Francesco
Redi
ARIANNA
INFERMA
Al replicato invito
del
bevitor Marito
tanto bevve Arianna ,
ch'alla fin s'ammalò;
e
nulla le giovò
la Greca Panacea , l'Egizia Manna.
Per
fiera febbre ardente
giacea mesta, e dolente,
e senza trovar
mai sonno, o quiete,
in eterno delirio
la sconsolata si moria
di sete .
Delirava, e delirante ,
Affannata, ed anelante
si
doleva, e tra' lamenti
garruletta,
sdegnosetta ,
proruppe
alfine in cosìffatti accenti:
damigelle
troppo ingrate,
a servirmi destinate,
perché il bever mi
negate ?
Su portate pel mio bevere
tutte quante le gelate
acque
d'Arno, acque del Tevere;
su portate al labbro asciutto
ogni
flutto
che dal Nilo, e che dal Gange
mormorando al mar si
frange .
E se temete, che schiamazzi il medico
colla solita
sua burbera cera,
pe' rabbuffi schivar di quel malèdico
portatemi dell'acqua di Nocera.
Questa
è buona alla febbre e al dolor colico ,
guarisce la
renella, e il mal di petto,
fa diventare allegro il
malinconico,
l'appigionasi appicca al cataletto,
ed in ozio fa
star tutt'i becchini,
ma non bisogna berla a centellini ;
e
quel che importa, il medico l'approva,
e in centomila casi
stravaganti
ha fatto ancor di sue virtù la
prova
celebrandola più del vin di Chianti.
Ci
vuol altro alla mia sete,
che le frottole e i riboboli ,
su su
pronte omai correte
alle Najadi di Boboli .
Bella
Najade diletta,
se per sete io vengo meno,
porgi a me dal
fresco seno
l'onda pura, e l'onda schietta.
Su
su d'edere , e di salici
coronatemi la fronte,
voglio ber di
quel bel fonte
più di mille, e mille calici.
Vo'
tuffarmi in quell'argento ;
vo' guizzar fin giù nel fondo,
perché resti affatto spento
del mio sen l'ardor
profondo.
Non è tanto
ardore a Stromboli,
quanto in seno io n'ho ristretto ;
parmi
proprio che nel petto
faccia il cuor de' capitomboli .
O
Sileno vecchierello ,
se non vuoi gire a bisdosso,
metti il
basto all'asinello,
e poi trotta a più non
posso.
Trotta lassù,
dove tant'acqua spande
sotto Fiesole antica il buon Vitelli
,
colma un otro d'argento assai ben grande,
ben tronfio,
pettoruto, e de' più belli.
Vecchierello
mio cortese,
se mi fai questo piacere,
ti vo' fare alle mie
spese
più che mezzo cavaliere :
va' pur via senza far
motto,
e ritorna ma di trotto .
Una
sete superba, che regna
tra le fauci , e nel mezzo del
sen,
dispettosa, adirosa si sdegna
d'ogni indugio, che fatto le
vien.
Corri Nisa , prendi una
conca
di maiolica invetriata ,
empila, colmala d'acqua cedrata
,
ma non di quella, ch'il volgo si cionca :
ma se vuoi, Nisa,
farti un grande onore,
togli di quella, che d'odor sì
piena
serbasi per la bocca del Signore
che le contrade
dell'Etruria affrena,
questa è l'idolo mio, e il mio
tesoro,
e questa è il mio ristoro;
e mentre ch'io la
bevo, e ch'io la ingozzo ,
o per dir più, la mastico, e la
ingollo,
fatti di conto io ne berrei un pozzo,
ma come un pozzo
vorrei lungo il collo ;
e se si affronta,
che lesta e pronta
in
dorata cantimplora
tu non possa averla or ora,
corri, o Nisa,
e in un baleno
cerca almeno
di portar la Manna Iblea
della
Tosca limonea,
e ancor essa tolta sia
dalla gran bottiglieria
del famoso Re Toscano,
ma con larga, e piena
mano.
Ah! tu Nisa non corri, e
neghittosa
forse di me ti ridi,
e sbadata, melensa, e
sonnacchiosa
già per dormir t'assidi.
Via via dal mio
servizio,
vattene in precipizio,
che non ti voglio più;
e
per maggior disgrazia
lungi dalla mia grazia
io priego il Ciel,
che tu
possi aver per marito un Satiraccio
sgherro, vecchio,
squarquoio, e giocatore,
che sofistico in tutto, e senza amore
con
le pugna ti spolveri il mostaccio,
e per tuo vitto a ruminar ti
dia
tozzi di pan muffato, e gelosia:
e a consolarti in casa sua
vi stia
una suocera furba al par d'un diavolo,
che sol per
frenesia
cerchi mandarti a ingrassare il cavolo .
Via via dal
mio servizio,
vattene in precipizio
brutta, segrennucciaccia,
salamistra,
dottoressa indiscreta, e spigolistra
via via dal
mio servizio,
vattene snamorata in precipizio.
Fanciulletto
vezzosetto, su gli ardori del mio petto
almen tu fa che vi
cada
la rugiada
congelata di sorbetto :
oh come scricchiola
tra i denti, e sgretola;
quindi dall'ugola, giù per
l'esofago,
freschetta sdrucciola fin nello stomaco.
E l'arse viscere
con giusta tempera
tutte
contempera
quella,che qual nevischia congelata
su gli orli
delle tazze alzasi in monti,
e costante in se stessa, e ben
guardata
del Sol più caldo sa schermir gli
affronti;
quella, che vaga, amorosetta, e bella
con nome
gentilissimo espressivo,
fresca pappina il bottigliere
appella.
Oh se i medici in
oggi un po' più esperti
desser di queste pappe a i lor
malati,
quegli spedali, che stan sempre aperti,
si potrebbon
tener sempre serrati;
e quel povero vecchio di Caronte
potria
dormir talora un sonnellino
nella sua barca in riva all'Acheronte
.
Ma i medici che mai non
furon cuccioli ,
e fanno con giudizio il lor mestiere,
non v'è
pericol,
che nel dar da bere
di queste pappe alcun di lor mai
sdruccioli:
Anzi esclamando van, che entro lo stomaco
sconcertano
la buona concozione ;
e di questa sì dotta opinione
citan
per grande Autore il vecchio Andromaco,
e mill'altri moderni, e
pellegrini,
celebri Dottoroni, e sopraffini,
che si vantan di
far di belle cose
con le ricette lor misteriose.
Che per li
tanti ingredienti, e tanti,
sì gentili, sì nuovi, e
sì galanti,
son veramente gravi, e maestose ,
e quegli
che le ingollano, lo sanno,
e insino agli speziali, che le
fanno,
riescono a suo tempo arcigustose.
E quel che importa
più, riescon utili,
perché se fosser veramente
inutili,
agli speziali ancor sarieno odiose,
per quei nomacci
strepitosi, e strani,
nomi da fare spiritare i cani,
quai sono,
se però gli saprò dire,
il Lattovaro
Litontripticone,
e 'l diatriontonpipereone .
Ma
tu vago fanciulletto,
tu non porgi del sorbetto
la gelata alma
pappina
per la sete mia meschina,
e i' non trovo alcun
sollievo
mentre chiacchiero, e non bevo.
Ma
l'ardente mia sete è troppo sconcia,
troppo arida,
rabbiosa, ed insaziabile.
Ed or che ha vota affatto ogni bigoncia
,
rendesi totalmente insopportabile.
Oh
Lieo,
Dioneo ,
sposo amato Dionigi,
per ristoro di mia
bocca,
versa in chiocca
Sidro, e birra del Tamigi.
Ma se la
birra, e 'l sidro non s'appaia
colla neve, e col giel
dell'Appennino,
fia col cembalo gire in colombaia .
Cantinette, e cantimplore
stieno in pronto a tutte l'ore
con
forbite bombolette ,
chiuse, e strette tra le brine
delle nevi
cristalline.
Son le nevi il quinto elemento ,
che compongono il
vero bevere:
ben è folle chi spera ricevere
senza nevi
nel bere un contento .
Ma per
la sete intanto
dubito di non dar la volta al canto ,
e pur di
ber mi vanto
d'aloscia, e di candiero
un colmo lago intero.
Ah
che s'io fossi Giove,
quando a Firenze piove,
farei, che fosse
aloscia
d'Arno la bionda stroscia ,
e che lassù da'
Fiesolani monti
con novella ed incognita delizia
mandasser
quelle fonti in gran dovizia
ad irrigare il Fiorentin
Paese
Nebbia di Scozia e Sillabub Inglese.
Non mi sieno
contese ,
Bacco gentil consorte,
brame sì giuste ed al
mio mal dovute,
se vuoi la mia salute,
e non vuoi la mia
morte.
Già parmi sulle porte ,
esser del mio morire, e
s'io non ho
chi da bever mi porte,
certo che
morirò.
Vengan via,
vengan in chiocca
per aita
della vita,
per ristoro della
bocca,
fragolette moscadelle,
e ciliege visciolette ,
che
fann'acque rosse, e belle
collo zucchero perfette;
e di
quest'acque con mia gran ventura
or n'arrovescio giù per
l'arsa strozza
una piena tinozza ,
che del morir sommerge ogni
paura;
ma la sete non giugne a sommergerla ;
anzi la sete più
fiera suol crescere,
quanto più m'affatico a
dispergerla
col non far altro ad ogni ora che mescere;
e mescer
acque smaccate dolcissime,
per centomila Giulebbi
ricchissime.
Questi tanti dolciumi
per ora io gli rifiuto;
e
darne il ben venuto
piacemi a' freschi odorosetti agrumi
misti
all'acqua schiettissima
di fonte limpidissima.
Il
vin puro, ed il vin pretto
sia bandito, ed interdetto ;
nomi
orribili d'inferno
sieno il Chianti, ed il Falerno.
Maledetti
sien gli zipoli
di quel vin di pian di Ripoli .
Si fracassi il
caratello
del Trebbian, del Moscatello.
si rimiri ad ognor con
occhio bieco
di Polisippo il Greco ;
e quel di Somma , ch'è
vieppiù tremendo,
vada a scorrere i lidi
del nero
acheronteo baratro orrendo;
e seco vada quella rea Vernaccia,
che
in mille mali i nostri corpi allaccia.
Oh se aver or
potess'io
all'ardente mio desio
l'onda fresca, e l'onda
altera
della tanto celebrata
Portughese Pimentera!
Mi
parrebbe esser beata;
ma se posso ora bramarla,
io non debbo
già sperarla:
voglio sì, vo' che mi spanda
per le
fauci sitibonde
tutte omai le sue bell'onde
la Sanese
Fontebranda .
Per Fontebranda io donerei quant'ave
mosto ne'
tini suoi Valdarno, e Chianti,
e quanti serra altresì vini,
e quanti
il Riccardi gentil con aurea chiave.
Così
da me si spera
di cacciar via l'infesta
febbre, e con essa il
gran dolor di testa,
e quella sì molesta
oppilazion ,
che non per mio difetto,
ma per influsso d'un crudel
pianeta
steril mi rende al mio consorte in letto;
onde il
fervido affetto,
ch'oggi per me lo preme, e lo
rincalza,
intiepidirsi in lui forse potrebbe;
ed ei forse
infedele un dì vorrebbe
lasciarmi in qualche solitaria
balza
Teseo novello, abbandonata, e sola.
Il mio pensier sen
vola
per tutto quanto il die
in queste frenesie,
perché
purtroppo a mio dispetto avvezza
mi trovo alla stranezza
della
infedel d'Amore aspra fortuna,
che tanti inganni aduna
contra
le semplicette
povere donzellette,
qual mi son io meschina
in
questa piaggia alpina.
Ma
zitta, oimè, che Bacco, oimè non senta
ridir questa
faccenda,
al dolente mio cuor tanto tremenda,
e per mia fiera
doglia
gne ne venga la voglia.
Oimè, oimè che il
giusto mio timore
verificato io provo.
E dove, oimè, e
dove, oimè, mi trovo
in questa spiaggia setardente , ed
orrida,
sotto la zona torrida?
Dove guardo mortal non v'è
che allumi
fonti, laghi, paludi, o rivi, o fiumi,
ma sol
fetido zolfo, e pigro asfalto
qui vomitan l'arene,
per dar
l'ultimo assalto
alla sete, che viene:
se la mia non
ottiene
più proprio assalto, e presto,
ritorno a
dire,
che il cuore è lesto
pel suo morire.
Che
morire, o non morire?
Non mi sento d'aderire
a' pensieri del
mio cuore.
Scappo via da questo ardore,
e con nuova
meraviglia
ne ritorno in gozzoviglia
tra le fonti a Pratolino
,
e ne ringrazio il fresco mio destino.
Oh qui sì, che
l'acqua croscia,
e ti fa più d'una stroscia ,
più
di venti, e più di cento,
che mi fanno il cuor contento