LA FORZA DEL DESTINO




Il Marchese Di Calatrave, Basso

Leonora, Soprano

Don Carlo di Vargas, Baritono

Don Alvaro, Tenore

Preziosilla, Mezzo-Soprano

Padre Guardiano, Basso

Fra Melitone, Baritono brillante

Curra, Mezzo-Soprano

Un Alcade, Baritono

Mastro Trabuco, Tenore, brillante

Un Chirurgo, Baritono




ATTO 1


Scena 1

Siviglia. Una sala tappezzata di damasco con ritratti di famiglia ed arme gentilzie, addobbata nello stile del secolo XVIII, però in cattivo stato. Di fronte, due finestre; quella a sinistra chiusa, l'altra a destra aperta e practicabile, dalla quale si vede un cielo purissimo, illuminato dalla luna, e cime d'alberi. Tra le finestre è un grande armadio chiuso, contenente vesti, biancherie, ecc. Ognuna delle pareti laterali ha mano, sta congendandosi da Donna Leonora preoccupata. Curra viene dalla sinistra.

Marchese:
Buona notte, mia figlia. Addio, diletta . . .
Aperto ancora è quel veron.


(fra sé)
Oh, angoscia!

Marchese:
Nulla dice il tuo amor?
Perchè si triste?

Leonora:
Padre . . . signor . . .

Marchese:
La pura aura de' campi
pace al tuo cor donava.
Fuggisti lo straniero di te indegno.
A me lascia la cura dell'avvenir;
nel padre tuo confida che t'ama tanto.

Leonora:
Ah, padre!

Marchese:
Ebben, che t'ange? Non pianger.

Leonora:
(fra sè)
Oh, rimorso!

Marchese:
Ti lascio.

Leonora:
(gettandosi con effusione tra le braccia del padre)
Ah, padre mio!

Marchese:
Ti benedica il cielo.


Addio.


Temea restasse qui fino a domani.
Si riapre il veron.
Tutto s'appronti, e andiamo.


E si amoroso padre,
avverso fia tanto ai voti miei?
No, no, decidermi non so.

Curra:
Che dite?

Leonora:
Quegli accenti nel cor,
come pugnali scendevanmi. Se ancor restava,
appreso il ver gli avrei . . .

Curra:
(smettendo il lavoro)
Domani allor nel sangue suo saria Don Alvaro, od a
Siviglia prigioniero, e forse al patibol poi!

Leonora:
Taci.

Curra:
E tutto questo perchè ei volle amar chi non l'amava.

Leonora:
Io non amarlo?
Tu ben sai s'io l'ami . . .
Patria, famiglia, padre per lui non abbandono?
Ahi, troppo, troppo sventurata sono!
Me, pellegrina ed orfana,
Lungi dal patrio nido.
Un fato inesorabile
Sospinge a stranio lido;
Colmo di triste immagini,
Da' suoi rimorsi affranto.
È il cor di questa misera
Dannato a eterno pianto, ecc.
Ti lascio, ahimè, con lacrime,
Dolce mia terra, addio;
Ahimè, non avrà termine
Per mi sì gran dolore!
Addio.

Curra:
M'aiuti, signorina, più presto andrem.

Leonora:
S'ei non venisse?

(Guarda l'orologio.)
E tardi. Mezzanotte è suonata!

(contenta)
Ah no, più non verrà!

Curra:
Qual rumore?
Calpestio di cavalli!

Leonora:
È desso!

Curra:
Era impossibili ch'ei non venisse!

Leonora:
O Dio!

Curra:
Brando al timore.


Ah, per sempre, o mio bell'angiol,
Ne congiunge il cielo adesso!
L'universo in questo amplesso
Io mi veggo giubilar.

Leonora:
Don Alvaro!

Alvaro:
Ciel, che t'agita?

Leonora:
Presso è il giorno.

Alvaro:
Da lung'ora
Mille inciampi tua dimora
M'han vietato penetrar;
Ma d'amor si puro e santo
Nulla opporsi può all'incanto,
E Dio stesso il nostro palpito
In letizia tramutò.

(a Curra)
Quelle vesti dal verone getta.

Leonora:
(a Curra)
Arresta.

Alvaro:
(a Curra)
No, no . . .

(a Leonora)
Seguimi,
Lascia omai la tua prigione.

Leonora:
Ciel, risolvermi non so.

Alvaro:
Pronti destrieri di già ne attendono,
Un sarcerdote ne aspetta all'ara.
Vieni, d'amore in sen ripara
Che Dio dal ciel benedirà!
E quando il sole, nume dell'India,
Di mia regale stirpe signore,
Il mondo innondi del suo splendore,
Sposi, o diletta, ne troverà.

Leonora:
È tarda l'ora.

Alvaro:
(a Curra)
Su, via, t'affretta.

Leonora:
(a Curra)
Ancor sospendi.

Alvaro:
Leonora!

Leonora:
Diman . . .

Alvaro:
Che parli?

Leonora:
Ten prego, aspetta.

Alvaro:
Diman!

Leonora:
Dimani si partirà.
Anco una volta il padre mio,
Povero padre, veder desio;
E tu contento, gli è ver, ne sei?
Sì, perché m'ami, nè opporti dei;
Anch'io, tu il sai, t'amo io tanto!
Ne son felice, oh cielo, quanto!
Gonfio di gioia ho il cor! Restiamo . . .
Sì mio Alvaro, io t'amo, io t'amo!


Gonfio hai di gioia il core, e lagrimi!
Come un sepolcro tua man è gelida!
Tutto comprendo, tutto, signora!

Leonora:
Alvaro! Alvaro!

Alvaro:
Leonora!
Io sol saprò soffrire. Tolga Iddio
Che i passi miei per debolezza segua;
Sciolgo i tuoi giuri. Le nuziali tede
Sarebbero per noi segnal di morte
Se tu, com'io, non m'ami, se pentita . . .

Leonora:
Son tua, son tua col core e colla vita!
Seguirti, fino agli ultimi
Confini della terra;
Con te sfidar, impavida
Di rio destin, la guerra,
Mi fia perenne gaudio
D'eterea voluttà.
Ti seguo. Andiam,
Dividerci il fato non potrà.

Alvaro:
Sospiro, luce ed anima
Di questo cor che t'ama.
Finchè mi batte un palpito
Far paga ogni tua brama
Il solo ed immutabile
Desio per me sarà.
Mi segui. Andiam,
Dividerci il fato non potrà.

Qual rumor!

Curra:
(ascoltando)
Ascendono le scale!

Alvaro:
Partiam . . .

Leonora:
Partiam.

Alvaro: e Leonora:
Mi segui / Ti seguo. Andiam.
Dividerci il fato non potrà.

Leonora:
È tardi.

Alvaro:
Allor di calma è d'uopo.

Curra:
Vergin santa!

Leonora:
(a Don Alvaro)
Colà t'ascondi.

Alvaro:
(traendo una pistola)
No. Difenderti degg'io.

Leonora:
Ripon quell'arma. Contro al genitore
Vorresti? . . .

Alvaro:
No, contro me stesso!

Leonora:
Orrore!


Vil seduttor! Infame figlia!

Leonora: [ correndo a suoi piedi)
No, padre mio.

Marchese:
Io più nol sono.

Alvaro:
Il solo colpevole son io.

(presentandogli il petto)
Ferite, vendicatevi.

Marchese:
No, la condotta vostra
Da troppo abbietta origine
Uscito vi dimostra.

Alvaro:
Signor Marchese!

Marchese:
(a Leonora)
Scostati.

(ai servi)
S'arresti l'empio.

Alvaro:
(cavando nuovamente la pistola)
Guai se alcun di voi si muove.

Leonora:
(correndo a lui)
Alvaro, oh ciel, che fai?

Alvaro:
(a Marchese.)
Cedo a voi sol, ferite.

Marchese:
Morir per mano mia!
Per mano del carnefice
Tal vita spenta sia!

Alvaro:
Signor di Calatrava!
Pura siccome gli angeli
È vostra figlia, il giuro;
Reo sono io solo. Il dubbio
Che l'ardir mio qui desta.
Sì tolga colla vita. Eccomi inerme.

Io muoio!

Alvaro:
(disperato)
Arma funesta!

Leonora:
(correndo al padre)
Aita!

Marchese:
(a Leonora)
Lungi da me.
Contamina tua vista la mia morte!

Leonora:
Padre!

Marchese:
Ti maledico!


Cielo, pietade!

Alvaro:
Oh, sorte!




ATTO II


Scena I

Grande cucina d'un osteria. Da un lato, gran tavola con sopra una lucerna accesa. L'oste e l'ostessa sono affacendati ad ammaniare la cena. L'Alcade è seduto presso al foco; Don Carlo, vestito da studente, è presso la tavola. Alquanti mulattieri fra i quali Mastro Trabuco. Alcuni paesani e paesane sono in scena.

Coro:
Holà, holà, holà!
Ben giungi, o mulattier,
La notte a riposar.
Holà, holà, holà!
Qui devi col bicchier
Le forze ritemprar.


(sedendosi alla mensa)
La cena è pronta.

Coro:
(prendendo posto presso la tavola.)
A cena, a cena.

Carlo:
(fra sè)
Ricero invan la suora e il seduttore.
Perfidi!

Coro:
(all'Alcade)
Voi la mensa benedite.

Alcade:
Può farlo il licenziato.

Carlo:
Di buon grado.
In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

Coro:
(sedendo)
Amen.

Leonora:
(presentandosi alla porta vestita da uomo)
Che vedo! Mio fratello!


(assaggiando)
Buono.

Carlo:
(mangiando)
Eccellente.

Mulattieri
Par che dica, "Mangiami".

Carlo:
(all'ostessa)
Tu das epulis accumbere Divum.

Alcade:
Non sa il Latino, ma cucina bene.

Carlo:
Viva l'ostessa!

Tutti:
Evviva!

Carlo:
Non vien, Mastro Trabuco?

Trabuco:
È venerdì.

Carlo:
Digiuna?

Trabuco:
Appunto.

Carlo:
E qella personcina
Con lei giunta? . . .


Viva la guerra!

Tutti:
Preziosilla! Brava, brava!

Carlo: e Coro:
Qui, presso a me . . .

Tutti:
Tu la ventura dirne potrai.

Preziosilla:
Chi brama far fortuna?

Tutti:
Tutti il vogliamo.

Preziosilla:
Correte allor soldati in Italia, dov'è rotta la guerra
contro il Tedesco.

Tutti:
Morte ai Tedeschi!

Preziosilla:
Flagel d'Italia eterno,
E de figlioli suoi.

Tutti:
Tutti v'andremo.

Preziosilla:
Ed io sarò con voi.

Tutti:
Viva!

Preziosilla:
Al suon del tamburo,
Al brio del corsiero,
Al nugolo azzurro
Del bronzo guerrier;
Dei campi al sussurro
S'esalta il pensiero!
È bella la guerra, è bella la guerra!
Evviva la guerra, evviva!

Tutti:
È bella la guerra, evviva la guerra!

Preziosilla:
È solo obliato
da vile chi muore;
al bravo soldato,
al vero valor
è premio serbato
di gloria, d'onor!
È bella la guerra! Evviva la guerra! ecc.

Tutti:
È bella la guerra! Evviva la guerra! ecc.

Preziosilla:
(volgendosi all'uno e all'altro)
Se vieni, fratello,
Sarai caporale;
E tu colonnello,
E tu generale;
Il dio furfantello
Dall'arco immortale
Farà di cappello
Al bravo uffiziale.
È bella la guerra, evviva la guerra!

Tutti:
È bella la guerra, evviva la guerra!

Carlo:
(presentandole la mano ]
E che riserbasi allo studente?

Preziosilla:
(guardando la mano)
Ah, tu miserrime vicende avrai.

Carlo:
Che di'?

Preziosilla:
(fissandolo)
Non mente il labbro mai.

(poi, sottovoce)
Ma a te, carissimo,
Non presto fè.
Non sei studente,
Non dirò niente,
Ma, gnaffe, a me
Non se la fa,
Tra la la la!

Tutti:
Evviva la guerra, ecc.


(fuori)
Padre Eterno Signor,
Pietà di noi,
Divin Figlio Signor,
Pietà di noi.
Santo Spirito Signor,
Pietà di noi.
Uno e Trino Signor,
Pietà di noi.

Tutti:
(alzandosi e scoprendosi la testa)
Chi sono?

Alcade:
Son pellegrini che vanno al giubileo.

Leonora:
(ricomparendo agitatissima sulla porta)
Fuggir potessi!

Don Carlo, Mulattieri:
Che passino attendiamo.

Alcade:
Preghiam con lor.

Tutti:
Preghiamo.

(Lasciano la mensa e s'inginocchiano.)
Su noi prostrati e supplici
Stendi la man, Signore;
Dall'infernal malore
Ne salvi tua bontà.
Signor, pietà!

Leonora:
(fra sè ]
Ah, dal fratello salvami
Che anela il sangue mio;
Se tu nol vuoi, gran Dio,
Nessun mi salverà!
Signor, pietà!

Viva la buona compagnia!

Tutti:
Viva!

Carlo:
(alzando il bicchiere)
Salute qui, l'eterna gloria poi.

Tutti:
(facendo altrettando)
Così sia.

Carlo:
Già cogli angeli, Trabuco?

Trabuco:
E che? Con quest'inferno!

Carlo:
E quella personcina con lei giunta,
venne pel giubileo?

Trabuco:
Nol so.

Carlo:
Per altro,
è gallo oppur gallina?

Trabuco:
De' viaggiator non bado
che al danaro.

Carlo:
Molto prudente!

(poi all'Alcade)
Ed ella che giungere la vide,
perchè a cena non vien?

Alcade:
L'ignoro.

Carlo:
Dissero chiedesse acqua ed aceto. Ah, ah!
Per rinfrescarsi.

Alcade:
Sarà.

Carlo:
È ver che è gentile
E senza barba?

Alcade:
Non so nulla.

Carlo:
(fra sè)
Parlar non vuol!

(a Trabuco)
Ancora lei:
Stava sul mulo
Seduta o a cavalcioni?

Trabuco:
(impazientito)
Che noia!

Carlo:
Onde veniva?

Trabuco:
So che andrò presto o tardi in Paradiso.

Carlo:
Perchè?

Trabuco:
Ella il Purgatorio mi fa soffrire.

Carlo:
Or dove va?

Trabuco:
In istalla a dormir colle mie mule, che non san di
latino, nè sono baccellieri.

Ah, ah! È fuggito!

Carlo:
Poich' è imberbe l'incognito, facciamogli col nero due
baffetti; doman ne rideremo.

Tutti:
Bravo! Bravo!

Alcade:
Protegger debbo i viaggiator; m'oppongo.
Meglio farebbe dirne d'onde venga, ove vada, e chi ella sia.

Carlo:
Lo vuoi saper? Ecco l'istoria mia.
Son Pereda, son ricco d'onore,
Baccelliere mi fe' Salamanca;
Sarò presto in utroque dottore,
Che di studio ancor poco mi manca.
Di là Vargas mi tolse da un anno,
Ed a Siviglia con sè mi guidò.
Non tratenne Pereda alcun danno,
Per l'amico il suo core parlò.
Della suora un amante straniero
Colà il padre gli avea trucidato,
Ed il figlio, da pro' cavaliero,
La vendetta ne aveva giurato;
Gl'inseguimmo di Cadice in riva,
Nè la coppia fatal si trovò.
Per l'amico Pereda soffriva,
Che il suo core per esso parlò.
Là e dovunque narrâr che del pari
La sedotta col vecchio peria,
Che a una zuffa tra servi a sicari
Solo il vil seduttore sfuggìa.
Io da Vargas allor mi staccava,
Ei seguir l'assassino giurò.
Verso America il mare solcava,

Truce storia Pereda narrava!
Generoso il suo core mostrò.

Alcade:
Sta bene.

Preziosilla:
(con finezza)
Ucciso fu quel Marchese?

Carlo:
Ebben? . . .

Preziosilla:
L'assassino rapia sua figlia?

Carlo:
Sì.

Preziosilla:
E voi, l'amico fido, cortese,
Andaste a Cadice e pria a Siviglia?
Ah, gnaffe, a me non se la fa,
Tra la la la!

Figliuoli, è tardi; poichè abbiam cenato,
sì rendan grazie a Dio, e partiamo.

Preziosilla:, Carlo: e Coro:
Partiam, partiam, partiamo.
Buono notte, buona notte.

Tutti:
Holà! Holà! È l'ora di riposar.
Allegri, o mulattier! Holà!

Carlo:
Son Pereda, son ricco d'onore, ecc.

Alcade:
Sta ben.

Preziosilla:
Ah, tra la la la!
Ma, gnaffe, a me no se la fa.

Tutti:
Buon notte. Andiam, andiam.



Una piccola spianata sul declivo d'una montagna. A destra precipizi e rupi; di fronte la facciata della chiesa della Madonna degli Angeli, a sinistra la porta del convento, in mezzo alla quale una finestrella, da un lato la corda del campanello. Splende una luna chiarissima. Leonora giunge, vestita da uomo.

Leonora:
Sono giunta! Grazie, o Dio!
Estremo asil questo è per me!
Son giunta! Io tremo! La mia orrenda storia è nota
in quell'albergo, e mio fratel narrolla!
Se scoperta m'avesse! Cielo! Ei disse naviga
vers' occaso. Don Alvaro! Nè morto cadde quella
notte in cui io, io del sangue di mio padre intrisa,
l'ho seguito e il perde! Ed or mi lascia, mi fugge!
Ohimè, non reggo a tanta ambascia.


(Si alza.)
Dell'organo i concenti,
Che come incenso ascendono
A Dio sui firmamenti,
inspirano a quest'alma
Fede, conforto e calma!

Coro dei frati:
(interno)
Venite, adoremus et procedamus ante Deum,
Ploremus, ploremus coram Donino, coram
Domino qui fecit nos.


Leonora:
(S'avvia)
Al santo asilo accorrasi.
E l'oserò a quest'ora?
Alcun potria sorprendermi!
O misera Leonora, tremi?
Il pio frate accoglierti no, non ricuserà.

Ploremus, ploremus coram Donino qui fecti nos.

Chi siete?

Leonora:
Chiedo il Superiore.

Melitone:
S'apre alle cinque la chiesa,
Se al giubileo venite.

Leonora:
Il Superiore, per carità,

Melitone:
Che carità a quest'ora!

Leonora:
Mi manda il Padre Cleto.

Melitone:
Quel santo uomo? Il motivo?

Leonora:
Urgente.

Melitone:
Perché mai?

Leonora:
Un infelice . . .

Melitone:
Brutta solfa . . .
Però v'apro ond'entriate.

Leonora:
Nol posso.

Melitone:
No? Scomunicato siete? Che strano fia aspettare a
ciel sereno. V'annuncio, e se non torno, buona notte.


Ah, s'ei mi respingesse! Fama pietoso il dice; ei mi
proteggerà. Vergin m'assisti.


Chi mi cerca?

Leonora:
Son io.

Guardiano:
Dite.

Leonora:
Un segreto . . .

Guardiano:
Andate, Melitone.

Melitone:
(partendo, fra sè)
Sempre segreti! E questi santi soli han da saperli!
Noi siamo tanti cavoli.

Guardiano:
Fratello, mormorate?

Melitone:
Oibò, dico ch'è pesante la porta e fa rumore.

Guardiano:
Obbedite.

Melitone:
(fra sè)
Che tuon da Superiore!


Or siam soli.

Leonora:
Una donna son io.

Guardiano:
Una donna a quest'ora!
Gran Dio!

Leonora:
Infelice, delusa, reietta,
Dalla terra e del ciel maledetta,
Che nel pianto prostratavi al piede,
Di sottrarla all'inferno vi chiede.

Guardiano:
Come un povero frate lo può?

Leonora:
Padre Cleto un suo foglio v'inviò?

Guardiano:
Ei vi manda?

Leonora:
Sì.

Guardiano:
(sorpreso)
Dunque voi siete
Leonora di Vargas!

Leonora:
Fremete!

Guardiano:
No, venite fidente alla croce,
Là del cielo v'ispiri la voce.


Più tranquilla, l'alma sento
Dacchè premo questa terra;
De' fantasmi lo spavento
Più non provo farmi guerra . . .
Più non sorge sanguinante
Di mio padre l'ombre innante,
Nè terribile l'ascolto
La sua figlia maledir.

Guardiano:
Sempre indarno qui rivolto
Fu di Satana l'ardir.

Leonora:
Perciò tomba qui desio
Fra le rupi ov'altra visse.

Guardiano:
Che! Sapete?

Leonora:
Cleto il disse.

Guardiano:
E volete . . .

Leonora:
Darmi a Dio.

Guardiano:
Guai per chi si lascia illudere
Dal delirio d'un momento!
Più fatal per voi si giovane
Giungerebbe il pentimento.

Leonora:
Ah, tranquilla l'alma sento, ecc.

Guardiano:
Guai per chi si lascia illudere. Guai!
Chi può leggere il futuro?
Chi immutabil farvi il core?


Involontario
M'uccise il genitor.

Guardiano:
E il fratello?

Leonora:
La mia morte
Di sua mano egli giurò.

Guardiano:
Meglio a voi le sante porte
Schiuda un chiostro.

Leonora:
Un chiostro? No!
Se voi sacciate questa pentita
Andrò per balze, gridando aita,
Ricovro ai monti, cibo alle selve.
E fin le belve ne avran pietà.


A te sia gloria, o Dio clemente,
Padre dei miseri onnipossente.
A cui sgabello sono le sfere!
Il tuo volere si compirà!


È fermo.

Guardiano:
V'accolga dunque Iddio.

Leonora:
Bontà divina!

Guardiano:
Sol io saprò chi siate. Tra le rupi è uno speco; ivi
starete. Presso una fonte, al settimo dì, scarso cibo
porrovvi io stesso.

Leonora:
V'andiamo.

Guardiano:
(verso la porta)
Melitone?

(a Melitone che comparisce)
Tutti i fratelli con ardenti ceri,
Dov' è l'ara maggiore,
Nel tempio si raccolgan del Signore.

(Melitone rientra.)
Sull'alba il piede all'eremo
Solinga volgerete;
Ma pria dal pane angelico
Conforto all'alma avrete.


Leonora:
Tua grazia, o Dio.
Sorride alla regetta!
O, gaudio insolito!
Io son ribenedetta!
Già sento in me rinascere
A nuova vita il cor;
Plaudite, o cori angelici,
Mi perdonò il Signor.


Il santo nome di Dio Signore
Sia benedetto.

Coro:
Sia benedetto.

Guardiano:
Un'alma a piangere viene l'errore,
Tra queste balze chiede ricetto;
Il santo speco noi le schiudiamo.
V' è noto il loco?

Coro:
Lo conosciamo.

Guardiano:
A quell'asilo, sacro, inviolato,
Nessun si appressi.

Coro:
Obbediremo.

Guardiano:
Il cinto umile non sia varcato
Che nel divide.

Coro:
Nol varcheremo.

Guardiano:
A chi il divieto
Frangere osasse.
O di quest'alma
Scoprir tentasse
Nome o mistero:
Maledizione!

Coro:
Maledizione!
Maledizione!
Il cielo fulmini,
Incenerisca,
L'empio mortale
Se tanto ardisca;
Su lui scatenasi
Ogni elemento,
L'immonda cenere
Ne sperda il vento.

Guardiano:
(a Leonora)
Alzatevi e partite. Alcun vivente
Più non vedrete. Dello speco il bronzo
Ne avverta se periglio vi sovrasti,
O per voi giunto sia l'estremo giorno . . .
A confortarvi l'alma volerem
Pria che a Dio faccia ritorno.

Tutti:
La Vergine degli Angeli
Vi copra del suo manto,
E voi protegga vigile
Di Dio l'Angelo santo.

Leonora:
La Vergine degli Angeli
Mi copra del suo manto.
E mi protegga vigile
Di Dio l'Angelo santo.

Tutti:
La Vergine degli Angeli, ecc.




ATTO III


Scena I

Bosco. Notte scurissima. Don Alvaro, in uniforme di capitano spagnolo dei Granatieri del Re, si avanza lentamente dal fondo. Si sentono voci interne.

Coro:
Attenti al gioco, attenti, attenti al gioco, attenti . . .

Prima voce:
Un asso a destra.

Seconda voce:
Ho vinto.

Prima voce:
Un tre alla destra.
Cinque a manca.

Seconda voce:
Perdo.

Alvaro:
La vita è inferno all'infelice.
Invano morte desio!
Siviglia!
Leonora!
Oh, rimembranza! Oh, notte
Ch'ogni ben mi rapisti!
Sarò infelice eternamente, è scritto.
Della natal sua terra il padre volle
Spezzar l'estranio giogo,
E coll'unirsi
All'ultima dell'Incas la corona
Cingere confidò.
Fu vana impresa.
In un carcere nacqui;
M'educava il deserto;
Sol vivo perché ignota
È mia regale stirpe!
I miei parenti
Sognaro un trono, e li destò la scure!
Oh, quando fine avran
Le mie sventure!
O tu che seno agli angeli
Eternamente pura,
Salisti bella, incolume
Dalla mortal iattura,
Non iscordar di volgere
Lo sguardo a me tapino,
Che senza nome ed esule,
In odio del destino,
Chiedo anelando,
Ahi misero,
La morte d'incontrar.
Leonora mia, soccorrimi,
Pietà del mio penar!
Pietà di me!

Carlo:
(dall'interno)
Al tradimento!

Voci:
Muoia!

Alvaro:
Quali grida!

Carlo:
Aita!

Alvaro:
Si soccorra.

Voci:
Muoia! Muoia!

Fuggir! Ferito siete?

Carlo:
No, vi debbo la vita.

Alvaro:
Chi erano?

Carlo:
Assassini.

Alvaro:
Presso al campo così?

Carlo:
Franco dirò: fu alterco al gioco.

Alvaro:
Comprendo, colà, a destra.

Carlo:
Sì.

Alvaro:
Ma come, si nobile d'aspetto, a quella bisca
scendeste?

Carlo:
Nuovo sono.
Con ordini del general sol ieri
giunsi; senza voi morto sarei.
Or dite a chi debbo la vita?

Alvaro:
Al caso . . .

Carlo:
Pria il mio nome dirò. (Non sappia il vero.)
Don Felice de Bornos, aiutante del duce.

Alvaro:
Io, Capitan dei Granatieri,
Don Federico Herreros.

Carlo:
La gloria dell'esercito!

Alvaro:
Signore . . .

Carlo:
Io l'amistà ne ambia; la chiedo e spero.

Alvaro:
Io pure della vostra sarò fiero.


Amici in vita e in morte
Il mondo ne vedrà.
Uniti in vita e in morte
Entrambi troverà.

Voci all'interno:
(Si odono voci interne e squilli di trombe.)
Andiamo, all'armi!

Carlo:
Con voi scendere al campo d'onor, emularne
l'esempio potrò.

Alvaro:
Testimone del vostro valor
Ammirarne le prove saprò.

Coro:
All'armi!




SCENA II
Una stanza presso Velletri. È mattino. Salotto nell'abitazione d'un ufficiale dell 'esercito spagnolo. Si sente il rumore, della vicina battaglia. Un chirurgo militare ed alcuni soldati entrano e corrono alla finestra.

Soldati:
Arde la mischia.

Chirurgo:
(guardando con un canocchiale)
Prodi i granatieri!

Soldati:
Li guida Herreros.

Chirurgo:
Ciel! . . . Ferito ei cadde! . . .
Piegano i suoi! . . .
L'aiutante li raccozza,
Alla carica li guida! . . .
Già fuggono i nemici.
I nostri han vinto!

Voci:
(di fuori ]
A Spagna gloria!

Altre voci:
Viva l'Italia!

Tutti:
Vittoria!

Chirurgo:
Portan qui ferito il Capitano.


Piano . . . qui posi . . .
Approntasi il mio letto.

Chirurgo:
Silenzio.

Carlo:
V'ha periglio?

Chirurgo:
La piaga che ha nel petto mi spaventa.

Carlo:
Deh, il salvate.

Alvaro:
(rinvenendo)
Ove son?

Carlo:
Presso l'amico.

Alvaro:
Lasciatemi morire.

Carlo:
Vi salveran le nostre cure.
Premio L'Ordine vi sarà di Calatrava.

Alvaro:
Di Calatrava! Mai! Mai!

Carlo:
(fra sè)
Che!
Inorridi di Calatrava al nome!

Alvaro:
Amico . . .

Chirurgo:
Se parlate . . .

Alvaro:
Un detto sol . . .

Carlo:
(al chirurgo)
Ven prego ne lasciate.


Solenne in quest'ora
Giurami dovete
Far pago un mio voto.

Carlo:
Lo giuro.

Alvaro:
Sul core cercate.

Carlo:
Una chiave.

Alvaro:

(indicando la valigia)
Con essa trarrete
Un piego celato!
L'affido all'onore,
Colà v'ha un mistero
Che meco morrà.
S'abbruci me spento.

Carlo:
Lo giuro, sarà.

Alvaro:
Or muoio tranquillo;
Vi stringo al cor mio.

Carlo:
Amico, fidate nel cielo!

Alvaro e Carlo:
Addio.


Morir! Tremenda cosa!
Sì intrepido, sì prode, ei pur morrà! Uom singolar
costui! Tremò di Calatrava al nome. A lui palese n' è
forse il disonor? Cielo! Qual lampo! S'ei fosse il seduttore?
Desso in mia mano, e vive! Se m'ingannassi?
Questa chiave il dica.

(Apre convulso la valigia, e ne trae un plico suggellato.)
Ecco i fogli! Che tento!

(S'arresta.)
E la fè che giurai? E questa vita che debbo al suo
valor? Anch'io lo salvo! S'ei fosse quell' Indo
maledetto che macchiò il sangue mio? . . . Il suggello
sì franga. Niun qui mi vede. No? Ben mi vegg'io!

Va, t'allontana, mi tenti in vano;
L'onor a tergere qui venni, e insano
D'un onta nuova nol macchierò.
Un giuro è sacro per l'uom d'onore;
Que' fogli serbino il lor mistero.
Disperso vada il mal pensiero
Che all'atto indegno mi concitò.
E s'altra prova rinvenir potessi?
Vediam.
[ Torna a frugare nella valigia.)

Qui v'ha un ritratto . . .
Suggel non v'è . . . nulla ei ne disse . . .
Nulla promisi . . . s'apra dunque . . .
Ciel! Leonora!
Don Alvaro è il ferito!
Ora egli viva, e di mia man poi muoia!

(Il chirurgo si presenta sulla porta della stanza.)

Chirurgo:
Lieta novella, è salvo!


È salvo! Oh gioia!
Egli è salvo! Gioia immensa
Che m'innondi il cor ti sento!
Potrò alfine il tradimento
Sull'infame vendicar.
Leonora, ove t'ascondi?
Di': seguisti tra le squadre
Chi del sangue di tuo padre
Ti fe' il volto rosseggiar?
Ah, felice appien sarei
Se potessi il brando mio
Ambedue d'averno al dio
D'un sol colpo consacrar!



SCENA III
Accampamento militare presso Velletri. Sul davanti a sinistra è una bottega da rigattiere; a destra un'altra ove si vendono cibi, bevande e frutta. All'ingiro sono tende militari, baracche di rivenduglioli, ecc. È notte; la scena è deserta. Una pattuglia entra cautamente in scena, esplorando il campo.

Coro:
Compagni, sostiamo,
Il campo esploriamo;
Non s'ode rumor,
Non brilla un chiarore;
In sonno profondo
Sepolto ognun sta.
Compagni, inoltriamo,
Il campo esploriamo,
Fra poco la sveglia
Suonare s'udrà.

Nè gustare m' è dato
Un' ora di quiete.
Affranta è l'alma dalla lotta crudel.
Pace ed oblio indarno io chieggo al cielo.

Capitano . . .

Alvaro:
Chi mi chiama?
[ Riconosce Carlo.)

Voi, che si larghe cure mi prodigaste.

Carlo:
La ferita vostra
Sanata è appieno?

Alvaro:
Sì.

Carlo:
Forte?

Alvaro:
Quale prima.

Carlo:
Sosterreste un duel?

Alvaro:
Con chi?

Carlo:
Nemici non avete?

Alvaro:
Tutti ne abbiam . . . ma a stento comprendo . . .

Carlo:
No? Messaggio non v'inviava
Don Alvaro, l'Indiano?

Alvaro:
Oh tradimento!
Sleale! Il segreto fu dunque violato?

Carlo:
Fu illeso quel piego,
L'effigie ha parlato.
Don Carlos di Vargas, tremate io sono.

Alvaro:
D'ardite minacce
Non m'agito al suono.

Carlo:
Usciamo all'istante.
Un deve morire.

Alvaro:
La morte disprezzo,
Ma duolmi inveire
Contr'uom che per primo
Amistade m'offria.

Carlo:
No, no, profanato
Tal nome non sia.

Alvaro:
Non io, fu il destino,
Che il padre v'ha ucciso.
Non io che sedussi
Quell'angiol d'amore.
Ne guardano entrambi,
E dal paradiso
Ch'io sono innocente
Vi dicono al core.

Carlo:
Adunque colei?

Alvaro:
La notte fatale
Io caddi per doppia
Ferita mortale;
Guaritone, un anno
In traccia ne andai,
Ahimè, ch'era spenta
Leonora trovai.

Carlo:
Menzogna, menzogna!
La suora -
Ospitavala antica parente.
Vi giunsi, ma tardi . . .

Alvaro:
Ed ella?

Carlo:
Fuggente.

Alvaro:
(trasalendo)
E vive! Ella vive, gran Dio!

Carlo:
Sì, vive.

Alvaro:
Don Carlo, amico, il fremito
Ch'ogni mia fibra scuote,
Vi dica che quest' anima
Infame esser non puote.
Vive! Gran Dio, quell'angelo . . .

Carlo:
Ma in breve morirà.
Ella vive, ma in breve morirà.

Alvaro:
No, d'un imene il vincolo
Stringa fra noi la speme;
E s'ella vive, insieme
Cerchiamo ove fuggì.
Giuro che illustre origine
Equale a voi mi rende,
E che il mio stemma splende
Come rifulge il dì.

Carlo:
Stolto! Fra noi dischiudesi
Insanguinato avello.
Come chiamar fratello
Chi tanto a me rapì?
D'eccelsa o vile origine.
È d'uopo ch'io vi spegna,
E dopo voi l'indegna
Che il sangue suo tradì.

Alvaro:
Che dite?

Carlo:
Ella morrà.

Alvaro:
Tacete!

Carlo:
Il giuro a Dio: morrà l'infame.

Alvaro:
Voi pria cadrete nel fatal certame.

Carlo:
Morte! ov'io non cada esanime
Leonora giungerò
Tinto ancor del vostro sangue
Questo acciar le immergerò.

Alvaro:
Morte! Sì! Col brando mio
Un sicario ucciderò;
Il pensier volgete a Dio.
L'ora vostra alfin suonò.

Tutti e due:
A morte! Andiam!

Fermi! Arrestate!

Carlo:
(furente)
No - la sua vita o la mia - tosto.

Coro:
Lunge di qua si tragga.

Alvaro:
(fra sè)
Forse del ciel l'aita a me soccorre.

Carlo:
Colui morrà!

Coro:
(a Carlo che cerca svincolarsi)
Vieni!

Carlo:
(a Don Alvaro)
Carnefice del padre mio!

Alvaro:
Or che mi resta? Pietoso Iddio,
Tu ispira, illumina il mio pensier.
Al chiostro, all'eremo, ai santi altari
L'oblio, la pace chiegga il guerrier.

Lorchè pifferi e tamburi
Par che assordino la terra,
Siam felici, ch' è la guerra
Gioia e vita al militar.
Vita gaia, avventurosa,
Cui non cal doman nè ieri,
Ch' ama tutti i suoi pensieri
Sol nell'oggi concentrar.

Preziosilla:
(alle donne)
Venite all'indovina,
Ch' è giunta di lontano,
E puote a voi l'arcano
Futuro decifrar.

(ai soldati)
Correte a lei d'intorno,
La mano le porgete,

Andate/Andiamo all'indovina,
La mano le porgiamo/porgete,
Le belle udir possiamo

Chi vuole il paradiso
s'accenda di valore,
e il barbaro invasore
s'accinga a debellar.
Avanti, avanti, avanti,
predirvi sentirete
qual premio coglierete
dal vostro battagliar,

Avanti, avanti, avanti,
predirci sentiremo
qual premio coglieremo
dal nostro battagliar.

Vivandiere:
Avanti, avanti, avanti,
predirivi sentirete
qual premio coglierete
dal vostro battagliar.

Coro:
(circondandola ]
Avanti, avanti, avanti.

Soldati:
Qua, vivandiere, un sorso.

Alla salute nostra!

Tutti:
(bevendo)
Viva!

Un soldato:
A Spagna ed all'Italia unite!

Coro:
Evviva!

Preziosilla:
Al nostro eroe Don Federico Herreros!

Tutti:
Viva! Viva!

Un altro soldato:
Ed al suo degno amico Don Felice de Bornos.

Tutti: [ bevendo)

Viva, viva!


A buon mercato chi vuol comprare?
Forbici, spille, sapon perfetto!
Io vendo e compro qualunque oggetto,
Concludo a pronti qualunque affar.

Un soldato:
Ho qui un monile; quanto mi dai?

ALTRO SOLDATO
V' è una collana. Se vuoi la vendo.

Altro soldato:
Questi orecchini, li pagherai?

Tutti:
(mostrando orologi, anelli, ecc.)
Vogliamo vendere . . .

Trabuco:
Ma quanto vedo
Tutto è robaccia, brutta robaccia!

Tutti:
Tale, o furfante, è la tua faccia.

Trabuco:
Pure aggiustiamoci, per ogni pezzo
Do trenta soldi.

Tutti:
Da ladro è il prezzo.

Trabuco:
Ih! Quanta furia! C'intenderemo.
Qualch'altro soldo v'aggiungeremo.
Date qua, subito!

Tutti:
Purchè all'istante
Venga il denaro bello e sonante.

Trabuco:
Prima la merce, qua, colle buone.

Tutti: [ dandogli gli oggeti)

A te.

Trabuco: [ ritirando la roba e pagando)
A te, a te, benone.

Tutti:
(cacciandolo)
Sì, sì, ma vattene!

Trabuco:
(fra sè, contento)
Che buon affare!

(poi, forte)
A buon mercato chi vuol comprare?

Pane, pan per carità!
Tetti e campi devastati
N'ha la guerra, ed affamati
Cerchiam pane per pietà.

Povere madri deserte nel pianto
Per dura forza dovemmo lasciar.
Della beltà n'han rapiti all'incanto,
A' nostre case vogliamo tornar.

VIVANDIERE
(accostandosi gaiamente alle reclute ed offrendo loro da bere)
Non piangete, giovanotti,
Per le madri, per le belle;
V'ameremo quai sorelle,
Vi sapremo consolar.
Certo il diavolo non siamo;
Quelle lagrime tergete,
Al passato, ben vedete,
Ora è inutile pensar.

Preziosilla:
(entra fra le reclute, ne prende alcune pel braccio, e dice loro burlescamente:)
Che vergogna! Su, coraggio!
Bei figliuoli, siete pazzi?
Se piangete quai ragazzi
Vi farete corbellar.
Un' occhiata a voi d'intorno,
E scommetto che indovino,
Ci sarà più d'un visino
Che sapravvi consolar.
Su, coraggio, coraggio, coraggio!

Tutti:
Nella guerra è la follia
Che dee il campo rallegrar;
Viva, viva la pazzia
Che qui sola ha da regnar!

Toh! Toh! Poffare il mondo! Che tempone!
Corre ben l'avventura! Anch'io ci sono.
Venni di Spagna a medicar ferite,
ed alme a mendicar.
Che vedo? È questo un campo di Cristiani, o siete Turchi?
Dove s'è visto festeggiar la santa domenica così?

Tutto va a soqquadro.
E la ragion? La ragion?
Pro peccata vestra: pei vostri peccati.

Soldati:
Ah, frate, frate!

Melitone:
Voi le feste calpestate,
Rubate, bestemmiate . . .

Soldati italiani:
Togone infame!

Soldati spagnuoli:
Segui pur, padruccio.

Melitone:
E membri e capi siete d'una stampa:
Tutti eretici.


(serrandolo intorno)
Dàlli! Dàlli!

Soldati spagnuoli:
(difendendolo)
Scappa! Scappa!

Soldati italiani:
Dàlli! Dàlli sulla cappa!


(ai soldati che lo inseguono uscendo dalla scena)
Lasciatelo chi'ei vada.
Far guerra ad un cappuccio! Bella impresa!
Non m'odon? Sia il tamburo sua difesa.

Rataplan, rataplan, della gloria
Nel soldato ritempra l'ardor;
Rataplan, rataplan, di vittoria
Questo suono è segnal percursor!
Rataplan, rataplan, or le schiere
Son guidate raccolte a pugnar!
Rataplan, rataplan, le bandiere
Del nemico si veggon piegar!
Rataplan, pim, pam, pum, inseguite
Chi la terga, fuggendo, voltò . . .
Rataplan, le gloriose ferite
Col trionfo il destin coronò.
Rataplan, rataplan, la vittoria
Più rifulge de' figli al valor! . . .
Rataplan, rataplan, la vittoria
Al guerriero conquista ogni cor.
Rataplan, rataplan, rataplan!

(Escono correndo.)





ATTO IV


Scena I
Vicinanze d'Hornachuelos. Interno del convento della Madonna degli Angeli. Meschino porticato circonda una corticella con aranci, oleandri, gelsomini. Alla sinistra dello spettatore è la porta che mette alla via; a destra, altra porta sopra la quale si legge "Clausura". Il Guardiano passeggia solennemente, leggendo il suo breviario. Dalla sinistra entra una folla di medicanti, uomini e donne di tutte le età, che portano scodelle grezze, recipienti e piatti.

Coro dei mendicanti:
Fate, la carità,
Andarcene dobbiam, andarcene dobbiamo,
Andarcene dobbiam, la carità, la carità!

Che? Siete all'osteria?
Quieti . . .


(spingendo continuamente)
Qui, presto a me, presto a me, ecc.

Melitone:
Quieti, quieti, quieti, quieti.

I vecchi:
Quante porzioni a loro!
Tutto vorrian per sè.
N'ebbe già tre Maria!

Una donna:
(a Melitone)
Quattro a me . . .

Mendicanti:
Quattro a lei!

Donna:
Sì, perchè ho sei figliouli . . .

Melitone:
Perché il mandò Iddio.

Melitone:
Sì, Dio . . . Dio. Non li avreste
Se al par di me voi pure
La schiena percoteste
Con aspra disciplina,
E più le notti intere
Passaste recitando
Rosari e Miserere . . .

Guardiano:
Fratel . . .

Melitone:
Ma tai pezzenti son di fecondità
davvero spaventosa . . .

Guardiano:
Abbiate carità.

I vecchi:
Un po' di quel fondaccio
Ancora ne donate.

Melitone:
Il ben di Dio, bricconi,
Fondaccio voi chiamate?

Mendicanti:
(porgendo le loro scodelle ]
A me, padre a me, a me, a me, ecc.

Melitone:
Oh, andatene in malora,
O il ramaiuol sul capo
V'aggiusto bene or ora . . .
Io perdo la pazienza! ecc.

Guardiano:
Carità.

Le donne:
Più carità ne usava
il padre Raffael.

Melitone:
Sì, sì, man in otto giorni
Avutone abbastanza
Di poveri e minestra,
Restò nella sua stanza,
E scaricò la soma
Sul dosso a Melitone . . .
E poi con tal canaglia
Usar dovrò le buone?

Guardiano:
Soffrono tanto i poveri . . .
La carità è un dovere.

Melitone:
Carità, con costoro
Che il fanno per mestiere?
Che un campanile abbattere
Co' pugni sarien buoni,
Che dicono fondaccio,
Fondaccio il ben di Dio . . .
Bricconi, bricconi, bricconi!
E dicono fondaccio, ecc.

Le donne:
Oh, il padre Raffaele! ecc.

Gli uomini:
Era un angelo! Un santo! ecc.

Melitone:
Non mi seccate tanto!

Mendicanti:
Un santo! Un santo!
Sigravel, sì, sì, sì, un santo! ecc.

Melitone:
(buttando per aria il recipiente con un calcio)
Il resto, a voi prendetevi,
Non voglio più parole, ecc.
Fuori di qua, lasciatemi,
Sì, fuori al sole, al sole,
Lasciatemi, ecc.
Pezzenti più di Lazzaro,
Sacchi di pravità . . .
Via, via bricconi, al diavolo,
Toglietevi di qua;
Pezzenti più di Lazzaro, ecc.

Mendicanti:
Oh, il padre Raffaele!
Era un angel! Era un santo! ecc.

Melitone:
Pezzenti più di Lazzaro, ecc.

Mendicanti:
Il padre Raffaele!
Era un angelo! Un santo! ecc.

Melitone:
Fuori di qua! Lasciatemi,
. . . Fuori, fuori, via di qua! ecc.


Auf! Pazienza non v'ha che basti!

Guardiano:
Troppa dal Signor non ne aveste.
Facendo carità un dover s'adempie
da render fiero un angiol . . .

Melitone:
Che al mio posto in tre di finirebbe
col minestrar de' schiaffi.

Guardiano:
Tacete; umil sia Melitone, nè soffra se veda preferirsi Raffaele.

Melitone:
Io? No . . . amico gli son, ma ha certi gesti . . . parla da
sè . . . ha cert'occhi.

Guardiano:
Son le preci, il digiuno.

Melitone:
Ier nell'orto lavorava cotanto stralunato, che
scherzando dissi: Padre, un mulatto parmi . . .
Guardommi bieco, strinse le pugna, e . . .

Guardiano:
Ebbene?

Melitone:
Quando cadde sul campanil la folgore, ed usciva fra
la tempesta, gli gridai: mi sembre Indian selvaggio . . .
un urlo cacciò che mi gelava.

Guardiano:
Che v'ha a ridir?

Melitone:
Nulla, ma il guardo e penso, narraste, che il demonio
qui stette un tempo in abito da frate . . . Gli fosse il
padre Raffael parente?

Guardiano:
Giudizi temerari . . . il ver narrai . . . ma n'ebbe il
Superior rivelazione allora . . . io, no.

Melitone:
Ciò è vero! Ma strano è molto il padre! La ragione?

Guardiano:
Del mondo i disinganni,
L'assidua penitenza,
Le veglie, l'astinenza
Quell'anima, quell'anima turbâr.

Melitone:
Sarrano i disinganni,
L'assidua penitenza,
Le veglie, l'astinenza
Che il capo gli guastâr!

Guardiano:
Del mondo i disinganni, ecc.

Melitone:
Sarrano i disinganni, ecc.


Giunge qualcuno, aprite.


(alteramente)
Siete il portiere?

Melitone:
(fra sè)
È goffo ben costui!

(forte)
Se apersi, parmi . . .

Carlo:
Il padre Raffaele?

Melitone:
(Un altro!)
Due ne abbiamo; l'un di Porcuna, grasso, sordo
come una talpa. Un altro scarno, bruno, occhi, (ciel,
quali occhi!)
Voi chiedete?

Carlo:
Quel dell'inferno.

Melitone:
(È desso!) E chi gli annuncio?

Carlo:
Un cavalier.

Melitone:
(fra sè)
Qual boria! È un mal arnese.


Invano Alvaro ti celasti al mondo, e d'ipocrita veste
scudo facesti alla viltà. Del chiostro ove t'ascondi
m'additâr la via l'odio e la sete di vendetta; alcuno
qui non sarà che ne divida. Il sangue, solo il tuo
sangue può lavar l'oltraggio che macchiò l'onor mio,
e tutto il verserò. Lo giuro a Dio.

Fratello . . .

Carlo:
Riconoscimi.

Alvaro:
Don Carlo! Voi, vivente!

Carlo:
Da un lustro ne vo' in traccia,
Ti trovo finalmente;
Col sangue sol cancellasi
L'infamia ed il delitto.
Ch'io ti punisca è scritto
Sul libro del destin.
Tu prode fosti, or monaco,
Un 'arma qui non hai . . .
Deggio il tuo sangue spargere.
Scegli, due ne portai.

Alvaro:
Vissi nel mondo, intendo;
Or queste vesti, l'eremo,
Dicon che i falli ammendo,
Che penitente è il cor.
Lasciatemi.

Carlo:
Difendere
Quel saio, nè il deserto.
Codardo, te nol possono.

Alvaro:
(trasalendo)
Codardo! Tale asserto . . .

(frenandosi)
No, no! Assistimi, Signore!

(a Don Carlo)
Le minacce, i fieri accenti,
Portin seco in preda i venti;
Perdonatemi, pietà,
O fratel, pietà, pietà!


Carlo:
Tu contamini tal nome.

No, non fu disonorata,
Ve lo giura un sacerdote!

Non si placa il mio furore
Per mendace e vile accento;
L'arme impugna ed al cimento
Scendi meco, o traditor.

Alvaro:
Se i rimorsi, il pianto ormai
Non vi parlano per me,
Qual nessun mi vide mai,
Io mi prostro al vostro pie'!

Ah la macchia del tuo stemma
Or provasti con quest'atto!

Alvaro:
(balzando in piedi, furente)
Desso splende più che gemma.

Carlo:
Sangue il tinge di mulatto.

Alvaro:
(non potendo più frenarsi)
Per la gola voi mentite!
A me un brando!
[ Glielo strappa di mano.)

Un brando, uscite!

Carlo:
Finalmente!

Alvaro:
(ricomponendosi)
No, l'inferno non trionfi.
Va, riparti.

Ti fai dunque di me scherno?

Alvaro:
Va.

Carlo:
S'ora meco misurarti,
O vigliacco, non hai core,
Ti consacro al disonore.


(furente)
Ah, segnasti la tua sorte!
Morte.


Morte! A entrambi morte!

Carlo: e Alvaro:
Ah! Vieni a morte,
A morte andiam!



Scena II

Valle tra rupi inaccessibili, attraversata da un ruscello. Nel fondo è una grotta con porta, e sopra una campana che si potrà suonare dall'interno. È il tramonto. La scena si oscura lentamente; la luna apparisce splendidissima. Leonora, pallida sfigurata, esce dalla grotta, agitatissima.

Leonora:
Pace, pace, mio Dio!
Cruda sventura
M'astringe, ahimè, a languir;
Come il dì primo
Da tant'anni dura
Profondo il mio soffrir.
L'amai, gli è ver!
Ma di beltà e valore
Cotanto Iddio l'ornò.
Che l'amo ancor.
Nè togliermi dal core
L'immagin sua saprò.
Fatalità! Fatalità! Fatalità!
Un delitto disgiunti n'ha quaggiù!
Alvaro, io t'amo.
E su nel cielo è scritto:
Non ti vedrò mai più!
Oh Dio, Dio, fa ch'io muoia;
Che la calma può darmi morte sol.
Invan la pace qui sperò quest'alma
In preda a tanto duol.

(Va ad un sasso ove sono alcune provvigioni deposte dal Padre Guardiano.)
Misero pane, a prolungarmi vieni
La sconsolata vita . . . Ma chi giunge?
Chi profanare ardisce il sacro loco?
Maledizione! Maledizione! Maledizione!


(dall'interno)
Io muoio! Confessione!
L'alma salvate.

Alvaro:
(entrando in scena con spada sguainata)
E questo ancora sangue d'un Vargas.

Carlo:
Confessione!

Alvaro:
(gettando via la spada ]
Maledetto io sono . . .
Ma qui presso è un eremita.

(Corre alla grotta e batte alla porta.)
A confortar correte un uom che muor.

Leonora:
(dall'interno)
Nol posso.

Alvaro:
Fratello! In nome del Signore.

Leonora:
Nol posso.

Alvaro:
(battendo più forte)
È d'uopo.

Leonora:
(dall'interno suonando la campana)
Aiuto! Aiuto!

Alvaro:
Deh, venite.

Temerari, del ciel l'ira fuggite!

Alvaro:
Un donna! Qual voce . . .
Ah, no . . . uno spettro!

Leonora:
(riconoscendo Alvaro)
Che miro?

Alvaro:
Tu, Leonora!

Leonora:
Egli è ben desso.
Ah, ti riveggo ancora.

Alvaro:
Lungi, lungi da me; queste mie mani grondano
sangue, Indietro!

Leonora:
Che mai parli?

Alvaro:
(indicando il bosco)
Là giace spento un uom.

Leonora:
Tu l'uccidesti?

Alvaro:
Tutto tentai per evitar la pugna.
Chiusi i miei dì nel chiostro.
Eì mi raggiunse, m'insultò, l'uccisi.

Leonora:
Ed era?

Alvaro:
Tuo fratello!

Leonora:
Gran Dio!

Destino avverso,
Come a scherno mi prendi!
Vive Leonora, e ritrovarla deggio or che versai di suo
fratello il sangue!

Leonora:
(dall'interno, mettendo un grido)
Ah!

Alvaro:
Qual grido! Che avvene?

(Leonora, ferita, entra sostenuta dal Padre Guardiano.)
Ella, ferita!

Leonora:
(morente)
Nell'ora estrema perdonar non seppe.
E l'onta vendicò nel sangue mio.

Alvaro:
E tu paga, non eri, o vendetta di Dio.
Maledizione!

Guardiano:
(solenne)
Non imprecare; umiliati
A Lui ch' è giusto e santo,
Che adduce a eterni gaudi
Per una via di pianto;
D'ira e fulgor sacrilego
Non profferir parola,
Vedi, vedi quest'angiol vola
Al trono del Signor.

Leonora:
(Con voce morente)
Sì, piangi e prega.
Di Dio il perdono io ti prometto.

Alvaro:
Un reprobo, un maledetto io sono.
Flutto di sangue innalzasi fra noi.

Leonora:
Piangi! Prega!

Guardiano:
Prostrati!

Leonora:
Di Dio il perdono io ti prometto.

Alvaro:
A quell'accento più non poss'io resistere.

Prostrati!

Alvaro:
Leonora, io son redento,
Dal ciel son perdonato!

Leonora: e Guardiano:
Sia lode a Te, Signor.

Leonora:
(ad Alvaro ]
Lieta or poss'io precederti
Alla promessa terra.
Là cesserà la guerra,
Santo l'amor sarà.

Alvaro:
Tu mi condanni a vivere.
E m'abbandoni intanto!
Il reo, il reo soltanto
Dunque impunito andrà!

Guardiano:
Santa del suo martirio
Ella al Signor ascenda,
E il suo martir t'apprenda
La fede e la pietà!

Leonora:
In ciel ti attendo, addio!

Alvaro:
Deh, non lasciarmi, Leonora, ah no, non lasciarmi . . .

Leonora:
Ah . . . ti precedo . . . Alvaro . . . Ah . . .
Alvar . . . Ah!


Morta!

Guardiano:
Salita a Dio!