Giacomo Leopardi


LETTERE

AI FRATELLI





LETTERE ALLA SORELLA PAOLINA


1.

A Don Paolo Leopardi (Paolina)


28 Gennaio 1812.


Amico carissimo.

Ricevo in questo momento il plico che voi m'inviate accompagnato da una obbligantissima lettera. Essa è ben degna per la sua brevità di esser commendata da' Lacedemoni, e dagli altri popoli della Grecia, i quali dovendo rispondere in lettera ad alcuna inchiesta noh iscrivevano talvolta, che la semplice parola "nò". Il piacere che voi mi avete fatto col torre a copiare il mio picciol Compendio di logica non vi sembrerà forse sì grande quanto lo è in realtà. Un buon copista è assai raro, ed io non reputo lieve vantaggio l'averne ritrovato uno che sia conforme al mio desiderio. Il restauratore dell'Italiana Poesia Francesco Petrarca lamentavasi che avendo egli in poche settimane condotto a fine il suo libro latino De Fortuna etc. non potea dopo più anni averne copia, che pienamente il soddisfacesse poiché di mille errori eran ripiene tutte quelle, che egli avea avute da' vari copisti.

Se io fossi vissuto al tempo di Petrarca, e l'avessi udito lamentarsi meco in tal modo avrei facilmente appacificate, ed acquietate le sue querele coll'insinuargli di darvi a copiar la sua opera, e son certo, che malgrado la sua delicatezza in questa materia egli ne sarebbe rimasto soddisfatto. Nè crediate, che il mestier del copista sia da disprezzarsi. Teodosio uno de' più grandi Imperatori d'Oriente s'impiegava ancor egli nel copiare gli altrui scritti, e non vivea che del danaro ricavato da questa non ignobil fatica. Voi potrete dirmi, che Teodosio non operava in tal modo perché di se degno riputasse un tal genere di lavoro, ma solamente per un effetto della sua profonda umiltà, e virtù Cristiana, ma io per convincervi di quanto ho preso a dimostrarvi vi apporterò un altro esempio. Non ci dipartiam dal Petrarca. Egli avendo intrapreso di fare un viaggio, non ben mi rammento per qual fine, e ritrovata cammin facendo un'opera di Cicerone, di cui non avea per anche contezza, non istimò cosa vile il copiarlo da capo a fondo. Ma è omai tempo di finirla poiché mi avvedo che avendo fatto l'elogio dello stile laconico sto per cadere nei difetti dello stile Asiatico. Sono affezionatissimo per servirvi di cuore,

Giacomo Leopardi.



2.

Roma 3 Dicembre 1822.


Cara Paolina.

Che cosa volete sapere de' fatti miei? Se Roma mi piace, se mi diverto, dove sono stato, che vita faccio? Quanto alla prima domanda, non so più che rispondere, perché tutti mi domandano la stessa cosa cento volte il giorno, e volendo sempre variare nella risposta, ho consumato il frasario, e i Sinonimi del Rabbi. Parlando sul serio, tenete per certissimo che il più stolido Recanatese ha una maggior dose di buon senso che il più savio e più grave Romano. Assicuratevi che la frivolezza di queste bestie passa i limiti del credibile. S'io vi volessi raccontare tutti i propositi ridicoli che servono di materia ai loro discorsi, e che sono i loro favoriti, non mi basterebbe un in-foglio. Questa mattina (per dirvene una sola) ho sentito discorrere gravemente e lungamente sopra la buona voce di un Prelato che cantò messa avanti ieri, e sopra la dignità del suo portamento nel fare questa funzione. Gli domandavano come aveva fatto ad acquistare queste belle prerogative, se nel principio della messa si era trovato niente imbarazzato, e cose simili. Il Prelato rispondeva che aveva imparato col lungo assistere alle Cappelle, che questo esercizio gli era stato molto utile, che quella è una scuola necessaria ai loro pari, che non s'era niente imbarazzato, e mille cose spiritosissime. Ho poi saputo che parecchi Cardinali e altri personaggi s'erano rallegrati con lui per il felice esito di quella messa cantata. Fate conto che tutti i propositi de' discorsi romani sono di questo gusto, e io non esagero nulla. Il materiale di Roma avrebbe un gran merito se gli uomini di qui fossero alti cinque braccia e larghi due. Tutta la popolazione di Roma non basta a riempire la piazza di San Pietro. La cupola l'ho veduta io, colla mia corta vista, a 5 miglia di distanza, mentre io era in viaggio, e l'ho veduta distintissimamente colla sua palla e colla sua croce, come voi vedete di costà gli Appennini. Tutta la grandezza di Roma non serve ad altro che a moltiplicare le distanze, e il numero de' gradini che bisogna salire per trovare chiunque vogliate. Queste fabbriche immense, e queste strade per conseguenza interminabili, sono tanti spazi gittati fra gli uomini, invece d'essere spazi che contengano uomini. Io non vedo che bellezza vi sia nel porre i pezzi degli scacchi della grandezza ordinaria, sopra uno scacchiere largo e lungo quanto cotesta piazza della Madonna. Non voglio già dire che Roma mi paia disabitata, ma dico che se gli uomini avessero bisogno d'abitare così al largo, come s'abita in questi palazzi, e come si cammina in queste strade, piazze, chiese; non basterebbe il globo a contenere il genere umano.

Quanto alla prima domanda siete soddisfatta. Alle altre risponderò con più comodo. Salutate il Papà, baciategli la mano per me, ditegli che ho ricevuto la sua del 29 passato, che eseguirò le sue commissioni circa la contessa Mazzagalli e il padre Trachini, che l'altra circa l'avvocato Fusconi è già eseguita, che il danaro e il panno della Marchesa Roberti è consegnato da più giorni, che io sto bene, e così tutti i miei ospiti, i quali, e in particolare i Zii, salutano lui e la Mamma. Ho ricevuto anche la lettera della Mamma; salutate anche lei, e datele un bacio. Dite a Carlo che qualunque sia il baule di cui parla Luigi, la mia testa non istava sopra il baule: ma che un altro baule, del quale io intendo di parlare, l'ebbi sempre di dietro. A Luigi, a Pietruccio, a Don Vincenzo ec. salute e benedizione. Non ho adempiuto i vostri comandi, ma col tempo si farà tutto. Voglimi bene e sta' bene.

Aspetto lettera di Carlo con quest'ordinario, e tua fra una settimana. Addio.


Marietta ti saluta. Addio.



3.

Roma 30 Decembre 1822.

Cara Paolina.

Mi vergogno di non avere ancora eseguite le vostre commissioni, bench'io non le abbia perciò dimenticate. E se v'è qualche scusa ch'io possa portare della mia tardanza, sarà questa, che nei primi giorni della mia dimora in Roma io sono stato così affollato di distrazioni, anzi così occupato nello stesso distrarmi, che appena ho avuto il tempo di pensare alle cose più necessarie. In seguito sono stato costretto a far grandissimo risparmio di viaggi per l'incomodo de' geloni che mi sono sopravvenuti, e che finalmente son suppurati e aperti, sicché mi conviene stare per lo più in casa. Ma questo impedimento spero che debba essere di poca durata.

Ieri fui a pranzo dal ministro d'Olanda. La compagnia era scelta e tutta composta di forestieri. Posso dir che questa sia la prima volta che io abbia assistito a una conversazione di buon tuono, spiritosa ed elegante, e quasi paragonabile a una conversazione francese. Anche la lingua che si parlò fu francese quasi sempre. Non v'erano Italiani fuorché i miei ospiti e me, ed un Romano, che non parlò mai.

Abbiamo un freddo tale, che i vecchi cavano fuori la loro solita formola di non ricordarsene uno simile in questo clima. Le vostre letterine e il vostro modo di scrivere, ch'io ho conosciuto per la prima volta dopo la mia partenza da costì, sono così gentili, che non solamente non paiono recanatesi, ma neanche italiane. Veramente io non vi so rispondere con quella grazia che meriterebbero le vostre proposte. Non ho molto garbo nella galanteria, e di più temo che, se volessi usarla con voi, la Mamma non abbruciasse le mie lettere o prima o almeno dopo di avervele date. Se vi dicessi che v'amo di tutto cuore, questa non sarebbe un'espressione galante, ma forse peccherebbe di tenerezza.

Sicché quanto ai sentimenti dell'animo mio verso di voi, per non errare in qualche termine, lascio che voi medesima ne siate l'interprete, e in questo ufficio vi faccio mia plenipotenziaria. Credo di aver detto abbastanza. Baciate la mano per me alla Mamma e al Papà, al quale direte che gli ho scritto coll'ultimo ordinario, e col medesimo ho ricevuto due sue, l'una a pronto corso, l'altra dei 13, giunta qui fino dai 15. Marietta e Giovannina vi salutano caramente.

E voi salutate per me Carlo e Luigi, e baciate Pietruccio avvisandolo che io soddisfarò alla promessa che gli ho fatto, subito che sarò in caso d'uscire a mio piacere.


Addio, cara Paolina; vogliatemi bene, e date da mia parte il buon capo d'anno alla Zia Isabella, che si compiacque poco fa di mandarmi i suoi saluti. Se non vi parrà troppo ardire, fate per me gli stessi augurii alle cugine, e salutate il zio Peppe. Felicitate ancora il papà del suo ingresso al nuovo ufficio. Non vi maravigliate se non mi stendo di più, perché l'abbondanza delle cose che vi potrei dire produce il solito effetto del troppo, cioè ch'io non so scegliere nè determinare quello che più convenga di scrivere. Parlando a voce, ogni cosa avrà il suo luogo. Sono anche molto occupato, perché questi signori non mi permettono di lasciare gli studi; anzi ho dovuto più scrivere in un mese, ch'io non era solito di fare in due, e mi conviene anche usare più d'una lingua; il che è fuori affatto della mia consuetudine. Mi raccomando alla fortuna ch'io non dica e scriva più spropositi che parole. Addio: guardatevi da questo diabolico inverno, e per amor mio cacciate alla meglio i pensieri malinconici. Vi ringrazio della descrizione che mi fate del nuovo tomo Giordani. Io non l'aveva ancora veduto. Di nuovo stammi allegra, ché te ne prego; e io vedo per esperienza propria e certissima, che l'allegria e la melanconia sono frutti d'ogni paese.



4.

28 Gennaio


Cara Paolina.

La tua lettera m'è stata molto gradita, come sempre mi saranno quelle che mi scriverai, ma mi dispiace pur molto di sentirti così travagliata dalla tua immaginazione. Non dico già dalla immaginazione, volendo inferire che tu abbi il torto, ma voglio intendere che di lì vengono tutti i nostri mali, perché infatti, non v'è al mondo nè vero bene, nè vero male, umanamente parlando, se non il dolore del corpo. Vorrei poterti consolare, e proccurare la tua felicità a spese della mia; ma non potendo questo, ti assicuro almeno che tu hai in me un fratello che ti ama di cuore, che ti amerà sempre, che sente l'incomodità e l'affanno della tua situazione, che ti compatisce, che in somma viene a parte di tutte le cose tue. Dopo tutto questo non ti ripeterò che la felicità umana è un sogno, che il mondo non è bello, anzi non è sopportabile, se non veduto come tu lo vedi, cioè da lontano; che il piacere è un nome, non una cosa; che la virtù, la sensibilità, la grandezza d'animo sono, non solamente le uniche consolazioni de' nostri mali, ma anche i soli beni possibili in questa vita; e che questi beni, vivendo nel mondo e nella società, non si godono nè si mettono a profitto, come sogliono credere i giovani, ma si perdono intieramente, restando l'animo in un vuoto spaventevole. Queste cose già le sai, e non solo le sai, ma le credi; e nondimeno hai bisogno e desideri di vederle coll'esperienza tua propria; e questo desiderio ti rende infelice. Così accadeva a me, così accade e accaderà eternamente a tutti i giovani, così accade agli uomini ancora e agli stessi vecchi, e così porta la natura. Vedi dunque quanto io sono lontano dal darti il torto. Ma io voglio che per amor mio tu facci qualche sforzo, ti approfitti un poco della filosofia, proccuri di rallegrarti alla meglio, come io so per lunga esperienza che si può fare anche nel tuo stato, niente meno che in qualunqu'altro. E finalmente non voglio che ti disperi; perché dentro un giorno può svanire la causa delle tue malinconie, e questo è probabilissimo che avvenga; anzi è facilissimo; anzi, andando le cose naturalmente, è certissimo. Quello ch'io potrò per te, devi credere che lo farò. Intanto divèrtiti.

Credi tu ch'io mi diverta più di te? No sicurissimamente.

Eppure in questi ultimi giorni ho fatto, e seguo a fare, una vita molto divagata. Ma tieni per certa questa massima riconosciuta da tutti i filosofi, la quale ti potrà consolare in molte occorrenze; ed è che la felicità e l'infelicità di ciascun uomo (esclusi i dolori del corpo) è assolutamente uguale a quella di ciascun altro, in qualunque condizione o situazione si trovi questo o quello. E perciò, esattamente parlando, tanto gode e tanto pena il povero, il vecchio, il debole, il brutto, l'ignorante, quanto il ricco, il giovane, il forte, il bello, il dotto: perché ciascuno nel suo stato si fabbrica i suoi beni e i suoi mali; e la somma dei beni e dei mali che ciascun uomo si può fabbricare, è uguale a quella che si fabbrica qualunqu'altro.

Forse, volendoti consolare, t'avrò annoiata con tanta filosofia. In ogni modo stammi più allegra che puoi, ed aspettami, ch'io ti consoli a voce; se pur già a quell'ora non sarai consolata dalla fortuna. Saluti ai genitori, ai fratelli, a Carlo in particolare. Io sto bene, e ti amo.

Addio.



5.

19 Marzo 1823.


Cara Paolina.

Scusate la tardanza della risposta alla vostra graziosissima dei 3, la quale ruppe il silenzio che tutti mi avevate tenuto per cinque ordinarii, o piuttosto la negligenza de' postieri lo aveva fatto parere. So che vi siete maravigliata di me con Marietta, e avete ragione di maravigliarvi, perché sapete quanto vi voglio bene, e non potete credere ch'io lasci di scrivervi per mia volontà. Ma v'assicuro che in questi giorni sono stato occupato in modo da non esser padrone del mio tempo. La modestia è sempre amabile; ma pure con un fratello, con cui si lasciano da parte tutte le cerimonie, si può fare anche a meno, se non della modestia, almeno dell'umiltà. In somma, volendomi bene come fate, e volendovene io tanto, quanto non potete ignorare, voglio che d'ora innanzi escludiate dalle vostre lettere tutte quelle espressioni che nell'ultima vostra sono contrarie alla confidenza che dovete avere in un fratello ed amico, vissuto con voi da che nasceste. Circa l'affare di Roccetti è verissimo che a me pare che vi convenga. È anche vero che Roccetti è un giovane come tutti gli altri. Ma, mia cara, si può ben credere, anzi è quasi certo, che un giovane di talento, com'è Roccetti, dopo essersi divertito assai, com'egli ha già fatto, e dopo essersi annoiato della galanteria, come a tutti accade, senta il bisogno di una che lo ami da vero, e che unisca alla gioventù il buon cuore e la capacità del sentimento. S'egli ha questo desiderio, com'è naturalissimo in un par suo, nessuna potrebbe soddisfarlo meglio di voi che siete sensibilissima, che sapete amare, che siete istruita al di sopra di quattro quinti delle vostre pari. E dall'altra parte, avendo egli questo desiderio, l'animo suo sarebbe ottimamente disposto ad esservi buon compagno, e così questo partito converrebbe anche a voi. Non dico già che in tal caso non dovreste aspettarvi da lui nessun tratto di gioventù. Ma son certo che si guarderebbe di offendervi, che non vi recherebbe volontariamente nessun dispiacere, che proverebbe pena se credesse di averne proccurata a voi, che in una parola o sarebbe sempre vostro, o mostrerebbe sempre di esserlo, e tornerebbe presto e veramente a voi, quando anche l'animo suo se ne fosse mai allontanato per qualche momento. Dite al Papà e a Carlo che ho ricevuto le ultime loro dei 13 e dei 14, e che ho scritto all'uno e all'altro cogli ultimi due ordinarii. Dite a Carlo che Donna Marianna ha ricevuto la sua musica, e lo ringrazia; che ne ha parlato in tavola, e che il Zio Carlo ha detto di volerla sonare anch'esso.


Quanto allo spartito non ho detto niente, e però giungerà nuovo. La Dionigi, di cui mi domandate, è una schifosissima, sciocchissima, presuntuosissima vecchia che m'ha veduto una o due volte in casa sua, e non mi ci vedrà più finché vive.

Lucrezia è veramente molto amabile, e d'un tratto facilissimo, senza affettazione, che obbliga tutti e non distingue nessuno. Ci fui col Zio Momo appena arrivato. Mi disse che sperava di rivedermi qualche volta presso di lei.

Tornai di là ad alcuni giorni, e da un'anticamera esteriore sentii un bell'accoglimento che mi fece il marito nel ricevere l'ambasciata. Lucrezia mi trattò con ogni possibile finezza, ma io ho sempre osservato il proponimento che feci di non tornarci mai più. Addio cara Paolina mia. Stammi bene, e non ti curare d'essere una gamba mia, come dici, ché adesso ti converrebbe di faticare bestialmente, e di mandare ogni giorno al diavolo le selci e i fanghi e l'eternità delle strade di questa città eterna. Io t'amo. Salutami tutti, e particolarmente la Mamma e Luigi. Dì anche una parola per me a D. Vincenzo. Marietta ti saluta, e credo che ti scriva.



6.

19 Aprile


Cara Paolina.

Vi ringrazio assai della confidenza che mi mostrate raccontandomi le vostre pene d'animo. Che mi preghiate ad interessarmi per voi, quantunque sappiate ch'io non ho bisogno d'esser pregato per questo effetto; lo considero come un segno che vogliate essermi grata anche di quello ch'io debbo farvi per obbligo. Sappiate dunque che direttamente o indirettamente, voi in realtà siete stata proposta al Cav. Marini, e che questo non si è mostrato niente alieno dall'aderire a questo partito, anzi ha lasciato vedere di esservi piuttosto propenso; e che in somma è verissimo tutto quello che io scrissi al Papà nelle lettere che avete lette. È vero ancora che il Cav. ha per le mani un altro partito: e perciò ha detto a Melchiorri che gli era necessario un pretesto o un'occasione per abbandonarlo: ma questo pretesto e questa occasione son facili a trovarsi, se il Cav. vorrà: ed io ho ragione di credere che lo voglia. Intanto io non posso sapere qual risposta precisa egli abbia dato alla persona che gli ha fatto la proposta relativa a voi. Il Zio Carlo non me ne ha detto niente: son certo però che il Cav. non ha dato una ripulsa; piuttosto avrà preso tempo; ed io son bene informato delle disposizioni posteriori del Cav., come ho scritto al Papà, e come avete veduto. La dote che il Cav. dà alla figlia, non sono 14 mila scudi; ma 18 mila, come io scrissi, e come so di certo; anzi si stenderà, bisognando, fino a 20 mila. Secondo tutti i ragguagli ch'io ho, non è vero che il Cav. voglia rifarsi di questa dote con quella della futura sua sposa. Ma il Zio Carlo, come sapete, è mutabile, e vuole e disvuole un poco troppo presto. Sicché non dovete maravigliarvi se questo trattato che da principio gli parve bellissimo e facile, dopo due settimane gli è sembrato sconveniente e impossibile. La conchiusione è, che l'affare sta presentemente in quel medesimo piede che potete rilevare dalle mie lettere passate. Il Papà coll'ultimo ordinario non mi ha scritto. Mostrategli questa lettera.


S'egli crederà che parli io medesimo al Cav. e lo stringa in modo da trarne qualche risposta concludente, lo farò subito. In caso diverso, l'affare, anche nell'assenza mia, starà molto bene in mano di Melchiorri, il quale da una parte è così intrinseco del Cav. che questo, poco fa, l'aveva incaricato di trovar moglie a lui, e marito alla figlia, dall'altra parte è impegnatissimo per il Papà, per voi, e per me, e lo sarà molto maggiormente quando si trovi autorizzato a trattare il negozio.

Tutto ciò sia detto per vostra consolazione, e perché questa è la verità. Ma, cara Paolina mia, non posso dissimulare che lo stato dell'animo vostro, e il turbamento e l'agitazione che mi dipingete nella vostra lettera, mi fa troppa compassione, anzi arriva a parermi un poco riprensibile. Che voi piangiate e vi disperiate perché? perché avete concepito una grande speranza, non è intieramente degno di voi, e non s'accorda colle lezioni che avete ricevuto dai libri, e da quel poco di lumi che i vostri fratelli per la propria esperienza, v'hanno potuto dare, e v'hanno dato. La speranza è una passione turbolentissima, perché porta con sè necessariamente un grandissimo timore che la cosa non succeda; e se noi ci abbandoniamo a sperare, e per conseguenza a temere, con tutte le nostre forze, troviamo che la disperazione e il dolore sono più sopportabili della speranza. Lasciamo stare che quando anche voi foste già qui, moglie del Cav. Marini, ricca, divertita, vedreste che questo stato (al quale forse giungerete) non valeva poi la pena di tanti palpiti. Ma poniamo ancora, che il medesimo sia la più gran felicità che si possa immaginare: io v'assicuro, Paolina mia, che se noi non acquistiamo un poco d'indifferenza verso noi stessi, non possiamo mai, non dico esser felici, ma neppur vivere. Bisogna che vi lasciate un poco portare dalla volontà della fortuna, e che sperando, non vi profondiate tanto nella speranza, che non siate pronta a quello che può succedere:

altrimenti, anche andando le vostre cose a vele gonfie, vi martirizzerete da voi stessa in modo, che prima d'ottenere quello che avrete sperato, sarete passata per un vero purgatorio. Direte ch'io vi sono sempre intorno colla filosofia. Ma mi concederete che questa non mi è stata insegnata nè dai libri nè dagli studi nè da nessun'altra cosa, se non dall'esperienza: ed io vi esorto a questa filosofia perché credo che vi abbiate i miei stessi diritti e la mia stessa disposizione.

Se mi volete bene, fatevi coraggio e armatevi d'un poco di costanza. Salutatemi tutti. Non dubitate del mio impegno per voi. Aspettatemi fra poco, e intanto spazzatemi la casa dalla malinconia. Saluti del Zio Carlo alla Mamma e al Papà.


Addio addio.




7.

Paolina mia.

Mi rallegro con te, ma di poco buona voglia, perché al mio ritorno o sarai già partita o vicina a partire, e così non ti potrò raccontare tante storielle, tante avventure, tante osservazioni filosofiche, antropologiche ec. fatte in questo mio viaggio verso il polo, e che io metteva in deposito per farti passare almeno quattro inverni, come ne hai passati due colle mie chiacchiere romane. E sappi che quelle erano una bagattella a paragone di queste; sicché perdi molto; ma pazienza.


Intanto sappi che io continuo a credere che tu potrai essere felicissima con questo sposo, specialmente se persisterai nelle tue massime filosofiche, e ti riderai delle ciarle e degli uomini, per i quali credi a me che non torna conto di perdere un quarto d'ora di sonno. Sappi ancora che io t'amo come prima, che non era poco, e forse anche più di prima, che non è la cosa più facile. Giordani a Bologna mi avrà dimandato di te e di Carlo almeno venti volte, e se vi avevo scritto, e se vi avevo salutato a suo nome, e se vi avevo detto tante cose per parte sua. Poi a Parma, dove l'aspettai alla locanda fino a mezza notte, mi tornò a domandare le stesse cose, e se voi altri mi avevate risposto. Il giorno dopo ricevuta la lettera ultima del Papà, ebbi l'altra dei 19. Ma sappiate che qui le stampe si pagano poco meno delle lettere, e poi sono soggette a mille malanni di censura ec., sicché non vi servite più di questo spediente. Bensì scrivetemi in carta piuttosto fina, perché se il foglio è un po' grosso, qui si raddoppia subito il prezzo della lettera, e invece di diciotto soldi austriaci, si pagano trentasei, com'è succeduto a me qualche volta.

Salutami Luigi e Pietruccio. Dì a Mamma che mi voglia bene.

Salutami anche nominatamente il Curato e don Vincenzo.

Addio, addio. Voglimi bene. Sono invitato a Varese dal Conte Dandolo, figlio del Senatore, signorino che non mi piace niente. Varese è il Versailles di Milano, distante di qua trenta miglia. Forse sarò costretto ad andarvi per qualche giorno: in tal caso potrebb'essere ch'io ritardassi qualche poco la replica a quella che voi altri mi risponderete. Ve ne avviso perché non ne stiate in pena.



8.

Bologna 10 Ottobre 1825.


Paolina mia.

Tu scrivi colla tua solita sensibilità, e mi consoli in tre modi; perché mostri di volermi tanto bene, perché mi persuadi che la sensibilità si trovi al mondo, perché risvegli la mia ch'è pur troppo addormentata come tu sai, non verso te in particolare ma verso tutto l'universo.

Se tu pensi a me in Recanati, non credere ch'io sia tanto distratto in Bologna, e fossi anche in Parigi, ch'io non pensi a te ogni giorno. A proposito di Parigi, sappi ch'io sono venuto da Milano a Bologna con tre francesi, e da Bologna a Milano era andato con due inglesi. Vedi quanta materia di osservazioni e di racconti per le nostre serate d'inverno, perché ti puoi immaginare con quanta dimestichezza e intimità si viva coi suoi compagni quando si viaggia, e però quanto campo io abbia avuto di osservare i costumi e i caratteri di quei signori. Aspetto qui Giordani a momenti, e già gli ho scritto del tuo sposalizio concluso.

Dammi pur sempre le notizie del giorno di Recanati, che ho moltissimo piacere di sentirle, perché mi son fatto curioso assai più di prima. Dà un bacio per me a Pietruccio, e mille alla Mamma, alla quale raccomanda di aversi cura. Salutami caramente Luigi, e pregalo per me che mi scriva due righe, dove mi dia le sue nuove. Finisco perché sono le dodici.

Addio, mia cara, addio addio. Procurerò di aver nuove d'Angelina.




9.

Bologna 23 Novembre 1825.


Paolina mia.

Ti ringrazio tanto delle cure che ti sei prese per farmi piacere. Quello che dico a Carlo, dico anche a te, che tu mi torni a scrivere quello che conteneva la lettera perduta. Giordani, che è tornato a Firenze, saluta te e Carlo carissimamente. Dì a Mamma che io vorrei scrivere al Zio Ettore, solamente per salutarlo; ma che se gli mandassi la lettera direttamente, dubito che qualcuno gliela riterrebbe, perché di un'altra che già gli scrissi non ebbi mai risposta. Domanda dunque a Mamma se crede bene che io accluda la lettera a voialtri. Salutami tanto Luigi e Pietruccio; anche D. Vincenzo, ti prego, non te ne scordare.

Già sai quanto ti amo. Dammi le tue nuove. Avrete già fatto la festa della Madonna, e io non mi ci sono trovato. Ti assicuro che ci pensai e mi dispiacque. Pazienza.

Addio, addio.




10.

9 Decembre


Paolina mia.

Ringrazia tanto e poi tanto la Mamma del suo caro dono, che io conserverò come una reliquia e dille che la consolazione di vedere il suo carattere per me è stata tanta, che quasi dubitavo di travedere. Salutala poi mille milioni di volte per parte di Angelina, che saluta anche Babbo e te e Carlo e Luigi quanto si può mai salutare al mondo. Qualche settimana fa, passeggiando per Bologna solo, come sempre, vidi scritto in una cantonata Via Remorsella. Mi ricordai d'Angelina e del numero 488, che tu mi scrivesti in una cartuccia la sera avanti la mia partenza. Andai, trovai Angelina, che sentendo ch'io era Leopardi, si fece rossa come la Luna quando s'alza. Poi mi disse che maggior consolazione di questa non poteva provare, che sogna di Mamma ogni notte, e poi centomila altre cose.


Di salute sta benissimo, ed è ancora giovanotta e fresca più di me; colorita assai più di prima. Ha un molto bel quartiere, e fa vita molto comoda. È stata poi da me più volte col marito, che al viso, agli abiti e al tratto, par proprio un Signore. Mi hanno invitato a pranzo con gran premura, e ho promesso di andarci. Mangerò bene assai, perché si tratta di un bravo cuoco, e da quel che mi dice Angelina, ogni giorno fanno una tavola molto ghiotta. Oggi vado a portarle un Sonetto che mi ha domandato per Messa novella. Puoi credere che ogni volta che mi vede, mi domanda della Mamma, di cui non può finir di parlare, e di voi altri. - Salutami tanto Luigi e Pietruccio, a cui dirai che aspetto che mi scriva, e che Setacci mi ha parlato molto del suo bel portamento nel nuovo abito. Dammi nuove di Zio Ettore, e salutalo da mia parte se lo credi opportuno. Io, come dico a Carlo, sto meglio assai assai. Ma tu non mi dici niente di te: non mi piace: da qui avanti non mi scriver mai senza darmi le tue nuove, e informarmi dei tuoi affari.

Addio, mia cara: voglimi bene: salutami anche D. Vincenzo.



11.

Bologna 19 Dicembre 1825.


Paolina mia.

Farò le parti vostre e di Mamma con Angelina, alla quale ho promesso di andare a pranzo in casa sua la terza festa di Natale. Sono molto contento delle nuove migliori che mi dai di Zio Ettore, il quale saluterai tanto per me. Dì a Babbo ch'io non risposi alla sua letterina dei 7 del corrente, perché credetti che a quell'ora avrebbe ricevuta una mia scrittagli poco prima, dove gli parlai delle notizie datemi da Bunsen circa il mio promesso impiego ec. Sappimi dire se la ricevette o no. Ti scriverò poi un'altra volta distintamente sopra quello che tu mi dici di te. Intanto non lasciare di darmi le tue nuove, e cerca di stare allegra per amor mio. Dì a Carlo che mi saluti Puccinotti, e che gli dica che mi dispiace assai di sentire che ci voglia lasciare. Mi ricordo che Mamma aveva in una tazzetta o catino un certo tabacco che a Babbo non serviva. Se mai capitasse qualche occasione, e che me lo potesse mandare, mi farebbe un gran piacere, perché qui è proprio una pena a trovar tabacco sano e che faccia per me.

I teatri di Bologna io non so ancora come sieno fatti, perché gli spettacoli mi seccano mortalmente; sicché ho preferito di essere gentilmente messo in burla dalle signore che mi hanno invitato ai loro palchi, e dopo aver promesso di andare e mancato di parola, ho detto francamente a tutte che il teatro non fa al caso mio. La bella è che il muro della mia camera è contiguo al teatro del Corso, talmente che mi tocca di sentir la Commedia distintamente, senza muovermi di casa. Conosce Carlo un certo Tommasini di Castelfidardo, primogenito di un Tommasini che ha la podagra, vero paesettaro di tratto, e che pure ha la temerità di farsi passare qui per Conte? È venuto poco fa per affari, e il diavolo l'ha portato a mettersi a stare a dozzina presso i miei stessi ospiti. Mi dice che la sua famiglia è aggregata alla nobiltà di Recanati, e mi rompe sempre la testa colle sue goffaggini.

Sapete che compagnia comica abbiamo qui per Carnevale?

Quella che avemmo a Recanati per San Vito del 24, cioè Villani, Fracanzani ec. Addio, Paolina mia. Dì a Mamma quante cose puoi credere che le direi io se potessi parlarle, o parlandole esprimere quello che io sento.

Voglimi bene e scrivimi. Addio con tutto il cuore.



12.

Bologna 1 Marzo 1826.


Paolina mia.

Finalmente rivedo il tuo carattere, che tu sai già quanto mi sia caro. Oggi stesso ricevo la tua lettera, e oggi rispondo; sicché Mamma non si maraviglierà se insieme con questa non vede il velluto; ma assicurala che farò il possibile per servirla presto e bene, e salutala e baciale la mano per parte mia quanto più caramente saprai.

Ti ringrazio tanto delle nuove che mi dai del paese, e ti ripeto che mi sono molto care, e che desidero che tu me ne scriva spesso. Io non sono mai stato in Firenze, ch'io me ne sia accorto, e puoi credere che non avrei avuto nessun motivo di farvene un mistero. Bensì quest'autunno ebbi intenzione e occasione comoda di darvi una scorsa, ma ci dovetti rinunziare perché il viaggio sarebbe stato un veleno per la mia indisposizione. È vero che quest'inverno, sebbene sono uscito ogni giorno, ho fatta vita ritirata, per la solita pigrizia che il freddo mi mette addosso; ma Ricci vi parla di questo Novembre, quando io stava sempre col serviziale alle coste, nel quale stato vedete bene ch'io non poteva fare una vita molto dissipata. Del resto non date mente a Ricci, ch'è un bonissimo giovane, ma non capisce niente, ed è un imbroglione, e soprattutto un terribile seccatore, tanto che qui, per levarmelo d'attorno fui obbligato a dar ordine che gli dicessero ch'io non era in casa, dove veniva ogni terzo giorno a pregarmi che gli facessi far figura nel mondo letterario. Salutami tanto Carlo, e digli che mi scriva. Dimmi poi qualche cosa di Luigi; e Pietruccio come studi e come si porti nel suo nuovo abito, nel quale sono impaziente di vederlo. Giordani è un gran pezzo che non mi scrive e che non scrive più a nessuno, perché si è fatto il più pigro e divertito uomo del mondo.

Quanto all'esemplare delle mie operette, non dubitare, che tu ne avrai per te ed in tua proprietà esclusiva senza associarti. Io non sogno di te, perché tu sai che fuori di Recanati io non sogno mai, (cosa che mi fa maraviglia, però verissima); ma penso a te vegliando, e ti amo, se è possibile, ogni giorno più. Ma che vuol dire che non mi dài nessuna nuova di te? Tu ti sei scordata una parte essenziale, e però ti condanno a tornarmi a scrivere, e dirmi tutti i fatti tuoi. Vedendo la Zia Mazzagalli e le Cugine, salutale, si bon te semblera. Salutami anche il Curato e D. Vincenzo. Addio, Paolina mia. Non ti dico altro, perché se volessi rispondere alle tue espressioni affettuose, e spiegarti i sentimenti ch'io ho per te, non troverei parole da tanto, e credimi, che non saprei come esprimermi.



12.


Paolina mia.

Un velluto perfettamente simile alla mostra non si è potuto assolutamente trovare in Bologna, e se non credi a me, credi ad Angelina, che sai bene che se ne intende, la quale per farne ricerca ha girato inutilmente venti botteghe. Ti mando certe mostre di velluti che si accostano al colore di cotesto. Se Mamma crede che qualcuno di questi faccia a proposito, rimandami quella tal mostra, e Mamma sarà servita subito per la Diligenza. Saluti a tutti.

Addio addio.



13.

Bologna 17 Marzo 1826.


Cara Paolina.

Ringrazia tanto e poi tanto per mia parte Babbo e Mamma dei nuovi regali che mi mandano, i quali serviranno ad accrescere l'onore che mi son fatto qui coi fichi e coll'olio, di cui non si finisce di dire il gran bene. Ringrazia poi Babbo in particolare delle notizie che mi dà di S. Gerio, il quale io non mi era accorto che fosse il medesimo che S. Girio. L'affar di Urbino non è combinabile, perché una Cattedra veramente non fa per me, che ho poca o nessuna voglia di faticare. E poi, a dirtela così in confidenza, una cattedra di provincia che sarebbe di convenienza d'un letterato mio pari oltre che l'emolumento sarebbe una miseria. Rallègrati da mia parte con Carlo del taglio de' suoi favorevoli e digli che non erano più di moda, e che non solo gl'inglesi ma anche i francesi, donne e uomini, che viaggiano in Italia, si ridono, come ho sentito io stesso, degl'italiani che li portano. Se per rassomigliarmi a Carlo non ti pare che mi manchi altro che la grassezza, consolati che io m'accorgo, e tutti con meraviglia mi dicono, che mi sono ingrassato moltissimo; e non so come, che non mangio oramai più niente, benché stia però bene. Angelina, che saluta tanto Mamma, Babbo, te e tutti, desidererebbe di avere le fedi del battesimo di due suoi fratelli nati costì, uno dei quali dee prender moglie a momenti, ma non può sposare senza questa fede. Mi ha dato i nomi ec. in una cartina che ti copio qui esattamente.

Attenzione, alli 17 genajo 1799 nacque Antonio figlio di Adamo (come siamo tutti) Jobbi e Metilde Alesandrini.alli 8 febrajo 1801 nacque Giovanni; figlio come sopra, sotto (sopra e sotto) la parochia S. Agostino di Recanati e il parocho mala zampa. Prega poi di essere avvisata della spesa che sarà occorsa. Salutami tanto Luigetto e Pietruccio, e quanto al libro, permettimi di stare a vedere qualche momento se il Governatore te lo restituisce, perché non me ne è restata che una copia, la quale però non darò via fintanto ch'io non sappia la restituzione, e questa non accadendo, te la manderò. Paolina mia cara, quanto io t'ami, e quanto desiderio abbia di vederti contenta e soddisfatta, e quanto volentieri farei tutto quello che io potessi per questo effetto, tu te l'immagini bene. Séguita a darmi le tue nuove, e bacia la mano a Babbo e a Mamma per me. Aspetto la lettera di Carlo dal vetturale. Salutami il Curato e Don Vincenzo, e dà loro a mio nome la buona Pasqua, ch'io passerò senza uovi tosti, senza crescia, senza un segno di solennità.

Voglimi bene: ti abbraccio: addio, addio.


Avanti ier sera fu in casa per vedermi, ma non mi trovò, Peppe Melchiorri, che se ne va trionfando e galoppando a Parigi, corriere straordinario del Governo a un cardinale di cui non ho capito il nome che mi ha lasciato scritto.



14.

1° Maggio 1826.


Cara Paolina

Ho ricevuto il pacco, la scatola e la tua lettera dalla buona Bosi ch'è stata da me due volte.

Ringrazia tanto e poi tanto Mamma e Babbo dei formaggi, e Babbo poi in particolare della molto bella scatola, che ho messa subito in uso. Babbo mi scrive di proccurar qui un poco di musica per Luigi. è vero che io sto in casa di due Ex-Cantanti, già famosi, che al loro tempo hanno girata mezza Europa; ma presentemente non pensano più alla musica, e certo non hanno niente a proposito per Luigi, perché alla musica istrumentale non hanno atteso mai, conservano pochissime carte, e che a quest'ora sono antiche. Nondimeno io mi trovo veramente tra la musica, perché qui in Bologna, cominciando dagli orbi, tutti vogliono cantare o sonare, e c'è musica da per tutto. Facilmente troverò qualche cosa da poter mandare a Luigi perché la ritenga, e non già per copiarla e poi rimandarla, che questo sarebbe impossibile, giacché qui ciascuno è geloso della sua musica come a Recanati. Ma intanto bisognerebbe sapere se Luigi desidera delle sonate per flauto a solo, o per flauto con accompagnamento di uno o più flauti, o di pianoforte, o d'orchestra piena ec. Mi specifichi il genere delle sonate, ed io ho qui chi m'insegnerà il modo di servirlo alla meglio. Le cose ch'io ti mando insieme con questa mia, le mando per non saper che mandare, non avendo ancora niente di quello che si stampa a Milano del mio. Darai a Carlo i due manifesti del Cicerone, e lo saluterai carissimamente per parte di Gaetano Melchiorri, che mi comparve l'altro giorno in camera all'improvviso. Già s'intende che lo saluterai senza fine per parte mia, e così Luigi e Pietruccio; e che bacerai la mano per me a Babbo e a Mamma. Salutami anche il Curato e Don Vincenzo. Se io ti voglio più bene? Che domanda! domandami piuttosto se ti posso voler più di bene.

Qui non è Maggio, ma Gennaio, e già da quindici giorni io son ritirato dal mondo, maledicendo Bologna e chi l'ha inventata. Oh qu'heureux que je suis! non ti pare?

Addio addio.



15.

Bologna 23 Giugno 1826.


Paolina mia.

Ti mando il primo tometto del Petrarca. Ne sto aspettando altri due, e te li manderò. Gli altri usciranno a momenti, perché il mio lavoro è ormai finito.

Vedrai che sorte di fatiche toccano alle volte ai poveri letterati. Ma questa per me è la prima e sarà certamente l'ultima di questo genere; e non avrei fatta neppur questa se non mi ci fossi obbligato con una parola data inconsideratamente, che mi ha fatto disperare. Pure me ne sono cavato più presto ch'io non credevo.

Vo sempre sospirando il momento di riveder Recanati, che sarà certamente presto, piacendo a Dio. Qui si fa continuamente un ammazzare che consola: l'altra sera furono ammazzate quattro persone in diversi punti della città. Il governo non se ne dà per inteso. Io finalmente sono entrato in un tantin di paura; ho cominciato ad andar con riguardo la notte, e ho cura di portar sempre danaro addosso, perché l'usanza è, che se non vi trovano danaro, vi ammazzano senza complimenti. Salutami quanto più puoi Babbo, Mamma e i fratelli. L'altro giorno il marito di Angelina mi disse che D. Rodriguez è ancora vivo, ma che poco può durare. Tu come stai di salute? come sta Babbo e Mamma? come stanno i fratelli? Pietruccio che fa? non ti rincresca di entrare in dettagli minuti quando mi scrivi, e d'informarmi di ogni cosa della mia cara famiglia. La mia salute migliora molto, grazie a Dio, coll'estate: finalmente sono arrivato a potere andar di corpo senza pillole; cosa che mi pare una maraviglia, perché da Ottobre in qua non mi era stata mai possibile; e le pillole mi guastavano lo stomaco orribilmente. Salutami tanto D. Vincenzo e il Curato. Addio, Paolina mia. T'amo quanto tu sai. Giordani saluta tanto te e Carlo.



16.


Paolina mia.

Giorni sono ebbi lettera di Luigi Zacchiroli che mi pregava a mandargli copia di un capitolo del fratello sopra la nascita di G.C., stampato in un tomo del Parnaso Italiano, dicendomi che Babbo, al quale egli si era rivolto, gli aveva scritto che quel tomo era in mano mia. Di' a Babbo che veramente io non l'ho, come non ho altro libro di casa, se non il dizionario inglese del Baretti, i quaderni dello Spettatore che voi mi mandaste, e le poesie varie del Monti. Mi pare che tu copiassi un'altra volta quel capitolo per Zacchiroli: non so quante copie gliene bisognino. Non aver paura degli assassini per me; sta' sicura che nessuno, coll'aiuto di Dio, avrà l'ardire di assassinarmi, perché io mi guardo con una prudenza ammirabile. Il Petrarca me lo pagherai quelle lire che mi costa. Salutami quanto puoi Babbo e Mamma, la quale si accerti che non tarderò un momento a farle sapere di D. Rodriguez, se ci sarà niente di nuovo. Angelina ha da qualche tempo l'intendenza della mia biancheria. Salutami Luigi, abbracciami Pietruccio. Giordani vi saluta tanto, te e Carlo. Ricordami al Curato e a D. Vincenzo.

Addio, addio.




17.

Bologna 16 Agosto 1826.


Paolina mia cara cara.

Mi affligge proprio profondamente il sentire che Babbo e Mamma e voi altri siate stati in pena per me. Credimi che io non sono stato in minore inquietudine, non vedendo risposta alle ultime mie. Il secondo di Agosto fui obbligato, quasi mio mal grado, a partire per Ravenna, e questa è la cagione del ritardo della mia risposta alla tua 29 Luglio. Spero che Babbo a quest'ora avrà ricevuta la mia dei 9. Mostragli la presente, e scusami tanto tanto con lui del mio silenzio passato, che è proceduto da continui imbarazzi, e dall'aspettar riscontro da voi altri. Son tornato qua il 13, e, grazie a Dio, sto bene. Crederai tu che la lettera di Mercuri che tu mi mandi, è la primissima nuova ch'io ho della mia nomina? Un pezzo fa, mi fu proposto per parte del Segretario di Stato il posto di Vicerettore dell'Università di Roma, coll'obbligo di supplire a tre Cattedre in caso d'impedimento degli attuali Professori (uno dei quali è malato abitualmente); e poi di vestir da prete. Risposi ringraziando tanto, e rifiutando. Ora aspetterò da Roma qualche schiarimento sopra questo nuovo posto, e scriverò a Babbo tutto quello che ne saprò. Che meraviglia che i francesi parlino di me a Sinigaglia? Non sai tu ch'io sono un grand'uomo; che in Romagna sono andato come in trionfo; che donne e uomini facevano a gara per vedermi? Fuor di burla, io spasimo di trovarmi di nuovo fra voi altri, e non aspetto altro che la fine del caldo per mettermi in viaggio.

Nell'andare e tornare da Ravenna (distante di qua come Pesaro da Recanati) ho sofferto tanto dal caldo (benché, grazie a Dio, non mi abbia fatto male) che non ardirei più di muovermi prima del fresco. Per amor di Dio, scrivimi subito, che Carlo e Luigi sono tornati da Sinigaglia sani e salvi. Salutameli tanto, e bacia la mano teneramente per me a Babbo e a Mamma. Farò la tua parte con Angelina.

Addio addio.



18.

Bologna 20 Settembre 1826.


Paolina mia.

Ieri ricevetti la lettera del Papà in data dei 12 e l'altro ieri avevo ricevuta quella degli 11, insieme col baule e coi formaggi, tutto ricapitatomi puntualmente a casa. Ringraziane Babbo in mio nome tanto e poi tanto, senza fine. Lo attendo, per partire, di avere terminata la correzione di una stampa, di cui ricevo le prove da Milano, e che è oramai a buon termine. Angelina saluta tanto Mamma, Babbo e voi altri. Sta sul punto di partorire, e ha qualche doglia ogni giorno. Ha voluto che io le tenga il figlio o figlia al battesimo, e io (puoi credere con che gusto) non ho potuto fare a meno di acconsentire.

Salutami Babbo, Mamma, Luigi, Pietruccio, Don Vincenzo; e prometti a tutti, e a Pietruccio in particolare, che piacendo al Signore, io sarò costì fra qualche settimana al più tardi. Allora poi ti domanderò conto del tuo silenzio.

Addio addio.



20.

18 Maggio


Paolina mia.

Ho ricevuto la tua e di Carlo dei 5, e poi il Raccoglitore colla tua polizza. Stella già sapeva il mio arrivo in Bologna, ma l'avere spedito il Raccoglitore a Recanati, deve essere stato uno sbaglio del suo Uffizio. La stagione anche qui è ottima, e io mi diverto veramente un poco più del solito, perché grazie a Dio mi sento bene, e perché quest'essere uscito dall'inverno non mi può parer vero, e non finisce di rallegrarmi; e perché gli amici mi tirano. Sono stato all'opera già due volte (l'opera si è avuta finora tre sere), e non mai in platea. Ti ringrazio delle nuove di Monsieur Luc. Le Brighenti ti salutano tanto, e così fa Giordani a te e a Carlo. Di' a Carlo che mi voglia bene. Salutami Luigi.

Abbracciami Pietruccio. A Babbo e a Mamma di' tutto quello che puoi a nome mio. Riveriscimi ancora la Marchesa Roberti: e saluta Don Vincenzo. Puoi credere se mi piace che tu ti ricordi tanto di me, come mi scrivi. Ma credi ancora, che quantunque più distratto, io non mi ricordo di voi altri niente meno. Quando avrò veduto Stella, ti darò notizia di quello che io penserò di fare, e se mi fermerò qui, o se andrò a Firenze, come desidero, e come ho determinato, se non sarà troppo caldo. Amami, Paolinuccia mia, come io t'amo.

Addio addio.

Continuami sempre la gazzetta delle novità di Recanati.




21.

Bologna 18 Giugno 1827].


Paolina mia.

Ti ringrazio propriamente di cuore della tua dei 10, senza la quale sarei stato veramente in pena, non avendo nuova di casa. Non lascia di disturbarmi quello che tu mi scrivi di Mamma. Spero, e prego Iddio, che a quest'ora sia guarita affatto; ma tu fammelo saper subito per amor di Dio. Mi scriverai a Firenze, per dove parto, se a Dio piace, domani, dopo aver veduto Stella, e combinati i nostri affari insieme. Bacerai le mani per me a Babbo e a Mamma, e li pregherai a darmi la loro benedizione. A Carlo, a Luigi, a Pietruccio dirai per me tutto quello che saprai dire e pensare. Da Firenze scriverò poi più quietamente. Le Brighenti ti salutano, e così Angelina, la quale mi ha prestato molti servizi dopo il mio ritorno, come per l'addietro. Come vuoi tu che Setacci e un Prete suo compagno avessero sentito parlare dei fatti miei? - Tu sai, Paolina mia cara, se io t'amo, e quanto. Scrivimi, e dammi le nuove di casa, e di tutti voi altri, e di Mamma in particolare, subito che avrai la presente. Addio, addio.




22.

Firenze 7 Luglio 1827.


Paolina mia.

Ho ricevuto la tua de' 27 Giugno, ed eccomi a darti pienissima informazione de' fatti miei. Vidi Stella a Bologna, si fermò cinque giorni, stette nella mia stessa Locanda, in una camera contigua alla mia; pranzavamo insieme, e facevamo vita in comune; lo accompagnai, lo introdussi dove volle. Da Maggio in qua, mi fa continuare il solito appuntamento; ma degli arretrati brisa. Bensì mi disse che da ora innanzi mi avrebbe fatto pagare al mese più dell'ordinario; ma non disse quanto. Qui mi fanno propriamente la corte perch'io accetti altri partiti; ma volendo e potendo faticar poco, nessun partito mi può convenire come quello di Stella; il quale per conseguenza bisogna ch'io tenga fermo più che posso. Del resto, le dimostrazioni di amicizia e di stima straordinaria che mi fece Stella, e i discorsi che tenne di me con altri, non potevano essere più lusinghieri.

Qui sono alloggiato alla Locanda della Fontana. Si paga assai, e si mangia poco: ma la biancheria si cambia quasi ogni giorno. Dozzine in case particolari si trovano difficilmente, e si pagano un terzo più che a Bologna. Io ricevo molte gentilezze dai letterati fiorentini, o stabiliti in Firenze. Tutti i principali sono venuti a trovarmi. Sono stato a vedere il Cav. Reinhold, ora Ministro di Olanda in Toscana. Egli e la moglie salutano tanto Babbo e Mamma. La figlia, che si è fatta una bella giovane, mi domandò di te e delle Mazzagalli. Si crede che Reinhold sarà presto nominato Ministro degli affari esteri a Brusselles.

Quanto alla salute, io, grazie a Dio, sto bene; eccetto alcuni incomodi senza conseguenza. Il mio mal bolognese non si è più affacciato, neppure in viaggio. Gl'incomodi che ho, sono degli occhi e dei denti; e i denti bisogna farmeli cavare senza rimedio. La malinconia che mi dà questa sciocchezza da un mese in qua, non è credibile.

L'entusiasmo destato da Persiani è verissimo. Ho sentito parecchi intendenti o dilettanti dire che Persiani è un genio straordinario. Tutti ne dicono gran bene, anche per riguardo al suo carattere e alla sua gran probità. Si racconta che l'inverno passato, non avendo danari, e non volendo defraudar l'oste che l'albergasse, passò più notti à la belle étoile. Mi avevano detto che dopo la buona riuscita di quest'opera era stato scritturato per comporre a Napoli: ma l'altra sera la Spada di Macerata, maritata qui nel colonnello Palagi, mi assicurò che ha pattuito di scriver qui altre due Opere dentro un anno, per ottocento scudi. Il bello è, che quando s'impegnò a scrivere il Danao, il patto fu, che se l'Opera non piaceva al pubblico, l'impresario non l'avrebbe pagato. Io non sono stato a sentirla, perché i miei occhi in teatro patiscono troppo.

Ma quanto mi dispiace quello che tu mi scrivi di Mamma.

Mi figuro bene che pena sarà stata per lei, il non potersi muovere. Scrivimi come va il gonfiore della gamba e del piede, e se questo l'impedisce ancora di camminare.

Ringraziala tanto tanto della premura che ha per me, e baciale la mano con tutto il cuore per parte mia.

Giordani mi ha detto più volte, e con grande istanza di salutarti tanto tanto. Così ancora di salutar Babbo, Mamma e Carlo; ciascuno in particolare. Carluccio che fa? come mi vuol bene? salutalo per me; saluta Luigi, Pietruccio e Don Vincenzo. Scrissi a Babbo coll'ordinario dopo il mio arrivo a Firenze: baciagli la mano, e domandagli la benedizione a mio nome. Ti ringrazio della nuova che mi dai di Bunsen: ho avuto piacere di saperla. Sarai servita degli odori. Voglimi bene, perché (se non lo sapessi) io te ne voglio quanto se ne può volere, e penso a voi altri sempre sempre. Addio, Paolina mia.



23.

Firenze 30 Ottobre 1827.


Paolina mia

è un pezzo che non ho nuove vostre, e mi dispiace. Ti scrivo per darti le mie. Qui, grazie a Dio, abbiamo avuto un Ottobre eccellente, un vero autunno, migliore del Settembre e della fine d'Agosto. Io n'ho profittato per passeggiare, e sono stato meglio degli occhi, e molto meglio dei denti. Ho patito un poco di stomaco, perché per paura di farmi male, non mangiavo più quasi nulla; ma ora spero di guarire, perché mi sono ravveduto, e comincio a mangiare con appetito. Quanto all'inverno prossimo, sono oramai deciso di andarlo a passare a Massa di Carrara, che è lontana di quasi 70 miglia; viaggio comodissimo. Quel clima è ottimo, simile al clima di Nizza, e forse migliore di quel di Roma: non vi nevica mai, si esce e si passeggia senza ferraiuolo, in mezzo alla piazza pubblica crescono degli aranci piantati in terra. Del resto la città è piccolissima (benché capitale del Ducato di Massa e Carrara), non vi sono uomini di merito, e il soggiorno è malinconico assai: sicché vedi che io prendo questa risoluzione di andar là, non certo per piacere, ma per l'assoluta necessità in cui mi trovo, di passar l'inverno in maniera, ch'io possa astenermi dal fuoco, e possa uscir molto di casa e far molto moto; per non prendere nell'inverno un malessere, che mi duri poi fino all'inverno seguente. Non partirò da Firenze finché la rigidezza dell'aria non mi caccerà, perché il soggiorno di Massa non m'invita punto. Prima di partire scriverò un'altra volta. E tu che fai? e Babbo e Mamma e Carlo e Luigi e Pietruccio che fanno? Salutami tutti: Giordani saluta tanto tanto te e Carlo. Scrivimi tutte le nuove che puoi. Io ti dirò una cosa vecchia: che voglio bene a te, e a tutti voi altri più che alla mia vita.

Addio, addio.



24.

Pisa 12 Novembre 1827.


Paolina mia.

Ricevetti a Firenze la tua de' 2, la quale puoi figurarti quanto mi fosse cara: io ti aveva scritte già poco prima, stando in grande impazienza di aver le nuove di casa. Ti dissi che sarei andato a Massa, ma i miei amici di Firenze mi hanno fatto determinare per Pisa, città tanto migliore, e di clima tanto accreditato. Partii da Firenze la mattina dei 9 in posta, e arrivai la sera a Pisa, viaggio di 50 miglia. Ieri notte, per la prima volta dopo più di sei mesi e mezzo, dormii fuori di Locanda, in una casa dove mi sono collocato in pensione, a patti molto discreti. Sono rimasto incantato di Pisa per il clima: se dura così, sarà una beatitudine. Ho lasciato a Firenze il freddo di un grado sopra gelo; qui ho trovato tanto caldo, che ho dovuto gittare il ferraiuolo e alleggerirmi di panni.

L'aspetto di Pisa mi piace assai più di quel di Firenze.

Questo lung'Arno è uno spettacolo così bello, così ampio, così magnifico, così gaio, così ridente, che innamora: non ho veduto niente di simile nè a Firenze nè a Milano nè a Roma; e veramente non so se in tutta l'Europa si trovino molte vedute di questa sorta. Vi si passeggia poi nell'inverno con gran piacere, perché v'è quasi sempre un'aria di primavera: sicché in certe ore del giorno quella contrada è piena di mondo, piena di carrozze e di pedoni: vi si sentono parlare dieci o venti lingue, vi brilla un sole bellissimo tra le dorature dei caffè, delle botteghe piene di galanterie, e nelle invetriate dei palazzi e delle case, tutte di bella l'architettura. Nel resto poi, Pisa è un misto di città grande e di città piccola, di cittadino e di villereccio, un misto così romantico, che non ho mai veduto altrettanto. A tutte le altre bellezze, si aggiunge la bella lingua. E poi vi si aggiunge che io, grazie a Dio, sto bene; che mangio con appetito; che ho una camera a ponente, che guarda sopra un grand'orto, con una grande apertura, tanto che si arriva a veder l'orizzonte, cosa di cui bisogna dimenticarsi in Firenze. La gente di casa è buona, i prezzi non grandi, cosa ottima per la mia borsa, la quale non è stata troppo contenta de' Fiorentini: e non vorrei che credeste ch'io fossi venuto qua in posta, come vi ho detto, per fare lo splendido: ci sono venuto con una di queste piccole diligenze toscane, che fanno pagar meno che le vetture.

Salutami tutti; dammi le nuove di tutti: bacia le mani per me a Babbo e a Mamma: e scrivimi, ma scrivimi presto, e dammi tutte le nuove che sai, prima di casa, poi di Recanati, poi della Marca. Di' a Carlo, se mi vuol sempre bene. Aspetto qualche notizia da Bunsen quando egli ripasserà per Bologna questo Decembre. Così siamo rimasti d'accordo. Egli passerà pure per Recanati.

Addio.



25.

Pisa 21 Gennaio 1828.


Paolina mia.

Mi affligge molto l'esser privo da tanto tempo delle nuove di voi altri. Scrissi a Carlo, scrissi poi a Babbo: ma è già più di un mese che non ho lettere di costà. L'Antologia del Brancia arrivò a Bologna, ma della francese non ho più avuto nuova. Scrivimi per carità, o tu, o Carlo: e non lasciar mai passar tanto tempo senza qualche riga vostra. Come state? come vi tratta l'inverno? Qui per quest'anno non ce ne accorgiamo: il Decembre è stato un Marzo, il Gennaio è un Aprile: anche l'aria in certe giornate ha un odore di primavera. Spero che anche voi altri, a proporzione, avrete un buon inverno, perché sento che la bontà della stagione sia generale. Io sto benino, e fo eterne passeggiate di giorno: ma la sera non esco: del che ho molti rimproveri da questi Signori e Signore pisane e forestiere: a tutti i quali ho protestato che non aspettino di vedermi in conversazione fino a Marzo. Ridono del mio poco coraggio, ma io li lascio ridere, e non sono voluto andare neanche alle feste magnifiche date qui (secondo il solito) al Granduca da una delle principali famiglie di Pisa. Addio, Paolina mia: bacia le mani per me a Babbo e a Mamma, e di' tante cose ai fratelli. Scrivimi subito subito.



26.

Pisa 25 Febbraio 1828.


Paolina mia.

Ti ringrazio tanto delle tue lettere 16 gennaio e 15 febbraio, e delle nuove che mi dai di casa e di Recanati. Credimi, che di queste nuove, anche delle più minute, sono proprio ghiottissimo; e che non mi seccano punto, anzi mi dispiace quella tua brevità, e quegli eccetera. Ho avuto molto piacere del negozio del canonicato, ma l'affare del Consiglio mi ha messo un gran mal umore in corpo. Capisco che a Babbo non importerà niente; e va bene: ma questa canaglia recanatese mi fa una gran bile. Anche qui abbiamo avuto due settimane di freddo, ma senza neve. Ora il caldo è tornato, e abbiamo primavera. Crederai che ancora non ho potuto vedere una copia della Crestomazia? Stella già pensa a una seconda edizione, e in Toscana ancora non si trova la prima: tanto sono lente le comunicazioni fra la Toscana e la Lombardia. Io non ho presso di me nessun quaderno dello Spettatore. Prega tanto Babbo da parte mia a scrivermi qualche riga, quando ha tempo; perché mi dà gran pena il non vedere i suoi caratteri da tanto in qua: baciagli la mano per me. Ringrazia infinitamente Mamma di quello che mi fece scrivere da te nella tua penultima. Che fa Carluccio? e perché non mi scrive mai mai? Luigetto? Pietruccio? Io sogno sempre di voi altri, dormendo e vegliando: ho qui in Pisa una certa strada deliziosa, che io chiamo Via delle rimembranze: là vo a passeggiare quando voglio sognare a occhi aperti. Vi assicuro che in materia d'immaginazioni, mi pare di esser tornato al mio buon tempo antico.

Addio, Paolina mia. Salutami Don Vincenzo e il Curato.



27.

Pisa 24 Marzo


Paolina mia

Quanto a Mamiani, sappi che chi per aver libri si rivolge all'autore, li vuole in dono: giacché non è possibile che non sappia che oggi in Italia ogni libro nuovo si trova in ogni città dove sono librai. La Crestomazia non va per associazione. è pubblicata già da più mesi. Se Mamiani la vuole; senza annoiar voi nè me, senza cercare chi la ordini per lui, la ordini egli a Bologna, a Forlì, a Ravenna, dove gli pare, e l'avrà subito. Io lo contenterei volentieri, e gliene manderei una copia in dono, se vi fossero comunicazioni fra la Toscana e la Marca. Ma non ve n'è alcuna, fuorché la posta: e questa è la ragione per cui ancora non mando a voi altri la Crestomazia, che è di due grossi volumi; e non mando anche un bel libro che ho qui preparato per Pietruccio, che già me l'ordinò a Recanati.

Mi ha fatto un gran dispiacere il sentire la malattia della Mazzagalli; e anche quella della Politi. Alla Mazzagalli fate le mie condoglianze sincere per la malattia, e i miei rallegramenti della guarigione, che spero seguita a quest'ora.

Di' a Babbo che ho da fargli un'infinità di saluti. E indovina di chi. Di quel cav. Rossi, aiutante del general Pignattelli ec. Egli sapeva da qualche tempo ch'io era in Pisa, ma non combinava il mio nome con quello della persona che avea conosciuta a Recanati. Io, a caso, mi ricordai di lui, e ne cercai. Egli lo seppe, e allora venne da me. Mi fece mille domande intorno a Babbo, Mamma, e a tutta la famiglia. Mi pregò di salutarli e ringraziarli senza fine per parte sua. E in presenza di altre persone che erano da me, disse con entusiasmo, che non era possibile esprimere le gentilezze che aveva ricevute in casa nostra, e raccontò l'offerta fattagli da Babbo di salvarlo dai Tedeschi in caso di bisogno. So poi che ha fatto il medesimo discorso anche altrove.

Ho qui un altro libro di Pepoli diretto a me; più lungo, ma non più bello. Non ve lo mando, perché credo che vi seccherebbe, come avrebbe fatto a me se l'avessi letto. Già da più settimane, qui non si pensa più al freddo. Io dormo con una sola coperta di filo, e ho caldo: non mi resta che dormire col solo lenzuolo.

Addio, Paolina mia. Bacia la mano per me a Babbo e a Mamma, e salutami tutti.



28.

Pisa 2 Maggio 1828.


Paolina mia.

Tu ti lagni del mio lungo silenzio. Ma io, dopo avere risposto a Pietruccio, ti scrissi poco fa, e ti feci la stessa lagnanza: ora vedo che quella lettera non ti è arrivata. Le nuove che tu mi dài degl'incomodi sofferti da Babbo e da Mamma e da voi altri, benché gl'incomodi, grazie a Dio, siano stati leggeri, mi hanno dispiaciuto molto; anzi mi tengono ancora angustiato; e ti prego per carità, che appena avrai ricevuta questa, mi scriva subito per dirmi che tutti siete guariti perfettamente e state bene. Dimmi ancora se domani sarete andati a fare la vostra solita scampagnata.

Fatti ancora dare la lettera che scrissi a Pietruccio, e rispondi a un'interrogazione che ci troverai. Io, grazie a Dio, non ho avuto mai febbre, come voi altri: la primavera mi ha incomodato e m'incomoda ancora molto, ma non mi ha mai fatto ammalare, e gl'incomodi sono passeggeri. Ma veramente la stagione è stata cattiva ancor qui, non tanto per il freddo, quanto per l'incostanza, e per il caldo fuor di tempo. Qui e in Firenze il terremoto non si è sentito, se non da certi pochi che l'hanno detto dopo che l'han visto annunziato nella gazzetta. Dimmi se costì è stato tanto forte da metter paura. Di' a Carlo che, per baratto di copie della Crestomazia, ho acquistato qui, fra certi altri libri, la storia di Ginguené, edizione francese, che mi ricordo che egli leggeva con piacere. Bacia la mano a Babbo e a Mamma: salutami tutti: abbiti cura, e non stare al sole. Io ho finita ormai la Crestomazia poetica: e dopo due anni, ho fatto dei versi quest'Aprile; ma versi veramente all'antica, e con quel mio cuore d'una volta.

Addio, addio.



29.

Firenze 18 Maggio 1830.


Cara Pilla.

Il ritratto è bruttissimo: nondimeno fatelo girare costì, acciocché i Recanatesi vedano cogli occhi del corpo (che sono i soli che hanno) che il gobbo de Leopardi è contato per qualche cosa nel mondo, dove Recanati non è conosciuto pur di nome. L'accluso vi potrà servire per la ricupera del pacco, avendo occasioni per Ancona. La Tommasini non ha ricevuto ancora la mia lettera, dopo tante cure usate pel recapito. Pochi mesi fa, corse voce in Italia che io fossi morto, e questa nuova destò qui un dolore tanto generale, tanto sincero, che tutti me ne parlano ancora con tenerezza e mi dipingono quei giorni come pieni d'agitazione e di lutto. Giudicate quanto io debba apprezzare l'amicizia di tali persone. Io sto della testa al solito affatto, del resto benino. Saluti già s'intendono, anche a D. Vincenzo. Scriverò presto a Mamma. Dì a Carlo che mi scriva.



30.

Firenze 28 Giugno 1830.


Cara Pilla.

Son guarito, grazie a Dio, del raffreddore, e di nuovo sto benino assai; sempre in giro a restituir visite. Nuove conoscenze, nuove amicizie: amicizia intima con Frullani, direttore generale de' Catasti. Qui ho riveduto mad. Laura Parra, che starà ancora del tempo. Abito vicinissimo al general Colletta, e quasi ogni giorno o egli è da me o io da lui. La sera son fuori, ma in conversazione poco, perché alle undici per lo più ceno. Eccovi le mie nuove. Addio addio.



31.

31 Luglio [1830].


Cara Pilla.

Manco di lettere da casa. Scrissi l'8 a Babbo, il 18 a Pietruccio. Ho avuto il reuma; ora sto meglio. - Fate girare questi Manifesti a Macerata e per la Marca. Fate che si raccolgano più soscrizioni che si può in una sola copia, per risparmio di posta nel rimandarmele.

Mandatene sotto fascia a Cassi due copie. A G. Melchiorri una semplice, e quella in foglio intero, che la porti a Bunsen: e scrivetemi l'indirizzo di Melchiorri, che vorrei sapere. L'editore finora, per consiglio degli amici son io.

Ciò, se non forse a Recanati, è bene che si sappia.

Ricevo la lettera di Pietruccio del 25.



32.

21 Agosto [1830].


Cara Pilla.

Mi duole assai assai che sia perduta la mia a Babbo degli 8 Luglio, ch'era lunga per cinque delle solite. Non avendo fogli francesi nè inglesi, non credo possibile che alcun di voi, nemmeno per approssimazione si formi un'idea vera della rivoluzione di Francia, nè dello stato presente d'Europa, nè del probabile futuro. Me ne sono stati promessi alcuni della Quotidienne, giornale realista: avendoli, ve li manderò. Cosa incredibile! il mio abito turchino ridotto all'ultima moda, coi petti lunghissimi: e par nuovo, e sta molto bene. Ditelo a Carlo.

Io sto come Dio vuole, sempre smaniando dello stomaco: non esco, e pochissimo posso ricevere: ma niente di nuovo. Fate salutar Zavagli. Se non vedete mie lettere, non vi maravigliate mai: assolutamente non posso non posso scrivere.

Addio addio.



33.

Firenze 9 Settembre 1830.


Cara Pilla.

Quanto ho penato non vedendo risposta alla mia degli 11 Agosto a Pietruccio, che sarà smarrita! Non vi date pensiero alcuno di associazioni costì: ne ho già da 5 in 600, e si aumentano sempre. Qui (fuorché il Gabinetto, il quale non rivende i giornali) i luoghi pubblici non hanno mai tenuto fogli realisti, perché non si leggono. Brighenti non è ripassato ancora. Io sto al solito, ma sono tornato colle mie donne, lasciando quelle spietate campane, che sonavano fino a 9 ore intere in un giorno, e a doppio, ed eran 4. Addio.




34.

15 Novembre


Cara Pilla.

Quel forestiero che ha voluto l'Eusebio, è un filologo tedesco, al quale, dopo molte sedute, ho fatto consegna formale di tutti i miei mss. filologici, appunti, note ec., cominciando dal Porphyrius. Egli, se piacerà a Dio, li redigerà e completerà, e li farà pubblicare in Germania; e me ne promette danari, e un gran nome. Non potete credere quanto mi abbia consolato quest'avvenimento, che per più giorni mi ha richiamato alle idee della mia prima gioventù, e che, piacendo a Dio, darà vita ed utilità a lavori immensi, ch'io già da molt'anni considerava come perduti affatto, per l'impossibilità di perfezionare tali lavori in Italia, pel dispregio in cui sono tali studi tra noi, e peggio pel mio stato fisico. Quel forestiero mi ha trombettato in Firenze per tesoro nascosto, per filologo superiore a tutti i filologi francesi (degl'italiani non si parla, ed egli vive a Parigi); e così dice di volermi trombettare per tutta l'Europa. Credo che non andrò più a Pisa, perché mi annoia assai quel travasamento. Se qualcuno di costà scrive a Melchiorri, gli dica che mi mandi le firme o i nomi degli associati che ha fatti, se non vuol che mi sieno inutili, essendo io sul punto di farne uso. Da lui non so nulla.

Addio addio. Abbraccio tutti.




35.

28 Dicembre


Cara Pilla

Mandami a posta correntissima, dentro lettera, quella famosa e mia cara miniatura che rappresenta un laghetto ec. coll'occhio della Provvidenza, in cartapecora, che sta nel mio comodino, forse in un cartolare. La voglio fare incidere per vignetta nel mio libro.

Addio addio.



36.

8 Febbraio 1831.


Cara Pilla.

Della salute io soffro meno del solito perché quest'inverno non è che una prolungazione dell'autunno e della primavera, sole stagioni nelle quali, quando vanno bene, io vivo tollerabilmente. Certo non mi accorsi della Biscia al teatro, perché non seno mai stato in teatro a Firenze, fuorché una volta nel 1828, e non in palco. Seppi già da Babbo la disgrazia del canarino, e ne voleva piangere, ma mi consolai pensando che tutti siamo nati mortali. Io non mangio una sola volta il giorno, nè due sole, nè tre: non ho più metodo alcuno, e vi farei ridere raccontandovi la mia vita, se non fosse cosa lunga. Hoqueda è vivo e fresco e mi vuol bene: ho abitato con lui un mese alla Fontana. Il carnevale qui è brillante, ma io, potete credere, me ne do poco pensiero.

Addio, cara Pilla.

Abbraccio tutti. Datemi subito subito le vostre nuove.



37.

Firenze 4 Marzo 1831.


Cara Pilla

Io sto benino del resto, ma degli occhi più impedito del solito, a causa probabilmente della primavera.Dammi le nuove politiche della provincia e del paese: puoi farlo liberamente e con dettaglio, senza però aggiungerci osservazioni nè pro nè contra. Qui tutto, grazie a Dio, è tranquillissimo, e di me non puoi dubitare. Immagino bene che costì nessuno di quelli che m'interessano, pensi diversamente da me.

Addio, addio. Scrivimi per la via ordinaria di Bologna: l'ultima tua m'arrivò dopo dieci giorni.




38.

23 Aprile [1831].


Cara Pilla.

Risposi alle lettere del Papà 19 e 21 Marzo. Poi ho ricevuto la tua 2 Aprile, e quella del Papà 5 Aprile, colla sua bella iscrizione, di cui ti prego di ringraziarlo. Sono stato ben lieto di udire la parte ch'egli ha avuta in fare che gli ultimi torbidi siano riusciti innocenti a cotesta città: i bravi uomini si distinguono dai c....ni nella circostanza. Mi domandi perché non rispondo alle lettere del Comitato di Recanati e di Macerata: ma sai tu dunque che quello di Macerata mi abbia scritto? e a che fine? io non ho ricevuto nulla. Mi dai nuove della Gigia, della quale non mi hai annunziata mai la nascita: me ne rallegro con Carlo infinite volte, e lo bacio con tutto il cuore. Segui a tenermi ragguagliato delle novità del paese.

Io sto benino, e qui non v'è nulla di nuovo. Salutami tutti teneramente. Addio addio.




39.

24 Maggio


Cara Pilla.

Tu m'hai da fare un piacere, ma te lo raccomando assai. Pigliare il mio protocollo di lettere letterarie, tutti due i volumi: levar via le lettere di Vieusseux, Brighenti, Stella, Colletta, e le copie delle lettere mie: farne un gran rouleau con sopraccarta ben suggellata: scriverci sopra Documenti, e questo indirizzo: Al Nobil Uomo Il Signor Cav. Pietro Leopoldo Mannucci Benincasa Segretario Generale delle poste Toscane, Firenze e dopo tutto questo, ingegnarti quanto più puoi di far capitare questo piego a Bologna, al più presto possibile, in mano di persona (come sarebbe Setacci), che ricevuto che l'abbia, si compiaccia d'avvisarmene subito, ed io penserò a farlo venir qua. Bisognerebbe o dare il piego in mano al corriere, ovvero (e ciò sarebbe assai meglio) vedere se cotesto Direttor postale, o quel di Loreto, vuol fare il piacere di spedirlo gratis al Direttore della posta di Bologna. L'una e l'altra cosa sarà facilitata da quell'indirizzo al Segretario Generale di queste poste Toscane. Già s'intende che in ogni caso bisogna in una seconda sopraccarta fare un altro indirizzo o al Direttore di Bologna, o a quel particolare a cui si spedisse il piego, al quale contemporaneamente e separatamente bisognerebbe scrivere. In caso disperato, vedi di far capitare il piego a Bologna per occasione. Datti premura di questa cosa, che mi sta molto a cuore. Scrivimi le nuove di costà.

Addio addio.


Ho scritto al Papà a' 19.



40.

14 Giugno 1831.


Cara Pilla

Manda pure l'involto a Perugia subito che tu puoi, ed appena spedito, avvisami della spedizione, ed a chi sia stato spedito. A proposito del ritratto, se tu ne hai disponibile un esemplare (ma vedi di trovarlo), mandamelo presto, ravvolto sopra un cannellino, con sopraccarta, per la posta. Io continuo, grazie a Dio, a star benino, e fo molto moto. Ho allontanato da me tutti i miei amici, perché venendo a vedermi, non mi trovano mai in casa. I miei versi sono stampati da un pezzo; l'edizione è molto pulita, legata in cartoncino alla bodoniana; ma lo stampatore ancora non mi manda le copie che mi deve, e io non ho cuore di spendere cinque paoli l'una per comperarne. Di' a Carlo che mi saluti la Gigia, e tu salutami tutti, e bacia la mano per me alla Mamma e al Papà. Questa sera debbo essere presentato a madame la Princesse veuve de Napoléon Bonaparte le jeune, Dama di molto spirito, che ha posto sossopra mezza Firenze per farmi indurre ad andar da lei. Addio addio.




41.

2 Luglio


Cara Pilla

Ho ricevuto il pacco in perfetto stato, e ne ringrazio di cuore tutti voi. Il ritratto bisogna certamente spedirlo sotto fascia, come stampa. S'io dissi con sopraccarta, intesi dire aperta alle estremità, cioè una fascia grande. Il cannellino, o qualche altra cosa dura, mi piacerebbe perché il ritratto non si ammaccasse: se la posta non lo vuole, levalo via: ma credo che la difficoltà non sia qui; basta che il rame passi per una stampa e non per un pacco, il che si ottiene col lasciarlo vedere.

Charlotte Bonaparte est une charmante personne; pas belle, mais douée de beaucoup d'esprit et de goût, et fort instruite. Elle dessine bien, elle a de beaux yeux. J'allai la voir hier au soir pour la troisième fois; elle avait été malade pendant plusieurs jours. Elle me pria d'inscrire mon nom dans son Album: cela signifie que je dois lui faire un compliment par écrit. Comme je n'aime pas les impromptus, je demandai du tems. Elle me fit promettre que je retournerais ce soir, préparé ou non.

Adieu, ma chére Pille. Io, grazie a Dio, sto bene, benché sempre debole, sempre incapace di godere, non potendo nè leggere nè scrivere nè camminar molto, ed essendomi strapazzo ogni divertimento. Abbraccio il mio Carlo e Pietruccio (del quale perché non mi parli?), e a Babbo e a Mamma bacio la mano.

Adieu, ma chére Pillule.




42.


Cara Pilla

Oggi stesso, a mezzogiorno, parto per Roma, dove, piacendo a Dio, passerò l'inverno. Ben vedi che non ho tempo di scriverti a lungo. Ti ringrazio della tua ultima senza data. Prega per me Pietruccio, che per amor di Dio si occupi di quella nota di libri, o almeno m'indichi tre o quattro opere di valore, duplicate, delle quali il Papà consentisse a disfarsi. Si tratta di risparmiarmi 84 paoli toscani di spesa viva. Senti Pilla: io ho un pressantissimo bisogno di solette, perché in tutto tu non ne mettesti nel baule che 5 paia di rimonto: a ordinarle in Roma, costano un abisso; prega la Mamma che me ne mandi ora che le comunicazioni tra Recanati e il luogo del mio soggiorno saranno facili. Sono pochi giorni che ho risoluto di partire, perciò non ho potuto scriverne prima. Saluta tutti:

addio. Lascio tutti i miei libri a Vieusseux, che li spedisce al Papà per le vie librarie.



43.

Roma 6 Ottobre 1831


Cara Pilla

Sono arrivato qua ier sera, dopo un noioso e faticoso viaggio, assai fresco e sano per non accorgermi d'aver patito nulla. Ebbi dal Nunzio il lasciapassare pei confini, ed avevo scritto al zio Carlo per averne uno alle porte. Non ebbi nulla; e arrivato, dovetti andare in dogana a piazza di Pietra, per la solita impertinentissima visita:la quale mi ha messo di malumore, quantunque i doganieri fossero assai discreti;... Non sono ancora uscito di casa (via Carrozza, n. 63, 3° piano), e non ho veduto alcuno de' conoscenti vostri, nè miei; perciò questa non servirà che a darvi le mie nuove.

Scrivetemi presto, e salutate tutti. Addio, addio.



43.

19 Ottobre


Pilla mia

I miei libri sono stati spediti da Firenze al Nobili a Pesaro, dove potrete farne fare ricerca in caso di ritardo. Non ti aspettare però gran cose: si tratta di libricciuoli regalati. Qual è il deputato che dee parlarmi a vostro nome? Fin qui nessuno è comparso con questo carattere. Ho visto Fucili e Coletta Colloredo, e veggo molti e molti, che non mi lasciano dormire nè riposare: è curioso che non posso andar per le strade senza essere riconosciuto; fino l'Offagnola stamane mi ha fermato per mostrarmi la sua bottega. Ho visto lo zio Carlo, la buona Clotilde, e Ruggiero, che già spaccia protezioni, e mi promette favori con un tuono veramente originale; corro qualche pericolo prossimo di mandarlo a far f., perché ho perduta una grandissima parte della mia antica pazienza.

Muterò presto abitazione, essendo scontentissimo della presente. Calze bianche ne ho di molte, non mi occorrono, e ti ringrazio.


Salutami tutti, e dammi le nuove patrie.


Grazie mille al Papà e a Pietruccio della nota.

Lo zio Carlo (che ho veduto, perch'egli mi ha scritto umilmente per la posta) non mi ha offerto di presentarmi in nessuna società; il che mi cagiona un lontano sospetto ch'egli ami di non avermi seco alle conversazioni. Questo sospetto mi dispiace, perché mi obbliga a farmi presentare da' miei amici in tutte le società da lui frequentate, con rischio d'annoiarmi tutta la serata. Ho riaperto la lettera per darti questa nuova.




44.

17 dell'anno 1832


La tua dei 12 mi ha consolato infinitamente colle nuove di Carlo, del quale sarei stato in estrema pena, se una lettera di Babbo a Melchiorri, data del 17 , non mi avesse dato buon augurio col silenzio. D'altra parte la stessa tua mi mette di mal umore. Babbo ha egli ricevuta la mia dei 3 colla notizia della riscossione del danaro? Carlo ha egli ricevuto una mia del 31, quando io non sapeva ancora della sua malattia? Mandolino ha egli consegnato il pacco ch'io gli consegnai per Carlo, pagandolo prima? Fatevene render conto per d., e se non lo consegna fategli dare cinquecento calci nel sedere. E ditemi che pacchi o che robe ha egli consegnate. Matteo è egli tornato a Roma? io non l'ho visto nè lui nè altri degli Antici dal dì 11 Novembre 1831 ch'io malato già, e con la febbre (che non conoscevo), andai fino in Piazza Tartaruga a veder sua Eccellenza il M.re Zio, e l'aspettai in casa per unicamente salutarlo, un'ora e mezza. Salutami tanto Carlo, e digli che se non può cacare, non abbia difficoltà di farsi de' lavativi, come pur troppo ho dovuto farmene anch'io, e non fanno male. Qui abbiamo un inverno senza inverno, ma veramente senza: basti dire ch'io, stando quasi sempre in casa e senza potermi riscaldare col muovermi, (perché piove maledettamente e sono strade d'inferno) pure non tengo scaldino, anzi non lo potrei soffrire. Addio, cara mia Pilla: da Babbo avrai potuto sapere ch'io ti scrissi già il 12 o 13 dicembre una lettera che Arimane si è mangiata per colezione.



45.

Roma 2 Febbraio 1832


I Dialoghetti, cara Pilla, hanno avuto qui un successo completo: tutti ne parlano. Sono ricercatissimi, ed io non gli ho potuti vedere ancora. Se potete mandarmene delle copie per la posta, ve ne sarei obbligato molto; ma fatelo subito e mandatene quante potete. Ho visto e vedo più volte il buono e bravo Matteo, che si raccomanda molto al papà. Io spendo qui un abisso, ma la colpa è di chi mi ha trovato questo alloggio a piazza di Spagna, centro de' forestieri, dove si paga quattro volte, e si è serviti da cani, e rubati tutto il giorno. Del resto in ogni modo, Roma è la città d'Italia (non escluso Milano) dove colla maggior quantità di danari si ha il minor numero di comodità e di beni. Gli alloggi soprattutto sono strabocchevolmente cari l'inverno. L'estate è un'altra cosa; ma Roma allora non è abitabile. Salutami tanto Carlo, e dammi le sue nuove.

Giordani vi saluta in molto tutti due. Mandolino non penò punto a trovarmi, come non pena nessuno che mi voglia trovare. Via Condotti è il luogo più frequentato di Roma.

L'altro piego ch'io ti diceva, è quello che mandai a Carlo.

Mazzagalli abita a pochi passi da me. Fino il mio padron di casa mi viene a dimandar copia dei Dialoghetti, quantunque non ne conosca l'autore.

Addio addio.



46.

14 Febbraio


Cara Pilla.

Ricevo i Dialoghetti, che subito mi fuggono di mano per passare in venti altre. Non capisco troppo la necessità di tenerne celato l'autore. Credi pur certo che quelle cose piacciono ora a tutti i governi, salvo ai francesi, dei quali chi vorrebbe più aver paura? - Melchiorri rispose quello che da tutti i paesi si risponde a chi domanda di pensioni: ma io qui con Melchiorri stesso, e con altri più atti di lui, ho girato mezza Roma e veduto venti quartieri senza potermi accomodare in nessuno, sia per il prezzo, sia per altro; e la sola pensione che ho ritrovata a fare, è stata di 19 scudi, e non l'ho accettata perché, con molto incomodo, poco avrei risparmiato. - Io partirò di qua per Firenze, se piacerà a Dio, e se avrò la possibilità, al principio di Marzo. - Salutami tanto Carlo, col quale e con me stesso mi congratulo della perfetta guarigione che tu mi annunzi. - Matteo e don Paolo vi salutano tutti, e il Papà in particolare. - Valdrighi è un mio antico conoscente. - Addio, cara Pilla: tu scherzi quando mi preghi a volerti bene.

Ricevo in questo punto la seconda copia dei Dialoghetti, la quale, non so come, mi è consegnata alla posta, senza dovere andare alla dogana e al P. Revisore come qui si va per tutti i libri, fogli, pezzi di carta stampata, che la posta porta!!!!! Ringrazia tanto il Papà per me.

Prima di suggellare la lettera, mi arrivano dal Nobili per occasione particolare 4 altre copie dei Dialoghetti. Non tarderò a farne uso. Mandolino, che vi porterà certi libri, è pagato.




47.


Cara Pilla.

Del fazzoletto tutto ciò che mi ricordo si è che costò 14 paoli: ma bisogna avvertire che era stragrande, e che lo spenditore fu Paccapelo. (Il qual Paccapelo mi pare di aver incontrato giorni sono per Roma, che mi salutò a nome: è egli a Roma? o io m'ingannai?). Il mio raffreddore continua ad andare piuttosto meglio, ma non esco di casa ancora, nè credo che uscirò se non per montare in legno e partire. Sai già ch'io son destinato a star male tutto il mese che precede qualunque mio viaggio, e che sono sempre dispensato per forza dalle visite di congedo. Ier l'altro rividi il Ministro di Prussia, che mi parlò de' Dialoghetti e del libro sul progetto di bonificazione dell'agro romano, lodando molto l'uno e gli altri. Fu cosa curiosa l'ultima volta che passai per Ancona, che un farinello fuor della porta, presso cui mi fermai a rinfrescare, mi fece grandissimi elogi di quel libro sul progetto, chiamandolo un'operona.

Addio: salutami tutti.


Seriverò ancora, prima di partire.



48.

Roma 16 Marzo 1832.


O Cara Pilla

Parto per Firenze, se Dio vuole, domani.

Non sono uscito di casa da 19 giorni, ma il viaggio spero mi guarirà. Bacia per me la mano al Papà e alla Mamma, e di' tutto quello che puoi dire a Carlo e a Pietruccio. Salutami anche don Vincenzo e il Curato. Ho visto Orazio Mazzagalli, persona molto amabile e di belle maniere. Parto, del resto, senza aver riveduto San Pietro, nè il Colosseo, nè il Foro, nè i Musei, nè nulla: senza aver riveduta Roma. Tale è la mia salute, e sono stato infinitamente meglio del solito quest'inverno, perché non ho avuto inverno. Addio, Pilla mia. Se Giovanni Podaliri è tornato, o quando tornerà, fagli avere i miei saluti: nè egli mi trovò in casa, nè io lui, e non ci siamo visti.




49.

Firenze 22 Maggio 1832.


Cara Pilla

Coll'ultimo ordinario ti mandai per la posta, sotto buone raccomandazioni, il pus che Carlo desiderava, cioè un filo intriso in ottimo pus venuto da Milano, ed avuto da me per mezzo di uno de' primi medici di Firenze, che mi ha assicurato della sua qualità. La moglie di questo medico era per mandare questo medesimo filo ad un suo fratello, che vuol fare inoculare il vaccino ai suoi figliuoli, e per farmi un piacere lo ha ceduto a me, aspettando di averne qui dell'altro della stessa sorta. Il medesimo medico mi dice che tutte le stagioni sono buone per l'innesto del vaccino, salvo solamente le eccessive, che consistono per lo più in pochi giorni.

Ringrazia il Papà delle Prediche di D. Musoduro, che ho ricevute insieme colla sua del primo Maggio, ultima che ho da casa. Scrivimi un poco qualche volta, e dammi le nuove del Papà, della Mamma, di Carlo, di Pietruccio, tue e di Recanati; ma tutte, e con particolarità. Io sto benino, e se anche sto male, non penso più alla salute. Abbiamo però una stagione infamissima, più fredda che a Roma questo Gennaio. Giorni sono, il termometro in poche ore precipitò per 15 gradi.

Addio, cara Pilla.



50.

26 Giugno [1832].


Cara Pilla.

Io non penso più alla salute, perché di salute e di malattia non m'importa più nulla: del resto, specialmente quanto all'applicare, sto presso a poco al solito, cangiato molto nel morale, non nel fisico. De' miei affari, come tu dici, che dovrei scriverti?

Riempierti il naso di fumo, non mi dà più l'animo, e mi fa nausea. Di arrosto, del quale ancora, nel mio stato presente, m'importerebbe poco, non posso parlarti, perché nulla si conclude. Il 25 Luglio 1830 ha rovinata coll'Europa la letteratura per un buon secolo. Un mese e mezzo fa, io aveva ripreso un progetto formato già prima della mia partenza per Roma, di un Giornale settimanale.

Prendendo a mio carico tutta la compilazione, io riceveva 50 francesconi il mese. Di questa somma (assai larga) pagando i compilatori, forse un terzo sarebbe potuto rimanermi. Di più, avrei ricevuto il terzo dell'utile netto dell'impresa, il quale si calcolava che dovesse essere molto grosso. Stesi e sottoscrissi il manifesto: fu steso il contratto in carta bollata. Il governo, per motivi che ho poi capiti, e che tu non puoi indovinare, decise nel consiglio de' Ministri di rigettare il manifesto. Non fu gran disgrazia per me, che sapevo già che la mia salute mi avrebbe lasciato andare pochissimo avanti; la mia intenzione era di far del bene ad alcuni amici avviando il Giornale; il che fatto, e fondato questo stabilimento che tutti predicevano assai lucroso, avrei lasciata ogni cosa a loro.

Dì a Ruggiero che il libro da lui desiderato non si trova più vendibile; che non gli ho risposto direttamente, perché non iscrivo senza gran fatica e danno della vista.

Quanto ai Giornali di Francfort, Vieusseux trova che il prezzo di 94 paoli a Bologna, non è punto esagerato, stante la gravezza dei porti. Dice che il mezzo più economico e più sicuro, e di cui si serve egli stesso, è di scrivere all'I. R. Direzione delle poste di Verona, che ti associ dirittamente per Recanati; che per questo mezzo arrivano i fogli anche più solleciti.

Addio, Pilla mia. Prega Dio per me, e voglimi bene.


Bacia la mano al Papà e alla Mamma, e abbraccia Carlo e Pietruccio.




51.

Firenze 31 Agosto 1832.


Pilla mia.

In questi due mesi di silenzio che tu dici, io ho scritto almeno due volte: se non hai le lettere, non so che dire: anche a me il tuo silenzio incominciava a parere un po' lungo: la tua ultima senza data, mi era giunta ai 10 di Luglio. Ancora qui abbiamo avuto il caldo preciso di 29 gradi, eccetto forse qualche giorno di Luglio, che credo che passasse il 30. Io ne ho sofferto molta debolezza e mal essere, poiché tutta la mia salute e il mio vigore dipende dalla moderazione della temperatura, la quale mancando, sto sempre male. Gli occhi soprattutto hanno patito più del solito. Nuove non ho da darti, se non che ho riveduto qui il tuo Stendhal, che è console di Francia, come saprai, a Civitavecchia, e l'altra sera parlai colla commissione medica mandata da Roma a complimentare il cholèra a Parigi, la quale ci promette la venuta del morbo in Italia: predizione di cui ridono i medici di qui, perché non ci credono: ed io rido con chi crede e con chi non crede. Addio, Pilla mia.

Bacio la mano al Papà e alla Mamma, e abbraccio Carlo e Pietruccio.




52.

Firenze 18 Gennaio 1833.


Cara Pilla

Abbiamo un gennaio simile a quello del '17. Da gran tempo io ho chiuso il caminetto, e spero oramai che la piccola provvisione ch'io aveva fatto per scaldarmi quest'anno, mi resti inutile. Quando ho voglia, esco la sera dopo pranzo, e torno dalla conversazione a mezza notte. Mi rallegro del Villani acquistato: è un ottimo acquisto. Anche la mia biblioteca cresce notabilmente. Ieri io dissi: andiamo a guadagnarci un bel regalo di libri. Feci una visita: questa mattina i libri ben legati erano in casa prima ch'io fossi levato. But, pray, how long is it, since you have learned english? you surprise me. I can assure you that you write it perfectly. Should I be mistaken, if I were to think that our brother has assisted you? I shall write and inform you as you wish. Adieu.



53.

6 Maggio [1833].


Pilla mia cara.

Una mia di due righe, sventuratamente equivoche, ad un mio amicissimo a Roma, il quale corse qua col corriere, ha cagionato a voi altri quel che sapete, ed a me l'indicibile dolore di sentir la tua a Vieusseux. Care mie anime, vede Iddio ch'io non posso, non posso scrivere: ma siate tranquillissimi: io non posso morire: la mia macchina (così dice anche il mio eccellente medico) non ha vita bastante a concepire una malattia mortale. Vi lascio per forza, abbracciando tutti con immensa tenerezza.

Dammi subito le nuove di tutti per mia quiete. - Sii anche certissima che in ogni caso grave non vi mancheranno mai amichevoli informazioni di qua.



54.


Cara Pilla.

Io sapeva che Recanati aveva la strada lastricata, e rifatte le facciate de' Monaci e del palazzo Luciani, ma anche la carta di Bath, e le ostie da suggellare stampate? Si vede che la civiltà fa progressi grandi da per tutto. Tu dici che di un milione di cose vorresti scrivermi, ma intanto sei stata più di un anno senza dirmi nulla. è vero ch'io scrivo poco, ma ne sapete tutti la causa; e tu che puoi scrivere molto, non ti devi mettere in animo di rendermi la pariglia, ma senza contare le mie lettere scrivermi spesso, senza pensare al carlino che mi costerà la lettera tua, perché nessun carlino mi parrà così bene speso.

Bacia la mano per me alla Mamma, e salutami Carlo e Pietruccio, il quale so che legge molto, e ancor egli potrebbe di quando in quando ricordarsi del suo fratello maggiore, e dargli le sue nuove. Io, cara Pilla, muoio di malinconia sempre che penso al gran tempo che ho passato senza riveder voi altri; quando mi rivedrai, le tue accuse cesseranno. Se fosse necessario, ti direi che non sono mutato di uno zero verso voi altri, ma tra noi queste cose non si dicono se non per celia, ed io ridendo te le dico.

Addio dunque: salutami D. Vincenzo, il Curato, e la Marchesa, dalla quale so che continui ad andare le Domeniche. Questa volta, quando ci rivedremo, non mi mancheranno racconti e storie da tenerti contenta per molte settimane la sera.

Addio addio.


Manda ancora un bacio per me alla Gigina.




LETTERE AL FRATELLO PIERFRANCESCO



1.

Roma Decembre 1822


Caro Pietruccio.

Vi ringrazio della memoria che avete di me, della lettera che mi scrivete, delle galanterie che mi domandate, e in somma di tutto. La posta mi ha ritardato la vostra lettera. Se l'avessi avuta più presto, avrei avuto tempo di consegnare qualche cosetta per voi a Mandolino, il quale o è partito, o parte domani. Oggi è festa, e non si trova nessuna bella cosa da comprare. Ma se domani si potrà fare a tempo, vedrete che Mandolino vi porterà qualche regalo. Se no, non dubitate che troverò qualche altra occasione, e presto sarete contento. Dovevate dirmi come stavate, e se eravate guarito, perché so che siete stato male. Ma me lo direte un'altra volta, o me lo farete dire dal vostro Segretario, al quale ho scritto, e voglio che lo salutiate da parte mia, e diate il buon anno a lui, a Carlo, a Paolina, e specialmente al Papà e alla Mamma. Dite a Paolina che con quest'altro ordinario le scriverò. Mangiate e dormite bene, e seguitate a studiare, perché quando io torno, vorrei che sapeste scrivere come una penna d'Oca.

Addio, v'abbraccio, e vi do tanti e tanti baci. E voi baciate forte i fratelli per me, e la mano a Babbo e a Mamma.



2.

Roma 8 Febbraio 1823


Caro Pietruccio

Mi fate tanti ringraziamenti per una bagattella tale com'è quella ch'io vi mandai, che resto quasi obbligato io medesimo a ringraziarvi. Avevo saputo che vi siete fatto un bravo scrittore, benché la prima volta che mi scriveste, non ci volessi credere; ma non sapevo che foste diventato poeta. Baciate la mano per me all'Apollo che v'ha ispirato, e ditegli che tutti noi stiamo benissimo.

Baciate ancora la mano alla Mamma, e ditegli che il Zio Carlo la saluta tanto, e si chiama confuso del suo biglietto. Salutate i fratelli, vogliatemi bene e divertitevi questi ultimi giorni di Carnevale. Addio.




3.

Bologna 6 Ottobre 1826.


Signor Canonico stimatissimo mio fratello.

Mi rallegro con voi moltissimo della vostra nuova dignità, e vi ringrazio della notizia che me ne date. Se il Canonicato è piccolo, non ve ne date pena, perché crescerà col tempo e si farà grande, e i dodici scudi diventeranno dodici doppioni da sedici. Intanto per farli crescere bisogna studiare di buona voglia, e poi legger molto, come credo che facciate, e se non lo fate, son certo che lo farete. Mi consolo della buona ortografia della vostra lettera, e dico da vero, non per burla. Se l'Anacreonte vi piace, tenetelo; e giacché credete meglio che ve lo regali, ve lo regalo, ma con patto che lo leggiate, e che lo custodiate bene, perché voglio rileggerlo anch'io, se me lo permetterete. Salutatemi tanto tanto Babbo, Mamma, Luigi e Don Vincenzo, e dite che io mi sto preparando per partire, e che darò poi avviso a Babbo del giorno della partenza.

Riveritemi il signor Curato. Vi bacio la mano, e raccomandandomi alla vostra protezione, mi confermo vostro buon fratello Giacomo.



4.

Firenze 8 Settembre 1827.


Caro Pietruccio.

Vi ringrazio della vostra lettera e delle notizie che mi date; le quali D. Natanaele Fucili chiamerebbe notizie padrie: domandatelo a Carlo, se non lo credete. Mi rallegro molto con voi del vostro dente cavato. Non pensate ai tre paoli, che senza che me li mandiate, vedremo di accomodar qualche cosa. Da me non credo che vi aspettiate notizie: se ne aspettaste, non saprei che vi dire, se non che a Firenze tira vento ogni giorno; cosa che mi secca moltissimo, come sa Paolina. A proposito di Paolina, ditele che la Toscana si rassomiglia alla Marca per i costumi e per gli usi, più che Bologna e la Romagna che sono pur dello stesso Stato: quando vedo un contadino di qui, mi par di vedere uno dei nostri. Ditele ancora che le contadine di Firenze non mi son parse quella bella cosa che si dice. Paolina avrà un piacer matto di saper queste cose.

Salutatemi tanto il signor Curato, e Don Vincenzo, il quale credo che stia bene, e dite a Carlo che ancora aspetto risposta da Bunsen.

Vogliatemi bene, e credetemi con piena stima vostro rispettoso fratello Giacomo.



5.

Pisa 31 Marzo 1828.


Signor Canonico stimatissimo.

Adesso sì che vi posso chiamar canonico di cuore, perché non siete più canonico senza canonicato, ma canonico di fatto. Vi assicuro che la nuova del vostro possesso mi ha consolato infinitamente.

Fate dire a Montaccini che se vuol darsi pace, non faccia digiunare la donna o il giacchetto o la gatta, ma digiuni egli dopo Pasqua per ottanta giorni, che vedrà che gli farà bene. A proposito di Pasqua, vi raccomando quelle povere uova toste, che non le strapazziate quest'anno: mangiatevele senza farle patire, e non sieno tante. Io non mangerò nè uova toste, nè altro; ché non posso mangiar nulla, benché stia bene, e passo le 48 ore con una zuppa: me ne dispiace fino all'anima, ma pazienza. Se provaste le schiacciate che si usano qui per Pasqua, son certo che vi piacerebbero più che la crescia: io ne manderei una per la posta a Paolina (perché è roba che ci entra il zucchero), ma bisogna mangiarle calde, e io non posso mandare per la posta anche il forno.

Ho già scritto a Paolina che tengo preparato un libro per voi; ci sono anche de' rami. Ve lo porterò io stesso, se prima non avrò trovata qualche occasione. Dite a Paolina che l'Antologia francese ancora non è arrivata.

Chi è quel monsignor Scerra di cui mi parlate? E qual è il benefizio di S. Sebastiano? forse quello contrastato dall'arcidiacono? Scrivetemene o fatemene scrivere.

Ringraziate Babbo delle righe che mi scrive nella vostra lettera, e dategli le buone feste per parte mia. Così ancora a Mamma, e a tutti, compreso il Curato e Don Vincenzo. Oggi voi siete in faccende al Duomo, e io non voglio tenervi incomodato più a lungo. Perciò, baciandovi le due mani che avete, ho l'onore ec.

Il vostro fratello e servitore Giacomo.



6.

Firenze 17 Giugno 1828.


Pietruccio mio.

Vi ringrazio del libretto che mi mandate, e vi son proprio obbligato di avermi fatto leggere quella bella e originale dedicatoria. Manzoni è con la sua famiglia a Milano sua patria, dove è stabilito. è vero che io aveva già i suoi Inni: ho ancora e porterò costì tutte le altre sue opere, fuori del Romanzo. Spero in Dio che a quest'ora sarete guarito della sfogagione. Pregate per me il Papà che me ne scriva.

Salutate tutti, e vogliate sempre bene al vostro Giacomo che vi ama quanto egli suole amare i fratelli suoi.



7.

Firenze 16 Ottobre 1828


Pietruccio mio.

Vi lodo moltissimo che in tempo delle vacanze vi esercitiate nel comporre; perché il fare è il miglior modo d'imparare: e continuando così, in poco tempo verrete un brav'uomo. Quando sarò costì, mi darete da leggere le vostre composizioni, ch'io vedrò con gran piacere. Non vi mando per ora i versi che mi domandate, perché i miei nervi sono in uno stato che non mi permette di comporre, ma presto accomoderemo le cose a voce, e intanto potete lasciare in bianco il luogo pei versi, e continuare la vostra scrittura. Salutate i fratelli, e baciate la mano per me a Babbo e a Mamma. Vogliatemi bene. Addio, addio.



8.

Firenze 8 Giugno 1830.

Sto sempre col mio gran raffreddore di testa e di petto eccessivamente incomodo, ma di niuna conseguenza, e il medico ride ancora della mia opinione che questo malanno mi divenga cronico e perpetuo, come l'altre mie beatitudini.

Domani lascio la locanda, e vo a dozzina coll'E.R. dell'Antologia (Emmanuele Repetti).

Addio addio.



9.

Firenze 18 Luglio 1830.


Caro Pietruccio.

Vi ringrazio delle nuove datemi nella vostra ultima. Io sto bene, grazie a Dio, e mangio incredibilmente, benché non faccia moto, neppur di notte, per l'eccessivo caldo. Ho impetrato in dono (ma sarà l'ultimo) il n. 110 dell'Antologia: vi piacerà per la vita di Monti scritta da Giordani, e vi troverete alcuni versi diretti a me: non lo mando ora per risparmiarvi la spesa postale. La mia piccola biblioteca gratuita è cominciata, ma finora va lentamente: consiste in sette volumi. Dite a Pilla che risponderò, a Dio piacendo, a tutte le sue quistioni.

Vale, valete.



10.

Firenze 11 Agosto 1830


Vedete che Morici (col solito ribasso per lui) trovi associati a quest'opera, testo di lingua principalissimo, che ne merita almeno quanti il Dizionario dell'Alberti, dov'egli fu sì fortunato. è mio interesse, perché l'Editore Torri s'impegna per fare associati a me. La vita di Monti è riportata nell'Antologia per intero. Io sto passabilmente.

Addio.



11.

25 Settembre 1830.


Caro Pietruccio.

Le vostre lettere si son fatte rarissime. Io non so più nulla di Recanati, nulla de' parenti. Datemi coteste nuove, vi prego. Entrate in ogni dettaglio se avete tempo, e se volete farmi piacere. Io sto al solito, rassegnato alla mia estrema infelicità, che Dio accetti per mio purgatorio.

Salutate tutti. Fate salutar Moretti, Zavagli, Morici.

Vi abbraccio tutti col cuore. Addio.


I fogli della Quotidienne ancora si fanno aspettare. Quando la mia libreria, che va crescendo, sarà giunta a un segno conveniente, la spedirò costà per condotta.



12.

12 Ottobre [1830].

Caro Pietruccio.

Due sole righe, perché in verità non posso di più. Io sto al solito. Fatemi il piacere di ringraziare a uno a uno i sei associati, e dire a ciascuno che se vorranno il mio libro, l'avranno gratis, perché i Recanatesi per più ragioni non debbono pagarlo. Puccinotti parte egli da Macerata? Vi abbraccio tutti.

Addio, addio.



13.

30 Ottobre 1830.

Fatemi grazia di spedirmi subito subito per la posta due copie delle mie Annotazioni sull'Eusebio ec. Dee servire per uno che parte per Parigi a momenti. Addio addio. Io sto passabilmente. Spedite a Firenze.