Metastasio Pietro

(pseudonimo di Pietro Trapassi)

ARIE

e

STROFE PER MUSICA

(Selezione)



I

Non so dir se sono amante;

ma so ben che al tuo sembiante

tutto ardore pena il core,

e gli è caro il suo penar.

Sul tuo volto, s'io ti miro,

fugge l'alma in un sospiro,

e poi riede nel mio petto

per tornare a sospirar.

 

II

Semplice fanciulletto

se al tenero augelletto

rallenta il laccio un poco,

il fa volar per gioco,

ma non gli scioglie il piè.

Quel fanciullin tu sei,

quell'augellin son io;

il laccio è l'amor mio,

che mi congiunge a te.

 

III

Così non torna fido

quell' augelletto al nido

la pargoletta prole

col cibo a ravvivar;

come ritorna spesso

fedele il mio bel Sole

del cor, che langue oppresso,

la pena a consolar.

 

IV

Per esca fallace

di un labbro mendace

vantate nel core

l'amore e la fé.

Ridendo piangete,

piangendo ridete;

e già su quel viso

il pianto ed il riso

d'amore o di sdegno

più segno non è.

 

V

LICORI

Ombre amene, amiche piante

il mio bene, il caro amante,

chi mi dice ove n'andò?

Zeffiretto lusinghiero,

a lui vola messaggiero;

dì che torni, e che mi renda

quella pace, che non ho.

TIRSI

La mia bella pastorella,

chi mi dice ove n'andò?

 

VI

Io dico all'antro, addio;

ma quello al pianto mio

sento che mormorando,

addio, risponde.

Sospiro, e i miei sospiri

ne' replicati giri

Zeffiro rende a me

da quelle fronde.

 

VII

Alla stagion novella

fin dall'opposto lido

torna la rondinella

a riveder quel nido,

che il verno abbandonò.

Così il mio cor fedele,

nel suo penar costante,

ritorna al bel sembiante,

che per timor lasciò.

 

VIII

L'onda, che mormora

tra sponda e sponda,

l'aura, che tremola

tra fronda e fronda,

è meno instabile

del vostro cor.

Pur l'alme semplici

de' folli amanti

sol per voi spargono

sospiri e pianti,

e da voi sperano

fede in amor.

 

IX

Vedeste mai sul prato

cader la pioggia estiva?

Talor la rosa avviva

alla viola appresso:

figlio del prato istesso

è l'uno e l'altro fiore;

ed è l'istesso umore,

che germogliar li fa.

Il cor non è cangiato,

se accusa o se difende.

Una cagion m'accende

di sdegno e di pietà.

 

X

Fra l'orror della tempesta,

che alle stelle il volto imbruna,

qualche raggio di fortuna

già comincia a scintillar.

Dopo sorte sì funesta

sarà placida quest'alma,

e godrà tornata in calma

i perigli rammentar.

 

XI

I suoi nemici affetti

di sdegno e di timor

il placido pensier

più non rammenti.

Se nascono i diletti

dal grembo del dolor,

oggetto di piacer

sono i tormenti.

 

XII

Piangendo ancora

rinascer suole

la bella Aurora

nunzia del Sole,

e pur conduce

sereno il dì.

Tal fra le lagrime

fatta serena,

può da quest'anima

fugar la pena

la cara luce

che m'invaghì.

 

XIII

È in ogni core

diverso amore.

Chi pena ed ama

senza speranza;

dell'incostanza

chi si compiace:

questo vuol guerra,

quello vuol pace;

v'è fin chi brama la crudeltà.

Fra questi miseri

se vivo anch'io,

ah non deridere

l'affanno mio,

che forse merito

la tua pietà!

 

XIV

È follia se nascondete,

fidi amanti, il vostro foco:

a scoprir quel che tacete

un pallor basta improvviso,

un rossor che accenda il viso,

uno sguardo ed un sospir.

E se basta così poco

a scoprir quel che si tace,

perché perder la sua pace

con ascondere il martìr?

 

XV

Rondinella, a cui rapita

fu la dolce sua compagna,

vola incerta, va smarrita

dalla selva alla campagna,

e si lagna, intorno al nido,

dell'infido cacciator.

Chiare fonti, apriche rive

più non cerca, al dì s'invola,

sempre sola, e finché vive

si rammenta il primo amor.

 

XVI

Se intende sì poco

che ho l'alma piagata,

tu dille il mio foco,

tu parla per me.

(Sospira l'ingrata, contenta non è).

Sai pur che l'adoro,

che peno, che moro,

che tutta si fida

quest'alma di te.

(Si turba l'infida,

contenta non è).

 

XVII

Ei d'amor quasi delira,

e il tuo labbro lo condanna?

Ei mi guarda, e poi sospira,

e tu vuoi che sia crudel?

Ma sia fido, ingrato sia,

so che piace all'alma mia;

e, se piace allor che inganna,

che sarà quando è fedel?

 

XVIII

Il pastor, se torna Aprile,

non rammenta i giorni algenti;

dall'ovile all'ombre usate

riconduce i bianchi armenti e

le avene abbandonate

fa di nuovo risonar.

Il nocchier, placato il vento,

più non teme o si scolora;

ma contento in su la prora

va cantando in faccia al mar.

 

XIX

D'un genio, che m'accende,

tu vuoi ragion da me?

Non ha ragione amore,

o, se ragione intende,

subito amor non è.

Un amoroso foco

non può spiegarsi mai:

dì che lo sente poco

chi ne ragiona assai,

chi ti sa dir perché.

 

XX

Sentirsi dire

dal caro bene:

Ho cinto il core d'altre catene,

quest'è un martìre,

quest'è un dolore,

che un'alma fida

soffrir non può.

Se la mia fede

così l'affanna,

perché tiranna

m'innamorò?

 

XXI

Son confusa pastorella,

che nel bosco a notte oscura

senza face e senza stella,

infelice si smarrì.

Mal sicura al par di quella

l'alma anch'io gelar mi sento:

all'affanno, allo spavento

m'abbandono anch'io così.

 

XXII

Sogna il guerrier le schiere,

le selve il cacciator;

e sogna il pescator

le reti e l'amo.

Sopito in dolce obblio,

sogno pur io così

colei, che tutto il dì

sospiro e chiamo.

 

XXIII

Così stupisce e cade,

pallido e smorto in viso

al fulmine improvviso

l'attonito pastor.

Ma quando poi s'avvede

del vano suo spavento,

sorge, respira e riede

a numerar l'armento

disperso dal timor.

 

XXIV

L'onda dal mar divisa

bagna la valle e'l monte;

va passeggiera in fiume,

va prigioniera in fonte,

mormora sempre e geme,

fin che non torna al mar:

al mar, dov'ella nacque,

dove acquistò gli umori,

dove da' lunghi errori

spera di riposar.

 

XXV

ARBACE

Tu vuoi ch io viva, o cara;

ma se mi nieghi amore,

cara, mi fai morir.



MANDANE

Oh Dio, che pena amara!

Ti basti il mio rossore;

più non ti posso dir.



ARBACE

Sentimi.



MANDANE

No



ARBACE

Tu sei...



MANDANE

Parti dagli occhi miei;

lasciami per pietà.

(a due) Quando finisce, o dei,

la vostra crudeltà?

Se in così gran dolore

d'affanno non si muore,

qual pena ucciderà?

 

XXVI

Dovunque il guardo giro,

immenso Dio, ti vedo:

nell'opre tue t'ammiro,

ti riconosco in me.

La terra, il mar, le sfere

parlan del tuo potere:

tu sei per tutto; e noi

tutti viviamo in te.

 

XXVII

Tu non sai che bel contento

sia quel dire: offesa sono;

lo rammento, ti perdono,

e mi posso vendicar:

e mirar frattanto afflitto

l'offensor vermiglio in volto,

che pensando al suo delitto

non ardisce favellar.

 

XXVIII

Dunque si sfoga in pianto

un cor d'affanni oppresso,

e spiega il pianto istesso

quando è contento un cor?

Chi può sperar fra noi

piacer che sia perfetto,

se parla anche il diletto

co' segni del dolor?

 

XXIX

Se a ciascun l'interno affanno

si leggesse in fronte scritto,

quanti mai, che invidia fanno,

ci farebbero pietà!

Si vedria che i lor nemici

hanno in seno; e si riduce

nel parere a noi

felici ogni lor felicità.

 

XXX

Io sento che in petto

mi palpita il core,

né so qual sospetto

mi faccia temer.

Se dubbio è il contento,

diventa in amore

sicuro tormento

l'incerto piacer.

 

XXXI

Parto; ma tu, ben mio,

meco ritorna in pace.

Sarò qual più ti piace;

quel che vorrai farò.

Guardami, e tutto obblio;

e a vendicarti io volo.

Di quello sguardo

solo io mi ricorderò.

 

XXXII

Fra stupido e pensoso,

dubbio così s'aggira

da un torbido riposo

chi si destò talor:

che desto ancor delira

fra le sognate forme;

che non sa ben se dorme,

non sa se veglia ancor.

 

XXXIII

Ch'io parto reo, lo vedi;

ch'io son fedel, lo sai:

di te non mi scordai;

non ti scordar di me.

Soffro le mie catene;

ma questa macchia in fronte,

ma l'odio del mio bene

soffribile non è.

 

XXXIV

Se mai senti spirarti sul volto

lieve fiato, che lento s'aggiri,

dì: son questi gli estremi sospiri

del mio fido, che muore per me.

Al mio spirto dal seno disciolto

la memoria di tanti martìri

sarà dolce con questa mercé.

 

XXXV

Risolver non osa

confusa la mente,

che oppressa si sente

da tanto stupor.

Delira dubbiosa,

incerta vaneggia

ogni alma, che ondeggia

fra' moti del cor.

 

XXXVI

Sì varia in ciel talora

dopo l'estiva pioggia

l'Iride si colora,

quando ritorna il Sol.

Non cambia in altra foggia

colomba al Sol le piume,

se va cambiando lume

mentre rivolge il vol.

 

XXXVII

Non so: con dolce moto

il cor mi trema in petto;

sento un affetto ignoto,

che intenerir mi fa.

Come si chiama, oh Dio,

questo soave affetto?

(Ah, se non fosse mio,

lo crederei pietà).

 

XXXVIII

So che presto ognun s'avvede

in qual petto annidi amore;

so che tardi ognor lo vede

chi ricetto in sen gli dà.

Son d'amor sì l'arti infide,

che ben spesso altrui deride

chi già porta in mezzo al core

la ferita, e non lo sa.

 

XXXIX

Chi a ritrovare aspira

prudenza in core amante,

domandi a chi delira

quel senno che perdé.

Chi riscaldar si sente

a' rai d'un bel sembiante,

o più non è prudente,

o amante ancor non è.

 

XL

Sceglier fra mille un core,

in lui formarsi il nido,

e poi trovarlo infido,

è troppo gran dolor.

Voi, che provate amore,

che infedeltà soffrite,

dite se è pena, e dite

se se ne dà maggior.

 

XLI

 

VENERE Odi l'aura che dolce sospira;

mentre fugge scotendo le fronde,

se l'intendi, ti parla d'amor.

PALLADE Senti l'onda che rauca s'aggira;

mentre geme radendo le sponde,

se l'intendi, si lagna d'amor.

(a due) Quell'affetto chi sente nel petto

sa per prova se nuoce, se giova,

se diletto produce, o dolor.

 

XLII

Cieco ciascun mi crede

folle ciascun mi vuole

ognun di me si duole,

colpa è di tutto Amor.

Né stolto alcun s'avvede

che a torto Amore offende;

che quel costume ei prende

che trova in ogni cor.

 

XLIII

Oh almen, qualor si perde

parte del cor sì cara,

la rimembranza amara

se ne perdesse ancor!

Ma quando è vano il pianto,

l'alma a prezzarla impara;

ogni negletto vanto

se ne conosce allor.

 

XLIV

Non so se la speranza

va con l'inganno unita;

so che mantiene in vita

qualche infelice almen.

So che sognata ancora

gli affanni altrui ristora

la sola idea gradita

del sospirato ben.

 

XLV

Ha negli occhi un tale incanto,

che a quest'alma affatto è nuovo;

che, se accanto a lui mi trovo,

non ardisco favellar.

Ei dimanda, io non rispondo;

m'arrossisco, mi confondo;

parlar credo, e poi m'avvedo

che comincio a sospirar.

 

XLVI

Oh che felici pianti!

Che amabile martìr!

pur che si possa dir

Quel core è mio.

Di due bell'alme amanti

un'alma allor si fa,

un'alma che non ha

che un sol desio.

 

XLVII

Fra tutte le pene

v'è pena maggiore?

Son presso al mio bene,

sospiro d'amore,

e dirgli non oso:

Sospiro per te.

Mi manca il valore

per tanto soffrire;

mi manca l'ardire

per chieder mercé.

 

XLVIII

Vuoi per sempre abbandonarmi?

non ti muove il dolor mio?

puoi negarmi un solo addio?

Questa è troppa crudeltà.

Dimmi almeno: io t'abbandono;

dillo almen con un sospiro;

che nemiche, oh Dio! non sono

la costanza e la pietà.

 

XLIX

Se tutto il mondo insieme

d'Amor si fa ribelle,

inutil pregio, o belle,

diventa la beltà.

Chi più diravvi allora

che v'ama, che v'adora?

Chi più suo ben, sua speme

allor vi chiamerà?

 

L

DIANA Se placar volete Amore,

belle Ninfe innamorate,

imparatelo da me.

AMOR Voi crudel rendete Amore,

belle Ninfe innamorate,

col difendervi da me.

(a due) Nel contrasto Amor s'accende:

con chi cede, a chi si rende

mai sì barbaro non è.

 

LI

Pria di lasciar la sponda,

il buon nocchiero imìta;

vedi se in calma è l'onda,

guarda se chiaro è il dì.

Voce dal sen fuggita

poi richiamar non vale;

non si trattien lo strale

quando dall'arco uscì.

 

LII

È pena troppo barbara

sentirsi, oh Dio, morir,

e non poter mai dir,

morir mi sento!

V'è nel lagnarsi e piangere,

v'è un'ombra di piacer;

ma struggersi e tacer

tutto è tormento.

 

LIII

Di due ciglia il bel sereno

spesso intorbida il rigore;

ma non sempre è crudeltà.

Ogni bella intende appieno

quanto aggiunga di valore

il ritegno alla beltà.

 

LIV

DEMETRIO

Non temer, non son più amante

la tua legge ho già nel cor.



BERENICE

Per pietà da questo istante

non parlar mai più d'amor.



DEMETRIO

Dunque addio... Ma tu sospiri?



BERENICE

Vanne: addio. Perché t'arresti?



DEMETRIO



Ah per me tu non nascesti!

BERENICE



Ah non nacqui, oh Dio, per te!



(A due)

Che d'Amor nel vasto impero

si ritrovi un duol più fiero,

no, possibile non è.

 

LV

Che ciascun per te sospiri,

bella Nice, io son contento;

ma per altri, oh Dio! pavento

che tu impari a sospirar.

Un bel cor da chi l'adora

so che ognor non si difende:

so che spesso s'innamora

chi pretende innamorar.

 

LVI

Che chiedi? che brami

Ti spiega, se m'ami,

mio dolce tesoro,

mio solo pensier.

Se l'idol, che adoro,

non lascio contento,

mi sembra tormento

l'istesso piacer.

 

LVII

Alla selva, al prato, al fonte

io n'andrò col gregge amato;

e alla selva, al fonte, al prato

l'idol mio con me verrà.

In quel rozzo angusto tetto,

che ricetto a noi darà,

con la gioia e col diletto

l'innocenza albergherà.

 

LVIII

Il mio dolor vedete;

ditele il mio dolore.

Ditele... Ah no, tacete,

non lo potrà soffrir.

Del tenero suo core

deh rispettate il duolo.

Voglio morir, ma solo

lasciatemi morir.

 

LIX

Come rapida si vede

onda in fiume, in aria strale,

fugge il tempo, e mai non riede

per le vie, che già passò:

e a chi perde il buon momento,

che gli offerse il tempo amico,

è castigo il pentimento,

che fuggendo ei gli lasciò.

 

LX

Vorrei che almen per gioco

fingendo il mio bel Nume

mi promettesse il cor.

Chi sa che a poco a poco

di fingere il costume

non diventasse amor.

 

LXI

Ah ritorna, età dell'oro,

alla terra abbandonata,

se non fosti immaginata

nel sognar felicità.

Non è ver; quel dolce stato

non fuggì, non fu sognato;

ben lo sente ogni innocente

nella sua tranquillità.

 

LXII

Respira al solo aspetto

del porto, che lasciò,

chi al porto non sperò

di far ritorno.

A tutti è dolce oggetto

dopo il notturno orror

quel raggio precursor,

che annuncia il giorno.

 

LXIII

Un istante al cor talora

basta sol per farsi amante;

ma non basta un solo istante

per uscir di servitù.

L'augellin dal visco uscito

sente il visco fra le piume

sente i lacci del costume

una languida virtù.

 

LXIV

Quell'ira istessa, che in te favella,

divien sì bella nel tuo rigore,

che più d'amore languir mi fa.

Ah s'è a tal segno bello il tuo sdegno,

che mai sarebbe la tua pietà?

 

LXV

Trova un sol, mia bella Clori,

che ti parli, e non sospiri,

che ti vegga, e non t'adori;

e poi sdegnati con me.

Ma perché fra tanti rei

sol con me perché t'adiri?

Ah, se amabile tu sei,

colpa mia, crudel, non è.

 

LXVI

Vede il nocchier la sponda,

conosce il mare infido,

e s'abbandona all'onda,

e non ritorna al lido,

e corre a naufragar.

Ah per mia pena anch'io

so che nimico ho il fato,

veggo che l'idol mio

chiamar non posso ingrato,

né so di chi lagnarmi,

ma sieguo a sospirar.





Da STROFE PER MUSICA

DA CANTARSI A CANONE

 

I

Ti sento, sospiri,

ti lagni d'Amore:

ma soffri, mio core,

ma impara a tacer;

che cento martìri

compensa un piacer.

 

II

Che cangi tempre

mai più non spero

quel cor macchiato

d'infedeltà.

Io dirò sempre

nel mio pensiero:

chi m'ha ingannato

m'ingannerà.

 

III

So che vanti un core ingrato:

più non spero innamorarti,

né ti posso abbandonar.

Questo, o Nice, è il nostro fato:

io son nato per amarti,

tu per farmi sospirar.

 

IV

Nel mirarvi, o boschi amici,

sento il cor languirmi in sen.

Mi rammento i dì felici,

mi ricordo del mio ben.

 

V

Sei tradito, e pur, mio core,

nel tuo caso ancor che fiero,

non sei degno di pietà.

Non di Nice, è tuo l'errore,

che da un sesso menzognero

pretendesti fedeltà.

 

VI

Sempre sarò costante,

sempre t'adorerò.

Benché spietata,

mio ben ti chiamerò:

e sfortunato ancor,

ma fido amante,

sempre sarò costante,

sempre t'adorerò.

 

VII

Perché, se mia tu sei,

perché, se tuo son io,

perché temer, ben mio,

ch'io manchi mai di fé?

Per chi cangiar potrei,

per chi cangiar desio,

mio ben, se tuo son io,

se il cor più mio non è?