Niccolò Machiavelli
LA VITA
DI CASTRUCCIO CASTRACANI
DI LUCCA
La vita di Castruccio Castracani da Lucca descritta da Niccolò Machiavelli e mandata da Zanobi Buondelmonte e a Luigi Alamanni suoi amicissimi.
E' pare, Zanobi e Luigi carissimi, a quegli che la considerano, cosa
maravigliosa che tutti coloro, o la maggiore parte di essi, che hanno
in questo mondo operato grandissime cose, e intra gli altri della
loro età siano stati eccellenti, abbino avuto il principio e
il nascimento loro basso e oscuro, o vero dalla fortuna fuora d'ogni
modo travagliato; perché tutti o ei sono stati esposti alle
fiere, o egli hanno avuto sì vil padre che, vergognatisi di
quello, si sono fatti figliuoli di Giove o di qualche altro Dio.
Quali sieno stati questi, sendone a ciascheduno noti molti, sarebbe
cosa a replicare fastidiosa e poco accetta a chi leggessi; perciò
come superflua la omettereno. Credo bene che questo nasca che,
volendo la fortuna dimostrare al mondo di essere quella che faccia
gli uomini grandi, e non la prudenza, comincia a dimostrare le sue
forze in tempo che la prudenza non ci possa avere alcuna parte, anzi
da lei si abbi a ricognoscere il tutto.
Fu adunque Castruccio Castracani da Lucca uno di quegli; el quale,
secondo i tempi in ne' quali visse e la città donde nacque
fece cose grandissime e, come gli altri, non ebbe più felice
né più noto nascimento, come nel ragionare del corso
della sua vita si intenderà. La quale mi è parso
ridurre alla memoria delli uomini, parendomi avere trovato in essa
molte cose, e quanto alla virtù e quanto alla fortuna, di
grandissimo esemplo. E mi è parso indirizzarla a voi, come a
quegli che più che altri uomini che io cognosca, delle azioni
virtuose vi dilettate.
Dico, adunque, che la famiglia de' Castracani è connumerata
intra le famiglie nobili della città di Lucca, ancora ch'ella
sia in questi tempi, secondo l'ordine di tutte le mondane cose,
mancata. Di questa nacque già uno Antonio che, diventato
religioso, fu calonaco di San Michele di Lucca, e in segno di onore
era chiamato messer Antonio. Non aveva costui altri che una
sirocchia, la quale maritò già a Buonaccorso Cennami;
ma sendo Buonaccorso morto ed essa rimasta vedova, si ridusse a stare
col fratello, con animo di non più rimaritarsi.
Aveva messer Antonio, dietro alla casa che egli abitava, una vigna;
in la quale, per avere a' confini di molti orti, da molte parti e
sanza molta difficultà si poteva entrare. Occorse che andando
una mattina, poco poi levata di sole, madonna Dianora (ché
così si chiamava la sirocchia di messer Antonio) a spasso per
la vigna, cogliendo, secondo el costume delle donne, certe erbe per
farne certi suoi condimenti, sentì frascheggiare sotto una
vite intra e' pampani, e, rivolti verso quella parte gli occhi, sentì
come piangere. Onde che, tiratasi verso quello romore, scoperse le
mani e il viso d'uno bambino che, rinvolto nelle foglie, pareva che
aiuto le domandasse. Tale che essa, parte maravigliata, parte
sbigottita, ripiena di compassione e di stupore, lo ricolse e,
portatolo a casa e lavatolo e rinvoltolo in panni bianchi come si
costuma, lo presentò, alla tornata in casa, a messer Antonio.
Il quale, udendo el caso e vedendo il fanciullo, non meno si riempié
di maraviglia e di pietade che si fusse ripiena la donna, e
consigliatisi intra loro quale partito dovessero pigliare,
deliberorono allevarlo, sendo esso prete e quella non avendo
figliuoli. Presa adunque in casa una nutrice, con quello amore che se
loro figliuolo fusse, lo nutrirono; e avendolo fatto battezzare, per
il nome di Castruccio loro padre lo nominorono.
Cresceva in Castruccio con gli anni la grazia, e in ogni cosa
dimostrava ingegno e prudenza; e presto, secondo la età,
imparò quelle cose a che da messer Antonio era indirizzato. Il
quale, disegnando di farlo sacerdote e con il tempo rinunziargli il
calonacato e altri suoi benefizii, secondo tale fine lo ammaestrava.
Ma aveva trovato subietto allo animo sacerdotale al tutto disforme;
perché, come prima Castruccio pervenne alla età di
quattordici anni, e che incominciò a pigliare uno poco di
animo sopra messer Antonio, e madonna Dianora non temere punto,
lasciati e' libri ecclesiastici da parte, cominciò a trattare
le armi; né di altro si dilettava che o di maneggiare quelle,
o con gli altri suoi equali correre, saltare, fare alle braccia, e
simili esercizii; dove ei mostrava virtù di animo e di corpo
grandissima, e di lunga tutti gli altri della sua età
superava. E se pure ei leggeva alcuna volta, altre lezioni non gli
piacevano che quelle che di guerre o di cose fatte da grandissimi
uomini ragionassino; per la qual cosa messer Antonio ne riportava
dolore e noia inestimabile.
Era nella città di Lucca uno gentile uomo della famiglia de'
Guinigi, chiamato messer Francesco, il quale per ricchezza e per
grazia e per virtù passava di lunga tutti gli altri Lucchesi.
Lo esercizio del quale era la guerra, e sotto i Visconti di Milano
aveva lungamente militato; e perché ghibellino era, sopra
tutti gli altri che quella parte in Lucca seguitavano, era stimato.
Costui, trovandosi in Lucca, e ragunandosi sera e mattina con gli
altri cittadini sotto la loggia del podestà, la quale è
in testa della piazza di San Michele che è la prima piazza di
Lucca, vidde più volte Castruccio con gli altri fanciulli
della contrada in quegli esercizii che io dissi di sopra esercitarsi;
e parendogli che oltre al superargli, egli avessi sopra di loro una
autorità regia, e che quelli in certo modo lo amassino e
riverissino, diventò sommamente desideroso di intendere di suo
essere. Di che sendo informato dai circunstanti, si accese di
maggiore desiderio di averlo appresso di sé. E un giorno
chiamatolo, il dimandò dove più volentieri starebbe: o
in casa d'uno gentile uomo che gli insegnasse cavalcare e trattare
armi, o in casa di uno prete dove non si udisse mai altro che uffizii
e messe. Cognobbe messer Francesco quanto Castruccio si rallegrò
sentendo ricordare cavagli e armi; pure, stando un poco vergognoso, e
dandogli animo messer Francesco a parlare, rispose che, quando
piacesse al suo messere, che non potrebbe avere maggiore grazia che
lasciare gli studii del prete e pigliare quelli del soldato. Piacque
assai a messer Francesco la risposta, e in brevissimi giorni operò
tanto che messer Antonio gliele concedette. A che lo spinse, più
che alcuna altra cosa, la natura del fanciullo, giudicando non lo
potere tenere molto tempo così.
Passato pertanto Castruccio di casa messer Antonio Castracani
calonaco in casa messer Francesco Guinigi condottiere, è cosa
straordinaria a pensare in quanto brevissimo tempo ei diventò
pieno di tutte quelle virtù e costumi che in uno vero gentile
uomo si richieggono. In prima ei si fece uno eccellente cavalcatore,
perché ogni ferocissimo cavallo con somma destrezza
maneggiava: e nelle giostre e ne' torniamenti, ancora che giovinetto,
era più che alcuno altro riguardevole; tanto che in ogni
azione, o forte o destra, non trovava uomo che lo superasse. A che si
aggiugnevano i costumi, dove si vedeva una modestia inestimabile;
perché mai non se gli vedeva fare atto o sentivasegli dire
parola che dispiacesse; ed era riverente ai maggiori, modesto cogli
equali e cogli inferiori piacevole. Le quali cose lo facevano non
solamente da tutta la famiglia de' Guinigi, ma da tutta la città
di Lucca, amare.
Occorse in quelli tempi, sendo già Castruccio di diciotto
anni, che e' Ghibellini furono cacciati da e' Guelfi di Pavia; in
favore de' quali fu mandato dai Visconti di Milano messer Francesco
Guinigi. Con il quale andò Castruccio, come quello che aveva
el pondo di tutta la compagnia sua. Nella quale espedizione
Castruccio dette tanti saggi di sé di prudenza e di animo, che
niuno che in quella impresa si trovassi ne acquistò grazia
appresso di qualunque, quanta ne riportò egli, e non solo el
nome suo in Pavia, ma in tutta la Lombardia diventò grande e
onorato.
Tornato
adunque in Lucca Castruccio, assai più stimato che al partire
suo non era, non mancava, in quanto a lui era possibile, di farsi
amici, osservando tutti quelli modi che a guadagnarsi uomini sono
necessarii. Ma sendo venuto messer Francesco Guinigi a morte, e
avendo lasciato uno suo figliuolo di età di anni tredici,
chiamato Pagolo, lasciò tutore e governatore de' suoi beni
Castruccio, avendolo innanzi al morire fatto venire a sé e
pregatolo che fussi contento allevare el suo figliuolo con quella
fede che era stato allevato egli, e quegli meriti che e' non aveva
potuto rendere al padre, rendesse al figliuolo. Morto pertanto messer
Francesco Guinigi, e rimaso Castruccio governatore e tutore di
Pagolo, accrebbe tanto in reputazione e in potenzia, che quella
grazia che soleva avere in Lucca si convertì parte in invidia;
talmente che molti, come uomo sospettoso e che avessi l'animo
tirannico, lo calunniavano. Intra quali el primo era messer Giorgio
degli Opizi, capo della parte guelfa. Costui sperando per la morte di
messer Francesco rimanere come principe di Lucca, gli pareva che
Castruccio, sendo rimasto in quel governo per la grazia che gli
davano le sua qualità, gliene avessi tolta ogni occasione; e
per questo andava seminando cose che gli togliessino grazia. Di che
Castruccio prese prima sdegno; al quale poco di poi si aggiunse il
sospetto; perché ei pensava che messer Giorgio non poserebbe
mai di metterlo in disgrazia al vicario del re Ruberto di Napoli, che
lo farebbe cacciare di Lucca.
Era signore di Pisa in quel tempo Uguccione della Faggiuola d'Arezzo,
il quale, prima, era stato eletto da e' Pisani loro capitano, di poi
se ne era fatto signore. Appresso di Uguccione si trovavano alcuni
fuori usciti lucchesi della parte ghibellina, con i quali Castruccio
tenne pratica di rimettergli con lo aiuto di Uguccione, e comunicò
ancora questo suo disegno con suoi amici di dentro, i quali non
potevono sopportare la potenza delli Opizi. Dato pertanto ordine a
quello ch'ei dovevano fare, Castruccio cautamente affortificò
la torre degli Onesti, e quella riempié di munizione e di
molta vettovaglia, per potere, bisognando, mantenersi in quella
qualche giorno. E venuta la notte che si era composto con Uguccione,
dette il segno a quello, il quale era sceso nel piano con di molta
gente intra i monti e Lucca; e veduto il segno, si accostò
alla porta a San Piero, e misse fuoco nello antiporto. Castruccio
dall'altra parte levò il romore, chiamando il popolo all'arme,
e sforzò la porta dalla parte di dentro; tale che, entrato
Uguccione e le sue genti, corsono la terra e ammazzorono messer
Giorgio con tutti quegli della sua famiglia e con molti altri suoi
amici e partigiani; e il governatore cacciorono; e lo Stato della
città si riformò secondo che a Uguccione piacque; con
grandissimo danno di quella, perché si trova che più di
cento famiglie furono cacciate allora di Lucca. Quegli che fuggirono,
una parte ne andò a Firenze, un'altra a Pistoia; le quali
città erono rette da parte guelfa, e per questo venivono a
essere inimiche a Uguccione e ai Lucchesi.
E parendo ai Fiorentini e agli altri Guelfi che la parte ghibellina
avessi preso in Toscana troppa autorità, convennono insieme di
rimettere i fuora usciti lucchesi; e fatto uno grosso esercito, ne
vennono in Val di Nievole e occuporono Montecatini; e di quivi ne
andorono a campo a Montecarlo, per avere libero el passo di Lucca.
Pertanto Uguccione, ragunata assai gente pisana e lucchese e di più
molti cavagli tedeschi che trasse di Lombardia, andò a trovare
el campo de' Fiorentini; il quale sentendo venire e' nemici, si era
partito da Montecarlo e postosi intra Montecatini e Pescia; e
Uguccione si misse sotto Montecarlo, propinquo a' nimici a due
miglia. Dove qualche giorno intra i cavagli dell'uno e dell'altro
esercito si fece alcuna leggieri zuffa, perché, sendo ammalato
Uguccione, i Pisani e i Lucchesi fuggivono di fare la giornata con
gli inimici. Ma sendo Uguccione aggravato nel male, si ritirò
per curarsi a Montecarlo, e lasciò a Castruccio la cura dello
esercito. La qual cosa fu cagione della rovina de' Guelfi; perché
quegli presono animo, parendo loro che lo esercito inimico fussi
rimaso sanza capitano. Il che Castruccio cognobbe, e attese per
alcuni giorni ad accrescere in loro questa opinione, mostrando di
temere, non lasciando uscire alcuno delle munizioni del campo; e
dall'altra parte i Guelfi, quanto più vedevano questo timore,
tanto più diventavano insolenti, e ciascuno giorno, ordinati
alla zuffa, si presentavano allo esercito di Castruccio. Il quale,
parendoli avere dato loro assai animo, e cognosciuto l'ordine loro,
deliberò fare la giornata con quegli; e prima con le parole
fermò l'animo de' suoi soldati, e mostrò loro la
vittoria certa quando volessino ubbidire agli ordini suoi.
Aveva Castruccio veduto come gli inimici avevano messe tutte le loro
forze nel mezzo delle schiere, e le gente più debole nelle
corna di quelle; onde che esso fece el contrario, perché messe
nelle corna del suo esercito la più valorosa gente avesse e,
nel mezzo, quella di meno stima. E uscito de' suoi alloggiamenti con
questo ordine, come prima venne alla vista dello esercito inimico, el
quale insolentemente, secondo l'uso, lo veniva a trovare, comandò
che le squadre del mezzo andassero adagio e quelle delle corna con
prestezza si movessino. Tanto che, quando venne alle mani con i
nimici, le corna sole dell'uno e dell'altro esercito combattevono, e
le schiere del mezzo si posavano; perché le gente di mezzo di
Castruccio erano rimaste tanto indietro, che quelle di mezzo degli
inimici non le aggiugnevano; e così venivano le più
gagliarde genti di Castruccio a combattere con le più debole
degli inimici, e le più gagliarde loro si posavano, sanza
potere offendere quelli avieno allo incontro, o dare alcuno aiuto
alli suoi. Tale che, sanza molta difficultà, e' nimici
dall'uno e l'altro corno si missono in volta; e quegli di mezzo
ancora, vedendosi nudati da' fianchi de' suoi, sanza avere potuto
mostrare alcuna loro virtù, si fuggirono. Fu la rotta e la
uccisione grande, perché vi furono morti meglio che diecimila
uomini, con molti caporali e grandi cavalieri di tutta Toscana di
parte guelfa e di più molti principi che erano venuti in loro
favore, come furono Piero fratello del re Ruberto e Carlo suo nipote
e Filippo signore di Taranto. E dalla parte di Castruccio non
aggiunsono a trecento; intra quali morì Francesco figliuolo di
Uguccione, il quale, giovinetto e volenteroso, nel primo assalto fu
morto.
Fece
questa rotta al tutto grande il nome di Castruccio; in tanto che a
Uguccione entrò tanta gelosia e sospetto dello stato suo, che
non mai pensava se non come lo potessi spegnere, parendogli che
quella vittoria gli avessi non dato ma tolto lo imperio. E stando in
questo pensiero, aspettando occasione onesta di mandarlo ad effetto,
occorse che e' fu morto Pier Agnolo Micheli in Lucca, uomo
qualificato e di grande estimazione, l'ucciditore del quale si
rifuggì in casa Castruccio; dove andando e' sergenti del
capitano per prenderlo, furono da Castruccio ributtati, in tanto che
lo omicida mediante gli aiuti suoi si salvò. La qual cosa
sentendo Uguccione, che allora si trovava a Pisa, e parendogli avere
giusta cagione a punirlo, chiamò Neri suo figliuolo, al quale
aveva già data la signoria di Lucca, e gli commisse che, sotto
titolo di convitare Castruccio, lo prendessi e facessi morire. Donde
che Castruccio, andando nel palazzo del signore domesticamente, non
temendo di alcuna ingiuria, fu prima da Neri ritenuto a cena, e di
poi preso. E dubitando Neri che nel farlo morire sanza alcuna
giustificazione il popolo non si alterasse, lo serbò vivo, per
intendere meglio da Uguccione come gli paressi da governarsi. Il
quale, biasimando la tardità e viltà del figliuolo, per
dare perfezione alla cosa con quattrocento cavagli si uscì di
Pisa per andarne a Lucca; e non era ancora arrivato ai Bagni, che i
Pisani presono le armi e uccisono il vicario di Uguccione e gli altri
di sua famiglia che erano restati in Pisa, e feciono loro signore il
conte Gaddo della Gherardesca. Sentì Uguccione, prima che
arrivasse a Lucca, lo accidente seguito in Pisa, né gli parse
da tornare indietro, acciò che i Lucchesi, con lo esemplo de'
Pisani, non gli serrassino ancora quegli le porte. Ma i Lucchesi,
sentendo i casi di Pisa, nonostante che Uguccione fussi venuto in
Lucca, presa occasione dalla liberazione di Castruccio, cominciorono
prima ne' circuli per le piazze a parlare sanza rispetto, di poi a
fare tumulto, e da quello vennono alle armi, domandando che
Castruccio fusse libero; tanto che Uguccione, per timore di peggio,
lo trasse di prigione. Donde che Castruccio, subito ragunati sua
amici, col favore del popolo fece èmpito contro a Uguccione.
Il quale, vedendo non avere rimedio, se ne fuggì con gli amici
suoi, e ne andò in Lombardia a trovare e' signori della Scala;
dove poveramente morì.
Ma Castrucio, di prigioniero diventato come principe di Lucca, operò,
con gli amici suoi e con el favore fresco del popolo, in modo che fu
fatto capitano delle loro gente per uno anno. Il che ottenuto, per
darsi riputazione nella guerra, disegnò di recuperare ai
Lucchesi molte terre che si erano ribellate dopo la partita di
Uguccione; e andò, con il favore de' Pisani con i quali si era
collegato, a campo a Serezana; e per espugnarla, fece sopra essa una
bastìa, la quale, di poi murata dai Fiorentini, si chiama oggi
Serezanello; e in tempo di dua mesi prese la terra. Di poi con questa
reputazione occupò Massa, Carrara e Lavenza, e in brevissimo
tempo occupò tutta Lunigiana; e per serrare il passo che di
Lombardia viene in Lunigiana, espugnò Pontriemoli, e ne trasse
messer Anastasio Palavisini che ne era signore. Tornato a Lucca con
questa vittoria, fu da tutto il popolo incontrato. Né parendo
a Castruccio da differire il farsi principe, mediante Pazzino dal
Poggio, Puccinello dal Portico, Francesco Boccansacchi e Cecco
Guinigi, allora di grande reputazione in Lucca, corrotti da lui, se
ne fece signore, e solennemente e per deliberazione del popolo fu
eletto principe.
Era venuto in questo tempo in Italia Federigo di Baviera, re de'
Romani, per prendere la corona dello Imperio. Il quale Castruccio si
fece amico, e lo andò a trovare con cinquecento cavagli; e
lasciò in Lucca suo luogotenente Pagolo Guinigi, del quale,
per la memoria del padre, faceva quella stimazione che se e' fussi
nato di lui. Fu ricevuto Castruccio da Federigo onoratamente e
datogli molti privilegi, e lo fece suo luogotenente in Toscana. E
perché i Pisani avevono cacciato Gaddo della Gherardesca, e
per paura di lui erano ricorsi a Federigo per aiuto, Federigo fece
Castruccio signore di Pisa; e i Pisani per timore di parte guelfa, e
in particulare de' Fiorentini, lo accettorono.
Tornatosene pertanto Federigo nella Magna, e lasciato uno governatore
a Roma, tutti e' Ghibellini toscani e lombardi, che seguivano le
parti dello imperadore, si rifuggirono a Castruccio, e ciascuno gli
prometteva lo imperio della sua patria, quando per suo mezzo Vi
rientrasse; intra quali furono Matteo Guidi, Nardo Scolari, Lapo
Uberti, Gerozzo Nardi e Piero Buonaccorsi, tutti ghibellini e fuora
usciti fiorentini. E disegnando Castruccio per il mezzo di costoro e
con le sue forze farsi signore di tutta Toscana, per darsi più
reputazione si accostò con messer Matteo Visconti principe di
Milano, e ordinò tutta la città e il suo paese alle
armi. E perché Lucca aveva cinque porte, divise in cinque
parti el contado, e quello armò e distribuì sotto capi
e insegne, tale che in uno subito metteva insieme ventimila uomini,
sanza quegli che gli potevano venire in aiuto da Pisa. Cinto adunque
di queste forze e di questi amici, accadde che messer Matteo Visconti
fu assaltato dai Guelfi di Piacenza; i quali avevono cacciati i
Ghibellini, in aiuto de' quali e' Fiorentini e il re Ruberto avevono
mandate loro gente. Donde che messer Matteo richiese Castruccio che
dovesse assaltare e' Fiorentini, acciò che quegli, costretti a
difendere le case loro revocassino le loro gente di Lombardia. Così
Castruccio con assai gente assaltò il Valdarno, e occupò
Fucecchio e San Miniato con grandissimo danno del paese; onde che i
Fiorentini per questa necessità rivocorono le loro genti. Le
quali a fatica erono tornate in Toscana, che Castruccio fu costretto
da un'altra necessità tornare a Lucca.
Era, in quella città, la famiglia di Poggio potente per avere
fatto non solamente grande Castruccio ma principe; e non le parendo
essere remunerata secondo i suoi meriti, convenne con altre famiglie
di Lucca di ribellare la città e cacciarne Castruccio. E presa
una mattina occasione, corsono armate al luogotenente che Castruccio
sopra la giustizia vi teneva, e lo ammazzorono. E volendo seguire di
levare il popolo a romore, Stefano di Poggio, antico e pacifico uomo
il quale nella congiura non era intervenuto, si fece innanzi, e
costrinse con la autorità sua i suoi a posare le armi,
offerendosi di essere mediatore intra loro e Castruccio a fare
ottenere a quegli i desiderii loro. Posorono pertanto coloro le arme,
non con maggiore prudenza che le avessero prese; per che Castruccio,
sentita la novità seguita a Lucca, sanza mettere tempo in
mezzo, con parte delle sue genti, lasciato Pagolo Guinigi capo del
resto, se ne venne in Lucca. E trovato, fuora di sua opinione, posato
el romore, parendogli avere più facilità di
assicurarsi, dispose e' suoi partigiani armati per tutti e' luoghi
opportuni. Stefano di Poggio, parendogli che Castruccio dovessi avere
obligo seco, lo andò a trovare, e non pregò per sé,
perché giudicava non avere di bisogno, ma per gli altri di
casa, pregandolo che condonasse molte cose alla giovanezza, molte
alla antica amicizia e obligo che quello aveva con la loro casa. Al
quale Castruccio rispose gratamente e lo confortò a stare di
buono animo mostrandogli avere più caro avere trovati posati
e' tumulti, che non aveva avuto per male la mossa di quelli, e
confortò Stefano a fargli venire tutti a lui, dicendo che
ringraziava Dio di avere avuto occasione di dimostrare la sua
clemenza e liberalità. Venuti adunque sotto la fede di Stefano
e di Castruccio, furono insieme con Stefano imprigionati e
morti.
Avevano in
questo mezzo e' Fiorentini recuperato San Miniato; onde che a
Castruccio parve di fermare quella guerra, parendogli, infino ch'e'
non si assicurava di Lucca, di non si potere discostare da casa. E
fatto tentare e' Fiorentini di triegua, facilmente gli trovò
disposti, per essere ancora quegli stracchi e desiderosi di fermare
la spesa. Fecero adunque triegua per dua anni, e che ciascuno
possedessi quello che possedeva. Liberato dunque Castruccio dalla
guerra, per non incorrere più ne' pericoli era incorso prima,
sotto varii colori e cagioni spense tutti quegli in Lucca che
potessero per ambizione aspirare al principato; né perdonò
ad alcuno, privandogli della patria e della roba, e, quegli che
poteva avere nelle mani, della vita, affermando di avere conosciuto
per esperienza niuno di quegli potergli essere fedele. E per più
sua sicurtà, fondò una fortezza in Lucca, e si servì
della materia delle torre di coloro ch'egli aveva cacciati e
morti.
Mentre che
Castruccio aveva posate le armi co' Fiorentini e che e' si
affortificava in Lucca, non mancava di fare quelle cose che poteva
sanza manifesta guerra operare, per fare maggiore la sua grandezza. E
avendo desiderio grande di occupare Pistoia, parendogli, quando
ottenessi la possessione di quella città, di avere un piè
in Firenze, si fece in varii modi tutta la montagna amica; e con le
parti di Pistoia si governava in modo che ciascuna confidava in lui.
Era allora quella città divisa, come fu sempre, in Bianchi e
Neri. Capo de' Bianchi era Bastiano di Possente, de' Neri, Iacopo da
Gia; de' quali ciascuno teneva con Castruccio strettissime pratiche,
e qualunque di loro desiderava cacciare l'altro; tanto che l'uno e
l'altro, dopo molti sospetti, vennono alle armi. Iacopo si fece forte
alla Porta Fiorentina, Bastiano alla Lucchese, e confidando l'uno e
l'altro più in Castruccio che ne' Fiorentini, giudicandolo più
espedito e più presto in su la guerra, mandorono a lui
secretamente, l'uno e l'altro, per aiuti; e Castruccio all'uno e
all'altro gli promisse, dicendo a Iacopo che verrebbe in persona, e a
Bastiano che manderebbe Pagolo Giunigi suo allievo. E dato loro il
tempo a punto, mandò Pagolo per la via di Pescia, ed esso a
dirittura se n'andò a Pistoia; e in su la mezza notte, ché
così erano convenuti Castruccio e Pagolo, ciascuno fu a
Pistoia, e l'uno e l'altro fu ricevuto come amico. Tanto che entrati
dentro, quando parve a Castruccio, fece il cenno a Pagolo; dopo il
quale l'uno uccise Iacopo da Gia e l'altro Bastiano di Possente; e
tutti gli altri loro partigiani furono parte presi e parte morti; e
corsono sanza altre opposizioni Pistoia per loro; e tratta la
Signoria di palagio, costrinse Castruccio il popolo a dargli
obedienza, faccendo a quello molte rimessioni di debiti vecchi e
molte offerte; e così fece a tutto el contado, il quale era
corso in buona parte a vedere il nuovo principe; tale che ognuno,
ripieno di speranza, mosso in buona parte dalle virtù sue, si
quietò.
Occorse, in questi tempi, che il popolo di Roma cominciò a
tumultuare per il vivere caro, causandone l'assenzia del pontefice
che si trovava in Avignone, e biasimando i governi tedeschi in modo
che e' si facevano ogni dì degli omicidii e altri disordini,
sanza che Enrico luogotenente dello imperadore vi potesse rimediare,
tanto che ad Enrico entrò un gran sospetto, che i Romani non
chiamassino el re Ruberto di Napoli, e lui cacciassero di Roma, e
restituissenla al papa. Né avendo el più propinquo
amico a chi ricorrere che Castruccio. Lo mandò a pregare fussi
contento, non solamente mandare aiuti, ma venire in persona a Roma.
Giudicò Castruccio che non fussi da differire, sì per
rendere qualche merito allo imperadore, sì perché
giudicava, qualunche volta lo imperadore non fussi a Roma, non avere
rimedio. Lasciato adunque Pagolo Guinigi a Lucca, se ne andò
con secento cavagli a Roma, dove fu ricevuto da Enrico con
grandissimo onore; e in brevissimo tempo la sua presenza rendé
tanta riputazione alla parte dello Imperio che, sanza sangue o altra
violenza, si mitigò ogni cosa; perché, fatto venire
Castruccio per mare assai frumento del paese di Pisa, levò la
cagione dello scandalo; di poi, parte ammunendo, parte gastigando i
capi di Roma, gli ridusse volontariamente sotto il governo di Enrico.
E Castruccio fu fatto senatore di Roma, e datogli molti altri onori
dal popolo romano. Il quale ufficio Castruccio prese con grandissima
pompa, e si misse una toga di broccato indosso, con lettere dinanzi
che dicevano: "Egli è quel che Dio vuole", e di
dietro dicevano: "E' sarà quel che Dio vorrà".
In questo mezzo e' Fiorentini, e' quali erano mali contenti che
Castruccio si fussi ne' tempi della triegua insignorito di Pistoia,
pensavano in che modo potessino farla ribellare; il che per la
assenzia sua giudicavano facile. Era intra gli usciti Pistolesi che a
Firenze si trovavano, Baldo Cecchi e Iacopo Baldini, tutti uomini di
autorità e pronti a mettersi a ogni sbaraglio. Costoro tennono
pratica con loro amici di dentro, tanto che, con lo aiuto de'
Fiorentini, entrorno di notte in Pistoia e ne cacciorno e' partigiani
e ufficiali di Castruccio, e parte ne ammazzorono, e renderono la
libertà alla città. La quale nuova dette a Castruccio
noia e dispiacere grande; e presa licenza da Enrico, a gran giornate
con le sue genti se ne venne a Lucca. I Fiorentini, come intesono la
tornata di Castruccio, pensando che ei non dovessi posare,
deliberorono di anticiparlo e, con le loro gente, entrare prima in
Val di Nievole che quello, giudicando che se eglino occupassino
quella valle, gli venivano a tagliare la via di potere recuperare
Pistoia; e contratto uno grosso esercito di tutti gli amici di parte
guelfa, vennono nel Pistolese. Dall'altra parte Castruccio con le sue
gente ne venne a Montecarlo; e inteso dove lo esercito de' Fiorentini
si trovava, deliberò di non andare a incontrarlo nel piano di
Pistoia né di aspettarlo nel piano di Pescia, ma, se fare
potesse, di affrontarsi seco nello stretto di Serravalle, giudicando,
quando tale disegno gli riuscisse, di riportarne la vittoria certa,
perché intendeva i Fiorentini avere insieme trentamila uomini,
ed esso ne aveva scelti de' suoi dodicimila. E benché si
confidassi nella industria sua e virtù loro, pure dubitava,
appiccandosi nel luogo largo, di non essere circundato dalla
moltitudine de' nimici.
E` Serravalle uno castello tra Pescia e Pistoia, posto sopra uno
colle che chiude la Val di Nievole, non in sul passo proprio, ma di
sopra a quello dua tratti di arco. Il luogo donde si passa è
più stretto che repente, perché da ogni parte sale
dolcemente; ma è in modo stretto, massimamente in sul colle
dove le acque si dividono, che venti uomini accanto l'uno all'altro
lo occuperebbeno. In questo luogo aveva disegnato Castruccio
affrontarsi con gli inimici, sì perché le sue poche
gente avessero vantaggio, sì per non iscoprire e' nimici prima
che in su la zuffa, dubitando che i suoi, veggendo la moltitudine di
quegli, non isbigottissino. Era signore del castello di Serravalle
messer Manfredi, di nazione tedesca; il quale, prima che Castruccio
fussi signore di Pistoia, era stato riserbato in quel castello come
in luogo comune ai Lucchesi e a' Pistolesi, né di poi ad
alcuno era accaduto offenderlo, promettendo quello a tutti stare
neutrale, né si obligare ad alcuno di loro; sì che per
questo, e per essere in luogo forte, era stato mantenuto. Ma venuto
questo accidente, divenne Castruccio desideroso di occupare quello
luogo- e avendo stretta amicizia con uno terrazzano, ordinò in
modo, con quello, che la notte davanti che si avessi a venire alla
zuffa ricevesse quattrocento uomini de' suoi, e ammazzasse il
signore.
E stando
così preparato, non mosse lo esercito da Montecarlo, per dare
più animo ai Fiorentini a passare. E' quali perché
desideravono discostare la guerra da Pistoia e ridurla in Val di
Nievole si accamporono sotto Serravalle con animo di passare, el dì
di poi, il colle. Ma Castruccio, avendo sanza tumulto preso la notte
il castello, si partì in su la mezza notte da Montecarlo, e
tacito con le sue genti arrivò la mattina a piè di
Serravalle; in modo che a un tratto i Fiorentini ed esso, ciascuno
dalla sua parte incominciò a salire la costa. Aveva Castruccio
le sue fanterie diritte per la via ordinaria, e una banda di
quattrocento cavagli aveva mandata in su la mano manca verso il
castello. I Fiorentini, dall'altra banda, avieno mandati innanzi
quattrocento cavagli, e di poi avevono mosse le fanterie e, dietro a
quelle, le genti d'arme; né credevano trovare Castruccio in
sul colle, perché non sapevano ch'ei si fusse insignorito del
castello. In modo che, insperatamente, i cavagli de' Fiorentini,
salita la costa, scopersono le fanterie di Castruccio, e trovoronsi
tanto propinqui a loro, che con fatica ebbono tempo ad allacciarsi le
celate. Sendo pertanto gli impreparati assaltati dai preparati e
ordinati, con grande animo li spinsono, e quelli con fatica
resisterono; pure si fece testa per qualcuno di loro, ma, disceso il
romore per il resto del campo de' Fiorentini, si riempié di
confusione ogni cosa. I cavagli erono oppressi dai fanti, i fanti dai
cavagli e dai carriaggi; i capi non potevono per la strettezza del
luogo andare né innanzi né indietro, di modo che niuno
sapeva in tanta confusione quello si potesse o dovesse fare. Intanto
e' cavagli, che erono alle mani con le fanterie nimiche, erano
ammazzati e guasti sanza potere difendersi, perché la
malignità del sito non gli lasciava; pure più per forza
che per virtù resistevono, perché, avendo dai fianchi i
monti, di dietro gli amici e dinanzi gli inimici, non restava loro
alcuna via aperta alla fuga.
Intanto Castruccio, veduto che i suoi non bastavano a fare voltare e'
nimici, mandò mille fanti per la via del castello; e fattogli
scendere con quattrocento cavagli che quello aveva mandati innanzi,
li percossono per fianco con tanta furia, che le genti fiorentine non
potendo sostenere lo impeto di quelli, vinti più da il luogo
che da' nimici, cominciorno a fuggire. E cominciò la fuga da
quelli che erono di dietro verso Pistoia, i quali distendendosi per
il piano, ciascuno, dove meglio gli veniva, provvedeva alla sua
salute.
Fu questa
rotta grande, e piena di sangue. Furono presi molti capi, intra quali
furono Bandino de' Rossi, Francesco Brunelleschi e Giovanni della
Tosa, tutti nobili fiorentini, con di molti altri Toscani e
regnicoli, i quali, mandati da il re Ruberto in favore de' Guelfi,
con i Fiorentini militavano.
I Pistolesi, udita la rotta, sanza differire, cacciata la parte amica
a' Guelfi, si dettono a Castruccio. Il quale, non contento di questo,
occupò Prato e tutte le castella del piano, così di là
come di qua d'Arno; e si pose con le genti nel piano di Peretola,
propinquo a Firenze a dua miglia; dove stette molti giorni a dividere
la preda e a fare festa della vittoria avuta, faccendo in dispregio
de' Fiorentini battere monete, correre palii a cavagli, a uomini e a
meretrici. Né mancò di volere corrompere alcuno nobile
cittadino, perché gli aprisse la notte le porte di Firenze;
ma, scoperta la congiura, furono presi e decapitati Tommaso Lupacci e
Lambertuccio Frescobaldi.
Sbigottiti, adunque, i Fiorentini per la rotta, non vedevono rimedio
a potere salvare la loro libertà; e per essere più
certi degli aiuti, mandorono oratori a Ruberto re di Napoli, a dargli
la città e il dominio di quella. Il che da quel re fu
accettato, non tanto per lo onore fattogli dai Fiorentini, quanto
perché sapeva di quale momento era allo stato suo che la parte
guelfa mantenessi lo stato di Toscana. E convenuto con i Fiorentini
di avere dugentomila fiorini l'anno, mandò a Firenze Carlo,
suo figliuolo, con quattromila cavagli.
Intanto e' Fiorentini si erano alquanto sollevati dalle genti di
Castruccio, perché egli era stato necessario partirsi di sopra
e' loro terreni e andarne a Pisa, per reprimere una congiura fatta
contro di lui da Benedetto Lanfranchi, uno de' primi di Pisa. Il
quale, non potendo sopportare che la sua patria fussi serva d'uno
Lucchese, gli congiurò contra, disegnando occupare la
cittadella e, cacciatane la guardia, ammazzare i partigiani di
Castruccio. Ma perché in queste cose se il poco numero è
sufficiente al segreto, non basta alla esecuzione, mentre che e'
cercava di ridurre più uomini a suo proposito, trovò
chi questo suo disegno scoperse a Castruccio. Né passò
questa revelazione sanza infamia di Bonifacio Cerchi e Giovanni Guidi
fiorentini, i quali si trovavano confinati a Pisa; onde, posto le
mani addosso a Benedetto, lo ammazzò, e tutto el restante di
quella famiglia mandò in esilio, e molti altri nobili
cittadini decapitò. E parendogli avere Pistoia e Pisa poco
fedeli, con industria e forza attendeva ad assicurarsene; il che
dette tempo ai Fiorentini di ripigliare le forze, e potere aspettare
la venuta di Carlo. Il quale venuto, deliberarono di non perdere
tempo, e ragunorono insieme grande gente, perché convocorono
in loro aiuto quasi tutti i Guelfi di Italia, e feciono uno
grossissimo esercito di più di trentamila fanti e diecimila
cavagli. E consultato quale dovessino assalire prima, o Pistoia o
Pisa, si risolverono fusse meglio combattere Pisa, come cosa più
facile a riuscire per la fresca congiura che era stata in quella, e
di più utilità, giudicando, avuta Pisa, Pistoia per se
medesima si arrendesse.
Usciti adunque i Fiorentini fuora con questo esercito, allo entrare
di maggio del milletrecentoventotto, occuparono subito la Lastra,
Signa, Montelupo ed Empoli, e ne vennono con lo esercito a San
Miniato. Castruccio, dall'altra parte, sentendo el grande esercito
che i Fiorentini gli avieno mosso contra, non sbigottito in alcuna
parte, pensò che questo fusse quel tempo che la fortuna gli
dovesse mettere in mano lo imperio di Toscana, credendo che gli
inimici non avessero a fare migliore prova in quello di Pisa che si
facessero a Serravalle, ma che non avessino già speranza di
rifarsi come allora; e ragunato ventimila de' suoi uomini a piè
e quattromila cavagli, si pose con lo esercito a Fucecchio, e Pagolo
Guinigi mandò con cinquemila fanti in Pisa. E` Fucecchio posto
in luogo più forte che alcuno altro castello di quello di
Pisa, per essere in mezzo intra la Gusciana e Arno, ed essere
alquanto rilevato da il piano; dove stando, non li potevano i nimici,
se non facevano dua parte di loro, impedire le vettovaglie che da
Lucca o da Pisa non venissino; né potevano, se non con loro
disavvantaggio, o andare a trovarlo o andare verso Pisa; perché,
nell'uno caso, potevono essere messi in mezzo dalle genti di
Castruccio e da quelle di Pisa; nell'altro, avendo a passare Arno,
non potevono farlo, con il nimico addosso, se non con grande loro
pericolo. E Castruccio, per dare loro animo di pigliare questo
partito di passare, non si era posto con le genti sopra la riva
d'Arno, ma allato alle mura di Fucecchio, e aveva lasciato spazio
assai intra il fiume e lui.
I Fiorentini, avendo occupato San Miniato, consigliorono quello fusse
da fare: o andare a Pisa o a trovare Castruccio e misurata la
difficultà dell'uno partito e dell'altro, si risolverno andare
a investirlo. Era il fiume d'Arno tanto basso che si poteva guadare,
ma non però in modo che a' fanti non bisognassi bagnarsi
infino alle spalle e ai cavagli infino alle selle. Venuto pertanto la
mattina de' dì dieci di giugno, i Fiorentini, ordinati alla
zuffa, feciono cominciare a passare parte della loro cavalleria e una
battaglia di diecimila fanti. Castruccio, che stava parato e intento
a quello che egli aveva in animo di fare, con una battaglia di
cinquemila fanti e tremila cavagli gli assaltò; né
dette loro tempo a uscire tutti fuora delle acque, che fu alle mani
con loro, e mille fanti espediti mandò su per la riva dalla
parte di sotto d'Arno e mille di sopra. Erano e' fanti de' Fiorentini
aggravati dalle acque e dalle armi, né avevano tutti superato
la grotta del fiume. I cavagli, passati che ne furono alquanti, per
avere rotto el fondo d'Arno, ferono il passo agli altri difficile;
perché, trovando il passo sfondato, molti rimboccavano addosso
al padrone; molti si ficcavano talmente nel fango che non si potevano
ritirare. Onde veggendo i capitani fiorentini la difficultà
del passare da quella parte, li feciono ritirare più alti su
per il fiume, per trovare il fondo non guasto e la grotta più
benigna che gli ricevessi. Ai quali si opponevano quegli fanti che
Castruccio aveva su per la grotta mandati; i quali armati alla
leggiera con rotelle e dardi di galea in mano, con grida grandi,
nella fronte e nel petto gli ferivano: tale che i cavagli dalle
ferite e dalle grida sbigottiti, non volendo passare avanti, addosso
l'uno all'altro si rimboccavano. La zuffa intra quegli di Castruccio
e quegli che erano passati fu aspra e terribile; e da ogni parte ne
cadeva assai; e ciascuno s'ingegnava con quanta più forza
poteva di superare l'altro. Quegli di Castruccio gli volevono
rituffare nel fiume; i Fiorentini gli volevono spignere, per dare
luogo agli altri che, usciti fuora della acqua, potessero combattere;
alla quale ostinazione si aggiugnevano i conforti de' capitani.
Castruccio ricordava ai suoi ch'egli erano quelli inimici medesimi
che non molto tempo innanzi avevono vinti a Serravalle; e i
Fiorentini rimproveravono i loro che gli assai si lasciassino
superare da' pochi. Ma veduto Castruccio che la battaglia durava, e
come i suoi e gli avversarii erano già stracchi, e come da
ogni parte ne era molti feriti e morti, spinse innanzi un'altra banda
di cinquemila fanti, e condotti che gli ebbe alle spalle de' suoi che
combattevano, ordinò che quelli davanti si aprissino e, come
se si mettessino in volta, l'una parte in su la destra e l'altra in
su la sinistra si ritirasse. La quale cosa fatta, dette spazio a'
Fiorentini di farsi innanzi e guadagnare alquanto di terreno. Ma
venuti alle mani i freschi con gli affaticati, non stettono molto che
gli spinsono nel fiume. Intra la cavalleria dell'uno e dell'altro non
vi era ancora vantaggio, perché Castruccio, conosciuta la sua
inferiore, aveva comandato ai condottieri che sostenessino solamente
el nimico, come quello che sperava superare i fanti, e, superati,
potere poi più facilmente vincere i cavagli; il che gli
succedette secondo il disegno suo. Perché, veduti i fanti
inimici essersi ritirati nel fiume, mandò quel resto della sua
fanteria alla volta de' cavagli inimici; i quali con lance e con
dardi ferendogli, e la cavalleria ancora con maggior furia premendo
loro addosso, gli missono in volta. I capitani fiorentini, vedendo la
difficultà che i loro cavagli avevano a passare, tentorono far
passare le fanterie dalla parte di sotto del fiume, per combattere
per fianco le genti di Castruccio. Ma sendo le grotte alte e di sopra
occupate dalle genti di quello, si provorono in vano. Messesi
pertanto el campo in rotta, con gloria grande e onore di Castruccio;
e di tanta moltitudine non ne campò el terzo. Furono presi di
molti capi; e Carlo, figliuolo del re Ruberto, insieme con
Michelagnolo Falconi e Taddeo degli Albizzi, commissarii fiorentini,
se ne fuggirono a Empoli. Fu la preda grande, la uccisione
grandissima, come in uno tanto conflitto si può estimare;
perché dello esercito fiorentino ne morì ventimila
dugentotrentuno, e di quegli di Castruccio mille cinquecento
settanta.
Ma la
fortuna, inimica alla sua gloria, quando era tempo di dargli vita,
gliene tolse, e interruppe quelli disegni che quello molto tempo
innanzi aveva pensato di mandare ad effetto, né gliene poteva
altro che la morte impedire. Erasi Castruccio nella battaglia tutto
el giorno affaticato, quando, venuto el fine di essa, tutto pieno di
affanno e di sudore, si fermò sopra la porta di Fucecchio, per
aspettare le genti che tornassino dalla vittoria, e quelle con la
presenzia sua ricevere e ringraziare, e parte, se pure cosa alcuna
nascesse dai nimici che in qualche parte avessino fatto testa, potere
essere pronto a rimediare; giudicando lo officio d'uno buono capitano
essere montare il primo a cavallo e l'ultimo scenderne. Donde che,
stando esposto a uno vento che il più delle volte a mezzo dì
si leva di in su Arno, e suole essere quasi sempre pestifero,
agghiacciò tutto; la quale cosa non essendo stimata da lui,
come quello che a simili disagi era assuefatto, fu cagione della sua
morte. Perché la notte seguente fu da una grandissima febbre
assalito; la quale andando tuttavia in augumento, ed essendo il male
da tutti e' medici giudicato mortale, e accorgendosene Castruccio
chiamò Pagolo Guinigi e gli disse queste parole: - Se io
avessi creduto, figliuolo mio, che la fortuna mi avesse voluto
troncare nel mezzo del corso il cammino per andare a quella gloria
che io mi avevo con tanti miei felici successi promessa, io mi sarei
affaticato meno e a te arei lasciato, se minore stato, meno inimici e
meno invidia. Perché, contento dello imperio di Lucca e di
Pisa, non arei soggiogati e' Pistolesi e con tante ingiurie irritati
e' Fiorentini; ma, fattomi e l'uno e l'altro di questi dua popoli
amici, arei menata la mia vita, se non più lunga, al certo più
quieta, e a te arei lasciato lo stato, se minore, sanza dubbio più
sicuro e più fermo. Ma la fortuna, che vuole essere arbitra di
tutte le cose umane, non mi ha dato tanto giudicio che io l'abbia
potuta prima conoscere, né tanto tempo che io l'abbi potuta
superare. Tu hai inteso, perché molti te lo hanno detto e io
non l'ho mai negato, come io venni in casa di tuo padre ancora
giovanetto e privo di tutte quelle speranze che deono in ogni
generoso animo capire, e come io fui da quello nutrito e amato più
assai che se io fussi nato del suo sangue; donde che io, sotto el
governo suo, divenni valoroso e atto a essere capace di quella
fortuna che tu medesimo hai veduta e vedi. E perché, venuto a
morte, ei commisse alla mia fede te e tutte le fortune sue, io ho te
con quello amore nutrito, ed esse con quella fede accresciute, che io
era tenuto e sono. E perché non solamente fussi tuo quello che
da tuo padre ti era stato lasciato, ma quello ancora che la fortuna e
la virtù mia si guadagnava, non ho mai voluto prendere donna,
acciò che lo amore de' figliuoli non mi avesse a impedire che
in alcuna parte non mostrassi verso del sangue di tuo padre quella
gratitudine che mi pareva essere tenuto di mostrare. Io ti lascio
pertanto uno grande stato; di che io sono molto contento; ma perché
io te lo lascio debole e infermo, io ne sono dolentissimo. E' ti
rimane la città di Lucca, la quale non sarà mai bene
contenta di vivere sotto lo imperio tuo. Rimanti Pisa, dove sono
uomini di natura mobili e pieni di fallacia; la quale ancora che sia
usa in varii tempi a servire, nondimeno sempre si sdegnerà di
avere uno signore lucchese. Pistoia ancora ti resta, poco fedele, per
essere divisa, e contro al sangue nostro dalle fresche ingiurie
irritata. Hai per vicini e' Fiorentini, offesi e in mille modi da noi
ingiuriati e non spenti; ai quali sarà più grato lo
avviso della morte mia, che non sarebbe lo acquisto di Toscana. Negli
principi di Milano e nello imperadore non puoi confidare, per essere
discosto, pigri, e gli loro soccorsi tardi. Non dei pertanto sperare
in alcuna cosa, fuora che nella tua industria e nella memoria della
virtù mia e nella reputazione che ti arreca la presente
vittoria, la quale se tu saprai con prudenza usare, ti darà
aiuto a fare accordo con i Fiorentini, al quale, sendo sbigottiti per
la presente rotta, doverranno con desiderio condescendere. I quali
dove io cercavo di farmi inimici, e pensavo che la inimicizia loro mi
avessi a recare potenza e gloria, tu hai con ogni forza a cercare di
fartegli amici, perché la amicizia loro ti arrecherà
securtà e commodo. E` cosa in questo mondo di importanza assai
cognoscere se stesso, e sapere misurare le forze dello animo e dello
stato suo; e chi si cognosce non atto alla guerra, si debbe ingegnare
con le arti della pace di regnare. A che è bene, per il
consiglio mio, che tu ti volga, e t'ingegni per questa via di goderti
le fatiche e pericoli miei; il che ti riuscirà facilmente,
quando stimi essere veri questi miei ricordi. E arai ad avere meco
duoi oblighi: l'uno, che io ti ho lasciato questo regno; l'altro, che
io te lo ho insegnato mantenere.
Di poi fatti venire quegli cittadini che di Lucca, di Pisa e di
Pistoia seco militavano, e raccomandato a quegli Pagolo Guinigi, e
fattigli giurare obedienza, si morì; lasciando, a tutti quegli
che lo avevano sentito ricordare, di sé una felice memoria, e
a quegli che gli erano stati amici tanto desiderio di lui, quanto
alcuno altro principe che mai in qualunche altro tempo morissi.
Furono le esequie sue celebrate onoratissimamente, e sepulto in San
Francesco in Lucca. Ma non furno già la virtù e la
fortuna tanto amiche a Pagolo Guinigi, quanto a Castruccio; perché
non molto di poi perdé Pistoia, e appresso Pisa, e con fatica
si mantenne il dominio di Lucca, il quale perseverò nella sua
casa infino a Pagolo suo pronipote.
Fu adunque Castruccio, per quanto si è dimostro, uno uomo non
solamente raro ne' tempi sua, ma in molti di quegli che innanzi erono
passati. Fu della persona più che l'ordinario di altezza, e
ogni membro era all'altro rispondente; ed era di tanta grazia nello
aspetto e con tanta umanità raccoglieva gli uomini, che non
mai gli parlò alcuno che si partisse da quello mal contento. I
capegli suoi pendevano in rosso, e portavagli tonduti sopra gli
orecchi; e sempre, e d'ogni tempo, come che piovesse o nevicasse,
andava con il capo scoperto.
Era grato agli amici, agli inimici terribile, giusto con i sudditi,
infedele con gli esterni; né mai potette vincere per fraude,
che e' cercasse di vincere per forza; perché ei diceva che la
vittoria, non el modo della vittoria, ti arrecava gloria.
Niuno fu mai più audace a entrare ne' pericoli, né più
cauto a uscirne; e usava di dire che gli uomini debbono tentare ogni
cosa, né di alcuna sbigottire, e che Dio è amatore
degli uomini forti, perché si vede che sempre gastiga gli
impotenti con i potenti.
Era ancora mirabile nel rispondere e mordere, o acutamente o
urbanamente; e come non perdonava in questo modo di parlare ad
alcuno, così non si adirava quando non era perdonato a lui.
Donde si truovono di molte cose dette da lui acutamente, e molte
udite pazientemente.
Avendo egli fatto comperare una starna uno ducato, e riprendendolo
uno amico, disse Castruccio: - Tu non la comperresti per più
che uno soldo. - E dicendogli lo amico che ei diceva il vero, rispose
quello: - Uno ducato mi vale molto meno.
Avendo intorno uno adulatore, e per dispregio avendogli sputato
addosso, disse lo adulatore: - I pescatori, per prendere un piccolo
pesce, si lasciono tutti bagnare dal mare, io mi lascerò bene
bagnare da uno sputo per pigliare una balena. - Il che Castruccio non
solo udì pazientemente, ma lo premiò.
Dicendogli alcuno male, ché e' viveva troppo splendidamente,
disse Castruccio: - Se questo fussi vizio, non si farebbe sì
splendidi conviti alle feste de' nostri santi.
Passando per una strada, e vedendo uno giovanetto che usciva di casa
una meretrice tutto arrossito per essere stato veduto da lui, gli
disse: - Non ti vergognare quando tu n'esci, ma quando tu
v'entri.
Dandogli
uno amico a sciogliere uno nodo accuratamente annodato, disse: - O
sciocco, credi tu ch'io voglia sciòrre una cosa che, legata,
mi dia tanta briga?
Dicendo Castruccio a uno el quale faceva professione di filosofo: -
Voi siete fatti come i cani, che vanno sempre dattorno a chi può
meglio dare loro mangiare; - gli rispose quello: - Anzi, siamo come
e' medici, che andiamo a casa coloro che di noi hanno maggiore
bisogno.
Andando
da Pisa a Livorno per acqua, e sopravvenendo uno temporale
pericoloso, per il che turbandosi forte Castruccio, fu ripreso da uno
di quegli che erano seco di pusillanimità, dicendo di non
avere paura di cosa alcuna, al quale disse Castruccio che non se ne
maravigliava, perché ciascuno stima l'anima sua quello che
ella vale.
Domandato da uno come egli avessi a fare a farsi stimare, gli disse:
- Fa, quando tu vai a uno convito, che e' non segga uno legno sopra
uno altro legno.
Gloriandosi uno di avere letto molte cose, disse Castruccio: - E'
sarebbe meglio gloriarsi di averne tenute a mente assai.
Gloriandosi alcuno che, bevendo assai, non si inebriava, disse: - E'
fa cotesto medesimo uno bue.
Aveva Castruccio una giovane con la quale conversava dimesticamente,
di che sendo da uno amico biasimato, dicendo massime che egli era
male che e' si fusse lasciato pigliare ad una donna: - Tu erri, -
disse Castruccio, - io ho preso lei, non ella me.
Biasimandolo ancora uno, che egli usava cibi troppo dilicati, disse:
- Tu non spenderesti in essi quanto spendo io. - E dicendogli quello
che e' diceva el vero, gli soggiunse: - Adunque tu sei più
avaro che io non sono ghiotto.
Sendo invitato a cena da Taddeo Bernardi lucchese, uomo ricchissimo e
splendidissimo, e, arrivato in casa, mostrandogli Taddeo una camera
parata tutta di drappi e che aveva il pavimento composto di pietre
fine, le quali, di diversi colori diversamente tessute, fiori e
fronde e simili verzure rappresentavano, ragunatosi Castruccio assai
umore in bocca, lo sputò tutto in sul volto a Taddeo. Di che
turbandosi quello, disse Castruccio: - Io non sapevo dove mi sputare
che io ti offendessi meno.
Domandato come morì Cesare, disse: - Dio volesse che io
morissi come lui!
Essendo una notte in casa d'uno de' suoi gentili uomini, dove erano
convitate assai donne a festeggiare, e ballando e sollazzando quello
più che alle qualità sua non conveniva, di che sendo
ripreso da uno amico, disse: - Chi è tenuto savio di dì,
non sarà mai tenuto pazzo di notte.
Venendo uno a domandargli una grazia, e faccendo Castruccio vista di
non udire, colui se gli gittò ginocchioni in terra; di che
riprendendolo Castruccio, disse quello: - Tu ne sei cagione, che hai
gli orecchi ne' piedi. - Donde che conseguì doppia più
grazia che non domandava.
Usava dire che la via dello andare allo inferno era facile, poiché
si andava allo ingiù e a chiusi occhi.
Domandandogli uno una grazia con assai parole e superflue, gli disse
Castruccio: - Quando tu vuoi più cosa alcuna da me, manda uno
altro.
Avendolo
uno uomo simile con una lunga orazione infastidito, e dicendogli nel
fine: - Io vi ho forse, troppo parlando, stracco -; - Non hai, -
disse - perché io non ho udito cosa che tu abbia
detto.
Usava dire
di uno che era stato uno bel fanciullo e di poi era un bello uomo,
come egli era troppo ingiurioso, avendo prima tolti i mariti alle
mogli e ora togliendo le moglie a' mariti.
A uno invidioso che rideva, disse: - Ridi tu perché tu hai
bene o perché uno altro ha male?
Sendo ancora sotto lo imperio di messer Francesco Guinigi e
dicendogli uno suo equale: - Che vuoi tu che io ti dia, e làsciamiti
dare una ceffata? - rispose Castruccio: - Uno elmetto.
Avendo fatto morire uno cittadino di Lucca, il quale era stato
cagione della sua grandezza, ed essendogli detto che egli aveva fatto
male ad ammazzare uno de' suoi amici vecchi, rispose che e' se ne
ingannavano, perché aveva morto uno nimico nuovo.
Lodava Castruccio assai gli uomini che toglievano moglie e poi non la
menavano, e così quegli che dicevano di volere navigare e poi
non navigavano.
Diceva maravigliarsi degli uomini che, quando ei comperano uno vaso
di terra o di vetro, lo suonano prima, per vedere se è buono,
e poi nel torre moglie erano solo contenti di vederla.
Domandandolo uno, quando egli era per morire, come e' voleva essere
seppellito, rispose: - Con la faccia volta in giù, perché
io so che, come io sono morto, andrà sottosopra questo
paese.
Dimandato
se, per salvare l'anima, ei pensò mai di farsi frate, rispose
che no, perché gli pareva strano che fra' Lazzero ne avessi a
ire in paradiso e Uguccione della Faggiuola nello inferno.
Dimandato quando era bene mangiare a volere stare sano, rispose: - Se
uno è ricco, quando egli ha fame; se uno è povero,
quando ei può.
Vedendo un suo gentiluomo che si faceva da uno suo famiglio
allacciare, disse: - Io priego Dio che tu ti faccia anche
imboccare.
Vedendo che uno aveva scritto sopra alla casa sua in lettere latine,
che Dio la guardassi dai cattivi, disse: - E' bisogna che non vi
entri egli.
Passando per una via dove era una casa piccola che aveva una porta
grande, disse: - Quella casa si fuggirà per quella
porta.
Sendogli
significato come uno forestiero aveva guasto uno fanciullo, disse: -
E' deve essere uno perugino.
Dimandando egli qual terra aveva la fama de' giuntatori e barattieri,
gli fu risposto: - Di Lucca - che per natura erono tutti, eccetto el
Buontura.
Disputando Castruccio con uno imbasciadore del re di Napoli per conto
di robe di confinati, e alterandosi alquanto, e dicendogli lo
'mbasciadore: - Dunque non hai tu paura del re? - rispose: - è
egli buono o cattivo questo vostro re? - E rispondendo quegli che
egli era buono, replicò Castruccio: - Perché vuoi tu
adunque che io abbi paura degli uomini buoni?
Potrebbonsi raccontare delle altre cose assai dette da lui, nelle
quali tutte si vedrebbe ingegno e gravità, ma voglio che
queste bastino in testimonio delle grandi qualità
sua.
Visse
quarantaquattro anni, e fu in ogni fortuna principe. E come della sua
buona fortuna ne appariscono assai memorie, così volle che
ancora della cattiva apparissino; per che le manette, con le quali
stette incatenato in prigione, si veggono ancora oggi fitte nella
torre della sua abitazione, dove da lui furono messe acciò
facessino sempre fede della sua avversità. E perché
vivendo ei non fu inferiore né a Filippo di Macedonia padre di
Alessandro, né a Scipione di Roma, ei morì nella età
dell'uno e dell'altro; e sanza dubbio arebbe superato l'uno e l'altro
se, in cambio di Lucca, egli avessi avuto per sua patria Macedonia o
Roma.