Metastasio Pietro
(pseudonimo di Pietro Trapassi)
RIME
CANZONETTE
e
SONETTI
(Selezione)
I - SOGNI E FAVOLE IO FINGO
Sogni e favole io fingo; e pure in carte
mentre favole e sogni orno e disegno,
in lor, folle che io son, prendo tal parte,
che del mal che inventai piango e mi sdegno.
Ma forse, allor che non m'inganna l'arte,
più saggio io sono? E' l'agitato ingegno
forse allor più tranquillo? O forse parte
da più salda cagion l'amor, lo sdegno?
Ah che non sol quelle, che io canto o scrivo
favole son; ma quanto temo o spero,
tutto è menzogna, e delirando io vivo!
Sogno della mia vita è il corso intero.
Deh tu, Signor, quando a destarmi arrivo,
fa che io trovi riposo in sen del Vero.
II - VECCHIAIA
Chiamo ogni giorno ai consueti uffici
le castalidi dee: ma più non hanno
cura di me le sacre mie nutrici.
In van tempro la cetra, in van m'affanno,
ché ritrosi adattarsi i detti miei
all'armoniche leggi or più non sanno.
Qual ne sia la cagione io non saprei:
so che poco or mi val quanto adunai
da' Toschi, da' Latini e dagli Achei.
Forse è vizio del clima, a' pigri rai
del vicino Orion: forse l'ingegno
cangiò natura, e intorpidisce ormai.
Canzonette
I - LA PRIMAVERA
(Canzonetta del 1719)
Già riede primavera
col suo fiorito aspetto;
già il grato zeffiretto
scherza fra l'erbe e i fior.
Tornan le frondi agli alberi,
l'erbette al prato tornano;
sol non ritorna a me
la pace del mio cor.
Febo col puro raggio
sui monti il gel discioglie,
e quei le verdi spoglie
veggonsi rivestir.
E il fiumicel, che placido
fra le sue sponde mormora,
fa col disciolto umor
il margine fiorir.
L'orride querce annose
su le pendici alpine
già dal ramoso crine
scuotono il tardo gel.
A gara i campi adornano
mille fioretti tremuli,
non violati ancor
da vomere crudel.
Al caro antico nido
fin dall'egizie arene
la rondinella viene,
che ha valicato il mar;
che, mentre il volo accelera,
non vede il laccio pendere,
e va del cacciator
l'insidie ad incontrar.
L'amante pastorella
già più serena in fronte
corre all'usata fonte
a ricomporsi il crin.
Escon le greggie ai pascoli;
d'abbandonar s'affrettano,
le arene il pescator,
l'albergo il pellegrin.
Fin quel nocchier dolente,
che sul paterno lido,
scherno del flutto infido,
naufrago ritornò;
nel rivederlo placido
lieto discioglie l'ancore;
e rammentar non sa
l'orror che in lui trovò.
E tu non curi intanto,
Fille, di darmi aìta;
come la mia ferita
colpa non sia di te.
Ma, se ritorno libero
gli antichi lacci a sciogliere,
no che non stringerò
più fra catene il piè.
Del tuo bel nome amato,
cinto del verde alloro,
spesso le corde d'oro
ho fatto risonar.
Or, se mi sei più rigida,
vuo' che i miei sdegni apprendano
del fido mio servir
gli oltraggi a vendicar.
Ah no; ben mio, perdona
questi sdegnosi accenti;
che sono i miei lamenti
segni d'un vero amor.
S'è tuo piacer, gradiscimi;
se così vuoi, disprezzami;
o pietosa, o crudel,
sei l'alma del mio cor.
II - LA LIBERTÀ
(Canzonetta dedicata a Nice, Vienna 1733)
Grazie agl'inganni tuoi,
al fin respiro, o Nice,
al fin d'un infelice
ebber gli dei pietà:
sento da' lacci suoi,
sento che l'alma è sciolta;
non sogno questa volta,
non sogno libertà.
Mancò l'antico ardore,
e son tranquillo a segno,
che in me non trova sdegno
per mascherarsi amor.
Non cangio più colore
quando il tuo nome ascolto;
quando ti miro in volto
più non mi batte il cor.
Sogno, ma te non miro
sempre ne' sogni miei;
mi desto, e tu non sei
il primo mio pensier.
Lungi da te m'aggiro
senza bramarti mai;
son teco, e non mi fai
né pena, né piacer.
Di tua beltà ragiono,
né intenerir mi sento;
i torti miei rammento,
e non mi so sdegnar.
Confuso più non sono
quando mi vieni appresso;
col mio rivale istesso
posso di te parlar.
Volgimi il guardo altero,
parlami in volto umano;
il tuo disprezzo è vano,
è vano il tuo favor;
che più l'usato impero
quei labbri in me non hanno;
quegli occhi più non sanno
la via di questo cor.
Quel, che or m'alletta, o spiace.
se lieto o mesto or sono,
già non è più tuo dono,
già colpa tua non è:
che senza te mi piace
la selva, il colle, il prato;
ogni soggiorno ingrato
m'annoia ancor con te.
Odi, s'io son sincero;
ancor mi sembri bella,
ma non mi sembri quella,
che paragon non ha.
E (non t'offenda il vero)
nel tuo leggiadro aspetto
or vedo alcun difetto,
che mi parea beltà.
Quando lo stral spezzai,
(confesso il mio rossore)
spezzar m'intesi il core,
mi parve di morir.
Ma per uscir di guai,
per non vedersi oppresso,
per racquistar se stesso
tutto si può soffrir.
Nel visco, in cui s'avvenne
quell'augellin talora,
lascia le penne ancora,
ma torna in libertà:
poi le perdute penne
in pochi dì rinnova,
cauto divien per prova
né più tradir si fa.
So che non credi estinto
in me l'incendio antico,
perché sì spesso il dico,
perché tacer non so:
quel naturale istinto,
Nice, a parlar mi sprona,
per cui ciascun ragiona
de' rischi che passò.
Dopo il crudel cimento
narra i passati sdegni,
di sue ferite i segni
mostra il guerrier così.
Mostra così contento
schiavo, che uscì di pena,
la barbara catena,
che strascinava un dì.
Parlo, ma sol parlando
me soddisfar procuro;
parlo, ma nulla io curo
che tu mi presti fé:
parlo, ma non dimando
se approvi i detti miei,
né se tranquilla sei
nel ragionar di me.
Io lascio un'incostante;
tu perdi un cor sincero;
non so di noi primiero
chi s'abbia a consolar.
So che un sì fido amante
non troverà più Nice;
che un'altra ingannatrice
è facile a trovar.
III - PALINODIA
A Nice
Scritta in Vienna l'anno 1746.
Placa gli sdegni tuoi;
perdono, amata Nice;
l'error d'un infelice
è degno di pietà.
È ver, de' lacci suoi
vantai che l'alma è sciolta;
ma fu l'estrema volta
ch'io vanti libertà.
È ver, l'antico ardore
celar pretesi a segno
che mascherai lo sdegno,
per non scoprir l'amor:
ma cangi o no colore,
se nominar t'ascolto
ognun mi legge in volto
come si sta nel cor.
Pur desto ognor ti miro,
non che ne' sogni miei;
che ovunque tu non sei
ti pinge il mio pensier.
Tu, se con te m'aggiro,
tu, se ti lascio mai,
tu delirar mi fai
di pena o di piacer.
Di te s'io non ragiono,
infastidir mi sento,
di nulla mi rammento,
tutto mi fa sdegnar.
A nominarti io sono
sì avvezzo a chi m'appresso
che al mio rivale istesso
soglio di te parlar.
Da un sol tuo sguardo altero,
da un sol tuo detto umano
io mi difendo in vano,
sia sprezzo o sia favor.
Fuor che il tuo dolce impero,
altro destin non hanno,
che secondar non sanno
i moti del mio cor.
Ogni piacer mi spiace
se grato a te non sono;
ciò, che non è tuo dono,
contento mio non è.
Tutto con te mi piace,
sia colle, o selva, o prato;
tutto è soggiorno ingrato
lungi, ben mio, da te.
Or parlerò sincero:
non sol mi sembri bella,
non sol mi sembri quella,
che paragon non ha;
ma spesso, ingiusto al vero,
condanno ogni altro aspetto;
tutto mi par difetto,
fuor che la tua beltà.
Lo stral già non spezzai;
che in van per mio rossore
trarlo tentai dal core,
e ne credei morir.
Ah, per uscir di guai,
più me ne vidi oppresso;
ah di tentar l'istesso
più non potrei soffrir.
Nel visco, in cui s'avvenne
quell'augellin talora,
scuote le penne ancora
cercando libertà;
ma in agitar le penne
gl'impacci suoi rinnova;
più di fuggir fa prova,
più prigionier si fa.
No, ch'io non bramo estinto
il caro incendio antico;
quanto più spesso il dico,
meno bramar lo so.
Sai che un loquace istinto
gli amanti ai detti sprona;
ma, fin che si ragiona,
la fiamma non passò.
Biasma nel rio cimento
di Marte ognor gli sdegni,
e ognor di Marte ai segni
torna il guerrier così.
Torna così contento
schiavo, che uscì di pena,
per uso alla catena,
che detestava un dì.
Parlo, ma ognor parlando
di te parlar procuro;
ma nuovo amor non curo,
non so cambiar di fé:
parlo, ma poi dimando
pietà dei detti miei;
parlo, ma sol tu sei
l'arbitra ognor di me.
Un cor non incostante,
un reo così sincero
ah l'amor tuo primiero
ritorni a consolar.
Nel suo pentito amante
almen la bella Nice
un'alma ingannatrice
sa che non può trovar.
Se mi dai di pace un pegno,
se mi rendi, o Nice, il cor,
quanto già cantai di sdegno,
ricantar vogl'io d'amor.
IV - LA PARTENZA
Composta dall'autore in Vienna l'anno 1746.
Ecco quel fiero istante;
Nice, mia Nice, addio.
Come vivrò, ben mio,
così lontan da te?
Io vivrò sempre in pene,
io non avrò più bene;
e tu, chi sa se mai
ti sovverrai di me!
Soffri che in traccia almeno
di mia perduta pace
venga il pensier seguace
su l'orme del tuo piè.
Sempre nel tuo cammino,
sempre m'avrai vicino;
e tu, chi sa se mai
ti sovverrai di me!
Io fra remote sponde
mesto volgendo i passi,
andrò chiedendo ai sassi,
la ninfa mia dov'è?
Dall'una all'altra aurora
te andrò chiamando ognora,
e tu, chi sa se mai
ti sovverrai di me!
Io rivedrò sovente
le amene piagge, o Nice,
dove vivea felice,
quando vivea con te.
A me saran tormento
cento memorie e cento;
e tu, chi sa se mai
ti sovverrai di me!
Ecco, dirò, quel fonte,
dove avvampò di sdegno,
ma poi di pace in pegno
la bella man mi diè.
Qui si vivea di speme;
là si languiva insieme;
e tu, chi sa se mai
ti sovverrai di me!
Quanti vedrai giungendo
al nuovo tuo soggiorno,
quanti venirti intorno
a offrirti amore e fé!
Oh Dio! chi sa fra tanti
teneri omaggi e pianti,
oh Dio! chi sa se mai
ti sovverrai di me!
Pensa qual dolce strale,
cara, mi lasci in seno:
pensa che amò Fileno
senza sperar mercé:
pensa, mia vita, a questo
barbaro addio funesto;
pensa... Ah chi sa se mai
ti sovverrai di me!
SONETTI
I
Sogni e favole io fingo; e pure in carte
mentre favole e sogni orno e disegno,
in lor, folle ch'io son, prendo tal parte,
che del mal che inventai piango e mi sdegno.
Ma forse, allor che non m'inganna l'arte,
più saggio io sono? È l'agitato ingegno
forse allor più tranquillo? O forse parte
da più salda cagion l'amor, lo sdegno?
Ah che non sol quelle, ch'io canto o scrivo
favole son; ma quanto temo o spero,
tutto è menzogna, e delirando io vivo!
Sogno della mia vita è il corso intero.
Deh tu, Signor, quando a destarmi arrivo,
fa ch'io trovi riposo in sen del Vero.
II
Questa, nata pur or qui presso al polo,
mia prole ch'io consacro al soglio libero,
raccogli, o Carlo, ed a prostrarti al suolo
le insegna, ospite, amico e condottiero.
Pensa che il suo destin fido a te solo;
che sei dell'opra eccitator primiero;
e che appreser gemelli a sciorre il volo
la tua voce in Parnaso e il mio pensiero.
Pensa che, quando te l'Italia ostenta
per onor dell'armonica famiglia,
l'onor de' carmi un tuo dover diventa.
E, se questo dover non ti consiglia,
grato l'amor del padre almen rammenta,
e del padre l'amor rendi alla figlia.sovverrai di me!