Emilio
Praga
PENOMBRE
Nos
canimus surdis
PRELUDIO
Noi
siamo figli dei padri ammalati;
aquile al tempo di mutar le
piume
svolazziam muti, attoniti, affamati,
sull'agonia di un
nume.
Nebbia remota è lo splendor dell'arca,
e già
all'idolo d'or torna l'umano,
e dal vertice sacro il
patriarca
s'attende invano;
s'attende invano dalla musa
bianca
che abitò venti secoli il Calvario,
e invan
l'esausta vergine s'abbranca
ai lembi del Sudario...
Casto
poeta che l'Italia adora,
vegliardo in sante visioni assorto,
tu
puoi morir!... Degli Antecristi è l'ora!
Cristo è
rimorto!
O nemico lettor, canto la Noia,
l'eredità del
dubbio e dell'ignoto,
il tuo re, il tuo pontefice, il tuo boia,
il
tuo cielo, e il tuo loto!
Canto litane di martire e d'empio;
canto
gli amori dei sette peccati
che mi stanno nel cor, come in un
tempio,
inginocchiati.
Canto l' ebrezze dei bagni d'azzurro,
e
l'Ideale che annega nel fango...
Non irrider, fratello, al mio
sussurro,
se qualche volta piango:
giacché più
del mio pallido demone,
odio il minio e la maschera al pensiero,
giacchè canto una misera canzone,
ma canto il
vero!
Novembre 1864
MERIGGI
1.
BRIANZA
Come è bella la sera in mezzo ai
monti!
Te ne ricordi?... ti ricordi quando
si vagheggiava i
rapidi tramonti,
e tornavamo a braccio, e sussurrando:
come è
bella la sera in mezzo ai monti?
O pace, o solitudine, o dolcezze!
Tu appoggiavi i piedini al focolare,
ed io la testa fra le tue
carezze;
e il lieto grillo era il nostro compare:
o pace, o
solitudine, o dolcezze!
Chi, chi di noi più puri e più
beati
in quei giorni d'affetto e di mistero?
Ti ricordi i
progetti inargentati
dal vago argento che maschera il vero?
Chi,
chi di noi più puri e più beati?
Tu prevedevi un
serto alle mie chiome,
io per te meditavo un paradiso;
tu
inghirlandavi d'alloro il mio nome,
io d'amor sempiterno il tuo
sorriso...
tu prevedevi un serto alle mie chiome!
O sante
gioie, o speranze divine!
Che ce ne resta, o mia donna, a
quest'ora?
Ma non è tutto, non è tutto spine
l'oggi, se, uniti, sussurriamo ancora:
o sante gioie, o
speranze divine!
Rifioriran, mia mesta giovinetta,
rifioriranno
quei tempi d'amore;
e tu lo sai, dagli angeli protetta,
tu che
sei buona, e che preghi il Signore;
rifioriran, mia mesta
giovinetta!
Nessun ci toglie un angolo di terra
dove, esperti
del cuore e della vita,
dimenticar degli uomini la guerra,
e
prepararci insieme alla partita!
Nessun ci toglie un angolo di
terra.
O pace, o solitudine, o dolcezze!
Ti rivedrò
seduta al focolare,
sognerò ancora fra le tue carezze;
e
il lieto grillo ci sarà compare:
o pace, o solitudine, o
dolcezze!
2.
EGLOGA
A BERNARDINO ZENDRINI
Qui a bu, boira.
Come,
come restar fra queste mura
quando sapete
che son fioriti il
monte e la pianura,
e conoscete,
conoscete le valli e le
pendici
e le placide sponde
delle profonde - gioie
albergatrici?
Come restare? Abbacchiano le noci
sulle montagne
;
già dei fanciulli le garrule voci,
fra le
castagne,
empiono i rami a cui cascan le fronde,
e i nidi
abbandonati
son circondati - di testine bionde.
La casicciuola
e la castalderia
colman la botte;
dà il giovin vino alla
malinconia
la buona notte;
e lune e falchi e santi e chiavi
d'oro
già, sulle insegne oscure,
di ripinture - parlano
fra loro.
Come, come restar fra questi avelli
che chiaman
stanze?
Copron di versi i lirici tinelli
le lontananze :
oh
miei curati nelle vigne erranti
col tondo viso in foco
e il
parlar roco - delle dee baccanti!
Oh le donne,oh le chiacchiere
del prato!
Che laconismo!
Nessun ti chiede, là se sei
soldato
del realismo,
e nessuno s'impenna e fa gli occhioni
se
vengono a sapere
che odi il mestiere - d'imitar Manzoni.
E vi
son certe strade in Valtellina
cui far l'amore,
meglio che al
muso e alla carta velina
di un editore:
conoscete il Legnone, o
miei messeri?
là vivi i fiori stanno
che qui vi danno -
in polvere i droghieri.
Oh tre ne voglio de' miei vecchi amici
dal
pazzo umore!
Di quelli che son lieti od infelici
secondo
l'ore,
che non parlan di moda e di cambiale,
ma in nuovi cieli
immersi
fischiano i versi - in cattedra e in piviale!
Tre di
costor che fanno il gaio viso
alla baldoria,
e a cui l'arte
congiunge in un sorriso
Golgota e gloria;
tre di costoro per
salir sui monti
ove l'Eterno addita
ch'è infinita - la
via degli orizzonti!
E beverem, col capo all'ombra fresca
di
qualche faggio,
all'avvenir che i giovinetti adesca,
anch'esso
in viaggio:
quando il ranume udrà queste parole,
riderem,
se si adombra,
col capo all'ombra - e colle gambe al sole!
3.
SOSPIRI ALL'INVERNO
Stanco son io di
splendidi
cieli e fronzute piante;
mi annoia lo spettacolo
di
una beltà costante;
venga il dicembre, ed operi
un
cambiamento a vista:
un grazie al macchinista
dal petto
esalerò.
Venga il gennaio, il placido
mese di pioggie e
nevi,
venga, ed io chiuda il guscio:
oh giorni inerti e
brevi,
vetri appannati, e amabili
grilli del focolare!
Voglio
l'uscio inchiodare,
cantar l'inverno io vo'!
Come cadenze
tremule
di cori in lontananza,
belle, ridenti, tiepide,
nella
tranquilla stanza
tornano le memorie
del luglio e
dell'aprile,
a colorir lo stile
del pallido pittor.
E
accosciata in un angolo
al muro crepitante,
sospirosa e
pettegola
come una vecchia amante,
la stufa mi consiglia
a
non varcar la soglia,
e alle dolcezze invoglia
del solingo
lavor.
Quando la nebbia intorbida
l'ampia campagna rasa,
è
pur dolce l'immagine
delle donne di casa:
le muse son, son gli
angeli
del domestico cielo
cui della pioggia il velo
imperla
la beltà!
Le gonne allor bisbigliano
come selvette in
maggio,
e se il capo ti aggravano
nuvole di
passaggio,
ascolta... erra uno strascico
nella vicina
stanza?
Ascolta; e la speranza,
la fede tornerà.
Venga
il febbraio: ho un piccolo
vaso di sempre-vivi
che i vezzi non
invidiano
dei fiorellini estivi;
ho un uccellino in gabbia,
un
canerin gentile...
febbraio, marzo, aprile...
ecco l'estate
ancor!
L'estate ancor!...Fantastico
mio cor di pellegrino,
né
avran cessato i cantici
il bardo e il canerino:
giacché
siam quattro in gabbia,
ed all'amor si beve,
il mandorlo è
una neve,
la stalattite è un fior!
4.
NEVICATA
Domus et placens uxor.
La
bella neve! scendete, scendete,
leggiadri fiocchi danzanti nei
cieli;
come perluccie coprite, pingete
i tetti, i tronchi, la
mota e gli steli.
Dacché l'ottobre, soffiando, spruzzando,
ingiallì tutta la vasta campagna,
fuor da' miei vetri,
ove, fievole urtando,
la farfalluccia del freddo si lagna,
mi
morir cinque di rosa arboscelli,
e spirò l'anima a Dio la
violetta;
senza l'ammanto di viti i cancelli
sembran soldati
disposti in vedetta.
Pur questa notte una mano
furtiva
l'innaffiatoio rubommi in giardino!
(Se fu per fame che
alcun lo rapiva,
Iddio nol vegga l'agreste bottino).
Intirizzisco
se schiudono l'uscio,
ma qui la stufa borbotta tepente:
oh
benedetto il mio piccolo guscio,
per me, nevata, sei tutta
innocente!
Fa' il tuo mestiere: scendete, scendete,
leggiadri
fiocchi danzanti nei cieli;
come perlucce coprite, pingete
i
tetti, i tronchi, la mota e gli steli...
Della mia donna nel
fervido cuore
aleggia sempre una brezza gentile,
e quando
ricco il poeta è d'amore
anche il gennaio somiglia
all'aprile.
5.
E
teco errando, pallida Sofia,
come una chiesa, era piena di
squilli
l'anima mia ;
come una selva era piena di
trilli
l'anima sacra alla malinconia!
Errando teco, pallida
Sofia.
Vi cantava la messa un cherubino,
e vi nascean colombe
ed usignuoli:
oh il bel cammino,
fra le intatte bianchezze e i
dolci voli!
Oh effluvii, oh grazie del pane e del vino,
quando
canta la messa un cherubino!
6. ANCORA
UN CANTO ALLA LUNA
Corna
a ponente,
luna crescente!
Fuori lucertole
e
moscherini,
bruchi, larvuccie
e farfallucce,
lumache e rane
fuor dalle tane:
il segno è certo,
tutti
all'aperto!
Presto, rotonda - e rubiconda
nella bonaccia,
la
bella faccia
risplenderà.
Corna a ponente,
luna
crescente!
Betulla e salice,
olmo ed ulivo,
querciol,
cipresso,
il tempo è adesso
di dondolare
e di
cantare:
il segno è certo,
fuori al concerto!
Cadenze
e inchini - e dei più fini
al dolce viso
che in
paradiso
tondeggierà!
Corna a ponente,
luna
crescente!
Oh come è limpida
la collinetta,
e l'aria
pura
sulla pianura ;
oh senti i cori
nei sicomori,
giù
per le chine
che cavatine!
Di re venuta - no, non saluta
musica
tale!
Ve'! l'immortale
comparsa è già!
Corna
a ponente,
luna crescente!
E anch'io, crisalide
forse di un
astro,
da un sassolino
a te m'inchino:
luna cornuta
che
mostri muta
l'anel reciso
nel paradiso,
di cui lo sposo -
già frettoloso
per consolarti,
giunge a portarti
l'altra
metà.
Corna a ponente,
luna crescente!
Addio, mia
vergine,
felici amplessi!
Io vado a letto,
ché, a
parlar schietto,
l'infreddatura
mi fa paura!
Ma il raggio
blando
di quando in quando
alla finestra - tu mi balestra:
mi
udrai sognare
e ricantare
la tua beltà!
Corna a
ponente,
luna crescente!
7. LIBERTAS
Sciagura
a te, sciagura a te, vegliardo
che non amasti mai,
e a me
t'affacci, aruspice infingardo,
gridando : - Guai! -
Quando
rugge la pugna, e si agonizza
sul campo di battaglia:
quando
pei valli dell'orrenda lizza
la morte raglia,
chi nei sentieri
ove palla non giunge
sta in guardia dei giumenti,
giumento è
anch'esso se desìo lo punge
di far commenti!
E lo danni
alle forche il capitano,
se, a pergamo salito,
contro i
fratelli che mordono il piano
appunta il dito.
Ritorna
all'ombra del tuo pergolato,
ritorna alla tua chiesa,
e, là,
mostra, spauracchio all'uom curvato
la croce appesa:
me libero,
me forte e me guerriero
crebbe il genio materno,
e i passaporti
sdegno, ospite altiero,
del padre eterno!
8. MUSICA DI CHIESA
Amo
la voce chioccia e poverina
dell'errante bambina ;
amo il canto
del cieco, e il ritornello
del vecchierello ;
amo tutta la
musica che ho intesa,
ma non amo la musica di chiesa.
Ah per
l'uom sventurato appeso ai chiodi,
quel rimbombo di lodi
al
barbaro che in ciel tranquillamente
dalla sua gente
si faceva
adorar mentr'ei morìa,
l'onta rinnova e il mal
dell'agonìa!
Amo la voce chioccia e poverina
dell'errante
bambina ;
amo il canto del cieco, e il ritornello
del
vecchierello;
amo tutta la musica che ho intesa,
ma non amo la
musica di chiesa.
9.
MEMORIE DEL PRESBITERO
Vivis
rosa grata et grata sepulcris.
I bei giorni trascorsi al
presbitero!
O mio santo curato
che al giovinetto
amico
schiudesti il dolce asilo intemerato
e l'animo
pudico,
benché or lungi da me tu sia sepolto,
ti
parlo ancora, e ti riveggo in volto.
Ecco il canuto crine, e il
mite sguardo!
Oh, l'orto ecco, e la oscura
stanzetta della
sera,
ove lasciai partendo una pittura;
ecco la croce nera,
e
i santi scarni appesi alla parete,
taciti amici del solingo
prete.
O settantenne fante - zoppicante
nella queta dimora,
certo, tanto l'amavi.
Sei morta seco per servirlo
ancora:
senti, io scordai soavi
faccie di giovinette
innamorate,
ma le tue rughe, no, non le ho scordate!
Quand'io
tornava a sera,e il vecchierello
parlava al suo breviario,
tu,
per darmi la cena,
riponevi in un angolo il rosario;
egli,
finito appena,
tutto ridente mi sedeva accanto,
e mi diceva : -
T'ho aspettato tanto! -
I poverelli che venivan spesso
m'amavano
anche loro
perché il pastor m'amava,
e, nei dintorni,
il mio mesto lavoro
agli astri si portava,
perché un
giorno avean visto in sul sagrato
chino a osservarlo il tremulo
curato.
Io che non amo i preti, io piango ancora,
a quel
vecchio pensando
che vivea di vangelo;
d'un volo il benedetto
animo blando
andò a posarsi in cielo,
e il vescovo
narrò ch'egli è perduto
perché cantava il dì
dello Statuto.
Se cantava! Lo vidi affaccendato
i vessilli a
intrecciare,
mentre, insieme alla fante,
io l'aiutava ad
allestir l'altare;
come officiò esultante,
come pura la
voce al ciel s'ergea,
e più bella del solito parea!
-
Povero amico,addio...quel mazzolino
ho ancor, che mi
donasti
quando da te partìa...
Di questi fior che tanto
in terra amasti
la tua borgata pia
ti orni la fossa, e nel
tempo lontano
mesto ancor li coltivi il terrazzano!
Aprile
1865.
10. NOLI
O
armoniosa quiete del villaggio,
balsamo sospirato un anno
intiero,
o pace della mia anima, e raggio
del mio
pensiero!
Come sei tutta buona e tutta bella,
o ammaliatrice,
o santa, o cortigiana!
La tristezza, tua pallida sorella,
è
la mezzana;
e io ti stringo, ti mordo, amante offeso
da cento
mali, e tu m'intendi e taci:
le tue carezze sono unguento
steso,
nettare i baci.
Con te la vita è placida
fiumana
Che i burroni scordò onde discese:
una farfalla
è qui la settimana
un bimbo il mese.
Era ben mesto, o
miei poveri amori,
ché sulla strada, quando son venuto,
mi
seguiva un convoglio di dolori
rapido e muto
Or li ho messi a
dormire ad uno ad uno,
distesi, freddi, pallidi, stecchiti:
in
verità, non ditelo a nessuno,
li ho seppelliti
nell'orticello pien di aranci e d'ali
dove un bel pozzo
invita ad aver sete,
e dove spesso brillano gli occhiali
di
qualche prete,
sotto il sagrato, e placidi vi stanno
fra le
campane e i cantici latini:
berretti rossi e mèzzari vi
fanno
da fiorellini.
Dormono lì, né mutin
lune e soli,
a rizapparne andrò la sepoltura;
però,
a smarrirli, partirò da Noli
a notte oscura,
poiché
sepolti son, ma non son morti
quando la coltre non sorride al
sonno,
tornano ancora, tanto sono accorti,
e tanto
ponno!
Bussano ancora alla finestra mia,
e: - Apri, gridano,
apri ai vecchi amici;
abbiam pescato nella tenebrìa
rime
felici.
Apri, ingrato, ai dolor! siam noi la musa,
l'eterna
musa che pel mondo corre;
non è poeta l'uom che ci
ricusa,
l'uom che ci abborre . -
Ed io rispondo: - Sirene,
Sirene,
tornate a sonnecchiar sotto il sagrato:
siete il vin
che mi ha roso e le cancrene
che m'han bruciato!
Oh se il
soffrir fosse il retaggio, il motto
dei guerrier della lira e del
pensiero,
vi inchioderei sul cor!... ma gli è lo scotto
del mondo intiero!
Andatene, per Dio! "...Li sento,
appesi
alla parete polverosa e scialba,
urtar le imposte, come
ospiti offesi...
Ma spunta l'alba,
e canta il gallo (il gallo
campagnuolo
conserva ancor la leggendaria possa) :
i miei
dolori tornano al lenzuolo,
dentro la fossa;
e allor comincia
la dolce giornata.
Prima son vaghi suoni in lontananza,
qualche
canzon furbetta e spensierata,
o il mar che danza;
poi
paroluccie tutte vispe e fresche
della cara fanciulla allegra e
bella:
torna dall'orto carica di pesche
grembo e
scarsella.
Ed io contemplo e scrivo e suggo il
buono,
santo licor che il mio pensiero inolia,
e mi muoia il
pensier se anch'io non sono
un'arpa eolia!
É rima, è strofa qui tutto che giunga;
fin dai
bimbi che all'aria mattutina
portano a passeggiar l'acuta e
lunga
tosse ferina.
O Noli, o solitaria pescatrice
tutta
cinta di torri e di madonne,
Dio protegga il tuo mar, la tua
pendice
e le tue donne!
Le negre donne tue che ritte stanno,
le
donne per l'Italia affaccendate,
che prolifican liete un mozzo
all'anno
per le fregate!
Noli, settembre 1864.
11.
STRIMPELLATA
Giovinettina bruna
come una
bruna notte, e malinconica
come la luna!
Io mi chiamo
l'amore,
l'amor mi chiamo, e sono il raggio e il gaudio
del
primo albore!
Oh schiudimi la porta,
e schiudimi le braccia...
- ecco il crepuscolo,
la luce è sorta!
Giovinettina
lieta
come una lieta mattinata, e candida
come un poeta!
12.
INCONTRO NEL BOSCO
Staman nel bosco stavo tutto
solo
i gorgheggi a tradur di un usignuolo,
quando un falco calò
sul picciol nido
e ripartì con un superbo grido:
la voce
armoniosa
più non udii fra i tremuli arboscelli,
e la
selva restò muta e pietosa
su un nido di
orfanelli.
Quand'ecco di fanciulli una brigata
che arriva
saltellando, all'impensata,
brucando i rami della via
romita,
pestando l'erba dove è più fiorita...
-
Di che paese siete?
Dove andate così tutto uccidendo? ".
Il
più fiero rispose: " Eh, no, vedete,
vivi, vivi li
prendo!
guardi - E tirò di sotto a un cencio nero
tre
colombi, due tordi e un capinero.
- Non siam che a mezzo aprile, e
sente, sente
quanti nidi ? la selva par vivente ;
ne abbiam
per tutto giugno
di correre la valle e le pendici! ".
E
lietamente si stringeva in pugno
i poveri infelici.
Pugno di
rosa, e belli occhi lucenti,
e chiome d'oro, e labbra
sorridenti,
pugno di paggio uscito a coglier gigli
di una
regina per i biondi figli!...
Il falco sghignazzava
nell'azzurro
del ciel come buffone,
e il mesto animo mio gli perdonava
la
fame e l'uccisione.
13.
Amo il
buio e il fragor della fucina,
e mi piace l'artier che tempra il
ferro;
la polverosa sua faccia ferina,
gli occhi di ferro e le
braccia di cerro.
E' il sacerdote del problema oscuro,
è
il nuovo ingegno del redento Giobbe:
forse è per lui che al
secolo maturo
l'uom brandirà la scala di Giacobbe.
Giacché,
pensando alla cruenta via
per cui fe' vela l'angelo Pensiero,
mi
persuade la tristezza mia
che non la tema il demone Mistero.
E
più d'Icaro assai, passero greco,
più del vate che
al fulmine attentava,
le speranze mi avviva il sacro speco
ove
il deforme Ciclope vegliava.
Forse che fra l'incudine e il
martello
egli gemere udìa sillabe arcane:
il motto
ignoto dell'immenso Bello,
la cifra oscura della Sfinge
immane!
Amo il buio e il fragor della fucina,
e mi piace
l'artier che tempra il ferro;
la polverosa sua faccia ferina,
gli
occhi di foco e le braccia di cerro.
Fossi fanciulla bianca e
delicata,
vorrei sporcarmi al suo nobile petto:
l'arte soave
sulla lena innata,
e sulla forza verserei l'affetto
O
Polifemo! il gaio mondo antico
Ossa e Pelia inforcati ancor vedea,
se fosse giunto all'isola di un amico
a condurti per man la
Galatea!
14.
DUE CONOSCENZE
Requiescant in pace
Io
conoscea due vispe vecchierelle
che vicino abitavano di casa:
le
due cuffie eran sempre alla finestra,
e per l'aria venìa
un
confuso cianciar pien d'allegria.
Parevan le due candide
cuffiette,
tra quei vasi di fior, due tortorelle,
e or rivolti
alla strada or alla gronda,
quattro occhietti brillanti
studiavano
gli uccelletti e i viandanti.
Io passava di là quasi ogni
sera
e m'avean le due donne in simpatia,
ché, fra tanti
a ragazze accompagnati,
mi vedevan soletto
e mi credean
dabbene e poveretto.
Anch'io le amavo, e un dì, come
deserti
vidi i balconi del convegno antico,
chiesi novelle:
moribonda l'una,
l'altra al letto davanti
a pregar la madonna e
tutti i santi.
L'ammalata morì; fu un epitaffio
breve
alla porta della chiesa, e un requie
di più. L'altra tornò
nella sua casa
stretta, oscura, pudica
come la bara della
estinta amica.
E più di quella restò forse
chiusa.
Quando al sol si riaperse, oh cosa triste!
intisichian
non innaffiati i fiori,
e la vecchia languente
guardava intorno
e non vedea più niente.
Dimenticato anch'io, son mesi e
mesi
che ho mutato cammin, come gli uccelli
che sul miglio
infedel piansero molto,
poi decretar lo sfratto.
I fiorellini
erano morti affatto.
15.
Pallida,
mesta, e collo sguardo chino
a che pensi, seguendo, o
giovinetta,
il mio cammino?
Forse sospiri che lungi è la
vetta,
che seguirmi in eterno è tuo destino,
pallida,
mesta, e collo sguardo chino?
Io leggo il cielo attraverso
l'amore!
Tu sei la lente delle mie pupille:
povero fiore,
tolto
alle aiuole vergini e tranquille,
oh non languir sul petto al
viaggiatore!. . .
Io leggo il cielo attraverso l'amore.
CANZONIERE
DEL BIMBO
I
Albo signando
lapillo.
Egli
aperse quel dì le sue finestre,
guardò nel cielo e
ringraziò l'azzurro;
sorrise ai fiori e ringraziò i
profumi,
e disse all'aura : oh dolce il tuo sussurro!
e alle
rondini : addio!
e ai passeggier: vi benedica Iddio!
E, alla
parola Iddio, lo assalse un'alta
riverenza, e dall'anima
stupita
esclamò : - Nume, Iehova, Signore!
fortunati i
viventi in questa vita:
oh crea l'imperituro,
regalalo al
passato ed al futuro! -
E poi disse a se stesso: - Anima mia
bevi
l'ambrosia dai polmoni ansanti;
centuplica le tue fibre d'amore,
ti stempra, anima mia, ti stempra in canti!
è nato il
bambinello,
candido, vispo, vigoroso e bello.
É nato il
bambinello, il sospirato,
il Messia della placida casetta:
egli
è là: nella culla è già raccolto,
e
gli han vestita già la camicietta:
la camicietta
bianca,
con due vaghi ricami a destra e a manca.
Egli è
là: sul suo pallido visino
tutti i sogni del cielo ho già
sognati;
credo agli angeli adesso, agli angioletti
di vaghe
aureole bionde incoronati...
Volumi, io vi saluto,
imparai
l'universo in un minuto.
L'universo imparai! Non domandate
al
levita e al filosofo gli arcani:
un vagito di bimbo, ecco la
fede,
ecco il segreto dei destini umani!
O dubbii, o sogni,
addio!
Io vedo, e sento, e benedico Iddio!
II
Ed
ora pulisciti,
mia povera creta!
Sian puri, sian limpidi
gli
amor del poeta ;
sul dolce miracolo
la musa non dica
che
note di spica,
che effluvi di fior.
Un serto facciamogli
del
nostro pensiero,
ma casto, ma placido,
ma bello e leggero;
ci
basti il suo bacio
per leggere i fati,
per viver beati
ci
basti il suo cor!
Ai fischi del pubblico,
del volgo al
sorriso
ci asconda quel piccolo
suo vergine viso:
se un ramo
di lauro
ci aspetta nel mondo,
serbiamolo al biondo
suo
lucido crin!
E tu che ti nomini
l'immenso avvenire,
tu
culla dei gaudii,
dei pianti e dell'ire,
lo guarda, e
inargèntati,
lo guarda, e t'indora;
gli innonda
d'aurora
l'astruso cammin.
Se il peso del genio,
se il
marchio del vate
son l'onta e la gloria
che Iddio gli ha
serbate,
oh intatte ritornino
le età che son morte;
del
dolce, del forte,
del santo cantar!
Ma meglio, assai meglio
se
invece lo aspetta,
la pace, il silenzio d'ignota casetta!. . .
Sia
piena di rondini,
dal mondo difesa,
sia bianca e sospesa
fra
il ciel ed il mar!
III
Perchè
sei pallido
o mio bambino?
Perchè il tuo lucido
occhio
azzurrino,
su cui di un dubbio
non scese il
velo,
infaticabile
s'affisa in cielo?
Non
invaghirtene
bambino mio
di quella splendida
tenda
d'Iddio,
non invaghirtene,
non mi sfuggire...
Ahimè,
raggiungerla
vuol dir morire!
Non guarda l'etere,
vuoto
miraggio
ma parla, e cantami
nel tuo linguaggio:
anch'io,
mio bambolo,
anch'io, vedrai
or fra le nuvole
non guardo
mai.
Volin le nuvole,
brilli il sereno!
Dacchè,
cullandoti
su questo seno,
vi scende il gaudio
dal paradiso,
più non interrogo
che il tuo bel viso!
Quel viso
candido
coi capei d'oro,
che non v'ha bibbia
miglior di
loro
se l'ira assaltimi,
e ch'io vi metta
la man che
aduncasi
per la vendetta.
Quel viso candido
con quel
nasino
che sembra un petalo
di gelsomino :
con quelle
piccole
guancie di rosa,
parenti prossime
della mimosa.
Oh
quando, in braccio
della nutrice,
il tuo ti coglie
sonno
felice,
e il capo dondoli
come un vecchietto
che sogni il
ciondolo
del suo berretto:
quando, le deboli
braccia
incrociate
e le finissime
mani allargate,
al par di un
monaco
fuor dal cappuccio,
mi osservi attonito
dal tuo
lettuccio,
senti : io risuscito
le ricordanze,
e per le
cerule
mie lontananze,
ricerco l'esule
che fu me stesso,
il
bimbo, il giovane
che un padre è adesso.
Lo trovo :
memore
della campagna,
bever le tenebre
della lavagna ;
in
chiesa, a vespero
colla sorella,
girare i briccioli
della
scarsella,
come un rosario;
lo trovo in villa,
dal ciel, dal
gemito
di qualche squilla,
della famiglia
nei plausi
immerso,
pescar l'orribile
suo primo verso!...
E giuro
agli uomini,
e giuro a Dio
che i mille triboli
del viaggio
mio
io li ringrazio,
li benedico,
come le prediche
di un
vecchio amico!
O bimbo, o vergine
mia creatura,
cresci
discepolo
della natura ;
cresci alle semplici
gioie
ignorate,
alle dovizie
nel cuor celate;
andrem per garruli
boschetti a scuola,
e udrai ripetere
la mia parola
corolle
e foglie,
petali e steli,
e piani e vertici,
e rivi e
cieli.
Là, coll'orgoglio
di due poeti,
diremo ai
Mèntori,
diremo ai preti:
andate al diavolo,
non vi
cerchiamo;
siam soli e liberi,
crediamo e amiamo!
IV.
TERZA RIMA
Quando il
sol cadde e tacquero le squille,
la quiete e l'amor cantano un
coro
alla tribù dell'anime tranquille.
L'uomo è
stanco di passi e di lavoro,
la donna ha l'occhio languido e
profondo,
il focolare è una chiesetta d'oro.
Mentre il
suo raggio acuto e rubicondo
cresce e svanisce, lottando col cero
e colla luna che accarezza il mondo;
mentre il musino del
gattuccio nero,
immobile ed intento al limitare
sogna il suo
lungo sogno di mistero;
come un mesto palombaro nel mare,
io
discendo nel cor che Iddio m'ha dato,
e mi guida le perle a
rintracciare
il respiro del bimbo addormentato.
V.
MEMENTO
Oh se
l'ava non fosse sepellita,
l'ava, l'antico amor della mia
vita,
s'ella vivesse ancor...
pensate il gaudio di appenderle
al seno
della mia vita il giovinetto amor;
pensate il gaudio,
pensate l'incanto!. . .
La sua canizie a questi ricci
accanto,
questi tuoi ricci d'or,
o bambinello mio vispo e
sereno,
se la bisnonna tua vivesse ancor!
Sta' cheto e
attento, o pallido bambino,
e mi contempli fiso il tuo visino,
ti
voglio innamorar:
la sua tomba alla tua culla sospira,
povera
tomba, andiamola a trovar.
Vi riposa la buona vecchierella
che
mi seguiva, silenziosa e bella,
nei sogni a veleggiar,
coi
freschi venti che l'infanzia spira,
spiaggie d'oro e di perle a
imaginar.
E in lontananza sul vago oceàno
del mio
viaggio tortuoso e strano,
più che le perle e l'or,
forse
già quella santa indovinava,
o bambinello, il tuo futuro
albor!
E non nato ti amò, povera donna,
e pensò
di attaccarti alla sua gonna,
come si attacca un fior,
e della
sua celeste anima d'ava
farne rugiada benedetta ancor!
Ella è
discesa nella fredda terra,
e dal buio fatal che la rinserra
non
sorgerà mai più:
prole di ignoti profanò la
casa
che fu sua casa, e nostro tempio fu.
Ma non tutto
esulò nel cataletto
l'idolo mio; non vi inchiodar
l'affetto
dei bimbi, e la virtù!
E la ricchezza, dalla
creta evasa,
che renderemo all'anima lassù!
La ereditai
per te, mio bambinello,
per farti buono, fortunato, e bello
di
angelica beltà
quella che vive dove l'uom non rode,
e
l'ugna d'Eva a graffiar non va.
Senti: io morrò di
versi e di etisìa,
e quel giorno tu pur saprai che sia
un
amor che sen va :
bardo futuro, a lei mi sposi un'ode,
e
nell'azzurro Iddio mi accoglierà.
VESPRI
16.
ALL'AMICO
Quando era colma l'anima
di affetti
e di armonie,
ho prodigato al lastrico
le esuberanze mie;
e
tracannai, beffandoli,
vini di insulse ebrezze,
e dispersi
carezze
che ricordar non so.
Ma non mi infanghi il
plauso
dell'ebete orgoglioso
che urtai, fra gonne e
calici,
nel suo cammin famoso;
se nei caffé
sbadiglia
d'arte, per noia e moda,
che il nome mio non s'oda,
o
ch'ei lo insulti io vo'!
L'insulto e la calunnia,
sposati in
un sorriso,
non turberan, scontrandola,
l'ironia del mio viso;
nell'orgia e nella nebbia
fui di un mio sogno in traccia,
né
ho mai guardato in faccia
i corpi intorno a me.
Tu, biondo e
malinconico
compagno di visioni,
cui palpitando mormoro
le
torbide canzoni,
tu sai le mie battaglie,
le mie superbie sai,
e presto mi vedrai
venir ridendo a te;
e dirti: il ciuco e
il ninnolo,
il masso e la beghina,
son scesi a conciliabolo,
una bella mattina,
e han giurata impossibile,
in nome del
buon senso,
la cara arte ch'io penso
quella che pensi
tu.
Arrigo, e alla materia
e all'azzurro inneggiando,
le
sordità del prossimo
ritenterem, cantando,
forse profeti
inutili,
ma lieti, in santa guerra,
gli aromi della terra,
gli
effluvii di lassù!
17.
LA FESTA E L'ALCOVA
Ella era
nuda come un fior d'Iddio
liberamente nei campi sbucciato;
però
pel ballo si adornava, ed io
le stava allato.
Creature
del cielo, angeli belli,
io credo che se mai lassù
piangete,
gli è quando nei tessuti e nei gioielli
Eva
scorgete.
Pensate il mio dolore: eran profili
fatti
per suscitare estasi e incùbi;
fini, soavi, candidi,
gentili,
parevan nubi,
vaghe nubi sbucciate a ciel
sereno!...
Vidi arrivar la bianca camiciuola,
e si adagiò
sul profumato petto
come una stola.
Io sospirava: -
Tu porrai sovr'essa
molte maschere ancor, ma è tempo
perso:
la malizia dell'uomo è profetessa,
passa
attraverso! -
E il fruscìo delle morbide sottane
volea
beffarmi, cingendole il fianco;
e le corna mi fean con pieghe
strane
sul lato manco,
da quella parte ov'è annicchiato
il core!...
Poi le perle arrivar, tremule faci,
a lambir
mollemente il suo candore,
come i miei baci.
Ed io gridai: -
Figlie del buio immenso,
scordatevi i mister dell'oceàno;
ciò che davanti alla bellezza io penso
è assai
più arcano! -
Del lungo crin nel labirinto negro,
che
come spugna la luce riceve,
comparve allora un improvviso e
allegro
spruzzo di neve.
Ed io le dissi un mio vecchio
pensiero:
- Questa bianca camelia artificiale,
prima d'essere
un fior forse fu un cero
di funerale.
O fantasìe
dell'ammalato ingegno!
Penso, guardando il tuo largo mantello,
a
quel dei morti gonnellin di legno
fatto a pennello,
gonnellino
di moda eternamente!...
Vanne fanciulla, e oblìa nella
tempesta
delle note e dei salti il mar fremente
nella mia
testa;
l'amor, l'orgoglio oblìa del tuo poeta,
le sue
lotte, i suoi sogni, e le sue pene,
là nelle braccia della
prima creta
che danzi bene! -
Ella era uscita. La lucerna
mia
mi mandava una luce sepolcrale,
fatta di sete e di
malinconia,
sul capezzale.
Ella era uscita. Pari a lungo e
blando
solco d'argento in coda a una barchetta,
l'effluvio suo
mi addormentava, errando
nella stanzetta.
Ella era uscita.
Mi parea sentire
gemere mestamente i contrabbassi,
quasi
vecchioni affannati a seguire
giovani passi.
E gli immensi
sognai lussi di pelle
in cui la faccia scioccamente
prava
ch'hanno gli amici delle donne belle
si specchiava.
Gli
scandagli sognai degli occhi abbietti
fra le celate invan
magnificenze;
i contatti sognai, gli sconci detti,
le
trasparenze!
E una testa di satiro sbucava
fuor dalle pieghe
della mia cortina,
e dondolando e ghignando cantava
questa
quartina :
- All'inferno, marito ; al limbo, amante!
Vieni,
fratello, a stringermi la mano:
il pubblico è il padron di
tutte quante,
è il gran Sultano! ".
Ed io
credetti che spuntasse il giorno;
e il suo fiato sentivo e la sua
faccia,
e, come desto, cercandola intorno
stendea le
braccia...
Ma non stringea che un abito stupendo,
lacero e
vuoto sulla coltre mia,
come il nimbo che un angelo,
cadendo,
perde per via.
18. TENTAZIONI
Vorrei,
fanciulla, esser nel tuo corsetto,
e, come un serpe ai dì
di luglio, in giri
voluttuosi errarti intorno al petto:
errarti
intorno al petto, o bella amica,
ma con gioia pudica;
e non
baciarti, e tener gli occhi chiusi,
sol nei profumi assorto,
per
le tue membra candide diffusi.
Che nebbia fra i comignoli e il
selciato,
che freddo per le strade, e quanti ombrelli!...
Ho
il corpo affranto, e un sigaro appestato:
fumo, fumo, il tuo
stato
somiglia a quello dell'anima mia...
Dall'aria greve
oppresso
tenta invan sollevarsi, e fuggir via!
Povera amica!
di me che ne dici ?
Pazzo non sono, e non sono cattivo;
ti
amai nei dì del pianto e nei felici,
e ti amerò
ancor tanto
di un amor puro e santo...
Ma vi son giorni che il
mio cor vien meno,
e il fango mi conquista.
Prega, prega che
torni il ciel sereno!
Tu non lo sai che l'uomo è anch'esso
un bruto ?
Fuggi, fuggi da me; su questo petto
ti avvinghierei
sprezzando il tuo rifiuto,
e se il preludio dei baci
incomincia
ove finisca ignori!. . . Oh abbassa il velo,
fuggi,
e prega il Signore
che ti sorrida, e rassereni il cielo!
19.
RONDINI
Tacea da quattro aprili il
nidicciuolo
dove, fanciullo, il volo
delle garrule rondini mia
madre
insegnommi ad amare.
Nel sessantuno ritornò dal
mare
solo l'alato padre;
si accovacciava nel nido ogni sera
e
tal sciogliea nell'aria
la canzon solitaria,
che davver
somigliava una preghiera.
Egli piangeva l'amica diletta
sepolta
sulla vetta
di una qualche piramide d'Egitto;
e certo, nel
tragitto
di quell'ottobre, gli mancò la lena,
al pensier
di trovarla disseccata
sulla cocente arena!
Uno stormo però
di rondinelle
vispe, piccine e belle,
quest'anno ancora alla
gronda ospitale
venne a raccoglier l'ale,
seminando un
pispiglio interminato;
del povero annegato
credo saranno i
bamboli innocenti
e i prossimi parenti
che ritornano, orando,
al patrio nido,
per celebrare come meglio ponno
gli antichi
amor del nonno.
20 . NOX
Qui
scrutator est majestatis opprimetur a gloria.
S.
PAOLO.
La luna tonda e placida
in mezzo al ciel veleggia,
sol
qualche muro squallido
di campanil biancheggia,
non batton
fronda i platani
per le deserte vie,
sparse di strane
ombrìe.
Qui il tarlo, occulto e vigile
come le noie
umane,
solo negli alti stipiti
morde il suo vecchio pane;
solo
nelle mie tenebre
cerco il mio pane anch'io,
cerco la fede in
Dio!
E il mesto cuore interrogo
di tante larve amante,
su
tante care imagini
nei dì perduti errante:
il cuore, il
puro oceano
donde a inneggiar sorgea
la giovinetta idea.
E
penso i dolci studii
di quando in mezzo a fiori
credea la mente
avvolgersi
e preparar colori,
di quando ancor
sull'anima
sorridendo volava
l'avemaria dell'ava.
Allora ai
belli esametri,
irti di sacre fole,
la verità
cantavano
le bibliche parole;
allor la bieca Eumenide
salutava,
tremante,
la vergine di Dante.
Oh il padre eterno! il
giudice
calmo, augusto, barbuto!
Il Dio della famiglia
da
bambinel veduto!...
Forse perché era vecchio
e coperto
di rai,
so che davver l'amai!
Ma le trombe di Gerico
tacquero
una mattina:
sparve dal ciel degli angeli
la tinta
porporina,
e innanzi a un muro orribile
torvo piantossi e
altiero
il dubbio, in manto nero.
E da quel dì mi
seguita,
mi seguita indefesso:
da lungi or or guatavami,
mi
sta sul collo adesso;
paziente come un monaco,
furbo come una
strega,
discute, afferma, nega;
e un'acre,
ineluttabile
voluttà di dolore,
e una superbia
indomita
e un fremito d'orrore,
come note di cembalo
che
canta, o stride, o geme,
coll'ugna rea mi spreme.
- O fedeli! o
cattolici!
alme beate e pure,
nel dogma e nel
misterio
dell'avvenir secure!
Turba che ancora, attonito,
mi
arresta per le vie
a udir le litanie,
se, nei tranquilli
vesperi,
da una socchiusa porta
odor d'incenso l'aria
e
cantici mi apporta...
deh, come sposi, o prossimo,
la fede
all'ignoranza,
l'ignoto alla speranza?
Poiché il
dilemma, immobile,
pesa sull'uom dal giorno
che ad un primo
cadavere
si pose il fango intorno;
poiché non altro è
il mistico
sole dell'emisfero
che un luminoso zero!
Dove,
dove migrarono
i popoli pastori,
dove volàr gli spiriti
dei sofi e dei cantori?
Che disse Giove olimpio?
Osiride che
disse?
Che fan le stelle fisse?
Dove svanir le vergini,
e
le pietose donne?
Ove son iti i bamboli
e le povere
nonne?
Mentì il profeta o l'augure,
l'apostolo, o il
bramino?
Chi giunse al Dio divino?
O fedeli, o cattolici,
pura e beata greggia!
Mentre la luna candida
in mezzo al
ciel veleggia,
ti accarezza l'arcangelo
che veglia, accorto e
bello,
le tende d'Israello.
Dormi nei letti tiepidi
o
progenie d'Abele,
e al capezzal ti piovano
sogni di rose e
miele,
né la beata moglie
ti risvegli russando,
né
il queto bimbo urlando.
Dormi: la notte è fertile
di
sante apparizioni,
e nuota in lei più rapido
l'estro
delle canzoni;
io, Beniamini, io veglio
col mio negro
compagno,
io veglio, e non mi lagno.
Poichè il silenzio
è un angelo,
e un sacerdote anch'esso,
e contemplar le
tenebre
è contemplar se stesso,
né son parole
inutili
i sibili e i sussurri
che van pei campi azzurri.
Oh
seguitarli in estasi,
fra stelle e nebulose;
dalla region dei
fulmini
incenerir le cose;
dimenticar le fisime
delle
superbe scuole,
e i pulpiti, e le stole!...
Poi quando stanca è
l'anima,
povera spia del cielo
che fruga, e attende, e
immobile
ha sempre agli occhi il velo,
e quando si
precipita
dal carro di Boote
piangendo, e a mani vuote...
o
fortunate lagrime,
o povertà felice!
Ti sta dell'uomo
libero
il serto alla cervice,
baci un'antica, indomita
fede,
e un immenso Iddio
ti canta in cuor : son Io! -
21.
I RE MAGI
A MIA MADRE
I bei
vegliardi dallo scettro d'oro
che per la neve, sotto il ciel
sereno,
sostar sommessi alla mia porta udìa,
la notte
della santa Epifanìa,
o son morti di freddo, o son malati,
nei paesi del sole,
i bei vegliardi dallo scettro
d'oro!
Quando la mia scarpetta in sul verone
tutta
avvizzita facea la rugiada,
e tu madre, domestica regina,
la
colmavi di doni alla mattina,
io ricciuto avea il crin, candida
l'alma,
e ogni alba che venìa
di giornate regali il don
mi offria.
Un giovin Sire senza scettro d'oro,
ma cui nutrian
d'aromi e terra e cielo,
e una corte di sogni e di
speranze
complimentava fra beate stanze,
era in quei giorni io
stesso:
io che il perduto imper sospiro adesso!
I bei
vegliardi dallo scettro d'oro
che per la neve, sotto il ciel
sereno,
sostar sommessi alla mia porta udìa,
la notte
della santa Epifanìa,
o son morti di freddo o son malati
nei paesi del Sole,
i bei vegliardi dallo scettro d'oro!
22.
L'ANIMA DEL VINO
Cara progenie
del mio bicchiere,
fumi e baldorie,
nebbie e preghiere;
urne
fantastiche
piene di fiori,
piene di musiche,
piene d'amori
;
cara progenie,
donde il volo dolcissimo innalzate?
Urne
fantastiche,
ov'è l'orto gentil che vi ha colmate?
Quando
gorgoglii
nel teschio mio,
o santa origine
del santo
oblio,
come un intingolo
della massaia
quando i
fittabili
tornan dall'aia ;
quando gorgoglii
è tutto
tuo l'ingegno,
o a poco a poco,
come un intingolo,
ti fai
bollente del mio cranio al foco?
Ah, solitario
se tu
lavori,
se non t'aiutano
i miei dolori;
se cacci l'anima
dal
suo canile,
come dal rischio
si caccia un vile;
se,
ubbriacandomi
come un idiota,
conquisto i meriti
di un'arma
vuota,
e posso credermi
una locanda
dove un incognito
vive
e comanda;
ah, solitario
ospite mio color di giglio e rosa,
se
cacci l'anima,
l'anima cieca, e abbietta, e dolorosa;
se,
ubbriacandomi,
mi ribello al destin che me la diede,
e posso
credermi
senza marchio alla fronte, e ceppi al piede...
venga
l'obbrobrio
dell'uomo sobrio,
venga il disprezzo del genere
umano!
venga l'inferno
del padre eterno,
vi scenderò
col mio bicchiere in mano!
23.
VEGLIANDO
Ho un Virgilio sul mio bruno scrittoio
legato
in vecchio cuoio,
che comperai per memoria di viaggio
da un
prete di villaggio;
costui l'avea trovato
frugando in un
convento abbandonato.
Tutto pieno di note è il
volumetto:
qua e là qualche versetto
della Chiesa
all'esametro latino
sposa Sant'Agostino,
e le date monotone
del chiostro
vi serba il giallo inchiostro.
Ond'è che a
notte, leggendo il poeta
nella mia stanza queta,
balzo repente,
e, attonito, perplesso,
parmi di aver lì appresso
il
volto aguzzo e smunto,
e l'alito di un monaco defunto
che,
scappato dal freddo monumento,
sfiorandomi col mento,
evoca da
quei fogli impolverati
i suoi studi passati,
e vi rannoda,
palpitando, i fili
degli anni giovanili.
24.
MONASTERIUM
Io ho
cercato nel mio letto, nelle
notti, colui che l'anima mia ama:
io
l'ho cercato e non l'ho trovato
- Ora mi leverò e andrò
attorno
per la città, per le strade e le
piazze: io
cercherò colui che l'a-
nima mia ama. - Io l'ho cercato
e
non l'ho trovato.
Cantico
dei Cantici.
Quando il mesto tramonto
empie di lunghe
striscie d'oro il cielo
e la campagna di confusi suoni;
quando
la danza del leggiadro stelo,
sommessamente,
dice di aprirsi
al fiorellin notturno,
e la lucciola sente,
al burrichìo
dell'invido insettume,
che la notte fedel le accese il
lume;
quando buccie e bulbilli,
intemerato popolo di
ebrei,
stan la manna a aspettar della rugiada,
sotto le branche
degli scarabei,
sbadigliando;
quando gracchian le rane i
paludosi
epitalami, e quando
sembra, se volto in su l'irta
mascella,
la punta del mio sigaro una stella;
quando gli archi
lombardi
del monastero, con un'aria pia,
par che guatin
l'azzurro, occhiaie smorte,
e della luna la fisonomia;
quando
alle soglie,
che il voto sigillò come una bara,
del
sagrestan la moglie
più non viene, cantando, a porre al
sole
delle bambine sue le camiciuole;
io, reprobo poeta
di
messale sdegnoso e d'ostensorio,
vagando nelle flebili campagne,
passo talor vicino al parlatorio
della clausura :
- Salve,
se vieni in nome del Signore! -
dice una pietra oscura,
e lambe
un lumicin, dietro la grata,
quella gran croce che vi sta
piantata.
Una croce di legno
con un pallido, magro e lungo
Cristo
pinto ad olio da un monaco spagnuolo
di cui l'ossame
nel mortorio ho visto:
il Redentore
pianger di venti secoli ti
sembra
la stanchezza e il dolore,
e insanguinar sul fianco
macilento
le ragnatele che vi scuote il vento.
Ed io siedo a
un gradino
ove devoti innumeri han pregato,
ove ginocchia che
or son fango o fiori
una traccia comune hanno lasciato;
siedo,
e veggo sfilarmi
davanti ad uno ad uno i pellegrini
che
sembrano additarmi
fra loro, e dirsi: oh vedi un giovinetto
che
guarda il Cristo, e non si batte il petto!
Poi ripigliano il volo
colle rigide braccia al cielo alzate,
e i teschi aguzzi che
nell'aria scura
fingono un bosco di piante sfrondate;
essi
volano via,
ma, dai profondi tumuli del chiostro,
cui più
nessun non spia,
escono, forse a bever raggi e venti,
le
melodìe dei postumi lamenti.
A bever venti e raggi,
o ad
inseguir nel nebuloso corso
quei fantasmi nemici al
giovinetto
perché non piega a un monastero il
dorso;
inseguirli, e cantare:
- Quando voi venivate a quel
gradino,
in ginocchio, a pregare
pei vostri figli e per le
vostre spose,
noi morivam dietro le grate esose.
Oh frescura
notturna!
A respirarla uscitene, fanciulle.
Le morte son
sepolte, e uscir non ponno;
per le alcove nasceste e per le
culle,
giovinettine uscite,
chè lo Sposo del ciel non
giunge mai!...
Le son fiabe ordite
dalle badesse, perché
mai nessuna
si rompa il capo alla muraglia bruna! -
Così
parla il silenzio
al mio pensiero. E colle scarne mani
scuoto
la sbarra, e invoco il Cristo, e vedo
ch'egli si allunga in
torcimenti immani
sul legno che l'abbranca,
e sbuffa, e geme,
per toccar la terra...
Ma l'orizzonte imbianca,
e mi caccia pel
gelido cammino
la campana che suona a mattutino.
25.
IMBIANCATURA
Per l'ampia volta querula,
nel coro
intarsiato,
l'orme di cinque secoli
un giorno ha cancellato;
or
tutto è liscio e candido,
e, a quei toni
abbaglianti,
ammiccan gli occhi i santi
e parlano fra lor.
-
Ahimè! - sussurra il martire
che da una nicchia brilla:
-
uno spruzzo acidissimo
mi entrò nella pupilla! -
- Che
freddo! - esclama un vescovo
al muro appiccicato;
- É il
giorno del bucato! -
risponde un confessor.
- Ehi, San
Tommaso! - brontola
dalla base San Luca:
- son ritornati i
barbari?
Povera Italia eunuca!
A chi scrisse la bibbia
guastar
l'appartamento...
o artisti del trecento
piangetene con me!
-
Perchè vi fate, o fossili,
scimmie di Geremia?
è
vero, adesso il tempio
sembra una trattoria;
ma eguali ognor
non furono
i preti ai tempi andati?
Che a profanar sian
nati
strano per noi non è.
O Santi, quando cantano
le
litanie pagate,
o Santi, vendicatevi,
e adosso a lor
cascate:
giù colle vostre clamidi,
giù cogli
scettri d'oro,
gridando in mezzo al coro:
Filiste, Iddio lo
vuol!
E tu, tu cogli il parroco,
calvo domenicano,
solo
sulla tua mensola
con Gesù Cristo in mano;
forse il
beato Angelico
fu un tuo vicin di cella,
forse la tua
facella
lambendo a notte il suol,
di sotto all'uscio
immobile
filtrando un po' d'argento,
ne illuminò le
tavole
piene di firmamento;
forse il tuo canto fievole
sui
sonni suoi volava,
e il vecchierel sognava
madonne in campo
d'or.
E nel devoto secolo
vivere ancor credevi;
qui,
venerata effigie,
antiche aure bevevi;
qui de' tuoi vecchi
monaci,
sulla muraglia bruna,
col raggio della luna
leggevi
i nomi ancor.
Care beltà del tempio!..
Sfumando in
lontananza,
si univan tinte e linee,
quasi fanciulle in
danza;
in fondo in fondo aprivasi
un arco a sesto acuto,
e,
come un detto arguto,
traea le menti a sè.
E vi parean
riflettere
le pallide figure
pinte da ignoti artefici
tra i
fregi e le sculture;
dell'arte primogenite
vive di un soffio
appena,
ma colla faccia piena
d'inenarrabil fè.
Erano
i buoni e memori
testimoni dei morti;
occhi celesti,
estatici
in cima a eccelsi porti,
avean veduti i secoli,
travolti a cavalloni,
cadere in ginocchioni,
pentirsi, e
dileguar.
Te non vedran, mio secolo,
te che empiamente pio
fai
spose allo sbadiglio
le insulse preci a Dio;
te senza l'ire
intrepide
dei saggi iconaclasti,
senza un amor che basti
a
darti un altro altar!
Ma il non lontano postero
ripercorrendo
il sito
da tuoi pittori ipocriti
già di bugie vestito,
ripenserà la gloria
dei poveri defunti,
e i bei
profili smunti
a liberar verrà.
E l'armonia degli
organi,
e il fumo degli incensi
non alzerà quel
libero
sotto i sereni immensi;
del bello eterno apostolo,
prete
della natura,
egli la fede impura
tinta di bianco avrà!
26.
DAMA ELEGANTE
Quella superba sua faccia serena
passar
la vidi tra la folla oscena,
e vidi gli occhi della folla
ardenti
sprofondarsi ne' suoi,
come attoniti e opachi occhi di
buoi.
Mordea la folla collo sguardo muto
le nudità di
latte e di velluto,
e correa, dietro i vaghi ondeggiamenti
del
morbido corsetto,
i profili del largo, augusto petto.
E
allor pensai che poiché brilla il sole
sulle paludi e sulle
verdi aiuole,
irradiar poteva in una festa
la pura faccia di
una donna onesta!
Ma, seguendo il suo strascico di seta,
il
mio cor sospirava: - O bella creta,
va', domanda alla Venere di
Milo
la lista dei cretini
che vide immoti a' suoi piedi
divini!...
E sentirai dalla vetusta dea
come la forma
strangoli l'idea,
come al vergine altar della bellezza
sorga
stolto e profano
il basso incenso dell'ossequio umano!
O bella
creta passa nella festa
poiché sei tanto bella e tanto
mesta,
in mezzo all'orgia delle voglie, illesa;
passa candida e
altera e non compresa!
Adorino il tuo riso incantatore,
agognino
al tuo fiato e al tuo pallore,
bevan l'abisso delle tue
pupille,
e l'aurora che vola
dalle tue labbra colla tua
parola...
Sarà l'inno del verme all'infinito,
sarà
il ringhio che simula il ruggito,
non sarà la bestemmia e
la canzone
che merita la donna,
quando è l'angelo, il
santo e la madonna!
E tu non sei del mondo, o bella creta,
no,
del mondo non sei, nè del poeta;
nè del poeta, o
stella passeggiera,
nè del marito che ti abbranca a sera!
-
Febbraio 1864.
27.
DAMA ELEGANTE
La caravana dei desiri miei
verso
di voi salìa, donna divina,
come una fila di camelli
ebrei
al limitar di mistica piscina.
Oh se giungeva ad attaccar
la briglia
alle fossette delle vostre spalle,
la noia, il
condottier della famiglia,
si dipingea di ciel le guancie
gialle!
Giacchè, marchesa, voi siete un inganno,
siete
una larva dei secoli vieti,
e certo ancor nell'anima vi stanno
le
carezze dei numi e dei poeti.
Siete risorta da una tomba
argiva
per rinnegar coi vergini splendori
le belle inferme
dell'età lasciva,
e le viltà dei nostri flosci
amori!
Deh, spargete la spiga e la verbena
nel folto crine che
vi bacia il viso;
deh, non negate alla mutata scena
i
firmamenti del vostro sorriso!
Ché saran santi sorriso e
corona,
fosse del volgo sterminato in mezzo,
s'anco una sola
anima mesta e buona
divinizza l'amore al vostro olezzo!
28.
DAMA ELEGANTE
O bella
donna di latte e di rosa,
donna sdegnosa,
m'han raccontato che
nessun ti agguaglia
nella battaglia ;
che hai di ferro le
braccia, e che il tuo petto
è un corsaletto
dei vecchi
dì colla malìa nascosa;
o bella donna di latte e di
rosa.
O bella donna che sembri uno stelo
mietuto in
cielo,
m'han raccontato che di molti amanti,
nei camposanti,
tu
puoi legger la lapide forbita,
che uscir di vita
sotto le spire
del tuo corpo anelo;
o bella donna che sembri uno stelo.
O
donna piena di gioie e di luci,
se tu conduci
al cimitero, il
cimitero è bello
come un gioiello:
se per te rode il
verme è un usignuolo,
ed il lenzuolo
è porpora
regal se tu lo cuci,
o donna piena di gioie e di luci!
O donna
piena di delicatezze,
le tue bellezze
fan sognare a migliaia i
giovinetti
su cui proietti,
passando, un occhio d'angelo e di
sfinge,
occhio che pinge
e monti e mari d'inudite ebbrezze!
O
donna piena di delicatezze,
o donna fortunata ed infelice,
e a
me non dice,
a me quell'occhio non dice l'amore,
dice il
dolore;
il dolore dell'angelo esiliato,
e condannato
a subir
la materia peccatrice!
O donna fortunata ed infelice,
se v'ha
nume che ascolta, e se tu preghi,
egli non nieghi
questa
dolcezza alla mia musa altera:
deh, la preghiera
aspettata per
schiudermi il sorriso
del paradiso
dal tuo mistico labbro il
vol dispieghi,
se v'ha nume che ascolta, e se tu preghi!
Vous en
parlez du moins, vous n'étes pas publiques!
A. DE
MUSSET, Rolla.
29.
DAMA ELEGANTE
Costei, la bionda dagli occhi
procaci,
costei, la bella
che ha fralezze di fior, raggi di
stella,
io la vorrei
compagna e schiava dei dolori miei.
Vorrei
darle la mia sete di baci
non noti al mondo;
come un aratro sul
suo sen giocondo
vorrei passare,
e nell'ansia vederla
agonizzare.
E poi narrarle la immensa amarezza
dei disinganni
;
dirle la noia che precede gli anni;
dirle che Iddio
ci ha
fatti al sogno, all'estasi e all'oblio!
Questo vorrei, perché
la sua bellezza
troppo divina
sentisse un po' la mota e la
pruìna;
questo vorrei
per far men gaia e pallida costei.
30.
MARZO
De mémoire de rose on n'a jamais
vu
mourir de jardinier.
STENDHAL.
Sull'infanzia
dei germi e delle fronde
il marzo sbuffa; alle ospitali
gronde,
alle tiepide tane
fa ogni sbuffo assassino
delle
speranze dell'april bottino,
e alle rive lontane
caccia un
popol di morti e di feriti.
Son sibili e garriti
e fischiate
fesse:
fin le tegole anch'esse,
forse per l'abitudine dei
nidi,
si credon rondinelle e volan via.
Fra le spighe gli steli
e gli arboretti
è un lottar di equilibrio e di scambietti
per non schiantarsi, agli schiaffi potenti
opponendo gli
inchini e i complimenti.
E una lepida quercia a una rugosa
sua
vicina dicea: - Monna Ghiandosa,
rammentate il seicento?
Fu in
maggio, se non erro,
di quell'annata, la maggior tempesta.
Un
mio ganzo, un bel cerro,
asfissiato morì nel turbinìo,
e
noi, bontà di Dio!
siam vive e sane, e brille
toccheremo
il duemille! -
E che pensava il fiorellin divelto
udendo il
cicalìo della vegliarda?
Egli che all'alba ancor non era
nato
morir canuto a sera avea sperato...
nel fango invece a
mezzodì giacea,
e dolorando l'anima rendea.
31.
SERAPHINA
Vous ne la plaignez pas, vous, mères
de familles
qui poussez les verrous aux portes de vos filles,
et
cachez un amant sous le lit de l'époux!
Vos amours sont
dorés, vivants et poétiques ;
É
morta. O affascinati adolescenti
che in agguato io vedea sulla sua
porta
filar la tela delle voglie ardenti,
piangete meco:
Serafina è morta.
Morta: l'amante dell'ultima notte
n'ebbe
gli amplessi coll'odor del tifo,
e, uscendo all'alba, avea
coll'ossa rotte
gli occhi di voluttà pieni e di
schifo.
Voi non credete che possan morire
le belle donne, o
poveri fanciulli?
Ma gli è dono degli angeli svanire,
e
l'infrangersi appunto è dei trastulli.
Non credete che il
suo corpo divino
sia chiuso adesso fra quattro assicciuole?
I
preti gli parlarono in latino
girando intorno colle negre
stole.
Come due remi a un naufrago legati
le stan distese e
immobili le braccia;
errano i vermi ciechi e spensierati
sul
bianco seno e sulla bianca faccia.
E le cascan le palpebre in
frantumi
come imposte di casa inabitata;
quella chioma di raggi
e di profumi
l'hanno gli eredi a un creditor lasciata.
Cerchiam
nei balli, e la vedremo ancora
la lunga chioma dalla negra
tinta:
forse vi intreccia mammole a quest'ora
qualche beltà
nel gineceo discinta.
Ed io che le avea fatto una canzone
alla
povera morta, appena, appena!
Era la lista delle cose
buone
ch'ella offria nella sua stanza serena.
E: - Inchiodala
sull'uscio - io le avea detto,
un sigaro fumando in santa pace:
-
inchiodala sull'uscio, è il tuo brevetto,
il miglior
dei blasoni, e il più verace ".
E la canzon dicea : "
Libero ingresso!
Si dan lezioni di teologia;
qui dalla bocca di
un maestro istesso
parlan del cielo amore e poesia.
Lasciate
la memoria e la speranza,
lasciatele qui fuori ad aspettare;
si
gridi al mondo, entrando in questa stanza,
dolce pianeta seguita a
rotare;
seguita pure, o docile pianeta;
quando nell'aria a
faccia a faccia sono
i secoli di noia e l'ora lieta,
volando si
ricambiano il perdono.
Seguita, va'! Figli d'Adamo, avanti,
che
già la noia è al limitar rimasa;
(non badate alle
imagini dei Santi,
son della vecchia che affittò la
casa).
No, il paradiso una stupida cosa,
non è qui
dentro, nè di talpe un sogno;
è un'alcova pulita e
silenziosa,
è il delirio, è l'oblìo d'ogni
bisogno;
d'ogni bisogno, d'ogni legge umana,
di tutti i gioghi
alla carne inossati;
è la palma ove bee la carovana
dei
desiderii oscuri e sterminati;
è il sacro Ver per cui
l'idea s'inciela,
è la Materia, la divina antica,
l'eterna
maga che beando svela
i segreti del mare e della spica.
É
la piscina, e non è sugellata,
è il nettare che i
numi han preferito,
è la fé d'ogni razza e d'ogni
data,
è la vita, è la morte, è
l'Infinito!
Così dicea la mia canzon verace,
e mi
sovvien che mi fornian le rime
un sigaro fumato in santa pace,
e
il bel profilo di due spalle opime.
Due spalle opime, due spalle
di sasso,
fatte per camminarvi a suon di tube:
e avean tutti i
sapor dell'ananasso,
tutti i sorrisi di una guancia
impube!
Domandate a quest'ugne, a questi denti
come si vinca
Minerva guerriera,
domandate alle mie viscere ardenti
come
bacin la tigre e la pantera!
E come è dolce l'armonia
d'un fiato
che perdè la misura, e non la trova,
mentre
il pensier, tra sveglio e addormentato,
vaghe fila congiunge, e il
ciel rinnova;
mentre in un mar di scompigliate chiome,
soavemente
ondeggi e senza sosta,
come un visir sul suo camello, o come
un
baronetto che viaggia in posta!
Voi non credete che possan
morire
le belle donne, o poveri fanciulli?
Ma gli è
dono degli angeli svanire,
e l'infrangersi appunto è dei
trastulli.
Non credete che il suo corpo divino
sia chiuso
adesso fra quattro assicciuole?
I preti gli parlarono in latino
girando intorno colle negre stole.
E stanotte sognai ch'io la
vedea
come aspettata entrar nel paradiso,
e Cristo in mezzo
alla tribù giudea,
di arcana voluttà rorido il
viso,
le aprìa le braccia, e sospirava: - É
giunta
un'altra bella! vieni, o fortunata,
o giovinetta
nell'amor defunta,
è tua la volta immensa e
costellata!
Vieni, fanciulla, di palor soffusa,
vieni
all'amplesso dell'eterna ebbrezza! -
Ed ella rispondea tutta
confusa:
- Vuoi ch'io ti doni un bacio, o una carezza ? ".
Gennaio
186...
32. A UN FETO
Respondit
Jesus : Neque hic peccavit, neque parentes ejus;
sed ut
manifestentur opera Dei in illo.
S. Joan. IX. 3.
Là
nel Museo, fra i poveri
avanzi imbalsamati
che all'ospedal dal
medico
a lungo corteggiati,
e agli abbietti cadaveri
rapiti
ed alla croce,
la scienza feroce
ai posteri serbò;
fra
il torso di un ginnastico
e una mesta vetrina
dove la mano
infusero
di un'etica bambina,
vidi una cosa orribile
vidi di
un uomo il feto;
quella tomba d'aceto
un canto mi cercò.
Era
un bel dì di luglio;
dagli ampii finestroni
piovean
cadenze e balsami
di fiori e di canzoni;
brillavano le
mummie
nelle corteccie frolle,
e dalle vecchie ampolle
frangea
scintille il sol.
Il sol che le miriadi
dei vermi e degli
insetti,
già, nell'orto botanico,
scalda ai fecondi
affetti,
e in un bacio affamiglia
il ciel, lo stagno, il sasso,
e il giovin granchio al passo
aiuta, e il nibbio al vol.
Il
sol che vide al placido
balcone una fanciulla
che, curva fra i
garofani,
preparava una culla;
e il più gentil
battesimo
avea cercato ai santi,
e quattro labbra amanti
lo
sussurravan già!...
Oh dell'alcova fascini
dove un
bimbo è aspettato!
Oh pregustati palpiti
dell'istante
affrettato!..
Nacque ?...morì ?... vergarono
una
scritta latina,
chiusero una vetrina...
il resto Iddio lo
sa!
Egli che accozza i mistici
metri degli universi,
egli
che fa degli uomini
i suoi superbi versi,
egli vi mesce
sillabe
mute, e sdegna la lima?
Incespica a una rima
chi il
mondo improvvisò?
Eccoti, o laido sgorbio
del poeta
celeste!
Dalla tua fiala il dubbio
sbuffa le sue tempeste;
gramo corpuccio viscido,
tappato in sempiterno,
tu miagoli
lo scherno
che il Caso all'uom creò!
- Vieni, o lettor
dei codici,
sù, la sentenza grida;
inchioda a' tuoi
paragrafi
la mano infanticida!
Tu accusi chi un cadavere
fuor
dal recinto pose,
che tuoni a chi l'ascose
di una fanciulla in
sen?
Areopagista miope,
svesti la toga nera;
dà il
braccio a questa povera
mia Musa passeggiera,
e, tu canuto e
burbero,
noi mesti e giovinetti,
oltrepassiamo i
tetti,
chiediamone al seren!
Ei ti dirà che
brillano
gli astri, che l'aura è pura,
che raggi il sol
diluvia,
che immensa è la natura;
che è scintille
la polvere
scossa dal nostro piede,
e che talor si
vede
qualche fiammella errar;
ei ti dirà che
l'ebete
mondo gli appar giulivo,
che ha sulla faccia
immobile
un punto ammirativo:
che i nostri mar son lucidi,
le
nostre case bianche,
e che dell'ali stanche
eterno è il
sibilar!
E allora udrai la pallida
compagna a singhiozzare,
e
sentirai sull'anima
le tenebre piombare,
e noi dei versi
apostoli,
tu della scienza duce,
nella beata luce
barcolleremo
insiem!
E chiederem l'Ippocrate
che insanguinò le
mani,
palpando nelle viscere
i patimenti umani;
e ascolterem
vocaboli
di desinenza achea,
e la superna Idea
al fango
aggiogherem.
Saprai che, da quest'orride
burle della
natura,
tutto un sistema eressero,
tutta una legge oscura;
che
multiformi eserciti
di mostri in lunghe serie
espongono
miserie
al prossimo che vien.
E ha già segnato il
numero
il povero bambino,
e un bel nome scientifico,
e il
cippo cristallino,
prima ancor che sul lugubre
letto la madre
frema,
e che nell'ansia estrema
se ne insudici il sen.
Ed
ecco un incolpevole
bimbo che il capo ha tronco,
e inonorati
Scevola
dall'esil braccio monco,
ed orbi crani, e faccie
cui
sul lercio tessuto
del pianto di un minuto
l'orme nessun
lavò.
Questo, ironia satanica,
due cuori ha chiusi in
petto,
e accanto a lui, crisalide
di non terreno affetto,
un
corpicin di femmina,
stipato di mammelle,
perde la lunga
pelle
che l'acido succhiò.
Guarda: son due putredini
ed
eran due gemelli,
concetti insieme al gaudio
di chiamarsi
fratelli;
guarda: un orrendo bacio
nell'almo sen li strinse,
e
colla morte avvinse
gli sventurati amor...
Madri che avete un
pargolo
gaio, ricciuto e bello,
gli anatemi frenatemi
del
cuore e del cervello;
per chi ha pianto d'angoscia,
per chi di
gioia ha pianto,
l'orribile mio canto
posso mutare ancor...
Era
un bel dì di luglio;
dagli ampii finestroni
piovean
cadenze e balsami
di fiori e di canzoni;
brillavano le mummie
nelle corteccie frolle,
e dalle vecchie ampolle
frangea
scintille il sol.
Come una freccia argentea,
dalla mesta
vetrina,
la man sottile e candida
dell'etica bambina
parea
segnar nell'aria
qualche invisibil cosa:
spirti color di rosa,
ali spiegate al vol!
33.
ALLA POVERELLA DELLA CHIESA
Elemosina a lei, la
poverella
che un dì fu bionda, giovinetta e bella.
Fulgida,
allor, le garrule barriere
correvi in caccia di pupille
nere,
questuando il sorriso e la carezza
benedicendo i cenci e
l'allegrezza...
E forse ancora qualche vecchio amico,
dalla
febbre e l'età fatto pudico,
ti getta il soldo fra le
vecchie coscie,
ed entra in chiesa, e non ti riconosce!
Elemosina
a lei che, a mane e a sera,
vaga in sogni di fame e di
preghiera.
Come gli affreschi rosi e scolorati,
come i fior che
i devoti han condannati
a intisichir di noia e di fetore
fra le
candele dell'altar maggiore;
come tutto che langue, o manca o
fugge,
tutto che il tempo invola, e l'uom distrugge,
o vecchia
cieca tu sei sacra e buona,
e ben giri quaggiù la tua
corona.
Elemosina a lei che a mane e a sera
vaga in sogni di
fame e di preghiera.
Chi, contemplando i mistici destini,
ama
gli astri del ciel nei fiorellini;
chi sente, al mar dei secoli
curvato,
l'avvenir ricongiungersi al passato;
chi abbandona,
oltre il mondo, il crocefisso,
non entra in chiesa, ma ti guarda
fisso,
e l'ignoto Signor nel tuo lo vede
occhio pieno di morte,
e pien di fede.
Elemosina a lei, la poverella
che un dì
fu bionda, giovinetta e bella.
34. A
VITTOR HUGO
Lorsqu'elle me disait: " Mon père
",
tout mon coeur s'écriait: " Mon Dieu! ".
Per le fuggenti voluttà dell'anima,
per
questa lotta acerba,
per l'Ideal che inseguo, e per le lagrime
che
Iddio mi serba;
o giovinezza che già muti nome
una pura
armonia spirami ancora,
un inno alato;
pria che il verno dal
cor salga alle chiome,
prima che tutta la mia bionda
aurora,
m'abbia lasciato!
Dammi per poco ancora la vaga
aureola
che han presa i disinganni;
il coraggio, la fede, e le
vertigini
de' miei vent'anni!
Fammi ancor bello, fammi ancora
buono,
come nei lieti dì che il cor sbucciava
dai primi
versi;
toglili al buio ove sepolti sono,
e un inno sol
redimerà la ignava
vita che persi!
Inno, inno santo, e
varcherai l'oceano!
L'amor che ti conduce
guida dritti gli
augelli alle piramidi;
è amor di luce!
Vola allo scoglio
ove l'Eterno innonda
di tempeste, di azzurri, e di visioni
l'uom
dell'esiglio ;
e nel nimbo fatal che lo circonda
l'affetto
immenso, e la pietà deponi
di un altro figlio!
Sarà
il canto di un cieco, e sarà l'obolo
di un mesto
poverello;
d'un che assetato vuol lasciare all'oasi
il suo
fardello;
ma, come al cenno di un amante antico,
l'uom
dell'esiglio, il chèrubo, il profeta,
il patriarca,
si
farà incontro al pellegrino amico;
a lui che ignoto e
trepido poeta
orando sbarca.
Noi gli direm: siam nati ove
trescavano
i despoti stranieri;
e ci sentimmo intemerati e
liberi
ne' tuoi pensieri!
Noi gli diremo: abbiam sognato tanto,
cittadini del mondo, e al dubbio infitti
dell'avvenire
;
abbiam veduto agli alleluia accanto
gli infiniti sospir dei
derelitti
a Dio salire;
e una canzone di speranze impavide
ci
ha volti al firmamento;
e chi ci guida ancora in mezzo ai
triboli
è il tuo concento!
Noi gli diremo: additaci la
pietra
ove la bella tua defunta giace
presso lo sposo;
cui,
nell'insonnia, sulla casta cetra
delirando, il tuo sacro invoca
pace
genio pensoso!
Deh quella pietra, quella pietra
additaci,
padre di tutti noi!..
Per le croci comuni e la
memoria
dei baci suoi!
Noi vi porremo un fior che non ha
nome
fra quanti il cimitero ha vagheggiato;
candido fiore
tolto
all'allòr delle tue bianche chiome,
del nostro pianto
asperso, e profumato
sul nostro cuore!
Inno, inno mio, vola per
l'ampio oceano!
L'amor che ti conduce
guida dritti gli augelli
alle piramidi;
è amor di luce!
DOMUS-MUNDUS
I
Tentanda
via est.
La bella mano gli posò sul
crine
e disse: - Io vedo il tuo serto di spine,
e sento l'onda
che hai qui dentro ascosa,
o mio dolce poeta, e son gelosa!
Son
gelosa de' tuoi vaghi dolori
delle tue belle vendemmie di
fiori,
sono gelosa della fantasia
che ti dilunga dalla soglia
mia. . .
Oh dimmi i fantasimi
che sogni nei cieli ;
se
posso, cingendomi
di candidi veli,
se posso evocarli,
se
posso imitarli!
Qual fu stanotte, quando tu vegliavi,
la dea
che del tuo canto incoronavi?
Ah dimmi che fu larva antica e
bruna,
o mammola di monte, o fil di luna,
o vecchio frate, o
bambolo ricciuto,
o cadavere, o uccello in mar veduto,
ah
dimmi, dimmi che nel ciel dimora.
e che tu te 'n dimentichi
all'aurora!
Non vedi? son pallida,
son tacita anch'io;
perché,
quando a vespero
favello con Dio
mi guardi nel viso
col
mesto sorriso?
Io m'affiso lassù, tu in basso guati;
io
mi faccio gentil, tu ti fai strano...
oh dove, dove sono i dì
volati,
i dì che insieme viaggiavam lontano?
Era in riva
del mar, nel paesetto,
in mezzo ai boschi...mi ricordo
ancora!
Quanta speranza ti cantava in petto,
come ridendo
correvamo allora!
Davanti alle placide
chiesette del
monte,
allora, rammentati,
chinavi la fronte;
quei buoni
curati
li hai tutti scordati?
Pensa ai bimbi del lido, ai
ritornelli
che col vento venian dai navicelli;
e mi dicevi,
seduti all'ombrìa,
l'universo è giocondo, e tu sei
mia!
Io sospirava : amo, confido e credo ;
il futuro lo sento,
il Dio lo vedo!...
O puri affetti, o rime pensierose
di
farfallucce, di baci, e di rose!
Il nido facciamolo,
dicevi, o
ben mio,
coi fili di paglia
che piacciono a Dio;
coi raggi,
coi fiori,
coi versi e gli amori!
Oblìa gli amici che
han lo scherno in viso;
non è un mar di amicizia il mio
sorriso?
Oblìa, poeta, il mondo, e il cielo oblìa;
la
cattedrale è la stanzuccia mia!
Qui la pace, la fede e
l'esultanza,
e qui l'asilo d'ogni tua speranza!
Porgi a' miei
baci questo cuor che geme,
chiudiam le imposte, e addormentiamci
insieme!
II
Calava
il sole e la notte salìa.
Piovevano con quelle
parole, e
colle stelle,
goccie d'amore e di malinconia;
calava il sole e
la notte salìa.
Egli guardava attonito,
triste, cogli
occhi immoti,
l'universale accendersi
dei continenti
ignoti;
egli sognava, o limpido
raggio, o profondo velo!
la
vastità del cielo,
e della donna il cor.
. . . . . . .
. . . . .
Perché, cretino e splendido
mondo dei
Filistei,
sotto l'arcano incendio
fremevi, e intorno a lei?
Perché prigione è l'anima,
prigione
eternamente,
dell'orror tuo ridente,
del tuo feroce
amor?
Cantate, o antiche vittime,
cantate, o giovinetti,
arche
di lunghe lagrime,
nidi di brevi affetti;
cantate ai buoni
spiriti
qualche preghiera nuova
che il vecchio giogo smova
e
che redima il vol!
Guardate: è l'uom che sanguina
da una
terribil piaga;
è l'uom cui l'astro suscita
e cui la
mota indraga;
è l'uom cui l'irco secolo
disse: - Per me
lavora,
per me contempla, esplora
il vuoto, il buio, il
sol!
Cercami il Dio; risuscita
qualche gagliarda fede,
per
chi empiamente dubita
per chi vilmente crede;
abbatti,
uccidi, interroga
i morti e le rovine,
cingimi, o bardo, al
crine
l'irrevocato allòr! -
Egli lasciò le
facili
gioie, le soglie care.
E lo venian dal placido
suo
tempio a scongiurare
le dee della famiglia,
le sue dilette
glorie,
cinte di pie memorie,
belle di noti fior...
Tacque,
partì. Fu l'angelo
fu il demone, fu il bruto?
Fu il
precursor, l'apostolo,
l'uomo dall'uom voluto?
Per la profonda
tenebra
che disse al torvo Urano?
Che tolse al foco arcano
che
strepita lassù?
Cantate, o antiche vittime,
cantate, o
giovinetti,
arche di lunghe lagrime,
nidi di brevi affetti;
cantate ai buoni spiriti
qualche preghiera nuova,
e il
vecchio giogo smova
che ceppo al bardo fu...
Pregate - il bardo
sanguina,
ma, se nell'alto sale,
dalla cruenta pioggia
che
gli cadrà dall'ale,
germoglieranno i mistici
orti
dell'avvenire!
Pregate - ei dee soffrire,
sciogliere il volo
ancor!
. . . . . . . . . . .
Egli guardava attonito,
triste,
cogli occhi immoti,
l'universale accendersi
dei continenti
ignoti.
Egli sognava, o limpido
raggio, o profondo velo!
la
vastità del cielo
e della donna il cor.
Calava il sole e
la notte salìa.
Piovevano con quelle
parole, e colle
stelle,
goccie d'amore e di malinconia;
calava il sole e la
notte salìa.
III
Ed ella a
lui: - Fuggiam da queste bolge
alla nostra pendice;
sotto il
verde e l'azzurro il tempo volge
lento e felice.
Avrai l'aperto
della tua pianura,
benedetta da Dio;
avrai le rime e i fior
della natura,
e l'amor mio.
Io so trovarli i mesti
sentieruoli
pieni di caprifoglio,
e in un bosco ben noto agli
usignuoli
condur ti voglio.
Ti innonderò di mammole il
lettuccio
ai dì di primavera;
e leverò, se vuoi,
dal suo cantuccio
la croce nera.
Quella che, mi sovvien,
spesso hai guardato
come si guarda un morto,
non già
coll'occhio di chi pensi al fato
di un Dio risorto!
Povera
croce!... e ne torrò, se vuoi,
i lunghi affetti e i
voti,
appesi insieme un di da tutti noi,
bimbi devoti!
E
verrò teco, in mezzo alla campagna,
a semplice
orazione;
sull'ara ove sacrifica e si lagna
la
creazione.
Crederò, se tu credi, a questo Iddio
senz'occhi
e senza trono;
se ti piace e ti serba al tetto mio,
anch'esso
è buono!
Ma lascia al fango e all'odio il mondo triste
e
gli uomini perversi;
e se sospiri ancor sante conquiste
di
santi versi,
deh, ripulisci all'amore il gioiello
della tua
dolce vita,
deh, mesci il genio del poeta a quello
dell'eremita!
-
IV
L'hai
tu veduto, pensierosa luna,
l'hai tu veduto il suo bacio
all'amica?...
Sorgevi appunto allor, per l'aura bruna,
in un
manto di fosforo e di mica.
Qualche nube raminga attraversava
l'immenso buio, e, zanzara celeste,
entro l'orbita tua si
avvoltolava,
per arder l'ali luminose e leste.
Caldo era il
vento e fulgida la sera;
volghi e campane avean finito il coro,
e nei vasi di fior della ringhiera
s'udian le foglie
bisbigliar tra loro.
Sacra natura, nella tua dolcezza
chi mai
le sventurate anime arresta?..
Il poeta languìa per
l'amarezza,
come un uom che morisse in una festa.
V
Pel
ragno sospeso
tra fila d'argento
i baci del zefiro
son
sbuffi di vento.
A1 verme indifeso
togliete la fede
che il
fango non l'odia
che l'astro lo vede;
e il verme
s'arresta,
ripensa il cammino,
le scarpe degli uomini,
la
neve, lo spino...
L'allegra foresta,
l'aiuola s'infosca,
e
il verme le semina
di bava che attosca.
Pel ragno sospeso
tra
fila d'argento
i baci del zefiro
son sbuffi di vento.
VI
Quella
notte davanti agli specchi
della casa un fantasma passò;
e
ai ritratti dei poveri vecchi
alzò il pugno, e gemendo
parlò:
- Siete teschi, laggiù in cimitero,
genitori
del mio genitor;
dadi orrendi del giuoco Mistero,
da Dio colmi
di sterpi e di orror.
Siete teschi, e nessun più vi dice:
"
Fingi, ridi, pensaso buffon!
La moneta dell'uomo infelice
non
ha corso, nè luce, nè suon! " -
Gote mie cui
non seppero i baci
mascherar del sol velo sincer,
quando a
braccio di donne fugaci
correvamo i perduti sentier!. . .
Poichè
porvi non vale alla mostra,
come due palinsesti d'amor;
e pur
leggervi il volgo la giostra
combattuta dai mille dolor;
poiché
al volgo narrarle non lice
le vittorie dell'aspra tenzon;
e il
quattrino dell'uomo infelice
non ha corso, nè luce, nè
suon...
Oh cadete, mie pallide gote,
e sull'ossa lasciate
impietrir
l'onestà delle sfingi, le immote
che al
deserto non ponno mentir!
VII
Come
un mortale anelava il fuggente
globo di Venere;
e le montagne
sotto il dì nascente
parean di cenere.
Era l'ora del
sonno, e del dolore,
e dei patiboli;
l'ora che il frate le
celle, e l'amore
lascia i postriboli.
L'ora che, errando per la
fredda chiesa,
sbadiglia il chierico;
e la matrona si dibatte,
appesa
a un sogno isterico.
Dalle cantine stridevano i
galli
col canto rauco;
e le lanterne erano sgorbii gialli
sul
cielo glauco.
Qualche tempio qua e là si dipingeva
di
negre spoglie;
e il pispiglio dei passeri sorgeva
fuor dalle
foglie.
Ed era un altro dì fra i dì già
sorti
e scesi al tumulo;
un altro giorno che dei giorni
morti
correva al cumulo.
VIII
Vidi
schifose diventar le belle,
e vidi i buoni diventar cattivi;
vidi
col minio all'anima e alla pelle,
i casti santi e gli angeli
lascivi.
E maledissi gli angeli
per me, per tutti gli infelici,
a cui
avvelenò la giovinetta vita
il contemplarli, e la
manìa precoce
delle parole dette a bassa voce.
E in
mezzo ai santi, candido
di fedi e di speranze il giglio
fui;
foglia a foglia mi han l'anima spartita...
Ma una perla
trovâr fra le mie spoglie,
quella è la perla che
nessun mi toglie.
Perla ove splende un'iride celeste:
un
sorriso di donna amante e bella,
il crin di un bimbo, e le
pupille meste
della mia madre, e della mia sorella.
IX
Un
dì due chèrubi
in un essere sol vestir la
creta;
quel dì fra gli uomini
giunse a esultare e a
piangere il poeta.
Uno era lamia
conscia dei mali che l'Adamo
indura;
e l'altro silfide
educata ai pudor della natura.
Son
mille secoli
che i due chèrubi insiem corron la terra,
fra
rose e triboli,
in amistà perenne e eterna guerra.
Son
mille secoli
che si innalzan le braccia al Nume ignoto,
né
mai si svincola
l'amor del cielo dall'amor del loto.
X
-
Qual fu stanotte, quando tu vegliavi,
la dea che del tuo canto
incoronavi?
Ah dimmi, dimmi che nel ciel dimora,
e che tu te
'n dimentichi all'aurora! -
XI
Di
tutte le notti fu il lungo lavoro,
la dea che mi segue da sera a
mattin;
amica, due chèrubi parlaron fra loro,
per
fosco, per duro, per dolce cammin.
Amica vo' dirti la nenia
segreta,
vo' dirti il colloquio che agli astri volò;
fur
molte, fur vaghe le idee del poeta,
ma questa, o mia bella, sol
questa ne so!
XII
-
Galoppa, farnetica,
bestemmia, sospira,
col sogno, coll'orgia,
col dubbio, coll'ira ;
nel fango, nell'aria,
sui letti del
mondo,
sul capo profondo
del Bello e del Ver!...
Avviva i
fantasimi
che vivono un'ora,
le amiche dell'anima
che un
soffio scolora;
ti gonfia di orgoglio,
vigliacco
diventa,
tormenta - addormenta
l'illuso pensier!. .
.
Fratello, sul tumulo
sei dunque arrivato;
adesso
raccontami l'immenso passato ;
ricordi il tuo viaggio?
Le rive
dilette,
le vette - le strette
battute dal cor?
Lo spettro
novissimo
spalanca la bocca;
fratello, raccontami
se il
vaso trabocca;
la tomba è una pallida
cui l'oro non
monta;
fratello, racconta,
l'affronta senz'or! -
- Son muto,
son gelido,
scordai la mia vita;
è nebbia, è
caligine
la landa infinita;
fratello, inginocchiati,
degli
angeli è l'ora;
le guance mi sfiora
l'aurora del
ciel...
Son tre che mi accostano,
son tre che rammento;
son
dessi che riedono nel sacro momento...
Son dessi - un bel pargolo,
la madre pensosa,
la povera sposa
che bacia l'anel! -
MEZZENOTTI
35.
DOLOR DI DENTI
Nelle
eterne solitudini
ride il sole come un pazzo,
e le fervide
risate
son di raggi immense ondate;
per le selve e i
precipizi,
lungo i solchi e nelle ville,
tutto è fremiti
e scintille,
tutto è palpiti e splendor.
Musa mia, tu
se' una mummia,
nel mio cranio, orsù, ti sdraia;
tavolozza,
si sbadiglia?
come un feretro sei gaia!...
in un dente che
somiglia
a una torre rovinata,
ho una danza forsennata
di
stranissimi dolor.
Queste spiagge solitarie
ti rammenti, o
giovinetto,
quando, in mezzo a donne care,
in quel dì
del primo affetto,
le venimmo a visitare?
Qui la pioggia allor
ne colse,
e al villagio ci travolse
colla nostra ilarità.
E
le madri rampognarono
i ragazzi scapestrati!...
Ma a un bel
fuoco i piccioletti
piedi e gli abiti asciugati,
in attesa dei
confetti
ci ponemmo a desinare;
era il giorno del compare,
un
bel giorno in verità!
Dio! d'argento son le nuvole...
Io
non l'ho sul mio pennello;
come brilla la campagna,
come è
buio il mio cervello!
Questo dente che si lagna
il mio fango mi
rammenta,
par che gridi: - T'addormenta,
verme putrido
d'amor!-
Nelle eterne solitudini
ride il sole come un pazzo,
e
le fervide risate
son di raggi immense ondate:
per le selve e i
precipizi,
lungo i solchi e nelle ville,
tutto è fremiti
e scintille,
tutto è palpiti e splendor.
36
.OTTOBRE
Un lenzuolo di nebbia avvolge il
cielo,
e la pioggia minuta e lenta cade;
le colline lontane han
messo il velo,
e di fango si coprono le strade.
Piangono come
vedove le biade,
e l'elegìa, battendo stelo a
stelo,
addormenta le selve e i nidi invade,
i nidi pieni di
piume e di gelo.
Che narrano le goccie ai bruchi erranti?
Alle
bucce che dice il vento fioco?
Oh nelle tombe scheletri
grondanti,
oh beltà, robustezze, a poco a poco
scioglientisi coll'acqua, e vegetanti!...
E la gente
sonnecchia intorno al foco.
37. VENDETTA
POSTUMA
Quando
sarai nel freddo monumento
immobile e stecchita,
se ti resta
nel cranio un sentimento
di questa vita,
ripenserai l'alcova e
il letticciuolo
dei nostri lunghi amori,
quand'io portava al
tuo dolce lenzuolo
carezze e fiori.
Ripenserai la fiammella
turchina
che ci brillava accanto;
e quella fiala che alla tua
bocchina
piaceva tanto!
Ripenserai la tua foga omicida,
e
gli immensi abbandoni;
ripenserai le forsennate grida,
e le
canzoni;
Ripenserai le lagrime delire,
e i giuramenti a Dio,
o
bugiarda, di vivere e morire
pel genio mio!
E allora sentirai
l'onda dei vermi
salir nel tenebrore,
e colla gioia di affamati
infermi
morderti il cuore.
38. SPES
UNICA
Tandis que, la tête inclinée,
nous
nous perdons en tristes voeux, le souffle de la destinée
frissonne
à travers nos cheveux.
V. Hugo.
Vorrei
farmi carnefice,
vorrei farmi becchino
per lacerarti, o
secolo,
quel manto d'arlecchino;
e sul tuo muto
Golgota
cacciarti col tuo Dio,
e imprecarti l'oblìo
dei
posteri e del sol.
Tu che inceppasti il fulmine,
prosa
lanciando in cielo,
sicché alle stelle vergini
hai
lacerato il velo;
tu che, buffon, le numeri,
e batti la
misura,
mentre per l'aria pura
movono a danza il vol,
ov'è
il tuo cielo? il Satana
ov'è per cui bestemmi?
Qual
raggio il folto illumina
bosco de' tuoi dilemmi?
E le tue muse
?...attendono
forse, per ricantare,
che poggi il
mobiliare
a una cima immortal?
Tuo forse è
il Dio cui volano
il paternostro e l'ave,
culle derise e
sucide
di coscienze ignave?
Tra i fili del telegrafo,
col
fischio del vapore,
ti sparvero dal cuore
l'ostia e il
confessional!
Bella commedia!...e trassero
in clinica Maria,
e
alle genti bandirono,
dogmatica autopsia
- Olà, madama è
vergine! -
Essi l'avean violata,
e la folla beata
osanna al
ciel mugghiò.
Tu, tu, fatal pontefice,
vecchio dal cor
di bronzo,
tu, mitrata putredine,
sognante un'orbe gonzo,
tu
i vivi agghiacci, e i posteri
travolgi a ignoto abisso:
brandisti
il crocefisso
e la fede crollò.
- O musa! a questo
pallido
tuo giovane poeta,
o eterna dea, tu mormori
il nome
della meta;
tu di Corani e Bibbie
sdegni la inutil scola,
tu
parli la parola
del bello e dell'amor.
Ma vedi? è
solitaria,
vana la nostra gioia,
il nostro salmo il secolo
delle macchine annoia;
cantiamo in ritmo algebrico
del
Cenisio le porte,
cantiamo: o Roma o morte
Tribuni o
senator
Forse se ha senso pratico
o di attualità,
forse
se, posto in musica,
al volgo piacer
,
le vecchie note, o
vergine,
le troveranno ammodo,
e ci diran sul sodo:
- Bene,
bene davver! -
A1di là dei comignoli
se tentiam batter
l'ali,
potrem fra noi benissimo
dichiararci immortali,
ma
ricontando cedole
e buoni
del Tesoro,
brontoleran fra loro:
- E linguaggio
stranier! -
Musa! le notti volano
quando vieni in
famiglia;
già la lucerna è pallida
e la città
sbadiglia...
io stanco sono...oh il fulgido
sole che spunta
adesso,
quello è sempre lo stesso
da quando in cielo
entrò!
E a noi mutar coi secoli
è legge e forma e
ingegno;
or giganti magnanimi,
or fantocci di legno;
poc'anzi
io stesso un angelo,
presto un verme dormente,
una preda del
niente,
un uom che vaneggiò!
Bando al
livor...Crisalide
forse è la nostra etade;
già
crolla il seggio ai despoti,
e la maschera cade;
già
all'orizzonte tremola
forse la grande aurora...
dalla profonda
gora
la farfalla uscirà!
Musa, quel dì la lapide
peserà sul poeta:
ma tu, prona al mio tumulo,
di
serti e incensi lieta:
" Nei mesti giorni un tenero
amante
ci fu! " dirai,
e l'orgoglio il mio scheletro
a ritentar
verrà!
39. STRIMPELLATA
Quando
vent'anni avea,
e spensierato il suo viaggio correa,
egli avea
detto alla gaia Isabella:
- Tu sei gaia, sei giovane, e sei
bella...
vuoi tu adorarmi? ".
Egli avea detto : - Vuoi ?
-
Quando vent'anni avea,
e spensierata il suo viaggio
correa,
ella avea detto al mesto Sigismondo:
- Tu sei mesto,
sei giovane, e sei biondo...
Puoi tu sposarmi? ".
Ella
avea detto : - Puoi ? -
Quando trent'anni avea,
e pensieroso il
suo viaggio correa,
egli avea detto alla gaia Isabella:
- Tu
sei gaia,sei giovane,e sei bella,
credi all'amore ? -
Egli avea
detto : - Credi ? -
Quando trent'anni avea,
e pensierosa il suo
viaggio correa,
ella avea detto al mesto Sigismondo:
- Tu sei
mesto, sei giovane, e sei biondo,
vedi se muore? -
Ella avea
detto : - Vedi ? -
40.
PROFANAZIONI
Sunt lacrimae rerum.
Rideva la
lampada, dai candidi ceri
specchiando l'orpello nei lunghi
bicchieri;
la tavola, piena di trilli argentini,
ridea col
profumo dei fiori e dei vini;
le gonne di seta, nell'ombra
compresse,
con lunghi bisbigli ridevano anch'esse.
E Lisa, una
pallida dall'occhio di foco,
parlava del molto concesso nel
poco;
ed Emma, una bruna dall'occhio profondo,
parlava dei
bimbi che vengono al mondo;
e Nina, una fragile dal senno
maturo,
parlava dei baffi di un capo-tamburo.
Ma, l'ultimo
bacio, coll'ultima tazza,
versato sul crine di un'ebra ragazza,
io
stavo cogli occhi rivolti a uno stuolo
di larve leggiere che
andavano a volo;
sorgeano, svanivano, cantandomi
allato,
cantandomi i canti del tempo passato.
- Rammenti ?
Rammenti ? - dicevano insieme,
poi tutte mutavano le sillabe
estreme:
- Io sono la coltrice del letto infantile...
- E noi
siam le gioie dei giorni d'aprile..
- Son io la locanda dei queti
villaggi...
- Io son la valigia dei garruli viaggi...
-
Rammenti ?...la cattedra son io della scuola...
- Io son del
giardino la memore aiuola...
- Noi siamo le cabale dell'alta
lavagna...
- Noi siam le domeniche passate in campagna...
- E
noi dell'inverno le notti vegliate...
- E noi, noi le vergini dal
cielo invocate!
- Rammenti ?...Rammenti ?... la seggiola io
sono,
la seggiola bella, più bella di un trono,
in cui
dietro l'umile cortina distesa,
fra i vaghi riflessi che veggonsi
in chiesa,
la candida infanzia capì la madonna,
la
buona, la santa, la povera nonna! -
Oh angosce, oh trasporti
dell'anima mia!
E i sogni sfumavano, la nenia svania...
La
tavola piena di trilli argentini
ridea col profumo dei fiori e dei
vini;
e Nina, una fragile dal senno maturo,
parlava dei baffi
di un capo-tamburol
41
A un muricciuol che scalda il sol
d'aprile
ecco il vecchio girovago appoggiato;
agitato da un
tremito febbrile,
spende in avemarie l'esile fiato.
La
rondinella dal vicin fenile
gli risponde col trillo
spensierato;
di teste bionde e di canto infantile
echeggia e
splende il lucido selciato.
Passano di operai vispe
brigate,
passan carrozze ed abiti eleganti,
passan cani satolli
e gatti amanti...
Vecchio, le tante fosse spalancate,
che stan
mute aspettando ai camposanti,
non ti mandan sorrisi innebrianti
?
42. NOTTE DI CARNEVALE
É
notte: azzurro il ciel, tonda la luna
che disegna sul lastrico i
ritratti
dei comignoli; dormono i tranquilli
umani, e i gatti
per le note gronde
sospirano d'amor come i poeti
dell'Arcadia;
le orchestre nei teatri
fremono melodie, travolgon balli,
e
delle donne, come cigni bianche,
dai palchetti la mostra è
generosa.
Qui, sulle piazze il carneval sonnecchia,
e tranne il
rombo di qualche carretto
che si perde nei vicoli lontani,
tutto
è quiete...
Ma un canto ecco s'innalza,
e un uomo, al
muro brancicando, arriva.
- Chi è, chi non è ?
Oh
povero me!...
Il prete lo giura,
ma nulla io ne so:
chi
dice di sì, chi dice di no...
Gli è il coro dei
matti che Adamo intonò!
Eppure costì
finiscono
i dì:
andrem nella luna,
negli astri, o nel sol?
Non
so, ma però mi esercito al vol
ché il vino le
aluccie prestarmi può sol.
Ma vedi lassù...
Che
avvenne, che fu ?
Oh domine!... un gatto
che coda non ha!
É
un vecchio ; io lo so : la gelida età
con furti siffatti
burlando ci va.
Oh gatto gentil...
ti sono simil!
Che mai
non perdetti
da quando fioccò
I figli morir, la moglie
spirò...
Ma, basta!... io non dico, non dico di no!
"
Povero vecchierello! bevi, bevi,
ché il vin ti
accende un lumicin di fede!...
Se il confessor così ti
sente e vede
d'ora in poi dall'altar ti caccia via,
e ti manda
a buscarti i sacramenti
all'osteria.
Ma or rincasa ; gelato è
il primo albore ;
torna, torna ubbriaco al mesto tetto
che orbò
la morte d'ogni tuo diletto;
alzerà il vino un lembo al
velo bruno,
rivedrai, brancolando, i tuoi parenti,
ad uno ad
uno.
- Chi sei tu ? - Non ricordo...- E il domicilio ?...
-
Sulla terra! - Ma dove ? - É il mio segreto!
E di seguirmi
vi faccio divieto;
or sulla terra, e presto sotto terra,
e
presto in cielo...me lo ha detto il vino,
e il vin non erra!
-
Vattene a casa... arrivano i monelli,
la tua canizie burlata
non sia;
dimmi, tua moglie la era saggia e pia?
Quante volte
avrà pianto al tuo ritorno!
Per la memoria sua la brutta
scena
non vegga il giorno.
Si terse una lagrima - poi disse : -
o signore,
di tenero cuore - la mamma vi fe'!
Ebben, tante
grazie - lasciatemi andare,
io voglio ammazzare - la fame con
me.
Quei soldi eran gli ultimi - ed or son bevuti;
accetti i
saluti - lasciatemi andar.
Quel bruto d'orefice...- sei lire...un
anello!..
sì grosso, sì bello...- mi volle
rubar.
L'anel della moglie - mio dolce signore.
un dono del
core - che più non vedrò!...
Venduti son gli abiti -
del povero Tonio..
la larva di un conio - più in tasca non
ho.
Sa lei chi era Tonio ? - mio figlio! un bel bruno!
Lavoro e
digiuno - l'han fatto morir.
Gli ostieri, sa domine ? - son tutti
testardi...
" Eh vecchio! gli è tardi - bisogna partir
".
Partire! ma...e l'anima? - sù, lei...che ne dice?
Di un vecchio infelice - la morte cos'è?
Ha fatto i
suoi studii? - ebben, che ha imparato ?
Se Cristo ha burlato - oh
povero me! ".
Partì brancolando. Nel ciel porporino
le
pallide stelle svanivano già,
e desta al sussurro di un
gaio mattino
dal sonno sorgeva la immensa città.
Le mani
affilate, la faccia barbuta
del povero vecchio biancheggiano al
sol...
Ma il vecchio la luce del dì non saluta,
e
brontola : " Intanto mi esercito al vol! ".
43.
PAROLE PER VIA
- Ecco un
battesimo
nella città ;
mio saggio demone,
che mai
sarà? -
Rispose: - All'ombra di quel velo bianco,
in
mezzo al cor di un tuo fratello inerme,
della Sventura che ti rode
il fianco
è nato un germe! -
- Ecco un'esequie
nella
città :
mio saggio demone,
che mai sarà?
-
Rispose: - All'ombra di quel drappo oscuro,
in mezzo al cor
di un tuo fratello inerme,
è nato un avo del tuo re
futuro,
è nato un verme! -
44. CONVENTO IDEALE
Io
voglio farmi un piccolo convento,
lontano, solitario, in riva al
mare;
colà, pieno di sole, in mezzo al vento,
starò
lieto e tranquillo ad invecchiar.
Sarò il padre prior de'
miei peccati,
e una regola nuova inventerò;
i miei
pensosi e pallidi affigliati
senza scelta di sesso
annicchierò;
primo l'Orgoglio: sarà un frate
austero,
sarà padre guardiano e consiglier
da molt'anni
è abilissimo al mestiero:
prender la gente a calci nel
seder.
Poi l'Accidia, l'Accidia anima pia,
soave primogenita
del ciel;
e verrà spesso nella stanza mia
perché
le aggiusti sulla faccia il vel.
Poi la Lussuria: le darò
un altare
tutto per lei, tutto profumi ed or!
Sera e mattina,
senza mai posare,
dovrà cantarmi l'Angelus
nel cuor.
Porrò l'Invidia accanto al cimitero,
e
in refettorio la Gola porrò;
schiavo del corpo e schiavo
del pensiero,
perennemente le visiterò.
Tu, Avarizia,
starai sul campanile
giorno e notte, o pudica, a mormorar:
Qui
abbiam l'azzurro, la manna e l'aprile,
son rime e strofe e non le
voglio dar!
Condurrò l'Ira anch'essa al mio convento,
ma
per poco, la scarna, vi vivrà;
le innalzeranno in chiesa un
monumento,
ove il Priore a ridere verrà.
Immemore così
del calendario,
starò in riva del mare, in mezzo ai
fior,
nel convento lontano e solitario.
E sulla porta sarà
scritto: Amor.
45.
Se tu
fossi seduta al fianco mio
quando pesa su me l'irrevocabile
odio
d'Iddio ;
se vedessi i tuoi cari occhi profondi
quando, al
vuoto del cor, mi sento un esule
di tutti i mondi;
se la
fanfara delle tue parole
mi profumasse di girani e viole
questo
povero petto
che sospira all'odor del cataletto...
o donna
buona, o fonte d'allegrezza,
o virtù, mansuetudine, e
dolcezza,
giuro al demone mio che, per morire,
non mi vorrei
pentire,
non cercherei l'estremo sacramento,
non farei
testamento,
per morir colla mia sulla tua faccia,
e
all'inferno volar dalle tue braccia!
Noli 186...
46.
MISS VH...TER
Pallido
fior del nordico paese,
vaga beltà della colonia
inglese,
ben mi dicea quel tuo sguardo profondo
che ti chiamava
a sè l'occulto mondo!
Quando, alla luce dell'allegra
festa,
vidi brillar quella tua bionda testa,
e sui tesori del
tuo petto ardente
piovean collane di perle d'Oriente,
e in una
nebbia di candido velo
passavi come una figura in cielo,
presago
cuor! sulle mie guancie smorte
sentir mi parve il soffio della
morte!...
Oggi un amico mi venne a narrare:
- La giovinetta si
è gettata in mare! -
O giovinetta, la tua salma bianca
non
cerchi il pescator di Villafranca,
né il canuto ministro in
ginocchioni
insulti a Dio con flebili orazioni
per te che
uccise l'infelice amore!
Oh già l'anima tua fatta è
splendore,
e mentre chiede, in crocchio di sorelle,
le prime
nuove alle vicine stelle,
levigato dall'onda cristallina
il tuo
scheletro lento in mar declina:
per diventare in qualche algoso
vallo
una nicchia di perle e di corallo.
Nizza, maggio
186...
47. IN MORTE DI UN BIMBO
Ancor
vederti sembrami
le braccia dimenare
come una giovin
rondine
che tenti di volare,
povero bimbo, piccolo
cadaverin
sepolto!
Quel tuo vergine volto
dimmi a chi ride adesso?
Sul
tuo recente tumulo
poc'anzi ancor sostai;
inutilmente i
pallidi
giacinti interrogai...
Seppellivano un vecchio,
o
bimbo, a te vicino:
un grido del becchino
mi rapì le
visioni.
Perchè nascesti ?...dissero
alla povera
madre
che a sè chiamato avevati
dei cherubini il
padre;
ma le materne lagrime
non prevedeva Iddio?
Oh lo
spietato oblìo
che domina nel cielo!
Nel cielo
?...Arpìa, silenzio!
Ci può la madre udire:
la
fede ell'ha, diciamole
che lo vedrà redire
pura
animuccia, silfide
color di paradiso,
a baciarla sul viso,
a
baciarla sul core!...
Oh gli orrendi spettacoli
del nostro
cimitero!
Un muricciuolo squallido,
un campo grasso e nero,
ed
una danza assidua
di tibie innominate,
e smorfie, e ghigni, e
occhiate
di teschi al sol risorti!...
Le croci, pinte ad
olio,
o sculte in marmo e in oro,
son là, delle
famiglie
miserrimo decoro,
alla neve, alla pioggia,
meste,
tarlate, mute...
dell'eterna salute
ove, ove trovi un
segno?
Bambino, l'ineffabile
tuo visino d'amore
giace fra
questi ruderi,
circondato d'orrore ;
e forse il vecchio
scheletro
che ieri han seppellito
già rotolò
stecchito
sul tuo piccolo capo.
Deh, quel giorno che,
fracida
la tua crocetta nera,
si smarriran cercandoti
il
pianto e la preghiera,
bimbo, se tu se' un angelo
scendi alla
madre accanto
e lo spirito affranto
come una spiga
invola.
48. ARMONIE DELLA SERA
La
notte piombava dai campi celesti,
e gli uomini onesti - russavano
già.
Il cielo era un buio germoglio di stelle;
s'empìa
di fiammelle - la negra città.
Le serve ridevano di sotto
alle porte;
furtiva la Morte - salìa l'ospital.
Curvavansi
in chiesa devoti e capoccie
sull'ultime goccie - dell'acqua
lustral.
Cantavan nell'ampie caserme i tamburi.
Nei vicoli
oscuri, - coll'ansia nel cor,
i giovani imberbi battevan le
traccie
di pallide faccie, - di squallidi amor.
L'astronomo,
insetto dell'atomo errante,
giungeva anelante - sull'ermo
manier;
e i bracchi annebbiavano, davanti ai camini,
gli
sguardi indovini - di un sonno legger.
Il giuoco accendevasi nei
turpi ridotti;
e maghi e sedotti,- con strana virtù,
già
ungean nella bile dell'anima immota
la rapida ruota - del meno e
del più.
Le madri, frattanto, cadean ginocchioni,
e in
lunghe orazioni - chiedevan pietà...
La notte piombava dai
campi celesti,
e gli uomini onesti - russavano già.
49. ELEVAZIONE
Quando ti
parlo,come uno sparviero
sono leggero ;
come l'augel che bee
l'aure remote
in cui le note
vibran forse degli angioli
d'Iddio!
Sul cranio mio,
tomba ove giace estinto un
giovinetto,
tu fai l'effetto
di un bell'inno pensato in
paradiso;
e il tuo sorriso
è l'aura pura, fulgida,
felice
che me lo dice.
50.
ORGIA
Colma il mio nappo, giovinetta
bruna!...
Vedi, la bianca e spensierata luna
vi infilza un
raggio...
viva lo specchio, l'incubo e il miraggio!
Questi
rubini della vigna e queste
argentee gemme del globo celeste,
in
un bicchiere,
sono un poema, ed io lo voglio bere!
Non
discutiamo di filosofia,
ve ne scongiuro, per la madre mia!
Chi
è là che stappa ?...
Dio lo salvi dal Limbo e dalla
Trappa!
Giù come fiume per allegra valle,
giù
come treccie per disciolte spalle,
vino d'Italia...
la ninna
nanna non la fa la balia!
Dite, amici, giochiamo a
cruscherella?...
Nasconderemo ognun la nostra bella,
e, ad una
ad una,
le pescheremo per cercar fortuna.
Pietà per
l'uom che pescherà la mia!...
É una scarna che
chiamano poesia;
la è bella, e buona,
ma la vi schianta
senza dir: perdona.
Vino d'Italia, itale donne, e cielo
tutto
bufere, tutto nebbia e gelo!
Pure è italiano...
dunque
gridiam che è di un azzurro strano!
Affediddio!...battiamoci
a quartine,
o nella botte entriamo a teste chine,
o diam di
fiato
a qualche tromba che assordi il creato!
Andatemi a
cercare un coadiutore;
lo vorrei nominar mio confessore
per due
minuti:
ho due peccati che non san star muti.
Uno è il
desìo di avvinazzare un prete,
tanto, da fargli dir che le
comete
son ostie accese,
e che il mangiare a messa è un
crimenlese!
L'altro la sete stupida del bello,
l'invidia
per la nuvola e l'augello,
mentre gli amici
qui, fra i
bicchieri, se ne stan felici!
Miserere di me che me ne pento,
miserere nel fulgido momento
che non so nulla,
che ho
intero il genio di un bambino in culla.
Giù, giù,
giù vino, giù sonno ed oblìo!
E al primo
albor su questo cranio mio,
fanciulla, incidi :
" Fu un
poeta - viator, t'arresta e ridi ".
51.
RIVOLTA
Stamane io avea gridato al mio
cervello:
si chiudano le porte a chiavistello,
il padrone è
ammalato e doloroso;
si chiuda la baracca,e vi si scriva:
Oggi
riposo!
E avrei voluto aver sul mio scrittoio
qualche ranocchio
fetido e squarquoio
per contemplarlo, e stabilir confronti,
e
saper come la natura imprima
gli ultimi affronti.
E con
esso un volume avrei voluto,
un volume di qualche autor
chiercuto,
per accertarmi colla musa mia
che a qualche cosa può
servire ancora
la poesia.
L'uno gracchiando alla melma
natìa,
l'altro ai santi e alla vergine Maria,
potean
soli ridarmi un'ora lieta;
tanta vergogna mi mordeva il core
d
'esser poeta.
Uscii - piovendo gocciole sottili,
le cime
nascondea dei campanili
il nebbione, e la cupola del duomo,
senza
il manico d'or, parea la canna
di un pover'uomo.
Mi zoppicava
accanto un vecchierello
tutto avvolto in un lurido mantello;
era
canuto, giallo e macilento...
Lo urtai: la stoffa che lo
mascherava
si aperse al vento,
e, come un filo che trovò
la cruna,
un raggio uscì dalla sua falda bruna;
io
gridai come un pazzo: - É lui ch'io scerno,
non v'è
più dubbio, l'ho trovato, è lui,
É il padre
Eterno!
Ah paradiso, purgatorio, inferno,
alba, sera,
meriggio, estate e inverno!
No, non mi sfuggi, despota
adorato;
non mi sfuggi, e arrossir devi, e pentirti
del tuo
Creato! -
Sorrise il vegliardo di un grande sorriso,
e parve,
se squarcia le nuvole il sol,
l'arcana dolcezza del raggio
improvviso
che balza e si adagia sull'umido suol.
Poi disse: -
Poeta dall'occhio sdegnoso,
allenta la foga dell'agile piè;
e
a qualche vicino cantuccio nascoso,
se vuoi ch'io ti ascolti,
cammina con me -
Passava un canonico; sentendo il
compagno
celeste di rabbia repente tremar,
gli dissi
all'orecchio : - Cacciamolo a bagno ?
Qui presso è un
canale... tu stammi a guardar -
E già mi
avventavo... Ma il nume rispose
- Un solo fra tanti, fra tutti. .
. a che pro ?
Pei versi e l'oceano, pel turbo e le rose,
poeta,
il castigo dal ciel tuonerò!".
Giungemmo a un
boschetto; qui il vecchio s'assise,
tergendo affannato la polve e
il sudor;
mi stese la mano, di nuovo sorrise,
e : - Sfoga - mi
disse - l'immenso furor! -
Ma quel sorriso mi avea fatto
muto,
e stava lì, sospeso, a bocca aperta
come quando si
aspetta uno starnuto.
E a poco a poco mi sentìa
nell'anima
la leggerezza d'un ch'esce di guerra;
la
meraviglia
che invade al punto di lasciar la terra
l'areonauta.
-
Padre, padre...del mio fato mi accerta!...
Ho qui sul cranio come
un serto acuto...".
Egli die' un guizzo e dileguò per
l'erta.
Orribilmente del letto la coltrice
mi pesa, e intorno
bisbigliando vanno
voci domestiche :
- Bevine un po', ti
calmerà l'affanno,
è lauro cèraso -
52.
ESEQUIE
Suonano a esequie, un feretro
s'avvia,
un prete è in allegria.
O mio canestro di
olezzanti fiori,
tavolozza di forme e di colori,
o stelle che
dal ciel mi sogguardate
collo splendor delle tremanti
occhiate,
ditelo voi, vergini cose, è vero,
ch'io tutto
finirò nel cimitero?
Suonano a esequie, un feretro
s'avvìa,
un prete è in allegria.
Voi che vivete,
o fior, nell'ozio blando,
l'aria che in mezzo a voi vien
spigolando
non vi racconta mai se battan l'ali
dopo l'ultimo
giorno alme immortali?
Stelle, quando la morte un'alma
miete
nulla salir per l'etere vedete?
Suonano a esequie, un
feretro s'avvia,
un prete è in allegria.
Stelle, mai non
vedeste a notte oscura
spirti in fiamma esalar la mia pianura ?
Gelsomini, se il suol che vi ha concetto
nel fango si educò
di un cataletto,
nulla udiste venir lungo lo stelo,
verso i
petali schiusi, e verso il cielo?
O fior, centuplicatemi
l'olezzo...
ch'io non senta il mio lezzo!
Stelle, scendete
nell'anima mia
di me stesso a ingannar la tenebria!
Rinnegate
il Signore, o fiori, o stelle,
che vi fe' così puri e così
belle,
mi creò sì superbo, e buono, e lieto,
e
intascò sogghignando il suo segreto!
53.
DESOLAZIONI
Il marchio aspetto delle bianche
chiome,
a cinque lustri errando nella vita,
vecchio come una
quercia, e affranto come
un sibarita.
E lo sa Iddio se la mia
perla fina,
questa infelice giovinezza mia,
profanò la
sua luce adamantina
per bieca via!
Lo sa Iddio se ho vegliato
al mio gioiello,
se mai vil senso l'anima mi punse;
vissi
aspettando un mio fantasma bello
che mai non giunse;
vissi a
fior d'acqua, fra i giunchi materni,
e il sudiciume non cercai del
mondo;
ma l'empia ressa dei calci fraterni
turbava il
fondo,
e, poiché il fango sal come la nube,
come
l'incenso e la prece devota,
sul bianco viso del natante
impube
giunse la mota!
E la beata castità del
core,
la pura fede, e la placida speme,
e della mente il
vergine fervore
sparvero insieme.
L'idea, la casta idea, nei
penetrali
dell'anima crescente all'avvenire,
per arcano pudor
raccolse l'ali,
e per morire.
Quando, un sorso del calice
libato,
ti assal la pigra voluttà del tosco;
quando a
tutte le maschere hai gridato:
io ti conosco!,
amico, i sogni
allor sono svaniti,
e tu ti accorgi che diventi serio...
Oh
invoca, allora, invoca i santi attriti
del desiderio!
Il ciel
le sue benigne aure non spira
a giovinetto capo che si lagna,
ma
la terra nel suo seno l'attira
per le calcagna;
e un'anima di
cento anni che ingora
un odiato involucro ventenne,
geme dietro
le rose e canta : è l'ora
di alzar le penne!
Oh baci, oh
soli prodigati al bimbo,
ironie degli aprili e delle
madri!...
Meglio una bara di due palmi, e il limbo
dei santi
padri!