Emilio Praga
TAVOLOZZA
1. PER COMINCIARE
Spesso
una voce incognita
mi dice: - O giovinetto,
perché
dolente hai l'anima,
e pallido l'aspetto?
Di desidèri
inutili,
oh, non ascolta il grido;
l'aura che vien dagli
uomini,
amico, è un verbo infido!
L'aura che vien dagli
uomini,
dice l'amica voce,
ti segnerà benevola
di
canizie precoce;
tienti i tuoi canti, o giovine,
vivi nel lieto
oblio;
non valgon templi olimpici
un tugurio natio.
A te
divine musiche
cantano i tuoi vent'anni,
rose educar le
lagrime
dei primi disinganni;
del bisogno la maglia
non ti
comprime il cuore,
che eterna, puro e vergine,
l'inno del primo
amore.
Ah! chiudi le domestiche
pareti, o giovinetto:
sul
nido tuo non aliti
l'aura del mondo infetto,
bevi in pace e in
silenzio
al tuo nappo dorato;
là fuor de' tuoi
carnefici
Echeggia l'ululato!
Bevi al tuo nappo e i
cantici
svolgi che il ciel ti spira,
ma sia sommesso ed
umile
il suon della tua lira,
nessun s'arresti a coglierne
le
note alle tue soglie:
presto si muor la mammola
se al margin
suo si toglie.
Guarda la folla, o giovine!
É una
stoltezza o un fallo
là, fra i curvi che incensano
l'ara
del dio metallo,
ogni altro culto; e copresi
di sogghigni
immortali
chi, col fango battendosi,
tenta di metter
l'ali.
Come il selvaggio, indocile
del prete alle parole,
del
suo Cristo beffavasi
e gli additava il Sole,
così, se
canti i palpiti
di un'alma ardente o stanca,
costor dinnanzi
spiéganti
un biglietto di banca!
Bevi al tuo nappo,
e i cantici
svolgi che il ciel ti spira,
ma sia sommesso ed
umile
il suon della tua lira;
nessun s'arresti a
coglierne
le note alle tue soglie;
presto si muor la mammola
se
al margin suo si toglie. -
Queste son ciarle arcadiche,
larve
di capo astratto,
e il libro mio testifichi
ch'io non ci credo
affatto:
schiusi la porta: e agli uomini,
girovago cantore,
vengo a tentar di scuotere
l'eco assopita in cuore.
Forse
i vent'anni ingannano,
e la voce ha ragione:
ma infin, pensare
e scrivere
è una cattiva azione?
Nemico all'ozio
ignobile,
dell'arte innamorato,
perché, campione
inutile,
lascerò lo steccato?
Della prima
battaglia
è il giorno! io mi ci affido...
ma i versi
miei svolazzano
deboli ancor dal nido;
incensi e allòr
non vogliono,
sol temono le spine...
dateci un fiore, è
lauro
che ben s'acconcia al crine!
Al solitario e
povero
fanciul della Savoia,
che nei caffè le veglie
dei
cittadini annoia,
se alcun, pietoso, un'arida
lode gli versa in
core,
che avvivi il ritmo flebile
di una stilla
d'amore;
scintillar vedi i timidi
occhi del poverino,
e
dimenar più rapido
l'arco del suo violino;
la fame allor
dimentica,
oblia la lontananza,
e nel petto gli cantano
la
fede e la speranza!
2. IL CORSO ALL'ALBA
Oh
bello è pure, al soffio
dell'aura mattutina,
il Corso,
ove s'esercita
la boria cittadina
quando sui tetti e i
platani
da lunge il sol si specchia,
e lieto si
apparecchia
alla discesa in mar!
Or che son muti i
cembali
nell'aule dei palazzi,
e, in larghe pieghe,
immobili
riposano gli arazzi,
né sui balcon sorridono
le
matrone galanti,
e i giovani eleganti
stan pallidi a russar:
è
questa l'ora; o amabili
compagni, è questa l'ora;
coll'arte
nostra lepida
qui poesia s'infiora:
lungo lo sporco
lastrico
seguitemi cantando,
il campo è nostro e in
bando
è l'alta società!
Tornano a coppie i
poveri
lattai dalle cascine,
che la sera amoreggiano
le
fulve contadine,
mentre ai bifolchi narrano,
raccolti nelle
stalle,
l'ardor delle cavalle
che trottano in città.
Dal
dazio, ove scroccarono,
tremando, la dogana,
poi che i vietati
viveri
levár dalla sottana,
le scaltre serve corrono
al
ganzo servitore,
mentre sognan d'amore
le padroncine
ancor.
Udite : ove fra splendidi
cocchi e noti
destrieri
le frasi sospirarono
di dame e cavalier,
i buoni,
inconsci villici
parlan di gelsi e viti,
e degli armenti
aviti,
e dei pruneti in fior!
E intorno a lor, corteggio
quasi
di antichi amici,
belan le capre, garrule
del monte
abitatrici,
e i mandriani intuonano
a bassa voce i canti,
che
le greggie vaganti
chiamavano all'ovil ;
ed ecco, ecco le
vittime
dell'afa cittadina,
la vecchierella tremola,
la
pallida bambina,
che sofferenti e misere
uscir non ponno ai
colli
a respirar le molli
aurette dell'april ;
da quel
latte, che tiepido
gli aromi ne ha portati,
speran suggere il
balsamo
dei zeffiri vietati,
e delle pure mammole,
e
dell'alpestre timo
lungi dal nostro limo
cresciuto in
libertà.
Ma le campane vigili
già suonano a
distesa,
e par che i santi gridino
dalluna allaltra
chiesa
come comando bellico
che va di schiera in schiera:
-
Sù tutti alla preghiera,
genti della città! -
Pochi
infelici accorrono
ai freddi altar davanti;
son le canute
vittime
dei nostri avi galanti,
i gonzi, le pinzocchere,
e
le stanche creature,
cui le umane sciagure
posto han sull'alma
un vel!
Ma, dai sobborghi, al popolo
comanda un'altra
squilla:
nelle officine stridule
un'altra fé
scintilla:
comincia l'olocausto
del nobile lavoro!...
No,
dei chierici il coro
non lo raggiunge in ciel!
Amici! orsù,
lasciamoci :
tutti al lavor, perdio!
Un nome abbiam,
togliamolo,
togliamolo all'oblio;
questi sudanti apostoli
negli
opifici oscuri
non sian di noi più puri
in faccia al
Creator!
Ma al suon dell'aspre incudini
si sposi il suon dei
carmi,
che tempra a Italia l'armi,
l'artista, che sul soglio
la
riporrà sovrana :
questa è la legge umana,
questo
è di Dio l'amor!
3. I PESCATORI NOTTURNI
Vengono
al mar quando la luna accende
per gli spazi tranquilli il mesto
vel;
vengono al mar quando la nebbia stende
le bianche braccia
e lo congiunge al ciel!
Quando il vecchio oceàno i vecchi
amori
lento alterna alla spiaggia, e stanco par:
quasi amante
assopito ai primi albori,
e a cui men bella la compagna
appar!
Portan la vela lacerata ai venti,
come stendardo che in
battaglia erró;
portano remi e canapi stridenti,
che il
nerbo delle braccia affaticò;
e sulla tolda silenziosa e
bruna
restan le lunghe notti ad aspettar:
ad aspettar sotto la
fredda luna
che il pan dell'indomani apporti il mar!
Che
flebile armonia
tra la spuma del mar fosforescente:
che amor,
che leggiadria,
nel pelago al lunar raggio lucente!
La volta è
pur serena,
la luna senza vel, l'onde festanti!
Se sia la rete
piena,
chi potrà dirlo ai pescator vaganti?
Ché
forse alcun fra i miseri,
un pensoso vecchietto,
passando
innanzi a una chiesetta bianca
il povero berretto
scordò
levarsi dalla testa stanca;
forse mettendo il ruvido
piè
gocciolante a bordo,
scordò l'un d'essi il segno della
croce;
forse un nocchier balordo
mentre un prete parlava alzò
la voce;
forse hanno i mozzi striduli
deriso il sagrestano
pel
suo cencioso ferraiuol turchino,
o urtato in fallo il nano
che
canta i salmi al muro del cammino;
e Dio, travolto in
collera,
forse soffiò sul mare,
e avvisò i pesci
di fuggir le reti!
Le fitte reti care,
che doman gronderanno
alle pareti.
Assisi alla sponda
del fragil barchetto,
cullati
dall'onda,
si battono il petto,
se possa aver grazia
l'incerto
peccar!
- E intorno rispondono
le note del mar. -
Se a mille
i prigioni
le reti daranno,
se eletti, se buoni
gli avvinti
saranno,
copiose promettono
candele all'altar!
- E intorno
rispondono
le note del mar.-
Ma spira già il
vento,
s'appressa l'albore,
dell'astro d'argento
già
il raggio si muore,
e i mozzi, a quel pallido
riflesso lunar
le
membra stirandosi,
si specchiano in mar.
La nebbia nasconde
la
casa adorata,
nascondono l'onde
la preda aspettata;
sperando
vegliarono,
sperando pregár :
il sole già
librasi
sui solchi del mar!
E lungo il mar che palpita
si
aggruppano le spose e i fanciulletti;
già spuntano i
barchetti,
e già le note gonne,
le cuffie delle
nonne,
come le ali di ronzanti insetti,
appaion lunge ai
veleggianti cari.
Alla mesta famiglia
che al lido ste' in
attesa lungamente
della diletta gente,
oh come dolce è
il giorno,
e il vento del ritorno!
Del raccoglier le vele è
sorto il grido;
canta la ghiaia sotto ai remi impàri.
E
non lungi, fra i portici
del cimitero, un salmodiar si sente;
è
il cantico stridente,
il rantolo del nano,
che a buon momento,
piano
stuzzica alla pietà la lieta gente
e i pescator
nella sua rete adduce!
I reduci distendono
l'umide reti; e i
pesci entro la maglia,
che fra i sassi s'incaglia,
muoiono
saltellando,
e squame seminando :
la dolce vista i pescatori
abbaglia
più del lucro promesso... e che non luce!
Il
lucro è rame, povere
monete, che dei pesci hanno
l'odore.
Vegliarono tant'ore
per pochi soldi appena,
ed una
scarsa cena!
Pur son felici, e al mendico cantore
regalano,
passando, un pesciolino.
Poi, quando il sole è
fervido,
seduti sulla spiaggia a riposare
colle famiglie
care,
raccontano alle spose
contente e vergognose,
che
Satana tentolli in riva al mare
e che ad esse han pensato in sul
mattino!
Mediterraneo, giugno 1860.
4. ALLA
RIVA
Quando scendo alla riva del mare
lungo il lido di
sabbia minuta,
ove tragge la barca sparuta
il nocchiero che
all'alba tornò;
o fanciulla, vien meco, è
salubre
questa brezza che l'onda c'invia,
che arrivando per
libera via
le miserie dell'uom non sfiorò!
Vieni meco: i
fanciulli del lido
sono belli, son semplici ancora,
ché
del mondo non vider finora
che quest'acque, e le stelle del
ciel!
E se fermo a un timon neghittoso
troverem qualche vecchio
nocchiero,
ti dirà se di pioggia è foriero
quel
vapore che al sole fa vel.
Vieni meco: io ti voglio alla riva
per
mostrarti l'immenso oceàno,
e poi dirti che al lido
lontano
volerei per poterti fuggir.
Vieni meco: io ti voglio
alla spiaggia
perché innanzi a quest'orridi abissi,
I
desir, da cui siam crocefissi,
potran forse umiliati svanir.
Per
mostrarti in la sabbia minuta
l'orme nostre, che in giri
ritorti,
come fosse di piccoli morti,
già dall'aura si
colmano ancor;
e poi chiederti, o indegna, se il vento
sorgerà,
come sorge su d'esse,
a distrugger le traccie che impresse
m'ha
un tuo sguardo, un tuo detto nel cor!
Mediterraneo, giugno
1860
5. ALL'OSTERIA
Son solo: il
portico
dell'osteria
mi manda i cantici
dell'allegria,
qui,
dove mesto
tra stranie mura,
penso alla incerta e fosca età
ventura.
Quei che gavazzano
giù, fra i bicchieri,
quelle
son anime
senza pensieri :
esse non sognano
nell'avvenire
che
egual vicenda di volgar gioire.
Sempre essi fiano
servi,
facchini,
o pizzicagnoli,
fabbri, arrotini :
arti
tranquille,
in cui perito
è l'uom che mai non si è
tagliato un dito.
Ed io? nel fervido
volo degli anni,
sconfitte
immagino
e disinganni,
dopo il divino
premio, promesso
quel
dì che all'Arte ho dato il primo amplesso!
Oh come
parvemi
piana la via!
Come la gloria
poco restia,
e fida
ancella
del mio pensiero
la man che tenta riprodurre il
vero!
Ma dall'immagine
che in me si cela,
all'artificio
che
la rivela,
perché un abisso
frapponsi, o Dio,
e
enigma è ancor per tutti il pensier mio?
Perché, se
l'anima
nuota nel bello,
perché non transita
nel mio
pennello?
Il fiume pieno
straripa, vola,
e avrà saldo
confin l'anima sola?
Ma che! cominciano
a bestemmiare
?...
Senti i propositi
dell'uom volgare,
senti
l'ingiurie,
che rimbalzando
già cedono al baston l'aspro
comando!
Addio tripudio
delle canzoni,
si pensi a tergere
le
contusioni:
povere spose,
voi che aspettate,
per questa
sera, via, v'addormentate!
Normandia, agosto 1858.
6
. BALLATA ALLA LUNA
O notturno splendore,
o vergine
divina!
Tu che commuovi, sorridendo, il core
dell'uomo e
dell'oceano,
solitaria dei cieli,
adoro la tua luce, amo i tuoi
veli!
Te fra le viti e i gelsi
del mio suolo natio,
fanciullo
io vidi e ad astro mio ti scelsi;
fosse felice o in lagrime,
da
quel giorno, o mia Dea,
quest'anima sperando, a te volgea!
Come
sei bella, o luna,
quando il viso ti specchi
nel mite tremolio
della laguna;
come bella, fra i pallidi
scogli della
montagna,
quando sul ghiaccio il tuo raggio si bagna!
Ma chi
dirà, divina,
di che fulgor ti vesti,
se tu sorgi
infocata alla marina?
Il pelago scatenasi,
e placido e
giocondo
il tuo disco s'innalza e irradia il mondo!
Ed io ti
amai sul piano,
ti amai, luna, sui monti,
e nel cupo fragor
dell'oceàno...
ma non mi tocchi l'anima
quando, dimessa
e stanca,
seguiti il sole in camiciuola bianca!
O vergine
d'amore,
se tua beltà lo vince,
non indugia a pregar
nostro Signore,
che, quando il sol ci illumina,
ti tenga in
paradiso,
perch'io solo di notte amo il tuo viso!
Interlaken,
luglio 1857.
7. LA MORTA DEL VILLAGGIO
Vi
conterò la storia della morta
per cui suonano adesso la
campana -
era una tosa piccolina e smorta
che abitava vicino
alla fontana.
Toccava appena appena i quindici anni,
quando
suo padre fu portato via
da una piena di stenti e di malanni...
la
restò sola colla vecchia zia.
Amor di madre non avea la
mesta,
né amor d'amiche la povera tosa;
ella era brutta,
e in cenci avea la vesta...
qual giovin mai l'avrìa menata
sposa?
Vedea le forosette in sul sagrato
occhieggiare or con
questo ed or con quello...
povero cuor deserto e sconsolato!
oggi un vecchio l'ha chiusa nell'avello!
Brianza,
aprile 1859.
8. UN FRATE
Che fantasima
d'abate
ho scontrato stamattina,
sul sentier della
collina!
Pover'uom, per esser frate,
era magro e curvo e
smorto:
certo il pranzo troppo corto
il convento non gli
dava...
di che fame dimagrava?
Sotto il saio pien di tarlo,
che
animal ci ha posto il dente?
Mal di corpo o mal di mente?
Io
non seppi indovinarlo,
ma, scommetto un principato,
qualche
diavol vi è incarnato;
quella testa aveva il conio
dell'alcova di un demonio.
Tra una pelle liscia,
gialla,
scintillavan, come faci,
occhi ceruli e rapaci,
segno
questo che non falla;
ed il naso uscia schiacciato
monco,
nero, raggrinzato,
come il naso di un chinese,
strano pur nel
suo paese.
Con tai passi venia avanti
da raggiungere uno
struzzo,
seminando un certo puzzo
di tabacco e unguenti
santi,
che pareva un letamaio,
e, battendo dentro il saio,
il
suo corpo roso e cotto
dava il suon di un vaso rotto.
Si
fermò... prese a guatarmi
colla faccia arcigna e
dura:
guardò poi la mia pittura
e partì
senza parlarmi:
al risvolto di una via
sghimbiò lesto,
fuggì via...
io ne vidi il cupo aspetto,
tutta notte,
accanto al letto!
Avignone, maggio 1858.
9.
SERATA IN MARE
Sù, la vostra canzone intonate
bruni
figli del lido ridente,
e nell'alto la barca guidate,
che già
brilla la luna nascente.
Già la luna nascente galleggia
sui marosi del chiaro orizzonte,
e, coi raggi scherzando,
passeggia
sulla cresta bizzarra del monte.
O capanne, fra i
larghi oliveti
occhieggianti le vele fugaci,
o dirupi
di pascoli lieti
e voi lidi cospersi di faci,
non sapete lo
scopo sublime
di cui Dio v'affidò la magia,
quando disse
alle spiaggie, alle cime:
- State, o figlie dell'anima
mia:
state belle di golfi e foreste,
di villaggi, di scogli, e
di palme;
belle in mezzo alle cupe tempeste,
belle al mite
sospir delle calme! -
- Sacerdoti! alle turbe infelici
predicate
i miracoli vieti,
e di ceri e dorate cornici
fate addobbo alle
sacre pareti;
altro culto agli spiriti oppressi
dal desio
della vita migliore,
altre preci, altri incensi ha concessi
la
insultata pietà del Signore! -
Sù, le vostre canzoni
intonate,
bruni figli del lido ridente,
e nell'alto la
barca guidate,
che già brilla la luna nascente;
non mi
giungan di salmo melodi,
né di stola m'appaia il
candore...
di lassù qui mi canta le lodi
della luna
e del mar lo splendore;
e qui, meco, sull'umile prora,
qui sta
Iddio, che m'accende l'ingegno,
qui, nel core che il bello
innamora!...
Del Signor questo è il tempio più
degno!
Bordighera, giugno 1861.
10. SUI
MONTI DI NOLI
Oh chi dirà la gioia
che sentii
stamattina
volar dal labbro d'una contadina!
Scendea dalla
montagna
in sottanetta bianca,
cantando a tutta gola
una
gaia parola,
e ripetendola
in ritornelli
scuciti e
belli.
Era una canzonetta
che parlava d'amore,
chiesto e
richiesto ai petali d'un fiore:
e un fior pareva
anch'ella
l'allegra cantatrice :
robusti
quindic'anni
sfidatori d'affanni,
treccie nerissime,
e
occhietti fini,
ed assassini!
Ma sparve dietro un tremulo
bosco
di antichi olivi,
e la cadenza dei suoni giulivi
anch'essa, a
poco a poco,
fra i rami si perdette...
Oh dolce
cherubino
risali il tuo cammino,
oh torna, e sèguita
la
canzonetta,
o forosetta!
Ma là, sul lido
candido,
ahi! forse, o bricconcella,
ti aspetta nella nota
navicella
ansioso un giovinetto;
e tu corri a portargli
due
begli occhi d'amore...
begli occhi, e buon umore;
oh a lui
propizia
sia l'onda amara,
se gli sei cara!
Ma, se pur
sogna i placidi
beni di quiete porte,
ch'io vo' cangiar la mia
colla sua sorte
digli, fanciulla bella;
egli sarà
pittore,
ed io sarò nocchiero,
ma ti amerò
davvero,
e sull'oceano
ci culleremo,
con vela e remo!
Noli,
aprile1858.
11. IL TEMPIO ROMANO
Ecco una
landa solitaria e bella
come la speme di un morente. Il cielo
è
di un vivido azzurro e senza velo;
contadina che spigoli sul
prato,
né carro appar nel piano interminato;
solo
un tempio romano, ove facella
più di vestal da secoli non
splende,
e ai sacrifici l'augure non scende,
innalza torvo su
un letto d'ortiche
le sue colonne antiche.
Le falangi dei
Cimbri incatenati
qui passár, dalle invitte alme
imprecando
ai ferri e alla fatal legge del brando;
qui pregár
forse gli ultimi tribuni,
dalla vendetta dei barbari immuni,
tra
l'arse insegne e i figli insanguinati,
i dolci lari - quando fiori
al crine
degli amanti ponean donne latine,
e barcollava in
mezzo all'orgie doma
la vetustà di Roma.
Or sulle
basi e i capitelli immani,
e fra i deserti portici e le
ogive,
l'edera stese le braccia, lascive
come le spose di
Nerone: l'ali
del tempo e dell'oblio nei penetrali
infranser
l'are dei possenti Mani,
e troveresti in mezzo ai sassi, a
caso
frugando, forse di un olimpio il naso,
che greco artista
sculse e dei circensi
fiutò votivi incensi...
Ma al
tempio il danno e il nostro oblio che importa?
Gli idoli infranti,
e fu l'oro rapito:
pur non svanì la santità del
sito;
la beltà che dan gli anni alle rovine,
come raggio
di un martire sul crine,
siede grande e severa alla sua
porta,
e par che gridi fuor dagli archi neri,
se ne destano
l'eco i passeggieri:
lunge, lunge dai ruderi romani
o progenie
di nani!
Nimes, maggio 1858.
12. IL
PROFESSORE DI GRECO
Il lungo e magro professor di greco,
che
quasi odiar mi fece il divo Omero,
fu stamane a vedermi al mio
studietto.
La tavolozza mia si tinse a nero,
e io lasciando i
pennelli con dispetto
il guatai torvo e bieco.
Ché
all'entrar suo mi rientrò nel core
tutta la noia dei
passati inciampi,
quando fanciullo pallido e sparuto
alle dolci
anelavo aure dei campi,
e avrei pei gioghi del Sempion
venduto
e Troia e il suo cantore.
Ma poi ch'io vidi l'uom, già
in uggia tanto,
incanutito e sofferente e stanco,
l'antica bile
mi fuggì dal petto,
e fissai mestamente il suo crin
bianco;
egli abbracciommi coll'usato affetto
e mi sedette
accanto.
Poi mi narrò de' suoi lunghi malanni
e delle
pene della famigliuola;
sentirsi affranto e avvelenato
ormai
dall'afa sempre uguale della scuola,
che fin gli toglie
il ricrearsi ai rai
del sole agli ultimi anni.
Indi guardando
con occhio d'amore
la stanza piena di festa e di luce,
e
le sparse mie tele e gli abbozzetti,
da cui la lieta fantasia
traluce,
parea, che desto ai primi ardenti affetti,
chiusi non
morti in core,
volesse dirmi: - Oh quanti nuovi lidi,
quanta
stesa di cieli e di marine,
tu vedesti, e pur giovane sei
tanto!
Ed io?... dei grami dì già presso al fine
che
mai conosco di sì vago incanto?
Nulla, mai nulla io
vidi!
Talor fra l'aure aperte e la verzura
la mia stanca
vecchiezza si riposa,
quand'esco coi figliuoli alla campagna;
ma
quell'ora di pace, ahi come vola!
Qual tristezza maggior non
m'accompagna
poi fra le chiuse mura!-
Povero vecchio! - ed io
fui crudo tanto
da attristargli la già misera vita ?...
Sù,
versi miei, seguitelo per via,
ditegli voi, che col greco è
svanita
ogni rancura, e che quand'egli uscia
dalla mia stanza -
ho pianto!
13. SUICIDIO
Oh tesor negli scrigni
giacenti,
oh dovizie all'azzardo diffuse,
e cui spesso sbadata
profuse
una man che ignorava il dolor!
Oh metallo alle belle
indolenti
tramutato in tessuti e in gioielli,
mentre
intorno mieteva fratelli
la miseria suffusa d'onor!
Ecco un
cadavere
d'adolescente;
guardate, è un
pallido
volto soffrente:
vi brillò un'anima
fervida,
pura...
la spense il turbine
della sciagura.
Artista, e
povero,
lottò sperando,
fioria già il
lauro
sognato, quando,
svaniti i fascini
ad uno, ad
uno,
alla sua soglia
picchiò il digiuno...
Si
spense... - O martire!
riposa in pace;
presso il tuo
feretro
non splende face,
ricusa il tempio
questa tua salma,
che importa? al carcere
sfuggita è l'alma! -
Addio
pennelli, tavolozza addio
sacra all'oblio!
É morto il
giovinetto,
che al vostro fido aspetto
gloria sognò,
sognò giorni felici!
Addio corse alle selve, alle
pendici
ispiratrici,
addio dell'arte amori
coronati di
fiori:
siete larve abbaglianti e ingannatrici!
O fuggito alle
infamie del mondo,
vola, vola, ti bea nel sereno,
coraggioso,
che il calice pieno
hai gettato alle spine del suol!
Or,
dal cielo, tu, artista giocondo,
alle tele incompiute sorridi,
e
dell'arte degli uomini ridi,
dipingendo coi raggi del sol!
14.
MISTERO DI STELLE
Oh ditemi il segreto, erranti stelle,
dei
vostri eterni palpiti!
Qual desio vi commove il petto
ardente,
quale amor, nella bruna aura tranquilla,
vi consiglia
a oscillar sì dolcemente?
Forse è ver che di
voi guida cìascuna,
quaggiù nel mondo
vedovo,
un'anima alla meta in compagnia?
A noi l'antica età
divinatrice
questa speranza del poeta invia.
Se fallace
non è, deh stella amica
del mio pensoso spirito,
che fai
lassù, dacché lasciai la culla?
Brilla, brilla
infedele, e cerca intorno
una fiammella di gentil fanciulla!
E
poi con lacci che ti presti il cielo,
a te per sempre
annodala;
sciogli le nubi dalle sue sembianze,
guidala
mollemente ove, al sereno,
le stelle dei felici intreccian danze.
Ma neghittosa se tu resti ancora
nella tua danza
eterea,
oh a te, dall'alto, cui di notte agogno,
una ultrice
tempesta urli sul viso
e spenga col tuo raggio ogni mio sogno!
15. UN FIORE A SUO TEMPO
Un giovinetto
di
vago aspetto,
un dì fra i calici
mi raccontò
:
che di una bella
gentil donzella
come un
maniaco
s'innamorò.
Ma un dì, la bella
gentil
donzella
un fior donavagli,
pegno di fé;
il
padre antico
di quell'amico
gli vide il simbolo
dentro
il gilet ;
la
madre fella
della donzella
il vaso vedovo
vide di un fior;
scandalezzata,
l'innamorata
condusse subito
dal
confessor.
E minacciato
dal padre irato
il cor del
giovane
s'ingelidì ;
oh giorno, oh fiore!
Povero
amore!
Sì puro e fervido
come finì!
Qual era
il nome,
quale il cognome,
di quel fior perfido
d
'oblio forier ?...
Egli era un nero
fior del pensiero...
Noi
Lena amiamoci
senza pensier!
E finché sento
questo
tormento,
detto fra gli uomini
male d'amor,
fiore non voglio
che porti imbroglio,
ma voglio stringerti
strozzarti al
cor!
Quando poi stanco
sarò del bianco
tuo sen,
del morbido
tuo folto crin;
quando al tormento
del
sentimento,
colla materia
Dio porrà fin...
la stanza,
o Lena,
di fiori piena,
sarà l'emporio
d'ogni
color,
e allor nell'abito
o nel soprabito,
Lena, mi
sdrucciola
quel noto fior!
Aprile 1858.
16.
DONNE E POESIA
CANZONE DI UN MISANTROPO
E
beata è colei che non si sarà
scandolezzata
di me.
Evangel. S. Matteo, c. XI., v. 6.
Come
un raggio di sol su un vecchio muro,
monumento futuro,
in cui
di verde l'edera ha vestito
i fior che adora il profumier
perito,
e, amor dei vati e amor dei ciabattini,
i pampini
divini,
e i merli ai fiori e ai pampini frammisti
sogno dei
paesisti;
così della tua luce, o Musa, un raggio,
rapito
al paesaggio,
scenda sul viso alle fanciulle amanti,
alle
meste fedeli, alle incostanti,
alle errabonde femmine infelici
di
sposi cacciatrici,
a quelle che trovato uno ne hanno,
e a
cuocere lo stanno!
Mostrami a nudo sotto i rai tepenti
le
vedove languenti,
poveri fior che inaffiano l'infranto
stel,
che rinasce coll'umor del pianto:
mostrami la signora in
frange e in seta
e la serva indiscreta,
e la merciaia, e la
modista, altiera
rondine della sera.
Spoglia i cuor, togli i
crinolini audaci,
e tra i cerchi capaci
e tra le foglie
dell'amor cadute,
indaga il sentimento e la salute!
Povero
amico, aceto e cor prepara...
Ahi! bieca scena amara ;
oh
illusïon perdute, oh telescopio
mutato in microscopio!
Vedrai
che nebbia ci copria la vista
in quell'età
sprovvista,
povera età, del santo raziocinio;
ah,
il re Petrarca avea solo il dominio
quando insiem sognavamo alcove
e seni
del nostro amor sol pieni,
e un sorriso di donna il cor
ci empiea
come fa la marea!
Una fanciulla quindicenne,
bianca
larva pensosa e stanca,
ci faceva tremar fibra per
fibra,
né vedevam lo spettro che si libra
a tergo di
ogni donna,
che al fruscio delle perle e della gonna
nascoso
entro la chioma,
è il solo amante, e ambizion si noma.
Il
solo amante, il prediletto amante
della fanciulla errante
mesta
per via col cappellin sdruscito,
della compagna che al fatal
marito
quasi a baston si appoggia;
della superba che dall'alta
loggia
degna guardar la plebe,
e della fante nata sulle
glebe.
Sì, la fante che arriva in sul mercato
col viso
imporporato,
e in cui tu dentro al sen brunetto e tondo
sognavi
l'innocenza e il far giocondo,
ha anch'essa un
crinolino,
spera il mantel di seta e l'ombrellino,
e compra il
cacio e il pollo,
con quattro perle fálse intorno al
collo!
La crestaia ?... misura al tuo pagare
se degno sei
d'amare;
della tua borsa al nobile spessore
che particella ti
può dar del core,
fino a che punto il viso
farsi gentil,
per schiuderti un sorriso,
e ti misura i corni
dal numero
dei nastri onde l'adorni.
Fra le eleganti, che alla
fantasia
schiudono tanta via,
metà coi dolci della
faccia incanti,
e metà colle vesti auree,
striscianti,
e il volar dei cavalli,
e dita bianche strette in
guanti gialli,
potrà forse l'amore,
dopo tanto bussar,
trovarsi un core?
O pallido poeta, ecco, mia musa,
già
di pallor suffusa,
getta la luce sua fra queste sete,
fra tante
gemme in tanto oro sì liete;
spingi l'occhio sagace,
e
tenta i cori, e cercavi una face...
Ahi! lucignoli
solo
rischiarano del tuo l'ardente volo.
Se tu in mezzo
alle dame, o sventurato,
giammai ti se' innoltrato,
obliando
le tue rime balzane
in tasca, come briciole di pane...
Ah le
ascondi pudico,
o piuttosto le dona ad un mendico,
ché
il pan della tua fama
sale non ha che stuzzichi una dama!
In
chi, dimmi, versar l'onda infinita,
in que' bei dì
nudrita?
L'onda di un core che una volta appena
sia stato dalle
muse a pranzo o a cena?
Secol decimonono,
noi dividemmo i
fulmini dal tuono,
ma tu, crudel, rapisti
le scintille dai
cuori, e ci punisti!
Ecco! ogni anno che scende a noi trafuga,
nella veloce fuga,
qualche sacra dei nostri avoli
usanza!
Finir le serenate, e della coda
l'ondeggiar
venerando,
l'epica è morta, e del teatro Fiando
già
si minaccia il fato,
e cadrà dei Figini il
porticato...
Piangete, alme gentili, anche l'amore
si è
fatto viaggiatore;
per qualche più felice astro, infedele
ci abbandonava e spiegò al ciel le vele!
Qui,
Poesia soltanto
restò sparuta a pochi mesti accanto,
a
ricordar gli ardori
onde una volta arse i paterni cuori.
-
Amico! al dio defunto onor di eletti
carmi donai, perdetti
assai
tempo languendo, ora ci vedo,
e no, perdio! non voglio essere
Alfredo
s'esser non posso Arturo!
Amor, riposa in pace,
astro maturo:
amico, ai campi, ai campi;
addio di cuore, o
femminili inciampi!
Oh sì, amerem della natura i santi
i
benedetti incanti :
la montagna lucente in faccia a noi,
i
salici curvati ai lavatoi,
il lago specchio delle stelle, e i
molli
clivi dei nostri colli,
e i fior del prato, e i ruminanti
bovi
giacenti in mezzo ai rovi.
Il noce, l'olmo, i platani
romiti
ci appariran vestiti
della scorza che Iddio, sarto
giocondo,
destinò lor quando cuciva il mondo,
e
cogliendo tra l'erbe i gelsomini,
nudi di crinolini,
al
profumo, al candor li sceglieremo,
e ghirlande faremo!
E l'aura
che verrà dalla foresta,
sia risonante o mesta,
non
sarà, come i femminili accenti,
il mobil velo, no, dei
sentimenti;
sarà un semplice suon di ramo in ramo
un
sussurro, un richiamo
da nido a nido, che darà
frescura
a tutta la natura.
Sì, amico, lascia correr
l'acqua al mare,
lascia i bimbi sognare,
giungeranno piangendo
alla ragione;
lascia che dolci e candide persone
schiudan
sorrisi da strappar le stelle...
noi conosciam le belle:
e
colle muse al fianco, accorti eroi,
ci adorerem fra noi!
Giugno
1853.
17. TUTTI IN MASCHERA
Uom, tu che
nasci in maschera,
e mascherato muori,
osi insultar, se
incognito
è anch'esso il Dio, che adori?
Vorresti tu
conoscerlo
ed affisarlo ignudo,
come una compra femmina,
o
il conio di uno scudo?
Ma tu, da culla a feretro
lasci un sol
dì il mantello?
Ardisci mostrar l'indole
del cuore
e del cervello?
Dio che a ragione, o tanghero,
di te più
furbo è assai,
t'acqueta, la sua maschera
non
lascerà giammai.
E tu in ginocchio pregalo
che ci
lasci la nostra,
perché sarebbe orribile
l'anima messa
in mostra!
18. - Amor ci suscita,
ma come, e
donde?-
Le razze intrecciansi,
nessun risponde.
Inconscie
reclute,
travolte in guerra,
piovono l'anime
su questa
terra:
le stelle brillano
sui nostri amori,
il suol ci
germina
serti di fiori,
ma tutto è tenebre
pria della
culla,
e dopo il feretro
vediam più nulla!
19.
SENZ'ALI
- O del mio mesto april rondine cara,
vieni a
volar nella stanzetta mia,
quando l'arte, di amplessi ahi! troppo
avara,
del disinganno vittima mi oblia!
Vieni e vedrai,
specchio di un tuo sorriso,
la tavolozza mia tutta
splendore,
e sentirai, commosse al dolce viso,
le fosche tele
sussurrar d'amore... -
Ma, ahi lasso! la gentil mia rondinella,
è
una debole, trepida fanciulla,
che, sebben come un angelo sia
bella,
fu senz'ali posata entro la culla;
e quando esce di casa
a far mazzetti
della viola sui margini odorosa,
e a sospirar
nei placidi boschetti
il dì che intrecci ghirlanda di
sposa:
non vola, no, libera in mezzo al cielo,
ma preme il
suolo, e a colmo di sventura,
la madre ha accanto che le abbassa
il velo,
e la dilunga ognor dalle mie mura.
20.
LARVE ELEGANTI
Come fra nebbia nei boschi caduta,
io
dell'età vissuta,
rammento i giorni sacri al primo
amore;
quelli in cui sbuccia il core
come dai chiusi petali al
mattino
un puro gelsomino;
quando, coll'alba, discendean,
sull'ali
dei sogni, a' miei guanciali,
palpiti strani e
idoleggiate torme
di seducenti forme!
Nella memoria mi
riposa ancora
la vita di quell'ora,
e veggo omeri bianchi e
bianchi denti,
e labbra sorridenti,
e occhi mesti e pupille
accese e nere
passar davanti a schiere,
lasso! e non una
ne sortì, gentile
tesor primaverile,
a offrirmi i baci,
a offrirmi il santo affetto
sognato al loro aspetto... ?
Eran
tutte fanciulle innebriate
di danze avvicendate,
eran fanciulle
che leggean romanzi
di fantasimi e ganzi,
eran fanciulle che
poneansi al crine
fra i vezzi, fra le trine
e gemme e
perle e corone immortali
di fiori artificiali...
ed io già
in petto avea l'onda dei versi,
e gli occhi al ciel conversi,
e
già pensoso mi smarrivo a sera,
tra i fior della
riviera,
ascoltando il sospir che mollemente
muove dal sol
morente!
21
Spesso i sogni che all'anima son
belli,
ti aleggiano d'intorno al primo albore,
quando fuor del
verone i mesti augelli
sospirano del cielo il tenebrore.
La tua
vergine allora, in abbandono,
ti stringe il core che di gioia
piange,
e, innebriato, ti risvegli al suono
della pioggia che
a' tuoi vetri si frange.
22. IL POETA UBBRIACO
Datemi
un nappo, datemi dei versi;
le imposte aprite, entrino i venti e
il sole:
quanti fantasmi nel cervel dispersi!
Che musica di
forme, e di parole!
Sento un odor di grandine e di rose,
e
il vo' scrivere in versi alessandrini:
come fanciulle flebili e
amorose
cantin le cetre dai sonori crini;
e dando il braccio a
sedicenni amanti,
pallide di languore e di piacere,
orsù,
apparite, o ciclopi, o giganti,
e danzatemi intorno al
tavoliere!
Sento il raggio del sol scendermi in petto,
e
scaldar fibre sconosciute ancora;
- giganti, il vostro mistico
balletto
ama la nota flebile o sonora?
Volete le cadenze
imbalsamate
di fragranze di rosa e gelsomino,
o le rime dal
turbine accozzate,
come foglie cadute in sul cammino?
O la
canzon della notturna pesca
che naufraga piangendo fra i marosi,
o
lo stridor con cui la tigre adesca
l'arabo in caccia fra i palmeti
ombrosi?
Volete il canto che intuonò Maometto,
o il
salmodiar che il Nazareno onora?
Giganti, il vostro mistico
balletto,
ama la nota flebile o sonora? -
Sento un odor di
grandine e di rose,
e il vo' scrivere in versi alessandrini;
come fanciulle flebili, amorose,
cantin le cetre dai
sonori crini!
Ma, o sedicenni danzatrici bionde,
volete i
nostri balli, o i balli antichi;
dell'India amate le danze
feconde,
o il rustico ballar nei piani aprichi?
Volete in giro
rotear sul prato,
le mani unendo, e accelerando il piede,
o
amate saltellar lungo il selciato,
come le donne sue Napoli
vede?
O come anella musiche, alle dita
i legnicciuoli della
catalana,
a fascinar volete alla partita
i giovinetti con la
danza ispana?
Volete il ballo del francese amato,
da cui
l'uom pio scandalezzato riede,
o amate saltellar lungo il
selciato,
come le donne sue Napoli vede?-
Datemi un nappo,
datemi dei versi!
Le imposte aprite, entrino i venti e il
sole!
Quanti fantasmi nel cervel dispersi,
che musica di forme
e di parole!
Oh sorridete, sedicenni amanti,
pallide di
languore e di piacere;
o eroi di fiamma, o ciclopi, o
giganti,
dite, entrar posso nelle vostre schiere?
L'anima è
un mar di note onnipossenti,
e sotto i baci del licor di
Chio,
forti ho le braccia, e l'ali al cor potenti!
- Dite,
entrar posso nella ridda anch'io?
Roteamo, cantiam, bimbe,
giganti!
E d'amore e di vin qui scorra un fiume;
versi, aria,
luce, fior nei crini erranti,
io brucio, e sento che divento un
Nume!-
23. RITRATTI ANTICHI
Tele antiche, io vi
saluto,
che dall'arte profumate,
qui vivete, come mummie
delle
razze trapassate!-
Ecco appeso alle pareti
lungo stuol di
cavalieri:
una truppa di guerrieri
che la morte insiem
colpì!
Ecco vergini e matrone
dalla nobile sembianza,
che di sguardi malinconici
intersecano la stanza;
ecco
frati, e suore, e preti,
cui nel volto ancor si legge
la
nequizia che fu legge
per le plebi di altri dì!
- O
bruna fanciulla
che sempre sorridi,
ti dieder la culla
gli
iberici lidi?
Quegli occhi più fulgidi
dell'aurea
cornice,
oh dimmi se resero
un uomo felice!
Di nacchere e
ghitarre
oh ardor di serenate!...
Dimmi, quanti
morirono
sotto tue lunghe occhiate?
Ringraziane il pittore!
La
tua sembianza suscita
faville ancor d'amore,
la tua potenza
magica
tutta spenta non è:
se vengo a farti visita
sogno
la notte a te! -
- O fiero soldato
che impugni la spada,
è
orgoglio sprecato,
nessuno a te bada:
a cento ti
passano
davanti i codardi,
e impavidi affrontano
l'orror de'
tuoi sguardi!
E un dì quel brando in fuga
forse ponea le
armate...
dimmi quanti morirono
sotto le tue
pedate?
Ringraziane il pittore!
Se più non fugge il
pubblico
compreso di terrore,
la tua sembianza suscita
un
desiderio in me:
vorrei veder sul Mincio
la rotta intorno a te.
-
- O pingue matrona,
che appoggi alla sponda ;
dell'ampia
poltrona
la faccia rotonda,
per certo fiorivano
i pranzi al
tuo tetto;
oh dimmi lo stomaco
ti fece difetto?
Odor di
tue cucine
dopo le pingui caccie!...
Dimmi, quanti rnorirono
sotto le tue focaccie?
Ringraziane il pittore!
La tua
sembianza suscita
il chilo e il buon umore;
la tua potenza
magica
tutta spenta non è;
se l'appetito
langue
vengo fidente a te! -
- Ma tu cardinale
dal viso
paffuto,
dall'occhio bestiale,
tu pur se' vissuto?
Sù
dimmi, al tuo secolo
fiorìa la bottega?
Con quanti
carnefici
stringesti tu lega?
Temevano gli armenti
levar
su voi le faccie?
Dimmi, quanti morirono
sotto le tue minaccie?
Maledici al pittore!
la tua sembianza suscita
e lo
schifo, e l'orrore!
Se in petto avessi un pallido
baglior della
tua fé,
si spegnerebbe, o lurida
figura, innanzi a
te! -
Gennaio 1862.
24. AMOR DI CRESTAIA
-
No, mia diletta, non ho più quattrini,
per mutarteli in
nastri e in cappellini:
siamo a Natale, e le mie due
sorelle
aspettano un mio dono a farsi belle,
e le sorelle, e la
mamma, e la nonna,
già da un anno sdrusciscono una
gonna:
Nina, se m'ami, non cercar denaro,
son povero, lo sai,
non sono avaro.-
- Mi parli già da mesi, o giovinetto,
e
sai se al mondo ebbi più caldo affetto;
sai che di
baci mi bruciasti il viso,
sai che m'addenta il cuore un tuo
sorriso,
sai che son tutta tua dal capo a' piedi...
ma, santo
Dio, non ho il coraggio, credi,
se alcun mi chiede chi mi portò
via,
di dirgli il nome della fiamma mia!
Darei la vita per
la tua famiglia,
ma, ve', il tessuto tutto s'assottiglia;
puoi
tu vedermi uscir così sdruscita?
Per le sorelle tue darei
la vita,
perché son buone e son cortesi e belle,
e
perché infine son le tue sorelle:
ma, Dio santo, non ho,
non ho un'amica
più innamorata, e di me più
mendica!-
Il giovinetto comprerà la vesta,
perché
la sorte degli amanti è questa;
oblierà vedendola
giuliva
il focolar ch'ei di conforti priva...
Finché, un
bel dì, la fervida crestaia
la gonna sdegnerà
dell'operaia,
e spariran, di un ricco al nuovo affetto,
i
regali e l'amor del poveretto!
25. ASSOLUZIONE
La
mia ganza, una bimba assai devota,
e credo, a molti parroci ben
nota,
venne a narrarmi, tutta addolorata,
l'ira del prete che
l'ha confessata;
- Eh via - le dissi - vien, vieni a cenare,
io
stesso poi ti voglio confessare,
e se vedrò che mi vuoi
bene assai,
assoluzione e baci in copia avrai;
ché Dio
promise, in questo oh grande e buono!
a chi avrà molto
amato, il suo perdono! -
26. ORGIA
Versate
amici il nettare divino!
Bruna è la notte, e la face
scintilla:
spumeggi in cor coll'ispirato vino
la musa
brilla!
Splende la face e s'avvicina il giorno;
nei colmi
nappi un'anima s'asconde;
versate, amici, e danzatemi intorno
e
brune e bionde!
Buia è la notte, e miagolan sui tetti
come
bimbi sgozzati i gatti amanti;
cantiam, cantiam gli
sprigionati petti.
le treccie erranti,
le tese braccie delle
danzatrici!
Splende la face, amiamoci, e beviamo;
è
dolce sussurrar fra nappi e amici :
fanciulla, io t'amo!
Fra
gli spruzzi del vin, come, a vederla,
la schiera delle amanti è
più gentile;
son come i fior che la rugiada imperla
ai
dì d'aprile.
Versate, amici, il nettare divino!
Bruna
è la notte, e la face scintilla:
spumeggi in cor
coll'ispirato vino
la musa brilla!
Cozziam le tazze, ed
accozziam canzoni,
l'anima e il corpo insiem perdano il
perno,
e a conto nostro danzino i demoni
nel loro
inferno!
Brindisi ad essi, e agli angeli dei cielì,
brindisi
al sole, e agli astri pellegrini,
brindisi al mare, al
fulmine, e agli steli
dei fiorellini!
Splende la face, e
s'avvicina il giorno:
nei colmi nappi un'anima s'asconde!
Versate,
amici, e danzatemi intorno
e brune, e bionde!
Tutti,
tutte, ahi! corrà l'eterna notte
dopo queste d'amor fulgidi
notti;
morrem noi pur, frammisti alle bigotte
ed ai bigotti;
ma di costor la vivida natura
ritemprar non potrà,
col cener molle,
che ortiche, e rovi, e squallida verdura
d'aglio
e cipolle.
Dalle ceneri nostre, ancor frementi
del vasto
incendio che abitò le salme,
evviva, amici! nasceranno ai
venti
platani e palme!
27. Quella ciarliera,
Angelica,
fante di casa mia,
mi narrava di un Tizio
morto
di apoplessia,
e raccontar credevasi
un'alta
verità,
dicendo: " Quel buon diavolo
andò al
mondo di là!".
- Al mondo ? - io chiesi - spiègati
:
di là ? di là di che ? ".
Ma credereste ?
Angelica
non ne sa più di me,
e non poté
rispondermi
né il come, né il perché!
28.
VERITA'
Ho il canto dell'ùpupa,
ho il viso di un
prete,
le penne di un passero
sfuggito alla
rete,
fanciulla, per essermi
sì cruda e severa?
Se'
tu inespugnabile,
mia bella trinciera?
Che filtri, che
spasimi
fan d'uopo al tuo cuore,
perché mi
rimuneri
di un raggio d'amore?
Vuoi dunque ch'io
lagrimi,
ritrosa romana,
al par delle statue
di piazza
Fontana?
Ch'io vada pescandoti,
per darti la cena,
nel
nostro naviglio
delfino, o murena ?
Ch'io danzi coi trampoli
su
un filo di seta,
che un ago ti fabbrichi
di carta o di
creta?
Ch'io strozzi un canonico
coll'irte tue
chiome,
ch'io fermi l'elettrico
gridando il tuo nome?
Ch'io
rubi nell'etere
di stelle un collare,
o fili il tuo
strascico
col raggio lunare ?...
E sì che le
bubbole
potrei qui finire,
se avessi la voglia
di farti
arrossire,
fanciulla, dicendoti
la prosa del vero:
- Ho
d'oro penuria,
son grullo se spero. -
29. NELLA
TOMBA
Preda dei vermi languidi,
sarà vendetta
mia,
per entro all'ossa putride
studiando anatomia,
nuda
veder l'origine
d'ogni mia pena, il cor!
E la ragion
richiedergli
di tanto e tanto amor...
Poi, bardo estinto, un
ultimo
sospiro accoglierò,
per ringraziar
l'artefice
che la cassa inchiodò,
e alla chiesa
cattolica
perdonar, nella quiete,
il puzzo delle esequie,
e
il brontolìo del prete!
30. VECCHIERELLI AL
SOLE
- Sulla porta dell'ospizio,
dove usciste in lenta
schiera,
che vi dice, o miei vecchietti,
questo sol di
primavera?
Oh narrate di che palpiti,
tramontati i caldi
affetti
frema ancor l'età senile
all'arrivo dell'aprile
;
della speme tornan gli angeli,
o vi afferra il disinganno?
Dice il cor: siam vivi ancora,
o vi dice : è
l'ultim'anno ?
Quest'auretta carezzevole,
vecchierelli, vi
innamora,
o vi strazia col pensiero
ch'ella è muta
in cimitero?
Oh il gennaio malinconico
rammentate, quando il
cielo
era bigio, e al letticciuolo
vi assalia la nebbia e il
gelo!
Rammentatevi le lagrime
che spargeste in questo
suolo;
e gli stenti, e glí sconforti,
e gli amici che
son morti!
E direte: Auretta tiepida,
il Signor t'ha
benedetta:
son pur belli in primavera
il giardin, la
cameretta!
E direte: Auretta tiepida,
del Signor sei
messaggiera;
spunti, auretta, il giorno estremo,
noi lassù
ci incontreremo!-
31.
I SUPERSTITI
Una mesta mi additarono
giovinetta a brun
vestita,
e mi dissero: - É la Rita
che ha perduto il
genitor! -
Pochi mesi sorvolarono,
la rividi in una
festa:
avea candida la vesta
e danzava in mezzo ai fior!
Vidi
al corso un cocchio splendido:
son gli eredi di un marchese,
che
di qui, non corse un mese,
dentro il feretro passò!
Una
sposa mi mostrarono
più di ogni altra seducente,
e allo
sposo sorridente
qual chi molto e a lungo amò...
Così bella, così giovane,
chiusi gli occhi a
un altro avea:
or le fila ritessea
dell'amor che sepellì!
Sì, fra i canti dell'esequie,
scorron lagrime
dirotte,
ma, asciugate in una notte,
son sorrisi al nuovo
dì!
Sù, coraggio, o musa pallida,
vieni meco
al cimitero;
ve' di croci il campo è nero,
e siam soli
in mezzo a lor!
Ma non val sospiro o lagrima
quest'oblio dei
visitanti:
siamo tutti commedianti,
commediante è
il tuo cantor!
Spesso i giorni dei superstiti
son da un feretro
abbelliti,
dei nepoti agli appetiti
desco è spesso
un freddo avel;
se qui pria giunge la figlia
presto il padre si
consola,
che davanti a un'altra stola
potrà dare un
altro anel;
più il riccone invecchia e al
parroco
sospirar fa i bruni arredi,
più la rabbia degli
eredi
gli conforta i vecchi dì.
Se... ma tremi o musa?
debole,
tanto inver non ti credeva ;
che? tu pur se'
figlia d'Eva,
e tu lagrimi così?
Oh all'inferno e pianti
e tumuli!
Ritorniamo a porta Renza,
là è
l'altar dell'apparenza
tutto è festa, e buon umor!
E
stassera, o mesta vergine,
noi stassera, danzeremo,
e nel vino
affogheremo
le mie ciancie e il tuo dolor!
32.
LA LIBRERIA
Spesso io contemplo in estasi
la vecchia
libreria,
la fida amica, l'anima
della stanzetta mia,
e,
quando mesto io veglio,
parmi udirla cantare
le note
indefinibili
che han le campagne e il mare.
Io, come un uomo
celibe,
che per passar la festa
esce all'aperto, e in
ozio
vagando alla foresta
coglie sbadato ai margini
un
mazzolin di fiori,
e fa un pazzo miscuglio
di forme e di
colori:
qui fuggendo i papaveri
dei greci e dei
latini,
raccolsi del mio cranio
i pochi fiorellini:
qui,
dì per dì, pascevasi
la giovinezza mia;
dell'alma
è il calendario
la vecchia libreria.
D'antichi e nuovi
scheletri
vi giace un cimitero:
messer Francesco spasima
presso il gagliardo Omero,
Rousseau e Plutarco fiutansi,
e
i santi Evangelisti
placidi sonni dormono
in braccio agli
antecristi!
Giusti, compagno incomodo,
dà nel fianco a
Marini,
Manzoni inconsapevole
sostiene Niccolini ;
sotto
que' vetri sparvero
gelosie di mestiere,
e vivono in
famiglia
codice e canzoniere.
Vi son volumi fracidi
dei
secoli passati,
dal tabacco degli avoli
dipinti e
consacrati,
vi son moderni in
folio
legati a ghirigori,
che sembran dir: -
guardateci
non siam belli... di fuorí? -
Vi posa, o pia
memoria!
tolto al suo tavoliere,
dell'ava mia carissima
un
libro di preghiere,
dal mio giovine orgoglio
ahimè!
troppo obliato
fra i sogni dell'infanzia,
che i preti mi
han turbato.
Ella alle eterne pagine,
bimbo, mi innamorava,
e
vi ponea per indice
i fior ch'io le donava;
ma l'ava santa
è in polvere,
i fior sono avvizziti,
e della fede gli
angeli
con lei, con lei spariti!
Cade la pioggia a torrenti, e
risuonano
come tasti di cembalo le tegole;
un gatto nel
cortil miagola ed urla,
quasi di spento vate anima
errante!
crepita il focolar, bizzarramente
illuminando la mia
fredda stanza:
ve', il letto mi sorride in un
cantuccio...
se' tu l'amante che all'amplesso inviti?
Ma invano
al gelo della strada io penso,
e a chi corre affannato la
campagna,
per farmi dolci colla pena altrui
la quiete, e
il sonno.. i miei scaffali vegliano
ed io qui resto ad ascoltarli
intento!
Come fauci di cantanti
che si muovono su e giù,
or
si schiudono, or si serrano
i volumi palpitanti,
quasi
albergo all'alme fossero
degli autor che non son più!
Udite,
udite il cantico
che accompagna la pioggia;
or chi mi parla, è
un logoro
libro d'antica foggia:
- Giovinetto, che guardi e
sospiri,
qual speranza ti ride nel cor?
Tarpa l'ali de' lunghi
desiri,
oltre il mondo non cerca l'amor!
Liba, liba alla
vita, infelice,
ché a galoppo s'involano i dì;
la
speranza è una dea traditrice,
tutto fu quando il corpo
morì!
Ve' che notte, che venti, che gelo,
ve' che
cenere al tuo focolar!
Oh non pensa ai misteri del cielo,
corri
invece una donna a cercar:
i tesori degli omeri nudi,
delle
chiome cosparse di fior!
Oh divini di Venere ludi
quando Bacco
le avviva i color!
Ama, e bevi, gentil giovinetto!
Conta l'ore
coi baci e i bicchier;
la bottiglia ed un candido petto,
ecco
il nume, ecco il culto, ecco il Ver!-
- Ahimè! ho libato al
calice
dei godimenti umani!
Dei baci amai la musica,
e
anch'io cacciai le mani
tra profumate chiome,
e di più
d'una il nome
mi si stampò nel cor!
Io pur cercai nei
pampini
di Bacco, un dì, la gioia;
ma fra
l'ebbrezza e l'estasi,
quando sparve la noia?
Succhiato ho
disinganni,
veleno di malanni,
col vino e coll'amor!
O
maledetta, inutile
se tutta è qui la vita!
Questa mia
bella imagine
fu dunque partorita,
di donne a trionfare,
e
le viti a sfruttare,
e tutto, e tutto è qui?
No: libro
infame, l'anima
sento fremermi in petto,
e confidente il
termine
del mio galoppo aspetto!
Ma chi mi dice dove,
e di
che tempre nuove,
fia de' risorti il dì? -
Sotto i
vetri i libri altercano
e di pagine è un fruscìo,
qual
di foglie che al natìo
tronco strappa l'uragan!
-
Bimbo! un altro volume mi dice,
vivi e alterna i tuoi canti
felice!
Il tuo spirto dal corpo spiccato,
poi che i liberi
cieli ha adorato,
un volante augeletto sarà;
un augello
di cento colori
che da un nido contesto di fiori,
modulando
divini concenti,
e cullato dall'ali dei venti,
fino al sole il
suo vol spingerà!-
- No - grida un fascicolo -
all'ultimo
dì,
nel cielo ti aspettano
le fervide Urì... -
Ma
qui, cercando un'altra rima in i,
m'accorgo che la musica
di
più chiare cadenze si vestì!...
Son sorci, sorci,
ahi misero,
che fan la vecchia libreria vibrar...
e già
da un mese io lascio
col vago suon la fantasia volar!
Poi
se vi garba, ditemi
che i poeti non sono da legar!
Altro non è
la musica
che una cena di topi viaggiator...
Io che sperava
scrivere
su questo tema tanti versi ancor,
darò al
fuoco la cantica,
e nelle coltri metterò il cantor!
Oh!
ma prima al pericolo
il ricordo togliamo
della mia nonna:
o povero
libro fra tutti io t'amo!. .
Ecco i salmi di Davide,
ed ecco, ecco il Vangelo...
come era bello il cielo
ch'io vi leggeva un dì!
E adesso ?... oh torna
all'anima
sempre l'antica fede;
cinto di pie memorie,
il Dio
dei padri riede;
riede possente, e il bacio
che al libro
or ora io dava,
dal tumulo dell'ava
securo a Lui salì!
33.
L'INNO DI PIO NONO
Quando in marzo fuggirono
le insegne
giallonere,
e alle nostre bandiere
risero i tre color;
noi
cantavamo, pargoli,
l'Inno di Pio nono,
che dei tiranni al
trono
malediceva allor.
Ma un dì la madre dissemi,
tutta
piangente e smorta:
- Questa canzone è morta,
non
la cantar mai più! -
Quel dì, le madri
italiche
tutte ammonir la prole,
perché di Roma il sole
un lampo, un lampo fu!
Quei bimbi che inneggiavano
or
più non siam, perdio!
Siam la legione, o Pio,
che il
Campidoglio avrà;
siam gli implacati vindici
del
pianto delle madri,
siam l'egida dei padri
risorti a
libertà!
34. AI COLLEGHI NAPOLETANI
Chi
partìa dalla bella laguna
verso il golfo che pari non ha,
e
dell'arte l'intatta fortuna
ricercava alle cento città;
chi
movea dall'avello di Dante,
di Virgilio cercando l'avel,
ben
trovava uno sempre il sembiante
dei fratelli, e il sorriso del
ciel!
Sol cambiava divisa lo sgherro
che spiava il suo sacro
cammin,
e scorgeva barriere di ferro
dal Cenisio
all'estremo Apennin!
- Dite or voi, giunti pur da lontano,
il
confin dell'Italia dov'è!
Voi venuti a far lieta Milano
messaggier di concordia e di fé!
Ah si stringan le
destre, ché eterna
questa pagina al mondo starà;
e
si ingemmi coll'arte fraterna
che gigante qual fu, tornerà!
E or salpando alla bella contrada
vi sian facili i venti
del mar;
noi sappiam che a far breve la strada
vi fia dolce di
noi ricordar!
E se Napoli, giunti, vi chiede
che novella
Milano le dà,
voi cui mesce l'italica fede
alla gioia
un'immensa pietà:
dite a lei, che la suora diletta
le
rimanda un amplesso d'amor...
ma che Roma confida ed
aspetta,
e Venezia è una martire ancor!
35.
Oh
non passate mai, plebi frementi,
femmine folleggianti in
carnevale,
cori festosi e musiche plaudenti,
non passate
dinnanzi all'ospitale!
Lasciate che sul misero
guanciale
rassegnati riposino i morenti,
assopiti
aspettando il funerale
corona alle sciagure, e ai
patimenti.
Lasciateli coll'angelo che canta
la divina melode
all'infelice:
col Cherubino della fede santa.
Ahi! se i
fantasmi del gioir superno
turba la vostra voce
insultatrice,
sparisce il cielo, e schiudesi l'inferno!
36.
CONSIGLIO
Donne, voi somigliate alla natura
che, se
sorride, gli uomini innamora,
e desta la mestizia e la
paura,
quando minaccia e quando si scolora.
Ma rammentate che
l'april, se infiora
tutto nei campi, lascia fredda e scura
l'alma che gli alti suoi misteri ignora
e del bello alla
fiamma non si appura.
Oh dell'aprile candide
sorelle!
Somigliategli in tutto, disprezzate
chi non adora
che la vostra pelle,
e soltanto le fide anime amate
che,
sotto il velo delle forme belle,
sanno i tesori che nel cor
celate!
37. COMMISSIONE
Metti un gaio color
sul tuo pennello,
e dipingimi un cielo al primo albore;
poi fra
le piante e i fior di un praticello,
un somarello - che canti
d'amore.
Metti, se non puoi l'oro, almen l'orpello
sul tuo
pennello - amico dipintore,
perché quel cielo
rilucente e bello
l'occhio abbarbagli dello spettatore.
Il
somaro che innalza i caldi lai
spiri dagli occhi un'aria
sofferente
qual di chi spera, e lieto non fia mai:
poi quando
la tua tela mi darai,
io ti dirò se ben ritratto avrai
il
volto di madonna e il committente!
38. STAGIONE
PROPIZIA
Quando muoiono i fiori ai davanzali,
e quando i
vetri la nebbia accarezza,
e le rondini in mar battono l'ali,
e
del negro fanciul di val Vegezza
il grido, che dai vertici
natali
chiamando il freddo e la malinconia,
par, della via fra
i suoni incerti e uguali,
un la stonato in una
sinfonia:
è quello il tempo di trovar marito,
fanciulle:
allora l'uom che sta soletto,
come le membra, ha il core
intirizzito;
e nella pace del deserto tetto
di un angelo che
seco a un muto invito
s'assida al focolar, dolce è
l'aspetto!
39. PICCOLE MISERIE
Primi
rancori, puerili pianti,
capitomboli miei sul pavimento,
rabbuffi delle serve intolleranti,
e fiabe delle mie notti
sgomento;
giocatoli calpesti, e vetri infranti,
alfabeto del
mio labro tormento,
schiaffi delle maestre, e pensi erranti
sui
scartafacci, ancora io vi rammento.
Fiuto ancor della cattedra
l'odore,
risento il gelo delle vaste scuole,
e riveggo il
bidello e il professore. . .
Oh memoria crudel, spina del cuore!
E
dove sono il volto e le parole
dei primi amici, e del mio primo
amore?
40. AMICI ALLA PORTA
Coppie eleganti
della vaga festa,
c'è alla porta una folla di signori
di
vario sesso, di diversa vesta,
amici che vi aspettano di
fuori.
Son tanti i tipi, son tanti i colori,
che di farli
inoltrar mi venne in testa;
ma una donna fra lor, cinta di
fiori,
mi dissuase, e la ragione è questa:
mi disse il
nome dei compagni suoi:
scusatemi, dei vizii è la brigata,
che per danzar dimenticaste a casa;
e è la virtù
di gigli incoronata,
quella che entrar non volle, persuasa
di
trovar pochi amici in mezzo a voi.
41. FANCIULLA IN
DELIRIO
- Levatemi le coltri!... è maggiorana,
che
bisogna piantar nel mio giardino
Ascolta... a festa suona la
campana...
ma che fa qui in un angolo il becchino?
Deh,
profumami, madre, il moccichino
coll'olezzo dei colli, e la
sottana
dammi ch'io vi ricami un fiorellino...
ma il
vecchierello ov'è che mi risana?
Oh non più, madre,
medicine amare,
stanotte io feci un sogno fortunato...
e
al dottore lo voglio raccontare;
un bel sogno... era un giovane
soldato,
poi venne un prete... poi vidi un altare...
Madre,
madre, il becchin l'hai congedato? -
42. OLANDA
Un
cielo grigio, una mesta campagna
che uniforme svanisce
all'orizzonte,
un placido canal che l'accompagna,
e
qualche donna che scende alla fonte;
lungi, nei prati che la
nebbia bagna,
la città sulla gotica sua fronte
alza
l'antica cattedral grifagna,
sparuta come il vertice di un
monte...
- Non hai teco un rimario, viaggiatore?
-
Ove
fuggisti, o mio lepido umore,
in che borgo ho smarrite le
parole?
Sì, al focolar del prima albergatore,
sento
che canterai, povero core,
l'amor d'Italia, e dell'Italia il
sole!
43. VETTURA NOTTURNA
- Per la deserta
strada, o viaggiatore,
dove t'affretti ai raggi della luna?
una
madre lasciasti, il genitore
e sposa e bimbi, per cercar
fortuna?
La notte in breve si farà più bruna:
forse al varco ti attende un traditore,
e cadran tue
speranze ad una ad una,
come le foglie d'appassito fiore.
Se
soltanto lasciasti una stanzetta,
un davanzal fiorito, un
letticciuolo,
la portinaia, o un cane che ti aspetta,
cedi al
mesto pensiero, e torna a volo:
quanti pianser, ma tardi, la
negletta
povertà lieta del paterno suolo!
44.
PITTORI SUL VERO
Schiudesti appena il tuo logoro ombrello,
e
giù d'urti e di inchieste ti circonda
di pescatori un
garrulo drappello,
e dura legge è pur che si risponda.
-
Eh, che mai fa ? - Dipingo. - Oh bello, oh bello!...
- Ma come ? -
Come posso. - E cosa ? - L'onda.
- L'onda del mar?... ci metta
anche un battello.
- Il tuo, no, il mio che azzurri ha remi e
sponda.
- Ma del quadro che fa, lassù a Milano?
- Al
prossimo di buona volontà
lo vendo come l'ostriche e il
merlano. -
La gente crolla il capo e se ne va,
dicendo : - É
un pazzo - ed io soggiungo piano :
- V'ha chi tali ci crede anche
in città. -
45.
Ma
bello è quando parlano, seguendo
del pennello la corsa
affaccendata,
e fra loro in famiglia discorrendo,
di tutti
i casolar della borgata.
- To', la casa di Gilda è già
segnata!
- Ve' la finestra qui del Reverendo!
Or che la
fante gli cadde malata,
anch'egli il pover'uom va impallidendo.
-
Guarda la barca di compar Clemente
che s'è annegato
pescando corallo!
- Ve', ve', il giardino qui
dell'Intendente!
- Oh ma non scriva, no, quel muro giallo:
vi
sta un ricco che mai messa non sente,
e il curato lo danna senza
fallo! -
46.
Ma
chi di voi parlerà
degnamente,
osterie che i pittor
ricoverate?
Delle vostre cucine è nume un niente
frammisto
di cipolle e di patate!
Sognate vino e ostiera seducente?
Un
vecchio marinar vi ritrovate,
che vi schiude una stanza
puzzolente...
Della cantina ohimè non ne parlate!
Ma
quando tapezzata è la stanzetta
di tele, e qualche amabile
pilota
narra gli eventi della sua barchetta
e un letticciuol le
stanche membra aspetta...
l'itinerario del diman si nota,
e
sulle labra vien la canzonetta!
47.
Pensate
a un uom, prigione alla locanda,
con una pioggia che a torrenti
cade!
Se costui Cristo al diavolo non manda
É paura
d'entrambi che lo invade.
Uscir?... di fango sono un mar le
strade,
e le mie scarpe han l'aria miseranda;
che cesserà,
l'oste mi persuade,
e ch'io pazienti ancor mi raccomanda.
Si
comincia a educare il gatto o il cane
con cento schiaffi, ed un
soldo di pane,
poi si contano travi e casseruole,
poi
sospinta la serva alle carole,
e affumicate dei sorci le
tane,
sbadigliando si scrive un inno al sole!
48.
Ma
ritornato dalla lunga gita
alla casa paterna, a' tuoi
diletti,
d'alme memorie l'anima arricchita,
e la valigia piena
di abbozzetti:
come lieto rivedi i cavalletti
che
abbellano la tua stanza romita,
e come lieto ai muri
prediletti
appendi la tua preda, al mar rapita!
Poi come è
dolce raccontar gli eventi
agli amici del tuo viaggio lontano,
e
innamorarli dei lidi ridenti!
E quando, solo al tuo lavor, la mano
trascorre, e vola il cuore, ancor tu senti
fuor dai vetri
il fragor dell'oceàno!
49. CRITICA D'ARTE
L'ho
visto il quadro... è bello, è sorprendente!
Che
gagliardo color, che forma pura!...
Però nel fondo non
capisco niente,
e l'argomento mi mette paura.
La barba del
pontefice Clemente,
ditelo voi, non vi par troppo oscura?...
E
quella faccia di donna languente
è tipo superiore alla
natura!
Poi c'è quel dito, ahimè! del cardinale,
che
pecca assai nella sinistra parte;
sono inezie, lo so, ma
piano piano
si sdrucciola nel falso e nel balzano!
Ah, in
questa Italia benedetta, l'arte
ahimè va male, ahimè
va mal, va male!
50. ADORAZIONE
- A messa mi
volete alle sett'ore?
No, guardate lassù che amena
vetta!
Domani io sarò là sul primo albore,
a
cogliere per voi timo e violetta.
E se non mi vedete alla
chiesetta,
non paventate l'ira del Signore:
non è
incenso o latin che lo diletta,
ma il profumo, ma l'estasi
del core!
E il mio cor, che quaggiù pensa a voi sola,
se
lo porto sui monti a respirare,
miracolo! adorando al ciel se 'n
vola,
e del bello commosso alla parola
che susurrano intorno i
campi e il mare,
egli diventa il mio unico altare!