Didimo Chierico
(Pseudonimo di Ugo Foscolo)
IPERCALISSE
Libro
singolare di Didimo Chierico
profeta minimo
Traduzione di G.A. Martinetti
Lor.
Alderano Rainero C. I.
al Cav. Giulio Ricardo Worth Sal.
L'autore della notizia intorno agli studi e i costumi di Didimo, stampata or sono due anni a Pisa, aveva ad altri pochissimi e a me permesso di copiare questo libercoletto che tu vedi, o Giulio, a patti che non si pubblicasse: la qual cosa fu da me finora religiosamente osservata. Perch'era a temere che gl'importunissimi fra gli scrittori non prendessero novella occasione di lucro; essendo ben noto che tra gl'italiani si fa mercato di risse. Il quale contagio ebbe primamente origine dalle gare de' municipi, fiorenti tutti di loro particolare libertà, ma privi d'armi e di un unico reggitore. Quando poi la gara degenerò in discordia, crebbe anche la malignità nelle lettere, siccome necessità della servitù che s'andava introducendo. Ora finalmente, specie da questi diciott'anni, da che la tua Bretagna professa di difendere i comuni diritti del genere umano, noi frattanto col nostro sangue
scontammo gli spergiuri del Re Corso:
se i costumi della servitù abbiano corrotto le lettere, o le lettere la servitù non te lo saprei dire facilmente. Ma poiché le Muse ti hanno indotto a venire in Italia, dove ancora godono dell'antico culto, e alleviano le nostre miserie, e qualche poco ci valgono presso i popoli più fortunati; tu allora hai potuto vedere che taluno de' loro cultori palesemente per adulazione, più spesso nascostamente per libidine di diffamare, si prostituiscono all'utilità d'ogni nuovo padrone, o sono vilmente abbandonati alla impotente maldicenza de' servi. Ma l'adulazione gradita a pochi, molto meno è utile agli scrittori. Mercurio essendo più servizievole, s'avvicendano lucro e vituperi, e quello che più
lo spesso volgo ascolta avidamente.
E avvenne per l'appunto ciò ch'io temevo. Perché uno di
quella genìa d'uomini letterati, la quale è ipotecata
a' librai, essendo, non so come, riuscito a carpire alcuni capi
dell'Ipercalisse, ne pubblicò una parafrasi volgare, piena
zeppa di prolisse interpretazioni: maltrattò inoltre tanti
uomini, per ingegno e per dottrina ragguardevolissimi, da muovere la
bile a chicchessia. Tu poi, Giulio, il quale la cortesia de' Senesi e
testé hai sperimentato, e il ricordarla ti piace, non potrai
sopportare che tanto l'interprete quanto il tipografo abbiano taciuto
i loro nomi, e solamente fingendosi cittadini Senesi, abbiano
calunniato una città per soavi costumi e religiosa ospitalità
veramente specchiatissima: come se i Senesi sapessero comportare che
si abbiano ad irritare quelli stessi, i quali, venendo tra loro, essi
accoglierebbero con tutta la cortesia. Sebbene né una pagina,
né una riga forse troveresti in quella parafrasi che non senta
d'idiotismo Lombardo: talvolta anche di ricercata Fiorentinità:
il che è manifesto indizio di letterato Lombardo. Questo non
spiegherò a te, che di tale controversia vorrei giudice, ma a'
tuoi concittadini e a chi non conosce le lettere nostre.
Una grazia nativa sorge spontanea su le labbra del popolo Fiorentino:
i vocaboli tuttavia, sebbene di felice natura, vogliono, perché
splendano negli scritti, scelta accurata e assidua meditazione dello
scrittore. Ma alcuni, i quali e in Firenze e nelle vicine città
si dànno a' libri, scrivono di tale maniera, che la nostra
lingua non figlia primogenita della lingua Romana, ed erede
ricchissima, e libera per ragione della sua origine; ma sembra
piuttosto bastarda, nata fuori tempo, e sorella servile della lingua
Francese: sì perché, com'usa tra gli uomini, guastano
l'abbondanza con la negligenza; sì perché trascurano di
ripulire le proprie cose, siccome quelle che sono comuni con la
plebe; o piuttosto perché vogliono aver riguardo de' lettori
avvezzi alla lingua de' Francesi, la quale millantano filosofica ed
universale. I Bolognesi al contrario, i Milanesi, i Veronesi
particolarmente, e quelli altrove che la fanno da Orbilio, vanno
senza scelta racimolando arcaismi e locuzioni ridevolissime, a bella
posta introdotte da' novellieri in leggeri componimenti; spessissimo
anche i solecismi che nelle antiche commedie piovono di bocca a un
qualche Davo o Siro, o frate mezzano; talora gli stessi spropositi
degli amanuensi e de' tipografi, comparsi nelle prime edizioni degli
antichi scrittori. Pertanto non dall'arbitrio dell'uso, o
dall'accordo de' suoni, né dall'analogia, né dalla
fecondità dell'ingegno, né dal decoro della materia; ma
derivano la norma e il precetto del parlare dalla superstizione delle
scuole. Ma perché cosa pessima a farsi ben sovente con ottimo
consiglio la si mantiene, stabilirono per esempi e per legge
d'introdurre questi modi plebei nelle storie e nelle scritture di
genere più nobile: cioè, essere conveniente ridare
alla lingua le primitive forze e la genuina bellezza: né ciò
potere alcuno interamente conseguire, se non si rimettano in onore
innumerevoli vocaboli immeritamente dimenticati. Oh non mostrasse
piuttosto la lingua una miserrima bellezza decrepita! Lepidamente il
poeta senese deride cotesta gente:
troppo Toscano il non Toscano accusa:
al qual verso Oraziano schietto, aggiungerò l'oracolo del tripode Venosino; tanto più volentieri, in quanto che in un codice particolare di Didimo trovai una lezione nuovissima (non ancora avvertita da nessuno, neppure da Ric. Bentley; il che però non mi fa meraviglia, poiché trattavasi de' suoi altari e focolari):
certi vizi cansar volendo, i dotti
dan negli opposti.
Ma anche questi vizi provenuti da menti guaste finirono in ogni sorta di servitù. Così, mentre altri inclina alla novità, altri all'antichità, s'andò finalmente perdendo quella forza geniale e, per così dire, nuova libertà, moderata dalle regole degli antichi, a tal segno che la moltitudine de' lettori non può neppure congetturare se tu abbia scritto atticamente o all'uso Cario:
Naste a' Cari di barbara favella
è condottiero,
Non
vedi che la barbarie de' vocaboli fu derisa anche a' tempi Iliaci? Ma
a' tempi nostri non assurdamente il Pseudosenese aveva sperato, non
potersi dal solo indizio della lingua, se non da pochissimi, scoprire
l'inganno.
Né io mi sarei
impacciato con questo garrulo scrittorello, ov'egli, lodandomi
sinistramente, non mi avesse fatto segno all'invidia, ch'io temo
assai, degli uomini dotti (bollati, siccome ho detto, dall'impudente
letterato). Perciocché Didimo trovò nella biblioteca di
non so quali frati un'antica dissertazione intorno all'Eunucomachia,
cioè, intorno all'uso della filologia battagliera e lucrosa.
Ne farò, Giulio mio, per tuo amore un compendio. Poiché
Mercurio bambino rubò i buoi al barbato Apollo, i due Iddii,
sebbene fratelli e nati da Giove e beati, si odiavano a morte. Per la
qual cosa intervenne il Padre con l'autorità sua grande, e fu
per legge provveduto: i poeti non siano mercanti: parimente i
mercanti, non siano poeti. Pena privata, il debito: pena pubblica, il
disprezzo. Questa legge a Mercurio assai gradita, spiacque
grandemente ad Apollo: siccome quegli che per divina prescienza
sapeva, che tutti i più ricchi, i più nobili, i più
valenti de' mortali avrebbero finalmente sdegnato l'arte di scrivere;
laonde i suoi clienti, se anche non attendessero alla mercatura,
sarebbero spesse volte travagliati dall'indigenza. Del che molte e
vive discussioni si tennero nel concilio degli Dei, finché
Giano bifronte disse tante e sì acconce parole, che non solo
persuase Giove a temperare la legge, e Apollo ad ubbidire di buon
grado a' comandamenti del Padre; ma e Marte pure placò.
Perciocché Marte non sapeva sopportare che i poeti, i retori e
i grammatici e gli altri tutti chiamati promiscuamente eruditi,
si astenessero dal guerreggiare. Fu pertanto fatta una nuova legge,
per la quale, poiché è destino che i mortali abbiano
immortali inimicizie, i potenti e i generosi combattono con le armi;
i servi ignoranti, a' quali le armi sono vietate o pericolose, co'
bastoni: ma i servi eruditi contendono, invece di bastone, forniti di
calunnie, talvolta sino alla morte, non mai senza qualche
guadagno.
Costoro adunque non
avrei, o Giulio, potuto sfuggire tacendo. Aggiungi che il
Pseudosenese, per mettermi vie più e più sicuramente
nell'imbroglio, e indurmi ad acconsentire alla sua frode, riuscì
a conciliare fede alla menzogna: poich'e' professa d'avere
solamente ottenuto il permesso per undici capi dell'Ipercalisse; per
ciò non conoscere appieno le singole allegorie: anzi, potersi
questo ottenere da me solo. Sembrami pertanto di dovere
affrettare che l'Ipercalisse esca alla luce, restituita alla sua
ebraica latinità; e nuda e intera, e schietta affatto
d'inventate riprensioni. Benché temo, che quegli stesso, che
m'aveva affidato il libercolo non manifesti il suo dissenso; tuttavia
non solo equa, ma giustissima, se necessaria, è la
giustificazione: specialmente quando tentiamo distruggere, a
detestazione dell'invidia, ciò che altri fece per guadagno. Ma
non ne feci tirare più che CIV esemplari: con l'intenzione
cioè, che questa genuina edizione paia piuttosto biasimare
l'inverecondia della furtiva versione, che dare qualche peso alle
ambagi di Didimo.
Grande tedio in
vero, Giulio mio, e niente affatto giovevole credo si cerchi colui,
il quale s'assuma d'interpretare l'Ipercalisse. Sebbene molti forse
siano stati, i quali giudicassero che ogni vocabolo ha i suoi
significati, che agl'intendenti sono apertissimi: e certi curiosi
aneddoti, come dicono, accertassero potersi congetturare; altri la
pensano diversamente; anzi crederanno che o un burlone, o tocco nel
cervello, o pazzo frenetico, e comechessia insulso uomo, abbia voluto
scherzare. Del che tuttavia questo solamente mi consta; che la
ragione di questa scrittura ben corrisponde. in tutti i suoi numeri,
al proprio fine: ma quale sia, taluno potrà dire con
probabilità; prudentemente nessuno. Non mi vergogno di
confessare ch'io non l'intendo: ciò non solo confesso, ma
anche mi è più tollerabile che abusare dell'occasione
di far l'indovino; e, od essere ingannato e ingannare; oppure, se
qualche cosa avrà a bella posta lo scrittore adombrato con
ambagi, poco cautamente e meno onestamente svelare. Perciocché
io dubito talora, se Didimo sia il più astuto de' mortali;
talora, se il più pazzo; Marco Gioviano Rainero figlio di
Marco, mio concittadino e congiunto, il quale mentre trovavasi agli
stipendi del Re di Baviera, aveva avuto qualche familiarità
con Didimo, lo richiese, per mia preghiera, di spiegazione: n'avemmo
la risposta della sfinge. Eccoti, o Giulio, qui trascritta la
lettera.
DIDIMO
CHIERICO
A M. G. RAINERO CAV. GER. SAL.
All'antico Didimo accadde una volta, che opponendosi a un racconto,
siccome falso, gli fu mostrato un suo libro che lo conteneva: la qual
cosa a me pure oggi avviene, ma a quello, perché aveva scritto
moltissimo: a me, perché quasi nulla, quando e le innumerevoli
cose, e le pochissime cadono ugualmente per lo stesso fato in
dimenticanza, principalmente ad un uomo il quale dalla prima virilità
fece proponimento di né più scrivere, né più
leggere. Allora, non so in qual anno del secolo, presso Bologna fra'
Morini, regalai tutti i miei scartafacci a un capitano tuo familiare
che ne usasse a suo beneplacito. Ch'io abbia scritto l'Ipercalisse
(nome del tutto nuovo a me) non ricordo. Da Iacopo Annoni sacerdote
intemerato, ottimo uomo udii, ch'io nell'adolescenza sveglio sano e
sobrio (perché sono astemio) vidi cose prodigiose, tosto
scribacchiai per tre giorni. Questo pure non ricordo, ma che allora
forse io abbia scritto un libercolo sibillino, non negherò:
non ricordo, né desidero leggere; né, come chiedi,
narrare saprei, né vorrei, che anzi circa l'edizione da
intraprendere, voglio si consulti Apollo Didimeo. La verità,
se pure alcuna è negli enimmi, è nascosta quasi seme
che senza offesa de' contemporanei, senza frode de' posteri fiorirà,
col tempo: se al contrario è cosa da giuoco, l'età
stessa e le baie, e gli autori, e i profeti metterà in
derisione. Veramente, e che un mortale vaticini, e dimentichi affatto
le cose scritte: né l'uno né l'altro tu potrai credere:
quanto a me, mi basta che molte cose spesso siano state e vere e
incredibili. Che? Non fu al cieco Didimo divinamente manifestata la
morte di Giuliano? Ho scritto più che non soglio: ma
volli con questa lettera siccome con un editto ammonire che niuno
turbi la quiete a un uomo il quale presto morirà. Salute.
Ufenau presso il sepolcro di Ulrico Hutten.
Ma poiché è pur giuocoforza seguire il proprio Genio o
Fato, ed anche le proprie passioni, sarà difficile ottenere
che qualcuno non segua di miglior voglia l'esempio del Pseudosenese
che il nostro. Perché, chi non sente di sé altamente?
Chi perciò non crederà detto a sé il verso
d'Euripide:
Chi ben congettura ottimo profeta:
il quale, a mio malgrado, vedi nel frontispizio intorno al ritratto di Didimo? O chi non vorrà tramandare a' posteri i singoli oracoli del Profeta minimo del proprio ingegno illustrati, sì come tutte le singole testimonianze? Né io vorrò negare che altri possa sapere quello ch'io non so: ma ben convengo con chi crede stolta la scienza, la quale manchi di sapienza:
poi che il senso comune è raro in quella
dottrina.
Adunque, s'io non avessi scrupolo di fare qualche mutazione nell'autografo, in luogo dell'inscrizione tolta al Tragico greco, metterei la sentenza sapientissima del Comico latino:
Sai tu ben non saper quello che sai,
quindi tacendo più saggio sarai?
Forse con questo ricercato concorso della stessa lettera il Comico morde Euripide, Sofocle, e gli altri gravissimi poeti, i quali talvolta si compiacevano di simili artifizi di parole: come quello d'Ennio:
Tito Tazio tiranno, ti attirasti
tu stesso tanti affanni.
Questi
gli antichi retori difendono: questi ammirano i moderni; chi
ardirebbe dire doversi abbandonare? ciò solo io oserei non
senza rossore chiedere dagli uomini dottissimi, che facciano grazia
alle parole del Comico antico, né si ridano della sentenza: "
Chiunque mette fuori loquacemente tutto ciò che anche ottimo
apprese, opera da uomo stoltissimo". Veggano specialmente
gl'interpreti dell'Ipercalisse, che in essi non si adempia la parola
del Profeta minimo: L'ignoranza degli asini val meglio che la
stoltezza dei dotti.
E qui non ignoro (sebbene manchino venali
e maligni commenti) ch'io l'avrò durissima con quelli a cui
più sodisfa il figurare comechessia nelle stampe che non
essere affatto nominati: i quali certo vorranno credere che gli
enimmi siano a loro offesa piuttosto che d'altri: di questi cotali io
conosco tre sorte. La prima è di coloro a' quali non manca
qualche buona fama, ma per libidine di accrescerla, si affannano
miseramente: sempre temono insidie; scorgono d'ogni parte venire
nemici; checché abbiano con diffidenza da vecchierella
intraveduto, tengono per certo: si lagnano che innocenti e benemeriti
delle lettere sono assaliti di calunnie; riparano al Mecenate;
implorano che si rimetta l'inquisizione da Augusto instituita contro
i libelli famosi: sollecitano la severità del Principe;
s'accaparrano l'aiuto dei giornali, e si appellano all'equità
del genere umano: cioè grandissimo pericolo dovere al mondo
intero avvenire dal danno delle lettere. La seconda è di
coloro a' quali, poiché non possono conseguire neppure una
fama qualsiasi, sembra gran guadagno lo stuzzicare altrui; cercano e
afferrano occasioni di litigio; non hanno speranza di vittoria, ma
temono la pace: non tanto hanno caro di giovare a sé, quanto
di nuocere ad altri. La terza sorte è di coloro, i nomi de'
quali sono famosi, il pudore nullo; studiano di rendersi celebri con
l'audacia e col disonore; né temono di manifestare essi stessi
i propri vituperi, purché acquistino in qualche modo
rinomanza. Perciocché come i mortali che sono travagliati
dalla brama della lode, se hanno ricchezze, fortuna, ingegno,
spessissimo compiono chiarissime geste; così quegli altri che
di tutto questo sono privi, e sono presi dalla stessa ebbrezza, niuna
ridevolezza, niuna infamia vien loro in pensiero che subito non
mettano in opera. Pertanto il dottissimo, e talora (il dirò
con tua buona pace) elegantissimo de' poeti latini, finse la Lode che
a mo' di Baccante agita il tirso:
Grande speranza mi percosse il core
col tirso della Lode.
Grideranno adunque in tono magistrale che l'Ipercalisse fu temerariamente e malignamente pubblicata quasi seme di risse, delle quali nondimeno sono avidi. Ed ecco malignarmi; accusarmi; strascinarmi in giudizio; piantar lite; inquisirmi senza autorità; dirmi sovvertitore delle lettere, nemico della patria; farmi reo di lesa maestà: finalmente doversi l'editore e lo scrittore dell'Ipercalisse condannare a morte; il tipografo e i librai gravemente multare; i lettori cacciare in esilio. Però, se il giudice dell'accusa la conoscesse, la legge santissima dell'imperatore Giustiniano: Se qualcuno operando sarà ito più là che non era la sua intenzione, mi sarà sufficiente difesa. Ma altrimenti andrà la cosa,
giudicando la plebe, che conosci,
la quale stolta dà gli onori spesso
agl'indegni: -
e se a segno col bastone
non la tieni, la turba premeratti
che ti sta intorno, e scoppierai di rabbia:
dalla quale gli uomini dottissimi prendono in prestito le ire e il linguaggio. I colpi dell'ire, sentendomi puro, incontrerò virilmente: ma le ciance (dacché lessi il dialogo dell'Eunucomachia) temo grandemente. Pertanto, se in qualche cosa avrò errato, non ricuso la penitenza: cerco di tener lontane le risse: mi mostro sottomesso, e, pagata la taglia, desidero la pace o almeno la tregua:
mi fia segno di pace dei tiranno
aver stretta la destra.
Che se a tale pace, sebbene gloriosa, preferiranno turpissime risse, io avrò più caro d'esser condannato muto, che trionfare loquacemente. Quel Crisippo, che Cicerone chiama il più destro, il più ingegnoso, il più sagace degli Stoici, sdegnando di ribattere gl'ingannosi soriti dell'Accademia, ritrovò un altro argomento dialettico che chiamava toèn h|sucaézonta loégon; cioè, quand'altri insiste nelle parole, doversi tacere.
Né io intercederò per Didimo, che sperimentai uomo di tanta dolcezza, da neppure invidiare a' suoi nemici i piaceri della vendetta: inoltre così incurante delle umane cose, che ignorava il quando, o il perché, o con le armi di quali popoli si combattessero le perpetue guerre del nostro tempo: né sapeva i nomi dei Re; né chi fossero i padroni delle province Europee: e non usava orologio o calendario: non contava le ore, i giorni, i mesi, gli anni del secolo. Vedano ancora gli uomini eruditi che non se la piglino con un uomo morto: perché dopo quella lettera scritta da Didimo a M. G. Rainero, se morto ei sia o vivo, e che di lui sia avvenuto, non so.
Del resto, perché altro più non mi chieda intorno a Didimo, troverai in fine dell'opuscolo la notizia già stampata in Italia, che ho rammentato sul principio dell'epistola. Aggiungerò che si trovano nelle mie mani due codici autografi, de' quali l'uno ha questo titolo: {Upohnhmaétwn bibliéa peénte cioè (secondo quanto interpreta lo scrittore della notizia) libri memoriali cinque, intorno la propria vita, che Didimo stese in istile Greco-Alessandrino, non so con quale intenzione, seriamente però; e voglio una volta pubblicarlo, con la versione sia latina, sia italiana: l'altro, che dallo scrittore della notizia è appellato Itinerario a' confini della repubblica letteraria, manca del titolo: solamente ha innanzi quest'epigrafe tolta a Fedro:
Cosa da scherzo sembrati, e da vero
è lieve: alcun subbietto non avendo
più grave, ci spassiam con la penna,
ma non credo di doverlo pubblicare. Vedo nell'itinerario che Didimo scherza talvolta, ma con molta urbanità: tal altra motteggia piacevolmente: più spesso però si trastulla alla buona e dice inezie puerili: attesta anche d'aver veduto nelle parti recondite di un'Accademia una legge incisa a lettere maiuscole sovra una colonnetta di bronzo; in questo modo:
S.F.F.E. A . NESSUNO . DI . FRODE . TUTTI . GLI . SCRITTI . ANTICAMENTE . OSSIA . IN . LINGUA . ANTICA . DETTATI . ANCHE BREVI . SI FACCIANO . CONOSCERE . E . STAMPINO . SONTUOSAMENTE . A . UN . NOBILE . DESTRO . O . SINISTRO . E . AL . QUALE . SIANO CONVENEVOLI . E . GRADITI . SIANO . DEDICATI . CON . PREFAZIONE . SPECIALMENTE . LATINA . BREVE . IL . MENO . POSSIBILE SI MAGNIFICHINO . NELLA . QUALE . MOLTE . COSE . SEBBENE NON . C'ENTRINO . AFFATTO . SI . DIRANNO . CARMI . GRECI . E . ROMANI . A . UNO . A . DUE . A . TRE . A . MOLTI . PER . VOLTA . SI DECLAMINO DAL . SANTUARIO . DEGLI . SCOPRITORI . RINNOVATI . CON . VARIA . ED . INUDITA . LEZIONE . PARIMENTE, . ALQUANTI VOCABOLI . Dl . TUTTE . LE . LINGUE . RICAVATI . DA' . TESAURI.
DECRETO
A . CHI . PER . QUESTA . LEGGE . SI . RENDERÀ . NOTO . UNA . VOLTA . SIA . PRIMA . CARICA . IL . SALIRE . IN . CATTEDRA . CHI . DUE ABBIASI . MAESTRO . CHI . TRE . SI . CHI . CHIAMI . CELEBERRIMO . SE . ALCUNO . FARÀ . ALTRIMENTI . AVRÀ . SCEMATI . GLI . EMOLUMENTI SARÀ . REO . DI . LESA . LETTERATURA.
Ed io, poiché volle la mia fortuna che mi toccasse, sebbene a mio malgrado, il carico di editore; mi studiai nondimeno di non adempierlo se non se rettamente: cioè non secondo la legge immaginata forse da Didimo, ma secondo il perpetuo consentimento degli eruditi, il quale ha valore di legge: perocché stimano vergogna non tanto l'ignorare, quanto il trattare contro l'uso le lettere. Pertanto, affinché non paia ch'io mi diparta dalle comuni leggi della filologia, scrissi a te, Giulio Ric. Worth, questa lettera, poco latina forse, verbosa assai: nella quale, perché né a te né ad altri rimanesse nascosto nessun motivo dell'edizione dell'Ipercalisse, molte e varie cose compresi. Eccoti anche il libricciuolo stampato lindamente, e adorno delle stesse figure disegnate nel manoscritto: queste cure inoltre usai per apprestare a te dell'eleganze tutte, e degli appassionati per le biblioteche amantissimo un piccolo dono tipografico. Salute. Pisa. Il primo di luglio del 1815.
CAPO PRIMO
1.
Visione di Didimo chierico sopra Ieromomo monaco.
2. E avvenne che
Ieromomo non ancora diacono scriveva diari nel recesso del tempio
intorno il rege, il gregge, la legge e i profeti: E lo spirito di lui
obbediva al danaro.
3. Godeva anche de' funerali e dell'esequie
de' villici: E quando gli orfani e le vedove non avevano il cero per
la sepoltura de' congiunti, Ieromomo minacciava ad essi la parola del
Signore:
4. Guai villici! come mai vi allontanate dall'orazione
dei santi? Portate il vino, e il frumento, e gli oboli dell'elemosina
affinché il sacerdote non si contamini nel lutto: Se il
sacerdote e il chierico non pregheranno per i vostri defunti, il
diavolo li divorerà nella geenna del fuoco.
5. E io Didimo
ricordai la parola di Dio: Guai a voi, scribi e farisei ipocriti:
perché divorate le case delle vedove mormorando lunghe
preghiere.
6. Pertanto mi dilungai dalla vita di Ieromomo: e
solamente scrivevo giornali con esso.
CAPO SECONDO
1.
E avvenne che nel diciannovesimo anno, nel sesto mese, nel dì
terzo del mese dal mio battesimo, in giorno di domenica, nell'ora
prima avanti i vespri, tremò l'arbore, e vidi una visione:
2.
Nella terra della trasmigrazione degli Aramei, lungo il fiume della
città di Firza, nella campagna che dicesi Ptomotafio: che gli
uomini Aramei interpretano, sepolcreto di quadrupedi.
3. Io nato
al colle de' cipressi, dirò tutto ciò che vidi nella
visione e che udii nella capanna.
4. Chi ode, cerchi: e chi non ha
occhi, riposi nelle mie parole.
5. E dormendo sotto un fico, con
le labbra aperte, se mai il vento che scolava il fico mandasse i
frutti nella mia bocca: si fe' silenzio intorno l'anima mia, e il
calore m'avea rilassati i nervi e le giunture: perché era il
mese de' fichi.
6. E le orecchie mie udirono tuoni nel sonno: e
colpi quasi di grandine mi percotevano il naso.
7. E io destatomi
per il dolore del naso aprii gli occhi, e il terrore entrò
nelle mie ossa: perché l'arbore si agitava siccome per
tempesta, e il cielo era senza tempesta.
8.
E i fichi più acerbi mi percotevano il naso: e il latte loro
colava più amaro del fiele e dell'assenzio: e i fichi più
maturi pendevano da' rami.
9. Pensando congetturai che il diavolo
dimorasse nell'arbore, siccome fu scritto da' poeti ne' canti delle
genti e ne' libri delle metamorfosi.
10. E levatomi vidi un
giovane uomo militare con la sciabola e l'elmo e il cimiero, avente
nella mano sinistra un corno di cacciatore: e con la destra scoteva
il tronco del fico.
11. E dissi: Scostati, Satana: e i miei piedi
correvano lontano dall'arbore, correvano come su le reni de'
cavalli.
12. Allora un suono terribile mutatosi a poco a poco in
voce d'uomo, gridò: Sta: E io caddi bocconi, e udii la voce
del gridatore: Sta su' tuoi piedi e parlerò teco. Io frattanto
levatomi correvo lontano dalla voce.
13.
Di bel nuovo la voce chiamandomi col mio nome, e col nome del padre
mio, e col nome dell'avolo mio, mi teneva dietro: l'uomo militare
correva calzato di stivali, e con speroni ferrei: e il suono della
sciabola nella ferrea guaina strascicante sopra le pietre empié
di freddo i miei polpacci, mentr'io entravo nella capanna del bifolco
del mio contubernale per fuggire il terrore d'inferno.
14. Ed ecco
a' miei occhi sedente sopra un fastello di fieno con un canestro
nelle mani una vecchierella che si chiamava Margherita.
15. E
l'uomo militare stando su la soglia della capanna mandava col corno
lo squillo delle torme nel momento della battaglia.
CAPO TERZO
1.
Segno che fu fatto a Didimo chierico dalla vecchierella Margherita
mentre l'uomo militare col rimbombo del corno scacciava tutti i
giovani lascivi e le figlie della campagna dall'uscio della
capanna.
2. I bovi del bifolco, al suono della tromba, temettero
il macellaio, e mandarono lungo muggito: I forti tori davano delle
corna nella greppia, e il loro membro genitale protendevasi nell'ira:
Gli agnelli lattanti correvano alle madri, e le madri e gli agnelli
si stringevano scambievolmente per la paura: E i cavalli dell'aratore
col nitrito chiedevano la pugna: E i porci grugnendo scorrazzavano
qua e là atterriti per la stalla: E il cane del pastore con
lungo ululato predisse funesto augurio. Ma la vecchierella Margherita
faceva, senza tema della mente, orazione al Signore.
3. E vedendo
la fortezza e la fede della vecchierella l'abbracciai: e piangendo
come un fanciullo esclamai Ah Ah.
4. E la terza volta aperta la
mia bocca ad esclamare: Ah, quella vecchierella pose nella mia gola
il dolce fico che unico aveva nel canestro.
5. E mangiai il fico:
e si fece nella mia bocca, siccome miele, dolce.
6. E quella
sporse innanzi a me il canestro vuoto. E l'uomo militare disse a me:
Se pianterai la vigna e il frutteto il ventre tuo quieterà, e
i pensieri tuoi saranno sanati.
7. Fa che codesto canestro, ch'io
ti do, s'empia col tuo sudore e con la tua fatica nel nome di Dio.
8.
Perciocché con qual mente aspetti supino il vento e la
procella che mandino i frutti nella tua bocca? sonno e morte
sorprenderanno l'anima tua.
CAPO QUARTO
1.
Dopo questo si fe' ancora sentire il rimbombo del corno dell'uomo
militare, e udii la voce di lui: perché stava su l'uscio della
capanna.
2. Veramente è meglio il sonno che la frode:
meglio è la morte della vita che il mal nome e l'ignominia: ma
ottimo il mangiare il pane con l'opera delle proprie mani e vigilare
in fatica onesta.
3. Destati, Didimo, destati: volgi gli occhi a'
lumi del cielo, e al Signore che creò il cielo e la terra, e
l'uomo affinché per desiderio del cielo lavorasse la terra.
4.
È scritto: Un poco dormirai, un poco sonnecchierai, un poco
giungerai le mani tue per prender sonno: e verrà a te quasi
malandrino l'indigenza, e il vituperio quasi uomo armato.
5. Ed
ecco che tu accatti il viatico dell'insipienza e dell'infingardia e
dello scandalo: perché scrivi effemeridi contro i tuoi
fratelli cercando lucro nell'adulazione e nella calunnia.
6. Tu
se' chierico: che dunque hanno a fare i giornali col chierico?
Insegna a' fanciulli l'orazione che apprendesti nel tabernacolo
santo: leggi a te e a' contadini le parabole della verità:
7.
Perché Dio ama i fanciulli e i pusilli e i poveri: renderà
quindi a te il bene secondo la carità tua per essi.
8.
Predica a' poveri l'orazione domenicale: affinché chiedano
nella tranquillità della mente e nel sudore della fronte il
pane quotidiano:
9. Affinché nella pazienza del cuore
imparino a rimettere il debito a' debitori ricchi che non dànno
all'operaio la mercede:
10. Affinché, quando leggi, greggi,
regi de' figli d'Adam saranno travolti, saranno sovvertiti,
ritorneranno su la faccia della terra, gli agricoltori e gli operai
adorando esclamino: Facciasi la volontà di Dio siccome in
cielo anche in terra.
11. Così per lavoro onesto avrai pane
e pace dentro il tuo cuore.
12. Guardati sopra tutto dallo
scrivere giornali: meglio il sonno che la frode: meglio è la
morte della vita che il mal nome e l'ignominia.
13. La memoria
degli scrittori tutti di effemeridi sarà un miscuglio di
adulazione e di rimprovero, opera d'uomo perverso.
CAPO QUINTO
1.
Peso di Ieromomo.
2. E la voce dell'uomo militare si faceva vie
più sentire: Uomo, uomo del colle de' cipressi, figlio di
Rafael figlio di Serafim, conosco l'opere tue, e l'adulazione ad
allettare i tristi, e le tue contese contro i profeti, e le insidie
contro l'anima mia: tu se' vivo e morto.
3. Ma perché odii
le opere di Ieromomo a danno delle vedove, rimetto a te i peccati.
4.
Ritorna dalla via tua pessima: perché leggerai con gli orbi, e
salverai col calunniatore: e il tempo dell'ira è vicino.
5.
Ieromomo diventerà monaco e sacerdote nella città della
trasrnigrazione de' Galli Senoni ad Austro dell'Alpe Pennina.
6. E
fornito del doppio manto dell'impudenza, insegnerà a'
giovanetti le dottrine che neppur esso aveva apprese.
7. E
diventerà apostata: perché tutti confessino quello che
fu scritto dal Sapiente: Uomo apostata, persona inutile: cammina con
la faccia stravolta; ammicca con gli occhi; strascica il piede; parla
col dito; nel cuore perverso macchina il male; in ogni tempo semina
scandali: a costui arriva tosto la sua perdizione.
8. Pertanto
Ieromomo scriverà giornali ad appiccare il fuoco alle stoppie
della città, che la mano di Dio liberò dallo sterminio
e dalla perdizione della licenza.
9. E andrà pieno della
maledizione del popolo suo: e togliendo con sé la sua
malignità e il calamaio e il bordone esulerà per genti
diverse, finché giungerà nella terra fertile, dove
siede Babilonia la minima, al popolo gozzovigliante, del quale
vaticinò Iacob:
10. Asino forte giacente tra' suoi confini:
vide che buono era il far nulla, ed ottima la terra, e sobbarcò
il suo dorso al peso, e fu servo a' tributi.
11.
Ivi la biscia che divora il fanciullo fu spenta dalla mela cotogna
dell'agricoltore: e la mela cotogna spaventata dal giglio: e il
giglio divelto dall'imperatore monaco i cui figli e i figli del
pronipote tenevano quella terra sotto tributo per mezzo di
satrapi:
12. Tosto Iddio Signore degli eserciti diede la maschia
Donna a principe del popolo: sicari, pubblicani, e lenoni la
violarono, e divenne meretrice.
13. E l'Avvoltoio portando innanzi
a sé il vessillo dell'Aquila venne e disse al suo pulcino: Io
il Signore: e tu il principe di questo popolo: e darò a te le
ali del Leone; e un corno del Toro bellicoso; e i lidi del Pescatore:
nondimeno tu disprezza i profeti, perch'io con la moltitudine degli
stolti soffocherò la sapienza de' profeti.
14. Nel
principio Dio vestì di fortezza la spada del pulcino; e la
mente di lui di giustizia: e il cuore di lui di misericordia: e la
bellezza e la castità si baciarono nel talamo suo: e vide le
vergini e le matrone spargere rose nel latticello de' figli suoi.
15.
Di poi le prosperità troppe, e gli adulatori, e la Sinagoga
de' Dottori, e il Senato de' Parassiti gonfiarono l'anima sua; e
nell'ebbrezza della sua gloria respinse il profeta; e chiamò
la Sinagoga de' Dottori, e il Senato de' Parassiti, e disse a loro le
parole di Baruc:
16. Ecco a voi mandammo denari, coi quali
comperate le vittime e l'incenso, e fate la manna, e venerate
Nabucodonosor delle tre Babilonie, e me Baldassar figlio di lui:
magnificate il forte guerriero:
17. Affinché tutti i popoli
tacciano sotto l'ombra di Nabucodonosor: voi poi lo canterete sotto
l'ombra mia, affinché serviate a me e a' servi miei lungo
tempo, e troviate grazia nel cospetto mio sempre.
18. E diede a Ieromomo il lettaccio e la ferula, e lo costituì pedagogo Caldeo degli efebi dell'atrio del re.
CAPO SESTO
1. Peso di Ieromomo.
2.
Disse lo spirito del Dio vivo: i; necessità che vengano
scandali.
3. Diede adunque a Satana scribi e pedagoghi e vecchie
poetesse libidinose perché scandalizzino.
4. Queste cose
disse l'uomo militare a me: Uomo francese si satollerà de'
frutti della terra pingue, e griderà:
5. Dimenticate la
lingua de' padri vostri perché dice vanezze: parlate la lingua
mia che ha parole di sapienza, e canta mirabilmente in teatro.
6.
Allora anche Ieromomo berrà vino al banchetto di Eden satrapo,
e vocerà insieme col francese: Sputerò fiele dal fegato
mio su' visi de' figli del popolo a sanare gli occhi loro, perché
i profeti accecarono la città.
7. Ma i cittadini buoni
diranno a Teromomo: Tu stendi la lingua tua quasi arco della menzogna
e non della verità:
8. Mangia e bevi nella povertà
tua sotto il re prodigo, e metti il dito sovra la bocca tua: perché
i littori a cavallo non ti conducano nel castello della città
paludosa fino alla morte.
9. Ma le orecchie di Ieromomo non
daranno ascolto alla parola della pazienza: e novamente schernirà
i profeti giusti della terra pingue, dove siede Babilonia la
minima.
10. E i cittadini diranno di bel nuovo: Ieromomo prete;
levati le vesti amorose de' giovani, e indossa la nera veste
sacerdotale:
11. Abiura il sacrilegio, l'adulterio e la simonia:
getta via la penna del calunniatore togli il libro de' salmi, e co'
sacerdoti e il popolo canta nel tempio di Dio ad implorare la pace
della città, e la gloria del principe:
12.
Non devi, tu sacerdote, magnificare le stragi della vittoria: perché
chiediamo al Signore Iddio meno un re guerriero, ma più un re
sapiente:
13. È scritto: Tu se' sacerdote in eterno.
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CAPO SETTIMO
1.
Peso di Ieromomo.
2. Ascolta, Didimo, perché i cittadini
buoni diranno la terza volta parole di pazienza a Ieromomo: e il
figlio dell'Avvoltoio stenderà le sue ali sopra di lui.
3.
Ma l'Apostata persisterà nella prevaricazione; né avrà
più mezzo di salute: e quando non dia ascolto la terza volta,
e l'Avvoltoio sia cacciato nel nido dell'ignominia, il peso della
vendetta piomberà sopra di lui.
4. I littori a cavallo
legheranno le mani di lui con nodi di ferro, e lo avvolgeranno di
catene.
5. I librai a rifarsi del danaro che gli avevano dato
perché scrivesse con l'inchiostro del calunniatore a
solleticare la libidine de' tristi, venderanno a' mercanti
d'anticaglie la raccolta di papiri di Ieromomo.
6. I lettori
d'effemeridi esecreranno lui nell'amarezza perché tracannarono
la menzogna, e perseguitarono la verità.
7. Egli ricordando
i suoi giorni felici, chiederà aiuto; ma anche i suoi
partigiani si allontaneranno da lui.
8. Fliria istrione, figlio di
Benac; e Goes poeta, figlio di Oros; e Psoriona maestro di scuola,
figlio di Ftonia; e Agirte libraio, figlio di Beton:
9. E altre
genìe di Mammona la cui fronte è logora e il cuore non
è di carne:
10. I quali andavano dettando giornali a
Ieromomo, e lo facevano testimonio di adultera calunnia contro i
profeti vivi e contro i re morti:
11. E a' pranzi mangiavano con
lui l'agnello pingue del gregge e i vitelli della Vacca del Pastore
buono:
12. E dicevano a Ieromomo: Reca il vino e berremo: E nella
crapula e nell'ebbrezza si abbracciavano scambievolmente vociferando:
Pace: e non era pace.
13. Tu adunque dispregiali: né pure
ti troverai a' pranzi loro: perché mangiano pane
contaminato.
14. Né anche i discorsi loro ascolterai:
perché sono menzogneri, e sovvertitori, e irritatori, e lo
spirito della loro bocca ambiguo.
15. Né farai parole nella
presenza loro: perché increduli, invidiosi, delatori, ed
esasperanti.
16. Per la qual cosa, se essi odono, suggella le tue
labbra: chi fa mercato del proprio intelletto venderà la
verità, e il mercenario dell'anima sua tradirà l'anima
del suo fratello.
17. Adunque que' dessi tutti rimproverando la
calamità a Ieromomo, lo caricheranno de' propri peccati.
18.
E ciascuno nel secreto del suo cuore temprerà i suoi pensieri
nell'empietà.
19. Perché a lungo tace la coscienza
nelle viscere degli empi: coscienza di empi, leone che dorme.
20.
È scritto: L'iniquità spuntò nella verga della
crudeltà: ma la crudeltà, benché tardi, è
flagello a se stessa.
21. Pertanto mentre i littori a cavallo
meneranno Ieromomo nel castello della città paludosa fino alla
morte:
22. Goes, e Psoriona, e Fliria, e Agirte figlio di Beton lo
seguiranno giacente nelle ritorte sul carro, e stromberanno: Oi.
23.
E gli stropicceranno la faccia con ortica perché impari ad
arrossire.
24. Tre cose soltanto: Ara, Aratro, Arbore del
patibolo, abbisognano a' figli d'Adam: ma uno solo agli uomini
inverecondi pedagogo ottimo; il Carnefice.
CAPO OTTAVO
1.
Spada che vide Didimo chierico.
2. Silenzio fu intorno e si fe'
buio nella capanna: perché il giorno volgeva a sera.
3. E
udii una voce che diceva: Togli il canestro e appressati. E tolsi il
canestro e dissi: Dove sei?
4. E l'uomo militare sfoderò la
sciabola gridando: Segui il lume della fortezza.
5. E vidi
lampeggiare la sciabola nuda: e caddi a pie' di lui siccome morto.
6.
E mi prese per un riccio della testa tonsurata: e mi condusse al
fiume della città di Firza in una campagna che guardava a
tramontana, dov'è il sepolcreto de' quadrupedi.
7. Era la
terra minacciata di turbine: e le stelle s'erano illividite: notte
solitaria spaziava per il sepolcreto: e nel corso delle acque
tuoni.
8. E la spada dell'uomo militare, siccome rame rovente,
rompeva la notte.
9. E da ambe le parti del ferro, siccome stelle
di minima grandezza, sfolgoravano dodici lettere:
10. Da una
parte, lettere sei: est est: dall'altra parte, lettere sei:
non non.
CAPO NONO
1.
Verbo sopra la vecchia poetessa.
2. Ed ecco la sembianza d'una
donna nuda, d'anni sessanta: la quale, a guisa di volpe in traccia di
preda per la solitudine, spiava per ogni dove i penetrali delle fosse
de' quadrupedi; e veniva sotto il lume dell'aere rabbuiantesi,
3.
Storcendo gli occhi, con lo sguardo procace, i denti rotti, le
mammelle logore, il femore lordo di proluvie, il ventre smisurato, le
gambe sbilenche:
4. La testa aveva calva: e non sapeva star
ferma.
5. E aveva nella mano sinistra una penna.
6. E scavava
le carogne de' quadrupedi: e radunava le putredini impastandole nella
sua bocca.
7. E sputava il biascicaticcio: e rappigliassi in
inchiostro di scrittore.
8. Dopo ciò squassando uno
smisurato serpe vermiglio, percoteva con la mano destra le proprie
natiche con grandi risate:
9. E incontanente gli occhi della donna
sessagenaria insanivano di libidine.
10. E s'arricciarono i peli
della mia carne.
CAPO DECIMO
1.
Morte di Ieromomo.
2. Ed ecco un eunuco, maestro di scuola,
chiamato Filippo: uomo bastardo della terra della trasmigrazione
degli Aramei.
3. Che camminava con l'andatura dell'oca: e gli
occhiali inforcavano il naso di lui: perch'era storpio e losco.
4.
E teneva una zappa di becchino: e i suoi passi erano involti
d'ambiguità e di tenebra: cui avendo scorto, la maliarda mise
un grido correndogli incontro:
5. Ecco impastai secondo il
precetto di Psoriona l'inchiostro per la penna sua e per quella de'
suoi fratelli.
6. L'opera è terminata: vieni ed inebriamoci
d'abbracciamenti finché non spunti il dì.
7.
L'eunuco rispondendo disse: Anna sorella Calamoboa, il tuo vago
Ieromomo spirò ier l'altro nelle catene e nella bestemmia.
8.
Fliria e Goes, e Psoriona figlio di Ftonia, e Agirte figlio di Beton,
adulteri tuoi, verranno a seppellirlo nel Ptomotafio: perch'essi
esumarono il corpo di lui dal luogo santo dove la Sinagoga de'
Dottori l'avevano sepolto.
9. Ed eccomi qui novamente scavatore
della fossa.
10. E avendo queste parole udite, la poetessa
vagolava a somiglianza della cagna pregna che spia le tenebre e i
sepolcri:
11. E mugolava forte dicendo: Veleni nascosi nella
putredine, e carogne pestifere:
12. Datemi il tossico per uccidere
a banchetto Goes e Psoriona, e Fliria, e tutti gli Apostoli loro
traditori del mio Ieromomo:
13. Stillate inchiostro e scriverò
a lettere di fuoco maledizione eterna: perché gli ottimati
della città credettero a me:
14. E come aguzzavo calunnie
contro i mariti miei: e con la penna accecai la Giustizia, e aprii le
sue orecchie con le mie lacrime: E dal giuramento spuntò la
condanna degli innocenti:
15. Così scriverò in un
volume la maledizione e il giuramento e le minacce a rovina eziandio
de' nocevoli:
16. Perché compagni e traditori dell'amante
mio vivo, persecutori anche gli si fecero morto.
17. E nuda
baccante nella Sinagoga de' Dottori e nel tempio, e nel mercato del
popolo andrò vociando:
18. Miratemi, popoli tutti, perché
anche le mie vesti mi hanno finalmente in abominio.
19. Apprendete
la sporcizia mia che celai con la veste della vergine:
20.
Noverate su le mie natiche i baci di Fliria, e di Agirte, e di Goes,
e di Psoriona inquilini della casa mia.
21. Confesserò
tutti i miei misfatti, e le fornicazioni, e le calunnie, e
gl'infanticidi; poiché gli adulteri miei, ipocriti miei
aiutatori, esultano nell'amarezza del mio dolore: e il sepolcro di
Ieromomo fu aperto dalle loro mani.
22. Dannatemi pur dunque alla
corda e al fuoco e alla tanaglia purché siano martoriati gli
adulteri miei con me: e raddolcirò l'amarezza mia con
l'obbrobrio degli adulteri miei, e sarò consolata
nell'inferno.
CAPO UNDECIMO
1.
Dopo ciò la donna sessagenaria tinse la penna nell'inchiostro
che aveva impastato nella sua bocca.
2. E scrisse sopra le sue
cosce la moltitudine degli adulteri suoi, con numero arabico: e i
loro nomi con lettera Aramea:
3. E il numero e il nome si mutavano
in ulcere: e le mie nari detestarono il fetore.
4. E mentre quella
strega mugolava, scorsi un serpentello verde contorcentesi dalla sua
bocca: perché aveva un serpentello per lingua.
5. E dalla
bocca del serpentello mille punte: e in ogni punta solfo, e tossico,
e sangue.
6. Frattanto l'eunuco Filippo scavava la fossa con la
zappa.
7. E sedendo stanco sul mucchio delle zolle della fossa
posò la zappa fra le cosce: e giungendo le mani sue, con voce
d'un campanello rotto, disse alla donna:
8. Senti, Anna Calamoboa:
la Sinagoga de' Dottori per non scandalizzare la plebe e la chiesa,
seppellirono il corpo di Ieromomo nel campo di riposo de' fedeli:
9.
Ma la paura fe' al passeggero vespertino vedere l'altra notte la
sembianza di Ieromomo uscente dalla tomba, abbattente le croci dei
defunti in pace.
10. E le loro ombre a somiglianza d'uno stuolo di
colombe tementi l'avvoltoio a Dio facevano gemendo orazione:
L'inimico dell'anima nostra scompigliatore delle ossa
pacifiche.
11. Senti, Anna, e siimi indulgente; perché
turbamento sopra turbamento, e udizione sopra udizione: perché
quelli che abitano presso il luogo sacro udirono la voce di
Ieromomo:
12. Perché gridava di sotterra: Figlio di Oros,
figlio di Beton, figlio di Ftonia, figlio di Benac: e voi tutti che
tenevate consiglio rneco:
13. A che mi lasciaste solo nella
battaglia?
14. Su via, scacciate i profeti dal nido della vita: e
l'ombra mia scompiglierà le loro reliquie, e le ossa loro darò
in balìa all'aquilone:
13. Perché i viventi nel
futuro non rammemorino le virtù loro sovra i sepolcri, e non
li piangano.
16 I cittadini adunque che udirono questo,
riedificarono oggi al sorgere del sole i sepolcri de' fedeli: e sopra
vi ripiantarono le croci, e maledissero Ieromomo.
17. Poscia si
scagliarono contro Goes e i poeti; e contro Fliria e i buffoni; e
contro Agirte e i librai, e tutta la razza degli scrittori
d'effemeridi.
18.
E contro la Sinagoga de' Dottori.
19. Ed anche contro me, sebbene
trattenga la voce nelle fauci mie, affinché non abbiano
intoppo al banchetto d'Eden principe de' Parassiti: perché ho
fame.
20. Né tinsi la penna nel calamaio, né diedi
scrittura al tipografo: perché ho paura.
21. La mia parola
invisibile gettata nelle viscere delle orecchie dello schernitore
ricco: e quando dal seme mio germoglierà la zizzania nella
bocca altrui, io dirò: Non so.
22. Pensando io dunque a un
partito, dissi nell'adunanza agli adulteri tuoi: dissotterriamo tosto
il corpo di Ieromomo; lo seppelliremo nel Ptomotafio.
23. Perché
avverrà che il luogo santo sia eternamente campo di battaglia
fra l'ombra di Ieromomo e le ombre de' fedeli.
24. Siccome fu
detto dal poeta: Neanche nella morte stessa le sofferenze
abbandonano l'uomo.
25. Perché dove novamente Ieromomo
vi chiamerà di sotterra, rivelando le opere vostre, il furore
del popolo e le pietre si scateneranno contro noi tutti.
CAPO DUODECIMO
1.
Funerale di Ieromomo.
2. E l'uomo militare disse a me: Volgiti,
Didimo, dalla parte d'oriente, e guarda: E incontanente apparve una
luce lurida su l'orizzonte.
3. E guardai, ed ecco quivi seicento
mila ali di pipistrelli splendenti di solfo acceso, e nuotanti su per
le correnti del fiume.
4. E portata sull'ali a noi ratta veniva
una barca senza vele e senza remi.
5. E nella barca le sembianze
di sei uomini, e un feretro.
6. E accostatisi legarono la barca al
grosso d'un corbezzolo nell'argine.
7. E dalla barca uscì
primo un omiciattolo il quale si pasceva di spugne e liquirizia:
questi Agirte figlio di Beton.
8.
E aveva in spalla un corbello di libri, e nelle mani un cembalo: e
affrettavasi gridando loquacemente:
9. Ecco gli aromi miei,
caramente comprati con l'altrui danaro ad abbruciare le ossa di
Ieromomo.
10. E secondo a uscire della barca vidi un uomo più
loquace, il capo coperto d'una parrucca di pelle di scimmia; e una
maschera nelle mani di lui; e si nutriva di cicale: questi Fliria
istrione figlio di Benac.
11. Il terzo venendo con occhi e braccia
spellati, mangiando api e sputando pungiglioni sul viso degli uomini
acconciava parole greche, e sulle labbra di lui un mormorio di
loiolita; e nelle mani di lui radici di parole: questi Psoriona
figlio di Ftonia.
12. E vidi sulla sua fronte scritti a colore
d'orpello numeri arabici undici 19876543210.
13. E avvicinandosi
al fulgore della spada dell'uomo militare, ecco i dieci primi numeri
svanirono: ma l'ultimo numero zero si fece più grande in mezzo
alla fronte.
14. E il quarto uscendo con trista guardatura,
mangiando lumache e sputando bava gridava: Raccogliete l'argento mio:
E dalla bava spuntavano corna di lumaca: questi Goes figlio di
Oros.
15. E pose su l'argine un vaso pieno di papiri di carmi: e
avendo il soffio del vento rapiti i carmi e offertili tutti quanti a'
miei occhi:
16. Io Didimo leggendo vidi: Per la legge, contro
la legge: per il rege, contro il rege: per il gregge, contro il
gregge.
17. Frattanto quegli cantava carmi con tumulto: e la
discordia risonava nel canto della sua lira:
18. E detto un carme,
scorgendo d'ogni parte insidie ed emuli, stendeva la palma della sua
destra all'elemosina, come il cieco nel vestibolo del tempio.
19.
Teneva dietro a' quattro un pigmeo lettore: e la fronte di lui
siccome tavola e carie; perché si nutriva delle tignuole de'
libri: e gridava con la voce delle rane: Miserere:
20. E il quarto
uomo che gli era vicino, battendolo assai forte col plettro della sua
lira, il lettore rispondeva: Così sia.
21. Questi è
scismatico, e senza nome.
22. Ultimo poi, e coperto del vello d'un
verro scoiato, uscì dalla barca un gigante alto cinque cubiti
e un palmo:
23.
Divorava gli avanzi della gran cena del cenacolo de' figli del
Carnefice Santo:
24. E ruminava il mangiare siccome Bove: e lo
ruttava gridando:
25. Io solo so quanto voi tutti non sapete:
perché Giuda Iscariota il quale tradì il Figlio
dell'uomo nel bacio santo era della stirpe di David. Perché
David era rosso.
26. Allora l'uomo militare disse a me: Quel
gigante ravvolto nel vello del verro non sa ciò che i popoli
sanno: perché anch'esso tradì il suo maestro alla
Sinagoga de' Dottori: Baldassar ingannato dalla Sinagoga diede cinque
mila monete d'oro prezzo del tradimento, e costituì il gigante
maestro de' maestri.
27. Questi sono i sei uomini ch'io Didimo
vidi uscire dalla barca.
CAPO DECIMO TERZO
1.
E quel gigante portava la bara: e depose il feretro presso la fossa
scavata dall'eunuco.
2. E avendo rovesciata la bara a farne uscire
il cadavere, ravvisai' Ieromomo già monaco, e le lacrime
spuntarono sugli occhi miei, e le mie palpebre si ottenebrarono.
3.
Perché ricordai i giorni della mia innocenza, e i trastulli
della puerizia nostra: e tutti i miei pensieri furono tronchi dalla
paura della morte eterna.
4. E mi copersi con le mani gli occhi
perché l'uomo militare non forse discernesse la vera mia
afflizione:
5. Egli scrutando le viscere mie disse: Principio di
virtù la misericordia: è scritto: I giusti tutti sono
misericordiosi; e Dio custode della misericordia:
6. E se questi
tutti che ti stanno dinanzi minacceranno l'anima tua, abbi di loro
misericordia:
7. E dove tutti gli uomini li temano, la
tribolazione darà loro affanno, e la coscienza, benché
tardi, li circonderà.
8. Frattanto il figlio di Beton
inalzava il rogo co' volumi del corbello.
9. La donna sessagenaria
incominciò il duolo sopra il cadavere.
10. E Fliria cantava
al suo fianco con voce meretricia canzoni meliche di poeta evirato: e
piangeva con lacrime di commediante.
11. Un mattone giaceva nel
Ptomotafio, e il gigante v'incise con l'unghie l'effigie di Ieromomo,
e l'epitafio che il pigmeo lettore aveva scritto in lettere greche:
così:
SEPOLCRO
. ALLA . FURIA . SACRO
IL . CANEVOLPE . IEROMOMO . GIACE
ESTINTO
. MORDE . FUGGI
12. Il pigmeo perché altri per avventura non vedesse quello che aveva scritto, sedette sopra il mattone: e burlandosi di quelli parlò a sé:
volpeggiare con la volpe.
13. E l'uomo militare, rispondendo a lui, disse a me:
serpente, se non mangia serpente, non nascerà dragone.
CAPO DECIMO QUARTO
1.
Eunucomachia. Perché sorse rabbiosa gara tra Psoriona e Goes;
essendo che uno amava meglio lodare Ieromomo per arringa: l'altro
invece cantare nello strepito della lira un epicedio.
2. E
Psoriona gridava: Ascolta Goes; perché Nabucodonosor re delle
tre Babilonie mi costituì dottore della Sinagoga sua minima:
chiunque pertanto sprezzerà gli scritti miei, sarà reo
di maestà; siccome quegli che imputa ignoranza a Nabucodonosor
re, il quale costituimmi dottore.
3. E Goes gridava: Taci, figlio
di Ftonia; perché le tue dicerie vanno passo passo; ma i miei
carmi volano con penne veloci: per ciò Nabucodonosor re mi
costituì banditore del nome suo, affinché lo confessino
i popoli tutti: chiunque pertanto preferisce le sue pedestri dicerie
alle mie canzoni, preferisce la gloria propria alla gloria di
Nabucodonosor re: tu dunque sarai reo di maestà.
4. Io
Didimo udii in visione questi argomenti incredibilmente veri: onde
avverrà che si tramandino lodati alla posterità dal
settimanale Poligrafo.
5. Frattanto nel Ptomotafio l'invidia e il
livore antico riarsero allora in furore novello tra Psoriona e
Goes:
6. E risse e minacce e imprecazioni e accuse di
scelleratezze: e Goes rinfacciava i furti a Psoriona; e Psoriona
rinfacciava a Goes i lenocini e si calunniavano scambievolmente.
7.
E Goes s'era cercato l'aiuto di Agirte: e Psoriona l'aiuto di Fliria
istrione.
8. I1 gigante menava schiaffi ora a Goes e ad Agirte;
ora a Psoriona e a Fliria.
9. Il pigmeo sedendo in disparte,
piangendo con un occhio, scongiurava la rissa: ma con l'altro
sorridendo, esilarava l'ipocrisia del suo cuore.
10. E Anna
Calamoboa intanto che baciava i contendenti, piagavali tutti coi suoi
denti avvelenati.
11. E ripullulava la maligna disputa intorno la
legge, il rege, il gregge: e nella disputa delitti di maestà,
e sangue senza spada: ma i sassi e le ossa de' quadrupedi
somministravano le armi.
12. Frattanto l'eunuco Filippo atterrito
fuggiva a passi d'oca: disegnava d'andare al banchetto d'Eden satrapo
Fariseo Dottore Massimo: perché costui incitava
l'Eunucomachia, per dare la baia a' Dottori accapigliantisi, a' quali
codesto Fariseo Massimo presedeva.
13. E il sepolcro si mutò
in taverna d'armeggioni.
14. E avvenne un grande terremoto.
15.
E la terra si squarciò con fracasso orribile: e la sembianza
d'un asino scoiato sorgendo dal tumulo scorrazzava per tutte
parti:
16. E il raglio di lui più lungo dell'uhi di cento
guerrieri morenti.
17. E mentre lo spirito dell'asino, me
presente, trapassava, si raggricciarono tutte le mie ossa.
18. Il
raglio intanto divenne cantilena di Sinagogita leggente dalla
cattedra sua.
CAPO DECIMO QUINTO
1.
Querimonia dell'asino.
2. Quando l'asino parlava, gli uomini tutti
e l'eunuco e la donna tacevano: e quando quello camminava,
stavano.
3. Queste cose disse l'asino:
4. I padri miei e i
fratelli miei, e i cavalli e i muli amici miei, e i bovi e le pecore
e gli altri figli della terra miei conoscenti:
5. Sfiniti dalla
fatica, dalla vecchiezza e dalla tabe della servitù morirono:
e alla terra ritornarono, dove è pace.
6. E voi umane belve
poiché sopra tutte le creature animali avete loquela e mano,
esattori e carnefici nostri diveniste:
7.
I quali non vi tenete figli della terra al pari di noi, e affettate
la via del cielo: fummo dunque spregevoli a' vostri occhi.
8.
Concedete almeno a noi l'abitazione della terra: abitazione materna e
pacifica per tutti in eterno.
9. Perché turbate il nostro
riposo e nella solitudine della morte nostra vigilate?
10. Certo
la congerie della putredine degli asini e de' bovi sembra a voi
cattedra degna della sapienza:
11. Perché voi, siccome udii
nel lume della vita mia, volate oltre le nubi e i luminari del
firmamento e il Sole e le sette mura de' cieli: E dall'occhio di
carne, e cerebro di carne, e cuore di carne, giudicate il Santo de'
santi da più sublime altezza.
12. Però udii anche i
sapienti vostri quando portavo il carico della decima e le primizie
del mio contadino all'entrata dell'altare:
13. Perché
confessavano queste tre cose nel santo volume: L'uomo non ha nulla
più del giumento: Una medesima è la morte dell'uomo e
de' giumenti, e pari la condizione d'entrambi: Chi sa se lo spirito
de' figli d'Adam salga in alto, e se lo spirito de' giumenti scenda
in basso?
14. Ben noi sappiamo che i due doni i quali separano voi
da noi e vi fanno insuperbire, sono doni affannosi: la loquela vi
rende ciarlieri, bugiardi, delatori; nelle mani spada e penna:
15.
Nella bocca vostra, fiele; nelle mani, sangue: onde abbisognate della
legge, cui fate violenza; e del rege, che adulate; e voi siete il
gregge divorato o divoratore.
16. Ora vi è fonte di
calunnie: se la legge sia innanzi il rege e il gregge; o se il rege
sia innanzi il gregge e la legge; o se il gregge sia innanzi la legge
e il rege.
17. Ma dove la verità? non diceste forse che i
vostri scritti sono aromi caramente comprati con l'altrui danaro ad
abbruciare le ossa dell'uomo? il vostro ventre non divora forse la
verità? non dà l'oro il tracollo alla bilancia?
18.
Bensì la verità dalla bocca mia perché io asino
e morto.
19. Il gregge, è il popolo; la legge, è il
cane vigilante; il rege, è il pastore: dunque il rege primo e
innanzi tutto, perché senza pastore né cane né
bestiame; inoltre ha il bastone. Ma vi sono volpi tra le pecore, e
voi le volpi siete: ora dite nel cuor vostro: L'ignoranza val meglio
che la stoltezza; l'asino ci ha conosciuti.
20. Né io vi
rinfaccerei i vostri enimmi purché fossi lasciato tranquillo
co' miei fratelli: ma ora voi lordate le nostre reliquie con un
cadavere nemico.
21. Il fratello vostro Ieromomo fu già
figlio di questa terra.
22. E venendo i nostri carnefici ad
ammazzarci con il coltello e il maglio, Ieromomo giovanetto ci
straziava con lunga morte:
23. E me vecchio e sciancato scorticò
ancora vivo con un temperino, per cavarne danaro: ond'io non voglio
che il mio carnefice sia inquilino della mia abitazione sempiterna.
24.
Pertanto non vi sarà dato d'uscire da questo luogo, se prima
non seppellite nel vostro ventre il cadavere di Ieromomo.
25.
Saziatevi delle carni del vostro fratello, prima che la fame vi
colga, e morte visibile dia i vostri corpi pascolo alle fiere.
CAPO DECIMO SESTO
1.
Sepoltura di Ieromomo.
2. E successe un terremoto più
forte; e si squarciò novamente la terra: e la figura
dell'asino ritornò nell'abitacolo suo.
3. E il lume del
solfo acceso dell'ale de' pipistrelli volgevasi in fumo; e si
moltiplicarono le tenebre: e il vento ruggendo inaridì l'erbe
del Ptomotafio: e le onde del fiume si accavallavano per i tumuli.
4.
E i quattro uomini e il pigmeo e il gigante e l'eunuco e la vecchia
gridavano con orrendo lamento: Guai:
5. E col guai degli uomini la
voce della volpe e della lupa e della cagna pregna, e di rane
innumerevoli: e il gufo e il rospo e la civetta, e l'upupa, con
luttuoso e funereo singulto: e i sibili de' chersidri, de' chelidri,
de' iacoli, de' cencri, delle anfesibene, degli aspidi, de'
basilischi, delle faree, e di tutta la progenie delle vipere.
6. E
gli uomini cercavano la barca nel campo, e andavano di corsa tastando
le tenebre: ma la barca galleggiava per il mare Tirreno lungi dalla
campagna.
7. Ed ecco uno stuolo di corvi sopra il corpo di
Ieromomo: e tutti i rettili e gli animali immondi con essi.
8. E
l'eunuco gridò: Ho fame: Uomini fratelli, adempiasi la parola
dell'asino, prima che gli animali del cielo, del fiume, e della terra
divorino la nostra cena, e morte visibile faccia convito di noi tutti
nel Ptomotafio.
9. Adunque i figli dell'uomo temendo le minacce
dello spirito dell'asino, mangiavano le carni putrefatte del
fratello.
10. L'uomo militare aborrì le scellerate mense e
disse: Attendi. E corse con la spada e il corno in mezzo del
convito:
11. E al fulgore della spada, vidi le carni di Ieromomo
di botto ingoiate e le belve si rapivano le scarnite ossa.
12.
Vidi i sei uomini e la poetessa e l'eunuco dal sommo del capo sino
alle piante de' piedi aspersi di sangue bollente, e lambivano il
sangue con le lingue ad abbeverarsi:
13. E l'uomo militare
vibrando la sciabola per scannarli, ritrasse il ferro, e s'astenne
dall'uccisione, gridando ad alta voce:
14. Non io vendicatore
delle iniquità che gl'iniqui consumano su gl'iniqui; e il
calice dell'ira non ancora trabocca:
15. Vivete ora tutti da'
quali io una volta sarò immolato: ma tu, o terra, non mi
coprirai prima della vendetta.
16. E si pose il corno alle sue labbra, e il sepolcreto fu abbandonato da quella moltitudine: e rimise la spada nella vagina sua, e s'abbuiò l'aere, e silenzio ed ombre stettero intorno all'anima mia.
CAPO DECIMO SETTIMO
1.
Nudità delle tre Babilonie.
2. E rimastomi con l'uomo
giovane militare nell'oscura solitudine, conobbi ch'era la mezza
notte per dodici tocchi di campana della torre di città di
Firza.
3. E udii voci di grande commozione discorrenti per le nubi
de' cieli siccome tuoni: e tendevano alla sinistra ala d'Aquilone,
dicendo:
4. Babilonia massima, perché cercasti la verità
e la trovasti e pervertisti, furiosa, nell'empietà delle
libidini del tuo popolo; se il sangue da te e per te sparso rifluirà
sopra te, farassi in te un lago di sangue profondo quanta è
l'altezza delle tue mura, e largo tre mila passi da Mezzodì a
settentrione, e lungo sei mila passi da oriente a occidente: Guai
città! per te la verità divenne esecrabile: mostrerò
alle genti la tua nudità; non s'allontanerà da te la
rapina.
5.
E le voci rintronanti si volsero indietro quasi eco di fulmini: e
affrettavansi alla parte tra oriente e Austro, dicendo:
6.
Babilonia perpetua, poiché s'aprirono i cieli e su te fu
mandata la luce; ma tu, astutissima, su' tuoi be' colli spargesti
nebbia comoda a' pastori tuoi perché divorino i greggi altrui
e i tuoi; e i principi tuoi circondati di oscurità giudicano
ne' doni, e i tuoi sacerdoti insegnano nella mercede, e i tuoi
profeti vaticinano nel danaro, dicendo: Forse che non è la
luce in mezzo di noi? Guai città! hai lume divino, e lo
intenebri con l'ombre della terra: mostrerò alle genti la tua
nudità; non s'allontanerà da te la rapina.
7.
Incontanente le voci volsero il corso de' tuoni alla regione tra
occidente e Aquilone, dicendo:
8. Babilonia minima, perché
stupida né trovasti né cercasti le vie della verità;
ma spalancasti le tue orecchie affinché s'empiessero di
menzogna; chiudesti gli occhi tuoi perché non vedessero la
luce; e la lingua tua pronta nell'ebbrezza, e la mente tua tarda per
la pinguedine mischiarono adulazione e contese, né discerni i
giusti da' tristi, o i cittadini dagli stranieri; Guai città!
piscina di calunnie, e piena del morso dell'invidia: mostrerò
alle genti la tua nudità; non s'allontanerà da te la
rapina.
9. Ora va superba e godi, Babilonia ricca, nella nudità
delle tre Babilonie: a te pure giungerà il calice; sarai
inebriata e denudata.
10. E ristatesi le voci, io me ne stavo
meravigliando: e chiesi all'uomo militare che cosa significassero; né
udii risposta.
11. Poiché quegli sedendo in terra piangeva
amaramente, nella disperazione: e le sue lacrime cadevano tacite
quasi primaverile pioggia mattutina che inganna gli occhi
dell'aratore.
12. Pertanto anch'io sedendo in terra accosto a lui
non gli dicevo parola: perché conoscevo che il suo pianto era
senza consolazione.
CAPO DECIMO OTTAVO
1
Parole ultime.
2 Ed essendo passata la prima metà della
notte, e la metà dell'altra metà, l'uomo militare
sorgendo, mi fe' stare in piedi;
3. Per dirmi le ultime parole; né
io potevo ravvisarlo attraverso il tenebrore della notte; ma stampai
nel mio cuore la voce di lui.
4. E mi diceva: Quando sarai tornato
al colle de' cipressi, e avrai piantato la vigna e il frutteto
affinché empia il canestro con la tua fatica:
5. Ritorna
nella città tua, e vaticina la visione che vedesti: né
domanderai elemosina, né accetterai mercede da uomo nessuno: è
scritto: Il fuoco divorerà le abitazioni di coloro che
volonterosi accettano doni.
6. E io rammentando i dileggi de'
profeti, proruppi dicendo: Ecco ogni cosa vide l'occhio mio, e udì
l'orecchio mio, e le intesi tutte quante:
7. Il mio tremore mi
scuote i muscoli: contrito è il mio cuore, e sani sono i miei
pensieri.
8. Tuttavia sono dappoco e malaccorto e adolescente e
povero e chierico perciò mi scherniranno molti; e se taluno
inchinerà l'animo ad udirmi, cercherà un
contrassegno.
9. Rispose quegli: È scritto: Lampada
sprezzata nella mente de' potenti pronta sino al tempo determinato. A
chi cerca contrassegno, sia contrassegno la tua fortezza nella
povertà.
10. Nondimeno brucia le effemeridi e i volumi di
pedagogia de' monaci che abusarono della giovinezza tua: recati al
sacerdote della tua chiesa paterna, e riceverai il volume unico nel
quale profeterai, e non riuscirai spregevole.
11. Adunque giunto
che sarai nella città apri il volume, e li' alla Sinagoga de'
Dottori: Negli antichi è sapienza; udite che fu detto agli
antichi:
12. Congrega d'ipocriti sterile in vaniloqui: così
taceste, e sembrerebbe che foste sapienti.
13. Interroga quindi il
Senato de' Parassiti i quali edificano case per sé: Dov'è
la cancellatura che avete ricoperto?
14. Perché è
scritto: Farò dall'Aquilone prorompere il soffio delle
tempeste, e pioggia rovinosa, e il rigore del verno; e distruggerò
la parete che i re smaltano senza mistura, e si scoprirà senza
fondamento.
15. Pertanto una mano di giovani lascivi manderà
tosto in fumo il fastigio della casa vostra, e vi cacceranno da'
vostri seggi, e grideranno: Non c'è casa; e quei che dianzi
edificavano, non sono.
16. Poscia di' a' ricchi sfondati: Quando
gli stranieri prenderanno l'esercito della città vostra, ed
entreranno per le porte di lei, e sopra i vostri fratelli getteranno
le sorti:
17. Non vogliate, confidando nelle vostre ricchezze,
darvi bel tempo nel giorno della povertà de' vostri fratelli,
né magnificare la vostra bocca nel giorno della miseria:
Ricchi siamo e fatti tali da' padri nostri, e di nessuno
abbisogniamo.
18. Vi esorto a comprare un tantino di carità
e di verecondia, e avvertite che voi siete cittadini della stessa
misera città, e nelle catene e nell'obbrobrio come gli altri
che abitano la città; ma l'abiezione vostra, più
appariscente per le ricchezze vostre.
19. Perché voi siete
d'oro e d'argento simili agli Dei dell'idolatria, i quali cadendo non
sapevano rilevarsi; e quando sopravverrà la devastazione
sarete spogliati dal più forte: non sono forse migliori di voi
le bestie del campo, che possono o della fuga o del furore giovarsi
nell'ora della battaglia?
20. Quindi contro gli altri che seggono
nelle taverne, e sotto i portici delle piazze, trincando,
vociferando, tutto riprovando, rimproverando tutti, scaglia le più
acute saette del libro:
21. Voi siete nubi senz'acqua; piante
sfatte, in balìa di tutti venti, infruttifere; onde del mare
efferate, fallaci; caldaie bollenti e schiumanti in vituperi: uccelli
accecati, schiamazzanti, i quali con l'ali erranti cercano l'esca per
l'oscurità delle tempeste:
22. Mormoratori queruli: nelle
libidini vostre boriosi; de' quali la bocca erutta superbia; date in
molte minacce, nulla concludete; la giusta signoria respingete; la
dignità che temete, con segreti vituperi travagliate; e quanto
non conoscete, vituperate:
23. Inermi, inerti, invocate redenzione
dagli stranieri; libertà chiedete, e sovvertite la plebe alla
sedizione; desiderate un re, e adulate, per l'utile vostro, la
tirannide:
24.
Virtù cercate e quanto è retto pervertite; i quali né
sapete ferire i nemici con la spada, ma neppure non calunniare il
vincitore: di contraddizione perirete.
25. Quindi e agli altri, i
quali disputando in adunanza tenebrosa, grandi cose apparecchiano,
di' solamente: Nulla di grande nelle tenebre.
26. Quindi a tutti
quelli che sdraiati nelle loro poltrone sognano la universale
felicità de' figli d'Adam in terra, e aspettano l'indipendenza
della città dall'equità de' potenti, rompi il sonno e
la speranza, e di' a ciascuno:
27. So che tu né freddo sei,
né fervido: fossi pure o freddo o fervido: adunque poiché
se' tepido, verrà tempo ch'io ti rigetterò dalla mia
bocca.
28. Quindi agli ottimi cittadini annuncia la perpetuità
dell'antica e presente schiavitù: e leggi a tutti loro il
libro:
29.
Ho poco contro di voi; perché troppo vi allietaste nella
speranza di redenzione e di gloria: ora siate piú provvidi:
perché i re della terra sederanno parlando contro di noi; e
servi ci affanneremo a giustificarci: nondimeno nella disperazione di
tutto ciascuno dica a sé: Mi cingerò col cinto della
fortezza, e paziente tacerò.
30. Presentati pure a' Seniori
della Chiesa affinché sappiano da te che durano peranche molti
Ieromomi nell'arca di salute: vedano pertanto che non si faccia arca
naufraga: perciò che sostiene, e certo molti, apostati,
farisei, e discepoli di Simon mago sitibondi dell'oro del morente, di
roghi e di sangue:
31. E su' frontoni delle case dove i nuovi
satrapi si raduneranno, scrivi dal libro: Scacciate gli adulatori, e
uscirà la calunnia con essi; scacciate i delatori, e tacerà
la congiura; scacciate i derisori, e le inimicizie e le contumelie
cesseranno.
32. Queste cose finalmente dirai alla plebe: Il sudore
tesoro dell'innocenza. E quando la plebe vocerà, reprimi i
clamori; e se snuderà le spade, ricevile nel sangue tuo prima
che le rivolga contro la città.
33. Seguita quindi sino
alla sommità del giogo massimo dell'Alpe media: e quando avrai
co' tuoi occhi scorsa tutta la terra de' padri nostri, apri di nuovo
il volume:
34. Assumi lutto di lacrime inconsolabili e
leggi; perché sono descritte nel libro le cose tutte
che furono, sono, saranno; quanto si compì nel passato, e si
compirà nell'avvenire. Leggi dunque sopra la terra de' padri
nostri:
35. Il nome tuo per la bellezza tua corse fra le genti: e
fiduciosa nel tuo decoro, esponesti la fornicazione tua ad ogni
passeggero per diventare sua.
36. E togliesti i figli tuoi e li
sacrificasti a stranieri adulteri: forse ch'è lieve la tua
fornicazione?
37. E ti piantasti un lupanare in tutte le tue
città: ad ogni capo di via, dall'ombelico sino alle giogaie
de' tuoi monti e a' due tuoi mari, inalzasti il segno della tua
prostituzione, e abominevole facesti il decoro tuo, perché
moltiplicasti e moltiplicherai le fornicazioni.
38. Ed eccoti
oltraggiata da' tuoi adulteri, e spogliata, e piena di confusione, e
implori l'aiuto de' figli tuoi che desti in mano agli adulteri tuoi:
e mandi lamenti conculcata nel sangue tuo.
39. Non divenisti quasi
meretrice che per sazietà aumenta il prezzo: tu se' madre
adultera che sull'eredità de' suoi pupilli alletta gli
estranei:
40. A tutte le meretrici si dànno le mercedi
della fornicazione: ma tu desti mercedi a tutti gli amatori, e il
lume anche degli occhi tuoi donerai, affinché a te vengano gli
stranieri da tutte parti a fornicare con te: e quei che avevi
rifiutati, inviti.
41. Per ciò, meretrice, odi la parola di
Dio:
42. Perché profusa è la tua ricchezza, e
svelata l'ignominia tua, e le abominazioni tue nel sangue de' figli
tuoi:
43. Ecco io congregherò tutti gli amatori co' quali
ti congiungesti; e tutti sopra te d'ogni parte che preferisti, con
tutti quelli che odiavi:
44. I quali scambievolmente si
manifesteranno le tue vergogne: e l'adultero ti passerà
all'adultero, perché t'avevano presa in pegno con la carne
loro.
45. E ti giudicheranno de' giudizi delle adultere; e
distruggeranno il tuo lupanare recente, e delle macerie ti
riedificheranno l'antico postribolo, e ti copriranno di pietre, e
delle mammelle tue si faranno un'emulsione di latte e sangue: né
cesserai di fornicare, ma non darai più mercedi.
46. Queste
cose da te, Didimo, siano tre volte recitate sopra la terra de' padri
nostri, affinché abbiano di sé misericordia: perché
come 1'autunno e l'inverno ogni anno, così la gloria e la
calamità visitano in certe vicende de' secoli i singoli popoli
della terra.
47 E quando sarai disceso dal giogo dell'Alpe media
sigilla la tua bocca, e guardati dall'entrare nella città; e
usa fra la moltitudine degli agricoltori: e se piangeranno, piangi
con la moltitudine, e di':
48. Sia fatta la volontà di
Dio.
CAPO ULTIMO
1.
E poi che l'uomo militare ebbe detto queste sole parole, ecco che
quella caligine della casa della morte si squarciò davanti gli
occhi miei.
2. E l'onda del fiume siccome ambra; e il mormorio
delle acque quasi duolo lontano della sonatrice di flauto; e le
correnti loro argentine sotto il chiarore della luna:
3. E gli
aliti soavi dell'aura refrigeravano le mie vene; e i profumi de'
fiori ond'era l'aria impregnata facevano lieto il mio cuore:
4. E
magnificenza e gloria per le azzurre volte del firmamento; e un dolce
orrore, e amore d'armonia, quiete ed intelligenza da tutti gli
splendori della notte.
5. E l'uomo militare esclamò: Questo
è il tempio del Dio vivo, e mio consapevole ne' più
alti cieli. E cadde in ginocchio e adorò.
6. E volto a me
mi disse: Non sono apostolo né profeta né angelo, ma
centurione di Dragoni:
7. E se sarò giudicato, so d'essere
trovato giusto: ma l'ora del mio ritorno m'incalza.
8. E dette
queste parole, montò a cavallo, e gli occhi più non lo
videro.
9. Ritornai nella capanna alla vecchierella Margherita, e
la vidi dormire sopra il fastello di fieno.
10. E pace e silenzio
regnando nella capanna, me n'andai col canestro vuoto nelle mie mani.
HAEC
TRIA TANTUM
FINISCE L'IPERCALISSE STESA
IN CAPI XIX.
E
VERSETTI 333: LODE A DIO.
CHIAVE
ECCO LA CHIAVE DELL'IPERCALISSE DELLA QUALE FURONO STAMPATI SOLAMENTE XII ESEMPLARI NUMERATI . OGNUNO D'ESSI CON UN'ISCRIZIONE E UN'EPIGRAFE SUA PROPRIA DESUNTA DA'. LIBRI DI ANTICHI SCRITTORI
Didimo: è persona finta d'uomo, il quale dopo d'aver coltivato gli studi letterari e conosciuti gli uomini dotti, e osservati i costumi di molti e le città, finalmente comprese e la vanità delle cose umane e l'inutilità de' viaggi e de' libri. Dall'anno trentesimo non volle più altro leggere o scrivere, né stringere amicizia con alcuno, né che si sapesse dove aveva dimora, ozioso e tranquillo vivendo unicamente secondo i suoi costumi e le sue opinioni, ma senza offesa d'alcuno: essendo egli persuaso che ciò si fa nella vita degli uomini non perché lo si trovi vero, ma per avere qualche cosa probabile, la quale seguire facilmente, a stento possiamo affermare.
Ipercalisse: è una satira contro gli uomini dotti d'Italia, i quali del sapere e della verità facendo mercato, le lettere italiane corruppero: l'ambizione e gli errori di Napoleone nutrirono. In essa si adombrano i costumi e le tristi passioni di sì fatti dotti e la vera natura di taluno; perché s'intenda che le calamità delle cose successe in Europa e della servitù d'Italia nacquero dalle menzogne degli uomini letterati divulgate per la temporanea utilità de' Governanti.
CAPO
PRIMO
Vs. 1. - Ieromomo: nome composto da i|eroév, sacro, e da Mw%mov, il Dio della maldicenza. È un cotal frate Urbano Lampredi, scrittore di gazzette e maestro a' giovani in ogni letteratura e scienza. Tale veramente è la natura di costui, da seminare discordie e liti dovunque si trova, e nella stessa settimana lodare e satireggiare le stesse persone. A Siena fu frate, e scrisse in Roma fra' torbidi della repubblica il Monitore, libello famoso ed esecrando: buttò via la tonaca, e si dissacrò. Viaggiò traverso la Francia, facendo il maestro: tornato in Italia, insegnò matematica nel collegio de' paggi del re d'Italia: fondò col Lamberti e alcuni altri il Poligrafo, giornale letterario, nel quale versò tutta la sua bile. Finalmente abbandonò il suo uffizio e la Lombardia; né per quanto io ne so, fu ricevuto in Firenze sua patria Sino al MDCCCXIII visse in Napoli; da quel tempo non lo vidi altrove né altro seppi di lui.
Vs. 2. - Studio dello scrittore di gazzette. Rege, legge, gregge: vedi cap. XV, 16, segg. - Tutto il rimanente di questo capo descrive i costumi de' Sacerdoti cattolici per le campagne d'Italia, i quali, sotto il pretesto di religione, spogliano i contadini in Italia più poveri che altrove.
CAPO SECONDO
Vs.
2. - Firza: nome antichissimo di Firenze, a detta degli
archeologi. Secondo essi, gli Aramei sono popoli dell'Arabia, i quali
innanzi la fondazione di Roma abitarono le terre d'Etruria.
-
Fiume: l'Arno.
- Ptomotafio:
sulla riva settentrionale del fiume Arno vicino a Firenze, sotterrano
asini, muli, cavalli: non lontano da questo cimitero di bestie è
il villaggio dove nacque il frate Lampredi.
Vs. 3. - Colle
de' cipressi: secondo la notizia intorno a Didimo stampata in
Italia, nacque costui ad Inverigo, colle piantato tutt'intorno di
cipressi tra la città di Milano e le rive del fiume Adda.
Vs.
5 segg. - Il restante del capo adombra l'inerzia e la miseria e la
tristizia di coloro, i quali, non sapendo nulla di buono, si dànno
a scrivere gazzette.
Vs. 10. - Uomo militare: è
Ugo Foscolo.
CAPO TERZO
La vecchierella Margherita, che delle cose ignara non teme quasi di nulla, mentre i contadini e gli animali sono atterriti dal suono della tromba dell'uomo militare, dà l'immagine degli uomini semplici, i quali non si curano se non delle loro faccende, e frattanto consolano gl'infelici: la Margherita pertanto col suo amplesso solleva la mente abbattuta di Didimo.
CAPO QUARTO
In tutto questo capo si paragona il traffico vile degli scrittori di gazzette con l'onesto costume de' buoni sacerdoti. Perché non s'ignora che la maggior parte degli scribacchiatori di gazzette per 1'Italia o sono ecclesiastici, o preti spretati.
CAPO QUINTO
Vs.
7-9. - Ved. sopra la nota cap. I, vs. 1.
- Babilonia la
minima: è Milano.
- Terra fertile:
la Lombardia.
Vs. 10. - Asino: il Popolo
Milanese.
Vs. 11. - La casa dei Visconti aveva per insegna
nell'arme della sua famiglia una serpe che addenta un fanciullo.
Furono abbattuti da F. Sforza, nipote d'un contadino, il cui scudo
portava una mela cotogna. Gli Sforza furono cacciati da' gigli
Francesi; e questi di bel nuovo da Carlo V che doveva finir frate: i
cui discendenti prima Spagnuoli, poscia Austriaci tennero la
Lombardia sotto tributo per mezzo di Governatori.
Vs. 12. -
Maschia donna: la Libertà.
Vs. 13. -
Avvoltoio: Napoleone.
- Pulcino: Il
principe Eugenio Beauharnais. - Il regno d'Italia fu composto
parte dell'antica Lombardia Austriaca e delle città Venete
distinte per l'immagine d'un Leone alato; parte delle più
fertili regioni del Piemonte la cui insegna è un Toro; parte
delle città del Papa lungo il mare Adriatico.
Vs. 14. -
Tale si mostrò il Viceré nel principio del suo
governo.
Vs. 15. - Sinagoga de' Dottori: l'Istituto
Regio delle scienze, lettere ed arti del regno d'Italia.
-
Senato de' parassiti: il Senato del regno.
-
Nabucodonosor: Napoleone.
- Baldassar:
il Viceré.
Vs. 18. - Vedi la nota 1. cap. I verso il
fine.
CAPO SESTO
Vs. 4-5. Uomo Francese: un certo Abbate Guillon, Francese, spretatosi, venne in Italia sotto gli auspici dei suoi connazionali, e dié fuori un libro tutto adulazione alla superbia e puerile vanità de' Francesi. Volle esso provare doversi dagli scrittori Italiani usare la lingua Francese, lasciata da parte la propria siccome inetta alle scienze e perfino assai meno armoniosa della Francese. Lo stesso Guillon beccavasi tre mila lire all'anno scrivendo di cose temerarie nel Giornale italiano, e le sue ciance uscivano col privilegio della pubblica autorità. Non sapeva un'acca d'Italiano, e i suoi parti letterari fe' tradurre dal Francese. Disprezzato e schernito, pure era temuto, come quegli ch'era spia del principe; il medesimo fu anche maestro di lingua Francese a' Paggi.
Vs.
6. - Eden satrapo: è pure detto al capo XI, vs.
19: principe de' parassiti; e al capo XlV, vs. 12: fariseo
massimo. Fu questi il conte Paradisi, uomo se altri mai
astutissimo, il quale, spregevole esso stesso, con arte molta usò
dispregiare quanti gli bazzicavano intorno. Essendo presidente e del
Senato e dell'Istituto regio, ogni giorno a lui venivano molti a
profondersi in riverenze; e la sera nella sua casa radunava i dotti a
conversazione. Figlio d'un poeta da Reggio di qualche fama, del nome
paterno il figlio abusò per accrescere esageratamente
l'opinione della sua dottrina, tra' poeti facendo il matematico, e
tra' matematici il poeta. Del resto non in altro si adoperò se
non in rendersi necessario a Bonaparte a cui fece bel servigio
rendendo ridevoli gli uomini dotti: il che certo non dispiace a'
tiranni.
Vs. 8. - Littori a cavallo: la
Gendarmeria.
- Castello della città paludosa:
Mantova.
CAPO SETTIMO
Vs.
1-7. - Quanto si dice della punizione del Lampredi è
finto, né vi è ombra di vero: ma l'antecedente
narrazione e quella che qui si legge del suo anfaneggiare è
espressa al naturale.
Vs. 8. - I nomi contenuti in questo verso
sono svelati nel capo XII.
Vs. 9. - Ecco, senz'alcuna
esagerazione, la vera natura degli uomini eruditi, i quali in Milano
servivano a Bonaparte e nella reggia d'Eugenio.
-
Pastore buono con la Vacca: s'intende il conte Vaccari,
uomo d'animo nobile, fermo, e retto, ma che, per sua sventura,
ministro delle cose interne del regno, non poté fare a meno
d'invitare alla sua mensa gli uomini dotti cortigiani; a' quali
bench'e' facesse molti benefizi, ebbe spesso a sperimentarli immemori
ed ingrati.
CAPO OTTAVO
In
tutto questo capo la Spada dell'uomo militare simboleggia
la spada, che sogliamo attribuire alla verità.
-
Est est: Non non: sono parole dell'Evangelo presso
Matteo V, 37; le quali Ugo Foscolo fa incidere nel suo
sigillo.
CAPO NONO
Vecchia libidinosa: è immagine di tutte le donne dotte, ma copiata dalla natura di una tale, il cui nome non vuolsi imprudentemente svelare.
CAPO DECIMO
Vs.
2. - Eunuco: è un tal Filippo del Rosso
tuttora professore d'eloquenza nel Liceo di Brera: Fiorentino,
parassita, maledico e delatore di professione. Del rimanente qui e
ne' seguenti capi, dove si fa menzione di lui, è dipinta la
precisa natura dell'uomo quanto al corpo e quanto all'animo. Ved.
cap. XI, vss. 19, 20, 21, e cap. XIV, vs. 12. Filippo era una
delle spie del Paradisi: non scrisse mai nulla.
Vs. 7. -
Calamoboa: appellativo derivato dal nome di un tal
Demetrio Calamoboa, del quale è fatta, credo,
menzione negli Opuscoli Morali di Plutarco. Questo soprannome gli era
stato messo dal vano strepito della sua penna, e si adatta a puntino
alla donna dotta, della quale qui si tratta.
Vs. 14. - Anna
Calamoboa, moglie successivamente a due mariti, spargendo
calunnie contro ambedue, si procurò con tal arte un'annua
pensione, e a tal prezzo essi si liberarono di quella vipera. Certo
non si crederebbe quanto era stolida e perversa cotesta donnaccia.
CAPO UNDECIMO
Questo capo è tutto invenzione poetica, e non è per anche morto il Lampredi. Ma ci bisogna fingerlo tale a manifestare la malvagità dell'animo suo, e a far rendere al cadavere gli estremi onori da' suoi amici. Ved. cap. XVI.
CAPO DUODECIMO
Le
maravigliose cose di questo e de' seguenti capi, fino al termine
dell'Ipercalisse, hanno luogo nel Ptomotafio sulle rive del fiume
Arno.
Vs. 7. - Agirte figlio di Beton: è il
Bettoni, stampatore di Brescia, uomo sfacciatissimo. I suoi
libri sempre dedica con lusinghe a' nuovi Imperanti, e sempre sparla
di quelli che prima aveva a parole adulato. Con quest'arte *ce grandi
ricchezze; ma, tristo, fu a tal punto prodigo dell'aver suo, che già
è ridotto a mal partito.
Vs. 10. - Fliria istrione
figlio di Benac: è un tale di nome Anelli,
scrittore di libretti d'Opera buffa, del lago di Garda, chiamato
anche Benaco. Uomo loquacissimo, nuoce con la sua garrulità;
né consapevole forse della sua sconsideratezza, fece spesso
senz'accorgersi da spia.
Vs.
11. - Psoriona figlio di Ftonia: Luigi Lamberti,
Bibliotecario della Braidense. Ispettore della pubblica
istruzione, membro dell'Istituto, Cavaliere dei due ordini: il corpo
di lui chiazzato d'una specie di rogna che gli tormentò gli
occhi e le mani; l'animo fu sede di sordidissima e sospettosissima
invidia. Ebbe nome in filologia, e fu consultato intorno a quanto
s'atteneva ad autori classici Italiani, Latini, Greci: ma non fece
mai nulla degno di tanto nome, anzi scrisse pochissimo: da giovane,
imitando Orazio, compose alquanti bei versi. La sua fama però
andò scemando, e, morto, fu dimenticato del tutto.
Espertissimo del resto in cortigianeria, inalzato più in alto
che non meritasse la cadente fama, moltiplicò le sue entrate.
Molto nocque, per mezzo d'altri, a' suoi rivali. Più eloquente
d'un gesuita, insidiò oltre ogni credere, a tutti i dotti
d'Italia. Educato nella corte Romana, fu, giovanetto, tra i familiari
d'un principe.
Vs. 14. - Goes figlio di Oros: il
poeta Monti, il quale ricco veramente d'ingegno poetico,
tuttavia mancò di costanza: ne' suoi componimenti ebbe sempre
mai fretta, anzi ci fu costretto, perché pigliava l'occasione
dalla frequenza de' magistrati a' quali la sua penna era venduta.
Dacché il mondo è mondo, non so se altri sia mai
esistito più volubile e impudente di lui. Dall'anno 1792 al
1814, le cose scritte pel Papa spirano eccessiva superstizione: pari
empietà quelle per i Giacobini; lodò ed esecrò
tutti i principii del diritto civile, e i principi, secondo la spinta
che riceveva per danaro. E già blandisce l'Imperatore
d'Austria la cui fama aveva lacerato negli anni addietro. Il suo dire
è nitido, benché più splendido che puro: imita e
più spesso ripete le stesse cose. La moglie è famosa
per intemperanza, e il signore va adorno di corna di lumaca. Il Monti
fu educato nella corte Romana.
Vs.
19-21. Scismatico e senza nome: è un tale che
strozzò esso stesso la propria fama con la troppa malignità:
ne tacerò il nome. Ma fu quale è qui descritto e sarà
fatto meglio conoscere al capo XIII, vs. 11, segg., XIV, verso 9.
Vs.
22-24. - 1l gigante.. ruminava siccome Bove: è
il pittore Bossi, morto mentre si stava stampando
l'Ipercalisse. Felice nel disegnare le figure de' corpi, non ebbe
criterio nell'armonia de' colori, anzi in questa principale dote
della pittura fu veramente nullo. Il medesimo fu così fatto,
che pur seguendo mirabilissimi principii, cadeva in falsissime
conseguenze: di fatto non tenne per buoni pittori se non Michelangelo
e Leonardo da Vinci: gli altri, e perfino lo stesso Raffaello,
sprezzò. Che più? essendo la Cena di Leonardo quasi
distrutta dal tempo, il Bossi non si peritò di vantarsi
da tanto di restaurare questo capolavoro d'arte stupenda; e per
grande sventura i dotti cortigiani insinuarono al Viceré
essere il Bossi un altro Leonardo da Vinci; e fu tanta la
stoltezza del Viceré da profondere circa tre mila zecchini in
questo spudorato artista. Ristaurò il Bossi la tavola, ma fu
da meno d'uno scolaro. Tuttavia fu nominato Professore di Pittura
Sublime, titolo veramente nuovo trovato dall'acutezza Francese.
Il Bossi però scrisse un'opera eruditissima intorno al
Cenacolo di Leonardo: e si fosse accontentato di tanto, e non avesse
voluto contendere con quell'ingegno e artefice sovrano! Fattasi dal
Bossi una copia, le reliquie dell'originale giacquero neglette, e già
volgono a rovina.
Vs. 23. - Nel cenacolo de' figli del
carnefice santo: la Cena di Leonardo era posta nel refettorio
de' Domenicani, ordine di quel Santo che inventò
l'Inquisizione e l'auto da fé.
Vs. 25. - Si
millantò il Bossi d'avere egli solo percorso tutte le
scienze, gli altri credette ignoranti. Ma giusta la sua stolidezza,
fece Giuda co' capelli rossi che furono propri della stirpe di
Davide: vedi lib. I de' Re, cap. XVI, 12. Leonardo invece aveva dato
tale capigliatura a Gesù: e a Giuda capelli nerissimi.
CAPO DECIMO TERZO
È chiaro da sé.
CAPO DECIMO QUARTO
Vs 4. Argomenti incredibilmente veri: si leggevano quasi con le stesse parole nella Gazzetta letteraria, che uscì la Domenica soltanto intitolata il Poligrafo: fu questa la gazzetta, nella quale il Lampredi (Ieromomo) e il Lamberti (Psoriona), quasi difensori di Napoleone e della corte, accusavano i principii politici de' loro rivali: e avendo a discorrere di libri, palesare le mende che la loro acutezza trovava, essi parlavano de' costumi altrui, quando non li calunniavano protetti dal Governo che avrebbe proibito le altre gazzette. Un certo Contarini Veneto aveva per due o tre mesi pubblicato 1'Antipoligrafo: ma fu sospeso.
CAPO DECIMO QUINTO
e
DECIMO SESTO
Sono bastevolmente chiari.
CAPO DECIMO SETTIMO
Vs.
4. - Babilonia massima: questa è Parigi.
Vs.
6. - Babilonia perpetua: questa è Roma.
Vs.
8. - Babilonia minima: questa è Milano.
Vs.
9. - Babilonia ricca: questa è l'Inghilterra.
CAPO DECIMO OTTAVO
Vs.
14. - E' questa l'infelice spedizione in Russia, nella quale morirono
di freddo circa quarantotto mila giovani dell'esercito italiano: per
la qual cosa, disfatti i Francesi, al Regno d'Italia mancarono i
difensori.
Vs. 15. E' vero infatti che da giovani corrotti della
nobiltà, da servi e da femmine nella sommossa di Milano furono
i Senatori scacciati dall'aula, la sede de' Senatori i giovani
saccheggiarono, e sicari prezzolati da' patrizi concitarono quel
tumulto che vollero si chiamasse mutamento di stato nell'an.
MDCCCXIV, giorno XX d'aprile.
Vs. [16-]19. - Ricchi
sfondati: i Nobili Mi!anesi, i quali insultarono
l'esercito Italiano, il giorno che gli Austriaci entrati in Milano
con la promessa di difendere la città, nel fatto
l'annientarono.
Vs. 22-24 - Costumi
dei Patrioti, de' Giacobini, de' Repubblicani, de Popolani
d'Italia, specie di Milano,
i quali in ogni tempo non cercarono se non lucro e fama quale si
fosse.
Vs. 25. - Francs Maçons, ossia liberi
Muratori.
Vs. 26-27. - I Metafisici, i quali con le
mani in mano attendono la perfezione del genere umano, che predicano
quasi imminente; onde fra pochi anni dicono che sarà libera e
beatissima l'Europa intera: frattanto essi dormono.
Vs.
28-29. - Sono i buoni cittadini d'Italia, che imprudentemente si
dolgono della miseria della loro patria, come già a' tempi dl
Trasibulo i buoni parlavano più forte, di quello che
combattessero, per la libertà.
Vs 30. - I Sacerdoti.
Vs
31. - I Governatori austriaci i quali attizzano la discordia degli
animi e sognano congiure.
Vs 33. - Volume unico: la
sacra Bibbia.
Vs 34. segg. - Sino al fine del capo trattasi
dello stato d'Italia presente, passato e futuro, che noi con labbro
fatidico deduciamo da' sacri libri.