogni furore
de'
tuoi nimici, e scuopra lor malizia:
del
tuo contento ogni vicino arrabbi,
più
tosto che tu invidia ad alcuno abbi. -
Mentre
Rinaldo così parla, fende
con
tanta fretta il suttil legno l'onde,
che
con maggiore a logoro non scende
falcon
che al grido del padron risponde.
Del
destro corno il destro ramo prende
quindi
il nocchiero, e mura e tetti asconde:
San
Georgio a dietro, a dietro s'allontana
la
torre e de la Fossa e di Gaibana.
Rinaldo,
come accade che un pensiero
un
altro dietro, e quello un altro mena,
si
venne a ricordar del cavalliero
nel
cui palagio fu la sera a cena;
che
per questa cittade, a dire il vero,
avea
giusta cagion di stare in pena:
e
ricordossi del vaso da bere,
che
mostra altrui l'error de la mogliere;
e
ricordossi insieme de la prova
che
d'aver fatta il cavallier narrolli;
che
di quanti avea esperti, uomo non trova
che
bea nel vaso, e il petto non s'immolli.
Or
si pente, or tra sé dice: - È mi giova
che
a tanto paragon venir non volli.
Riuscendo,
accertava il creder mio;
non
riuscendo, a che partito era io?
Gli
è questo creder mio, come io l'avessi
ben
certo, e poco accrescer lo potrei:
sì
che, s'al paragon mi succedessi,
poco
il meglio saria che io ne trarrei;
ma
non già poco il mal, quando vedessi
quel
di Clarice mia, che io non vorrei.
Metter
saria mille contra uno a giuoco;
che
perder si può molto, e acquistar poco. -
Stando
in questo pensoso il cavalliero
di
Chiaramonte, e non alzando il viso,
con
molta attenzion fu da un nocchiero
che
gli era incontra, riguardato fiso:
e
perché di veder tutto il pensiero
che
l'occupava tanto, gli fu aviso,
come
uom che ben parlava ed avea ardire,
a
seco ragionar lo fece uscire.
La
somma fu del lor ragionamento,
che
colui malaccorto era ben stato,
che
ne la moglie sua l'esperimento
maggior
che può far donna, avea tentato;
che
quella che da l'oro e da l'argento
difende
il cor di pudicizia armato,
tra
mille spade via più facilmente
difenderallo,
e in mezzo al fuoco ardente.
Il
nocchler suggiungea: - Ben gli dicesti,
che
non dovea offerirle sì gran doni;
che
contrastare a questi assalti e a questi
colpi
non sono tutti i petti buoni.
Non
so se d'una giovane intendesti
(che
esser pò che tra voi se ne ragioni),
che
nel medesmo error vide il consorte,
di
che esso avea lei condannata a morte.
Dovea
in memoria avere il signor mio,
che
l'oro e il premio ogni durezza inchina;
ma,
quando bisognò, l'ebbe in oblio,
ed
ei si procacciò la sua ruina.
Così
sapea lo esempio egli, com'io,
che
fu in questa città di qui vicina,
sua
patria e mia, che il lago e la palude
del
rifrenato Menzo intorno chiude:
d'Adonio
voglio dir, che il ricco dono
fe'
alla moglie del giudice, d'un cane. -
-
Di questo (disse il paladino) il suono
non
passa l'Alpe, e qui tra voi rimane;
perché
né in Francia, né dove ito sono,
parlar
n'udio ne le contrade estrane:
sì
che dì pur, se non t'incresce il dire;
che
volentieri io mi t'acconcio a udire. -
Il
nocchier cominciò: - Già fu di questa
terra
un Anselmo di famiglia degna,
che
la sua gioventù con lunga vesta
spese
in saper ciò che Ulpiano insegna
e
di nobil progenie, bella e onesta
moglie
cercò, che al grado suo convegna;
e
d'una terra quindi non lontana
n'ebbe
una di bellezza sopraumana;
e
di bei modi e tanto graziosi,
che
parea tutto amore e leggiadria;
e
di molto più forse, che ai riposi,
che
allo stato di lui non convenia.
Tosto
che l'ebbe, quanti mai gelosi
al
mondo fur, passò di gelosia:
non
già che altra cagion gli ne desse ella,
che
d'esser troppo accorta e troppo bella.
Ne
la città medesma un cavalliero
era
d'antiqua e d'onorata gente,
che
discendea da quel lignaggio altiero
che
uscì d'una mascella di serpente,
onde
già Manto, e chi con essa fero
la
patria mia, disceser similmente.
Il
cavallier, che Adonio nominosse,
di
questa bella donna inamorosse.
E
per venire a fin di questo amore,
a
spender cominciò senza ritegno
in
vestire, in conviti, in farsi onore,
quanto
può farsi un cavallier più degno.
Il
tesor di Tiberio imperatore
non
saria stato a tante spese al segno.
Io
credo ben che non passar duo verni,
che
egli uscì fuor di tutti i ben paterni.
La
casa che era dianzi frequentata
matina
e sera tanto dagli amici,
sola
restò, tosto che fu privata
di
starne, di fagian, di coturnici.
Egli
che capo fu de la brigata,
rimase
dietro, e quasi fra mendici.
Pensò,
poi che in miseria era venuto,
d'andare
ove non fosse conosciuto.
Con
questa intenzione una mattina,
senza
far motto altrui, la patria lascia;
e
con sospiri e lacrime camina
lungo
lo stagno che le mura fascia.
La
donna che del cor gli era regina,
già
non oblia per la seconda ambascia.
Ecco
un'alta aventura che lo viene
di
sommo male a porre in sommo bene.
Vede
un villan che con un gran bastone
intorno
alcuni sterpi s'affatica.
Quivi
Adonio si ferma, e la cagione
di
tanto travagliar vuol che gli dica.
Disse
il villan, che dentro a quel macchione
veduto
avea una serpe molto antica,
di
che più lunga e grossa a' giorni suoi
non
vide, né credea mai veder poi;
e
che non si voleva indi partire,
che
non l'avesse ritrovata e morta.
Come
Adonio lo sente così dire,
con
poca pazienza lo sopporta.
Sempre
solea le serpi favorire;
che
per insegna il sangue suo le porta
in
memoria che uscì sua prima gente
de'
denti seminati di serpente.
e
disse e fece col villano in guisa
che,
suo mal grado, abbandonò l'impresa;
sì
che da lui non fu la serpe uccisa,
né
più cercata, né altrimenti offesa.
Adonio
ne va poi dove s'avisa
che
sua condizion sia meno intesa;
e
dura con disagio e con affanno
fuor
de la patria appresso al settimo anno.
Né
mai per lontananza, né strettezza
del
viver, che i pensier non lascia ir vaghi,
cessa
Amor che sì gli ha la mano avezza,
che
ognor non li arda il core, ognor impiaghi.
È
forza al fin che torni alla bellezza
che
son di riveder sì gli occhi vaghi.
Barbuto,
afflitto, e assai male in arnese,
là
donde era venuto, il camin prese.
In
questo tempo alla mia patria accade
mandare
uno oratore al Padre santo,
che
resti appresso alla sua Santitade
per
alcun tempo e non fu detto quanto.
Gettan
la sorte, e nel giudice cade.
Oh
giorno a lui cagion sempre di pianto!
Fe'
scuse, pregò assai, diede e promesse
per
non partirsi; e al fin sforzato cesse.
Non
gli parea crudele e duro manco
a
dover sopportar tanto dolore,
che
se veduto aprir s'avesse il fianco,
e
vedutosi trar con mano il core.
Di
geloso timor pallido e bianco
per
la sua donna, mentre staria fuore,
lei
con quei modi che giovar si crede,
supplice
priega a non mancar di fede:
dicendole
che a donna né bellezza,
né
nobiltà, né gran fortuna basta,
sì
che di vero onor monti in altezza,
se
per nome e per opre non è casta;
e
che quella virtù via più si prezza,
che
di sopra riman quando contrasta,
e
che or gran campo avria per questa assenza,
di
far di pudicizia esperienza.
Con
tai le cerca ed altre assai parole
persuader
che ella gli sia fedele.
De
la dura partita ella si duole,
con
che lacrime, oh Dio! con che querele!
E
giura che più tosto oscuro il sole
vedrassi,
che gli sia mai sì crudele,
che
rompa fede; e che vorria morire
più
tosto che aver mai questo desire.
Ancor
che a sue promesse e a suoi scongiuri
desse
credenza e si achetasse alquanto,
non
resta che più intender non procuri,
e
che materia non procacci al pianto.
Avea
uno amico suo, che dei futuri
casi
predir teneva il pregio e il vanto;
e
d'ogni sortilegio e magica arte,
o
il tutto, o ne sapea la maggior parte.
Diegli,
pregando di vedere assunto,
se
la sua moglie, nominata Argia,
nel
tempo che da lei starà disgiunto,
fedele
e casta, o pel contario fia.
Colui
da prieghi vinto, tolle il punto,
il
ciel figura come par che stia.
Anselmo
il lascia in opra, e l'altro giorno
a
lui per la risposta fa ritorno.
L'astrologo
tenea le labra chiuse,
per
non dire al dottor cosa che doglia,
e
cerca di tacer con molte scuse.
Quando
pur del suo mal vede c'ha voglia,
che
gli romperà fede gli concluse,
tosto
che egli abbia il piè fuor de la soglia,
non
da bellezza né da prieghi indotta,
ma
da guadagno e da prezzo corrotta.
Giunte
al timore, al dubbio che avea prima,
queste
minacce dei superni moti,
come
gli stesse il cor, tu stesso stima,
se
d'amor gli accidenti ti son noti.
E
sopra ogni mestizia che l'opprima,
e
che l'afflitta mente aggiri e arruoti,
è
il saper come, vinta d'avarizia,
per
prezzo abbia a lasciar sua pudicizia.
Or
per far quanti potea far ripari
da
non lasciarla in quel error cadere
(perché
il bisogno a dispogliar gli altari
tra'
l'uom talvolta, che sel trova avere),
ciò
che tenea di gioie e di danari
(che
n'avea somma) pose in suo potere:
rendite
e frutti d'ogni possessione,
e
ciò c'ha al mondo, in man tutto le pone.
-
Con facultade (disse) che ne' tuoi
non
sol bisogni te li goda e spenda,
ma
che ne possi far ciò che ne vuoi,
li
consumi, li getti, e doni e venda;
altro
conto saper non ne vo' poi,
pur
che, qual ti lascio or, tu mi ti renda:
pur
che, come or tu sei, mi sie rimasa,
fa
che io non trovi né poder né casa. -
La
prega che non faccia, se non sente
che
egli ci sia, ne la città dimora;
ma
ne la villa, ove più agiatamente
viver
potrà d'ogni commercio fuora.
Questo
dicea, però che l'umil gente
che
nel gregge o ne' campi gli lavora,
non
gli era aviso che le caste voglie
contaminar
potessero alla moglie.
Tenendo
tuttavia le belle braccia
al
timido marito al collo Argia,
e
di lacrime empiendogli la faccia,
che
un fiumicel dagli occhi le n'uscia;
s'attrista
che colpevole la faccia,
come
di fé mancata già gli sia;
che
questa sua sospizion procede,
perché
non ha ne la sua fede fede.
Troppo
sarà, s'io voglio ir rimembrando
ciò
che al partir da tramendua fu detto.
-
Il mio onor (dice al fin) ti raccomando: -
piglia
licenza, e partesi in effetto;
e
ben si sente veramente, quando
volge
il cavallo, uscire il cor del petto.
Ella
lo segue, quanto seguir puote,
con
gli occhi che le rigano le gote.
Adonio
intanto misero e tapino,
e
(come io dissi) pallido e barbuto,
verso
la patria avea preso il camino,
sperando
di non esser conosciuto.
Sul
lago giunse alla città vicino,
là
dove avea dato alla biscia aiuto,
che
era assediata entro la macchia forte
da
quel villan che por la volea a morte.
Quivi
arrivando in su l'aprir del giorno,
che
ancor splendea nel cielo alcuna stella,
si
vede in peregrino abito adorno
venir
pel lito incontra una donzella
in
signoril sembiante, ancor che intorno
non
l'apparisse né scudier né ancella.
Costei
con grata vista lo raccolse,
e
poi la lingua a tai parole sciolse:
-
Se ben non mi conosci, o cavalliero,
son
tua parente, e grande obligo t'aggio:
parente
son, perché da Cadmo fiero
scende
d'amenduo noi l'alto lignaggio.
Io
son la fata Manto, che il primiero
sasso
messi a fondar questo villaggio;
e
dal mio nome (come ben forse hai
contare
udito) Mantua la nomai.
De
le fate io son una; ed il fatale
stato
per farti anco saper che importe,
nascemo
a un punto, che d'ogn'altro male
siamo
capaci, fuor che de la morte.
Ma
giunto è con questo essere immortale
condizion
non men del morir forte;
che
ogni settimo giorno ogniuna è certa
che
la sua forma in biscia si converta.
Il
vedersi coprir del brutto scoglio,
e
gir serpendo, è cosa tanto schiva,
che
non è pare al mondo altro cordoglio;
tal
che bestemmia ogniuna d'esser viva.
E
l'obbligo che io t'ho (perché ti voglio
insiememente
dire onde deriva),
tu
saprai che quel dì, per esser tali,
siamo
a periglio d'infiniti mali.
Non
è sì odiato altro animale in terra,
come
la serpe; e noi, che n'abbiàn faccia,
patimo
da ciascuno oltraggio e guerra;
che
chi ne vede, ne percuote e caccia.
Se
non troviamo ove tornar sotterra,
sentiamo
quanto pesa altrui le braccia.
Meglio
saria poter morir, che rotte
e
storpiate restar sotto le botte.
L'obligo
che io t'ho grande, è che una volta
che
tu passavi per quest'ombre amene,
per
te di mano fui d'un villan tolta,
che
gran travagli m'avea dati e pene.
Se
tu non eri, io non andava asciolta,
che
io non portassi rotto e capo e schene,
e
che sciancata non restassi e storta,
se
ben non vi potea rimaner morta:
perché
quei giorni che per terra il petto
traemo
avvolte in serpentile scorza,
il
ciel che in altri tempi è a noi suggetto,
niega
ubbidirci, e prive siàn di forza.
In
altri tempi ad un sol nostro detto
il
sol si ferma e la sua luce ammorza;
l'immobil
terra gira e muta loco;
s'infiamma
il ghiaccio, e si congela il fuoco.
Ora
io son qui per renderti mercede
del
beneficio che mi festi allora.
Nessuna
grazia indarno or mi si chiede
che
io son del manto viperino fuora.
Tre
volte più che di tuo padre erede
non
rimanesti, io ti fo ricco or ora:
né
vo' che mai più povero diventi,
ma
quanto spendi più, che più augumenti.
E
perché so che ne l'antiquo nodo,
in
che già Amor t'avinse, anco ti trovi,
voglioti
dimostrar l'ordine e il modo
che
a disbramar tuoi desideri giovi.
Io
voglio, or che lontano il marito odo,
che
senza indugio il mio consiglio provi;
vadi
a trovar la donna che dimora
fuori
alla villa, e sarò teco io ancora. -
E
seguitò narrandogli in che guisa
alla
sua donna vuol che s'appresenti;
dico
come vestir, come precisa-
mente
abbia a dir, come la prieghi e tenti;
e
che forma essa vuol pigliar, devisa;
che,
fuor che il giorno che erra tra serpenti,
in
tutti gli altri si può far, secondo
che
più le pare, in quante forme ha il mondo.
Messe
in abito lui di peregrino
il
qual per Dio di porta in porta accatti:
mutosse
ella in un cane, il più piccino
di
quanti mai n'abbia Natura fatti,
di
pel lungo, più bianco che armellino,
di
grato aspetto e di mirabili atti.
Così
trasfigurato, entraro in via
verso
la casa de la bella Argia:
e
dei lavoratori alle capanne
prima
che altrove, il giovene fermosse;
e
cominciò a sonar certe sue canne,
al
cui suono danzando il can rizzosse.
La
voce e il grido alla padrona vanne,
e
fece sì, che per veder si mosse.
Fece
il romeo chiamar ne la sua corte,
sì
come del dottor traea la sorte.
E
quivi Adonio a comandare al cane
incominciò,
ed il cane a ubbidir lui,
e
far danze nostral, farne d'estrane,
con
passi e continenze e modi sui,
e
finalmente con maniere umane
far
ciò che comandar sapea colui,
con
tanta attenzion, che chi lo mira,
non
batte gli occhi, e a pena il fiato spira.
Gran
maraviglia, ed indi gran desire
venne
alla donna di quel can gentile;
e
ne fa per la balia proferire
al
cauto peregrin prezzo non vile,
-
S'avessi più tesor, che mai sitire
potesse
cupidigia feminile
(colui
rispose), non saria mercede
di
comprar degna del mio cane un piede. -
E
per mostrar che veri i detti foro,
con
la balia in un canto si ritrasse,
e
disse al cane, che una marca d'oro
a
quella donna in cortesia donasse.
Scossesi
il cane, e videsi il tesoro.
Disse
Adonio alla balia, che pigliasse,
soggiungendo:
- Ti par che prezzo sia,
per
cui sì bello e util cane io dia?
Cosa,
qual vogli sia, non gli domando,
di
che io ne torni mai con le man vote;
e
quando perle, e quando annella, e quando
leggiadra
veste e di gran prezzo scuote.
Pur
dio a madonna, che fia al suo comando;
per
oro no, che oro pagar nol puote:
ma
se vuol che una notte seco io giaccia,
abbiasi
il cane, e il suo voler ne faccia. -
Così
dice: e una gemma allora nata
le
dà, che alla padrona l'appresenti.
Pare
alla balia averne più derata,
che
di pagar dieci ducati o venti.
Torna
alla donna, e le fa l'imbasciata;
e
la conforta poi, che si contenti
d'acquistare
il bel cane; che acquistarlo
per
prezzo può, che non si perde a darlo.
La
bella Argia sta ritrosetta in prima;
parte,
che la sua fé romper non vuole,
parte,
che esser possibile non stima
tutto
ciò che ne suonan le parole.
La
balia le ricorda, e rode e lima,
che
tanto ben di rado avvenir suole;
e
fe' che l'agio un altro dì si tolse,
che
il can veder senza tanti occhi volse.
Quest'altro
comparir che Adonio fece,
fu
la ruina e del dottor la morte.
Facea
nascer le doble a diece a diece,
filze
di perle, e gemme d'ogni sorte:
sì
che il superbo cor mansuefece,
che
tanto meno a contrastar fu forte,
quanto
poi seppe che costui che inante
gli
fa partito, è il cavallier suo amante.
De
la puttana sua balia i conforti,
i
prieghi de l'amante e la presenza,
il
veder che guadagno se l'apporti,
del
misero dottor la lunga assenza,
lo
sperar che alcun mai non lo rapporti,
fero
ai casti pensier tal violenza,
che
ella accettò il bel cane, e per mercede
in
braccio e in preda al suo amator si diede.
Adonio
lungamente frutto colse
de
la sua bella donna, a cui la fata
grande
amor pose, e tanto le ne volse,
che
sempre star con lei si fu ubligata.
Per
tutti i segni il sol prima si volse,
che
al giudice licenza fosse data:
al
fin tornò, ma pien di gran sospetto
per
quel che già l'astrologo avea detto.
Fa,
giunto ne la patria, il primo volo
a
casa de l'astrologo, e gli chiede,
se
la sua donna fatto inganno e dolo,
o
pur servato gli abbia amore e fede.
Il
sito figurò colui del polo,
ed
a tutti i pianeti il luogo diede:
poi
rispose che quel che avea temuto,
come
predetto fu, gli era avvenuto;
che
da doni grandissimi corrotta,
data
ad altri s'avea la donna in preda.
Questa
al dottor nel cor fu sì gran botta,
che
lancia e spiedo io vo' che ben le ceda.
Per
esserne più certo, ne va allotta
(ben
che pur troppo allo indivino creda)
ov'è
la balia, e la tira da parte,
e
per saperne il certo usa grande arte.
Con
larghi giri circondando prova
or
qua or là di ritrovar la traccia;
e
da principio nulla ne ritrova,
con
ogni diligenza che ne faccia;
che
ella, che non avea tal cosa nuova,
stava
negando con immobil faccia;
e
come bene istrutta, più d'un mese
tra
il dubbio e il certo il suo patron sospese.
Quanto
dovea parergli il dubio buono,
se
pensava il dolor che avria del certo!
Poi
che indarno provò con priego e dono,
che
da la balia il ver gli fosse aperto,
né
toccò tasto ove sentisse suono
altro
che falso; come uom ben esperto,
aspettò
che discordia vi venisse;
che
ove femine son, son liti e risse.
E
come egli aspettò, così gli avvenne;
che
al primo sdegno che tra loro nacque,
senza
suo ricercar, la balia venne
il
tutto a ricontargli, e nulla tacque.
Lungo
a dir fôra ciò che il cor sostenne,
come
la mente costernata giacque
del
giudice meschin, che fu sì oppresso,
che
stette per uscir fuor di se stesso:
e
si dispose al fin, da l'ira vinto,
morir,
ma prima uccider la sua moglie;
e
che d'amendue i sangui un ferro tinto
levassi
lei di biasmo, e sé di doglie.
Ne
la città se ne ritorna, spinto
da
così furibonde e cieche voglie;
indi
alla villa un suo fidato manda,
e
quanto esequir debba, gli commanda.
Commanda
al servo, che alla moglie Argia
torni
alla villa, e in nome suo le dica
che
egli è da febbre oppresso così ria,
che
di trovarlo vivo avrà fatica;
sì
che, senza aspettar più compagnia,
venir
debba con lui, s'ella gli è amica
(verrà:
sa ben che non farà parola);
e
che tra via le seghi egli la gola.
A
chiamar la patrona andò il famiglio,
per
far di lei quanto il signor commesse.
Dato
prima al suo cane ella di piglio,
montò
a cavallo ed a camin si messe.
L'avea
il cane avisata del periglio,
ma
che d'andar per questo ella non stesse;
che
avea ben disegnato e proveduto
onde
nel gran bisogno avrebbe aiuto.
Levato
il servo del camino s'era;
e
per diverse e solitarie strade
a
studio capitò su una riviera
che
d'Apennino in questo fiume cade;
ov'era
bosco e selva oscura e nera,
lungi
da villa e lungi da cittade.
Gli
parve loco tacito e disposto
per
l'effetto crudel che gli fu imposto.
Trasse
la spada e alla padrona disse
quanto
commesso il suo signor gli avea;
sì
che chiedesse, prima che morisse,
perdono
a Dio d'ogni colpa rea.
Non
ti so dir com'ella si coprisse:
quando
il servo ferirla si credea,
più
non la vide, e molto d'ogn'intorno
l'andò
cercando, e al fin restò con scorno.
Torna
al patron con gran vergogna ed onta,
tutto
attonito in faccia e sbigottito;
e
l'insolito caso gli racconta,
che
egli non sa come si sia seguito.
Che
a' suoi servigi abbia la moglie pronta
la
fata Manto, non sapea il marito;
che
la balia onde il resto avea saputo,
questo,
non so perché, gli avea taciuto.
Non
sa che far; che né l'oltraggio grave
vendicato
ha, né le sue pene ha sceme.
Quel
che era una festuca, ora è una trave,
tanto
gli pesa, tanto al cor gli preme.
L'error
che sapean pochi, or sì aperto have,
che
senza indugio si palesi, teme.
Potea
il primo celarsi; ma il secondo,
publico
in breve fia per tutto il mondo.
Conosce
ben che, poi che il cor fellone
avea
scoperto il misero contra essa,
che
ella, per non tornargli in suggezione,
d'alcun
potente in man si sarà messa;
il
qual se la terrà con irrisione
ed
ignominia del marito espressa;
e
forse anco verrà d'alcuno in mano,
che
ne fia insieme adultero e ruffiano.
Sì
che, per rimediarvi, in fretta manda
intorno
messi e lettere a cercarne:
che
in quel loco, che in questo ne domanda
per
Lombardia, senza città lasciarne.
Poi
va in persona, e non si lascia banda
ove
o non vada o mandivi a spiarne:
né
mai può ritrovar capo né via
di
venire a notizia, che ne sia.
Al
fin chiama quel servo a chi fu imposta
l'opra
crudel che poi non ebbe effetto,
e
fa che lo conduce ove nascosta
se
gli era Argia, sì come gli avea detto;
che
forse in qualche macchia il dì reposta,
la
notte si ripara ad alcun tetto.
Lo
guida il servo ove trovar si crede
la
folta selva, e un gran palagio vede.
Fatto
avea farsi alla sua fata intanto
la
bella Argia con subito lavoro
d'alabastri
un palagio per incanto,
dentro
e di fuor tutto fregiato d'oro.
Né
lingua dir, né cor pensar può quanto
avea
beltà di fuor, dentro tesoro.
Quel
che iersera sì ti parve bello,
del
mio signor, saria un tugurio a quello.
E
di panni di razza, e di cortine
tessute
riccamente e a varie fogge,
ornate
eran le stalle e le cantine,
non
sale pur, non pur camere e logge;
vasi
d'oro e d'argento senza fine,
gemme
cavate, azzurre e verdi e rogge,
e
formate in gran piatti e in coppe e in nappi,
e
senza fin d'oro e di seta drappi.
Il
giudice, sì come io vi dicea,
venne
a questo palagio a dar di petto,
quando
né una capanna si credea
di
ritrovar, ma solo il bosco schietto.
Per
l'alta maraviglia che n'avea,
esser
si credea uscito d'intelletto:
non
sapea se fosse ebbro o se sognassi,
o
pur se il cervel scemo a volo andassi.
Vede
inanzi alla porta uno Etiopo
con
naso e labri grossi; e ben gli è avviso
che
non vedesse mai, prima né dopo,
un
così sozzo e dispiacevol viso;
poi
di fattezze, qual si pinge Esopo,
d'attristar,
se vi fosse, il paradiso;
bisunto
e sporco, e d'abito mendico:
né
a mezzo ancor di sua bruttezza io dico.
Anselmo
che non vede altro da cui
possa
saper di chi la casa sia,
a
lui s'accosta, e ne domanda a lui;
ed
ei risponde: - Questa casa è mia. -
Il
giudice è ben certo che colui
lo
beffi e che gli dica la bugia:
ma
con scongiuri il negro ad affermare
che
sua è la casa, e che altri non v'ha a fare;
e
gli offerisce, se la vuol vedere,
che
dentro vada, e cerchi come voglia;
e
se v'ha cosa che gli sia in piacere
o
per sé o per gli amici, se la toglia.
Diede
il cavallo al servo suo a tenere
Anselmo,
e messe il piè dentro alla soglia;
e
per sale e per camere condutto,
da
basso e d'alto andò mirando il tutto.
La
forma, il sito, il ricco e bel lavoro
va
contemplando, e l'ornamento regio;
e
spesso dice: - Non potria quant'oro
è
sotto il sol pagare il loco egregio. -
A
questo gli risponde il brutto Moro,
e
dice: - E questo ancor trova il suo pregio:
se
non d'oro o d'argento, nondimeno
pagar
lo può quel che vi costa meno. -
E
gli fa la medesima richiesta
che
avea già Adonio alla sua moglie fatta.
De
la brutta domanda e disonesta,
persona
lo stimò bestiale e matta.
Per
tre repulse e quattro egli non resta;
e
tanti modi a persuaderlo adatta,
sempre
offerendo in merito il palagio,
che
fe' inchinarlo al suo voler malvagio.
La
moglie Argia che stava appresso ascosa,
poi
che lo vide nel suo error caduto,
saltò
fuora gridando: - Ah degna cosa
che
io veggo di dottor saggio tenuto! -
Trovato
in sì mal'opra e viziosa,
pensa
se rosso far si deve e muto.
O
terra, acciò ti si gettassi dentro,
perché
allor non t'apristi insino al centro?
La
donna in suo discarco, ed in vergogna
d'Anselmo,
il capo gli intronò di gridi,
dicendo:
- Come te punir bisogna
di
quel che far con sì vil uom ti vidi,
se
per seguir quel che natura agogna,
me,
vinta a' prieghi del mio amante, uccidi?
che
era bello e gentile; e un dono tale
mi
fe', che a quel nulla il palagio vale.
S'io
ti parvi esser degna d'una morte,
conosci
che ne sei degno di cento:
e
ben che in questo loco io sia sì forte,
che
io possa di te fare il mio talento;
pure
io non vo' pigliar di peggior sorte
altra
vendetta del tuo fallimento.
Di
par l'avere e il dar, marito, poni;
fa,
com'io a te, che tu a me ancor perdoni:
e
sia la pace e sia l'accordo fatto,
che
ogni passato error vada in oblio;
né
che in parole io possa mai né in atto
ricordarti
il tuo error, né a me tu il mio. -
Il
marito ne parve aver buon patto,
né
dimostrossi al perdonar restio.
Così
a pace e concordia ritornaro,
e
sempre poi fu l'uno all'altro caro. -
Così
disse il nocchiero; e mosse a riso
Rinaldo
al fin de la sua istoria un poco;
e
diventar gli fece a un tratto il viso,
per
l'onta del dottor, come di fuoco.
Rinaldo
Argia molto lodò, che avviso
ebbe
d'alzare a quello augello un gioco
che
alla medesma rete fe' cascallo,
in
che cadde ella, ma con minor fallo.
Poi
che più in alto il sole il camin prese,
fe'
il paladino apparecchiar la mensa,
che
avea la notte il Mantuan cortese
provista
con larghissima dispensa.
Fugge
a sinistra intanto il bel paese,
ed
a man destra la palude immensa:
viene
e fuggesi Argenta e il suo girone
col
lito ove Santerno il capo pone.
Allora
la Bastia credo non v'era,
di
che non troppo si vantar Spagnuoli
d'avervi
su tenuta la bandiera;
ma
più da pianger n'hanno i Romagniuoli.
E
quindi a filo alla dritta riviera
cacciano
il legno, e fan parer che voli.
Lo
volgon poi per una fossa morta,
che
a mezzodì presso a Ravenna il porta.
Ben
che Rinaldo con pochi danari
fosse
sovente, pur n'avea sì alora,
che
cortesia ne fece a' marinari,
prima
che li lasciasse alla buon'ora.
Quindi
mutando bestie e cavallari,
Arimino
passò la sera ancora;
né
in Montefiore aspetta il matutino,
e
quasi a par col sol giunge in Urbino.
Quivi
non era Federico allora,
né
l'Issabetta, né il buon Guido v'era,
né
Francesco Maria, ne Leonora,
che
con cortese forza e non altiera
avesse
astretto a far seco dimora
sì
famoso guerrier più d'una sera;
come
fer già molti anni, ed oggi fanno
a
donne e a cavallier che di là vanno.
Poi
che quivi alla briglia alcun nol prende,
smonta
Rinaldo a Cagli alla via dritta.
Pel
monte che il Metauro o il Gauno fende,
passa
Apennino e più non l'ha a man ritta;
passa
gli Ombri e gli Etrusci, e a Roma scende;
da
Roma ad Ostia; e quindi si tragitta
per
mare alla cittade a cui commise
il
pietoso figliuol l'ossa d'Anchise.
Muta
ivi legno, e verso l'isoletta
di
Lipadusa fa ratto levarsi;
quella
che fu dai combattenti eletta,
ed
ove già stati erano a trovarsi.
Insta
Rinaldo, e gli nocchieri affretta,
che
a vela e a remi fan ciò che può farsi;
ma
i venti avversi e per lui mal gagliardi,
lo
fecer, ma di poco, arrivar tardi.
Giunse
che a punto il principe d'Anglante
fatta
avea l'utile opra e gloriosa:
avea
Gradasso ucciso ed Agramante,
ma
con dura vittoria e sanguinosa.
Morto
n'era il figliuol di Monodante;
e
di grave percossa e perigliosa
stava
Olivier languendo in su l'arena,
e
del piè guasto avea martìre e pena.
Tener
non poté il conte asciutto il viso,
quando
abbracciò Rinaldo, e che narrolli
che
gli era stato Brandimarte ucciso,
che
tanta fede e tanto amor portolli.
Né
men Rinaldo, quando sì diviso
vide
il capo all'amico, ebbe occhi molli:
poi
quindi ad abbracciar si fu condotto
Olivier
che sedea col piede rotto.
La
consolazion che seppe, tutta
diè
lor, ben che per sé tor non la possa;
che
giunto si vedea quivi alle frutta,
anzi
poi che la mensa era rimossa.
Andaro
i servi alla città distrutta,
e
di Gradasso e d'Agramante l'ossa
ne
le ruine ascoser di Biserta,
e
quivi divulgar la cosa certa.
De
la vittoria che avea avuto Orlando,
s'allegrò
Astolfo e Sansonetto molto;
non
sì però, come avrian fatto, quando
non
fosse a Brandimarte il lume tolto.
Sentir
lui morto il gaudio va scemando
sì,
che non ponno asserenare il volto.
Or
chi sarà di lor, che annunzio voglia
a
Fiordiligi dar di sì gran doglia?
La
notte che precesse a questo giorno,
Fiordiligi
sognò che quella vesta
che,
per mandarne Brandimarte adorno,
avea
trapunta e di sua man contesta,
vedea
per mezzo sparsa e d'ogn'intorno
di
gocce rosse, a guisa di tempesta:
parea
che di sua man così l'avesse
riccamata
ella, e poi se ne dogliessse.
E
parea dir: - Pur hammi il signor mio
commesso
che io la faccia tutta nera:
or
perché dunque riccamata holl'io
contra
sua voglia in sì strana maniera? -
Di
questo sogno fe' giudicio rio;
poi
la novella giunse quella sera:
ma
tanto Astolfo ascosa le la tenne,
che
a lei con Sansonetto se ne venne.
Tosto
che entraro, e che ella loro il viso
vide
di gaudio in tal vittoria privo;
senz'altro
annunzio sa, senz'altro avviso,
che
Brandimarte suo non è più vivo.
Di
ciò le resta il cor così conquiso,
e
così gli occhi hanno la luce a schivo,
e
così ogn'altro senso se le serra,
che
come morta andar si lascia in terra.
Al
tornar de lo spirto, ella alle chiome
caccia
le mani; ed alle belle gote,
indarno
ripetendo il caro nome,
fa
danno ed onta più che far lor puote:
straccia
i capelli e sparge; e grida, come
donna
talor che il demon rio percuote,
o
come s'ode che già a suon di corno
Menade
corse, ed aggirossi intorno.
Or
questo or quel pregando va, che porto
le
sia un coltel, sì che nel cor si fera:
or
correr vuol là dove il legno in porto
dei
duo signor defunti arrivato era,
e
de l'uno e de l'altro così morto
far
crudo strazio e vendetta acra e fiera:
or
vuol passare il mare, e cercar tanto,
che
possa al suo signor morire a canto.
-
Deh perché, Brandimarte, ti lasciai
senza
me andare a tanta impresa? (disse).
Vedendoti
partir, non fu più mai
che
Fiordiligi tua non ti seguisse.
T'avrei
giovato, s'io veniva, assai,
che
avrei tenute in te le luci fisse;
e
se Gradasso avessi dietro avuto,
con
un sol grido io t'avrei dato aiuto;
o
forse esser potrei stata sì presta,
che
entrando in mezzo, il colpo t'avrei tolto:
fatto
scudo t'avrei con la mia testa;
che
morendo io, non era il danno molto.
Ogni
modo io morrò; né fia di questa
dolente
morte alcun profitto colto,
che,
quando io fossi morta in tua difesa,
non
potrei meglio aver la vita spesa.
Se
pur ad aiutarti i duri fati
avessi
avuti e tutto il cielo avverso,
gli
ultimi baci almeno io t'avrei dati,
almen
t'avrei di pianto il viso asperso;
e
prima che con gli angeli beati
fosse
lo spirto al suo Fattor converso,
detto
gli avrei: Va in pace, e là m'aspetta;
che
ovunque sei, son per seguirti in fretta.
È
questo, Brandimarte, è questo il regno
di
che pigliar lo scettro ora dovevi?
Or
così teco a Dammogire io vegno?
così
nel real seggio mi ricevi?
Ah
Fortuna crudel, quanto disegno
mi
rompi! oh che speranze oggi mi levi!
Deh,
che cesso io, poi c'ho perduto questo
tanto
mio ben, che io non perdo anco il resto? -
Questo
ed altro dicendo, in lei risorse
il
furor con tanto impeto e la rabbia,
che
a stracciare il bel crin di nuovo corse,
come
il bel crin tutta la colpa n'abbia.
Le
mani insieme si percosse e morse,
nel
sen si cacciò l'ugne e ne le labbia.
Ma
torno a Orlando ed a' compagni, intanto
che
ella si strugge e si consuma in pianto.
Orlando,
col cognato che non poco
bisogno
avea di medico e di cura,
ed
altretanto, perché in degno loco
avesse
Brandimarte sepultura,
verso
il monte ne va che fa col fuoco
chiara
la notte, e il dì di fumo oscura.
Hanno
propizio il vento, e a destra mano
non
e quel lito lor molto lontano.
Con
fresco vento che in favor veniva,
sciolser
la fune al declinar del giorno,
mostrando
lor la taciturna diva
la
dritta via col luminoso corno;
e
sorser l'altro dì sopra la riva
che
amena giace ad Agringento intorno.
Quivi
Orlando ordinò per l'altra sera
ciò
che a funeral pompa bisogno era.
Poi
che l'ordine suo vide essequito,
essendo
omai del sole il lume spento,
fra
molta nobiltà che era allo 'nvito
de'
luoghi intorno corsa in Agringento,
d'accesi
torchi tutto ardendo il lito,
e
di grida sonando e di lamento,
tornò
Orlando ove il corpo fu lasciato,
che
vivo e morto avea con fede amato.
Quivi
Bardin di soma d'anni grave
stava
piangendo alla bara funèbre,
che
pel gran pianto che avea fatto in nave,
dovrìa
gli occhi aver pianti e le palpèbre.
Chiamando
il ciel crudel, le stelle prave,
ruggia
come un leon che abbia la febre.
Le
mani erano intanto empie e ribelle
ai
crin canuti e alla rugosa pelle.
Levossi,
al ritornar del paladino,
maggiore
il grido, e raddoppiossi il pianto.
Orlando,
fatto al corpo più vicino,
senza
parlar stette a mirarlo alquanto,
pallido
come colto al matutino
è
da sera il ligustro o il molle acanto;
e
dopo un gran sospir, tenendo fisse
sempre
le luci in lui, così gli disse:
-
O forte, o caro, o mio fedel compagno,
che
qui sei morto, e so che vivi in cielo,
e
d'una vita v'hai fatto guadagno,
che
non ti può mai tor caldo né gielo,
perdonami,
se ben vedi che io piagno;
perché
d'esser rimaso mi querelo,
e
che a tanta letizia io non son teco;
non
già perché qua giù tu non sia meco.
Solo
senza te son; né cosa in terra
senza
te posso aver più, che mi piaccia.
Se
teco era in tempesta e teco in guerra,
perché
non anco in ozio ed in bonaccia?
Ben
grande e il mio fallir, poi che mi serra
di
questo fango uscir per la tua traccia.
Se
negli affanni teco fui, perche ora
non
sono a parte del guadagno ancora?
Tu
guadagnato, e perdita ho fatto io:
sol
tu all'acquisto, io non son solo al danno.
Partecipe
fatto e del dolor mio
l'Italia,
il regno franco e l'alemanno.
Oh
quanto, quanto il mio signore e zio,
oh
quanto i paladin da doler s'hanno!
quanto
l'Imperio e la cristiana Chiesa,
che
perduto han la sua maggior difesa!
Oh
quanto si torrà per la tua morte
di
terrore a' nimici e di spavento!
Oh
quanto Pagania sarà più forte!
quanto
animo n'avrà, quanto ardimento!
Oh
come star ne dee la tua consorte!
Sin
qui ne veggo il pianto, e il grido sento.
So
che m'accusa, e forse odio mi porta,
che
per me teco ogni sua speme è morta.
Ma,
Fiordiligi, almen resti un conforto
a
noi che siàn di Brandimarte privi;
che
invidiar lui con tanta gloria morto
denno
tutti i guerrier che oggi son vivi.
Quei
Deci, e quel nel roman foro absorto,
quel
sì lodato Codro dagli Argivi,
non
con più altrui profitto e più suo onore
a
morte si donar, del tuo signore. -
Queste
parole ed altre dicea Orlando.
Intanto
i bigi, i bianchi, i neri frati,
e
tutti gli altri chierci, seguitando
andavan
con lungo ordine accoppiati,
per
l'alma del defunto Dio pregando,
che
gli donasse requie tra' beati.
Lumi
inanzi e per mezzo e d'ogn'intorno,
mutata
aver parean la notte in giorno.
Levan
la bara, ed a portarla foro
messi
a vicenda conti e cavallieri.
Purpurea
seta la copria, che d'oro
e
di gran perle avea compassi altieri:
di
non men bello e signoril lavoro
avean
gemmati e splendidi origlieri;
e
giacea quivi il cavallier con vesta
di
color pare, e d'un lavor contesta.
Trecento
agli altri eran passati inanti,
de'
più poveri tolti de la terra,
parimente
vestiti tutti quanti
di
panni negri e lunghi sin a terra.
Cento
paggi seguian sopra altretanti
grossi
cavalli e tutti buoni a guerra;
e
i cavalli coi paggi ivano il suolo
radendo
col lor abito di duolo.
Molte
bandiere inanzi e molte dietro,
che
di diverse insegne eran dipinte,
spiegate
accompagnavano il ferètro;
le
quai già tolte a mille schiere vinte,
e
guadagnate a Cesare ed a Pietro
avean
le forze che or giaceano estinte.
Scudi
v'erano molti, che di degni
guerrieri,
a chi fur tolti, aveano i segni.
Venian
cento e cent'altri a diversi usi
de
l'esequie ordinati; ed avean questi,
come
anco il resto, accesi torchi; e chiusi,
più
che vestiti, eran di nere vesti.
Poi
seguia Orlando, e ad or ad or suffusi
di
lacrime avea gli occhi e rossi e mesti;
né
più lieto di lui Rinaldo venne:
il
piè Olivier, che rotto avea, ritenne.
Lungo
sarà s'io vi vo' dire in versi
le
cerimonie, e raccontarvi tutti
i
dispensati manti oscuri e persi,
gli
accesi torchi che vi furon strutti.
Quindi
alla chiesa catedral conversi,
dovunque
andar, non lasciaro occhi asciutti:
sì
bel, sì buon, sì giovene a pietade
mosse
ogni sesso, ogni ordine, ogni etade.
Fu
posto in chiesa; e poi che da le donne
di
lacrime e di pianti inutil opra,
e
che dai sacerdoti ebbe eleisonne
e
gli altri santi detti avuto sopra,
in
una arca il serbar su due colonne:
e
quella vuole Orlando che si cuopra
di
ricco drappo d'or, sin che reposto
in
un sepulcro sia di maggior costo.
Orlando
di Sicilia non si parte,
che
manda a trovar porfidi e alabastri.
Fece
fare il disegno, e di quell'arte
inarrar
con gran premio i miglior mastri.
Fe'
le lastre, venendo in questa parte,
poi
drizzar Fiordiligi, e i gran pilastri;
che
quivi (essendo Orlando già partito)
si
fe' portar da l'africano lito.
E
vedendo le lacrime indefesse,
ed
ostinati a uscir sempre i sospiri,
né
per far sempre dire uffici e messe,
mai
satisfar potendo a' suoi disiri;
di
non partirsi quindi in cor si messe,
fin
che del corpo l'anima non spiri:
e
nel sepolcro fe' fare una cella,
e
vi si chiuse, e fe' sua vita in quella.
Oltre
che messi e lettere le mande,
vi
va in persona Orlando per levarla.
Se
viene in Francia, con pension ben grande
compagna
vuol di Galerana farla:
quando
tornare al padre anco domande,
sin
alla Lizza vuole accompagnarla:
edificar
le vuole un monastero,
quando
servire a Dio faccia pensiero.
Stava
ella nel sepulcro; e quivi attrita
da
penitenza, orando giorno e notte,
non
durò lunga età, che di sua vita
da
la Parca le fur le fila rotte.
Già
fatto avea da l'isola partita,
ove
i Ciclopi avean l'antique grotte,
i
tre guerrier di Francia, afflitti e mesti
che
il quarto lor compagno a dietro resti.
Non
volean senza medico levarsi,
che
d'Olivier s'avesse a pigliar cura;
la
qual, perché a principio mal pigliarsi
poté,
fatt'era faticosa e dura:
e
quello udiano in modo lamentarsi,
che
del suo caso avean tutti paura.
Tra
lor di ciò parlando, al nocchier nacque
un
pensiero, e lo disse; e a tutti piacque.
Disse
che era di là poco lontano
in
un solingo scoglio uno eremita,
a
cui ricorso mai non s'era invano,
o
fosse per consiglio o per aita;
e
facea alcuno effetto soprumano,
dar
lume a ciechi, e tornar morti a vita,
fermare
il vento ad un segno di croce,
e
far tranquillo il mar quando è più atroce:
e
che non denno dubitare, andando
a
ritrovar quel uomo a Dio sì caro,
che
lor non renda Olivier sano, quando
fatto
ha di sua virtù segno più chiaro.
Questo
consiglio sì piacque ad Orlando,
che
verso il santo loco si drizzaro;
né
mai piegando dal camin la prora,
vider
lo scoglio al sorger de l'aurora.
Scorgendo
il legno uomini in acqua dotti,
sicuramente
s'accostaro a quello.
Quivi
aiutando servi e galeotti,
declinano
il marchese nel battello:
e
per le spumose onde fur condotti
nel
duro scoglio, ed indi al santo ostello;
al
santo ostello, a quel vecchio medesmo,
per
le cui mani ebbe Ruggier battesmo.
Il
servo del Signor del paradiso
raccolse
Orlando ed i compagni suoi,
e
benedilli con giocondo viso,
e
de' lor casi dimandolli poi;
ben
che de lor venuta avuto avviso
avesse
prima dai celesti eroi.
Orlando
gli rispose esser venuto
per
ritrovare al suo Oliviero aiuto;
che
era, pugnando per la fé di Cristo,
a
periglioso termine ridutto.
Levògli
il santo ogni sospetto tristo,
e
gli promisse di sanarlo in tutto.
Né
d'unguento trovandosi provisto,
né
d'altra umana medicina istrutto,
andò
alla chiesa, ed orò al Salvatore;
ed
indi uscì con gran baldanza fuore:
e
in nome de le eterne tre Persone,
Padre
e Figliuolo e Spirto Santo, diede
ad
Olivier la sua benedizione.
Oh
virtù che dà Cristo a chi gli crede!
Cacciò
dal cavalliero ogni passione,
e
ritornolli a sanitade il piede,
più
fermo e più espedito che mai fosse:
e
presente Sobrino a ciò trovosse.
Giunto
Sobrin de le sue piaghe a tanto,
che
star peggio ogni giorno se ne sente,
tosto
che vede del monaco santo
il
miracolo grande ed evidente,
si
dispon di lasciar Macon da canto,
e
Cristo confessar vivo e potente:
e
domanda con cor di fede attrito,
d'iniciarsi
al nostro sacro rito.
Così
l'uom giusto lo battezza, ed anco
gli
rende, orando, ogni vigor primiero.
Orlando
e gli altri cavallier non manco
di
tal conversion letizia fero,
che
di veder che liberato e franco
del
periglioso mal fosse Oliviero.
Maggior
gaudio degli altri Ruggier ebbe;
e
molto in fede e in devozione accrebbe.
Era
Ruggier dal dì che giunse a nuoto
su
questo scoglio, poi statovi ognora.
Fra
quei guerrieri il vecchiarel devoto
sta
dolcemente, e li conforta ed ora
a
voler, schivi di pantano e loto,
mondi
passar per questa morta gora
c'ha
nome vita, che sì piace a' sciocchi;
ed
alla via del ciel sempre aver gli occhi.
Orlando
un suo mandò sul legno, e trarne
fece
pane e buon vin, cacio e persutti;
e
l'uom di Dio, che ogni sapor di starne
pose
in oblio, poi che avvezzossi a' frutti,
per
carità mangiar fecero carne,
e
ber del vino, e far quel che fer tutti.
Poi
che alla mensa consolati foro,
di
molte cose ragionar tra loro.
E
come accade nel parlar sovente,
che
una cosa vien l'altra dimostrando,
Ruggier
riconosciuto finalmente
fu
da Rinaldo, da Olivier, da Orlando,
per
quel Ruggiero in arme sì eccellente,
il
cui valor s'accorda ognun lodando:
né
Rinaldo l'avea raffigurato
per
quel che provò già ne lo steccato.
Ben
l'avea il re Sobrin riconosciuto,
tosto
che il vide col vecchio apparire;
ma
volse inanzi star tacito e muto,
che
porsi in aventura di fallire.
Poi
che a notizia agli altri fu venuto
che
questo era Ruggier, di cui l'ardire,
la
cortesia e il valore alto e profondo
si
facea nominar per tutto il mondo;
e
sapendosi già che era cristiano,
tutti
con lieta e con serena faccia
vengono
a lui: chi gli tocca la mano,
e
chi lo bacia, e chi lo stringe e abbraccia.
Sopra
gli altri il signor di Montalbano
d'accarezzarlo
e fargli onor procaccia.
Perche
esso più degli altri, io il serbo a dire
ne
l'altro canto, se il vorrete udire.
CANTO
QUARANTAQUATTRESIMO
Spesso
in poveri alberghi e in picciol tetti,
ne
le calamitadi e nei disagi,
meglio
s'aggiungon d'amicizia i petti,
che
fra ricchezze invidiose ed agi
de
le piene d'insidie e di sospetti
corti
regali e splendidi palagi,
ove
la caritade è in tutto estinta,
né
si vede amicizia, se non finta.
Quindi
avvien che tra principi e signori
patti
e convenzion son sì frali.
Fan
lega oggi re, papi e imperatori;
doman
saran nimici capitali:
perché,
qual l'apparenze esteriori,
non
hanno i cor, non han gli animi tali;
che
non mirando al torto più che al dritto,
attendon
solamente al lor profitto.
Questi,
quantunque d'amicizia poco
sieno
capaci, perché non sta quella
ove
per cose gravi, ove per giuoco
mai
senza finzion non si favella;
pur,
se talor gli ha tratti in umil loco
insieme
una fortuna acerba e fella,
in
poco tempo vengono a notizia
(quel
che in molto non fer) de l'amicizia.
Il
santo vecchiarel ne la sua stanza
giunger
gli ospiti suoi con nodo forte
ad
amor vero meglio ebbe possanza,
che
altri non avria fatto in real corte.
Fu
questo poi di tal perseveranza,
che
non si sciolse mai fin alla morte.
Il
vecchio li trovò tutti benigni,
candidi
più nel cor, che di fuor cigni.
Trovolli
tutti amabili e cortesi,
non
de la iniquità che io v'ho dipinta
di
quei che mai non escono palesi,
ma
sempre van con apparenza finta.
Di
quanto s'eran per adietro offesi
ogni
memoria fu tra loro estinta;
e
se d'un ventre fossero e d'un seme,
non
si potriano amar più tutti insieme.
Sopra
gli altri il signor di Montalbano
accarezzava
e riveria Ruggiero;
sì
perché già l'avea con l'arme in mano
provato
quanto era animoso e fiero,
sì
per trovarlo affabile ed umano
più
che mai fosse al mondo cavalliero:
ma
molto più, che da diverse bande
si
conoscea d'avergli obligo grande.
Sapea
che di gravissimo periglio
egli
avea liberato Ricciardetto,
quando
il re ispano gli fe' dar di piglio
e
con la figlia prendere nel letto;
e
che avea tratto l'uno e l'altro figlio
del
duca Buovo (com'io v'ho detto)
di
man dei Saracini e dei malvagi
che
eran col maganzese Bertolagi.
Questo
debito a lui parea di sorte,
che
ad amar lo stringeano e ad onorarlo;
e
gli ne dolse e gli ne 'ncrebbe forte,
che
prima non avea potuto farlo,
quando
era l'un ne l'africana corte,
e
l'altro agli servigi era di Carlo.
Or
che fatto cristian quivi lo trova,
quel
che non fece prima, or far gli giova.
Proferte
senza fine, onore e festa
fece
a Ruggiero il paladin cortese.
Il
prudente eremita, come questa
benivolenza
vide, adito prese.
Entrò
dicendo: - A fare altro non resta
(e
lo spero ottener senza contese),
che
come l'amicizia è tra voi fatta,
tra
voi sia ancora affinità contratta;
acciò
che de le due progenie illustri
che
non han par di nobiltade al mondo,
nasca
un lignaggio che più chiaro lustri,
che
il chiaro sol, per quanto gira a tondo;
e
come andran più inanzi ed anni e lustri,
sarà
più bello, e durerà (secondo
che
Dio m'ispira, acciò che a voi nol celi)
fin
che terran l'usato corso i cieli. -
E
seguitando il suo parlar più inante,
fa
il santo vecchio sì, che persuade
che
Rinaldo a Ruggier dia Bradamante,
ben
che pregar né l'un né l'altro accade.
Loda
Olivier col principe d'Anglante,
che
far si debba questa affinitade;
il
che speran che approvi Amone e Carlo,
e
debba tutta Francia commendarlo.
Così
dicean; ma non sapean che Amone,
con
voluntà del figlio di Pipino,
n'avea
dato in quei giorni intenzione
all'imperator
greco Costantino,
che
gliele domandava per Leone
suo
figlio e successor nel gran domìno.
Se
n'era, pel valor che n'avea inteso,
senza
vederla, il giovinetto acceso.
Riposto
gli avea Amon, che da sé solo
non
era per concludere altramente,
né
pria che ne parlasse col figliuolo
Rinaldo,
da la corte allora assente;
il
qual credea che vi verrebbe a volo,
e
che di grazia avria sì gran parente:
pur,
per molto rispetto che gli avea,
risolver
senza lui non si volea.
Or
Rinaldo lontan dal padre, quella
pratica
imperial tutta ignorando,
quivi
a Ruggier promette la sorella
di
suo parere, e di parer d'Orlando
e
degli altri che avea seco alla cella,
ma
sopra tutti l'eremita instando:
e
crede veramente che piacere
debba
ad Amon quel parentado avere.
Quel
dì e la notte, e del seguente giorno
steron
gran parte col monaco saggio,
quasi
obliando al legno far ritorno,
ben
che il vento spirasse al lor viaggio.
Ma
i lor nocchieri, a cui tanto soggiorno
increscea
omai, mandar più d'un messaggio,
che
sì li stimular de la partita,
che
a forza li spiccar da l'eremita.
Ruggier
che stato era in esilio tanto,
né
da lo scoglio avea mai mosso il piede,
tolse
licenza da quel mastro santo
che
insegnata gli avea la vera fede.
La
spada Orlando gli rimesse a canto,
l'arme
d'Ettorre, e il buon Frontin gli diede;
sì
per mostrar del suo amor segno espresso,
sì
per saper che dianzi erano d'esso.
E
quantunque miglior ne l'incantata
spada
ragione avesse il paladino,
che
con pena e travaglio già levata
l'avea
dal formidabile giardino,
che
non avea Ruggiero a cui donata
dal
ladro fu, che gli diè ancor Frontino;
pur
volentier gliele donò col resto
de
l'arme, tosto che ne fu richiesto.
Fur
benedetti dal vecchio devoto,
e
sul navilio al fin si ritornaro.
I
remi all'acqua, e dier le vele al Noto;
e
fu lor sì sereno il tempo e chiaro,
che
non vi bisognò priego né voto,
fin
che nel porto di Marsilia entraro.
Ma
quivi stiano tanto, che io conduca
insieme
Astolfo, il glorioso duca.
Poi
che de la vittoria Astolfo intese,
che
sanguinosa e poco lieta s'ebbe;
vedendo
che sicura da l'offese
d'Africa
oggimai Francia esser potrebbe,
pensò
che il re de' Nubi in suo paese
con
l'esercito suo rimanderebbe
per
la strada medesima che tenne
quando
contra Biserta se ne venne.
L'armata
che i pagan roppe ne l'onde,
già
rimandata avea il figliuol d'Ugiero;
di
cui, nuovo miracolo, le sponde
(tosto
che ne fu uscito il popul nero)
e
le poppe e le prore mutò in fronde,
e
ritornolle al suo stato primiero:
poi
venne il vento, e come cosa lieve
levolle
in aria, e fe' sparire in breve.
Chi
a piedi e chi in arcion tutte partita
d'Africa
fer le nubiane schiere.
Ma
prima Astolfo si chiamò infinita
grazia
al Senapo ed immortale avere;
che
gli venne in persona a dare aita
con
ogni sforzo ed ogni suo potere.
Astolfo
lor ne l'uterino claustro
a
portar diede il fiero e turbido austro.
Negli
utri, dico, il vento diè lor chiuso,
che
uscir di mezzodì suol con tal rabbia,
che
muove a guisa d'onde, e leva in suso,
e
ruota fin in ciel l'arrida sabbia;
acciò
se lo portassero a lor uso,
che
per camino a far danno non abbia;
e
che poi, giunti ne la lor regione,
avessero
a lassar fuor di prigione.
Scrive
Turpino, come furo ai passi
de
l'alto Atlante, che i cavalli loro
tutti
in un tempo diventaron sassi;
sì
che, come venir, se ne tornoro.
Ma
tempo è omai che Astolfo in Francia passi;
e
così, poi che del paese moro
ebbe
provisto ai luoghi principali,
all'ippogrifo
suo fe' spiegar l'ali.
Volò
in Sardigna in un batter di penne,
e
di Sardigna andò nel lito corso;
e
quindi sopra il mar la strada tenne,
torcendo
alquanto a man sinistra il morso.
Ne
le maremme all'ultimo ritenne
de
la ricca Provenza il leggier corso;
dove
seguì de l'ippogrifo quanto
gli
disse già l'evangelista santo.
Hagli
commesso il santo evangelista,
che
più, giunto in Provenza, non lo sproni;
e
che all'impeto fier più non resista
con
sella e fren, ma libertà gli doni.
Già
avea il più basso ciel che sempre acquista
del
perder nostro, al corno tolti i suoni;
che
muto era restato, non che roco,
tosto
che entrò il guerrier nel divin loco.
Venne
Astolfo a Marsilia, e venne a punto
il
dì che v'era Orlando ed Oliviero
e
quel da Montalbano insieme giunto
col
buon Sobrino e col meglior Ruggiero.
La
memoria del sozio lor defunto
vietò
che i paladini non potero
insieme
così a punto rallegrarsi,
come
in tanta vittoria dovea farsi.
Carlo
avea di Sicilia avuto avviso
dei
duo re morti e di Sobrino preso,
e
che era stato Brandimarte ucciso;
poi
di Ruggiero avea non meno inteso:
e
ne stava col lor lieto e col viso
d'aver
gittato intolerabil peso,
che
gli fu sopra gli omeri sì greve,
che
starà un pezzo pria che si rileve.
Per
onorar costor che eran sostegno
del
santo Imperio e la maggior colonna,
Carlo
mandò la nobiltà del regno
ad
incontrarli fin sopra la Sonna.
Egli
uscì poi col suo drappel più degno
di
re e di duci, e con la propria donna,
fuor
de le mura, in compagnia di belle
e
ben ornate e nobili donzelle.
L'imperator
con chiara e lieta fronte,
i
paladini e gli amici e i parenti,
la
nobiltà, la plebe fanno al conte
ed
agli altri d'amor segni evidenti:
gridar
s'ode Mongrana e Chiaramonte.
Sì
tosto non finir gli abbracciamenti,
Rinaldo
e Orlando insieme ed Oliviero
al
signor loro appresentar Ruggiero;
e
gli narrar che di Ruggier di Risa
era
figliuol, di virtù uguale al padre:
se
sia animoso e forte, ed a che guisa
sappia
ferir, san dir le nostre squadre.
Con
Bradamante in questo vien Marfisa,
le
due compagne nobili e leggiadre:
ad
abbracciar Ruggier vien la sorella;
con
più rispetto sta l'altra donzella.
L'imperator
Ruggier fa risalire,
che
era per riverenza sceso a piede,
e
lo fa a par a par seco venire,
e
di ciò che a onorarlo si richiede,
un
punto sol non lassa preterire.
Ben
sapea che tornato era alla fede;
che
tosto che i guerrier furo all'asciutto,
certificato
avean Carlo del tutto.
Con
pompa trionfal, con festa grande
tornaro
insieme dentro alla cittade,
che
di frondi verdeggia e di ghirlande:
coperte
a panni son tutte le strade:
nembo
d'erbe e di fior d'alto si spande,
e
sopra e intorno ai vincitori cade,
che
da verroni e da finestre amene
donne
e donzelle gittano a man piene.
Al
volgersi dei canti in vari lochi
trovano
archi e trofei subito fatti,
che
di Biserta le ruine e i fochi
mostran
dipinti, ed altri degni fatti;
altrove
palchi con diversi giuochi
e
spettacoli e mimmi e scenici atti:
ed
è per tutti i canti il titol vero
scritto:
- Ai liberatori de l'Impero. -
Fra
il suon d'argute trombe e di canore
pifare
e d'ogni musica armonia,
fra
riso e plauso, iubilo e favore
del
populo che a pena vi capia,
smontò
al palazzo il magno imperatore,
ove
più giorni quella compagnia
con
torniamenti, personaggi e farse,
danze
e conviti attese a dilettarse.
Rinaldo
un giorno al padre fe' sapere
che
la sorella a Ruggier dar volea;
che
in presenza d'Orlando per mogliere,
e
d'Olivier, promessa glie l'avea;
li
quali erano seco d'un parere,
che
parentado far non si potea
per
nobiltà di sangue e per valore,
che
fosse a questo par, non che migliore.
Ode
Amone il figliuol con qualche sdegno,
che,
senza conferirlo seco, gli osa
la
figlia maritar, che esso ha disegno
che
del figliuol di Costantin sia sposa,
non
di Ruggier, il qual non che abbi regno,
ma
non può al mondo dir: questa è mia cosa;
né
sa che nobiltà poco si prezza,
e
men virtù, se non v'è ancor ricchezza.
Ma
più d'Amon la moglie Beatrice
biasma
il figliuolo e chiamalo arrogante;
e
in segreto e in palese contradice
che
di Ruggier sia moglie Bradamante:
a
tutta sua possanza imperatrice
ha
disegnato farla di Levante.
Sta
Rinaldo ostinato che non vuole
che
manchi un iota de le sue parole.
La
madre, che aver crede alle sue voglie
la
magnanima figlia, la conforta
che
dica che, più tosto che esser moglie
d'un
pover cavallier, vuole esser morta;
né
mai più per figliuola la raccoglie,
se
questa ingiuria dal fratel sopporta:
nieghi
pur con audacia, e tenga saldo;
che
per sforzar non la sarà Rinaldo.
Sta
Bradamante tacita, né al detto
de
la madre s'arrisca a contradire;
che
l'ha in tal riverenza e in tal rispetto,
che
non potria pensar non l'ubbidire.
Da
l'altra parte terria gran difetto,
se
quel che non vuol far, volesse dire.
Non
vuol, perché non può; che il poco e il molto
poter
di sé disporre Amor le ha tolto.
Né
negar, né mostrarsene contenta
s'ardisce;
e sol sospira, e non risponde:
poi
quando è in luogo che altri non la senta,
versan
lacrime gli occhi a guisa d'onde;
e
parte del dolor che la tormenta,
sentir
fa al petto ed alle chiome bionde,
che
l'un percuote, e l'altro straccia e frange;
e
così parla, e così seco piange:
-
Ahimè ! vorrò quel che non vuol chi deve
poter
del voler mio più che poss'io?
Il
voler di mia madre avrò in sì lieve
stima,
che io lo posponga al voler mio?
Deh!
qual peccato puote esser sì grieve
a
una donzella, qual biasmo sì rio,
come
questo sarà, se, non volendo
chi
sempre ho da ubbidir, marito prendo?
Avrà,
misera me! dunque possanza
la
materna pietà, che io t'abandoni,
o
mio Ruggiero, e che a nuova speranza,
a
desir nuovo, a nuovo amor mi doni?
O
pur la riverenza e l'osservanza
che
ai buoni padri denno i figli buoni,
porrò
da parte, e solo avrò rispetto
al
mio bene, al mio gaudio, al mio diletto?
So
quanto, ahi lassa! debbo far, so quanto
di
buona figlia al debito conviensi;
io
il so: ma che mi val, se non può tanto
la
ragion, che non possino più i sensi?
s'Amor
la caccia e la far star da canto,
né
lassa che io disponga, né che io pensi
di
me dispor, se non quanto a lui piaccia,
e
sol, quanto egli detti, io dica e faccia?
Figlia
d'Amone e di Beatrice sono,
e
son, misera me! serva d'Amore.
Dai
genitori miei trovar perdono
spero
e pietà, s'io caderò in errore:
ma
s'io offenderò Amor, chi sarà buono
a
schivarmi con prieghi il suo furore,
che
sol voglia una di mie scuse udire,
e
non mi faccia subito morire?
Ohimè!
con lunga ed ostinata prova
ho
cercato Ruggier trarre alla fede;
ed
hollo tratto al fin: ma che mi giova,
se
il mio ben fare in util d'altri cede?
Così,
ma non per sé, l'ape rinuova
il
mele ogni anno, e mai non lo possiede.
Ma
vo' prima morir, che mai sia vero,
che
io pigli altro marito, che Ruggiero.
S'io
non sarò al mio padre ubbidiente,
né
alla mia madre, io sarò al mio fratello,
che
molto e molto è più di lor prudente,
né
gli ha la troppa età tolto il cervello.
E
a questo che Rinaldo vuol, consente
Orlando
ancora; e per me ho questo e quello:
li
quali duo più onora il mondo e teme,
che
l'altra nostra gente tutta insieme.
Se
questi il fior, se questi ognuno stima
la
gloria e lo splendor di Chiaramonte;
se
sopra gli altri ognun gli alza e sublima
più
che non è del piede alta la fronte;
perché
debbo voler che di me prima
Amon
disponga, che Rinaldo e il conte?
Voler
nol debbo, tanto men, che messa
in
dubbio al Greco, e a Ruggier fui promessa. -
Se
la donna s'affligge e si tormenta,
né
di Ruggier la mente è più quieta;
che
ancor che di ciò nuova non si senta
per
la città, pur non è a lui segreta.
Seco
di sua fortuna si lamenta,
la
qual fruir tanto suo ben gli vieta,
poi
che ricchezze non gli ha date e regni,
di
che è stata sì larga a mille indegni.
Di
tutti gli altri beni, o che concede
Natura
al mondo, o proprio studio acquista,
aver
tanta e tal parte egli si vede,
qual
e quanta altri aver mai s'abbia vista;
che
a sua bellezza ogni bellezza cede,
che
a sua possanza è raro chi resista:
di
magnanimità, di splendor regio
a
nessun, più che a lui, si debbe il pregio.
Ma
il volgo, nel cui arbitrio son gli onori,
che,
come pare a lui, li leva e dona
(né
dal nome del volgo voglio fuori,
eccetto
l'uom prudente, trar persona;
che
né papi né re né imperatori
non
ne tra' scettro, mitra né corona;
ma
la prudenza, ma il giudizio buono,
grazie
che dal ciel date a pochi sono);
questo
volgo (per dir quel che io vo' dire)
che
altro non riverisce che ricchezza,
né
vede cosa al mondo, che più ammire,
e
senza, nulla cura e nulla apprezza,
sia
quanto voglia la beltà, l'ardire,
la
possanza del corpo, la destrezza,
la
virtù, il senno, la bontà; e più in questo
di
che ora vi ragiono, che nel resto.
Dicea
Ruggier: - Se pur è Amon disposto
che
la figliuola imperatrice sia,
con
Leon non concluda così tosto:
almen
termine un anno anco mi dia;
che
io spero intanto, che da me deposto
Leon
col padre de l'imperio fia;
e
poi che tolto avrò lor le corone,
genero
indegno non sarò d'Amone.
Ma
se fa senza indugio, come ha detto,
suocero
de la figlia Costantino;
s'alla
promessa non avrà rispetto
di
Rinaldo e d'Orlando suo cugino,
fattami
inanzi al vecchio benedetto,
al
marchese Uliviero, al re Sobrino,
che
farò? vo' patir sì grave torto?
o,
prima che patirlo, esser pur morto?
Deh
che farò? farò dunque vendetta
contra
il padre di lei di questo oltraggio?
Non
miro che io non son per farlo in fretta,
o
s'in tentarlo io mi sia stolto o saggio.
Ma
voglio presupor che a morte io metta
l'iniquo
vecchio e tutto il suo lignaggio:
questo
non mi farà però contento;
anzi
in tutto sarà contra il mio intento.
E
fu sempre il mio intento, ed è, che m'ami
la
bella donna, e non che mi sia odiosa:
ma,
quando Amone uccida, o facci o trami
cosa
al fratello o agli altri suoi dannosa,
non
le do iusta causa che mi chiami
nimico,
e più non voglia essermi sposa?
Che
debbo dunque far? debbol patire?
Ah
non, per Dio! più tosto io vo' morire.
Anzi
non vo' morir; ma vo' che muoia
con
più ragion questo Leone Augusto,
venuto
a disturbar tanta mia gioia:
o
vo' che muoia egli e il suo padre ingiusto.
Elena
bella all'amator di Troia
non
costò sì, né a tempo più vetusto
Proserpina
a Piritoo, come voglio
che
al padre e al figlio costi il mio cordoglio.
Può
esser, vita mia, che non ti doglia
lasciare
il tuo Ruggier per questo Greco?
Potrà
tuo padre far che tu lo toglia,
ancor
che avesse i tuoi fratelli seco?
Ma
sto in timor, che abbi più tosto voglia
d'esser
d'accordo con Amon, che meco;
e
che ti paia assai miglior partito
Cesare
aver, che un privato uom marito.
Sarà
possibil mai che nome regio,
titolo
imperial, grandezza e pompa,
di
Bradamante mia l'animo egregio,
il
gran valor, l'alta virtù corrompa?
sì
che abbia da tenere in minor pregio
la
data fede, e le promesse rompa?
né
più tosto d'Amon farsi nimica,
che
quel che detto m'ha, sempre non dica? -
Diceva
queste ed altre cose molte
ragionando
fra sé Ruggiero; e spesso
le
dicea in guisa che erano raccolte
da
chi talor se gli trovava appresso:
sì
che il tormento suo più di due volte
era
a colei per cui pativa, espresso,
a
cui non dolea meno il sentir lui
così
doler, che i propri affanni sui.
Ma
più d'ogni altro duol che le sia detto,
che
tormenti Ruggier, di questo ha doglia,
che
intende che s'affligge per sospetto
che
ella lui lasci, e che quel Greco voglia.
Onde,
acciò si conforti, e che del petto
questa
credenza e questo error si toglia,
per
una di sue fide cameriere
gli
fe' queste parole un dì sapere:
-
Ruggier, qual sempre fui, tal esser voglio
fin
alla morte, e più, se più si puote.
O
siami Amor benigno o m'usi orgoglio,
o
me Fortuna in alto o in basso ruote,
immobil
son di vera fede scoglio
che
d'ogn'intorno il vento e il mar percuote:
né
già mai per bonaccia né per verno
luogo
mutai, né muterò in eterno.
Scarpello
si vedrà di piombo o lima
formare
in varie imagini diamante,
prima
che colpo di Fortuna, o prima
che
ira d'Amor rompa il mio cor costante;
e
si vedrà tornar verso la cima
de
l'alpe il fiume turbido e sonante,
che
per nuovi accidenti, o buoni o rei,
faccino
altro viaggio i pensier miei.
A
voi, Ruggier, tutto il dominio ho dato
di
me, che forse è più che altri non crede.
So
ben che a nuovo principe giurato
non
fu di questa mai la maggior fede.
So
che né al mondo il più sicuro stato
di
questo, re né imperator possiede.
Non
vi bisogna far fossa né torre,
per
dubbio che altri a voi lo venga a torre.
Che,
senza che assoldiate altra persona,
non
verrà assalto a cui non si resista.
Non
è ricchezza ad espugnarmi buona,
né
sì vil prezzo un cor gentile acquista.
Né
nobiltà, né altezza di corona,
che
al sciocco volgo abbagliar suol la vista,
non
beltà, che in lieve animo può assai,
vedrò,
che più di voi mi piaccia mai.
Non
avete a temer che in forma nuova
intagliare
il mio cor mai più si possa:
sì
l'imagine vostra si ritrova
sculpita
in lui, che esser non può rimossa.
Che
il cor non ho di cera, è fatto prova;
che
gli diè cento, non che una percossa,
Amor,
prima che scaglia ne levasse,
quando
all'imagin vostra lo ritrasse.
Avorio
e gemma ed ogni pietra dura
che
meglio da l'intaglio si difende,
romper
si può; ma non che altra figura
prenda,
che quella che una volta prende.
Non
è il mio cor diverso alla natura
del
marmo o d'altro che al ferro contende.
Prima
esser può che tutto Amor lo spezze,
che
lo possa sculpir d'altre bellezze. -
Suggiunse
a queste altre parole molte,
piene
d'amor, di fede e di conforto,
da
ritornarlo in vita mille volte,
se
stato mille volte fosse morto.
Ma
quando più de la tempesta tolte
queste
speranze esser credeano in porto,
da
un nuovo turbo impetuoso e scuro
rispinte
in mar, lungi dal lito, furo:
però
che Bradamante, che eseguire
vorria
molto più ancor, che non ha detto,
rivocando
nel cor l'usato ardire,
e
lasciando ir da parte ogni rispetto,
s'appresenta
un dì a Carlo, e dice: - Sire,
s'a
vostra Maestade alcuno effetto
io
feci mai, che le paresse buono,
contenta
sia di non negarmi un dono.
E
prima che più espresso io le lo chieggia,
su
la real sua fede mi prometta
farmene
grazia; e vorrò poi, che veggia
che
sarà iusta la domanda e retta. -
-
Merta la tua virtù che dar ti deggia
ciò
che domandi, o giovane diletta
(rispose
Carlo); e giuro, se ben parte
chiedi
del regno mio, di contentarte. -
-
Il don che io bramo da l'Altezza vostra,
è
che non lasci mai marito darme
(disse
la damigella), se non mostra
che
più di me sia valoroso in arme.
Con
qualunche mi vuol, prima o con giostra
o
con la spada in mano ho da provarme.
Il
primo che mi vinca, mi guadagni:
chi
vinto sia, con altra s'accompagni. -
Disse
l'imperator con viso lieto,
che
la domanda era di lei ben degna;
e
che stesse con l'animo quieto,
che
farà a punto quanto ella disegna.
Non
è questo parlar fatto in segreto
sì,
che a notizia altrui tosto non vegna;
e
quel giorno medesimo alla vecchia
Beatrice
e al vecchio Amon corre all'orecchia.
Li
quali parimente arser di grande
sdegno
contro alla figlia, e di grand'ira;
che
vider ben con queste sue domande,
che
ella a Ruggier più che a Leone aspira:
e
presti per vietar che non si mande
questo
ad effetto, a che ella intende e mira,
la
levaro con fraude de la corte,
e
la menaron seco a Roccaforte.
Quest'era
una fortezza che ad Amone
donato
Carlo avea pochi dì inante,
tra
Pirpignano assisa e Carcassone,
in
loco a ripa il mar, molto importante.
Quivi
la ritenean come in prigione
con
pensier di mandarla un dì in Levante;
sì
che ogni modo, voglia ella o non voglia,
lasci
Ruggier da parte, e Leon toglia.
La
valorosa donna, che non meno
era
modesta, che animosa e forte;
ancor
che posto guardia non l'avieno,
e
potea entrare e uscir fuor de le porte;
pur
stava ubbidiente sotto il freno
del
padre: ma patir prigione e morte,
ogni
martìre e crudeltà più tosto
che
mai lasciar Ruggier, s'avea proposto.
Rinaldo,
che si vide la sorella
per
astuzia d'Amon tolta di mano,
e
che dispor non potrà più di quella,
e
che a Ruggier l'avrà promessa invano;
si
duol del padre, e contra a lui favella,
posto
il rispetto filial lontano.
Ma
poco cura Amon di tai parole,
e
di sua figlia a modo suo far vuole.
Ruggier,
che questo sente, ed ha timore
di
rimaner de la sua donna privo,
e
che l'abbia o per forza o per amore
Leon,
se resta lungamente vivo;
senza
parlarne altrui si mette in core
di
far che muoia, e sia d'Augusto, Divo;
e
tor, se non l'inganna la sua speme,
al
padre e a lui la vita e il regno insieme.
L'arme
che fur già del troiano Ettorre,
e
poi di Mandricardo, si riveste,
e
fa la sella al buon Frontino porre,
e
cimier muta, scudo e sopraveste.
A
questa impresa non gli piacque torre
l'aquila
bianca nel color celeste,
ma
un candido liocorno, come giglio,
vuol
ne lo scudo, e il campo abbia vermiglio.
Sceglie
de' suoi scudieri il più fedele,
e
quel vuole e non altri in compagnia;
e
gli fa commission, che non rivele
in
alcun loco mai, che Ruggier sia.
Passa
la Mosa e il Reno, e passa de le
contrade
d'Ostericche, in Ungheria;
e
lungo l'Istro per la destra riva
tanto
cavalca, che a Belgrado arriva.
Ove
la Sava nel Danubio scende,
e
verso il mar maggior con lui dà volta,
vede
gran gente in padiglioni e tende
sotto
l'insegne imperial raccolta;
che
Costantino ricovrare intende
quella
città che i Bulgari gli han tolta.
Costantin
v'è in persona, e il figliuol seco
con
quanto può tutto l'imperio greco.
Dentro
a Belgrado, e fuor per tutto il monte,
e
giù fin dove il fiume il piè gli lava,
l'esercito
del Bulgari gli è a fronte;
e
l'uno e l'altro a ber viene alla Sava.
Sul
fiume il Greco per gittare il ponte,
il
Bulgar per vietarlo armato stava,
quando
Ruggier vi giunse; e zuffa grande
attaccata
trovò fra le due bande.
I
Greci son quattro contr'uno, ed hanno
navi
coi ponti da gittar ne l'onda;
e
di voler fiero sembiante fanno
passar
per forza alla sinistra sponda.
Leone
intanto, con occulto inganno
dal
fiume discostandosi, circonda
molto
paese, e poi vi torna, e getta
ne
l'altra ripa i ponti, e passa in fretta:
e
con gran gente, chi in arcion, chi a piede
(che
non n'avea di ventimila un manco),
cavalcò
lungo la riviera, e diede
con
fiero assalto agli inimici al fianco.
L'imperator,
tosto che il figlio vede
sul
fiume comparirsi al lato manco,
ponte
aggiungendo a ponte e nave a nave,
passa
di là con quanto esercito have.
Il
capo, il re de' Bulgari Vatrano,
animoso
e prudente e pro' guerriero,
di
qua e di là s'affaticava invano
per
riparare a un impeto sì fiero;
quando
cingendol con robusta mano
Leon,
gli fe' cader sotto il destriero:
e
poi che dar prigion mai non si volse,
con
mille spade la vita gli tolse.
I
Bulgari sin qui fatto avean testa;
ma
quando il lor signor si vider tolto,
e
crescer d'ogn'intorno la tempesta,
voltar
le spalle ove avean prima il volto.
Ruggier,
che misto vien fra i Greci, e questa
sconfitta
vede, senza pensar molto,
i
Bulgari soccorrer si dispone,
perche
odia Costantino e più Leone.
Sprona
Frontin che sembra al corso un vento,
e
inanzi a tutti i corridori passa;
e
tra la gente vien, che per spavento
al
monte fugge, e la pianura lassa.
Molti
ne ferma, e fa voltare il mento
contra
i nimici, e poi la lancia abassa;
e
con sì fier sembiante il destrier muove,
che
fin nel ciel Marte ne teme e Giove.
Dinanzi
agli altri un cavalliero adocchia,
che
riccamato nel vestir vermiglio
avea
d'oro e di seta una pannocchia
con
tutto il garbo, che parea di miglio;
nipote
a Costantin per la sirocchia,
ma
che non gli era men caro, che figlio:
gli
spezza scudo e osbergo, come vetro,
e
fa la lancia un palmo apparir dietro.
Lascia
quel morto, e Balisarda stringe
verso
uno stuol che più si vede appresso;
e
contra a questo e contra a quel si spinge,
ed
a chi tronco ed a chi il capo ha fesso:
a
chi nel petto, a chi nel fianco tinge
il
brando, e a chi l'ha ne la gola messo:
taglia
busti, anche, braccia, mani e spalle;
e
il sangue, come un rio, corre alla valle.
Non
è, visti quei colpi, chi gli faccia
contrasto
più, così n'è ognun smarrito;
sì
che si cangia subito la faccia
de
la battaglia; che tornando ardito,
il
petto volge, e ai Greci dà la caccia
il
Bulgaro che dianzi era fuggito:
in
un momento ogni ordine disciolto
si
vede, e ogni stendardo a fuggir volto.
Leone
Augusto s'un poggio eminente,
vedendo
i suoi fuggir, s'era ridutto;
e
sbigottito e mesto ponea mente
(perche
era in loco che scopriva il tutto)
al
cavallier che uccidea tanta gente,
che
per lui sol quel campo era distrutto:
e
non può far, se ben n'è offeso tanto,
che
non lo lodi e gli dia in arme il vanto.
Ben
comprende all'insegne e sopravesti,
all'arme
luminose e ricche d'oro,
che
quantunque il guerrier dia aiuto a questi
nimici
suoi, non sia però di loro.
Stupido
mira i soprumani gesti,
e
talor pensa che dal sommo coro
sia
per punire i Greci un agnol sceso,
che
tante e tante volte hanno Dio offeso.
E
come uom d'alto e di sublime core,
ove
l'avrian molt'altri in odio avuto,
egli
s'innamorò del suo valore,
né
veder fargli oltraggio avria voluto:
gli
sarebbe per un de' suoi che muore,
vederne
morir sei manco spiaciuto,
e
perder anco parte del suo regno,
che
veder morto un cavallier sì degno.
Come
bambin, se ben la cara madre
iraconda
lo batte e da sé caccia,
non
ha ricorso alla sorella o al padre,
ma
a lei ritorna, e con dolcezza abbraccia;
così
Leon, se ben le prime squadre
Ruggier
gli uccide, e l'altre gli minaccia,
non
lo può odiar, perche all'amor più tira
l'alto
valor, che quella offesa all'ira.
Ma
se Leon Ruggiero ammira ed ama,
mi
par che duro cambio ne riporte;
che
Ruggiero odia lui, né cosa brama
più
che di dargli di sua man la morte.
Molto
con gli occhi il cerca, ed alcun chiama,
che
gliele mostri; ma la buona sorte
e
la prudenza de l'esperto Greco
non
lasciò mai che s'affrontasse seco.
Leone,
acciò che la sua gente affatto
non
fosse uccisa, fe' sonar raccolta;
ed
all'imperatore un messo ratto
a
pregarlo mandò, che desse volta
e
ripassasse il fiume; e che buon patto
n'avrebbe,
se la via non gli era tolta:
ed
esso con non molti che raccolse,
al
ponte ond'era entrato, i passi volse.
Molti
in poter de' Bulgari restaro
per
tutto il monte, e sin al fiume uccisi;
e
vi restavan tutti, se il riparo
non
gli avesse del rio tosto divisi.
Molti
cader dai ponti e s'affogaro;
e
molti, senza mai volgere i visi,
quindi
lontano iro a trovare il guado;
e
molti fur prigion tratti in Belgrado.
Finita
la battaglia di quel giorno,
ne
la qual, poi che il lor signor fu estinto,
danno
i Bulgari avriano avuto e scorno,
se
per lor non avesse il guerrier vinto,
il
buon guerrier che il candido liocorno
ne
lo scudo vermiglio avea dipinto;
a
lui si trasson tutti, da cui questa
vittoria
conoscean, con gioia e festa.
Uno
il saluta, un altro se gli inchina,
altri
la mano, altri gli bacia il piede:
ognun,
quanto più può, se gli avvicina,
e
beato si tien chi appresso il vede,
e
più chi il tocca; che toccar divina
e
sopranatural cosa si crede.
Lo
pregan tutti, e vanno al ciel le grida,
che
sia lor re, lor capitan, lor guida.
Ruggier
rispose lor, che capitano
e
re sarà, quel che fia lor più a grado;
ma
né a baston né a scettro ha da por mano,
né
per quel giorno entrar vuole in Belgrado:
che
prima che si faccia più lontano
Leon
Augusto, e che ripassi il guado,
lo
vuol seguir, né torsi da la traccia,
fin
che nol giunga e che morir nol faccia;
che
mille miglia e più, per questo solo
era
venuto, e non per altro effetto.
Così
senza indugiar lascia lo stuolo,
e
si volge al camin che gli vien detto,
che
verso il ponte fa Leone a volo,
forse
per dubbio che gli sia intercetto.
Gli
va dietro per l'orma in tanta fretta,
che
il suo scudier non chiama e non aspetta.
Leone
ha nel fuggir tanto vantaggio
(fuggir
si può ben dir, più che ritrarse),
che
trova aperto e libero il passaggio;
poi
rompe il ponte, e lascia le navi arse.
Non
v'arriva Ruggier, che ascoso il raggio
era
del sol, né sa dove alloggiarse.
Cavalca
inanzi, che lucea la luna,
né
mai trova castel né villa alcuna.
Perché
non sa dove si por, camina
tutta
la notte, né d'arcion mai scende.
Ne
lo spuntar del nuovo sol vicina
a
man sinistra una città comprende;
ove
di star tutto quel dì destina,
acciò
l'ingiuria al suo Frontino emende,
a
cui, senza posarlo o trargli briglia,
la
notte fatto avea far tante miglia.
Ungiardo
era signor di quella terra,
suddito
e caro a Costantino molto,
ove
avea per cagion di quella guerra
da
cavallo e da piè buon numer tolto.
Quivi
ove altrui l'entrata non si serra,
entra
Ruggiero, e v'è sì ben raccolto,
che
non gli accade di passar più avante
per
aver miglior loco e più abondante.
Nel
medesimo albergo in su la sera
un
cavallier di Romania alloggiosse,
che
si trovò ne la battaglia fiera,
quando
Ruggier pei Bulgari si mosse,
ed
a pena di man fuggito gli era,
ma
spaventato più che altri mai fosse;
sì
che ancor triema, e pargli ancora intorno
avere
il cavallier dal liocorno.
Conosce,
tosto che lo scudo vede,
che
il cavallier che quella insegna porta,
è
quel che la sconfitta ai Greci diede,
per
le cui mani è tanta gente morta.
Corre
al palazzo, ed udienza chiede,
per
dire a quel signor cosa che importa;
e
subito intromesso, dice quanto
io
mi riserbo a dir ne l'altro canto.
CANTO
QUARANTACINQUESIMO
Quanto
più su l'instabil ruota vedi
di
Fortuna ire in alto il miser uomo,
tanto
più tosto hai da vedergli i piedi
ove
ora ha il capo, e far cadendo il tomo.
Di
questo esempio è Policràte, e il re di
Lidia,
e Dionigi, ed altri che io non nomo,
che
ruinati son da la suprema
gloria
in un dì ne la miseria estrema.
Così
all'incontro, quanto più depresso,
quanto
è più l'uom di questa ruota al fondo,
tanto
a quel punto più si trova appresso,
che
a da salir, se de' girarsi in tondo.
Alcun
sul ceppo quasi il capo ha messo,
che
l'altro giorno ha dato legge al mondo.
Servio
e Mario e Ventidio l'hanno mostro
al
tempo antico, e il re Luigi al nostro:
il
re Luigi, suocero del figlio
del
duca mio; che rotto a Santo Albino,
e
giunto al suo nimico ne l'artiglio,
a
restar senza capo fu vicino.
Scorse
di questo anco maggior periglio,
non
molto inanzi, il gran Matia Corvino.
Poi
l'un, de' Franchi passato quel punto,
l'altro
al regno degli Ungari fu assunto.
Si
vede per gli esempi di che piene
sono
l'antiche e le moderne istorie,
che
il ben va dietro al male, e il male al bene,
e
fin son l'un de l'altro e biasmi e glorie;
e
che fidarsi a l'uom non si conviene
in
suo tesor, suo regno e sue vittorie,
né
disperarsi per Fortuna avversa,
che
sempre la sua ruota in giro versa.
Ruggier
per la vittoria che avea avuto
di
Leone e del padre imperatore,
in
tanta confidenza era venuto
di
sua fortuna e di suo gran valore,
che
senza compagnia, senz'altro aiuto,
di
poter egli sol gli dava il core
fra
cento a piè e a cavallo armate squadre
uccider
di sua mano il figlio e il padre.
Ma
quella, che non vuol che si prometta
alcun
di lei, gli mostrò in pochi giorni,
come
tosto alzi e tosto al basso metta,
e
tosto avversa e tosto amica torni.
Lo
fe' conoscer quivi da chi in fretta
a
procacciargli andò disagi e scorni,
dal
cavallier che ne la pugna fiera
di
man fuggito a gran fatica gli era.
Costui
fece ad Ungiardo saper, come
quivi
il guerrier che avea le genti rotte
di
Costantino e per molt'anni dome,
stato
era il giorno, e vi staria la notte;
e
che Fortuna presa per le chiome,
senza
che più travagli o che più lotte,
darà
al suo re, se fa costui prigione;
che
a' Bulgari, lui preso, il giogo pone.
Ungiardo
da la gente, che fuggita
de
la battaglia, a lui s'era ridutta
(che
a parte a parte v'arrivò infinita,
perche
al ponte passar non potea tutta),
sapea
come la strage era seguita,
che
la metà de' Greci avea distrutta;
e
come un cavallier solo era stato,
che
un campo rotto, e l'altro avea salvato:
e
che sia da se stesso senza caccia
venuto
a dar del capo ne la rete,
si
maraviglia, e mostra che gli piaccia,
con
viso e gesti e con parole liete.
Aspetta
che Ruggier dormendo giaccia;
poi
manda le sue gente chete chete,
e
fa il buon cavallier, che alcun sospetto
di
questo non avea, prender nel letto.
Accusato
Ruggier dal proprio scudo,
ne
la città di Novengrado resta
prigion
d'Ungiardo, il più d'ogni altro crudo,
che
fa di ciò maravigliosa festa.
E
che può far Ruggier, poi che gli è nudo,
ed
è legato già, quando si desta?
Ungiardo
un suo corrier spaccia a staffetta
a
dar la nuova a Costantino in fretta.
Avea
levato Costantin la notte
da
le ripe di Sava ogni sua schiera;
e
seco a Beleticche avea ridotte,
che
città del cognato Androfilo era,
padre
di quello a cui forate e rotte
(come
se state fossino di cera)
al
primo incontro l'arme avea il gagliardo
cavallier,
or prigion del fiero Ungiardo.
Quivi
fortificar facea le mura
l'imperatore,
e riparar le porte;
che
de' Bulgari ben non s'assicura,
che
con la guida d'un guerrier sì forte
non
gli faccino peggio che paura,
e
il resto ponghin di sua gente a morte.
Or
che l'ode prigion, né quelli teme,
né
se con lor sia il mondo tutto insieme.
L'imperator
nuota in un mar di latte,
né
per letizia sa quel che si faccia.
-
Ben son le genti bulgare disfatte, -
dice
con lieta e con sicura faccia.
Come
de la vittoria, chi combatte,
se
troncasse al nimico ambe le braccia,
certo
saria, così n'è certo, e gode
l'imperator,
poi che il guerrier preso ode.
Non
ha minor cagion di rallegrarsi
del
padre il figlio; che oltre che si spera
di
racquistar Belgrado, e soggiugarsi
ogni
contrada che de' Bulgari era;
disegna
anco il guerriero amico farsi
con
benefici, e seco averlo in schiera.
Né
Rinaldo né Orlando a Carlo Magno
ha
da invidiar, se gli è costui compagno.
Da
questa voglia è ben diversa quella
di
Teodora, a chi il figliuolo uccise
Ruggier
con l'asta che da la mammella
passò
alle spalle, e un palmo fuor si mise.
A
Costantin, del quale era sorella,
costei
si gittò a' piedi, e gli conquise
e
intenerigli il cor d'alta pietade
col
largo pianto che nel sen le cade.
-
Io non mi leverò da questi piedi
(diss'ella),
signor mio, se del fellone
che
uccise il mio figliuol, non mi conciedi
di
vendicare, or che l'abbiàn prigione.
Oltre
che stato t'è nipote, vedi
quanto
t'amò, vedi quant'opre buone
ha
per te fatto, e vedi s'avrai torto
di
non lo vendicar di chi l'ha morto.
Vedi
che per pietà del nostro duolo
ha
Dio fatto levar da la campagna
questo
crudele, e come augello a volo,
a
dar ce l'ha condotto ne la ragna,
acciò
in ripa di Stige il mio figliuolo
molto
senza vendetta non rimagna.
Dammi
costui, signore, e sii contento
che
io disacerbi il mio col suo tormento. -
Così
ben piange, e così ben si duole,
e
così bene ed efficace parla;
né
dai piedi levar mai se gli vuole,
ben
che tre volte e quattro per levarla
usasse
Costantino atti e parole;
che
egli è forzato al fin di contentarla:
e
così comandò che si facesse
colui
condurre, e in man di lei si desse.
E
per non fare in ciò lunga dimora,
condotto
hanno il guerrier del liocorno,
e
dato in mano alla crudel Teodora,
che
non vi fu intervallo più d'un giorno.
Il
far che sia squartato vivo, e muora
publicamente
con obbrobrio e scorno,
poca
pena le pare, e studia e pensa
altra
trovarne inusitata e immensa.
La
femina crudel lo fece porre,
incatenato
e mani e piedi e collo,
nel
tenebroso fondo d'una torre,
ove
mai non entrò raggio d'Apollo.
Fuor
che un poco di pan muffato, torre
gli
fe' ogni cibo, e senza ancor lassollo
duo
dì talora; e lo diè in guardia a tale,
che
era di lei più pronto a fargli male.
Oh!
se d'Amon la valorosa e bella
figlia,
oh se la magnanima Marfisa
avesse
avuto di Ruggier novella,
che
in prigion tormentasse a questa guisa;
per
liberarlo saria questa e quella
postasi
al rischio di restarne uccisa;
né
Bradamante avria, per dargli aiuto,
a
Beatrice o Amon rispetto avuto.
Re
Carlo intanto avendo la promessa
a
costei fatta in mente, che consorte
dar
non le lascierà, che sia men d'essa
al
paragon de l'arme ardito e forte;
questa
sua voluntà con trombe espressa
non
solamente fe' ne la sua corte,
ma
in ogni terra al suo imperio soggetta;
onde
la fama andò pel mondo in fretta.
Questa
condizion contiene il bando:
chi
la figlia d'Amon per moglie vuole,
star
con lei debba a paragon del brando
da
l'apparire al tramontar del sole;
e
fin a questo termine durando,
e
non sia vinto, senz'altre parole
la
donna da lui vinta esser s'intenda,
né
possa ella negar che non lo prenda;
e
che l'eletta ella de l'arme dona,
senza
mirar chi sia di lor, che chiede.
E
lo potea ben far, perche era buona
con
tutte l'arme, o sia a cavallo o a piede.
Amon,
che contrastar con la Corona
non
può né vuole, al fin sforzato cede;
e
ritornare a corte si consiglia,
dopo
molti discorsi, egli e la figlia.
Ancor
che sdegno e colera la madre
contra
la figlia avea, pur per suo onore
vesti
le fece far ricche e leggiadre
a
varie fogge e di più d'un colore.
Bradamante
alla corte andò col padre;
e
quando quivi non trovò il suo amore,
più
non le parve quella corte, quella
che
le solea parer già così bella.
Come
chi visto abbia, l'aprile o il maggio,
giardin
di frondi e di bei fiori adorno,
e
lo rivegga poi che il sol il raggio
all'austro
inchina, e lascia breve il giorno,
lo
trova deserto, orrido e selvaggio;
così
pare alla donna al suo ritorno,
che
da Ruggier la corte abandonata
quella
non sia, che avea al partir lasciata.
Domandar
non ardisce che ne sia,
acciò
di sé non dia maggior sospetto;
ma
pon l'orecchia, e cerca tuttavia
che
senza domandar le ne sia detto.
Si
sa che egli è partito, ma che via
pres'abbia,
non fa alcun vero concetto;
perché
partendo ad altri non fe' motto,
che
allo scudier che seco avea condotto.
Oh
come ella sospira! oh come teme,
sentendo
che se n'è come fuggito!
Oh
come sopra ogni timor le preme,
che
per porla in oblio se ne sia gito!
che
vistosi Amon contra, ed ogni speme
perduta
mai più d'esserle marito,
si
sia fatto da lei lontano, forse
così
sperando dal suo amor disciorse;
e
che fatt'abbia ancor qualche disegno,
per
più tosto levarsela dal core,
d'andar
cercando d'uno in altro regno
donna
per cui si scordi il primo amore,
come
si dice che si suol d'un legno
talor
chiodo con chiodo cacciar fuore.
Nuovo
pensier che a questo poi succede,
le
dipinge Ruggier pieno di fede;
e
lei, che dato orecchie abbia, riprende,
a
tanta iniqua suspizione e stolta.
E
così l'un pensier Ruggier difende,
l'altro
l'accusa: ed ella amenduo ascolta,
e
quando a questo e quando a quel s'apprende,
né
risoluta a questo o a quel si volta.
Pur
all'opinion più tosto corre,
che
più le giova, e la contraria aborre.
E
talor anco che le torna a mente
quel
che più volte il suo Ruggier le ha detto,
come
di grave error, si duole e pente,
che
avuto n'abbia gelosia e sospetto;
e
come fosse al suo Ruggier presente,
chiamasi
in colpa, e se ne batte il petto.
-
Ho fatto error (dice ella), e me n'aveggio;
ma
chi n'è causa, è causa ancor di peggio.
Amor
n'è causa, che nel cor m'ha impresso
la
forma tua così leggiadra e bella;
e
posto ci ha l'ardir, l'ingegno appresso,
e
la virtù di che ciascun favella;
che
impossibil mi par, che ove concesso
ne
sia il veder, che ogni donna e donzella
non
ne sia accesa, e che non usi ogni arte
di
sciorti dal mio amore e al suo legarte.
Deh
avesse Amor così nei pensier miei
il
tuo pensier, come ci ha il viso sculto!
Io
son ben certa che lo troverei
palese
tal, qual io lo stimo occulto;
e
che sì fuor di gelosia sarei,
che
ad or ad or non mi farebbe insulto;
e
dove a pena or è da me respinta,
rimarria
morta, non che rotta e vinta.
Son
simile all'avar c'ha il cor sì intento
al
suo tesoro, e sì ve l'ha sepolto,
che
non ne può lontan viver contento,
né
non sempre temer che gli sia tolto.
Ruggiero,
or può, che io non ti veggo e sento,
in
me, più de la speme, il timor molto,
il
qual ben che bugiardo e vano io creda,
non
posso far di non mi dargli in preda.
Ma
non apparirà il lume sì tosto
agli
occhi miei del tuo viso giocondo,
contra
ogni mia credenza a me nascosto,
non
so in qual parte, o Ruggier mio, del mondo,
come
il falso timor sarà deposto
da
la vera speranza e messo al fondo.
Deh
torna a me, Ruggier, torna, e conforta
la
speme che il timor quasi m'ha morta!
Come
al partir del sol si fa maggiore
l'ombra,
onde nasce poi vana paura;
e
come all'apparir del suo splendore
vien
meno l'ombra, e il timido assicura:
così
senza Ruggier sento timore;
se
Ruggier veggo, in me timor non dura.
Deh
torna a me, Ruggier, deh torna prima
che
il timor la speranza in tutto opprima!
Come
la notte ogni fiammella è viva,
e
riman spenta subito che aggiorna;
così,
quando il mio sol di sé mi priva,
mi
leva incontra il rio timor le corna:
ma
non sì tosto all'orizzonte arriva,
che
il timor fugge, e la speranza torna.
Deh
torna a me, deh torna, o caro lume,
e
scaccia il rio timor che mi consume!
Se
il sol si scosta, e lascia i giorni brevi,
quanto
di bello avea la terra asconde;
fremono
i venti, e portan ghiacci e nievi;
non
canta augel, né fior si vede o fronde:
così,
qualora avvien che da me levi,
o
mio bel sol, le tue luci gioconde,
mille
timori, e tutti iniqui, fanno
un
aspro verno in me più volte l'anno.
Deh
torna a me, mio sol, torna, e rimena
la
desiata dolce primavera!
Sgombra
i ghiacci e le nievi, e rasserena
la
mente mia sì nubilosa e nera. -
Qual
Progne si lamenta o Filomena
che
a cercar esca ai figliolini ita era,
e
trova il nido voto; o qual si lagna
turture
c'ha perduto la compagna:
tal
Bradamante si dolea, che tolto
le
fosse stato il suo Ruggier temea,
di
lacrime bagnando spesso il volto,
ma
più celatamente che potea.
Oh
quanto, quanto si dorria più molto,
s'ella
sapesse quel che non sapea,
che
con pena e con strazio il suo consorte
era
in prigion, dannato a crudel morte!
La
crudeltà che usa l'iniqua vecchia
contra
il buon cavallier che preso tiene,
e
che di dargli morte s'apparecchia
con
nuovi strazi e non usate pene,
la
superna Bontà fa che all'orecchia
del
cortese figliuol di Cesar viene;
e
che gli mette in cor, come l'aiute,
e
non lasci perir tanta virtute.
Il
cortese Leon che Ruggiero ama
(non
che sappi però che Ruggier sia),
mosso
da quel valor che unico chiama,
e
che gli par che soprumano sia,
molto
fra sé discorre, ordisce e trama,
e
di salvarlo al fin trova la via,
in
guisa che da lui la zia crudele
offesa
non si tenga e si querele.
Parlò
in secreto a chi tenea la chiave
de
la prigione; e che volea, gli disse,
vedere
il cavallier pria che sì grave
sentenza,
contra lui data, seguisse.
Giunta
la notte, un suo fedel seco have
audace
e forte, ed atto a zuffe e a risse;
e
fa che il castellan, senz'altrui dire
che
egli fosse Leon, gli viene aprire.
Il
castellan, senza che alcun de' sui
seco
abbia, occultamente Leon mena
col
compagno alla torre ove ha colui
che
si serba all'estrema d'ogni pena.
Giunti
là dentro, gettano amendui
al
castellan che volge lor la schena
per
aprir lo sportello, al collo un laccio,
e
subito gli dan l'ultimo spaccio.
Apron
la cataratta, onde sospeso
al
canape, ivi a tal bisogno posto,
Leon
si cala, e in mano ha un torchio acceso,
là
dove era Ruggier dal sol nascosto.
Tutto
legato, e s'una grata steso
lo
trova, all'acqua un palmo e men discosto.
L'avria
in un mese e in termine più corto,
per
sé, senz'altro aiuto, il luogo morto.
Leon
Ruggier con gran pietade abbraccia,
e
dice: - Cavallier, la tua virtude
indissolubilmente
a te m'allaccia
di
voluntaria eterna servitute;
e
vuol che più il tuo ben, che il mio, mi piaccia,
né
curi per la tua la mia salute,
e
che la tua amicizia al padre e a quanti
parenti
io m'abbia al mondo, io metta inanti.
Io
son Leone, acciò tu intenda, figlio
di
Costantin, che vengo a darti aiuto,
come
vedi, in persona, con periglio
(se
mai dal padre mio sarà saputo)
d'esser
cacciato, o con turbato ciglio
perpetuamente
esser da lui veduto;
che
per la gente la qual rotta e morta
da
te gli fu a Belgrado, odio ti porta. -
E
seguitò, più cose altre dicendo
da
farlo ritornar da morte a vita;
e
lo vien tuttavolta disciogliendo.
Ruggier
gli dice: - Io v'ho grazia infinita;
e
questa vita che or mi date, intendo
che
sempremai vi sia restituita,
che
la vogliate riavere, ed ogni
volta
che per voi spenderla bisogni. -
Ruggier
fu tratto di quel loco oscuro,
e
in vece sua morto il guardian rimase;
né
conosciuto egli né gli altri furo.
Leon
menò Ruggiero alle sue case,
ove
a star seco tacito e sicuro
per
quattro o per sei dì gli persuase;
che
riaver l'arme e il destrier gagliardo
gli
faria intanto, che gli tolse Ungiardo.
Ruggier
fuggito, il suo guardian strozzato
si
trova il giorno, e aperta la prigione.
Chi
quel, chi questo pensa che sia stato;
ne
parla ognun, né però alcun s'appone.
Ben
di tutti gli altri uomini pensato
più
tosto si saria, che di Leone;
che
pare a molti che avria causa avuto
di
farne strazio, e non di dargli aiuto.
Riman
di tanta cortesia Ruggiero
confuso
sì, sì pien di maraviglia,
e
tramutato sì da quel pensiero
che
quivi tratto l'avea tante miglia,
che
mettendo il secondo col primiero,
né
a questo quel, né questo a quel simiglia.
Il
primo tutto era odio, ira e veneno;
di
pietade è il secondo e d'amor pieno.
Molto
la notte e molto il giorno pensa,
d'altro
non cura ed altro non disia,
che
da l'obbligazion che gli avea immensa,
sciorsi
con pari e maggior cortesia.
Gli
par, se tutta sua vita dispensa
in
lui servire, o breve o lunga sia,
e
se s'espone a mille morti certe,
non
gli può tanto far, che più non merte.
Venuta
quivi intanto era la nuova
del
bando che avea fatto il re di Francia,
che
chi vuol Bradamante, abbia a far prova
con
lei di forza, con spada e con lancia.
Questo
udir a Leon sì poco giova,
che
se gli vede impallidir la guancia;
perché,
come uom che le sue forze ha note,
sa
che a lei pare in arme esser non puote.
Fra
sé discorre, e vede che supplire
può
con l'ingegno, ove il vigor sia manco,
facendo
con sue insegne comparire
questo
guerrier di cui non sa il nome anco;
che
di possanza iudica e d'ardire
poter
star contra a qualsivoglia Franco:
e
crede ben, s'a lui ne dà l'impresa,
che
ne fia vinta Bradamante e presa.
Ma
due cose ha da far: l'una, disporre
il
cavallier, che questa impresa accetti;
l'altra,
nel campo in vece sua lui porre
in
modo che non sia chi ne sospetti.
A
sé lo chiama, e il caso gli discorre,
e
pregal poi con efficaci detti,
che
egli sia quel che a questa pugna vegna
col
nome altrui, sotto mentita insegna.
L'eloquenza
del Greco assai potea;
ma
più de l'eloquenza potea molto
l'obbligo
grande che Ruggier gli avea,
da
mai non ne dovere essere isciolto:
sì
che quantunque duro gli parea,
e
non possibil quasi; pur con volto,
più
che con cor giocondo, gli rispose
che
era per far per lui tutte le cose.
Ben
che da fier dolor, tosto che questa
parola
ha detta, il cor ferir si senta,
che
giorno e notte e sempre lo molesta,
sempre
l'affligge e sempre lo tormenta,
e
vegga la sua morte manifesta;
pur
è mai per dir che se ne penta;
che
prima che a Leon non ubbidire,
mille
volte, non che una, è per morire.
Ben
certo è di morir; perché, se lascia
la
donna, ha da lasciar la vita ancora:
o
che l'accorerà il duolo e l'ambascia;
o
se il duolo e l'ambascia non l'accora,
con
le man proprie squarcerà la fascia
che
cinge l'alma, e ne la trarrà fuora;
che
ogni altra cosa più facil gli fia,
che
poter lei veder, che sua non sia.
Gli
è di morir disposto; ma che sorte
di
morte voglia far, non sa dir anco.
Pensa
talor di fingersi men forte,
e
porger nudo alla donzella il fianco;
che
non fu mai la più beata morte,
che
se per man di lei venisse manco.
Poi
vede, se per lui resta che moglie
sia
di Leon, che l'obbligo non scioglie:
perché
ha promesso contra Bradamante
entrare
in campo a singular battaglia;
non
simulare, e farne sol sembiante,
sì
che Leon di lui poco si vaglia.
Dunque
starà nel detto suo costante;
e
ben che or questo or quel pensier l'assaglia,
tutti
li scaccia, e solo a questo cede,
il
qual l'esorta a non mancar di fede.
Avea
già fatto apparecchiar Leone,
con
licenza del patre Costantino,
arme
e cavalli, e un numer di persone
qual
gli convenne, e entrato era in camino;
e
seco avea Ruggiero, a cui le buone
arme
avea fatto rendere e Frontino:
e
tanto un giorno e un altro e un altro andaro
che
in Francia ed a Parigi si trovaro.
Non
volse entrar Leon ne la cittate,
e
i padiglioni alla campagna tese;
e
fe' il medesmo dì per imbasciate,
che
di sua giunta il re di Francia intese.
L'ebbe
il re caro; e gli fu più fiate,
donando
e visitandolo, cortese.
De
la venuta sua la cagion disse
Leone,
e lo pregò che l'espedisse:
che
entrar facesse in campo la donzella
che
marito non vuol di lei men forte;
quando
venuto era per fare o che ella
moglier
gli fosse, o che gli desse morte.
Carlo
tolse l'assunto, e fece quella
comparir
l'altro dì fuor de le porte,
ne
lo steccato che la notte sotto
all'alte
mura fu fatto di botto.
La
notte che andò inanzi al terminato
giorno
de la battaglia, Ruggiero ebbe
simile
a quella che suole il dannato
aver,
che la matina morir debbe.
Eletto
avea combatter tutto armato,
perche
esser conosciuto non vorrebbe;
né
lancia né destriero adoprar volse,
né,
fuor che il brando, arme d'offesa tolse.
Lancia
non tolse; non perché temesse
di
quella d'or, che fu de l'Argalia,
e
poi d'Astolfo a cui costei successe,
che
far gli arcion votar sempre solia:
perché
nessun, che ella tal forza avesse,
o
fosse fatta per negromanzia,
avea
saputo, eccetto quel re solo
che
far la fece e la donò al figliuolo.
Anzi
Astolfo e la donna, che portata
l'aveano
poi, credean che non l'incanto,
ma
la propria possanza fosse stata,
che
dato loro in giostra avesse il vanto;
e
che con ogni altra asta che incontrata
fosse
da lor, farebbono altretanto.
La
cagion sola, che Ruggier non giostra,
è
per non far del suo Frontino mostra:
che
lo potria la donna facilmente
conoscer,
se da lei fosse veduto;
però
che cavalcato, e lungamente
in
Montalban l'avea seco tenuto.
Ruggier
che solo studia e solo ha mente
come
da lei non sia riconosciuto,
né
vuol Frontin, né vuol cos'altra avere,
che
di far di sé indizio abbia potere.
A
questa impresa un'altra spada volle;
che
ben sapea che contra a Balisarda
saria
ogn'osbergo, come pasta, molle;
che
alcuna tempra quel furor non tarda:
e
tutto il taglio anco a quest'altra tolle
con
un martello, e la fa men gagliarda.
Con
quest'arme Ruggiero al primo lampo
che
apparve all'orizzonte, entrò nel campo.
E
per parer Leon, le sopraveste
che
dianzi ebbe Leon, s'ha messe indosso;
e
l'aquila de l'or con le due teste
porta
dipinta ne lo scudo rosso.
E
facilmente si potean far queste
finzion;
che era ugualmente grande e grosso
l'un
come l'altro. Appresentossi l'uno;
l'altro
non si lasciò veder d'alcuno.
Era
la voluntà de la donzella
da
quest'altra diversa di gran lunga;
che,
se Ruggier su la spada martella
per
rintuzzarla, che non tagli o punga,
la
sua la donna aguzza, e brama che ella
entri
nel ferro, e sempre al vivo giunga,
anzi
ogni colpo sì ben tagli e fore,
che
vada sempre a ritrovargli il core.
Qual
su le mosse il barbaro si vede,
che
il cenno del partir fugoso attende,
né
qua né là poter fermare il piede,
gonfiar
le nare, e che l'orecchie tende;
tal
l'animosa donna che non crede
che
questo sia Ruggier con chi contende,
aspettando
la tromba, par che fuoco
ne
le vene abbia, e non ritrovi loco.
Qual
talor, dopo il tuono, orrido vento
subito
segue, che sozzopra volve
l'ondoso
mare, e leva in un momento
da
terra fin al ciel l'oscura polve;
fuggon
le fiere, e col pastor l'armento;
l'aria
in grandine e in pioggia si risolve;
udito
il segno la donzella, tale
stringe
la spada, e il suo Ruggiero assale.
Ma
non più quercia antica, o grosso muro
di
ben fondata torre a borea cede,
né
più all'irato mar lo scoglio duro,
che
d'ogni intorno il dì e la notte il fiede;
che
sotto l'arme il buon Ruggier sicuro,
che
già al troiano Ettòr Vulcano diede,
ceda
all'odio e al furor che lo tempesta
or
ne' fianchi, or nel petto, or ne la testa.
Quando
di taglio la donzella, quando
mena
di punta; e tutta intenta mira
ove
cacciar tra ferro e ferro il brando,
sì
che si sfoghi e disacerbi l'ira.
Or
da un lato, or da un altro il va tentando;
quando
di qua, quando di là s'aggira;
e
si rode e si duol che non le avegna
mai
fatta alcuna cosa che disegna.
Come
chi assedia una città che forte
sia
di buon fianchi e di muraglia grossa,
spesso
l'assalta, or vuol batter le porte,
or
l'alte torri, or atturar la fossa;
e
pone indarno le sue genti a morte,
né
via sa ritrovar che entrar vi possa:
così
molto s'affanna e si travaglia,
né
può la donna aprir piastra né maglia.
Quando
allo scudo e quando al buon elmetto,
quando
all'osbergo fa gittar scintille
con
colpi che alle braccia, al capo, al petto
mena
dritti e riversi, e mille e mille,
e
spessi più, che sul sonante tetto
la
grandine far soglia de le ville.
Ruggier
sta su l'avviso, e si difende
con
gran destrezza, e lei mai non offende.
Or
si ferma, or volteggia, or si ritira,
e
con la man spesso accompagna il piede.
Porge
or lo scudo, ed or la spada gira
ove
girar la man nimica vede.
O
lei non fere, o se la fere, mira
ferirla
in parte ove men nuocer crede.
La
donna, prima che quel dì s'inchine,
brama
di dare alla battaglia fine.
Si
ricordò del bando, e si ravvide
del
suo periglio, se non era presta;
che
se in un dì non prende o non uccide
il
suo domandator, presa ella resta.
Era
già presso ai termini d'Alcide
per
attuffar nel mar Febo la testa,
quando
ella cominciò di sua possanza
a
difidarsi, e perder la speranza.
Quanto
mancò più la speranza, crebbe
tanto
più l'ira, e radoppiò le botte;
che
pur quell'arme rompere vorrebbe,
che
in tutto un dì non avea ancora rotte:
come
colui che al lavorio che debbe,
sia
stato lento, e già vegga esser notte,
s'affretta
indarno, si travaglia e stanca,
fin
che la forza a un tempo e il dì gli manca.
O
misera donzella, se costui
tu
conoscessi, a cui dar morte brami,
se
lo sapessi esser Ruggier, da cui
de
la tua vita pendono li stami;
so
ben che uccider te, prima che lui,
vorresti;
che di te so che più l'ami:
e
quando lui Ruggiero esser saprai,
di
questi colpi ancor, so, ti dorrai.
Carlo
e molt'altri seco, che Leone
esser
costui credeansi, e non Ruggiero,
veduto
come in arme, al paragone
di
Bradamante, forte era e leggiero;
e,
senza offender lei, con che ragione
difender
si sapea; mutan pensiero,
e
dicon: - Ben convengono amendui;
che
egli è di lei ben degno, ella di lui. -
Poi
che Febo nel mar tutt'è nascoso,
Carlo,
fatta partir quella battaglia,
giudica
che la donna per suo sposo
prenda
Leon, ne ricusar lo vaglia.
Ruggier,
senza pigliar quivi riposo,
senz'elmo
trarsi o alleggierirsi maglia,
sopra
un picciol ronzin torna in gran fretta
ai
padiglioni ove Leon l'aspetta.
Gittò
Leone al cavallier le braccia
duo
volte e più fraternamente al collo;
e
poi, trattogli l'elmo da la faccia,
di
qua e di là con grande amor baciollo.
-
Vo' (disse) che di me sempre tu faccia
come
ti par; che mai trovar satollo
non
mi potrai, che me e lo stato mio
spender
tu possa ad ogni tuo disio.
Né
veggo ricompensa che mai questa
obligazion
che io t'ho, possi disciorre;
e
non, s'ancora io mi levi di testa
la
mia corona, e a te la venghi a porre. -
Ruggier,
di cui la mente ange e molesta
alto
dolore, e che la vita aborre,
poco
risponde, e l'insegne gli rende,
che
n'avea aute, e il suo liocorno prende.
E
stanco dimostrandosi e svogliato,
più
tosto che poté, da lui levosse;
ed
al suo alloggiamento ritornato,
poi
che fu mezzanotte, tutto armosse;
e
sellato il destrier, senza commiato,
e
senza che d'alcun sentito fosse,
sopra
vi salse, e si drizzò al camino
che
più piacer gli parve al suo Frontino.
Frontino
or per via dritta or per via torta,
quando
per selve e quando per campagna
il
suo signor tutta la notte porta,
che
non cessa un momento che non piagna:
chiama
la morte, e in quella si conforta,
che
l'ostinata doglia sola fragna;
né
vede, altro che morte, chi finire
possa
l'insopportabil suo martire.
-
Di chi mi debbo, ohimè! (dicea) dolere,
che
così m'abbia a un punto ogni ben tolto?
Deh,
s'io non vo' l'ingiuria sostenere
senza
vendetta, incontra a cui mi volto?
Fuor
che me stesso, altri non so vedere,
che
m'abbia offeso ed in miseria volto.
Io
m'ho dunque di me contra a me stesso
da
vendicar, c'ho tutto il mal commesso.
Pur,
quando io avessi fatto solamente
a
me l'ingiuria, a me forse potrei
donar
perdon, se ben difficilmente;
anzi
vo' dir che far non lo vorrei:
or
quanto, poi che Bradamante sente
meco
l'ingiuria ugual, men lo farei?
Quando
bene a me ancora io perdonassi,
lei
non convien che invendicata lassi.
Per
vendicar lei dunque debbo e voglio
ogni
modo morir, né ciò mi pesa;
che
altra cosa non so che al mio cordoglio,
fuor
che la morte, far possa difesa.
Ma
sol, che allora io non morio, mi doglio,
che
fatto ancora io non le aveva offesa.
Oh
me felice, s'io moriva allora
che
era prigion de la crudel Teodora!
Se
ben m'avesse ucciso, tormentato
prima
ad arbitrio di sua crudeltade,
da
Bradamante almeno avrei sperato
di
ritrovare al mio caso pietade.
Ma
quando ella saprà che avrò più amato
Leon
di lei, e di mia volontade
io
me ne sia, perche egli l'abbia, privo;
avrà
ragion d'odiarmi e morto e vivo. -
Questo
dicendo e molte altre parole
che
sospiri accompagnano e singulti,
si
trova all'apparir del nuovo sole
fra
scuri boschi, in luoghi strani e inculti;
e
perché è disperato, e morir vuole,
e,
più che può, che il suo morir s'occulti,
questo
luogo gli par molto nascosto,
ed
atto a far quant'ha di sé disposto.
Entra
nel folto bosco, ove più spesse
l'ombrose
frasche e più intricate vede;
ma
Frontin prima al tutto sciolto messe
da
sé lontano, e libertà gli diede.
-
O mio Frontin (gli disse), s'a me stesse
di
dare a' merti tuoi degna mercede,
avresti
a quel destrier da invidiar poco,
che
volò al cielo, e fra le stelle ha loco.
Cillaro,
so, non fu, non fu Arione
di
te miglior, né meritò più lode;
né
alcun altro destrier di cui menzione
fatta
da' Greci o da' Latini s'ode.
Se
ti fur par ne l'altre parti buone,
di
questa so che alcun di lor non gode,
di
potersi vantar che avuto mai
abbia
il pregio e l'onor che tu avuto hai;
poi
che alla più che mai sia stata o sia
donna
gentile e valorosa e bella
sì
caro stato sei, che ti nutria,
e
di sua man ti ponea freno e sella.
Caro
eri alla mia donna: ah perché mia
la
dirò più, se mia non è più quella?
s'io
l'ho donata ad altri? Ohimè! che cesso
di
volger questa spada ora in me stesso?
Se
Ruggier qui s'affligge e si tormenta,
e
le fere e gli augelli a pietà muove
(che
altri non è che questi gridi senta
né
vegga il pianto che nel sen gli piove),
non
dovete pensar che più contenta
Bradamante
in Parigi si ritrove,
poi
che scusa non ha che la difenda,
o
più l'indugi, che Leon non prenda.
Ella,
prima che avere altro consorte
che
il suo Ruggier, vuol far ciò che può farsi;
mancar
del detto suo; Carlo e la corte,
i
parenti e gli amici inimicarsi:
e
quando altro non possa, al fin la morte
o
col veneno o con la spada darsi;
che
le par meglio assai non esser viva,
che,
vivendo, restar di Ruggier priva.
-
Deh, Ruggier mio (dicea), dove sei gito?
Puote
esser che tu sia tanto discosto,
che
tu non abbi questo bando udito,
a
nessun altro, fuor che a te, nascosto?
Se
tu il sapesse, io so che comparito
nessun
altro saria di te più tosto.
Misera
me! che altro pensar mi deggio,
se
non quel che pensar si possa peggio?
Come
è, Ruggier, possibil che tu solo
non
abbi quel che tutto il mondo ha inteso?
Se
inteso l'hai, né sei venuto a volo,
come
esser può che non sii morto o preso?
Ma
chi sapesse il ver, questo figliuolo
di
Costantin t'avrà alcun laccio teso;
il
traditor t'avrà chiusa la via,
acciò
prima di lui tu qui non sia.
Da
Carlo impetrai grazia, che a nessuno
men
di me forte avessi ad esser data,
con
credenza che tu fossi quell'uno
a
cui star contra io non potessi armata.
Fuor
che te solo, io non stimava alcuno:
ma
de l'audacia mia m'ha Dio pagata;
poi
che costui che mai più non fe' impresa
d'onore
in vita sua, così m'ha presa.
Se
però presa son per non avere
uccider
lui né prenderlo potuto;
il
che non mi par giusto; né al parere
mai
son per star, che in questo ha Carlo avuto.
So
che incostante io mi farò tenere,
se
da quel c'ho già detto ora mi muto;
ma
né la prima son né la sezzaia,
la
qual paruta sia incostante, e paia.
Basti
che nel servar fede al mio amante,
d'ogni
scoglio più salda mi ritrovi,
e
passi in questo di gran lunga quante
mai
furo ai tempi antichi, o sieno ai nuovi.
Che
nel resto mi dichino incostante,
non
curo, pur che l'incostanza giovi:
pur
che io non sia di costui torre astretta,
volubil
più che foglia anco sia detta. -
Queste
parole ed altre, che interrotte
da
sospiri e da pianti erano spesso,
seguì
dicendo tutta quella notte
che
all'infelice giorno venne appresso.
Ma
poi che dentro alle cimerie grotte
con
l'ombre sue Notturno fu rimesso,
il
ciel, che eternamente avea voluto
farla
di Ruggier moglie, le diè aiuto.
Fe'
la mattina la donzella altiera
Marfisa
inanzi a Carlo comparire,
dicendo
che al fratel suo Ruggier era
fatto
gran torto, e nol volea patire,
che
gli fosse levata la mogliera,
né
pure una parola gliene dire:
e
contra chi si vuol di provar toglie,
che
Bradamante di Ruggiero è moglie.
E
inanzi agli altri, a lei provar lo vuole,
quando
pur di negarlo fosse ardita,
che
in sua presenza ella ha quelle parole
dette
a Ruggier, che fa chi si marita;
e
con la cerimonia che si suole,
già
sì tra lor la cosa è stabilita,
che
più di sé non possono disporre,
né
l'un l'altro lasciar, per altri torre.
Marfisa,
o il vero o il falso che dicesse,
pur
lo dicea, ben credo con pensiero,
perché
Leon più tosto interrompesse
a
dritto e a torto, che per dire il vero,
e
che di volontade lo facesse
di
Bradamante, che a riaver Ruggiero
ed
escluder Leon, né la più onesta
né
la più breve via vedea di questa.
Turbato
il re di questa cosa molto,
Bradamante
chiamar fa immantinente;
e
quanto di provar Marfisa ha tolto,
le
fa sapere, ed ecci Amon presente.
Tien
Bradamante chino a terra il volto,
e
confusa non niega né consente,
in
guisa che comprender di leggiero
si
può che Marfisa abbia detto il vero.
Piace
a Rinaldo, e piace a quel d'Anglante
tal
cosa udir, che esser potrà cagione
che
il parentado non andrà più inante,
che
già conchiuso aver credea Leone;
e
pur Ruggier la bella Bradamante
mal
grado avrà de l'ostinato Amone;
e
potran senza lite, e senza trarla
di
man per forza al padre, a Ruggier darla.
Che
se tra lor queste parole stanno,
la
cosa è ferma, e non andrà per terra,
così
atterràn quel che promesso gli hanno,
più
onestamente e senza nuova guerra.
-
Questo è (diceva Amon), questo è un inganno
contra
me ordito: ma il pensier vostro erra;
che
ancor che fosse ver quanto voi finto
tra
voi v'avete, io non son però vinto.
Che
prosupposto (che né ancor confesso,
né
vo' credere ancor) che abbia costei
scioccamente
a Ruggier così promesso,
come
voi dite, e Ruggiero abbia a lei;
quando
e dove fu questo? che più espresso,
più
chiaro e piano intenderlo vorrei.
Stato
so che non è, se non è stato
prima
che Ruggier fosse battezzato.
Ma
se gli è stato inanzi che cristiano
fosse
Ruggier, non vo' che me ne caglia;
che
essendo ella fedele, egli pagano,
non
crederò che il matrimonio vaglia.
Non
si debbe per questo essere invano
posto
al risco Leon de la battaglia;
né
il nostro imperator credo vogli anco
venir
del detto suo per questo manco.
Quel
che or mi dite, era da dirmi quando
era
intera la cosa, né ancor fatto
a
prieghi costei Carlo avea il bando
che
qui Leone alla battaglia ha tratto. -
Così
contra Rinaldo e contra Orlando
Amon
dicea, per rompere il contratto
fra
quei duo amanti; e Carlo stava a udire,
né
per l'un né per l'altro volea dire.
Come
si senton, s'austro o borea spira,
per
l'alte selve murmurar le fronde;
o
come soglion, s'Eolo s'adira
contra
Nettunno, al lito fremer l'onde:
così
un rumor che corre e che s'aggira,
e
che per tutta Francia si difonde,
di
questo dà da dire e da udir tanto,
che
ogni altra cosa è muta in ogni canto.
Chi
parla per Ruggier, chi per Leone;
ma
la più parte è con Ruggiero in lega:
son
dieci e più per un che n'abbia Amone.
L'imperator
né qua né là si piega;
ma
la causa rimette alla ragione,
ed
al suo parlamento la delega.
Or
vien Marfisa, poi che è diferito
lo
sponsalizio, e pon nuovo partito;
e
dice: - Con ciò sia che esser non possa
d'altri
costei, fin che il fratel mio vive;
se
Leon la vuol pur, suo ardire e possa
adopri
sì, che lui di vita prive:
e
chi manda di lor l'altro alla fossa,
senza
rivale al suo contento arrive. -
Tosto
Carlo a Leon fa intender questo,
come
anco intender gli avea fatto il resto.
Leon
che, quando seco il cavalliero
del
liocorno sia, si tien sicuro
di
riportar vittoria di Ruggiero,
né
gli abbia alcun assunto a parer duro;
non
sappiendo che l'abbia il dolor fiero
tratto
nel bosco solitario e oscuro,
ma
che, per tornar tosto, uno o due miglia
sia
andato a spasso, il mal partito piglia.
Ben
se ne pente in breve; che colui
del
qual più del dover si promettea,
non
comparve quel dì, né gli altri dui
che
lo seguir, né nuova se n'avea;
e
tor questa battaglia senza lui
contra
Ruggier, sicur non gli parea:
mandò,
per schivar dunque danno e scorno,
per
trovar il guerrier dal liocorno.
Per
cittadi mandò, ville e castella,
d'appresso
e da lontan, per ritrovarlo;
né
contento di questo, montò in sella
egli
in persona, e si pose a cercarlo.
Ma
non n'avrebbe avuto già novella,
né
l'avria avuta uom di quei di Carlo,
se
non era Melissa che fe' quanto
mi
serbo a farvi udir ne l'altro canto.
CANTO
QUARANTASEIESIMO
Or,
se mi mostra la mia carta il vero,
non
è lontano a discoprirsi il porto;
sì
che nel lito i voti scioglier spero
a
chi nel mar per tanta via m'ha scorto;
ove,
o di non tornar col legno intero,
o
d'errar sempre, ebbi già il viso smorto.
Ma
mi par di veder, ma veggo certo,
veggo
la terra, e veggo il lito aperto.
Sento
venir per allegrezza un tuono
che
fremer l'aria e rimbombar fa l'onde:
odo
di squille, odo di trombe un suono
che
l'alto popular grido confonde.
Or
comincio a discernere chi sono
questi
che empion del porto ambe le sponde.
Par
che tutti s'allegrino che io sia
venuto
a fin di così lunga via.
Oh
di che belle e sagge donne veggio,
oh
di che cavallieri il lito adorno!
Oh
di che amici, a chi in eterno deggio
per
la letizia c'han del mio ritorno!
Mamma
e Ginevra e l'altre da Correggio
veggo
del molo in su l'estremo corno:
Veronica
da Gambera è con loro,
sì
grata a Febo e al santo aonio coro.
Veggo
un'altra Genevra, pur uscita
del
medesmo sangue, e Iulia seco;
veggo
Ippolita Sforza, e la notrita
Damigella
rivulzia al sacro speco:
veggo
te, Emilia Pia, te, Margherita,
che
Angela Borgia e Graziosa hai teco.
Con
Ricciarda da Este ecco le belle
Bianca
e Diana, e l'altre lor sorelle.
Ecco
la bella, ma più saggia e onesta,
Barbara
Turca, e la compagna è Laura:
non
vede il sol di più bontà di questa
coppia
da l'Indo all'estrema onda maura.
Ecco
Genevra che la Malatesta
casa
col suo valor sì ingemma e inaura,
che
mai palagi imperiali o regi
non
ebbon più onorati e degni fregi.
S'a
quella etade ella in Arimino era,
quando
superbo de la Gallia doma
Cesar
fu in dubbio, s'oltre alla riviera
dovea
passando inimicarsi Roma;
crederò
che piegata ogni bandiera,
e
scarca di trofei la ricca soma,
tolto
avria leggi e patti a voglia d'essa,
né
forse mai la libertade oppressa.
Del
mio signor di Bozolo la moglie,
la
madre, le sirocchie e le cugine,
e
le Torelle con le Bentivoglie,
e
le Visconte e le Palavigine;
ecco
qui a quante oggi ne sono, toglie,
e
a quante o greche o barbere o latine
ne
furon mai, di quai la fama s'oda,
di
grazia e di beltà la prima loda,
Iulia
Gonzaga, che dovunque il piede
volge,
e dovunque i sereni occhi gira,
non
pur ogn'altra di beltà le cede,
ma,
come scesa dal ciel dea, l'ammira.
La
cognata è con lei, che di sua fede
non
mosse mai, perché l'avesse in ira
Fortuna
che le fe' lungo contrasto.
Ecco
Anna d'Aragon, luce del Vasto;
Anna,
bella, gentil, cortese e saggia,
di
castità, di fede e d'amor tempio.
La
sorella è con lei, che ove ne irraggia
l'alta
beltà, ne pate ogn'altra scempio.
Ecco
chi tolto ha da la scura spiaggia
di
Stige, e fa con non più visto esempio,
mal
grado de le Parche e de la Morte,
splender
nel ciel l'invitto suo consorte.
Le
Ferrarese mie qui sono, e quelle
de
la corte d'Urbino; e riconosco
quelle
di Mantua, e quante donne belle
ha
Lombardia, quante il paese tosco.
Il
cavallier che tra lor viene, e che elle
onoran
sì, s'io non ho l'occhio losco,
da
la luce offuscato de' bei volti,
è
il gran lume aretin, l'Unico Accolti.
Benedetto,
il nipote, ecco là veggio,
c'ha
purpureo il capel, purpureo il manto,
col
cardinal di Mantua e col Campeggio,
gloria
e splendor del consistorio santo:
e
ciascun d'essi noto (o che io vaneggio)
al
viso e ai gesti rallegrarsi tanto
del
mio ritorno, che non facil parmi
che
io possa mai di tanto obligo trarmi.
Con
lor Lattanzio e Claudio Tolomei,
e
Paulo Pansa e il Dresino e Latino
Iuvenal
parmi, e i Capilupi miei,
e
il Sasso e il Molza e Florian Montino;
e
quel che per guidarci ai rivi ascrei
mostra
piano e più breve altro camino,
Iulio
Camillo; e par che anco io ci scerna,
Marco
Antonio Flaminio, il Sanga, il Berna.
Ecco
Alessandro, il mio signor, Farnese:
oh
dotta compagnia che seco mena!
Fedro,
Capella, Porzio, il bolognese
Filippo,
il Volterano, il Madalena,
Blosio,
Pierio, il Vida cremonese,
d'alta
facondia inessicabil vena,
e
Lascari e Mussuro e Navagero,
e
Andrea Marone e il monaco Severo.
Ecco
altri duo Alessandri in quel drappello,
dagli
Orologi l'un, l'altro il Guarino.
Ecco
Mario d'Olvito, ecco il flagello
de'
principi, il divin Pietro Aretino.
Duo
Ieronimi veggo, l'uno è quello
di
Veritade, e l'altro il Cittadino.
Veggo
il Mainardo, veggo il Leoniceno,
il
Pannizzato, e Celio e il Teocreno.
Là
Bernardo Capel, là veggo Pietro
Bembo,
che il puro e dolce idioma nostro,
levato
fuor del volgare uso tetro,
quale
esser dee, ci ha col suo esempio mostro.
Guasparro
Obizi è quel che gli vien dietro,
che
ammira e osserva il sì ben speso inchiostro.
Io
veggo il Fracastorio, il Bevazano,
Trifon
Gabriele, e il Tasso più lontano.
Veggo
Nicolò Tiepoli, e con esso
Nicolò
Amanio in me affissar le ciglia;
Anton
Fulgoso che a vedermi appresso
al
lito mostra gaudio e maraviglia.
Il
mio Valerio è quel che là s'è messo
fuor
de le donne; e forse si consiglia
col
Barignan c'ha seco, come, offeso
sempre
da lor, non ne sia sempre acceso.
Veggo
sublimi e soprumani ingegni
di
sangue e d'amor giunti, il Pico e il Pio.
Colui
che con lor viene, e da' più degni
ha
tanto onor, mai più non conobbi io;
ma,
se me ne fur dati veri segni,
è
l'uom che di veder tanto desio,
Iacobo
Sanazar, che alle Camene
lasciar
fa i monti ed abitar l'arene.
Ecco
il dotto, il fedele, il diligente
secretario
Pistofilo, che insieme
con
gli Acciaiuoli e con l'Angiar mio sente
piacer,
che più del mar per me non teme.
Annibal
Malaguzzo, il mio parente,
veggo
con l'Adoardo, che gran speme
mi
dà, che ancor del mio nativo nido
udir
farà da Calpe agli Indi il grido.
Fa
Vittor Fausto, fa il Tancredi festa
di
rivedermi, e la fanno altri cento.
Veggo
le donne e gli uomini di questa
mia
ritornata ognun parer contento.
Dunque,
a finir la breve via che resta,
non
sia più indugio, or che ho propizio il vento;
e
torniamo a Melissa, e con che aita
salvò,
diciamo, al buon Ruggier la vita.
Questa
Melissa, come so che detto
v'ho
molte volte, avea sommo desire
che
Bradamante con Ruggier di stretto
nodo
s'avesse in matrimonio a unire;
e
d'ambi il bene e il male avea sì a petto,
che
d'ora in ora ne volea sentire.
Per
questo spirti avea sempre per via,
che,
quando andava l'un, l'altro venìa.
In
preda del dolor tenace e forte
Ruggier
tra le scure ombre vide posto,
il
qual di non gustar d'alcuna sorte
mai
più vivanda fermo era e disposto,
e
col digiun si volea dar la morte:
ma
fu l'aiuto di Melissa tosto;
che,
del suo albergo uscita, la via tenne
ove
in Leone ad incontrar si venne:
il
qual mandato, l'uno a l'altro appresso,
sua
gente avea per tutti i luoghi intorno;
e
poscia era in persona andato anche esso
per
trovare il guerrier dal liocorno.
La
saggia incantatrice, la qual messo
freno
e sella a uno spirto avea quel giorno,
e
l'avea sotto in forma di ronzino,
trovò
questo figliuol di Costantino.
-
Se de l'animo è tal la nobiltate,
qual
fuor, signor (diss'ella), il viso mostra;
se
la cortesia dentro e la bontade
ben
corrisponde alla presenza vostra,
qualche
conforto, qualche aiuto date
al
miglior cavallier de l'età nostra;
che
s'aiuto non ha tosto e conforto,
non
è molto lontano a restar morto.
Il
miglior cavallier, che spada a lato
e
scudo in braccio mai portassi o porti;
il
più bello e gentil che al mondo stato
mai
sia di quanti ne son vivi o morti,
sol
per un'alta cortesia c'ha usato,
sta
per morir, se non ha chi il conforti.
Per
Dio, signor, venite, e fate prova
s'allo
suo scampo alcun consiglio giova. -
Ne
l'animo a Leon subito cade
che
il cavallier di chi costei ragiona,
sia
quel che per trovar fa le contrade
cercare
intorno, e cerca egli in persona;
sì
che a lei dietro, che gli persuade
sì
pietosa opra, in molta fretta sprona:
la
qual lo trasse (e non fer gran camino)
ove
alla morte era Ruggier vicino.
Lo
ritrovar che senza cibo stato
era
tre giorni, e in modo lasso e vinto,
che
in piè a fatica si saria levato,
per
ricader, se ben non fosse spinto.
Giacea
disteso in terra tutto armato,
con
l'elmo in testa, e de la spada cinto;
e
guancial de lo scudo s'avea fatto,
in
che il bianco liocorno era ritratto.
Quivi
pensando quanta ingiuria egli abbia
fatto
alla donna, e quanto ingrato e quanto
isconoscente
le sia stato, arrabbia,
non
pur si duole; e se n'affligge tanto,
che
si morde le man, morde le labbia,
sparge
le guance di continuo pianto;
e
per la fantasia che v'ha sì fissa,
né
Leon venir sente né Melissa;
né
per questo interrompe il suo lamento,
né
cessano i sospir, né il pianto cessa.
Leon
si ferma, e sta ad udire intento;
poi
smonta del cavallo, e se gli appressa.
Amore
esser cagion di quel tormento
conosce
ben; ma la persona espressa
non
gli è, per cui sostien tanto martire;
che
anco Ruggier non glie l'ha fatto udire.
Più
inanzi, e poi più inanzi i passi muta,
tanto
che se gli accosta a faccia a faccia;
e
con fraterno affetto lo saluta,
e
se gli china a lato, e al collo abbraccia.
Io
non so quanto ben questa venuta
di
Leone improvisa a Ruggier piaccia;
che
teme che lo turbi e gli dia noia,
e
se gli voglia oppor, perché non muoia.
Leon
con le più dolci e più soavi
parole
che sa dir, con quel più amore
che
può mostrar, gli dice: - Non ti gravi
d'aprirmi
la cagion del tuo dolore;
che
pochi mali al mondo son sì pravi,
che
l'uomo trar non se ne possa fuore,
se
la cagion si sa; né debbe privo
di
speranza esser mai, fin che sia vivo.
Ben
mi duol che celar t'abbi voluto
da
me, che sai s'io ti son vero amico,
non
sol dipoi che io ti son sì tenuto,
che
mai dal nodo tuo non mi districo,
ma
fin allora che avrei causa avuto
d'esserti
sempre capital nimico;
e
dèi sperar che io sia per darti aita
con
l'aver, con gli amici e con la vita.
Di
meco conferir non ti rincresca
il
tuo dolore, e lasciami far prova,
se
forza, se lusinga, acciò tu n'esca,
se
gran tesor, s'arte, s'astuzia giova.
Poi,
quando l'opra mia non ti riesca,
la
morte sia che al fin te ne rimuova:
ma
non voler venir prima a quest'atto,
che
ciò che si può far, non abbi fatto. -
E
seguitò con sì efficaci prieghi,
e
con parlar sì umano e sì benigno,
che
non può far Ruggier che non si pieghi;
che
né di ferro ha il cor né di macigno,
e
vede, quando la risposta nieghi,
che
farà discortese atto e maligno.
Risponde;
ma due volte o tre s'incocca
prima
il parlar, che uscir voglia di bocca.
-
Signor mio (disse al fin), quando saprai
colui
che io son (che son per dirtel ora),
mi
rendo certo che di me sarai
non
men contento, e forse più, che io muora.
Sappi
che io son colui che sì in odio hai:
io
son Ruggier che ebbi te in odio ancora;
e
che con intenzion di porti a morte,
già
son più giorni, uscio di questa corte;
acciò
per te non mi vedessi tolta
Bradamante,
sentendo esser d'Amone
la
voluntade a tuo favor rivolta.
Ma
perché ordina l'uomo, e Dio dispone,
venne
il bisogno ove mi fe' la molta
tua
cortesia mutar d'opinione;
e
non pur l'odio che io t'avea, deposi,
ma
fe' che esser tuo sempre io mi disposi.
Tu
mi pregasti, non sapendo che io
fossi
Ruggier, che io ti facessi avere
la
donna; che altretanto saria il mio
cor
fuor del corpo, o l'anima volere.
Se
sodisfar più tosto al tuo disio,
che
al mio, ho voluto, t'ho fatto vedere.
Tua
fatta è Bradamante; abbila in pace:
molto
più che il mio bene, il tuo mi piace.
Piaccia
a te ancora, se privo di lei
mi
son, che insieme io sia di vita privo;
che
più tosto senz'anima potrei,
che
senza Bradamante restar vivo.
Appresso,
per averla tu non sei
mai
legitimamente, fin che io vivo:
che
tra noi sposalizio è già contratto,
né
duo mariti ella può avere a un tratto. -
Riman
Leon sì pien di maraviglia,
quando
Ruggiero esser costui gli è noto,
che
senza muover bocca o batter ciglia
o
mutar piè, come una statua, è immoto:
a
statua, più che ad uomo, s'assimiglia,
che
ne le chiese alcun metta per voto.
Ben
sì gran cortesia questa gli pare,
che
non ha avuto e non avrà mai pare.
E
conosciutol per Ruggier, non solo
non
scema il ben che gli voleva pria;
ma
sì l'accresce, che non men del duolo
di
Ruggiero egli, che Ruggier, patia.
Per
questo, e per mostrarsi che figliuolo
d'imperator
meritamente sia,
non
vuol, se ben nel resto a Ruggier cede,
che
in cortesia gli metta inanzi il piede.
E
dice: - Se quel dì, Ruggier, che offeso
fu
il campo mio dal valor tuo stupendo,
ancor
che io t'avea in odio, avessi inteso
che
tu fossi Ruggier, come ora intendo;
così
la tua virtù m'avrebbe preso,
come
fece anco allor, non lo sapendo;
e
così spinto dal cor l'odio, e tosto
questo
amor che io ti porto, v'avria posto.
Che
prima il nome di Ruggiero odiassi,
che
io sapessi che tu fosse Ruggiero,
non
negherò: ma che or più inanzi passi
l'odio
che io t'ebbi, t'esca del pensiero.
E
se, quando di carcere io ti trassi,
n'avesse,
come or n'ho, saputo il vero;
il
medesimo avrei fatto anco allora,
che
a benefizio tuo son per far ora.
E
s'allor volentier fatto l'avrei,
che
io non t'era, come or sono, obligato;
quant'or
più farlo debbo, che sarei,
non
lo facendo, il più d'ogn'altro ingrato;
poi
che negando il tuo voler, ti sei
privo
d'ogni tuo bene, e a me l'hai dato.
Ma
te lo rendo, e più contento sono
renderlo
a te, che aver io avuto il dono.
Molto
più a te, che a me, costei conviensi,
la
qual, ben che io per li suoi merit'ami,
non
è però, s'altri l'avrà, che io pensi,
come
tu, al viver mio romper li stami.
Non
vo' che la tua morte mi dispensi,
che
possi, sciolto che ella avrà i legami
che
son del matrimonio ora fra voi,
per
legitima moglie averla io poi.
Non
che di lei, ma restar privo voglio
di
ciò c'ho al mondo, e de la vita appresso,
prima
che s'oda mai che abbia cordoglio
per
mia cagion tal cavalliero oppresso.
De
la tua difidenza ben mi doglio;
che
tu che puoi, non men che di te stesso,
di
me dispor, più tosto abbi voluto
morir
di duol, che da me avere aiuto. -
Queste
parole ed altre suggiungendo,
che
tutte saria lungo riferire,
e
sempre le ragion redarguendo,
che
in contrario Ruggier gli potea dire;
fe'
tanto, che al fin disse: - Io mi ti rendo,
e
contento sarò di non morire.
Ma
quando ti sciorrò l'obligo mai,
ché
due volte la vita dato m'hai? -
Cibo
soave e precioso vino
Melissa
ivi portar fece in un tratto;
e
confortò Ruggier, che era vicino,
non
s'aiutando, a rimaner disfatto.
Sentito
in questo tempo avea Frontino
cavalli
quivi, e v'era accorso ratto.
Leon
pigliar da li scudieri suoi
lo
fe' e sellare, ed a Ruggier dar poi;
il
qual con gran fatica, ancor che aiuto
avesse
da Leon, sopra vi salse:
così
quel vigor manco era venuto,
che
pochi giorni inanzi in modo valse,
che
vincer tutto un campo avea potuto,
e
far quel che fe' poi con l'arme false.
Quindi
partiti, giunser, che più via
non
fer di mezza lega, a una badia:
ove
posaro il resto di quel giorno,
e
l'altro appresso, e l'altro tutto intero,
tanto
che il cavallier dal liocorno
tornato
fu nel suo vigor primiero.
Poi
con Melissa e con Leon ritorno
alla
città real fece Ruggiero,
e
vi trovò che la passata sera
l'imbasciaria
de' Bulgari giunt'era.
Che
quella nazion, la qual s'avea
Ruggiero
eletto re, quivi a chiamarlo
mandava
questi suoi, che si credea
d'averlo
in Francia appresso al magno Carlo:
perché
giurargli fedeltà volea,
e
dar di sé dominio, e coronarlo.
Lo
scudier di Ruggier, che si ritrova
con
questa gente, ha di lui dato nuova.
De
la battaglia ha detto, che in favore
de'
Bulgari a Belgrado egli avea fatta,
ove
Leon col padre imperatore
vinto,
e sua gente avea morta e disfatta;
e
per questo l'avean fatto signore,
messo
da parte ogni uomo di sua schiatta:
e
come a Novengrado era poi stato
preso
da Ungiardo, e a Teodora dato:
e
che venuta era la nuova certa,
che
il suo guardian s'era trovato ucciso,
e
lui fuggito, e la prigione aperta:
che
poi ne fosse, non v'era altro avviso.
Entrò
Ruggier per via molto coperta
ne
la città, né fu veduto in viso.
La
seguente mattina egli e il compagno
Leone
appresentossi a Carlo Magno.
S'appresentò
Ruggier con l'augel d'oro
che
nel campo vermiglio avea due teste,
e
come disegnato era fra loro,
con
le medesme insegne e sopraveste
che,
come dianzi ne la pugna foro,
eran
tagliate ancor, forate e peste;
sì
che tosto per quel fu conosciuto,
che
avea con Bradamante combattuto.
Con
ricche vesti e regalmente ornato
Leon
senz'arme a par con lui venìa;
e
dinanzi e di dietro e d'ogni lato
avea
onorata e degna compagnia.
A
Carlo s'inchinò, che già levato
se
gli era incontra; e avendo tuttavia
Ruggier
per man, nel qual intente e fisse
ognuno
avea le luci, così disse:
-
Questo è il buon cavalliero il qual difeso
s'è
dal nascer del giorno al giorno estinto;
e
poi che Bradamante o morto o preso
o
fuor non l'ha de lo steccato spinto,
magnanimo
signor, se bene inteso
ha
il vostro bando, è certo d'aver vinto,
e
d'aver lei per moglie guadagnata;
e
così viene, acciò che gli sia data.
Oltre
che di ragion, per lo tenore
del
bando, non v'ha altr'uom da far disegno:
se
s'ha da meritarla per valore,
qual
cavallier più di costui n'è degno?
s'aver
la dee chi più le porta amore,
non
è chi il passi o che arrivi al suo segno.
Ed
è qui presto contra a chi s'oppone,
per
difender con l'arme sua ragione. -
Carlo
e tutta la corte stupefatta,
questo
udendo, restò; che avea creduto
che
Leon la battaglia avesse fatta,
non
questo cavallier non conosciuto.
Marfisa,
che con gli altri quivi tratta
s'era
ad udire, e che a pena potuto
avea
tacer fin che Leon finisse
il
suo parlar, si fece inanzi e disse:
-
Poi che non c'è Ruggier, che la contesa
de
la moglier fra sé e costui discioglia;
acciò
per mancamento di difesa
così
senza rumor non se gli toglia,
io
che gli son sorella, questa impresa
piglio
contra a ciascun, sia chi si voglia,
che
dica aver ragione in Bradamante,
o
di merto a Ruggiero andare inante. -
E
con tant'ira e tanto sdegno espresse
questo
parlar, che molti ebber sospetto,
che
senza attender Carlo che le desse
campo,
ella avesse a far quivi l'effetto.
Or
non parve a Leon che più dovesse
Ruggier
celarsi, e gli cavò l'elmetto;
e
rivolto a Marfisa: - Ecco lui pronto
a
rendervi di sé (disse) buon conto. -
Quale
il canuto Egeo rimase, quando
si
fu alla mensa scelerata accorto,
che
quello era il suo figlio, al quale, instando
l'iniqua
moglie, avea il veneno porto;
e
poco più che fosse ito indugiando
di
conoscer la spada, l'avria morto:
tal
fu Marfisa, quando il cavalliero
che
odiato avea, conobbe esser Ruggiero.
E
corse senza indugio ad abbracciarlo,
né
dispiccar se gli sapea dal collo.
Rinaldo,
Orlando, e di lor prima Carlo
di
qua e di là con grand'amor baciollo.
Né
Dudon né Olivier d'accarezzarlo,
né
il re Sobrin si può veder satollo.
Dei
paladini e dei baron nessuno
di
far festa a Ruggier restò digiuno.
Leone,
il qual sapea molto ben dire,
finiti
che si fur gli abbracciamenti,
cominciò
inanzi a Carlo a riferire,
udendo
tutti quei che eran presenti,
come
la gagliardia, come l'ardire
(ancor
che con gran danno di sue genti)
di
Ruggier, che a Belgrado avea veduto,
più
d'ogni offesa avea di sé potuto;
sì
che essendo di poi preso e condutto
a
colei che ogni strazio n'avria fatto,
di
prigione egli, mal grado di tutto
il
parentado suo, l'aveva tratto;
e
come il buon Ruggier, per render frutto
e
mercede a Leon del suo riscatto,
fe'
l'alta cortesia che sempre a quante
ne
furo o saran mai, passarà inante.
E
seguendo narrò di punto in punto
ciò
che per lui fatto Ruggiero avea;
e
come poi da gran dolor compunto,
che
di lasciar la moglie gli premea,
s'era
disposto di morire; e giunto
v'era
vicin, se non si soccorrea.
E
con sì dolci affetti il tutto espresse,
che
quivi occhio non fu che asciutto stesse.
Rivolse
poi con sì efficaci preghi
le
sue parole all'ostinato Amone,
che
non sol che lo muova, che lo pieghi,
che
lo faccia mutar d'opinione;
ma
fa che egli in persona andar non nieghi
a
supplicar Ruggier che gli perdone,
e
per padre e per suocero l'accette;
e
così Bradamante gli promette.
A
cui là dove, de la vita in forse,
piangea
i suoi casi in camera segreta,
con
lieti gridi in molta fretta corse
per
più d'un messo la novella lieta:
onde
il sangue che al cor, quando lo morse
prima
il dolor, fu tratto da la pieta,
a
questo annunzio il lasciò solo in guisa,
che
quasi il gaudio ha la donzella uccisa.
Ella
riman d'ogni vigor sì vota,
che
di tenersi in piè non ha balìa;
ben
che di quella forza che esser nota
vi
debbe, e di quel grande animo sia.
Non
più di lei, chi a ceppo, a laccio, a ruota
sia
condannato o ad altra morte ria,
e
che già agli occhi abbia la benda negra,
gridar
sentendo grazia, si rallegra.
Si
rallegra Mongrana e Chiaramonte,
di
nuovo nodo i dui raggiunti rami:
altretanto
si duol Gano col conte
Anselmo,
e con Falcon Gini e Ginami;
ma
pur coprendo sotto un'altra fronte
van
lor pensieri invidiosi e grami;
e
occasione attendon di vendetta,
come
la volpe al varco il lepre aspetta.
Oltre
che già Rinaldo e Orlando ucciso
molti
in più volte avean di quei malvagi;
ben
che l'ingiurie fur con saggio avviso
dal
re acchetate, ed i commun disagi;
avea
di nuovo lor levato il riso
l'ucciso
Pinabello e Bertolagi:
ma
pur la fellonia tenean coperta,
dissimulando
aver la cosa certa.
Gli
imbasciatori bulgari che in corte
di
Carlo eran venuti, come ho detto,
con
speme di trovare il guerrier forte
del
liocorno, al regno loro eletto;
sentendol
quivi, chiamar buona sorte
la
lor, che dato avea alla speme effetto;
e
riverenti ai piè se gli gittaro,
e
che tornassi in Bulgheria il pregaro;
ove
in Adrianopoli servato
gli
era lo scettro e la real corona:
ma
venga egli a difendersi lo stato;
che
a danni lor di nuovo si ragiona
che
più numer di gente apparecchiato
ha
Costantino, e torna anco in persona:
ed
essi, se il suo re ponno aver seco,
speran
di torre a lui l'imperio greco.
Ruggiero
accettò il regno, e non contese
ai
preghi loro, e in Bulgheria promesse
di
ritrovarsi dopo il terzo mese,
quando
Fortuna altro di lui non fêsse.
Leone
Augusto che la cosa intese,
disse
a Ruggier, che alla sua fede stesse,
che,
poi che egli de' Bulgari ha il domìno,
la
pace è tra lor fatta e Costantino:
né
da partir di Francia s'avrà in fretta,
per
esser capitan de le sue squadre;
che
d'ogni terra che abbiano suggetta,
far
la rinunzia gli farà dal padre.
Non
è virtù che di Ruggier sia detta,
che
a muover sì l'ambiziosa madre
di
Bradamante, e far che il genero ami,
vaglia,
come ora udir, che re si chiami.
Fansi
le nozze splendide e reali,
convenienti
a chi cura ne piglia:
Carlo
ne piglia cura, e le fa quali
farebbe,
maritando una sua figlia.
I
merti de la donna erano tali,
oltre
a quelli di tutta sua famiglia,
che
a quel signor non parria uscir del segno,
se
spendesse per lei mezzo il suo regno.
Libera
corte fa bandire intorno,
ove
sicuro ognun possa venire;
e
campo franco sin al nono giorno
concede
a chi contese ha da partire.
Fe'
alla campagna l'apparato adorno
di
rami intesti e di bei fiori ordire,
d'oro
e di seta poi, tanto giocondo,
che
il più bel luogo mai non fu nel mondo.
Dentro
a Parigi non sariano state
l'innumerabil
genti peregrine,
povare
e ricche e d'ogni qualitate,
che
v'eran, greche, barbare e latine.
Tanti
signori, e imbascierie mandate
di
tutto il mondo, non aveano fine:
erano
in padiglion, tende e frascati
con
gran commodità tutti alloggiati.
Con
eccellente e singulare ornato
la
notte inanzi avea Melissa maga
il
maritale albergo apparecchiato,
di
che era stata già gran tempo vaga.
Già
molto tempo inanzi desiato
questa
copula avea quella presaga:
de
l'avvenir presaga, sapea quanta
bontade
uscir dovea da la lor pianta.
Posto
avea il genial letto fecondo
in
mezzo un padiglione amplo e capace,
il
più ricco, il più ornato, il più giocondo
che
già mai fosse o per guerra o per pace,
o
prima o dopo, teso in tutto il mondo;
e
tolto ella l'avea dal lito trace:
l'avea
di sopra a Costantin levato,
che
a diporto sul mar s'era attendato.
Melissa
di consenso di Leone,
o
più tosto per dargli maraviglia,
e
mostrargli de l'arte paragone,
che
al gran vermo infernal mette la briglia,
e
che di lui, come a lei par, dispone,
e
de la a Dio nimica empia famiglia;
fe'
da Costantinopoli a Parigi
portare
il padiglion dai messi stigi.
Di
sopra a Costantin che avea l'impero
di
Grecia, lo levò da mezzo giorno,
con
le corde e col fusto, e con l'intero
guernimento
che avea dentro e d'intorno:
lo
fe' portar per l'aria, e di Ruggiero
quivi
lo fece alloggiamento adorno.
Poi,
finite le nozze, anco tornollo
miraculosamente
onde levollo.
Eran
degli anni appresso che duo milia
che
fu quel ricco padiglion trapunto.
Una
donzella de la terra d'Ilia,
che
avea il furor profetico congiunto,
con
studio di gran tempo e con vigilia
lo
fece di sua man di tutto punto.
Cassandra
fu nomata, ed al fratello
inclito
Ettòr fece un bel don di quello.
Il
più cortese cavallier che mai
dovea
del ceppo uscir del suo germano
(ben
che sapea, da la radice assai
che
quel per molti rami era lontano)
ritratto
avea nei bei ricami gai
d'oro
e di varia seta, di sua mano.
L'ebbe,
mentre che visse, Ettorre in pregio
per
chi lo fece, e pel lavoro egregio.
Ma
poi che a tradimento ebbe la morte,
e
fu il popul troian da' Greci afflitto;
che
Sinon falso aperse lor le porte,
e
peggio seguitò, che non è scritto;
Menelao
ebbe il padiglione in sorte,
col
quale a capitar venne in Egitto,
ove
al re Proteo lo lasciò, se volse
la
moglie aver, che quel tiran gli tolse.
Elena
nominata era colei
per
cui lo padiglione a Proteo diede;
che
poi successe in man de' Tolomei,
tanto
che Cleopatra ne fu erede.
Da
le genti d'Agrippa tolto a lei
nel
mar Leucadio fu con altre prede:
in
man d'Augusto e di Tiberio venne,
e
in Roma sin a Costantin si tenne;
quel
Costantin di cui doler si debbe
la
bella Italia, fin che gir il cielo.
Costantin,
poi che il Tevero gli increbbe,
portò
in Bisanzio il prezioso velo:
da
un altro Costantin Melissa l'ebbe.
Oro
le corde, avorio era lo stelo;
tutto
trapunto con figure belle,
più
che mai con pennel facesse Apelle.
Quivi
le Grazie in abito giocondo
una
regina aiutavano al parto:
sì
bello infante n'apparia, che il mondo
non
ebbe un tal dal secol primo al quarto.
Vedeasi
Iove, e Mercurio facondo,
Venere
e Marte, che l'avevano sparto
a
man piene e spargean d'eterei fiori,
di
dolce ambrosia e di celesti odori.
Ippolito
diceva una scrittura
sopra
le fasce in lettere minute.
In
età poi più ferma l'Aventura
l'avea
per mano, e inanzi era Virtute.
Mostrava
nove genti la pittura
con
veste e chiome lunghe, che venute
a
domandar la parte di Corvino
erano
al padre il tenero bambino.
Da
Ercole partirsi riverente
si
vede, e da la madre Leonora;
e
venir sul Danubio, ove la gente
corre
a vederlo, e come un Dio l'adora.
Vedesi
il re degli Ungari prudente,
che
il maturo sapere ammira e onora
in
non matura età tenera e molle,
e
sopra tutti i suoi baron l'estolle.
V'è
che negli infantili e teneri anni
lo
scettro di Strigonia in man gli pone:
sempre
il fanciullo se gli vede a' panni,
sia
nel palagio, sia nel padiglione:
o
contra Turchi, o contra gli Alemanni
quel
re possente faccia espedizione,
Ippolito
gli è appresso, e fiso attende
a'
magnanimi gesti, e virtù apprende.
Quivi
si vede, come il fior dispensi
de'
suoi primi anni in disciplina ed arte.
Fusco
gli è appresso, che gli occulti sensi
chiari
gli espone de l'antiche carte.
-
Questo schivar, questo seguir conviensi,
se
immortal brami e glorioso farte, -
par
che gli dica: così avea ben finti
i
gesti lor chi già gli avea dipinti.
Poi
cardinale appar, ma giovinetto,
sedere
in Vaticano a consistoro,
e
con facondia aprir l'alto intelletto,
e
far di sé stupir tutto quel coro.
-
Qual fia dunque costui d'età perfetto?
(parean
con maraviglia dir tra loro).
Oh
se di Pietro mai gli tocca il manto,
che
fortunata età! che secol santo! -
In
altra parte i liberali spassi
erano
e i giuochi del giovene illustre.
Or
gli orsi affronta sugli alpini sassi,
ora
i cingiali in valle ima e palustre:
or
s'un gianetto par che il vento passi,
seguendo
o caprio o cerva multilustre,
che
giunta par che bipartita cada
in
parti uguali a un sol colpo di spada.
Di
filosofi altrove e di poeti
si
vede in mezzo un'onorata squadra.
Quel
gli dipinge il corso de' pianeti,
questi
la terra, quello il ciel gli squadra:
questi
meste elegie, quel versi lieti,
quel
canta eroici, o qualche oda leggiadra.
Musici
ascolta, e vari suoni altrove;
né
senza somma grazia un passo muove.
In
questa prima parte era dipinta
del
sublime garzon la puerizia.
Cassandra
l'altra avea tutta distinta
di
gesti di prudenza, di iustizia,
di
valor, di modestia, e de la quinta
che
tien con lor strettissima amicizia,
dico
de la virtù che dona e spende;
de
le qual tutte illuminato splende.
In
questa parte il giovene si vede
col
duca sfortunato degli Insubri,
che
ora in pace a consiglio con lui siede,
or
armato con lui spiega i colubri;
e
sempre par d'una medesma fede,
o
ne' felici tempi o nei lugubri:
ne
la fuga lo segue, lo conforta
ne
l'afflizion, gli è nel periglio scorta.
Si
vede altrove a gran pensieri intento
per
salute d'Alfonso e di Ferrara;
che
va cercando per strano argumento,
e
trova, e fa veder per cosa chiara
al
giustissimo frate il tradimento
che
gli usa la famiglia sua più cara:
e
per questo si fa del nome erede,
che
Roma a Ciceron libera diede.
Vedesi
altrove in arme relucente,
che
ad aiutar la Chiesa in fretta corre;
e
con tumultuaria e poca gente
a
un esercito istrutto si va opporre;
e
solo il ritrovarsi egli presente
tanto
agli Ecclesiastici soccorre,
che
il fuoco estingue pria che arder comince:
sì
che può dir, che viene e vede e vince.
Vedesi
altrove da la patria riva
pugnar
incontra la più forte armata,
che
contra Turchi o contra gente argiva
da'
Veneziani mai fosse mandata:
la
rompe e vince, ed al fratel captiva
con
la gran preda l'ha tutta donata;
né
per sé vedi altro serbarsi lui,
che
l'onor sol, che non può dare altrui.
Le
donne e i cavallier mirano fisi,
senza
trarne costrutto, le figure;
perché
non hanno appresso che gli avvisi
che
tutte quelle sien cose future.
Prendon
piacere a riguardare i visi
belli
e ben fatti, e legger le scritture.
Sol
Bradamante da Melissa istrutta
gode
tra sé; che sa l'istoria tutta.
Ruggiero,
ancor che a par di Bradamante
non
ne sia dotto, pur gli torna a mente
che
fra i nipoti suoi gli solea Atlante
commendar
questo Ippolito sovente.
Chi
potria in versi a pieno dir le tante
cortesie
che fa Carlo ad ogni gente?
Di
vari giochi è sempre festa grande,
e
la mensa ognor piena di vivande.
Vedesi
quivi chi è buon cavalliero;
che
vi son mille lance il giorno rotte:
fansi
battaglie a piedi e a destriero,
altre
accoppiate, altre confuse in frotte.
Più
degli altri valor mostra Ruggiero,
che
vince sempre, e giostra il dì e la notte;
e
così in danza, in lotta ed in ogni opra
sempre
con molto onor resta di sopra.
L'ultimo
dì, ne l'ora che il solenne
convito
era a gran festa incominciato;
che
Carlo a man sinistra Ruggier tenne,
e
Bradamante avea dal destro lato;
di
verso la campagna in fretta venne
contra
le mense un cavalliero armato,
tutto
coperto egli e il destrier di nero,
di
gran persona, e di sembiante altiero.
Quest'era
il re d'Algier, che per lo scorno
che
gli fe' sopra il ponte la donzella,
giurato
avea di non porsi arme intorno,
né
stringer spada, né montare in sella,
fin
che non fosse un anno, un mese e un giorno
stato,
come eremita, entro una cella.
Così
a quel tempo solean per se stessi
punirsi
i cavallier di tali eccessi.
Se
ben di Carlo in questo mezzo intese
e
del re suo signore ogni successo;
per
non disdirsi, non più l'arme prese,
che
se non pertenesse il fatto ad esso.
Ma
poi che tutto l'anno e tutto il mese
vede
finito, e tutto il giorno appresso
con
nuove arme e cavallo e spada e lancia
alla
corte or ne vien quivi in Francia.
Senza
smontar, senza chinar la testa,
e
senza segno alcun di riverenza,
mostra
Carlo sprezzar con la sua gesta,
e
de tanti signor l'alta presenza.
Maraviglioso
e attonito ognun resta,
che
si pigli costui tanta licenza.
Lasciano
i cibi e lascian le parole
per
ascoltar ciò che il guerrier dir vuole.
Poi
che fu a Carlo ed a Ruggiero a fronte,
con
alta voce ed orgoglioso grido:
-
Son (disse) il re di Sarza, Rodomonte,
che
te, Ruggiero, alla battaglia sfido;
e
qui ti vo', prima che il sol tramonte,
provar
che al tuo signor sei stato infido;
e
che non merti, che sei traditore,
fra
questi cavallieri alcun onore.
Ben
che tua fellonia si vegga aperta,
perché
essendo cristian non pòi negarla;
pur
per farla apparere anco più certa,
in
questo campo vengoti a provarla:
e
se persona hai qui che faccia offerta
di
combatter per te, voglio accettarla.
Se
non basta una, e quattro e sei n'accetto;
e
a tutte manterrò quel che io t'ho detto. -
Ruggiero
a quel parlar ritto levosse,
e
con licenza rispose di Carlo,
che
mentiva egli, e qualunqu'altro fosse,
che
traditor volesse nominarlo;
che
sempre col suo re così portosse,
che
giustamente alcun non può biasmarlo;
e
che era apparecchiato sostenere
che
verso lui fe' sempre il suo dovere:
e
che a difender la sua causa era atto,
senza
torre in aiuto suo veruno;
e
che sperava di mostrargli in fatto,
che
assai n'avrebbe e forse troppo d'uno.
Quivi
Rinaldo, quivi Orlando tratto,
quivi
il marchese, e il figlio bianco e il bruno,
Dudon,
Marfisa, contra il pagan fiero
s'eran
per la difesa di Ruggiero;
mostrando
che essendo egli nuovo sposo,
non
dovea conturbar le proprie nozze.
Ruggier
rispose lor: - State in riposo;
che
per me fôran queste scuse sozze. -
L'arme
che tolse al Tartaro famoso,
vennero,
e fur tutte le lunghe mozze.
Gli
sproni il conte Orlando a Ruggier strinse,
e
Carlo al fianco la spada gli cinse.
Bradamante
e Marfisa la corazza
posta
gli aveano, e tutto l'altro arnese.
Tenne
Astolfo il destrier di buona razza,
tenne
la staffa il figlio del Danese.
Feron
d'intorno far subito piazza
Rinaldo,
Namo ed Olivier marchese:
cacciaro
in fretta ognun de lo steccato
a
tal bisogni sempre apparecchiato.
Donne
e donzelle con pallida faccia
timide
a guisa di columbe stanno,
che
da' granosi paschi ai nidi caccia
rabbia
de' venti che fremendo vanno
con
tuoni e lampi, e il nero aer minaccia
grandine
e pioggia, e a' campi strage e danno:
timide
stanno per Ruggier; che male
a
quel fiero pagan lor parea uguale.
Così
a tutta la plebe e alla più parte
dei
cavallieri e dei baron parea;
che
di memoria ancor lor non si parte
quel
che in Parigi il pagan fatto avea;
che,
solo, a ferro e a fuoco una gran parte
n'avea
distrutta, e ancor vi rimanea,
e
rimarrà per molti giorni il segno:
né
maggior danno altronde ebbe quel regno.
Tremava,
più che a tutti gli altri, il core
a
Bradamante; non che ella credesse
che
il Saracin di forza, e del valore
che
vien dal cor, più di Ruggier potesse;
né
che ragion, che spesso dà l'onore
a
chi l'ha seco, Rodomonte avesse:
pur
stare ella non può senza sospetto;
che
di temere, amando, ha degno effetto.
Oh
quanto volentier sopra sé tolta
l'impresa
avria di quella pugna incerta,
ancor
che rimaner di vita sciolta
per
quella fosse stata più che certa!
Avria
eletto a morir più d'una volta,
se
può più d'una morte esser sofferta,
più
tosto che patir che il suo consorte
si
ponesse a pericol de la morte.
Ma
non sa ritrovar priego che vaglia,
perché
Ruggiero a lei l'impresa lassi.
A
riguardare adunque la battaglia
con
mesto viso e cor trepido stassi.
Quinci
Ruggier, quindi il pagan si scaglia,
e
vengonsi a trovar coi ferri bassi.
Le
lance all'incontrar parver di gielo;
i
tronchi, augelli a salir verso il cielo.
La
lancia del pagan, che venne a corre
lo
scudo a mezzo, fe' debole effetto:
tanto
l'acciar, che pel famoso Ettorre
temprato
avea Vulcano, era perfetto.
Ruggier
la lancia parimente a porre
gli
andò allo scudo, e gliele passò netto;
tutto
che fosse appresso un palmo grosso,
dentro
e di fuor d'acciaro, e in mezzo d'osso.
E
se non che la lancia non sostenne
il
grave scontro, e mancò al primo assalto,
e
rotta in schegge e in tronchi aver le penne
parve
per l'aria, tanto volò in alto;
l'osbergo
aprìa (si furiosa venne),
se
fosse stato adamantino smalto,
e
finìa la battaglia; ma si roppe:
posero
in terra ambi i destrier le groppe.
Con
briglia e sproni i cavallieri instando,
risalir
feron subito i destrieri;
e
donde gittar l'aste, preso il brando,
si
tornato a ferir crudeli e fieri:
di
qua di là con maestria girando
gli
animosi cavalli atti e leggieri,
con
le pungenti spade incominciaro
a
tentar dove il ferro era più raro.
Non
si trovò lo scoglio del serpente,
che
fu sì duro, al petto Rodomonte,
né
di Nembrotte la spada tagliente,
né
il solito elmo ebbe quel dì alla fronte;
che
l'usate arme, quando fu perdente
contra
la donna di Dordona al ponte,
lasciato
avea sospese ai sacri marmi,
come
di sopra avervi detto parmi.
Egli
avea un'altra assai buona armatura,
non
come era la prima già perfetta:
ma
né questa né quella né più dura
a
Balisarda si sarebbe retta;
a
cui non osta incanto né fattura,
né
finezza d'acciar né tempra eletta.
Ruggier
di qua di là sì ben lavora,
che
al pagan l'arme in più d'un loco fora.
Quando
si vide in tante parti rosse
il
pagan l'arme, e non poter schivare
che
la più parte di quelle percosse
non
gli andasse la carne a ritrovare;
a
maggior rabbia, a più furor si mosse,
che
a mezzo il verno il tempestoso mare:
getta
lo scudo, e a tutto suo potere
su
l'elmo di Ruggiero a due man fere.
Con
quella estrema forza che percuote
la
machina che in Po sta su due navi,
e
levata con uomini e con ruote
cader
si lascia su le aguzze travi;
fere
il pagan Ruggier, quanto più puote,
con
ambe man sopra ogni peso gravi:
giova
l'elmo incantato; che senza esso,
lui
col cavallo avria in un colpo fesso.
Ruggiero
andò due volte a capo chino,
e
per cadere e braccia e gambe aperse.
Raddoppia
il fiero colpo il Saracino,
che
quel non abbia tempo a riaverse:
poi
vien col terzo ancor; ma il brando fino
sì
lungo martellar più non sofferse;
che
volò in pezzi, ed al crudel pagano
disarmata
lasciò di sé la mano.
Rodomonte
per questo non s'arresta,
ma
s'aventa a Ruggier che nulla sente;
in
tal modo intronata avea la testa,
in
tal modo offuscata avea la mente.
Ma
ben dal sonno il Saracin lo desta:
gli
cinge il collo col braccio possente;
e
con tal nodo e tanta forza afferra,
che
de l'arcion lo svelle, e caccia in terra.
Non
fu in terra sì tosto, che risorse,
via
più che d'ira, di vergogna pieno;
però
che a Bradamante gli occhi torse,
e
turbar vide il bel viso sereno.
Ella
al cader di lui rimase in forse,
e
fu la vita sua per venir meno.
Ruggiero
ad emendar presto quell'onta,
stringe
la spada, e col pagan s'affronta.
Quel
gli urta il destrier contra, ma Ruggiero
lo
cansa accortamente, e si ritira,
e
nel passare, al fren piglia il destriero
con
la man manca, e intorno lo raggira;
e
con la destra intanto al cavalliero
ferire
il fianco o il ventre o il petto mira;
e
di due punte fe' sentirgli angoscia,
l'una
nel fianco, e l'altra ne la coscia.
Rodomonte,
che in mano ancor tenea
il
pome e l'elsa de la spada rotta,
Ruggier
su l'elmo in guisa percotea,
che
lo potea stordire all'altra botta.
Ma
Ruggier che a ragion vincer dovea,
gli
prese il braccio, e tirò tanto allotta,
aggiungendo
alla destra l'altra mano,
che
fuor di sella al fin trasse il pagano.
Sua
forza o sua destrezza vuol che cada
il
pagan sì, che a Ruggier resti al paro:
vo
dir che cadde in piè; che per la spada
Ruggiero
averne il meglio giudicaro.
Ruggier
cerca il pagan tenere a bada
lungi
da sé, né di accostarsi ha caro:
per
lui non fa lasciar venirsi adosso
un
corpo così grande e così grosso.
E
insanguinargli pur tuttavia il fianco
vede
e la coscia e l'altre sue ferite.
Spera
che venga a poco a poco manco,
sì
che al fin gli abbia a dar vinta la lite.
L'elsa
e il pome avea in mano il pagan anco,
e
con tutte le forze insieme unite
da
sé scagliolli, e sì Ruggier percosse,
che
stordito ne fu più che mai fosse.
Ne
la guancia de l'elmo, e ne la spalla
fu
Ruggier colto, e sì quel colpo sente,
che
tutto ne vacilla e ne traballa,
e
ritto se sostien difficilmente.
Il
pagan vuole entrar, ma il piè gli falla,
che
per la coscia offesa era impotente:
e
il volersi affrettar più del potere,
con
un ginocchio in terra il fa cadere.
Ruggier
non perde il tempo, e di grande urto
lo
percuote nel petto e ne la faccia;
e
sopra gli martella, e tien sì curto,
che
con la mano in terra anco lo caccia.
Ma
tanto fa il pagan che gli è risurto;
si
stringe con Ruggier sì, che l'abbraccia:
l'uno
e l'altro s'aggira, e scuote e preme,
arte
aggiungendo alle sue forze estreme.
Di
forza a Rodomonte una gran parte
la
coscia e il fianco aperto aveano tolto.
Ruggiero
avea destrezza, avea grande arte,
era
alla lotta esercitato molto:
sente
il vantaggio suo, né se ne parte;
e
donde il sangue uscir vede più sciolto,
e
dove più ferito il pagan vede,
puon
braccia e petto, e l'uno e l'altro piede.
Rodomonte
pien d'ira e di dispetto
Ruggier
nel collo e ne le spalle prende:
or
lo tira, or lo spinge, or sopra il petto
sollevato
da terra lo sospende,
quinci
e quindi lo ruota, e lo tien stretto,
e
per farlo cader molto contende.
Ruggier
sta in sé raccolto, e mette in opra
senno
e valor, per rimaner di sopra.
Tanto
le prese andò mutando il franco
e
buon Ruggier, che Rodomonte cinse:
calcogli
il petto sul sinistro fianco,
e
con tutta sua forza ivi lo strinse.
La
gamba destra a un tempo inanzi al manco
ginocchio
e all'altro attraversogli e spinse;
e
da la terra in alto sollevollo,
e
con la testa in giù steso tornollo.
Del
capo e de le schene Rodomonte
la
terra impresse; e tal fu la percossa,
che
da le piaghe sue, come da fonte,
lungi
andò il sangue a far la terra rossa.
Ruggier,
c'ha la Fortuna per la fronte,
perché
levarsi il Saracin non possa,
l'una
man col pugnal gli ha sopra gli occhi,
l'altra
alla gola, al ventre gli ha i ginocchi.
Come
talvolta, ove si cava l'oro
là
tra' Pannoni o ne le mine ibere,
se
improvisa ruina su coloro
che
vi condusse empia avarizia, fere,
ne
restano sì oppressi, che può il loro
spirto
a pena, onde uscire, adito avere:
così
fu il Saracin non meno oppresso
dal
vincitor, tosto che in terra messo.
Alla
vista de l'elmo gli appresenta
la
punta del pugnal che avea già tratto;
e
che si renda, minacciando, tenta,
e
di lasciarlo vivo gli fa patto.
Ma
quel, che di morir manco paventa,
che
di mostrar viltade a un minimo atto,
si
torce e scuote, e per por lui di sotto
mette
ogni suo vigor, né gli fa motto.
Come
mastin sotto il feroce alano
che
fissi i denti ne la gola gli abbia,
molto
s'affanna e si dibatte invano
con
occhi ardenti e con spumose labbia,
e
non può uscire al predator di mano,
che
vince di vigor, non già di rabbia:
così
falla al pagano ogni pensiero
d'uscir
di sotto al vincitor Ruggiero.
Pur
si torce e dibatte sì, che viene
ad
espedirsi col braccio migliore;
e
con la destra man che il pugnal tiene,
che
trasse anche egli in quel contrasto fuore,
tenta
ferir Ruggier sotto le rene:
ma
il giovene s'accorse de l'errore
in
che potea cader, per differire
di
far quel empio Saracin morire.
E
due e tre volte ne l'orribil fronte,
alzando,
più che alzar si possa, il braccio,
il
ferro del pugnale a Rodomonte
tutto
nascose, e si levò d'impaccio.
Alle
squalide ripe d'Acheronte,
sciolta
dal corpo più freddo che giaccio,
bestemmiando
fuggì l'alma sdegnosa,
che
fu sì altiera al mondo e sì orgogliosa.
APPENDICE
Io
desidero intendere da voi,
Alessandro
fratel, compar mio Bagno,
s'in
corte è ricordanza più di noi;
se
più il signor me accusa; se compagno
per
me si lieva e dice la cagione
per
che, partendo gli altri, io qui rimagno;
o,
tutti dotti ne la adulazione
l'arte
che più tra noi si studia e cole
I'aiutate
a biasmarme oltra ragione.
Pazzo
chi al suo signor contradir vole,
se
ben dicesse che ha veduto il giorno
pieno
di stelle e a mezzanotte il sole.
O
che egli lodi, o voglia altrui far scorno,
di
varie voci subito un concento
s'ode
accordar di quanti n'ha d'intorno;
e
chi non ha per umiltà ardimento
la
bocca aprir, con tutto il viso applaude
e
par che voglia dir «anch'io consento».
Ma
se in altro biasmarme, almen dar laude
dovete
che, volendo io rimanere,
lo
dissi a viso aperto e non con fraude.
Dissi
molte ragioni, e tutte vere,
de
le quali per sé sola ciascuna
esser
mi dovea degna di tenere.
Prima
la vita, a cui poche o nessuna
cosa
ho da preferir, che far più breve
non
voglio che il ciel voglia o la Fortuna.
Ogni
alterazione, ancor che leve
che
avesse il mal che io sento, o ne morei,
o
il Valentino e il Postumo errar deve.
Oltra
che il dìcan essi, io meglio i miei
casi
de ogni altro intendo; e quai compensi
mi
siano utili so, so quai son rei.
So
mia natura come mal conviensi
co'
freddi verni; e costà sotto il polo
gli
avete voi più che in Italia intensi.
E
non mi nocerebbe il freddo solo;
ma
il caldo de le stuffe, che ho sì infesto,
che
più che da la peste me gli involo.
Né
il verno altrove s'abita in cotesto
paese:
vi si mangia, giuoca e bee,
e
vi si dorme e vi si fa anco il resto.
Che
quindi vien, come sorbir si dee
l'aria
che tien sempre in travaglio il fiato
de
le montagne prossime Rifee?
Dal
vapor che, dal stomaco elevato,
fa
catarro alla testa e cala al petto,
mi
rimarei una notte soffocato.
E
il vin fumoso, a me vie più interdetto
che
il tosco, costì a inviti si tracanna,
e
sacrilegio è non ber molto e schietto.
Tutti
li cibi son con pepe e canna
di
amomo e d'altri aròmati, che tutti
come
nocivi il medico mi danna.
Qui
mi potreste dir che io avrei ridutti,
dove
sotto il camin sedrìa al foco,
né
piei, né ascelle odorerei, né rutti;
e
le vivande condiriemi il cuoco
come
io volessi, et inacquarmi il vino
potre'
a mia posta, e nulla berne o poco.
Dunque
voi altri insieme, io dal matino
alla
sera starei solo alla cella,
solo
alla mensa come un certosino?
Bisognerìeno
pentole e vasella
da
cucina e da camera, e dotarme
di
masserizie qual sposa novella.
Se
separatamente cucinarne
vorà
mastro Pasino una o due volte,
quattro
e sei mi farà il viso da l'arme.
S'io
vorò de le cose che avrà tolte
Francesco
di Siver per la famiglia,
potrò
matina e sera averne molte.
S'io
dirò: «Spenditor, questo mi piglia,
che
l'umido cervel poco notrisce;
questo
no, che il catar troppo assottiglia»
per
una volta o due che me ubidisce,
quattro
e sei mi si scorda, o, perché teme
che
non gli sia accettato, non ardisce.
Io
mi riduco al pane; e quindi freme
la
colera; cagion che alli dui motti
gli
amici et io siamo a contesa insieme.
Mi
potreste anco dir: «De li tuoi scotti
fa
che il tuo fante comprator ti sia;
mangia
i tuoi polli alli tua alari cotti".
Io,
per la mala servitude mia,
non
ho dal Cardinale ancora tanto
che
io possa fare in corte l'osteria.
Apollo,
tua mercé, tua mercé, santo
collegio
de le Muse, io non possiedo
tanto
per voi, che io possa farmi un manto.
«Oh!
il signor t'ha dato...» io ve il conciedo,
tanto
che fatto m'ho più d'un mantello
ma
che m'abbia per voi dato non credo.
Egli
l'ha detto: io dirlo a questo e a quello
voglio
anco, e i versi miei posso a mia posta
mandare
al Culiséo per lo sugello.
Non
vuol che laude sua da me composta
per
opra degna di mercé si pona
di
mercé degno è I'ir correndo in posta.
A
chi nel Barco e in villa il segue, dona,
a
chi lo veste e spoglia, o pona i fiaschi
nel
pozzo per la sera in fresco a nona;
vegghi
la notte, in sin che i Bergamaschi
se
levino a far chiodi, sì che spesso
col
torchio in mano addormentato caschi.
S'io
l'ho con laude ne' miei versi messo,
dice
che io l'ho fatto a piacere e in ocio
più
grato fòra essergli stato appresso.
E
se in cancellarìa m'ha fatto socio
a
Melan del Constabil, sì che ho il terzo
di
quel che al notaio vien d'ogni negocio
gli
è perché alcuna volta io sprono e sferzo
mutando
bestie e guide, e corro in fretta
per
monti e balze, e con la morte scherzo.
Fa
a mio senno, Maron: tuoi versi getta
con
la lira in un cesso, e una arte impara,
se
beneficii vuoi, che sia più accetta.
Ma
tosto che n'hai, pensa che la cara
tua
libertà non meno abbi perduta
che
se giocata te l'avessi a zara;
e
che mai più, se ben alla canuta
età
vivi e viva egli di Nestorre,
questa
condizion non ti si muta.
E
se disegni mai tal nodo sciorre,
buon
patto avrai, se con amore e pace
quel
che t'ha dato si vorà ritorre.
A
me, per esser stato contumace
di
non voler Agria veder né Buda,
che
si ritoglia il suo sì non mi spiace
(se
ben le miglior penne che avea in muda
rimesse,
e tute, mi tarpasse): come
che
da l'amor e grazia sua mi escluda,
che
senza fede e senza amor mi nome
e
che dimostri con parole e cenni
che
in odio e che in dispetto abbia il mio nome.
E
questo fu cagion che io me ritenni
di
non gli comparire inanzi mai,
dal
dì che indarno ad escusar mi vienni.