Carlo Goldoni
LA LOCANDIERA
L'AUTORE A CHI LEGGE
Fra tutte le Commedie da me sinora composte, starei per dire essere questa la più morale, la più utile, la più istruttiva. Sembrerà ciò essere un paradosso a chi soltanto vorrà fermarsi a considerare il carattere della Locandiera, e dirà anzi non aver io dipinto altrove una donna più lusinghiera, più pericolosa di questa. Ma chi rifletterà al carattere e agli avvenimenti del Cavaliere, troverà un esempio vivissimo della presunzione avvilita, ed una scuola che insegna a fuggire i pericoli, per non soccombere alle cadute.
Mirandolina fa altrui vedere come s'innamorano gli uomini. Principia a entrar in grazia del disprezzator delle donne, secondandolo nel modo suo di pensare, lodandolo in quelle cose che lo compiacciono, ed eccitandolo perfino a biasimare le donne istesse. Superata con ciò l'avversione che aveva il Cavaliere per essa, principia a usargli delle attenzioni, gli fa delle finezze studiate, mostrandosi lontana dal volerlo obbligare alla gratitudine. Lo visita, lo serve in tavola, gli parla con umiltà e con rispetto, e in lui vedendo scemare la ruvidezza, in lei s'aumenta l'ardire.
Dice delle tronche parole, avanza degli sguardi, e senza ch'ei se ne avveda, gli dà delle ferite mortali. Il pover'uomo conosce il pericolo, e lo vorrebbe fuggire, ma la femmina accorta con due lagrimette l'arresta, e con uno svenimento l'atterra, lo precipita, l'avvilisce. Pare impossibile, che in poche ore un uomo possa innamorarsi a tal segno: un uomo, aggiungasi, disprezzator delle donne, che mai ha seco loro trattato; ma appunto per questo più facilmente egli cade, perché sprezzandole senza conoscerle, e non sapendo quali sieno le arti loro, e dove fondino la speranza de' loro trionfi, ha creduto che bastar gli dovesse a difendersi la sua avversione, ed ha offerto il petto ignudo ai colpi dell'inimico.
Io medesimo diffidava quasi a principio di vederlo innamorato ragionevolmente sul fine della Commedia, e pure, condotto dalla natura, di passo in passo, come nella Commedia si vede, mi è riuscito di darlo vinto alla fine dell'Atto secondo. Io non sapeva quasi cosa mi fare nel terzo, ma venutomi in mente, che sogliono coteste lusinghiere donne, quando vedono ne' loro lacci gli amanti, aspramente trattarli, ho voluto dar un esempio di questa barbara crudeltà, di questo ingiurioso disprezzo con cui si burlano dei miserabili che hanno vinti, per mettere in orrore la schiavitù che si procurano gli sciagurati, e rendere odioso il carattere delle incantatrici Sirene.
La Scena dello stirare, allora quando la Locandiera si burla del Cavaliere che languisce, non muove gli animi a sdegno contro colei, che dopo averlo innamorato l'insulta? Oh bello specchio agli occhi della gioventù! Dio volesse che io medesimo cotale specchio avessi avuto per tempo, che non avrei veduto ridere del mio pianto qualche barbara Locandiera. Oh di quante Scene mi hanno provveduto le mie vicende medesime!... Ma non è il luogo questo né di vantarmi delle mie follie, né di pentirmi delle mie debolezze. Bastami che alcun mi sia grato della lezione che gli offerisco. Le donne che oneste sono, giubileranno anch'esse che si smentiscano codeste simulatrici, che disonorano il loro sesso, ed esse femmine lusinghiere arrossiranno in guardarmi, e non importa che mi dicano nell'incontrarmi: che tu sia maledetto!
Deggio avvisarvi, Lettor carissimo, di una picciola mutazione, che alla presente Commedia ho fatto. Fabrizio, il cameriere della Locanda, parlava in veneziano, quando si recitò la prima volta; l'ho fatto allora per comodo del personaggio, solito a favellar da Brighella; ove l'ho convertito in toscano, sendo disdicevole cosa introdurre senza necessità in una Commedia un linguaggio straniero. Ciò ho voluto avvertire, perché non so come la stamperà il Bettinelli; può essere ch'ei si serva di questo mio originale, e Dio lo voglia, perché almeno sarà a dover penneggiato. Ma lo scrupolo ch'ei si è fatto di stampare le cose mie come io le ho abbozzate, lo farà trascurare anche questa comodità.
Personaggi
Il
Cavaliere di Ripafratta
Il Marchese di Forlipopoli
Il Conte
d'Albafiorita
Mirandolina, locandiera
Ortensia,
comica
Dejanira, comica
Fabrizio, cameriere di
locanda
Servitore, del Cavaliere
Servitore, del
Conte
La scena si rappresenta in Firenze, nella locanda di Mirandolina
Atto I
SCENA PRIMA
Sala
di locanda.
Il Marchese di Forlipopoli ed il Conte
d'Albafiorita
Marchese:
Fra voi e me vi è qualche differenza.
Conte:
Sulla locanda tanto vale il vostro denaro, quanto vale il
mio.
Marchese: Ma se la locandiera usa a me delle
distinzioni, mi si convengono più che a voi.
Conte:
Per qual ragione?
Marchese: Io sono il
Marchese di Forlipopoli.
Conte: Ed io sono il Conte
d'Albafiorita.
Marchese: Sì, Conte! Contea
comprata.
Conte: Io ho comprata la contea, quando
voi avete venduto il marchesato.
Marchese: Oh basta:
son chi sono, e mi si deve portar rispetto.
Conte: Chi
ve lo perde il rispetto? Voi siete quello, che con troppa libertà
parlando...
Marchese: Io sono in questa locanda,
perché amo la locandiera. Tutti lo sanno, e tutti devono
rispettare una giovane che piace a me.
Conte: Oh,
questa è bella! Voi mi vorreste impedire ch'io amassi
Mirandolina? Perché credete ch'io sia in Firenze? Perché
credete ch'io sia in questa locanda?
Marchese: Oh
bene. Voi non farete niente.
Conte: Io no, e voi
sì?
Marchese: Io sì, e voi no. Io son
chi sono. Mirandolina ha bisogno della mia protezione.
Conte:
Mirandolina ha bisogno di denari, e non di
protezione.
Marchese: Denari?... non ne
mancano.
Conte: Io spendo uno zecchino il giorno,
signor Marchese, e la regalo continuamente.
Marchese: Ed
io quel che fo non lo dico.
Conte: Voi non lo dite,
ma già si sa.
Marchese: Non si sa
tutto.
Conte: Sì! caro signor Marchese, si
sa. I camerieri lo dicono. Tre paoletti il giorno.
Marchese:
A proposito di camerieri; vi è quel cameriere che ha
nome Fabrizio, mi piace poco. Parmi che la locandiera lo guardi assai
di buon occhio.
Conte: Può essere che lo
voglia sposare. Non sarebbe cosa mal fatta. Sono sei mesi che è
morto il di lei padre. Sola una giovane alla testa di una locanda si
troverà imbrogliata. Per me, se si marita, le ho promesso
trecento scudi.
Marchese: Se si mariterà, io
sono il suo protettore, e farò io... E so io quello che
farò.
Conte: Venite qui: facciamola da buoni
amici. Diamole trecento scudi per uno.
Marchese: Quel
ch'io faccio, lo faccio segretamente, e non me ne vanto. Son chi
sono. Chi è di là? (Chiama.)
Conte:
(Spiantato! Povero e superbo!). (Da sé.)
SCENA SECONDA
Fabrizio e detti.
Fabrizio:
Mi comandi, signore. (Al Marchese.)
Marchese:
Signore? Chi ti ha insegnato la creanza?
Fabrizio:
La perdoni.
Conte: Ditemi: come sta la
padroncina? (A Fabrizio.)
Fabrizio: Sta bene,
illustrissimo.
Marchese: È alzata dal
letto?
Fabrizio: Illustrissimo sì.
Marchese:
Asino.
Fabrizio: Perché,
illustrissimo signore?
Marchese: Che cos'è
questo illustrissimo?
Fabrizio: È il titolo
che ho dato anche a quell'altro Cavaliere.
Marchese: Tra
lui e me vi è qualche differenza.
Conte: Sentite?
(A Fabrizio.)
Fabrizio: (Dice la verita. Ci è
differenza: me ne accorgo nei conti). (Piano al Conte.)
Marchese:
Di' alla padrona che venga da me, che le ho da
parlare.
Fabrizio: Eccellenza sì. Ho fallato
questa volta?
Marchese: Va bene. Sono tre mesi che
lo sai; ma sei un impertinente.
Fabrizio: Come
comanda, Eccellenza.
Conte: Vuoi vedere la
differenza che passa fra il Marchese e me?
Marchese: Che
vorreste dire?
Conte: Tieni. Ti dono uno zecchino.
Fa che anch'egli te ne doni un altro.
Fabrizio: Grazie,
illustrissimo. (Al Conte.) Eccellenza... (Al
Marchese.)
Marchese: Non getto il mio, come i
pazzi. Vattene.
Fabrizio: Illustrissimo signore, il
cielo la benedica. (Al Conte.) Eccellenza. (Rifinito. Fuor del
suo paese non vogliono esser titoli per farsi stimare, vogliono esser
quattrini). (Da sé, parte.)
SCENA TERZA
Il Marchese ed il Conte.
Marchese:
Voi credete di soverchiarmi con i regali, ma non farete
niente. Il mio grado val più di tutte le vostre monete.
Conte:
Io non apprezzo quel che vale, ma quello che si può
spendere.
Marchese: Spendete pure a rotta di collo.
Mirandolina non fa stima di voi.
Conte: Con tutta la
vostra gran nobiltà, credete voi di essere da lei stimato?
Vogliono esser denari.
Marchese: Che denari? Vuol
esser protezione. Esser buono in un incontro di far un
piacere.
Conte: Sì, esser buono in un
incontro di prestar cento doppie.
Marchese: Farsi
portar rispetto bisogna.
Conte: Quando non mancano
denari, tutti rispettano
Marchese: Voi non sapete
quel che vi dite.
Conte: L'intendo meglio di voi.
SCENA QUARTA
II Cavaliere di Ripafratta dalla sua camera, e detti.
Cavaliere:
Amici, che cos'è questo romore? Vi è qualche
dissensione fra di voi altri?
Conte: Si disputava
sopra un bellissimo punto.
Marchese: II Conte
disputa meco sul merito della nobiltà. (Ironico.)
Conte:
Io non levo il merito alla nobiltà: ma sostengo, che
per cavarsi dei capricci, vogliono esser denari.
Cavaliere:
Veramente, Marchese mio...
Marchese: Orsù,
parliamo d'altro.
Cavaliere: Perché siete
venuti a simil contesa?
Conte: Per un motivo il più
ridicolo della terra.
Marchese: Sì, bravo! il
Conte mette tutto in ridicolo.
Conte: Il signor
Marchese ama la nostra locandiera. Io l'amo ancor più di lui.
Egli pretende corrispondenza, come un tributo alla sua nobiltà.
Io la spero, come una ricompensa alle mie attenzioni. Pare a voi che
la questione non sia ridicola?
Marchese: Bisogna
sapere con quanto impegno io la proteggo.
Conte: Egli
la protegge, ed io spendo. (Al Cavaliere.)
Cavaliere:
In verità non si può contendere per ragione
alcuna che io meriti meno. Una donna vi altera? vi scompone? Una
donna? che cosa mai mi convien sentire? Una donna? Io certamente non
vi è pericolo che per le donne abbia che dir con nessuno. Non
le ho mai amate, non le ho mai stimate, e ho sempre creduto che sia
la donna per l'uomo una infermità insopportabile.
Marchese:
In quanto a questo poi, Mirandolina ha un merito
estraordinario.
Conte: Sin qua il signor Marchese ha
ragione. La nostra padroncina della locanda è veramente
amabile.
Marchese: Quando l'amo io, potete credere
che in lei vi sia qualche cosa di grande.
Cavaliere: In
verità mi fate ridere. Che mai può avere di stravagante
costei, che non sia comune all'altre donne?
Marchese: Ha
un tratto nobile, che incatena.
Conte: È
bella, parla bene, veste con pulizia, è di un ottimo
gusto.
Cavaliere: Tutte cose che non vagliono un
fico. Sono tre giorni ch'io sono in questa locanda, e non mi ha fatto
specie veruna.
Conte: Guardatela, e forse ci
troverete del buono.
Cavaliere: Eh, pazzia! L'ho
veduta benissimo. È una donna come l'altre.
Marchese:
Non è come l'altre, ha qualche cosa di più. Io
che ho praticate le prime dame, non ho trovato una donna che sappia
unire, come questa, la gentilezza e il decoro.
Conte:
Cospetto di bacco! Io son sempre stato solito trattar donne:
ne conosco li difetti ed il loro debole. Pure con costei, non ostante
il mio lungo corteggio e le tante spese per essa fatte, non ho potuto
toccarle un dito.
Cavaliere: Arte, arte sopraffina.
Poveri gonzi! Le credete, eh? A me non la farebbe. Donne? Alla larga
tutte quante elle sono.
Conte: Non siete mai stato
innamorato?
Cavaliere: Mai, né mai lo sarò.
Hanno fatto il diavolo per darmi moglie, né mai l'ho
voluta.
Marchese: Ma siete unico della vostra casa:
non volete pensare alla successione?
Cavaliere: Ci
ho pensato più volte ma quando considero che per aver
figliuoli mi converrebbe soffrire una donna, mi passa subito la
volontà.
Conte: Che volete voi fare delle
vostre ricchezze?
Cavaliere: Godermi quel poco che
ho con i miei amici.
Marchese: Bravo, Cavaliere,
bravo; ci goderemo.
Conte: E alle donne non volete
dar nulla?
Cavaliere: Niente affatto. A me non ne
mangiano sicuramente.
Conte: Ecco la nostra padrona.
Guardatela, se non è adorabile.
Cavaliere: Oh
la bella cosa! Per me stimo più di lei quattro volte un bravo
cane da caccia.
Marchese: Se non la stimate voi, la
stimo io.
Cavaliere: Ve la lascio, se fosse più
bella di Venere.
SCENA QUINTA
Mirandolina e detti.
Mirandolina:
M'inchino a questi cavalieri. Chi mi domanda di lor
signori?
Marchese: Io vi domando, ma non
qui.
Mirandolina: Dove mi vuole,
Eccellenza?
Marchese: Nella mia camera.
Mirandolina:
Nella sua camera? Se ha bisogno di qualche cosa verra il
cameriere a servirla.
Marchese: (Che dite di quel
contegno?). (Al Cavaliere.)
Cavaliere: (Quello
che voi chiamate contegno, io lo chiamerei temerità,
impertinenza). (Al Marchese.)
Conte: Cara
Mirandolina, io vi parlerò in pubblico, non vi darò
l'incomodo di venire nella mia camera. Osservate questi orecchini. Vi
piacciono?
Mirandolina: Belli.
Conte: Sono
diamanti, sapete?
Mirandolina: Oh, li Conosco. Me ne
intendo anch'io dei diamanti.
Conte: E sono al
vostro comando.
Cavaliere: (Caro amico, voi li
buttate via). (Piano al Conte.)
Mirandolina: Perché
mi vuol ella donare quegli orecchini?
Marchese: Veramente
sarebbe un gran regalo! Ella ne ha de' più belli al
doppio.
Conte: Questi sono legati alla moda. Vi
prego riceverli per amor mio.
Cavaliere: (Oh che
pazzo!). (Da sé.)
Mirandolina: No,
davvero, signore...
Conte: Se non li prendete, mi
disgustate.
Mirandolina: Non so che dire... mi preme
tenermi amici gli avventori della mia locanda. Per non disgustare il
signor Conte, li prenderò.
Cavaliere: (Oh che
forca!). (Da sé.)
Conte: (Che dite di
quella prontezza di spirito?). (Al Cavaliere.)
Cavaliere:
(Bella prontezza! Ve li mangia, e non vi ringrazia nemmeno).
(Al Conte.)
Marchese: Veramente, signor
Conte, vi siete acquistato gran merito. Regalare una donna in
pubblico, per vanità! Mirandolina, vi ho da parlare a
quattr'occhi, fra voi e me: son Cavaliere.
Mirandolina: (Che
arsura! Non gliene cascano). (Da sé.) Se altro non mi
comandano, io me n'anderò.
Cavaliere: Ehi!
padrona. La biancheria che mi avete dato, non mi gusta. Se non ne
avete di meglio, mi provvederò.(Con
disprezzo.)
Mirandolina: Signore, ve ne sarà
di meglio. Sarà servita, ma mi pare che la potrebbe chiedere
con un poco di gentilezza.
Cavaliere: Dove spendo il
mio denaro, non ho bisogno di far complimenti.
Conte:
Compatitelo. Egli è nemico capitale delle donne. (A
Mirandolina.)
Cavaliere: Eh, che non ho bisogno
d'essere da lei compatito.
Mirandolina: Povere
donne! che cosa le hanno fatto? Perché così crudele con
noi, signor Cavaliere?
Cavaliere: Basta così.
Con me non vi prendete maggior confidenza. Cambiatemi la biancheria.
La manderò a prender pel servitore. Amici, vi sono schiavo.
(Parte.)
SCENA SESTA
Il Marchese, il Conte e Mirandolina.
Mirandolina:
Che uomo salvatico! Non ho veduto il compagno.
Conte:
Cara Mirandolina, tutti non conoscono il vostro
merito.
Mirandolina: In verità, son cosi
stomacata del suo mal procedere, che or ora lo licenzio a
dirittura.
Marchese: Sì; e se non vuol
andarsene, ditelo a me, che lo farò partire immediatamente.
Fate pur uso della mia protezione.
Conte: E per il
denaro che aveste a perdere, io supplirò e pagherò
tutto. (Sentite, mandate via anche il Marchese, che pagherò
io). (Piano a Mirandolina.)
Mirandolina: Grazie,
signori miei, grazie. Ho tanto spirito che basta, per dire ad un
forestiere ch'io non lo voglio, e circa all'utile, la mia locanda non
ha mai camere in ozio.
SCENA SETTIMA
Fabrizio e detti.
Fabrizio:
Illustrissimo, c'è uno che la domanda. (Al
Conte.)
Conte: Sai chi sia?
Fabrizio:
Credo ch'egli sia un legatore di gioje. (Mirandolina,
giudizio; qui non istate bene). (Piano a Mirandolina, e
parte.)
Conte: Oh sì, mi ha da mostrare
un gioiello. Mirandolina, quegli orecchini, voglio che li
accompagniamo.
Mirandolina: Eh no, signor
Conte...
Conte: Voi meritate molto, ed io i denari
non li stimo niente. Vado a vedere questo gioiello. Addio,
Mirandolina; signor Marchese, la riverisco! (Parte.)
SCENA OTTAVA
Il Marchese e Mirandolina.
Marchese:
(Maledetto Conte! Con questi suoi denari mi ammazza). (Da
sé.)
Mirandolina: In verità il
signor Conte s'incomoda troppo.
Marchese: Costoro
hanno quattro soldi, e li spendono per vanità, per albagia. Io
li conosco, so il viver del mondo.
Mirandolina: Eh,
il viver del mondo lo so ancor io.
Marchese: Pensano
che le donne della vostra sorta si vincano con i regali.
Mirandolina:
I regali non fanno male allo stomaco.
Marchese: Io
crederei di farvi un'ingiuria, cercando di obbligarvi con i
donativi.
Mirandolina: Oh, certamente il signor
Marchese non mi ha ingiuriato mai.
Marchese: E tali
ingiurie non ve le farò.
Mirandolina: Lo
credo sicurissimamente.
Marchese: Ma dove posso,
comandatemi.
Mirandolina: Bisognerebbe ch'io
sapessi, in che cosa può Vostra Eccellenza.
Marchese:
In tutto. Provatemi.
Mirandolina: Ma
verbigrazia, in che?
Marchese: Per bacco! Avete un
merito che sorprende.
Mirandolina: Troppe grazie,
Eccellenza.
Marchese: Ah! direi quasi uno
sproposito. Maledirei quasi la mia Eccellenza.
Mirandolina:
Perché, signore?
Marchese: Qualche
volta mi auguro di essere nello stato del Conte.
Mirandolina:
Per ragione forse de' suoi denari?
Marchese: Eh!
Che denari! Non li stimo un fico. Se fossi un Conte ridicolo come
lui...
Mirandolina: Che cosa farebbe?
Marchese:
Cospetto del diavolo... vi sposerei. (Parte.)
SCENA NONA
Mirandolina (sola): Uh, che mai ha detto! L'eccellentissimo signor Marchese Arsura mi sposerebbe? Eppure, se mi volesse sposare, vi sarebbe una piccola difficoltà. Io non lo vorrei. Mi piace l'arrosto, e del fumo non so che farne. Se avessi sposati tutti quelli che hanno detto volermi, oh, avrei pure tanti mariti! Quanti arrivano a questa locanda, tutti di me s'innamorano, tutti mi fanno i cascamorti; e tanti e tanti mi esibiscono di sposarmi a dirittura. E questo signor Cavaliere, rustico come un orso, mi tratta sì bruscamente? Questi è il primo forestiere capitato alla mia locanda, il quale non abbia avuto piacere di trattare con me. Non dico che tutti in un salto s'abbiano a innamorare: ma disprezzarmi così? è una cosa che mi muove la bile terribilmente. É nemico delle donne? Non le può vedere? Povero pazzo! Non avrà ancora trovato quella che sappia fare. Ma la troverà. La troverà. E chi sa che non l'abbia trovata? Con questi per l'appunto mi ci metto di picca. Quei che mi corrono dietro, presto presto mi annoiano. La nobiltà non fa per me. La ricchezza la stimo e non la stimo. Tutto il mio piacere consiste in vedermi servita, vagheggiata, adorata. Questa è la mia debolezza, e questa è la debolezza di quasi tutte le donne. A maritarmi non ci penso nemmeno; non ho bisogno di nessuno; vivo onestamente, e godo la mia libertà. Tratto con tutti, ma non m'innamoro mai di nessuno. Voglio burlarmi di tante caricature di amanti spasimati; e voglio usar tutta l'arte per vincere, abbattere e conquassare quei cuori barbari e duri che son nemici di noi, che siamo la miglior cosa che abbia prodotto al mondo la bella madre natura.
SCENA DECIMA
Fabrizio e detta.
Fabrizio:
Ehi, padrona.
Mirandolina: Che cosa
c'è?
Fabrizio: Quel forestiere che è
alloggiato nella camera di mezzo, grida della biancheria; dice che è
ordinaria, e che non la vuole.
Mirandolina: Lo so,
lo so. Lo ha detto anche a me, e lo voglio servire.
Fabrizio:
Benissimo. Venitemi dunque a metter fuori la roba, che gliela
possa portare.
Mirandolina: Andate, andate, gliela
porterò io.
Fabrizio: Voi gliela volete
portare?
Mirandolina: Sì, io.
Fabrizio:
Bisogna che vi prema molto questo forestiere.
Mirandolina:
Tutti mi premono. Badate a voi.
Fabrizio: (Già
me n'avvedo. Non faremo niente. Ella mi lusinga; ma non faremo
niente). (Da sé.)
Mirandolina: (Povero
sciocco! Ha delle pretensioni. Voglio tenerlo in isperanza, perché
mi serva con fedelta). (Da sé.)
Fabrizio: Si
è sempre costumato, che i forestieri li serva io.
Mirandolina:
Voi con i forestieri siete un poco troppo ruvido.
Fabrizio:
E voi siete un poco troppo gentile.
Mirandolina: So
quel quel che fo, non ho bisogno di correttori.
Fabrizio:
Bene, bene. Provvedetevi di cameriere.
Mirandolina:
Perché, signor Fabrizio? è disgustato di
me?
Fabrizio: Vi ricordate voi che cosa ha detto a
noi due vostro padre, prima ch'egli morisse?
Mirandolina:
Sì; quando mi vorrò maritare, mi ricorderò
di quel che ha detto mio padre.
Fabrizio: Ma io son
delicato di pelle, certe cose non le posso soffrire.
Mirandolina:
Ma che credi tu ch'io mi sia? Una frasca? Una civetta? Una
pazza? Mi maraviglio di te. Che voglio fare io dei forestieri che
vanno e vengono? Se il tratto bene, lo fo per mio interesse, per
tener in credito la mia locanda. De' regali non ne ho bisogno. Per
far all'amore? Uno mi basta: e questo non mi manca; e so chi merita,
e so quello che mi conviene. E quando vorrò maritarmi... mi
ricorderò di mio padre. E chi mi averà servito bene,
non potrà lagnarsi di me. Son grata. Conosco il merito... Ma
io non son conosciuta. Basta, Fabrizio, intendetemi, se potete.
(Parte.)
Fabrizio: Chi può intenderla,
è bravo davvero. Ora pare che la mi voglia, ora che la non mi
voglia. Dice che non è una frasca, ma vuol far a suo modo. Non
so che dire. Staremo a vedere. Ella mi piace, le voglio bene,
accomoderei con essa i miei interessi per tutto il tempo di vita mia.
Ah! bisognerà chiuder un occhio, e lasciar correre qualche
cosa. Finalmente i forestieri vanno e vengono. Io resto sempre. Il
meglio sarà sempre per me. (Parte.)
SCENA UNDICESIMA
Camera
del Cavaliere.
Il Cavaliere ed un Servitore.
Servitore:
Illustrissimo, hanno portato questa lettera.
Cavaliere:
Portami la cioccolata.
(Il Servitore
parte.)
(Il Cavaliere apre la
lettera.)
Siena, primo Gennaio 1753.
(Chi scrive?) Orazio Taccagni. Amico carissimo. La tenera amicizia
che a voi mi lega, mi rende sollecito ad avvisarvi essere necessario
il vostro ritorno in patria. È morto il Conte Manna...
(Povero Cavaliere! Me ne dispiace). Ha lasciato la sua unica
figlia nubile erede di centocinquanta mila scudi. Tutti gli amici
vostri vorrebbero che toccasse a voi una tal fortuna, e vanno
maneggiando... Non s'affatichino per me, che non voglio saper
nulla. Lo sanno pure ch'io non voglio donne per i piedi. E questo mio
caro amico, che lo sa più d'ogni altro, mi secca peggio di
tutti. (Straccia la lettera.) Che importa a me di
centocinquanta mila scudi? Finché son solo, mi basta meno. Se
fossi accompagnato, non mi basterebbe assai più. Moglie a me!
Piuttosto una febbre quartana.
SCENA DODICESIMA
II Marchese e detto.
Marchese:
Amico, vi contentate ch'io venga a stare un poco con
voi?
Cavaliere: Mi fate onore.
Marchese:
Almeno fra me e voi possiamo trattarci con confidenza; ma
quel somaro del Conte non è degno di stare in conversazione
con noi.
Cavaliere: Caro Marchese, compatitemi;
rispettate gli altri, se volete essere rispettato voi pure.
Marchese:
Sapete il mio naturale. Io fo le cortesie a tutti, ma colui
non lo posso soffrire.
Cavaliere: Non lo potete
soffrire, perché vi è rivale in amore! Vergogna! Un
cavaliere della vostra sorta innamorarsi d'una locandiera! Un uomo
savio, come siete voi, correr dietro a una donna!
Marchese:
Cavaliere mio, costei mi ha stregato.
Cavaliere: Oh!
pazzie! debolezze! Che stregamenti! Che vuol dire che le donne non mi
stregheranno? Le loro fattucchierie consistono nei loro vezzi, nelle
loro lusinghe, e chi ne sta lontano, come fo io, non ci è
pericolo che si lasci ammaliare.
Marchese: Basta! ci
penso e non ci penso: quel che mi dà fastidio e che
m'inquieta, è il mio fattor di campagna.
Cavaliere:
Vi ha fatto qualche porcheria?
Marchese: Mi
ha mancato di parola.
SCENA TREDICESIMA
Il Servitore con una cioccolata e detti.
Cavaliere:
Oh mi dispiace... Fanne subito un'altra. (Al
Servitore.)
Servitore: In casa per oggi non ce
n'è altra, illustrissimo.
Cavaliere: Bisogna
che ne provveda. Se vi degnate di questa...(Al Marchese.)
MARCHESE
(prende la cioccolata, e si mette a berla senza complimenti,
seguitando poi a discorrere e bere, come segue): Questo mio
fattore, come io vi diceva... (Beve.)
Cavaliere: (Ed
io resterò senza). (Da sé.)
Marchese:
Mi aveva promesso mandarmi con l'ordinario... (Beve.)
venti zecchini... (Beve.)
Cavaliere: (Ora
viene con una seconda stoccata). (Da sé.)
Marchese:
E non me li ha mandati... (Beve.)
Cavaliere:
Li manderà un'altra volta.
Marchese: Il
punto sta... il punto sta... (Finisce di bere.) Tenete. (Dà
la chicchera al Servitore.) Il punto sta che sono in un grande
impegno, e non so come fare.
Cavaliere: Otto giorni
più, otto giorni meno...
Marchese: Ma voi che
siete Cavaliere, sapete quel che vuol dire il mantener la parola.
Sono in impegno; e... corpo di bacco! Darei della pugna in
cielo.
Cavaliere: Mi dispiace di vedervi scontento.
(Se sapessi come uscirne con riputazione!) (Da sé.)
Marchese:
Voi avreste difficoltà per otto giorni di farmi il
piacere?
Cavaliere: Caro Marchese, se potessi, vi
servirei di cuore; se ne avessi, ve li avrei esibiti a dirittura. Ne
aspetto, e non ne ho.
Marchese: Non mi darete ad
intendere d'esser senza denari.
Cavaliere: Osservate.
Ecco tutta la mia ricchezza. Non arrivano a due zecchini. (Mostra
uno zecchino e varie monete.)
Marchese: Quello è
uno zecchino d'oro.
Cavaliere: Sì; l'ultimo,
non ne ho più.
Marchese: Prestatemi quello,
che vedrò intanto...
Cavaliere: Ma io
poi...
Marchese: Di che avete paura? Ve lo
renderò.
Cavaliere: Non so che dire;
servitevi. (Gli dà lo zecchino.)
Marchese: Ho
un affare di premura... amico: obbligato per ora: ci rivedremo a
pranzo. (Prende lo zecchino, e parte.)
SCENA QUATTORDICESIMA
CAVALIERE (solo): Bravo! Il signor Marchese mi voleva frecciare venti zecchini, e poi si è contentato di uno. Finalmente uno zecchino non mi preme di perderlo, e se non me lo rende, non mi verrà più a seccare. Mi dispiace più, che mi ha bevuto la mia cioccolata. Che indiscretezza! E poi: Son chi sono. Son Cavaliere. Oh garbatissimo Cavaliere!
SCENA QUINDICESIMA
Mirandolina colla biancheria, e detto.
Mirandolina:
Permette, illustrissimo? (Entrando con qualche
soggezione.)
Cavaliere: Che cosa volete? (Con
asprezza.)
Mirandolina: Ecco qui della
biancheria migliore. (S'avanza un poco.)
Cavaliere:
Bene. Mettetela lì. (Accenna il
tavolino.)
Mirandolina: La supplico almeno
degnarsi vedere se è di suo genio.
Cavaliere: Che
roba è?
Mirandolina: Le lenzuola son di
rensa. (S'avanza ancor più.)
Cavaliere:
Rensa?
Mirandolina: Sì signore, di
dieci paoli al braccio. Osservi.
Cavaliere: Non
pretendevo tanto. Bastavami qualche cosa meglio di quel che mi avete
dato.
Mirandolina: Questa biancheria l'ho fatta per
personaggi di merito: per quelli che la sanno conoscere; e in verità,
illustrissimo, la do per esser lei, ad un altro non la
darei.
Cavaliere: Per esser lei! Solito
complimento.
Mirandolina: Osservi il servizio di
tavola.
Cavaliere: Oh! Queste tele di Fiandra,
quando si lavano, perdono assai. Non vi è bisogno che le
insudiciate per me.
Mirandolina: Per un Cavaliere
della sua qualità, non guardo a queste piccole cose. Di queste
salviette ne ho parecchie, e le serberò per V.S.
illustrissima.
Cavaliere: (Non si può però
negare, che costei non sia una donna obbligante). (Da
sé.)
Mirandolina: (Veramente ha una
faccia burbera da non piacergli le donne). (Da sé.)
Cavaliere:
Date la mia biancheria al mio cameriere, o ponetela lì,
in qualche luogo. Non vi è bisogno che v'incomodiate per
questo.
Mirandolina: Oh, io non m'incomodo mai,
quando servo Cavaliere di sì alto merito.
Cavaliere:
Bene, bene, non occorr'altro. (Costei vorrebbe adularmi.
Donne! Tutte così). (Da sé.)
Mirandolina:
La metterò nell'arcova.
Cavaliere: Sì,
dove volete. (Con serietà.)
Mirandolina: (Oh!
vi è del duro. Ho paura di non far niente). (Da sé,
va a riporre la biancheria.)
Cavaliere: (I gonzi
sentono queste belle parole, credono a chi le dice, e cascano). (Da
sè.)
Mirandolina: A pranzo, che cosa
comanda? (Ritornando senza la biancheria.)
Cavaliere:
Mangerò quello che vi sarà.
Mirandolina:
Vorrei pur sapere il suo genio. Se le piace una cosa più
dell'altra, lo dica con libertà.
Cavaliere: Se
vorrò qualche cosa, lo dirò al cameriere.
Mirandolina:
Ma in queste cose gli uomini non hanno l'attenzione e la
pazienza che abbiamo noi donne. Se le piacesse qualche intingoletto,
qualche salsetta, favorisca di dirlo a me.
Cavaliere: Vi
ringrazio: ma né anche per questo verso vi riuscirà di
far con me quello che avete fatto col Conte e col
Marchese.
Mirandolina: Che dice della debolezza di
quei due cavalieri? Vengono alla locanda per alloggiare, e pretendono
poi di voler fare all'amore colla locandiera. Abbiamo altro in testa
noi, che dar retta alle loro ciarle. Cerchiamo di fare il nostro
interesse; se diamo loro delle buone parole, lo facciamo per tenerli
a bottega; e poi, io principalmente, quando vedo che si lusingano,
rido come una pazza.
Cavaliere: Brava! Mi piace la
vostra sincerità.
Mirandolina: Oh! non ho
altro di buono, che la sincerità.
Cavaliere: Ma
però, con chi vi fa la corte, sapete fingere.
Mirandolina:
Io fingere? Guardimi il cielo. Domandi un poco a quei due
signori che fanno gli spasimati per me, se ho mai dato loro un segno
d'affetto. Se ho mai scherzato con loro in maniera che si potessero
lusingare con fondamento. Non li strapazzo, perché il mio
interesse non lo vuole, ma poco meno. Questi uomini effeminati non li
posso vedere. Sì come abborrisco anche le donne che corrono
dietro agli uomini. Vede? Io non sono una ragazza. Ho qualche
annetto; non sono bella, ma ho avute delle buone occasioni; eppure
non ho mai voluto maritarmi, perché stimo infinitamente la mia
libertà.
Cavaliere: Oh sì, la libertà
è un gran tesoro.
Mirandolina: E tanti la
perdono scioccamente.
Cavaliere: So io ben quel che
faccio. Alla larga.
Mirandolina: Ha moglie V.S.
illustrissima?
Cavaliere: Il cielo me ne liberi. Non
voglio donne.
Mirandolina: Bravissimo. Si conservi
sempre così. Le donne, signore... Basta, a me non tocca a
dirne male.
Cavaliere: Voi siete per altro la prima
donna, ch'io senta parlar così.
Mirandolina: Le
dirò: noi altre locandiere vediamo e sentiamo delle cose
assai; e in verità compatisco quegli uomini, che hanno paura
del nostro sesso.
Cavaliere: (È curiosa
costei). (Da sé.)
Mirandolina: Con
permissione di V.S. illustrissima. (Finge voler
partire.)
Cavaliere: Avete premura di
partire?
Mirandolina: Non vorrei esserle
importuna.
Cavaliere: No, mi fate piacere; mi
divertite
Mirandolina: Vede, signore? Così fo
con gli altri. Mi trattengo qualche momento; sono piuttosto allegra,
dico delle barzellette per divertirli, ed essi subito credono... Se
la m'intende, e' mi fanno i cascamorti.
Cavaliere: Questo
accade, perché avete buona maniera.
Mirandolina:
Troppa bontà, illustrissimo. (Con una
riverenza.)
Cavaliere: Ed essi
s'innamorano.
Mirandolina: Guardi che debolezza!
Innamorarsi subito di una donna!
Cavaliere: Questa
io non l'ho mai potuta capire.
Mirandolina: Bella
fortezza! Bella virilità!
Cavaliere: Debolezze!
Miserie umane!
Mirandolina: Questo è il vero
pensare degli uomini. Signor Cavaliere, mi porga la mano.
Cavaliere:
Perché volete ch'io vi porga la mano?
Mirandolina:
Favorisca; si degni; osservi, sono pulita.
Cavaliere:
Ecco la mano.
Mirandolina: Questa è
la prima volta, che ho l'onore d'aver per la mano un uomo, che pensa
veramente da uomo.
Cavaliere: Via, basta così.
(Ritira la mano.)
Mirandolina: Ecco. Se io
avessi preso per la mano uno di que' due signori sguaiati, avrebbe
tosto creduto ch'io spasimassi per lui. Sarebbe andato in deliquio.
Non darei loro una semplice libertà, per tutto l'oro del
mondo. Non sanno vivere. Oh benedetto in conversare alla libera!
senza attacchi, senza malizia, senza tante ridicole scioccherie.
Illustrissimo, perdoni la mia impertinenza. Dove posso servirla, mi
comandi con autorità, e avrò per lei quell'attenzione,
che non ho mai avuto per alcuna persona di questo mondo.
Cavaliere:
Per quale motivo avete tanta parzialità per
me?
Mirandolina: Perché, oltre il suo merito,
oltre la sua condizione, sono almeno sicura che con lei posso
trattare con libertà, senza sospetto che voglia fare cattivo
uso delle mie attenzioni, e che mi tenga in qualità di serva,
senza tormentarmi con pretensioni ridicole, con caricature
affettate.
Cavaliere: (Che diavolo ha costei di
stravagante, ch'io non capisco!). (Da sé.)
Mirandolina:
(Il satiro si anderà a poco a poco addomesticando).
(Da sé.)
Cavaliere: Orsù, se
avete da badare alle cose vostre, non restate per me.
Mirandolina:
Sì signore, vado ad attendere alle faccende di casa.
Queste sono i miei amori, i miei passatempi. Se comanderà
qualche cosa, manderò il cameriere.
Cavaliere:
Bene... Se qualche volta verrete anche voi, vi vedrò
volentieri.
Mirandolina: Io veramente non vado mai
nelle camere dei forestieri, ma da lei ci verrò qualche
volta.
Cavaliere: Da me... Perché?
Mirandolina:
Perché, illustrissimo signore, ella mi piace
assaissimo.
Cavaliere: Vi piaccio io?
Mirandolina:
Mi piace, perché non è effeminato, perché
non è di quelli che s'innamorano. (Mi caschi il naso, se
avanti domani non l'innamoro). (Da sé.)
SCENA SEDICESIMA
CAVALIERE (solo): Eh! So io quel che fo. Colle donne? Alla larga. Costei sarebbe una di quelle che potrebbero farmi cascare più delle altre. Quella verità, quella scioltezza di dire, è cosa poco comune. Ha un non so che di estraordinario; ma non per questo mi lascerei innamorare. Per un poco di divertimento, mi fermerei più tosto con questa che con un'altra. Ma per fare all'amore? Per perdere la libertà? Non vi è pericolo. Pazzi, pazzi quelli che s'innamorano delle donne. (Parte.)
SCENA DICIASSETTESIMA
Altra
camera di locanda.
Ortensia, Dejanira, Fabrizio.
Fabrizio:
Che restino servite qui, illustrissime. Osservino quest'altra
camera. Quella per dormire, e questa per mangiare, per ricevere, per
servirsene come comandano.
Ortensia: : Va bene, va
bene. Siete voi padrone, o cameriere?
Fabrizio: Cameriere,
ai comandi di V.S. illustrissima
Dejanira: (Ci dà
delle illustrissime). (Piano a Ortensia, ridendo.)
Ortensia:
: (Bisogna secondare il lazzo). Cameriere?
Fabrizio:
Illustrissima.
Ortensia: : Dite al padrone
che venga qui, voglio parlar con lui per il trattamento.
Fabrizio:
Verrà la padrona; la servo subito. (Chi diamine
saranno queste due signore così sole? All'aria, all'abito,
paiono dame). (Da sé, parte.)
SCENA DICIOTTESIMA
Dejanira e Ortensia.
Dejanira:
Ci dà dell'illustrissime. Ci ha creduto due
dame.
Ortensia: : Bene. Così ci tratterà
meglio.
Dejanira: Ma ci farà pagare di
più.
Ortensia: : Eh, circa i conti, avrà
da fare con me. Sono degli anni assai, che cammino il
mondo.
Dejanira: Non vorrei che con questi titoli
entrassimo in qualche impegno.
Ortensia: : Cara
amica, siete di poco spirito. Due commedianti avvezze a far sulla
scena da contesse, da marchese e da principesse, avranno difficoltà
a sostenere un carattere sopra di una locanda?
Dejanira:
Verranno i nostri compagni, e subito ci
sbianchiranno.
Ortensia: : Per oggi non possono
arrivare a Firenze. Da Pisa a qui in navicello vi vogliono almeno tre
giorni.
Dejanira: Guardate che bestialità!
Venire in navicello!
Ortensia: : Per mancanza di
lugagni. È assai che siamo venute noi in calesse.
Dejanira:
È stata buona quella recita di più che abbiamo
fatto.
Ortensia: : Sì, ma se non istavo io
alla porta, non si faceva niente.
SCENA DICIANNOVESIMA
Fabrizio e dette.
Fabrizio:
La padrona or ora sarà a servirle.
Ortensia:
: Bene.
Fabrizio: Ed io le supplico a
comandarmi. Ho servito altre dame: mi darò l'onor di servir
con tutta l'attenzione anche le signorie loro
illustrissime.
Ortensia: : Occorrendo, mi varrò
di voi.
Dejanira: (Ortensia queste parti le fa
benissimo). (Da sé.)
Fabrizio: Intanto
le supplico, illustrissime signore, favorirmi il loro riverito nome
per la consegna. (Tira fuori un calamaio ed un
libriccino.)
Dejanira: (Ora viene il
buono).
Ortensia: : Perché ho da dar il mio
nome?
Fabrizio: Noialtri locandieri siamo obbligati
a dar il nome, il casato, la patria e la condizione di tutti i
passeggeri che alloggiano alla nostra locanda. E se non lo facessimo,
meschini noi.
Dejanira: (Amica, i titoli sono
finiti). (Piano ad Ortensia.)
Ortensia: : Molti
daranno anche il nome finto.
Fabrizio: In quanto a
questo poi, noialtri scriviamo il nome che ci dettano, e non
cerchiamo di più.
Ortensia: : Scrivete. La
Baronessa Ortensia del Poggio, palermitana.
Fabrizio:
(Siciliana? Sangue caldo). (Scrivendo.) Ella,
illustrissima? (A Dejanira.)
Dejanira: Ed
io... (Non so che mi dire).
Ortensia: : Via,
Contessa Dejanira, dategli il vostro nome.
Fabrizio: Vi
supplico. (A Dejanira.)
Dejanira: Non l'avete
sentito? (A Fabrizio.)
Fabrizio: L'illustrissima
signora Contessa Dejanira... (Scrivendo.) Il cognome?
Dejanira:
Anche il cognome? (A Fabrizio.)
Ortensia: :
Sì, dal Sole, romana. (A Fabrizio.)
Fabrizio:
Non occorr'altro. Perdonino l'incomodo. Ora verrà la
padrona. (L'ho io detto, che erano due dame? Spero che farò
de' buoni negozi. Mancie non ne mancheranno). (Parte.)
Dejanira:
Serva umilissima della signora Baronessa.
Ortensia:
: Contessa, a voi m'inchino. (Si burlano
vicendevolmente.)
Dejanira: Qual fortuna mi
offre la felicissima congiuntura di rassegnarvi il mio profondo
rispetto?
Ortensia: : Dalla fontana del vostro cuore
scaturir non possono che torrenti di grazie.
SCENA VENTESIMA
Mirandolina e dette.
Dejanira:
Madama, voi mi adulate. (Ad Ortensia, con
caricatura.)
Ortensia: : Contessa, al vostro
merito ci converrebbe assai più. (Fa lo
stesso.)
Mirandolina: (Oh che dame cerimoniose).
(Da sé, in disparte.)
Dejanira: (Oh
quanto mi vien da ridere!). (Da sé.)
Ortensia:
: Zitto: è qui la padrona. (Piano a
Dejanira.)
Mirandolina: M'inchino a queste
dame.
Ortensia: : Buon giorno, quella
giovane.
Dejanira: Signora padrona, vi riverisco. (A
Mirandolina.)
Ortensia: : Ehi! (Fa cenno a
Dejanira, che si sostenga,)
Mirandolina: Permetta
ch'io le baci la mano. (Ad Ortensia.)
Ortensia: :
Siete obbligante. (Le dà la mano.)
Dejanira:
(ride da sé.)
Mirandolina: Anche
ella, illustrissima. (Chiede la mano a Dejanira.)
Dejanira:
Eh, non importa...
Ortensia: : Via, gradite
le finezze di questa giovane. Datele la mano.
Mirandolina:
La supplico.
Dejanira: Tenete. (Le dà
la mano, si volta, e ride.)
Mirandolina: Ride,
illustrissima? Di che?
Ortensia: : Che cara
Contessa! Ride ancora di me. Ho detto uno sproposito, che l'ha fatta
ridere.
Mirandolina: (Io giuocherei che non sono
dame. Se fossero dame, non sarebbero sole). (Da sé.)
Ortensia:
: Circa il trattamento, converrà poi discorrere. (A
Mirandolina.)
Mirandolina: Ma! Sono sole? Non
hanno cavalieri, non hanno servitori, non hanno nessuno?
Ortensia:
: Il Barone mio marito...
Dejanira: (ride
forte).
Mirandolina: Perché ride,
signora? (A Dejanira.)
Ortensia: : Via,
perché ridete?
Dejanira: Rido del Barone di
vostro marito.
Ortensia: : Sì, è un
Cavaliere giocoso: dice sempre delle barzellette; verrà quanto
prima col Conte Orazio, marito della Contessina.
Dejanira
(fa forza per trattenersi dal ridere).
Mirandolina:
La fa ridere anche il signor Conte? (A
Dejanira.)
Ortensia: : Ma via, Contessina,
tenetevi un poco nel vostro decoro.
Mirandolina: Signore
mie, favoriscano in grazia. Siamo sole, nessuno ci sente. Questa
contea, questa baronia, sarebbe mai...
Ortensia: : Che
cosa vorreste voi dire? Mettereste in dubbio la nostra
nobiltà?
Mirandolina: Perdoni, illustrissima,
non si riscaldi, perché farà ridere la signora
Contessa.
Dejanira: Eh via, che serve?
Ortensia:
: Contessa, Contessa! (Minacciandola.)
Mirandolina:
Io so che cosa voleva dire, illustrissima. (A
Dejanira.)
Dejanira: Se l'indovinate, vi stimo
assai.
Mirandolina: Volevate dire: Che serve che
fingiamo d'esser due dame, se siamo due pedine? Ah! non è
vero?
Dejanira: E che sì che ci conoscete? (A
Mirandolina.)
Ortensia: : Che brava commediante!
Non è buona da sostenere un carattere.
Dejanira:
Fuori di scena io non so fingere.
Mirandolina:
Brava, signora Baronessa; mi piace il di lei spirito. Lodo la
sua franchezza.
Ortensia: : Qualche volta mi prendo
un poco di spasso.
Mirandolina: Ed io amo
infinitamente le persone di spirito. Servitevi pure nella mia
locanda, che siete padrone; ma vi prego bene, se mi capitassero
persone di rango, cedermi quest'appartamento, ch'io vi darò
dei camerini assai comodi.
Dejanira: Sì,
volentieri.
Ortensia: : Ma io, quando spendo il mio
denaro, intendo volere esser servita come una dama, e in questo
appartamento ci sono, e non me ne anderò.
Mirandolina:
Via, signora Baronessa, sia buona... Oh! Ecco un cavaliere
che è alloggiato in questa locanda. Quando vede donne, sempre
si caccia avanti.
Ortensia: : È
ricco?
Mirandolina: Io non so i fatti suoi.
SCENA VENTUNESIMA
Il Marchese e dette.
Marchese:
È permesso? Si può entrare?
Ortensia:
: Per me è padrone.
Marchese: Servo
di lor signore.
Dejanira: Serva
umilissima.
Ortensia: : La riverisco
divotamente.
Marchese: Sono forestiere? (A
Mirandolina.)
Mirandolina: Eccellenza sì.
Sono venute ad onorare la mia locanda.
Ortensia: : (È
un'Eccellenza! Capperi!), (Da sé.)
Dejanira:
(Già Ortensia lo vorrà per sé). (Da
sé.)
Marchese: E chi sono queste signore?
(A Mirandolina.)
Mirandolina: Questa è
la Baronessa Ortensia del Poggio, e questa la Contessa Dejanira dal
Sole.
Marchese: Oh compitissime dame!
Ortensia:
: E ella chi è, signore?
Marchese: Io
sono il Marchese di Forlipopoli.
Dejanira: (La
locandiera vuol seguitare a far la commedia). (Da sé.)
Ortensia:
: Godo aver l'onore di conoscere un cavaliere così
compito.
Marchese: Se vi potessi servire,
comandatemi. Ho piacere che siate venute ad alloggiare in questa
locanda. Troverete una padrona di garbo.
Mirandolina: Questo
cavaliere è pieno di bontà. Mi onora della sua
protezione.
Marchese: Sì, certamente. Io la
proteggo, e proteggo tutti quelli che vengono nella sua locanda; e se
vi occorre nulla, comandate.
Ortensia: : Occorrendo,
mi prevarrò delle sue finezze.
Marchese: Anche
voi, signora Contessa, fate capitale di me.
Dejanira: Potrò
ben chiamarmi felice, se avrò l'alto onore di essere
annoverata nel ruolo delle sue umilissime serve.
Mirandolina:
(Ha detto un concetto da commedia). (Ad
Ortensia.)
Ortensia: : (Il titolo di Contessa
l'ha posta in soggezione). (A Mirandolina.)
(Il
Marchese tira fuori di tasca un bel fazzoletto di seta, lo spiega, e
finge volersi asciugar la fronte.)
Mirandolina: Un
gran fazzoletto, signor Marchese!
Marchese: Ah! Che
ne dite? È bello? Sono di buon gusto io? (A
Mirandolina.)
Mirandolina: Certamente è
di ottimo gusto.
Marchese: Ne avete più
veduti di così belli? (Ad Ortensia.)
Ortensia:
: È superbo. Non ho veduto il compagno. (Se me lo
donasse, lo prenderei). (Da sé.)
Marchese:
Questo viene da Londra. (A Dejanira.)
Dejanira:
È bello, mi piace assai.
Marchese: Son
di buon gusto io?
Dejanira: (E non dice a' vostri
comandi). (Da sé.)
Marchese: M'impegno
che il Conte non sa spendere. Getta via il denaro, e non compra mai
una galanteria di buon gusto.
Mirandolina: Il signor
Marchese conosce, distingue, sa, vede, intende.
MARCHESE (piega
il fazzoletto con attenzione): Bisogna piegarlo bene, acciò
non si guasti. Questa sorta di roba bisogna custodirla con
attenzione. Tenete. (Lo presenta a Mirandolina.)
Mirandolina:
Vuole ch'io lo faccia mettere nella sua camera?
Marchese:
No. Mettetelo nella vostra.
Mirandolina: Perché...
nella mia?
Marchese: Perché... ve lo
dono.
Mirandolina: Oh, Eccellenza,
perdoni...
Marchese: Tant'è. Ve lo
dono.
Mirandolina: Ma io non voglio.
Marchese:
Non mi fate andar in collera.
Mirandolina: Oh,
in quanto a questo poi, il signor Marchese lo sa, io non voglio
disgustar nessuno. Acciò non vada in collera, lo
prenderò.
Dejanira: (Oh che bel lazzo!). (Ad
Ortensia.)
Ortensia: : (E poi dicono delle
commedianti). (A Dejanira.)
Marchese: Ah! Che
dite? Un fazzoletto di quella sorta, l'ho donato alla mia padrona di
casa. (Ad Ortensia.)
Ortensia: : È un
cavaliere generoso.
Marchese: Sempre
così.
Mirandolina: (Questo è il primo
regalo che mi ha fatto, e non so come abbia avuto quel fazzoletto).
(Da sé.)
Dejanira: Signor Marchese, se
ne trovano di quei fazzoletti in Firenze? Avrei volontà
d'averne uno compagno.
Marchese: Compagno di questo
sarà difficile; ma vedremo.
Mirandolina: (Brava
la signora Contessina). (Da sé.)
Ortensia: :
Signor Marchese, voi che siete pratico della città,
fatemi il piacere di mandarmi un bravo calzolaro, perché ho
bisogno di scarpe.
Marchese: Sì, vi manderò
il mio.
Mirandolina: (Tutte alla vita; ma non ce n'è
uno per la rabbia). (Da sé.)
Ortensia: : Caro
signor Marchese, favorirà tenerci un poco di
compagnia.
Dejanira: Favorirà a pranzo con
noi.
Marchese: Sì, volentieri. (Ehi
Mirandolina, non abbiate gelosia, son vostro, già lo
sapete).
Mirandolina: (S'accomodi pure: ho piacere
che si diverta). (Al Marchese.)
Ortensia: : Voi
sarete la nostra conversazione.
Dejanira: Non
conosciamo nessuno. Non abbiamo altri che voi.
Marchese: Oh
care le mie damine! Vi servirò di cuore.
SCENA VENTIDUESIMA
Il Conte e detti.
Conte:
Mirandolina, io cercava voi.
Mirandolina: Son
qui con queste dame.
Conte: Dame? M'inchino
umilmente.
Ortensia: : Serva divota. (Questo è
un guasco più badia! di quell'altro). (Piano a
Dejanira.)
Dejanira: (Ma io non sono buona per
miccheggiare). (Piano ad Ortensia.)
Marchese: (Ehi!
Mostrate al Conte il fazzoletto). (Piano a
Mirandolina.)
Mirandolina: Osservi signor Conte,
il bel regalo che mi ha fatto il signor Marchese. (Mostra il
fazzoletto al Conte.)
Conte: Oh, me ne rallegro!
Bravo, signor Marchese.
Marchese: Eh niente, niente.
Bagattelle. Riponetelo via; non voglio che lo diciate. Quel che fo,
non s'ha da sapere.
Mirandolina: (Non s'ha da
sapere, e me lo fa mostrare. La superbia contrasta con la povertà).
(Da sé.)
Conte: Con licenza di queste
dame, vorrei dirvi una parola. (A Mirandolina.)
Ortensia:
: S'accomodi con libertà.
Marchese: Quel
fazzoletto in tasca lo manderete a male. (A
Mirandolina.)
Mirandolina: Eh, lo riporrò
nella bambagia, perché non si ammacchi!
Conte:
Osservate questo piccolo gioiello di diamanti. (A
Mirandolina.)
Mirandolina: Bello assai.
Conte:
È compagno degli orecchini che vi ho
donato.
(Ortensia e Dejanira osservano, e parlano
piano fra loro.)
Mirandolina: Certo è
compagno, ma è ancora più bello.
Marchese:
(Sia maledetto il Conte, i suoi diamanti, i suoi denari, e il
suo diavolo che se lo porti). (Da sé.)
Conte:
Ora, perché abbiate il fornimento compagno, ecco ch'io
vi dono il gioiello. (A Mirandolina.)
Mirandolina:
Non lo prendo assolutamente.
Conte: Non mi
farete questa male creanza.
Mirandolina: Oh! delle
male creanze non ne faccio mai. Per non disgustarla, lo
prenderò.
(Ortensia e Dejanira parlano come
sopra, osservando la generosità del Conte.)
Mirandolina:
Ah! Che ne dice, signor Marchese? Questo gioiello non è
galante?
Marchese: Nel suo genere il fazzoletto è
più di buon gusto.
Conte: Sì, ma da
genere a genere vi è una bella distanza.
Marchese:
Bella cosa! Vantarsi in pubblico di una grande spesa.
Conte:
Sì, sì, voi fate i vostri regali in
segreto.
Mirandolina: (Posso ben dire con verità
questa volta, che fra due litiganti il terzo gode). (Da
sé.)
Marchese: E così, damine mie,
sarò a pranzo con voi.
Ortensia: : Quest'altro
signore chi è? (Al Conte.)
Conte: Sono
il Conte d'Albafiorita, per obbedirvi.
Dejanira: Capperi!
È una famiglia illustre, io la conosco. (Anch'ella
s'accosta al Conte.)
Conte: Sono a' vostri
comandi. (A Dejanira.)
Ortensia: : È
qui alloggiato? (Al Conte.)
Conte: Sì,
signora.
Dejanira: Si trattiene molto? (Al
Conte.)
Conte: Credo di sì.
Marchese:
Signore mie, sarete stanche di stare in piedi, volete ch'io
vi serva nella vostra camera?
Ortensia: : Obbligatissima.
(Con disprezzo.) Di che paese è, signor Conte?
Conte:
Napolitano.
Ortensia: : Oh! Siamo mezzi
patrioti. Io sono palermitana.
Dejanira: Io son
romana; ma sono stata a Napoli, e appunto per un mio interesse
desiderava parlare con un cavaliere napolitano.
Conte: Vi
servirò, signore. Siete sole? Non avete uomini?
Marchese:
Ci sono io, signore: e non hanno bisogno di voi.
Ortensia:
: Siamo sole, signor Conte. Poi vi diremo il perché.
Conte:
Mirandolina.
Mirandolina: Signore.
Conte:
Fate preparare nella mia camera per tre. Vi degnerete di
favorirmi? (Ad Ortensia e Dejanira.)
Ortensia: :
Riceveremo le vostre finezze.
Marchese: Ma
io sono stato invitato da queste dame.
Conte: Esse
sono padrone di servirsi come comandano, ma alla mia piccola tavola
in più di tre non ci si sta.
Marchese: Vorrei
veder anche questa...
Ortensia: : Andiamo, andiamo,
signor Conte. Il signor Marchese ci favorirà un'altra volta.
(Parte.)
Dejanira: Signor Marchese, se trova
il fazzoletto, mi raccomando. (Parte.)
Marchese:
Conte, Conte, voi me la pagherete.
Conte: Di
che vi lagnate?
Marchese: Son chi sono, e non si
tratta così. Basta... Colei vorrebbe un fazzoletto? Un
fazzoletto di quella sorta? Non l'avrà. Mirandolina, tenetelo
caro. Fazzoletti di quella sorta non se ne trovano. Dei diamanti se
ne trovano, ma dei fazzoletti di quella sorta non se ne trovano.
(Parte.)
Mirandolina: (Oh che bel pazzo!).
(Da sé.)
Conte: Cara Mirandolina,
avrete voi dispiacere ch'io serva queste due dame?
Mirandolina:
Niente affatto, signore.
Conte: Lo faccio
per voi. Lo faccio per accrescer utile ed avventori alla vostra
locanda; per altro io son vostro, è vostro il mio cuore, e
vostre son le mie ricchezze, delle quali disponetene liberamente, che
io vi faccio padrona. (Parte.)
SCENA VENTITREESIMA
Mirandolina (sola): Con tutte le sue ricchezze, con tutti li suoi regali, non arriverà mai ad innamorarmi; e molto meno lo farà il Marchese colla sua ridicola protezione. Se dovessi attaccarmi ad uno di questi due, certamente lo farei con quello che spende più. Ma non mi preme né dell'uno, né dell'altro. Sono in impegno d'innamorar il Cavaliere di Ripafratta, e non darei un tal piacere per un gioiello il doppio più grande di questo. Mi proverò; non so se avrò l'abilità che hanno quelle due brave comiche, ma mi proverò. Il Conte ed il Marchese, frattanto che con quelle si vanno trattenendo, mi lasceranno in pace; e potrò a mio bell'agio trattar col Cavaliere. Possibile ch'ei non ceda? Chi è quello che possa resistere ad una donna, quando le dà tempo di poter far uso dell'arte sua? Chi fugge non può temer d'esser vinto, ma chi si ferma, chi ascolta, e se ne compiace, deve o presto o tardi a suo dispetto cadere. (Parte.)
Atto II
SCENA PRIMA
Camera
del Cavaliere, con tavola apparecchiata per il pranzo e sedie.
Il
Cavaliere ed il suo Servitore, poi Fabrizio.
Il Cavaliere
passeggia con un libro. Fabrizio mette la zuppa in tavola.
Fabrizio:
Dite al vostro padrone, se vuol restare servito, che la zuppa
è in tavola. (Al Servitore.)
Servitore: Glielo
potete dire anche voi. (A Fabrizio.)
Fabrizio: È
tanto stravagante, che non gli parlo niente volentieri.
Servitore:
Eppure non è cattivo. Non può veder le donne,
per altro cogli uomini è dolcissimo.
Fabrizio: (Non
può veder le donne? Povero sciocco! Non conosce il buono). (Da
sé, parte.)
Servitore: Illustrissimo, se
comoda, è in tavola.
(Il Cavaliere mette giù
il libro, e va a sedere a tavola.)
Cavaliere: Questa
mattina parmi che si pranzi prima del solito. (Al Servitore,
mangiando.)
(Il Servitore dietro la sedia del
Cavaliere, col tondo sotto il braccio.)
Servitore:
Questa camera è stata servita prima di tutte. Il
signor Conte d'Albafiorita strepitava che voleva essere servito il
primo, ma la padrona ha voluto che si desse in tavola prima a V.S.
illustrissima.
Cavaliere: Sono obbligato a costei
per l'attenzione che mi dimostra.
Servitore: È
una assai compita donna, illustrissimo. In tanto mondo che ho veduto,
non ho trovato una locandiera più garbata di
questa.
Cavaliere: Ti piace, eh? (Voltandosi un
poco indietro.)
Servitore: Se non fosse per far
torto al mio padrone, vorrei venire a stare con Mirandolina per
cameriere.
Cavaliere: Povero sciocco! Che cosa
vorresti ch'ella facesse di te? (Gli dà il tondo, ed egli
lo muta.)
Servitore: Una donna di questa sorta,
la vorrei servir come un cagnolino. (Va per un piatto.)
Cavaliere:
Per bacco! Costei incanta tutti. Sarebbe da ridere che
incantasse anche me. Orsù, domani me ne vado a Livorno.
S'ingegni per oggi, se può, ma si assicuri che non sono sì
debole. Avanti ch'io superi l'avversion per le donne, ci vuol altro.
SCENA SECONDA
Il Servitore col lesso ed un altro piatto, e detto.
Servitore:
Ha detto la padrona, che se non le piacesse il pollastro, le
manderà un piccione.
Cavaliere: Mi piace
tutto. E questo che cos'è?
Servitore: Disse
la padrona, ch'io le sappia dire se a V.S. illustrissima piace questa
salsa, che l'ha fatta ella colle sue mani.
Cavaliere: Costei
mi obbliga sempre più. (L'assaggia.) È preziosa.
Dille che mi piace, che la ringrazio.
Servitore: Glielo
dirò, illustrissimo.
Cavaliere: Vaglielo a
dir subito.
Servitore: Subito. (Oh che prodigio!
Manda un complimento a una donna!). (Da sé,
parte.)
Cavaliere: È una salsa squisita.
Non ho sentita la meglio. (Va mangiando.) Certamente, se
Mirandolina farà così, avrà sempre de'
forestieri. Buona tavola, buona biancheria. E poi non si può
negare che non sia gentile; ma quel che più stimo in lei, è
la sincerità. Oh, quella sincerità è pure la
bella cosa! Perché non posso io vedere le donne? Perché
sono finte, bugiarde, lusinghiere. Ma quella bella sincerità...
SCENA TERZA
Il servitore e detto.
Servitore:
Ringrazia V.S. illustrissima della bontà che ha
d'aggradire le sue debolezze.
Cavaliere: Bravo,
signor cerimoniere, bravo.
Servitore: Ora sta
facendo colle sue mani un altro piatto; non so dire che cosa
sia.
Cavaliere: Sta facendo?
Servitore: Sì
signore.
Cavaliere: Dammi da bere.
Servitore:
La servo. (Va a prendere da bere.)
Cavaliere:
Orsù, con costei bisognerà corrispondere con
generosità. È troppo compita; bisogna pagare il doppio.
Trattarla bene, ma andar via presto.
(Il Servitore
gli presenta da bere.)
Cavaliere: Il Conte è
andato a pranzo? (Beve.)
Servitore: Illustrissimo
sì, in questo momento. Oggi fa trattamento. Ha due dame a
tavola con lui.
Cavaliere: Due dame? Chi
sono?
Servitore: Sono arrivate a questa locanda
poche ore sono. Non so chi sieno.
Cavaliere: Le
conosceva il Conte?
Servitore: Credo di no; ma
appena le ha vedute, le ha invitate a pranzo seco.
Cavaliere:
Che debolezza! Appena vede due donne, subito si attacca. Ed
esse accettano. E sa il cielo chi sono; ma sieno quali esser
vogliono, sono donne, e tanto basta. Il Conte si rovinerà
certamente. Dimmi: il Marchese è a tavola?
Servitore:
È uscito di casa, e non si è ancora
veduto.
Cavaliere: In tavola. (Fa mutare il
tondo.)
Servitore: La servo.
Cavaliere:
A tavola con due dame! Oh che bella compagnia! Colle loro
smorfie mi farebbero passar l'appetito.
SCENA QUARTA
Mirandolina con un tondo in mano, ed il Servitore, e detto.
Mirandolina:
È permesso?
Cavaliere: Chi è
di là?
Servitore: Comandi.
Cavaliere:
Leva là quel tondo di mano.
Mirandolina:
Perdoni. Lasci ch'io abbia l'onore di metterlo in tavola
colle mie mani. (Mette in tavola la vivanda.)
Cavaliere:
Questo non è offizio vostro.
Mirandolina: Oh
signore, chi son io? Una qualche signora? Sono una serva di chi
favorisce venire alla mia locanda.
Cavaliere: (Che
umiltà!). (Da sé.)
Mirandolina: In
verità, non avrei difficoltà di servire in tavola
tutti, ma non lo faccio per certi riguardi: non so s'ella mi capisca.
Da lei vengo senza scrupoli, con franchezza.
Cavaliere: Vi
ringrazio. Che vivanda è questa?
Mirandolina: Egli
è un intingoletto fatto colle mie mani.
Cavaliere:
Sarà buono. Quando lo avete fatto voi, sarà
buono.
Mirandolina: Oh! troppa bontà,
signore. Io non so far niente di bene; ma bramerei saper fare, per
dar nel genio ad un Cavalier sì compìto.
Cavaliere:
(Domani a Livorno). (Da sé.) Se avete che fare,
non istate a disagio per me.
Mirandolina: Niente,
signore: la casa è ben provveduta di cuochi e servitori. Avrei
piacere di sentire, se quel piatto le dà nel genio.
Cavaliere:
Volentieri, subito. (Lo assaggia.) Buono, prezioso. Oh
che sapore! Non conosco che cosa sia.
Mirandolina: Eh,
io, signore, ho de' secreti particolari. Queste mani sanno far delle
belle cose!
Cavaliere: Dammi da bere. (Al
Servitore, con qualche passione.)
Mirandolina: Dietro
questo piatto, signore, bisogna beverlo buono.
Cavaliere:
Dammi del vino di Borgogna. (Al Servitore.)
Mirandolina:
Bravissimo. Il vino di Borgogna è prezioso. Secondo
me, per pasteggiare è il miglior vino che si possa bere.
(Il
Servitore presenta la bottiglia in tavola, con un
bicchiere.)
Cavaliere: Voi siete di buon gusto
in tutto.
Mirandolina: In verità, che poche
volte m'inganno.
Cavaliere: Eppure questa volta voi
v'ingannate.
Mirandolina: In che,
signore?
Cavaliere: In credere ch'io meriti d'essere
da voi distinto.
Mirandolina: Eh, signor
Cavaliere... (Sospirando.)
Cavaliere: Che
cosa c'è? Che cosa sono questi sospiri?
(Alterato.)
Mirandolina: Le dirò:
delle attenzioni ne uso a tutti, e mi rattristo quando penso che non
vi sono che ingrati.
Cavaliere: Io non vi sarò
ingrato. (Con placidezza.)
Mirandolina: Con
lei non pretendo di acquistar merito, facendo unicamente il mio
dovere.
Cavaliere: No, no, conosco benissimo... Non
sono cotanto rozzo quanto voi mi credete. Di me non avrete a dolervi.
(Versa il vino nel bicchiere.)
Mirandolina: Ma...
signore... io non l'intendo.
Cavaliere: Alla vostra
salute. (Beve.)
Mirandolina: Obbligatissima;
mi onora troppo.
Cavaliere: Questo vino è
prezioso.
Mirandolina: Il Borgogna è la mia
passione.
Cavaliere: Se volete, siete padrona. (Le
offerisce il vino.)
Mirandolina: Oh! Grazie,
signore.
Cavaliere: Avete pranzato?
Mirandolina:
Illustrissimo sì.
Cavaliere: Ne
volete un bicchierino?
Mirandolina: Io non merito
queste grazie.
Cavaliere: Davvero, ve lo do
volentieri.
Mirandolina: Non so che dire. Riceverò
le sue finezze.
Cavaliere: Porta un bicchiere. (Al
Servitore.)
Mirandolina: No, no, se mi permette:
prenderò questo. (Prende il bicchiere del
Cavaliere.)
Cavaliere: Oibò. Me ne sono
servito io.
Mirandolina: Beverò le sue
bellezze. (Ridendo.)
(Il Servitore mette
l'altro bicchiere nella sottocoppa.)
Cavaliere: Eh
galeotta! (Versa il vino.)
Mirandolina: Ma è
qualche tempo che ho mangiato: ho timore che mi faccia
male.
Cavaliere: Non vi è
pericolo.
Mirandolina: Se mi favorisse un bocconcino
di pane...
Cavaliere: Volentieri. Tenete. (Le dà
un pezzo di pane.)
(Mirandolina col bicchiere
in una mano, e nell'altra il pane, mostra di stare a disagio, e non
saper come fare la zuppa.)
Cavaliere: Voi state
in disagio. Volete sedere?
Mirandolina: Oh! Non son
degna di tanto, signore.
Cavaliere: Via, via, siamo
soli. Portale una sedia. (Al Servitore.)
Servitore:
(Il mio padrone vuol morire: non ha mai fatto altrettanto.)
(Da sé; va a prendere la sedia.)
Mirandolina:
Se lo sapessero il signor Conte ed il signor Marchese, povera
me!
Cavaliere: Perché?
Mirandolina:
Cento volte mi hanno voluto obbligare a bere qualche cosa, o
a mangiare, e non ho mai voluto farlo.
Cavaliere: Via,
accomodatevi.
Mirandolina: Per obbedirla. (Siede,
e fa la zuppa nel vino.)
Cavaliere: Senti. (Al
Servitore, piano.) (Non lo dire a nessuno, che la padrona sia
stata a sedere alla mia tavola).
Servitore: (Non
dubiti). (Piano.) (Questa novità mi sorprende). (Da
sé.)
Mirandolina: Alla salute di tutto
quello che dà piacere al signor Cavaliere.
Cavaliere:
Vi ringrazio, padroncina garbata.
Mirandolina: Di
questo brindisi alle donne non ne tocca.
Cavaliere: No?
Perché?
Mirandolina: Perché so che le
donne non le può vedere.
Cavaliere: È
vero, non le ho mai potute vedere.
Mirandolina: Si
conservi sempre così.
Cavaliere: Non
vorrei... (Si guarda dal Servitore.)
Mirandolina: Che
cosa, signore?
Cavaliere: Sentite. (Le parla
nell'orecchio.) (Non vorrei che voi mi faceste mutar
natura).
Mirandolina: Io, signore? Come?
Cavaliere:
Va via. (Al Servitore.)
Servitore: Comanda
in tavola?
Cavaliere: Fammi cucinare due uova, e
quando son cotte, portale.
Servitore: Coma le
comanda le uova?
Cavaliere: Come vuoi,
spicciati.
Servitore: Ho inteso. (Il padrone si va
riscaldando). (Da sé, parte.)
Cavaliere:
Mirandolina, voi siete una garbata giovine.
Mirandolina:
Oh signore, mi burla
Cavaliere: Sentite.
Voglio dirvi una cosa vera, verissima, che ritornerà in vostra
gloria.
Mirandolina: La sentirò
volentieri.
Cavaliere: Voi siete la prima donna di
questo mondo, con cui ho avuto la sofferenza di trattar con
piacere.
Mirandolina: Le dirò, signor
Cavaliere non già ch'io meriti niente, ma alle
volte si danno questi sangui che s'incontrano. Questa simpatia,
questo genio, si dà anche fra persone che non si conoscono.
Anch'io provo per lei quello che non ho sentito per alcun
altro.
Cavaliere: Ho paura che voi mi vogliate far
perdere la mia quiete.
Mirandolina: Oh via, signor
Cavaliere, se è un uomo savio, operi da suo pari. Non dia
nelle debolezze degli altri. In verità, se me n'accorgo, qui
non ci vengo più. Anch'io mi sento un non so che di dentro,
che non ho più sentito; ma non voglio impazzire per uomini, e
molto meno per uno che ha in odio le donne; e che forse forse per
provarmi, e poi burlarsi di me, viene ora con un discorso nuovo a
tentarmi. Signor Cavaliere, mi favorisca un altro poco di
Borgogna.
Cavaliere: Eh! Basta... (Versa il vino
in un bicchiere.)
Mirandolina: (Sta lì lì
per cadere). (Da sé.)
Cavaliere: Tenete.
(Le dà il bicchiere col vino.)
Mirandolina:
Obbligatissima. Ma ella non beve?
Cavaliere: Sì,
beverò. (Sarebbe meglio che io mi ubbriacassi. Un diavolo
scaccerebbe l'altro). (Da sé, versa il vino nel suo
bicchiere.)
Mirandolina: Signor Cavaliere. (Con
vezzo.)
Cavaliere: Che c'è?
Mirandolina:
Tocchi. (Gli fa toccare il bicchiere col suo.) Che
vivano i buoni amici.
Cavaliere: Che vivano. (Un
poco languente.)
Mirandolina: Viva... chi si
vuol bene... senza malizia tocchi!
Cavaliere: Evviva...
SCENA QUINTA
Il Marchese e detti.
Marchese:
Son qui ancor io. E che viva?
Cavaliere: Come,
signor Marchese? (Alterato.)
Marchese: Compatite,
amico. Ho chiamato. Non c'è nessuno.
Mirandolina: Con
sua licenza... (Vuol andar via.)
Cavaliere:
Fermatevi. (A Mirandolina.) Io non mi prendo con voi
cotanta libertà. (Al Marchese.)
Marchese: Vi
domando scusa. Siamo amici. Credeva che foste solo. Mi rallegro
vedervi accanto alla nostra adorabile padroncina. Ah! Che dite? Non è
un capo d'opera?
Mirandolina: Signore, io ero qui
per servire il signor Cavaliere. Mi è venuto un poco di male,
ed egli mi ha soccorso con un bicchierin di Borgogna.
Marchese:
È Borgogna quello? (Al Cavaliere.)
Cavaliere:
Sì, è Borgogna.
Marchese: Ma
di quel vero?
Cavaliere: Almeno l'ho pagato per
tale.
Marchese: Io me n'intendo. Lasciate che lo
senta, e vi saprò dire se è, o se non è.
Cavaliere:
Ehi! (Chiama.)
SCENA SESTA
Il Servitore colle ova, e detti.
Cavaliere:
Un bicchierino al Marchese. (Al Servitore.)
Marchese:
Non tanto piccolo il bicchierino. Il Borgogna non è
liquore. Per giudicarne bisogna beverne a sufficienza.
Servitore:
Ecco le ova. (Vuol metterle in tavola.)
Cavaliere:
Non voglio altro.
Marchese: Che vivanda è
quella?
Cavaliere: Ova.
Marchese: Non
mi piacciono. (Il Servitore le porta via.)
Mirandolina:
Signor Marchese, con licenza del signor Cavaliere, senta
quell'intingoletto fatto colle mie mani.
Marchese: Oh
sì. Ehi. Una sedia. (Il Servitore gli reca una sedia e
mette il bicchiere sulla sottocoppa.) Una forchetta.
Cavaliere:
Via, recagli una posata. (Il Servitore la va a
prendere.)
Mirandolina: Signor Cavaliere, ora
sto meglio. Me n'anderò. (S'alza.)
Marchese:
Fatemi il piacere, restate ancora un poco.
Mirandolina:
Ma signore, ho da attendere a' fatti miei; e poi il signor
Cavaliere...
Marchese: Vi contentate ch'ella resti
ancora un poco? (Al Cavaliere.)
Cavaliere: Che
volete da lei?
Marchese: Voglio farvi sentire un
bicchierino di vin di Cipro che, da che siete al mondo, non avrete
sentito il compagno. E ho piacere che Mirandolina lo senta, e dica il
suo parere.
Cavaliere: Via, per compiacere il signor
Marchese, restate. (A Mirandolina.)
Mirandolina: Il
signor Marchese mi dispenserà.
Marchese: Non
volete sentirlo?
Mirandolina: Un'altra volta,
Eccellenza.
Cavaliere: Via, restate.
Mirandolina:
Me lo comanda? (Al Cavaliere.)
Cavaliere: Vi
dico che restiate.
Mirandolina: Obbedisco.
(Siede.)
Cavaliere: (Mi obbliga sempre più).
(Da sé.)
Marchese: Oh che roba! Oh che
intingolo! Oh che odore! Oh che sapore! (Mangiando.)
Cavaliere:
(Il Marchese avrà gelosia, che siate vicina a me).
(Piano a Mirandolina.)
Mirandolina: (Non
m'importa di lui né poco, né molto). (Piano al
Cavaliere.)
Cavaliere: (Siete anche voi nemica
degli uomini?). (Piano a Mirandolina.)
Mirandolina:
(Come ella lo è delle donne). (Come
sopra.)
Cavaliere: (Queste mie nemiche si vanno
vendicando di me). (Come sopra.)
Mirandolina: (Come,
signore?). (Come sopra.)
Cavaliere: (Eh!
furba! Voi vedrete benissimo...). (Come sopra.)
Marchese:
Amico, alla vostra salute. (Beve il vino di
Borgogna.)
Cavaliere: Ebbene? Come vi
pare?
Marchese: Con vostra buona grazia, non val
niente. Sentite il mio vin di Cipro.
Cavaliere: Ma
dov'è questo vino di Cipro?
Marchese: L'ho
qui, l'ho portato con me, voglio che ce lo godiamo: ma! è di
quello. Eccolo. (Tira fuori una bottiglia assai
piccola.)
Mirandolina: Per quel che vedo, signor
Marchese, non vuole che il suo vino ci vada alla testa.
Marchese:
Questo? Si beve a gocce, come lo spirito di melissa. Ehi? Li
bicchierini. (Apre la bottiglia.)
Servitore:
(porta de' bicchierini da vino di Cipro.)
Marchese:
Eh, son troppo grandi. Non ne avete di più piccoli?
(Copre la bottiglia colla mano.)
Cavaliere: Porta
quei da rosolio. (Al Servitore.)
Mirandolina: Io
credo che basterebbe odorarlo.
Marchese: Uh caro! Ha
un odor che consola. (Lo annusa.)
Servitore:
(porta tre bicchierini sulla sottocoppa.)
Marchese:
(versa pian piano, e non empie li bicchierini, poi lo
dispensa al Cavaliere, a Mirandolina, e l'altro per sé,
turando bene la bottiglia): Che nettare! Che ambrosia! Che manna
distillata! (Bevendo.)
Cavaliere: (Che vi
pare di questa porcheria?). (A Mirandolina, piano.)
Mirandolina:
(Lavature di fiaschi). (Al Cavaliere, piano.)
Marchese:
Ah! Che dite? (Al Cavaliere.)
Cavaliere:
Buono, prezioso.
Marchese: Ah! Mirandolina,
vi piace?
Mirandolina: Per me, signore, non posso
dissimulare; non mi piace, lo trovo cattivo, e non posso dir che sia
buono. Lodo chi sa fingere. Ma chi sa fingere in una cosa, saprà
fingere nell'altre ancora.
Cavaliere: (Costei mi dà
un rimprovero; non capisco il perché). (Da sé.)
Marchese:
Mirandolina, voi di questa sorta di vini non ve ne intendete.
Vi compatisco. Veramente il fazzoletto che vi ho donato, l'avete
conosciuto e vi è piaciuto, ma il vin di Cipro non lo
conoscete. (Finisce di bere.)
Mirandolina: (Sente
come si vanta?). (Al Cavaliere, piano.)
Cavaliere:
(Io non farei così). (A Mirandolina,
piano.)
Mirandolina: (Il di lei vanto sta nel
disprezzare le donne). (Come sopra.)
Cavaliere: (E
il vostro nel vincere tutti gli uomini). (Come
sopra.)
Mirandolina: (Tutti no). (Con vezzo,
al Cavaliere, piano.)
Cavaliere: (Tutti sì.)
(Con qualche passione, piano a Mirandolina.)
Marchese:
Ehi? Tre bicchierini politi. (Al Servitore, il quale
glieli porta sopra una sottocoppa.)
Mirandolina: Per
me non ne voglio più.
Marchese: No, no, non
dubitate: non faccio per voi. (Mette del vino di Cipro nei tre
bicchieri.) Galantuomo, con licenza del vostro padrone, andate
dal Conte d'Albafiorita, e ditegli per parte mia, forte, che tutti
sentano, che lo prego di assaggiare un poco del mio vino di
Cipro.
Servitore: Sarà servito. (Questo non
li ubbriaca certo. (Da sé; parte.)
Cavaliere:
Marchese, voi siete assai generoso.
Marchese: Io?
Domandatelo a Mirandolina.
Mirandolina: Oh
certamente!
Marchese: L'ha veduto il fazzoletto il
Cavaliere? (A Mirandolina.)
Mirandolina: Non
lo ha ancora veduto.
Marchese: Lo vedrete. (Al
Cavaliere.) Questo poco di balsamo me lo salvo per questa sera.
(Ripone la bottiglia con un dito di vino avanzato.)
Mirandolina:
Badi che non gli faccia male, signor Marchese.
Marchese:
Eh! Sapete che cosa mi fa male? (A
Mirandolina.)
Mirandolina: Che cosa?
Marchese:
I vostri begli ochhi.
Mirandolina:
Davvero?
Marchese: Cavaliere mio, io sono
innamorato di costei perdutamente.
Cavaliere: Me ne
dispiace.
Marchese: Voi non avete mai provato amore
per le donne. Oh, se lo provaste, compatireste ancora me.
Cavaliere:
Sì, vi compatisco.
Marchese: E son
geloso come una bestia. La lascio stare vicino a voi, perché
so chi siete; per altro non lo soffrirei per centomila
doppie.
Cavaliere: (Costui principia a seccarmi).
(Da sé.)
SCENA SETTIMA
Il Servitore con una bottiglia sulla sottocoppa, e detti.
Servitore:
Il signor Conte ringrazia V.E., e manda una bottiglia di vino
di Canarie. (Al Marchese.)
Marchese: Oh, oh,
vorrà mettere il suo vin di Canarie col mio vino di Cipro?
Lascia vedere. Povero pazzo! È una porcheria, lo conosco
all'odore. (S'alza e tiene la bottiglia in mano.)
Cavaliere:
Assaggiatelo prima. (Al Marchese.)
Marchese:
Non voglio assaggiar niente. Questa è una impertinenza
che mi fa il Conte, compagna di tante altre. Vuol sempre starmi al di
sopra. Vuol soverchiarmi, vuol provocarmi, per farmi far delle
bestialità. Ma giuro al cielo, ne farò una che varrà
per cento. Mirandolina, se non lo cacciate via, nasceranno delle cose
grandi, sì, nasceranno delle cose grandi. Colui è un
temerario. Io son chi sono, e non voglio soffrire simile affronti.
(Parte, e porta via la bottiglia.)
SCENA OTTAVA
Il Cavaliere, Mirandolina ed il Servitore.
Cavaliere:
Il povero Marchese è pazzo.
Mirandolina: Se
a caso mai la bile gli facesse male, ha portato via la bottiglia per
ristorarsi.
Cavaliere: È pazzo, vi dico. E
voi lo avete fatto impazzire.
Mirandolina: Sono di
quelle che fanno impazzare gli uomini?
Cavaliere: Sì,
voi siete... (Con affanno.)
Mirandolina: Signor
Cavaliere, con sua licenza. (S'alza.)
Cavaliere:
Fermatevi.
Mirandolina: Perdoni; io non
faccio impazzare nessuno. (Andando.)
Cavaliere:
Ascoltatemi. (S'alza, ma resta alla tavola.)
Mirandolina:
Scusi. (Andando.)
Cavaliere: Fermatevi,
vi dico. (Con imperio.)
Mirandolina: Che
pretende da me? (Con alterezza voltandosi.)
Cavaliere:
Nulla. (Si confonde.) Beviamo un altro bicchiere di
Borgogna.
Mirandolina: Via signore, presto, presto,
che me ne vada.
Cavaliere: Sedete.
Mirandolina:
In piedi, in piedi.
Cavaliere: Tenete. (Con
dolcezza le dà il bicchiere.)
Mirandolina: Faccio
un brindisi, e me ne vado subito. Un brindisi che mi ha insegnato mia
nonna.
Viva
Bacco, e viva Amore:
L'uno e l'altro ci consola;
Uno
passa per la gola,
L'altro va dagli occhi al
cuore.
Bevo il vin, cogli occhi poi...
Faccio
quel che fate voi.
(Parte.)
SCENA NONA
Il Cavaliere, ed il Servitore.
Cavaliere:
Bravissima, venite qui: sentite. Ah malandrina! Se nè
fuggita. Se n'è fuggita, e mi ha lasciato cento diavoli che mi
tormentano.
Servitore: Comanda le frutta in tavola?
(Al Cavaliere.)
Cavaliere: Va al diavolo
ancor tu. (Il Servitore parte.) Bevo il vin, cogli occhi
poi, faccio quel che fate voi? Che brindisi misterioso è
questo? Ah maladetta, ti conosco. Mi vuoi abbattere, mi vuoi
assassinare. Ma lo fa con tanta grazia! Ma sa così bene
insinuarsi... Diavolo, diavolo, me la farai tu vedere? No, anderò
a Livorno. Costei non la voglio più rivedere. Che non mi venga
più tra i piedi. Maledettissime donne! Dove vi sono donne, lo
giuro non vi anderò mai più. (Parte.)
SCENA DECIMA
Camera
del Conte.
Il Conte d'Albafiorita, Ortensia e Dejanira.
Conte:
Il Marchese di Forlipopoli è un carattere
curiosissimo. È nato nobile, non si può negare; ma fra
suo padre e lui hanno dissipato, ed ora non ha appena da vivere.
Tuttavolta gli piace fare il grazioso.
Ortensia: : Si
vede che vorrebbe essere generoso, ma non ne ha.
Dejanira:
Dona quel poco che può, e vuole che tutto il mondo lo
sappia.
Conte: Questo sarebbe un bel carattere per
una delle vostre commedie.
Ortensia: : Aspetti che
arrivi la compagnia, e che si vada in teatro, e può darsi che
ce lo godiamo.
Dejanira: Abbiamo noi dei personaggi,
che per imitare i caratteri sono fatti a posta.
Conte: Ma
se volete che ce lo godiamo, bisogna che con lui seguitiate a
fingervi dame.
Ortensia: : Io lo farò certo.
Ma Dejanira subito dà di bianco.
Dejanira: Mi
vien da ridere, quando i gonzi mi credono una signora.
Conte:
Con me avete fatto bene a scoprirvi. In questa maniera mi
date campo di far qualche cosa in vostro vantaggio.
Ortensia:
: Il signor Conte sarà il nostro protettore.
Dejanira:
Siamo amiche, goderemo unitamente le di lei grazie.
Conte:
Vi dirò, vi parlerò con sincerità. Vi
servirò, dove potrò farlo, ma ho un certo impegno, che
non mi permetterà frequentare la vostra casa.
Ortensia:
: Ha qualche amoretto, signor Conte?
Conte: Sì,
ve lo dirò in confidenza. La padrona della locanda.
Ortensia:
: Capperi! Veramente una gran signora! Mi meraviglio di lei,
signor Conte, che si perda con una locandiera!
Dejanira:
Sarebbe minor male, che si compiacesse d'impiegare le sue
finezze per una comica.
Conte: Il far all'amore con
voi altre, per dirvela, mi piace poco. Ora ci siete, ora non ci
siete.
Ortensia: : Non è meglio così,
signore? In questa maniera non si eternano le amicizie, e gli uomini
non si rovinano.
Conte: Ma io, tant'è, sono
impegnato; le voglio bene, e non la vo' disgustare.
Dejanira:
Ma che cosa ha di buono costei?
Conte: Oh!
Ha del buono assai.
Ortensia: : Ehi, Dejanira. È
bella, rossa. (Fa cenno che si belletta.)
Conte: Ha
un grande spirito.
Dejanira: Oh, in materia di
spirito, la vorreste mettere con noi?
Conte: Ora
basta. Sia come esser si voglia; Mirandolina mi piace, e se volete la
mia amicizia, avete a dirne bene, altrimenti fate conto di non avermi
mai conosciuto.
Ortensia: : Oh signor Conte, per me
dico che Mirandolina è una dea Venere.
Dejanira: Sì,
sì, vero. Ha dello spirito, parla bene.
Conte: Ora
mi date gusto.
Ortensia: : Quando non vuol altro,
sarà servito.
Conte: Oh! Avete veduto quello
ch'è passato per sala? (Osservando dentro la
scena.)
Ortensia: : L'ho veduto.
Conte:
Quello è un altro bel carattere da commedia.
Ortensia:
: È uno che non può vedere le donne.
Dejanira:
Oh che pazzo!
Ortensia: : Avrà
qualche brutta memoria di qualche donna.
Conte: Oibò;
non è mai stato innamorato. Non ha mai voluto trattar con
donne. Le sprezza tutte, e basta dire che egli disprezza ancora
Mirandolina.
Ortensia: : Poverino! Se mi ci mettessi
attorno io, scommetto lo farei cambiare opinione.
Dejanira:
Veramente una gran cosa! Questa è un'impresa che la
vorrei pigliare sopra di me.
Conte: Sentite, amiche.
Così per puro divertimento. Se vi dà l'anima
d'innamorarlo, da cavaliere vi faccio un bel regalo.
Ortensia:
: Io non intendo essere ricompensata per questo: lo farò
per mio spasso.
Dejanira: Se il signor Conte vuol
usarci qualche finezza, non l'ha da fare per questo. Sinché
arrivano i nostri compagni, ci divertiremo un poco.
Conte:
Dubito che non farete niente.
Ortensia: : Signor
Conte, ha ben poca stima di noi.
Dejanira: Non siamo
vezzose come Mirandolina; ma finalmente sappiamo qualche poco il
viver del mondo.
Conte: Volete che lo mandiamo a
chiamare?
Ortensia: : Faccia come vuole.
Conte:
Ehi? Chi è di là?
SCENA UNDICESIMA
Il Servitore del Conte, e detti.
Conte:
Di' al Cavaliere di Ripafratta, che favorisca venir da me,
che mi preme di parlargli. (Al Servitore.)
Servitore:
Nella sua camera so che non c'è.
Conte: L'ho
veduto andar verso la cucina. Lo troverai.
Servitore:
Subito. (Parte.)
Conte: (Che mai è
andato a far verso la cucina? Scommetto che è andato a
strapazzare Mirandolina, perché gli ha dato mal da mangiare).
(Da sé.)
Ortensia: : Signor Conte, io
aveva pregato il signor Marchese che mi mandasse il suo calzolaro, ma
ho paura di non vederlo.
Conte: Non pensate altro.
Vi servirò io.
Dejanira: A me aveva il signor
Marchese promesso un fazzoletto. Ma! ora me lo porta!
Conte:
De' fazzoletti ne troveremo.
Dejanira: Egli
è che ne avevo proprio di bisogno.
Conte: Se
questo vi gradisce, siete padrona. È pulito. (Le offre il
suo di seta.)
Dejanira: Obbligatissima alle sue
finezze.
Conte: Oh! Ecco il Cavaliere. Sarà
meglio che sostenghiate il carattere di dame, per poterlo meglio
obbligare ad ascoltarvi per civiltà. Ritiratevi un poco
indietro; che, se vi vede, fugge.
Ortensia: : Come
si chiama?
Conte: Il Cavaliere di Ripafratta,
toscano.
Dejanira: Ha moglie?
Conte: Non
può vedere le donne.
Ortensia: : È
ricco? (Ritirandosi.)
Conte: Sì,
Molto.
Dejanira: È generoso?
(Ritirandosi.)
Conte: Piuttosto.
Dejanira:
Venga, venga. (Si ritira.)
Ortensia: : Tempo,
e non dubiti. (Si ritira.)
SCENA DODICESIMA
Il Cavaliere e detti.
Cavaliere:
Conte, siete voi che mi volete?
Conte: Sì;
io v'ho dato il presente incomodo.
Cavaliere: Che
cosa posso fare per servirvi?
Conte: Queste due dame
hanno bisogno di voi. (Gli addita le due donne, le quali subito
s'avanzano.)
Cavaliere: Disimpegnatemi. Io non
ho tempo di trattenermi.
Ortensia: : Signor
Cavaliere, non intendo di recargli incomodo.
Dejanira: Una
parola in grazia, signor Cavaliere.
Cavaliere: Signore
mie, vi supplico perdonarmi. Ho un affar di premura.
Ortensia:
: In due parole vi sbrighiamo.
Dejanira: Due
paroline, e non più, signore.
Cavaliere:
(Maledettissimo Conte!). (Da sé.)
Conte:
Caro amico, due dame che pregano, vuole la civiltà che
si ascoltino.
Cavaliere: Perdonate. In che vi posso
servire? (Alle donne, con serietà.)
Ortensia:
: Non siete voi toscano, signore?
Cavaliere: Sì,
signora.
Dejanira: Avrete degli amici in
Firenze?
Cavaliere: Ho degli amici, e ho de'
parenti.
Dejanira: Sappiate, signore... Amica,
principiate a dir voi. (Ad Ortensia.)
Ortensia: :
Dirò, signor Cavaliere... Sappia che un certo
caso...
Cavaliere: Via, signore, vi supplico. Ho un
affar di premura.
Conte: Orsù, capisco che la
mia presenza vi dà soggezione. Confidatevi con libertà
al Cavaliere, ch'io vi levo l'incomodo. (Partendo.)
Cavaliere:
No, amico, restate... Sentite.
Conte: So il
mio dovere. Servo di lor signore. (Parte.)
SCENA TREDICESIMA
Ortensia, Dejanira ed il Cavaliere.
Ortensia:
: Favorisca, sediamo.
Cavaliere: Scusi, non
ho volontà di sedere.
Dejanira: Così
rustico colle donne?
Cavaliere: Favoriscano dirmi
che cosa vogliono.
Ortensia: : Abbiamo bisogno del
vostro aiuto, della vostra protezione, della vostra bontà.
Cavaliere:
Che cosa vi è accaduto?
Dejanira: I
nostri mariti ci hanno abbandonate.
Cavaliere: Abbandonate?
Come! Due dame abbandonate? Chi sono i vostri mariti? (Con
alterezza.)
Dejanira: Amica, non vado avanti
sicuro. (Ad Ortensia.)
Ortensia: : (È
tanto indiavolato, che or ora mi confondo ancor io). (Da
sé.)
Cavaliere: Signore, vi riverisco.
(In atto di partire.)
Ortensia: : Come! Così
ci trattate?
Dejanira: Un cavaliere tratta
così?
Cavaliere: Perdonatemi. Io son uno che
ama assai la mia pace. Sento due dame abbandonate dai loro mariti.
Qui ci saranno degl'impegni non pochi; io non sono atto a' maneggi.
Vivo a me stesso. Dame riveritissime, da me non potete sperare né
consiglio, né aiuto.
Ortensia: : Oh via,
dunque; non lo tenghiamo più in soggezione il nostro
amabilissimo Cavaliere.
Dejanira: Sì,
parliamogli con sincerità.
Cavaliere: Che
nuovo linguaggio è questo?
Ortensia: : Noi
non siamo dame.
Cavaliere: No?
Dejanira: Il
signor Conte ha voluto farvi uno scherzo.
Cavaliere: Lo
scherzo è fatto. Vi riverisco. (Vuol partire.)
Ortensia:
: Fermatevi un momento.
Cavaliere: Che cosa
volete?
Dejanira: Degnateci per un momento della
vostra amabile conversazione.
Cavaliere: Ho che
fare. Non posso trattenermi.
Ortensia: : Non vi
vogliamo già mangiar niente.
Dejanira: Non vi
leveremo la vostra reputazione.
Ortensia: : Sappiamo
che non potete vedere le donne.
Cavaliere: Se lo
sapete, l'ho caro. Vi riverisco. (Vuol partire.)
Ortensia:
: Ma sentite: noi non siamo donne che possano darvi
ombra.
Cavaliere: Chi siete?
Ortensia: :
Diteglielo voi, Dejanira.
Dejanira: Glielo
potete dire anche voi.
Cavaliere: Via, chi
siete?
Ortensia: : Siamo due commedianti.
Cavaliere:
Due commedianti! Parlate, parlate, che non ho più
paura di voi. Son ben prevenuto in favore dell'arte vostra.
Ortensia:
: Che vuol dire? Spiegatevi.
Cavaliere: So
che fingete in iscena e fuor di scena; e con tal prevenzione non ho
paura di voi.
Dejanira: Signore, fuori di scena io
non so fingere.
Cavaliere: Come si chiama ella? La
signora Sincera? (A Dejanira.)
Dejanira: Io
mi chiamo...
Cavaliere: È ella la signora
Buonalana? (Ad Ortensia.)
Ortensia: : Caro
signor Cavaliere...
Cavaliere: Come si diletta di
miccheggiare? (Ad Ortensia.)
Ortensia: : Io
non sono...
Cavaliere: I gonzi come li tratta,
padrona mia? (A Dejanira.)
Dejanira: Non son
di quelle...
Cavaliere: Anch'io so parlar in
gergo.
Ortensia: : Oh che caro signor Cavaliere!
(Vuol prenderlo per un braccio.)
Cavaliere: Basse
le cere. (Dandole nelle mani.)
Ortensia: : Diamine!
Ha più del contrasto, che del Cavaliere.
Cavaliere:
Contrasto vuol dire contadino. Vi ho capito. E vi dirò
che siete due impertinenti.
Dejanira: A me
questo?
Ortensia: : A una donna della mia
sorte?
Cavaliere: Bello quel viso trionfato! (Ad
Ortensia.)
Ortensia: : (Asino!).
(Parte.)
Cavaliere: Bello quel tuppè
finto! (A Dejanira.)
Dejanira: (Maledetto).
(Parte.)
SCENA QUATTORDICESIMA
Il Cavaliere, poi il di lui Servitore.
Cavaliere:
Ho trovata ben io la maniera di farle andare. Che si
pensavano? Di tirarmi nella rete? Povere sciocche! Vadano ora dal
Conte e gli narrino la bella scena. Se erano dame, per rispetto mi
conveniva fuggire; ma quando posso, le donne le strapazzo col maggior
piacere del mondo. Non ho però potuto strapazzar Mirandolina.
Ella mi ha vinto con tanta civiltà, che mi trovo obbligato
quasi ad amarla. Ma è donna; non me ne voglio fidare. Voglio
andar via. Domani anderò via. Ma se aspetto a domani? Se vengo
questa sera a dormir a casa, chi mi assicura che Mirandolina non
finisca a rovinarmi? (Pensa.) Sì; facciamo una
risoluzione da uomo.
Servitore: Signore.
Cavaliere:
Che cosa vuoi?
Servitore: Il signor Marchese
è nella di lei camera che l'aspetta, perché desidera di
parlargli.
Cavaliere: Che vuole codesto pazzo?
Denari non me ne cava più di sotto. Che aspetti, e quando sarà
stracco di aspettare, se n'anderà. Va dal cameriere della
locanda e digli che subito porti il mio conto.
Servitore:
Sarà obbedita. (In atto di partire.)
Cavaliere:
Senti. Fa che da qui a due ore siano pronti i
bauli.
Servitore: Vuol partire forse?
Cavaliere:
Sì, portami qui la spada ed il cappello, senza che se
n'accorga il Marchese.
Servitore: Ma se mi vede fare
i bauli?
Cavaliere: Dica ciò che vuole. M'hai
inteso.
Servitore: (Oh, quanto mi dispiace andar
via, per causa di Mirandolina!), (Da sé, parte.)
Cavaliere:
Eppure è vero. Io sento nel partir di qui una
dispiacenza nuova, che non ho mai provata. Tanto peggio per me, se vi
restassi. Tanto più presto mi conviene partire. Sì,
donne, sempre più dirò male di voi; sì, voi ci
fate del male, ancora quando ci volete fare del bene.
SCENA QUINDICESIMA
Fabrizio e detto.
Fabrizio:
È vero, signore, che vuole il conto?
Cavaliere:
Sì, l'avete portato?
Fabrizio: Adesso
la padrona lo fa.
Cavaliere: Ella fa i
conti?
Fabrizio: Oh, sempre ella. Anche quando
viveva suo padre. Scrive e sa far di conto meglio di qualche giovane
di negozio.
Cavaliere: (Che donna singolare è
costei!). (Da sé.)
Fabrizio: Ma vuol
ella andar via così presto?
Cavaliere: Sì,
così vogliono i miei affari.
Fabrizio: La
prego di ricordarsi del cameriere.
Cavaliere: Portate
il conto, e so quel che devo fare.
Fabrizio: Lo vuol
qui il conto?
Cavaliere: Lo voglio qui; in camera
per ora non ci vado.
Fabrizio: Fa bene; in camera
sua vi è quel seccatore del signor Marchese. Carino! Fa
l'innamorato della padrona; ma può leccarsi le dita.
Mirandolina deve esser mia moglie.
Cavaliere: Il
conto. (Alterato.)
Fabrizio: La servo subito.
(Parte.)
SCENA SEDICESIMA
CAVALIERE (solo): Tutti sono invaghiti di Mirandolina. Non è maraviglia, se ancor io principiava a sentirmi accendere. Ma anderò via; supererò questa incognita forza... Che vedo? Mirandolina? Che vuole da me? Ha un foglio in mano. Mi porterà il conto. Che cosa ho da fare? Convien soffrire quest'ultimo assalto. Già da qui a due ore io parto.
SCENA DICIASSETTESIMA
Mirandolina con un foglio in mano, e detto.
Mirandolina:
Signore. (Mestamente.)
Cavaliere: Che
c'è, Mirandolina?
Mirandolina: Perdoni.
(Stando indietro.)
Cavaliere: Venite
avanti.
Mirandolina: Ha domandato il suo conto; l'ho
servita. (Mestamente.)
Cavaliere: Date
qui.
Mirandolina: Eccolo. (Si asciuga gli occhi
col grembiale, nel dargli il conto.)
Cavaliere: Che
avete? Piangete?
Mirandolina: Niente, signore, mi è
andato del fumo negli occhi.
Cavaliere: Del fumo
negli occhi? Eh! basta... quanto importa il conto? (legge.)
Venti paoli? In quattro giorni un trattamento si generoso: venti
paoli?
Mirandolina: Quello è il suo
conto.
Cavaliere: E i due piatti particolari che mi
avete dato questa mattina, non ci sono nel conto?
Mirandolina:
Perdoni. Quel ch'io dono, non lo metto in conto.
Cavaliere:
Me li avete voi regalati?
Mirandolina: Perdoni
la libertà. Gradisca per un atto di... (Si copre, mostrando
di piangere.)
Cavaliere: Ma che
avete?
Mirandolina: Non so se sia il fumo, o qualche
flussione di occhi.
Cavaliere: Non vorrei che aveste
patito, cucinando per me quelle due preziose vivande.
Mirandolina:
Se fosse per questo, lo soffrirei... volentieri... (Mostra
trattenersi di piangere.)
Cavaliere: (Eh, se non
vado via!). (Da sé.) Orsù, tenete. Queste sono
due doppie. Godetele per amor mio... e compatitemi...
(S'imbroglia.)
Mirandolina (senza
parlare, cade come svenuta sopra una sedia.)
Cavaliere:
Mirandolina. Ahimè! Mirandolina. È svenuta. Che
fosse innamorata di me? Ma così presto? E perché no?
Non sono io innamorato di lei? Cara Mirandolina... Cara? Io cara ad
una donna? Ma se è svenuta per me. Oh, come tu sei bella!
Avessi qualche cosa per farla rinvenire. Io che non pratico donne,
non ho spiriti, non ho ampolle. Chi è di là? Vi è
nessuno? Presto?... Anderò io. Poverina! Che tu sia benedetta!
(Parte, e poi ritorna.)
Mirandolina: Ora poi
è caduto affatto. Molte sono le nostre armi, colle quali si
vincono gli uomini. Ma quando sono ostinati, il colpo di riserva
sicurissimo è uno svenimento. Torna, torna. (Si mette come
sopra.)
Cavaliere (torna con un vaso
d'acqua.): Eccomi, eccomi. E non è ancor rinvenuta. Ah,
certamente costei mi ama. (La spruzza, ed ella si va movendo.)
Animo, animo. Son qui cara. Non partirò più per ora.
SCENA DICIOTTESIMA
Il Servitore colla spada e cappello, e detti.
Servitore:
Ecco la spada ed il cappello. (Al Cavaliere.)
Cavaliere:
Va via. (Al Servitore, con ira.)
Servitore: I
bauli...
Cavaliere: Va via, che tu sia
maledetto.
Servitore: Mirandolina...
Cavaliere:
Va, che ti spacco la testa. (Lo minaccia col vaso; il
Servitore parte.) E non rinviene ancora? La fronte le suda. Via,
cara Mirandolina, fatevi coraggio, aprite gli occhi. Parlatemi con
libertà.
SCENA DICIANNOVESIMA
Il Marchese ed il Conte, e detti.
Marchese:
Cavaliere?
Conte: Amico?
Cavaliere:
(Oh maldetti!). (Va smaniando.)
Marchese:
Mirandolina.
Mirandolina: Oimè!
(S'alza.)
Marchese: Io l'ho fatta
rinvenire.
Conte: Mi rallegro, signor
Cavaliere.
Marchese: Bravo quel signore, che non può
vedere le donne.
Cavaliere: Che impertinenza?
Conte:
Siete caduto?
Cavaliere: Andate al diavolo
quanti siete. (Getta il vaso in terra, e lo rompe verso il Conte
ed il Marchese, e parte furiosamente.)
Conte: Il
Cavaliere è diventato pazzo. (Parte.)
Marchese:
Di questo affronto voglio soddisfazione.
(Parte.)
Mirandolina: L'impresa è
fatta. Il di lui cuore è in fuoco, in fiamme, in cenere.
Restami solo, per compiere la mia vittoria, che si renda pubblico il
mio trionfo, a scorno degli uomini presuntuosi, e ad onore del nostro
sesso.
(Parte.)
Atto III
SCENA PRIMA
Camera
di Mirandolina con tavolino e biancheria da stirare.
Mirandolina,
poi Fabrizio.
Mirandolina:
Orsù, l'ora del divertimento è passata. Voglio
ora badare a' fatti miei. Prima che questa biancheria si prosciughi
del tutto, voglio stirarla. Ehi, Fabrizio.
Fabrizio:
Signora.
Mirandolina: Fatemi un piacere.
Portatemi il ferro caldo.
Fabrizio: Signora sì.
(Con serietà, in atto di partire.)
Mirandolina:
Scusate, se do a voi questo disturbo.
Fabrizio:
Niente, signora. Finché io mangio il vostro pane, sono
obbligato a servirvi. (Vuol partire.)
Mirandolina:
Fermatevi; sentite: non siete obbligato a servirmi in queste
cose; ma so che per me lo fate volentieri ed io... basta, non dico
altro.
Fabrizio: Per me vi porterei l'acqua colle
orecchie. Ma vedo che tutto è gettato via.
Mirandolina:
Perché gettato via? Sono forse un'ingrata?
Fabrizio:
Voi non degnate i poveri uomini. Vi piace troppo la
nobiltà.
Mirandolina: Uh povero pazzo! Se vi
potessi dir tutto! Via, via andatemi a pigliar il ferro.
Fabrizio:
Ma se ho veduto io con questi miei occhi...
Mirandolina:
Andiamo, meno ciarle. Portatemi il ferro.
Fabrizio:
Vado, vado, vi servirò, ma per poco.
(Andando.)
Mirandolina: Con questi uomini,
più che loro si vuol bene, si fa peggio. (Mostrando parlar
da sé, ma per esser sentita.)
Fabrizio: Che
cosa avete detto? (Con tenerezza, tornando indietro.)
Mirandolina:
Via, mi portate questo ferro?
Fabrizio: Sì,
ve lo porto. (Non so niente. Ora la mi tira su, ora la mi butta giù.
Non so niente). (Da sé, parte.)
SCENA SECONDA
Mirandolina, poi il Servitore del Cavaliere.
Mirandolina:
Povero sciocco! Mi ha da servire a suo marcio dispetto. Mi
par di ridere a far che gli uomini facciano a modo mio. E quel caro
signor Cavaliere, ch'era tanto nemico delle donne? Ora, se volessi,
sarei padrona di fargli fare qualunque bestialità.
Servitore:
Signora Mirandolina.
Mirandolina: Che c'è,
amico?
Servitore: Il mio padrone la riverisce, e
manda a vedere come sta!
Mirandolina: Ditegli che
sto benissimo.
Servitore: Dice così, che beva
un poco di questo spirito di melissa, che le farà assai bene.
(Le dà una boccetta d'oro.)
Mirandolina: È
d'oro questa boccetta?
Servitore: Sì signora,
d'oro, lo so di sicuro.
Mirandolina: Perché
non mi ha dato lo spirito di melissa, quando mi è venuto
quell'orribile svenimento?
Servitore: Allora questa
boccetta egli non l'aveva.
Mirandolina: Ed ora come
l'ha avuta?
Servitore: Sentite. In confidenza. Mi ha
mandato ora a chiamar un orefice, l'ha comprata, e l'ha pagata dodici
zecchini; e poi mi ha mandato dallo speziale e comprar lo
spirito.
Mirandolina: Ah, ah,ah. (Ride.)
Servitore:
Ridete?
Mirandolina: Rido, perché mi
manda il medicamento, dopo che son guarita del male.
Servitore:
Sarà buono per un'altra volta.
Mirandolina:
Via, ne beverò un poco per preservativo. (Beve.)
Tenete, ringraziatelo. (Gli vuol dar la boccetta.)
Servitore:
Oh! la boccetta è vostra.
Mirandolina: Come
mia?
Servitore: Sì. Il padrone l'ha comprata
a posta.
Mirandolina: A posta per me?
Servitore:
Per voi; ma zitto.
Mirandolina: Portategli
la sua boccetta, e ditegli che lo ringrazio.
Servitore: Eh
via.
Mirandolina: Vi dico che gliela portiate, che
non la voglio.
Servitore: Gli volete fare
quest'affronto?
Mirandolina: Meno ciarle. Fate il
vostro dovere. Tenete.
Servitore: Non occorr'altro.
Gliela porterò. (Oh che donna! Ricusa dodici zecchini! Una
simile non l'ho più ritrovata, e durerò fatica a
trovarla). (Da sé, parte.)
SCENA TERZA
Mirandolina, poi Fabrizio.
Mirandolina:
Uh, è cotto, stracotto e biscottato! Ma siccome quel
che ho fatto con lui, non l'ho fatto per interesse, voglio ch'ei
confessi la forza delle donne, senza poter dire che sono interessate
e venali.
Fabrizio: Ecco qui il ferro. (Sostenuto,
col ferro da stirare in mano.)
Mirandolina: È
ben caldo?
Fabrizio: Signora sì, è
caldo; così foss'io abbruciato.
Mirandolina: Che
cosa vi è di nuovo?
Fabrizio: Questo signor
Cavaliere manda le ambasciate, manda i regali. Il Servitore me l'ha
detto.
Mirandolina: Signor sì, mi ha mandato
una boccettina d'oro, ed io gliel'ho rimandata indietro.
Fabrizio:
Gliel'avete rimandata indietro?
Mirandolina: Sì,
domandatelo al Servitore medesimo.
Fabrizio: Perché
gliel'avete rimandata indietro?
Mirandolina: Perché...
Fabrizio... non dica... Orsù, non parliamo altro.
Fabrizio:
Cara Mirandolina, compatitemi.
Mirandolina: Via,
andate, lasciatemi stirare.
Fabrizio: Io non
v'impedisco di fare...
Mirandolina: Andatemi a
preparare un altro ferro, e quando è caldo,
portatelo.
Fabrizio: Sì, vado. Credetemi, che
se parlo...
Mirandolina: Non dite altro. Mi fate
venire la rabbia.
Fabrizio: Sto cheto. (Ell'è
una testolina bizzarra, ma le voglio bene). (Da sé,
parte.)
Mirandolina: Anche questa è
buona. Mi faccio merito con Fabrizio d'aver ricusata la boccetta
d'oro del Cavaliere. Questo vuol dir saper vivere, saper fare, saper
profittare di tutto, con buona grazia, con pulizia, con un poco di
disinvoltura. In materia d'accortezza, non voglio che si dica ch'io
faccia torto al sesso. (Va stirando.)
SCENA QUARTA
Il Cavaliere e detta.
Cavaliere:
(Eccola. Non ci volevo venire, e il diavolo mi ci ha
strascinato!. (Da sé, indietro.)
Mirandolina:
(Eccolo, eccolo). (Lo vede colla coda dell'occhio, e
stira.)
Cavaliere: Mirandolina?
Mirandolina:
Oh signor Cavaliere! Serva umilissima. (Stirando.)
Cavaliere:
Come state?
Mirandolina: Benissimo, per
servirla. (Stirando senza guardarlo.)
Cavaliere: Ho
motivo di dolermi di voi.
Mirandolina: Perché,
signore? (Guardandolo un poco.)
Cavaliere: Perché
avete ricusato una piccola boccettina, che vi ho
mandato.
Mirandolina: Che voleva ch'io ne facessi?
(Stirando.)
Cavaliere: Servirvene nelle
occorrenze.
Mirandolina: Per grazia del cielo, non
sono soggetta agli svenimenti. Mi è accaduto oggi quello che
mi è accaduto mai più. (Stirando.)
Cavaliere:
Cara mirandolina... non vorrei esser io stato cagione di quel
funesto accidente.
Mirandolina: Eh sì, ho
timore che ella appunto ne sia stata la causa. (Stirando.)
Cavaliere:
Io? Davvero? (Con passione.)
Mirandolina: Mi
ha fatto bere quel maledetto vino di Borgogna, e mi ha fatto male.
(Stirando con rabbia.)
Cavaliere: Come?
Possibile? (Rimane mortificato.)
Mirandolina: È
così senz'altro. In camera sua non ci vengo mai più.
(Stirando.)
Cavaliere: V'intendo. In camera
mia non ci verrete più? Capisco il mistero. Sì, lo
capisco. Ma veniteci, cara, che vi chiamerete contenta.
(Amoroso.)
Mirandolina: Questo ferro è
poco caldo. Ehi; Fabrizio? se l'altro ferro è caldo,
portatelo. (Forte verso la scena.)
Cavaliere: Fatemi
questa grazia, tenete questa boccetta.
Mirandolina: In
verità, signor Cavaliere, dei regali io non ne prendo. (Con
disprezzo, stirando.)
Cavaliere: Li avete pur
presi dal Conte d'Albafiorita.
Mirandolina: Per
forza. Per non disgustarlo. (Stirando.)
Cavaliere: E
vorreste fare a me questo torto? e disgustarmi?
Mirandolina:
Che importa a lei, che una donna la disgusti? Già le
donne non le può vedere.
Cavaliere: Ah,
Mirandolina! ora non posso dire così.
Mirandolina:
Signor Cavaliere, a che ora fa la luna nuova?
Cavaliere:
Il mio cambiamento non è lunatico. Questo è un
prodigio della vostra bellezza, della vostra grazia.
Mirandolina:
Ah, ah, ah. (Ride forte, e stira.)
Cavaliere:
Ridete?
Mirandolina: Non vuol che rida? Mi
burla, e non vuol ch'io rida?
Cavaliere: Eh
furbetta! Vi burlo eh? Via, prendete questa boccetta.
Mirandolina:
Grazie, grazie. (Stirando.)
Cavaliere:
Prendetela, o mi farete andare in collera.
Mirandolina:
Fabrizio, il ferro. (Chiamando forte, con
caricatura.)
Cavaliere: La prendete, o non la
prendete? (Alterato.)
Mirandolina: Furia,
furia. (Prende la boccetta, e con disprezzo la getta nel paniere
della biancheria.)
Cavaliere: La gettate
così?
Mirandolina: Fabrizio! (Chiama
forte, come sopra.)
SCENA QUINTA
Fabrizio col ferro, e detti.
Fabrizio:
Son qua. (Vedendo il Cavaliere,
s'ingelosisce.)
Mirandolina: È caldo
bene? (Prende il ferro.)
Fabrizio: Signora
sì. (Sostenuto.)
Mirandolina: Che
avete, che mi parete turbato? (A Fabrizio, con
tenerezza.)
Fabrizio: Niente, padrona,
niente.
Mirandolina: Avete male? (Come
sopra.)
Fabrizio: Datemi l'altro ferro, se
volete che lo metta nel fuoco.
Mirandolina: In
verità, ho paura che abbiate male. (Come sopra.)
Cavaliere:
Via, dategli il ferro, e che se ne vada.
Mirandolina:
Gli voglio bene, sa ella? È il mio cameriere fidato.
(Al Cavaliere.)
Cavaliere: (Non posso più).
(Da sé, smaniando.)
Mirandolina: Tenete,
caro, scaldatelo. (Dà il ferro a Fabrizio.)
Fabrizio:
Signora padrona... (Con tenerezza.)
Mirandolina:
Via, via, presto. (Lo scaccia.)
Fabrizio:
(Che vivere è questo? Sento che non posso più).
(Da sé, parte.)
SCENA SESTA
Il Cavaliere e Mirandolina.
Cavaliere:
Gran finezze, signora, al suo cameriere!
Mirandolina:
E per questo, che cosa vorrebbe dire?
Cavaliere: Si
vede che ne siete invaghita.
Mirandolina: Io
innamorata di un cameriere? Mi fa un bel complimento, signore; non
sono di sì cattivo gusto io. Quando volessi amare, non
getterei il mio tempo sì malamente. (Stirando.)
Cavaliere:
Voi meritereste l'amore di un re.
Mirandolina: Del
re di spade, o del re di coppe? (Stirando.)
Cavaliere:
Parliamo sul serio, Mirandolina, e lasciamo gli
scherzi.
Mirandolina: Parli pure, che io l'ascolto.
(Stirando.)
Cavaliere: Non potreste per un
poco lasciar di stirare?
Mirandolina: Oh perdoni! Mi
preme allestire questa biancheria per domani.
Cavaliere: Vi
preme dunque quella biancheria più di me?
Mirandolina:
Sicuro. (Stirando.)
Cavaliere: E
ancora lo confermate?
Mirandolina: Certo. Perché
di questa biancheria me ne ho da servire, e di lei non posso far
capitale di niente. (Stirando.)
Cavaliere: Anzi
potete dispor di me con autorità.
Mirandolina: Eh,
che ella non può vedere le donne.
Cavaliere: Non
mi tormentate più. Vi siete vendicata abbastanza. Stimo voi,
stimo le donne che sono della vostra sorte, se pur ve ne sono. Vi
stimo, vi amo, e vi domando pietà.
Mirandolina: Sì
signore, glielo diremo. (Stirando in fretta, si fa cadere un
manicotto.)
CAVALIERE (leva di terra il manicotto, e glielo
dà): Credetemi...
Mirandolina: Non
s'incomodi.
Cavaliere: Voi meritate di esser
servita.
Mirandolina: Ah, ah, ah. (Ride
forte.)
Cavaliere: Ridete?
Mirandolina:
Rido, perché mi burla.
Cavaliere:
Mirandolina, non posso più.
Mirandolina: Le
vien male?
Cavaliere: Sì, mi sento
mancare.
Mirandolina: Tenga il suo spirito di
melissa. (Gli getta con disprezzo la boccetta.)
Cavaliere:
Non mi trattate con tanta asprezza. Credetemi, vi amo, ve lo
giuro. (Vuol prenderle la mano, ed ella col ferro lo scotta.)
Aimè!
Mirandolina: Perdoni: non l'ho fatto
apposta.
Cavaliere: Pazienza! Questo è
niente. Mi avete fatto una scottatura più grande.
Mirandolina:
Dove, signore?
Cavaliere: Nel
cuore.
Mirandolina: Fabrizio. (Chiama
ridendo.)
Cavaliere: Per carità, non
chiamate colui.
Mirandolina: Ma se ho bisogno
dell'altro ferro.
Cavaliere: Aspettate... (ma no...)
chiamerò il mio servitore.
Mirandolina: Eh!
Fabrizio... (Vuol chiamare Fabrizio.)
Cavaliere:
Giuro al cielo, se viene colui, gli spacco la
testa.
Mirandolina: Oh, questa è bella! Non
mi potrò servire della mia gente?
Cavaliere: Chiamate
un altro; colui non lo posso vedere.
Mirandolina: Mi
pare ch'ella si avanzi un poco troppo, signor Cavaliere. (Si
scosta dal tavolino col ferro in mano.)
Cavaliere:
Compatitemi... son fuori di me.
Mirandolina: Anderò
io in cucina, e sarà contento.
Cavaliere: No,
cara, fermatevi.
Mirandolina: È una cosa
curiosa questa. (Passeggiando.)
Cavaliere:
Compatitemi. (Le va dietro.)
Mirandolina: Non
posso chiamar chi voglio? (Passeggia.)
Cavaliere: Lo
confesso. Ho gelosia di colui. (Le va dietro.)
Mirandolina:
(Mi vien dietro come un cagnolino). (Da sé,
passeggiando.)
Cavaliere: Questa è la
prima volta ch'io provo che cosa sia amore.
Mirandolina:
Nessuno mi ha mai comandato. (Camminando.)
Cavaliere:
Non intendo di comandarvi: vi prego. (La
segue.)
Mirandolina: Ma che cosa vuole da me?
(Voltandosi con alterezza.)
Cavaliere: Amore,
compassione, pietà.
Mirandolina: Un uomo che
stamattina non poteva vedere le donne, oggi chiede amore e pietà?
Non gli abbado, non può essere, non gli credo. (Crepa,
schiatta, impara a disprezzar le donne). (Da sé, parte.)
SCENA SETTIMA
CAVALIERE (solo): Oh maledetto il punto, in cui ho principiato a mirar costei! Son caduto nel laccio, e non vi è più rimedio.
SCENA OTTAVA
Il Marchese e detto.
Marchese:
Cavaliere, voi mi avete insultato.
Cavaliere:
Compatitemi, fu un accidente.
Marchese: Mi
meraviglio di voi.
Cavaliere: Finalmente il vaso non
vi ha colpito.
Marchese: Una gocciola d'acqua mi ha
macchiato il vestito.
Cavaliere: Torno a dir,
compatitemi.
Marchese: Questa è una
impertinenza.
Cavaliere: Non l'ho fatto apposta.
Compatitemi per la terza volta.
Marchese: Voglio
soddisfazione.
Cavaliere: Se non volete compatirmi,
se volete soddisfazione, son qui, non ho soggezione di voi.
Marchese:
Ho paura che questa macchia non voglia andar via; questo è
quello che mi fa andare in collera. (Cangiandosi.)
Cavaliere:
Quando un cavalier vi chiede scusa, che pretendete di più?
(Con isdegno.)
Marchese: Se non l'avete fatto
a malizia, lasciamo stare.
Cavaliere: Vi dico, che
son capace di darvi qualunque soddisfazione.
Marchese: Via,
non parliamo altro.
Cavaliere: Cavaliere
malnato.
Marchese: Oh questa è bella! A me è
passata la collera, e voi ve la fate venire.
Cavaliere: Ora
per l'appunto mi avete trovato in buona luna.
Marchese: Vi
compatisco, so che male avete.
Cavaliere: I fatti
vostri io non li ricerco.
Marchese: Signor inimico
delle donne, ci siete caduto eh?
Cavaliere: Io?
Come?
Marchese: Sì, siete
innamorato...
Cavaliere: Sono il diavolo che vi
porti.
Marchese: Che serve
nascondersi?...
Cavaliere: Lasciatemi stare, che
giuro al cielo ve ne farò pentire. (Parte.)
SCENA NONA
MARCHESE (solo): È innamorato, si vergogna, e non vorrebbe che si sapesse. Ma forse non vorrà che si sappia, perché ha paura di me; avrà soggezione a dichiararsi per mio rivale. Mi dispiace assaissimo di questa macchia; se sapessi come fare a levarla! Queste donne sogliono avere della terra da levar le macchie. (Osserva nel tavolino e nel paniere.) Bella questa boccetta! Che sia d'oro o di princisbech? Eh, sarà di princisbech: se fosse d'oro, non la lascerebbero qui; se vi fosse dell'acqua della regina, sarebbe buona per levar questa macchia. (Apre, odora e gusta.) È spirito di melissa. Tant'è tanto sarà buono. Voglio provare.
SCENA DECIMA
Dejanira e detto.
Dejanira:
Signor Marchese, che fa qui solo? Non favorisce
mai?
Marchese: Oh signora Contessa. Veniva or ora
per riverirla.
Dejanira: Che cosa stava
facendo?
Marchese: Vi dirò. Io sono
amantissimo della pulizia. Voleva levare questa piccola
macchia.
Dejanira: Con che, signore?
Marchese:
Con questo spirito di melissa.
Dejanira: Oh
perdoni, lo spirito di melissa non serve, anzi farebbe venire la
macchia più grande.
Marchese: Dunque, come ho
da fare?
Dejanira: Ho io un segreto per cavar le
macchie.
Marchese: Mi farete piacere a
insegnarmelo.
Dejanira: Volentieri. M'impegno con
uno scudo far andar via quella macchia, che non si vedrà
nemmeno dove sia stata.
Marchese: Vi vuole uno
scudo?
Dejanira: Sì, signore, vi pare una
grande spesa?
Marchese: È meglio provare lo
spirito di Melissa.
Dejanira: Favorisca: è
buono quello spirito?
Marchese: Prezioso, sentite.
(Le dà la boccetta.)
Dejanira: Oh, io
ne so fare del meglio. (Assaggiandolo.)
Marchese:
Sapete fare degli spiriti?
Dejanira: Sì,
signore mi diletto di tutto.
Marchese: Brava,
damina, brava. Così mi piace.
Dejanira: Sarà
d'oro questa boccetta?
Marchese: Non volete? È
oro sicuro. (Non conosce l'oro del princisbech). (Da
sé.)
Dejanira: È sua, signor
Marchese?
Marchese: È mia, e vostra se
comandate.
Dejanira: Obbligatissima alle sue grazie.
(La mette via.)
Marchese: Eh! so che
scherzate.
Dejanira: Come? Non me l'ha
esibita?
Marchese: Non è cosa da vostra pari.
È una bagattella. Vi servirò di cosa migliore, se ne
avete voglia.
Dejanira: Oh, mi meraviglio. È
anche troppo. La ringrazio, signor Marchese.
Marchese:
Sentite. In confidenza. Non è oro. È
princisbech.
Dejanira: Tanto meglio. La stimo più
che se fosse oro. E poi, quel che viene dalle sue mani, è
tutto prezioso.
Marchese: Basta. Non so che dire.
servitevi, se vi degnate. (Pazienza! Bisognerà pagarla a
Mirandolina. Che cosa può valere? Un filippo?). (Da
sé.)
Dejanira: Il signor Marchese è
un cavalier generoso.
Marchese: Mi vergogno a
regalar queste bagattelle. Vorrei che quella boccetta fosse
d'oro.
Dejanira: In verità, pare propriamente
oro. (La tira fuori, e la osserva.) Ognuno
s'ingannerebbe.
Marchese: È vero, chi non ha
pratica dell'oro, s'inganna: ma io lo conosco subito.
Dejanira:
Anche al peso par che sia oro.
Marchese: E
pur non è vero.
Dejanira: Voglio farla vedere
alla mia compagna.
Marchese: Sentite, signora
Contessa, non la fate vedere a Mirandolina. È una ciarliera.
Non so se mi capite.
Dejanira: Intendo benissimo. La
fo vedere solamente ad Ortensia.
Marchese: Alla
Baronessa?
Dejanira: Sì, sì, alla
Baronessa. (Ridendo parte.)
SCENA UNDICESIMA
Il Marchese, poi il Servitore del Cavaliere.
Marchese:
Credo che se ne rida, perché mi ha levato con quel bel
garbo la boccettina. Tant'era se fosse stata d'oro. Manco male, che
con poco l'aggiusterò. Se Mirandolina vorrà la sua
boccetta, gliela pagherò, quando ne avrò.
Servitore:
(cerca sul tavolo): Dove diamine sarà questa
boccetta?
Marchese: Che cosa cercate,
galantuomo?
Servitore: Cerco una boccetta di spirito
di melissa. La signora Mirandolina la vorrebbe. Dice che l'ha
lasciata qui, ma non la ritrovo.
Marchese: Era una
boccettina di princisbech?
Servitore: No signore,
era d'oro.
Marchese: D'oro?
Servitore:
Certo che era d'oro. L'ho veduta comprar io per dodici
zecchini. (Cerca.)
Marchese: (Oh povero me!).
(Da sé.) Ma come lasciar così una boccetta
d'oro?
Servitore: Se l'è scordata, ma io non
la trovo.
Marchese: Mi pare ancora impossibile che
fosse d'oro.
Servitore: Era oro, gli dico. L'ha
forse veduta V.E.?
Marchese: Io?... Non ho veduto
niente.
Servitore: Basta. Le dirò che non la
trovo. Suo danno. Doveva mettersela in tasca. (Parte.)
SCENA DODICESIMA
Il Marchese, poi il Conte.
Marchese:
Oh povero Marchese di Forlipopoli! Ho donata una boccetta
d'oro, che val dodici zecchini, e l'ho donata per princisbech. Come
ho da regolarmi in un caso di tanta importanza? Se recupero la
boccetta dalla Contessa, mi fo ridicolo presso di lei; se Mirandolina
viene a scoprire ch'io l'abbia avuta, è in pericolo il mio
decoro. Son cavaliere. Devo pagarla. Ma non ho danari.
Conte:
Che dite, signor Marchese, della bellissima novità?
Marchese:
Di quale novità?
Conte: Il Cavaliere
Selvatico, il disprezzator delle donne, è innamorato di
Mirandolina.
Marchese: L'ho caro. Conosca suo
malgrado il merito di questa donna; veda che io non m'invaghisco di
chi non merita; e peni e crepi per gastigo della sua
impertinenza.
Conte: Ma se Mirandolina gli
corrisponde?
Marchese: Ciò non può
essere. Ella non farà a me questo torto. Sa chi sono. Sa cosa
ho fatto per lei.
Conte: Io ho fatto per essa assai
più di voi. Ma tutto è gettato. Mirandolina coltiva il
Cavaliere di Ripafratta, ha usato verso di lui quelle attenzioni che
non ha praticato né a voi, né a me; e vedesi che, colle
donne, più che si sa, meno si merita, e che burlandosi esse di
che le adora, corrono dietro a chi le disprezza.
Marchese:
Se ciò fosse vero... ma non può essere.
Conte:
Perché non può essere?
Marchese:
Vorreste mettere il Cavaliere a confronto di me?
Conte:
Non l'avete veduta voi stesso sedere alla di lui tavola? Con
noi ha praticato mai un atto di simile confidenza? A lui biancheria
distinta. Servito in tavola prima di tutti. Le pietanze gliele fa
ella colle sue mani. I servidori vedono tutto, e parlano. Fabrizio
freme di gelosia. E poi quello svenimento, vero o finto che fosse,
non è segno manifesto d'amore?
Marchese: Come!
A lui si fanno gl'intingoli saporiti, e a me carnaccia di bue, e
minestra di riso lungo? Sì, è vero, questo è uno
strapazzo al mio grado, alla mia condizione.
Conte: Ed
io che ho speso tanto per lei?
Marchese: Ed io che
la regalava continuamente? Le ho fino dato da bere di quel vino di
Cipro così prezioso. Il Cavaliere non avrà fatto con
costei una minima parte di quello che abbiamo fatto noi.
Conte:
Non dubitate, che anch'egli l'ha regalata.
Marchese:
Sì? Che cosa le ha donato?
Conte: Una
boccettina d'oro con dello spirito di melissa.
Marchese:
(Oimè!) (Da sé.) Come lo avete
saputo?
Conte: Il di lui servidore l'ha detto al
mio.
Marchese: (Sempre peggio. Entro in un impegno
col Cavaliere). (Da sé.)
Conte: Vedo
che costei è un'ingrata; voglio assolutamente lasciarla.
Voglio partire or ora da questa locanda indegna.
Marchese:
Sì, fate bene, andate.
Conte: E voi
che siete un cavaliere di tanta riputazione, dovreste partire con
me.
Marchese: Ma... dove dovrei andare?
Conte:
Vi troverò io un alloggio. Lasciate pensare a
me.
Marchese: Quest'alloggio... sarà per
esempio...
Conte: Andremo in casa d'un mio paesano.
Non ispenderemo nulla.
Marchese: Basta, siete tanto
mio amico, che non posso dirvi di no.
Conte: Andiamo,
e vendichiamoci di questa femmina sconoscente.
Marchese: Sì,
andiamo. (Ma come sarà poi della boccetta? Son cavaliere, non
posso fare una malazione). (Da sé.)
Conte: Non
vi pentite, signor Marchese, andiamo via di qui. Fatemi questo
piacere, e poi comandatemi dove posso, che vi servirò.
Marchese:
Vi dirò. In confidenza, ma che nessuno lo sappia. Il
mio fattore mi ritarda qualche volta le mie rimesse...
Conte:
Le avete forse da dar qualche cosa?
Marchese: Sì,
dodici zecchini.
Conte: Dodici zecchini? Bisogna che
sia dei mesi, che non pagate.
Marchese: Così
è, le devo dodici zecchini. Non posso di qua partire senza
pagarla. Se voi mi faceste il piacere...
Conte: Volentieri.
Eccovi dodici zecchini. (Tira fuori la borsa.)
Marchese:
Aspettate. Ora che mi ricordo, sono tredici. (Voglio rendere
il suo zecchino anche al Cavaliere). (Da sé.)
Conte:
Dodici o tredici è lo stesso per me. Tenete.
Marchese:
Ve li renderò quanto prima.
Conte: Servitevi
quanto vi piace. Danari a me non ne mancano; e per vendicarmi di
costei, spenderei mille doppie.
Marchese: Sì,
veramente è un'ingrata. Ho speso tanto per lei, e mi tratta
così.
Conte: Voglio rovinare la sua locanda.
Ho fatto andar via anche quelle due commedianti.
Marchese:
Dove sono le commedianti?
Conte: Erano qui:
Ortensia e Dejanira.
Marchese: Come! Non sono
dame?
Conte: No. Sono due comiche. Sono arrivati i
loro comnpagni, e la favola è terminata.
Marchese:
(La mia boccetta!). (Da sé.) Dove sono
alloggiate?
Conte: In una casa vicino al
teatro.
Marchese: (Vado subito a ricuperare la mia
boccetta). (Da se, parte.)
Conte: Con costei
mi voglio vendicar così. Il Cavaliere poi, che ha saputo
fingere per tradirmi, in altra maniera me ne renderà conto.
(Parte.)
SCENA TREDICESIMA
Camera con tre porte.
Mirandolina (sola): Oh meschina me! Sono nel brutto impegno! Se il Cavaliere mi arriva, sto fresca. Si è indiavolato maledettamente. Non vorrei che il diavolo lo tentasse di venir qui. Voglio chiudere questa porta. (Serra la porta da dove è venuta.) Ora principio quasi a pentirmi di quel che ho fatto. È vero che mi sono assai divertita nel farmi correr dietro a tal segno un superbo, un disprezzator delle donne; ma ora che il satiro è sulle furie, vedo in pericolo la mia riputazione e la mia vita medesima. Qui mi convien risolvere quelche cosa di grande. Son sola, non ho nessuno dal cuore che mi difenda. Non ci sarebbe altri che quel buon uomo di Fabrizio, che in tal caso mi potesse giovare. Gli prometterò di sposarlo... Ma... prometti, prometti, si stancherà di credermi... Sarebbe quasi meglio ch'io lo sposassi davvero. Finalmente con un tal matrimonio posso sperar di mettere al coperto il mio interesse e la mia reputazione, senza pregiudicare alla mia libertà.
SCENA QUATTORDICESIMA
Il
Cavaliere di dentro, e detta; poi Fabrizio.
Il Cavaliere
batte per di dentro alla porta.
Mirandolina:
Battono a questa porta: chi sarà mai?
(S'accosta.)
Cavaliere: Mirandolina. (Di
dentro.)
Mirandolina: (L'amico è qui).
(Da sé.)
Cavaliere: Mirandolina,
apritemi. (Come sopra.)
Mirandolina: (Aprirgli?
Non sono sì gonza). Che comanda, signor Cavaliere?
Cavaliere:
Apritemi. (Di dentro.)
Mirandolina: Favorisca
andare nella sua camera, e mi aspetti, che or ora son da
lei.
Cavaliere: Perché non volete aprirmi?
(Come sopra.)
Mirandolina: Arrivano de'
forestieri. Mi faccia questa grazia, vada, che or ora sono da
lei.
Cavaliere: Vado: se non venite, povera voi.
(Parte.)
Mirandolina: Se non venite, povera
voi! Povera me, se vi andassi. La cosa va sempre peggio. Rimediamoci,
se si può. È andato via? (Guarda al buco della
chiave.) Sì, sì, è andato. Mi aspetta in
camera, ma non vi vado. Ehi? Fabrizio. (Ad un'altra porta.)
Sarebbe bella che ora Fabrizio si vendicasse di me, e non volesse...
Oh, non vi è pericolo. Ho io certe manierine, certe
smorfiette, che bisogna che caschino, se fossero di macigno.
Fabrizio. (Chiama ad un'altra porta.)
Fabrizio: Avete
chiamato?
Mirandolina: Venite qui; voglio farvi una
confidenza.
Fabrizio: Son qui.
Mirandolina:
Sappiate che il Cavaliere di Ripafratta si è scoperto
innamorato di me.
Fabrizio: Eh, me ne sono
accorto.
Mirandolina: Sì? Ve ne siete
accorto? Io in verità non me ne sono mai avveduta.
Fabrizio:
Povera semplice! Non ve ne siete accorta! Non avete veduto,
quando stiravate col ferro, le smorfie che vi faceva? La gelosia che
aveva di me?
Mirandolina: Io che opero senza
malizia, prendo le cose con indifferenza. Basta; ora mi ha dette
certe parole, che in verità, Fabrizio, mi hanno fatto
arrossire.
Fabrizio: Vedete: questo vuol dire perché
siete una giovane sola, senza padre, senza madre, senza nessuno. Se
foste maritata, non andrebbe così.
Mirandolina: Orsù,
capisco che dite bene; ho pensato di maritarmi.
Fabrizio:
Ricordatevi di vostro padre.
Mirandolina: Sì,
me ne ricordo.
SCENA QUINDICESIMA
Il
Cavaliere di dentro e detti.
Il Cavaliere batte alla porta
dove era prima.
Mirandolina:
Picchiano. (A Fabrizio.)
Fabrizio: Chi
è che picchia? (Forte verso la porta.)
Cavaliere:
Apritemi. (Di dentro.)
Mirandolina: Il
Cavaliere. (A Fabrizio.)
Fabrizio: Che cosa
vuole? (S'accosta per aprirgli.)
Mirandolina:
Aspettate ch'io parta.
Fabrizio: Di che
avete timore?
Mirandolina: Caro Fabrizio, non so, ho
paura della mia onestà. (Parte.)
Fabrizio: Non
dubitate, io vi difenderò.
Cavaliere: Apritemi,
giuro al cielo. (Di dentro.)
Fabrizio: Che
comanda, signore? Che strepiti sono questi? In una locanda onorata
non si fa così.
Cavaliere: Apri questa porta.
(Si sente che la sforza.)
Fabrizio: Cospetto
del diavolo! Non vorrei precipitare. Uomini, chi è di là?
Non ci è nessuno?
SCENA SEDICESIMA
Il Marchese ed il Conte dalla porta di mezzo, e detti.
Conte:
Che c'è? (Sulla porta.)
Marchese: Che
rumore è questo? (Sulla porta.)
Fabrizio:
Signori, li prego: il signor Cavaliere di Ripafratta vuole
sforzare quella porta. (Piano, che il Cavaliere non
senta.)
Cavaliere: Aprimi, o la getto abbasso.
(Di dentro.)
Marchese: Che sia diventato
pazzo? Andiamo via. (Al Conte.)
Conte: Apritegli.
(A Fabrizio.) Ho volontà per appunto di parlar con
lui.
Fabrizio: Aprirò; ma le
supplico...
Conte: Non dubitate. Siamo qui
noi.
Marchese: (Se vedo niente niente, me la colgo).
(Da sé.)
(Fabrizio apre, ed entra il
Cavaliere.)
Cavaliere: Giuro al cielo,
dov'è?
Fabrizio: Chi cercate,
signore?
Cavaliere: Mirandolina dov'è?
Fabrizio:
Io non lo so.
Marchese: (L'ha con
Mirandolina. Non è niente). (Da sé.)
Cavaliere:
Scellerata, la troverò. (S'incammina, e scopre il
Conte e il Marchese.)
Conte: Con chi l'avete?
(Al Cavaliere.)
Marchese: Cavaliere, noi
siamo amici.
Cavaliere: (Oimè! Non vorrei per
tutto l'oro del mondo che nota fosse questa mia debolezza). (Da
sé.)
Fabrizio: Che cosa vuole, signore,
dalla padrona?
Cavaliere: A te non devo rendere
questi conti. Quando comando, voglio esser servito. Pago i miei
denari per questo, e giuro al cielo, ella avrà che fare con
me.
Fabrizio: V.S. paga i suoi denari per essere
servito nelle cose lecite e oneste: ma non ha poi da pretendere, la
mi perdoni, che una donna onorata...
Cavaliere: Che
dici tu? Che sai tu? Tu non entri ne' fatti miei. So io quel che ho
ordinato a colei.
Fabrizio: Le ha ordinato di venire
nella sua camera.
Cavaliere: Va via, briccone, che
ti rompo il cranio.
Fabrizio: Mi meraviglio di
lei.
Marchese: Zitto. (A Fabrizio.)
Conte:
Andate via. (A Fabrizio.)
Cavaliere: Vattene
via di qui. (A Fabrizio.)
Fabrizio: Dico,
signore... (Riscaldandosi.)
Marchese: Via.
Conte:
Via. (Lo cacciano via.)
Fabrizio: (Corpo
di bacco! Ho proprio voglia di precipitare). (Da sé,
parte.)
SCENA DICIASSETTESIMA
Il Cavaliere, il Marchese ed il Conte.
Cavaliere:
(Indegna! Farmi aspettar nella camera?). (Da
sé.)
Marchese: (Che diamine ha?). (Piano
al Conte.)
Conte: (Non lo vedete? È
innamorato di Mirandolina).
Cavaliere: (E si
trattiene con Fabrizio? E parla seco di matrimonio?). (Da
sé.)
Conte: (Ora è il tempo di
vendicarmi). (Da sé.) Signor Cavaliere, non conviene
ridersi delle debolezze altrui, quando si ha un cuore fragile come il
vostro.
Cavaliere: Di che intendete voi di
parlare?
Conte: So da che provengono le vostre
smanie.
Cavaliere: Intendete voi di che parli?
(Alterato, al Marchese.)
Marchese: Amico, io
non so niente.
Conte: Parlo di voi, che col pretesto
di non poter soffrire le donne, avete tentato rapirmi il cuore di
Mirandolina, ch'era già mia conquista.
Cavaliere: Io?
(Alterato, verso il Marchese.)
Marchese: Io
non parlo.
Conte: Voltatevi a me, a me rispondete.
Vi vergognate forse d'aver mal proceduto?
Cavaliere: Io
mi vergogno d'ascoltarvi più oltre, senza dirvi che voi
mentite.
Conte: A me una mentita?
Marchese:
(La cosa va peggiorando). (Da sé.)
Cavaliere:
Con qual fondamento potete voi dire?... (Il Conte non sa ciò
che si dica). (Al Marchese, irato.)
Marchese: Ma
io non me ne voglio impiciare.
Conte: Voi siete un
mentitore.
Marchese: Vado via. (Vuol
partire.)
Cavaliere: Fermatevi. (Lo trattiene
per forza.)
Conte: E mi renderete
conto...
Cavaliere: Sì, vi renderò
conto... Datemi la vostra spada. (Al Marchese.)
Marchese:
Eh via, acquietatevi tutti due. Caro Conte, cosa importa a
voi che il Cavaliere ami Mirandolina?...
Cavaliere: Io
l'amo? Non è vero; mente chi lo dice.
Marchese:
Mente? La mentita non viene da me. Non sono io che lo
dico.
Cavaliere: Chi dunque?
Conte: Io
lo dico e lo sostengo, e non ho soggezione di voi.
Cavaliere:
Datemi quella spada. (Al Marchese.)
Marchese:
No, dico.
Cavaliere: Siete ancora voi mio
nemico?
Marchese: Io sono amico di tutti.
Conte:
Azioni indegne son queste.
Cavaliere: Ah
giuro al Cielo! (Leva la spada al Marchese, la quale esce col
fodero.)
Marchese: Non mi perdete il rispetto.
(Al Cavaliere.)
Cavaliere: Se vi chiamate
offeso, darò soddisfazione anche a voi. (Al
Marchese.)
Marchese: Via; siete troppo caldo.
(Mi dispiace...) (Da se, rammaricandosi.)
Conte: Io
voglio soddisfazione. (Si mette in guardia.)
Cavaliere:
Ve la darò. (Vuol levar il fodero, e non
può.)
Marchese: Quella spada non vi
conosce...
Cavaliere: Oh maledetta! (Sforza per
cavarlo.)
Marchese: Cavaliere, non farete
niente...
Conte: Non ho più
sofferenza.
Cavaliere: Eccola. (Cava la spada, e
vede essere mezza lama.) Che è questo?
Marchese:
Mi avete rotta la spada.
Cavaliere: Il resto
dov'è? Nel fodero non v'è niente.
Marchese:
Sì, è vero; l'ho rotta nell'ultimo duello; non
me ne ricordavo.
Cavaliere: Lasciatemi provveder
d'una spada. (Al Conte.)
Conte: Giuro al
cielo, non mi fuggirete di mano.
Cavaliere: Che
fuggire? Ho cuore di farvi fronte anche con questo pezzo di
lama.
Marchese: È lama di Spagna, non ha
paura.
Conte: Non tanta bravura, signor
gradasso.
Cavaliere: Sì, con questa lama.
(S'avventa verso il Conte.)
Conte: Indietro.
(Si pone in difesa.)
SCENA DICIOTTESIMA
Mirandolina, Fabrizio e detti.
Fabrizio:
Alto, alto, padroni.
Mirandolina: Alto,
signori miei, alto.
Cavaliere: (Ah maledetta!).
(Vedendo Mirandolina.)
Mirandolina: Povera
me! Colle spade?
Marchese: Vedete? Per causa
vostra.
Mirandolina: Come per causa mia?
Conte:
Eccolo lì il signor Cavaliere. È innamorato di
voi.
Cavaliere: Io innamorato? Non è vero;
mentite.
Mirandolina: Il signor Cavaliere innamorato
di me? Oh no, signor Conte, ella s'inganna. Posso assicurarla, che
certamente s'inganna.
Conte: Eh, che siete voi pur
d'accordo...
Mirandolina: Si, si vede...
Cavaliere:
Che si sa? Che si vede? (Alterato, verso il
Marchese.)
Marchese: Dico, che quando è,
si sa... Quando non è, non si vede.
Mirandolina: Il
signor cavaliere innamorato di me? Egli lo nega, e negandolo in
presenza mia, mi mortifica, mi avvilisce, e mi fa conoscere la sua
costanza e la mia debolezza. Confesso il vero, che se riuscito mi
fosse d'innamorarlo, avrei creduto di fare la maggior prodezza del
mondo. Un uomo che non può vedere le donne, che le disprezza,
che le ha in mal concetto, non si può sperare d'innamorarlo.
Signori miei, io sono una donna schietta e sincera: quando devo dir,
dico, e non posso celare la verità. Ho tentato d'innamorare il
signor Cavaliere, ma non ho fatto niente. (Al
Cavaliere.)
Cavaliere: (Ah! Non posso parlare).
(Da sé.)
Conte: Lo vedete? Si
confonde. (A Mirandolina.)
Marchese: Non ha
coraggio di dir di no. (A Mirandolina.)
Cavaliere:
Voi non sapete quel che vi dite. (Al Marchese,
irato.)
Marchese: E sempre l'avete con me. (Al
Cavaliere, dolcemente.)
Mirandolina: Oh, il
signor Cavaliere non s'innamora. Conosce l'arte. Sa la furberia delle
donne: alle parole non crede; delle lagrime non si fida. Degli
svenimenti poi se ne ride.
Cavaliere: Sono dunque
finte le lagrime delle donne, sono mendaci gli
svenimenti?
Mirandolina: Come! Non lo sa, o finge di
non saperlo?
Cavaliere: Giuro al cielo! Una tal
finzione meriterebbe uno stile nel cuore.
Mirandolina:
Signor Cavaliere, non si riscaldi, perché questi
signori diranno ch'è innamorato davvero.
Conte: Sì,
lo è, non lo può nascondere.
Marchese: Si
vede negli occhi.
Cavaliere: No, non lo sono. (Irato
al Marchese.)
Marchese: E sempre con
me.
Mirandolina: No signore, non è
innamorato. Lo dico, lo sostengo, e son pronta a provarlo.
Cavaliere:
(Non posso più). (Da sé.) Conte, ad
altro tempo mi troverete provveduto di spada. (Getta via la mezza
spada del Marchese.)
Marchese: Ehi! la guardia
costa denari. (La prende di terra.)
Mirandolina: Si
fermi, signor Cavaliere, qui ci va della sua riputazione. Questi
signori credono ch'ella sia innamorato; bisogna
disingannarli.
Cavaliere: Non vi è questo
bisogno.
Mirandolina: Oh sì, signore. Si
trattenga un momento.
Cavaliere: (Che far intende
costei?). (Da sé.)
Mirandolina: Signori,
il più certo segno d'amore è quello della gelosia, e
chi non sente la gelosia, certamente non ama. Se il signor Cavaliere
mi amasse, non potrebbe soffrire ch'io fossi d'un altro, ma egli lo
soffrirà, e vedranno...
Cavaliere: Di chi
volete voi essere?
Mirandolina: Di quello a cui mi
ha destinato mio padre.
Fabrizio: Parlate forse di
me? (A Mirandolina.)
Mirandolina: Sì,
caro Fabrizio, a voi in presenza di questi cavalieri vo' dar la mano
di sposa.
Cavaliere: (Oimè! Con colui? non ho
cuor di soffrirlo). (Da sé, smaniando.)
Conte:
(Se sposa Fabrizio, non ama il Cavaliere). (Da sé.)
Sì, sposatevi, e vi prometto trecento scudi.
Marchese:
Mirandolina, è meglio un uovo oggi, che una gallina
domani. Sposatevi ora, e vi do subito dodici zecchini.
Mirandolina:
Grazie, signori, non ho bisogno di dote. Sono una povera
donna senza grazia, senza brio, incapace d'innamorar persone di
merito. Ma Fabrizio mi vuol bene, ed io in questo punto alla presenza
loro lo sposo...
Cavaliere: Sì, maledetta,
sposati a chi tu vuoi. So che tu m'ingannasti, so che trionfi dentro
di te medesima d'avermi avvilito, e vedo sin dove vuoi cimentare la
mia tolleranza. Meriteresti che io pagassi gli inganni tuoi con un
pugnale nel seno; meriteresti ch'io ti strappassi il cuore, e lo
recassi in mostra alle femmine lusinghiere, alle femmine
ingannatrici. Ma ciò sarebbe un doppiamente avvilirmi. Fuggo
dagli occhi tuoi: maledico le tue lusinghe, le tue lagrime, le tue
finzioni; tu mi hai fatto conoscere qual infausto potere abbia sopra
di noi il tuo sesso, e mi hai fatto a costo mio imparare, che per
vincerlo non basta, no, disprezzarlo, ma ci conviene fuggirlo.
(Parte.)
SCENA DICIANNOVESIMA
Mirandolina, il Conte, il Marchese e Fabrizio.
Conte:
Dica ora di non essere innamorato.
Marchese: Se
mi dà un'altra mentita, da cavaliere lo sfido.
Mirandolina:
Zitto, signori zitto. È andato via, e se non torna, e
se la cosa passa così, posso dire di essere fortunata. Pur
troppo, poverino, mi è riuscito d'innamorarlo, e mi son messa
ad un brutto rischio. Non ne vo' saper altro. Fabrizio, vieni qui,
caro, dammi la mano.
Fabrizio: La mano? Piano un
poco, signora. Vi dilettate d'innamorar la gente in questa maniera, e
credete ch'io vi voglia sposare?
Mirandolina: Eh
via, pazzo! È stato uno scherzo, una bizzarria, un puntiglio.
Ero fanciulla, non avevo nessuno che mi comandasse. Quando sarò
maritata, so io quel che farò.
Fabrizio: Che
cosa farete?
SCENA ULTIMA
Il Servitore del Cavaliere e detti.
Servitore:
Signora padrona, prima di partire son venuto a
riverirvi.
Mirandolina: Andate via?
Servitore:
Sì. Il padrone va alla Posta. Fa attaccare: mi aspetta
colla roba, e ce ne andiamo a Livorno.
Mirandolina:
Compatite, se non vi ho fatto...
Servitore: Non
ho tempo da trattenermi. Vi ringrazio, e vi riverisco.
(Parte.)
Mirandolina: Grazie al cielo, è
partito. Mi resta qualche rimorso; certamente è partito con
poco gusto. Di questi spassi non me ne cavo mai più.
Conte:
Mirandolina, fanciulla o maritata che siate, sarò lo
stesso per voi.
Marchese: Fate pure capitale della
mia protezione.
Mirandolina: Signori miei, ora che
mi marito, non voglio protettori, non voglio spasimanti, non voglio
regali. Sinora mi sono divertita, e ho fatto male, e mi sono
arrischiata troppo, e non lo voglio fare mai più. Questi è
mio marito...
Fabrizio: Ma piano,
signora...
Mirandolina: Che piano! Che cosa c'è?
Che difficoltà ci sono? Andiamo. Datemi quella mano.
Fabrizio:
Vorrei che facessimo prima i nostri patti.
Mirandolina:
Che patti? Il patto è questo: o dammi la mano, o
vattene al tuo paese.
Fabrizio: Vi darò la
mano... ma poi...
Mirandolina: Ma poi, sì,
caro, sarò tutta tua; non dubitare di me ti amerò
sempre, sarai l'anima mia.
Fabrizio: Tenete, cara,
non posso più. (Le dà la mano.)
Mirandolina:
(Anche questa è fatta). (Da sé.)
Conte:
Mirandolina, voi siete una gran donna, voi avete l'abilità
di condur gli uomini dove volete.
Marchese: Certamente
la vostra maniera obbliga infinitamente.
Mirandolina: Se
è vero ch'io possa sperar grazie da lor signori, una ne chiedo
loro per ultimo.
Conte: Dite pure.
Marchese:
Parlate.
Fabrizio: (Che cosa mai adesso
domanderà?). (Da sé.)
Mirandolina: Le
supplico per atto di grazia, a provvedersi di un'altra
locanda.
Fabrizio: (Brava; ora vedo che la mi vuol
bene). (Da sé.)
Conte: Sì, vi
capisco e vi lodo. Me ne andrò, ma dovunque io sia,
assicuratevi della mia stima.
Marchese: Ditemi:
avete voi perduta una boccettina d'oro?
Mirandolina: Sì
signore.
Marchese: Eccola qui. L'ho ritrovata, e ve
la rendo. Partirò per compiacervi, ma in ogni luogo fate pur
capitale della mia protezione.
Mirandolina: Queste
espressioni mi saran care, nei limiti della convenienza e
dell'onestà. Cambiando stato, voglio cambiar costume; e lor
signori ancora profittino di quanto hanno veduto, in vantaggio e
sicurezza del loro cuore; e quando mai si trovassero in occasioni di
dubitare, di dover cedere, di dover cadere, pensino alle malizie
imparate, e si ricordino della Locandiera.
Fine della Commedia