Franco Sacchetti
LA BATTAGLIA DELLE BELLE DONNE
DI FIRENZE COLLE VECCHIE
CANTARE PRIMO
1
Tu santa madre
del benigno Iddio,
del creator di tutte creature,
che
l'universo muove al suo disío,
e dà chiarezza nelle
cose oscure,
tu vergine pietosa, il cui ricrio
è sol
conforto alle mondane cure,
tanto mi presta del tuo lume
santo
ch'io possa seguitar mio vago canto.
2
E
tu, o madre del pietoso Enea,
o Venus, pace de' fedeli amanti,
tu
alta donna valorosa Dea,
ch'ogni sospiro muti in dolci canti,
tu
che 'l mio petto con amor ricrea
di bel piacere e di vaghi
sembianti,
tu, che vincendo vinci crudel prove,
grazia mi
presta pel tuo santo Giove.
3
Egli è
ragion, signor, che la bellezza
quando con la virtú si vede
unita,
sia gloriata con felice altezza,
acciò che piú
da tutti sia gradita,
che poi che giugne la crudel
vecchiezza
donna non è per virtú reverita;
e ciò
si vede nel mondano errore
ch'oggi non s'ama il frutto ma sí
il fiore.
4
Dunque davanti che bellezza
mora,
acciò che la virtú lodar si possa,
d'alquante
donne che 'l gran Giove onora
intendo di cantar con dolce
mossa,
che nell'alta Fiorenza fan dimora
e quella tengon d'ogni
vizio scossa,
ferendo or qua or là senza contesa
che non
è cor che possa far difesa.
5
Quest'alte
donne di somma potenza,
veggendosi gradire in tale stato,
in un
burletto appresso di Fiorenza
fu lor collegio tutto ragunato,
e
quivi con felice provvidenza
segretamente fecion tal
mercato,
mirando l'una l'altra in sí bel coro,
poson di
far reína sopra loro.
6
Un sí
bell'orto non si vide mai
che quel dove le donne sono andate,
con
prati verdi dilettosi e gai,
con alberi fioriti verno e
state,
fontane vive ancor v'erano assai
con acque chiare nitide
e stillate,
uccei v'avea e di molte ragioni,
aranci fini
datteri e cedroni.
7
Ed era circumpreso
d'alte mura,
sí che quel dentro di fuor non si vede,
là
dove essendo la turma sicura,
ciascuna sollazzando si provvede
con
canti vaghi, dolci oltre a misura
chi dritta scherza e chi ne'
fior si siede;
poi raunate con silenzio cheto
fecion consiglio
provido e discreto.
8
Leggiadra donna
giovinetta e bella
si drizzò in piè molto
discretamente,
dicendo: "Vaghe donne, quale è
quella
che sia tra noi piú alta e risplendente
piú
saggia piú gentil piú vaga e snella
piú
valorosa nobile e possente,
si vuol chiamar reína sopra
noi,
sí che governi tutte l'altre poi.
9
Però
che disinor di tal brigata
saria sanza reina piú
durare,
che tanta gran biltà disordinata
fa li nostri
amador tutti turbare,
perché talor trovando donna
ingrata
non sanno a chi si debbian richiamare:
e spesso avvien
che ricevendo torto
si partan dall'Amor senza
conforto.
10
Ond'io vi prego per
seguir ragione
che donna sopra noi si faccia tosto,
che doni
pace a chi Amor ci pone
acciò che l'amador non sia
disposto."
Cosí facendo fine al suo sermone
un
fiore in testa l'altre l'hanno posto
giurando tutte il ben de'
loro amanti,
e che reina voglion con gran canti.
11
Tutto
quel giorno stette il bello stuolo
sanza deliberar chi donna
sia,
però ch'egli era lor sí grave duolo
vedere a
chi la corona si dia,
che quella notte nel fiorito suolo
convenne
dimorar la compagnia,
arpe sonando naccheri e liuti
organetti
d'argento con flaúti.
12
L'aurora
giunse poi l'altra mattina
mostrando il giorno, e Febo
soprovvenne,
dove ciascuna donna con dottrina
il suo parer per
piú volte sostenne,
ma pur deliberaron che reina
fosse
alta donna che còrona mantenne,
gridando l'altre: "Viva,
viva quella
Costanza valorosa tanto bella."
13
Cosí
Costanza in mezzo d'un bel prato
chiamata fu reína di
valore,
come piú bella e di piú alto stato,
fior
risplendente sopra ciascun fiore;
o graziosa dea, quant'è
beato
chi ti porta nascosa dentro al core!
Tu se' colei
ch'avanzi ogn'altro lume
come l'impireo ciel per suo
costume.
14
E poi ch'ell'ebbe presa la
bacchetta
immantanente in piè si fu levata,
e con amor
di gran virtú costretta
incominciò parlando a tal
brigata:
"O care donne, che m'avete eletta
per vostra
donna cotanto pregiata,
grazia vi rendo piena di merzede,
reggendo
sempre voi con dritta fede.
15
Io son vostra
reína alta Costanza
da Dio formata per accender pace,
li
Strozzi dieron sí chiara speranza
quanto si vede per mirar
verace,
la quale intendo con molta certanza
usar sopra di voi
quel ch'a me piace,
imaginando che la mia virtute
sia sol
disposta per vostra salute."
16
Cosí
questa magnifica reína
per ordinar sue donne con gran
festa,
a sé chiamò una stella divina
che s'avea
fatta una grillanda in testa;
e consigliera la fe' la mattina
alta
piú ch'altra e di maggior podèsta,
questa fu Itta
piú bella che Dido,
con l'arco in mano a guisa di
Cupido.
17
Il ciel legato con caten
d'argento
condusse al mondo questa bella diva,
per consumar
durezza e greve stento
e per far cosa morta venir viva,
Alberti
degni e d'ogni ben contento
e d'ogni nobiltà perfetta
viva,
da poi che tanto bene al mondo deste
che la luce del Sol
prender voleste.
18
Posossi a' piè
della lor nuova dama,
Itta leggiadra d'ogni virtú piena,
e
poi Costanza un'altra donna chiama,
piú bella che Cassandra
o Polissena,
la quale ha nome Telda dolze rama
gentil piú
ch'altra lucida e serena,
e per compagna d'Itta consigliera
la
fe' sedere appresso dov'ell'era.
19
De'
Bardi scese questa per grandezza,
piú ch'altra donna
graziosa e vaga,
la qual per sua virtute ognor s'avvezza
di
fare a tanti cuor la dolce piaga,
quant'ha canton di fuoco per
altezza
nell'arme sua, che giammai non si smaga,
cosí
ferendo con franca giustizia
nel mondo spegne dolore e
tristizia.
20
Poiché Costanza il suo
consiglio ha fatto
e ordinato come si conviene,
a sé
chiamò con un piacevol atto:
"O Caterina, forte d'ogni
bene,
grandezza ti vo' dare in questo tratto,
perché tua
mente ogni virtú mantene.
E in man le pose un ricco
gonfalone,
dove trionfa Venus con ragione,
21
dicendo:
"Cara donna, questo porta
sovra 'l mio capo e delle duo
compagne;
l'altre verranno dietro a tale scorta
per lor somma
virtú sanza magagne."
E di tanto valor poi la
conforta
che per rigoglio d'allegrezza piagne
questa leggiadra
e bella giovinetta,
nelle cui mani il gonfalon
s'assetta.
22
Tal Caterina de' Bigliotti
scese
sí degna di portar questo vessillo,
perch'ell'è
saggia nobile e cortese
piú ch'altra donna, ben ardisco a
dillo;
e quanto tutto 'l mondo a sé accese
d'alto
splendore e di perfetto stillo,
onesta piú che donna al
mondo nata,
che par maestra di Diana stata.
23
Dato
quel gonfalon vittorioso,
Costanza volle uscir di tal giardino,
e
con desío gentile e valoroso
venne alla porta a guisa di
rubino,
sí che 'l ciel ch'era tutto nebuloso
divenne
chiaro piú che serafino,
veggendo quella donna con sua
schiera
e quella che portava la bandiera.
24
In
sulla porta del vago burletto
fece Costanza tutte apparecchiare,
e
disse: "Donne mie, con gran diletto
una foresta ci convien
trovare,
la quale è molto vaga, ciò m'è
detto,
quivi ciascuna intendo insegnare,
e però venga
chi bella si tene,
che chi non fia morrà con gran
pene."
25
Cosí le donne alla
foresta guida,
chi con sparvieri e chi con cani a mano,
e chi
cantando con suavi grida,
chi danza e chi saetta per lo piano,
chi
corre un palafren, che par che rida,
e chi pescando va con bianca
mano,
infin che giunsono a quella foresta
dove sta la reína
con suo gesta.
26
Non fa mestier ch'io dica,
o cari amanti,
del gran valor che le donne mostraro,
però
che voi vi fosti tutti quanti
mirando ciò ch'io viddi molto
chiaro;
ma pur per sadisfar, che gl'ignoranti
non muoian tutto
dí col cuore avaro,
intendo di mostrar gli dolci regni
che
forse fia cagion di farli degni.
27
Una
foresta tanto vaga e bella
per alcun tempo non si vidde mai,
dalle
duo parti i poggi chiudon quella,
poi dalla terza v'è
pianura assai;
nel mezzo siede un monte, el quale appella
ogni
diletto sanza pena o guai;
quivi si posa un'alta e bella
rocca
dove non entrò mai fuso né rocca.
28
Da
questo monte gira un vago fiume
a piè d'intorno quasi
maggior parte,
che mena pesci piú ch'altro lagume,
dove
le donne pescan per lor arte;
quivi ha boscaglie con segreto
lume,
che vivo fonte mai non le diparte,
e presso a quel
palazzo ha un giardino,
che par creato dal Signor
divino.
29
Non si potrebbe mai per tempo e
tempo
narrar la gran biltà di quel gioiello,
dove le
donne al piú fiorito tempo
in quella parte fanno lor
drappello;
quivi Costanza che non cura tempo
né rea
fortuna né mortal quadrello,
con gran diletto tutte le
rassegna
sotto la sua celeste e vaga insegna.
30
Ora
ch'è giunta vaga primavera
Costanza vuol le sue donne
vedere,
ed in un prato coll'alta bandera
con atto di silenzio e
bel piacere,
ogni stormento di vaga maniera
tosto comando che
debba tacere,
poi dice che ciascuna veder vuole,
grillanda in
testa di belle vivole.
31
Fatte son le
grillande prestamente,
e Caterina in piè si fu levata,
col
gonfalon di Venus rilucente,
allegra come donna innamorata,
e
cominciò con un atto piacente
a rassegnar la nobile
brigata,
chiamando prima una giovine bella,
o Alessandra lume
d'ogni stella.
32
O Alessandra con leggiadra
fronte,
alta sí come donna signorile,
tu vai raggiando a
guisa di Fetonte,
quando a' paterni carri diede stile
sperando
altezza con sue virtú pronte,
nelle gran rotte del celeste
mile;
tu se' colei che sopra ogni altra degna
se' prima di
seguir la nostra insegna.
33
D'Alberti
nacque tanto chiara stella
quando si sa per chi sua fama
sente,
mai non si vidde petra tanto bella
in cerchio d'oro
giunta d'oriente;
o beato colui cu' questa appella
venire in
forza del signor possente,
perch'ell'è sol d'amor dolce
speranza,
e d'ogni altro valor ferma costanza.
34
Elena
poi che si sedea fra l'erba
chiamata fu da questa Caterina,
nemica
Elena d'ogn'altra superba,
da cui valore e leggiadria dichina;
chi
la sua luce dentro al cor si serba
per tal virtú la mente
ognor raffina,
né può morir giammai, né sente
male;
pensate quanto questa donna vale.
35
Elena
bella piú che la rapíta
nella greca foresta del
Troiano,
costei che morti fa tornare in vita,
ch'a Dido ha
tolto la palla di mano,
e come valorosa e piú
gradita,
sempre saetta e mai non coglie invano;
la casa de'
Bomben l'hanno creata
per donar pace a chiunque la
guata.
36
Come le gru seguendo lor
signore
nell'aire van cantando a gran diletto,
similemente
giugne un altro fiore,
con melodie di spirito perfetto,
chiamato
Caterina, il cui valore
stimar non si porría con vero
effetto,
perché natura a sé la fe' sí
propia
che solamente 'l ciel ne vede copia.
37
Triunfate,
Mannelli, or triunfate,
che fama gloriosa vi risona
per questa
donna la cui gran bontate
giammai valor virtú non
abbandona,
ma sempre degna per sua nobiltate
li petti rozzi a
bene amar isprona,
come prova l'amante ch'al suo porto
si vede
vivo e già si vedde morto.
38
Nobile
donna piú che ninfa in fiume,
piú che chiarezza di
verace frutto,
segue Giovanna col vago costume,
coll'alta resta
ch'ha vizio distrutto:
questo sí degno e glorioso
lume
virtú notrica e spegne amaro lutto;
sí come
Febo nel ventre terreno
giugnendo il purga e di valor l'ha
pieno.
39
Creato fu sí bel piacere
de' Bardi,
sí dolce fuoco, sí perfetta fiamma,
che
se gli avvien che fiso la riguardi
il cor contenta e subito
disgrama,
sempre porta costei gli arguti dardi
per avanzar nel
mondo onore e fama,
a guisa della nobile Amanzona
che per Pirro
crudel mutò corona.
40
Una sorella di
Costanza vene
cantando a guisa di celeste Dea,
Nanna, leggiadra
e d'amorosa spene,
piú bella assai che donna in
Citerea,
che chi la mira morir le convene
s'amor di lei nel
petto non si crea,
che la sua vista è di tanta
virtute
ch'ancide chi non vuol la sua salute.
41
Strozzi
dieron questa donna al mondo,
questa fiammella che d'amor
s'accende,
sí che mirando lei vive giocondo
chi guarda
suo biltà quanto risplende,
avventurosa lammia che nel
fondo
dell'acque chiare suo biltà si stende,
però
che ninfa di somma potenza
ti mostri degna d'alta
reverenza.
42
Segue chiamando questa
giovinetta
per mostrar la biltà di duo sorelle;
o fonte
di virtú o Agnoletta
che se' sí bella fra l'altre
donzelle,
tu Agnola verace e benedetta,
da Dio formata sopra
l'altre stelle,
tu giunta se' dal ciel per nostra pace
guidando
ciò che vuoi, come a te piace.
43
L'altra
sorella Ginevra piacente
con Agnoletta suo presa per mano,
sí
bella giugne che Tisbe niente
fu pari a questa coll'aspetto
umano:
e come 'l fior s'avviva di presente
sentendo il Sol che
giugne là di mano,
cosí l'altre mirando questo
fiore
mostrarono lor biltà di piú
valore.
44
Ancor gli Strozzi degni d'alta
fama
dal ciel condusson questi duo smeraldi,
che quale amante
la lor vita brama
beato vive d'amorosi caldi;
non si può
dir biltà se non si chiama
la lor, che mostri li suo raggi
caldi;
oneste sagge vaghe e leggiadrette,
sempre fornite
d'archi e di saette.
45
Piú non si
dee celar la gran bellezza
d'una che pare un falcon pellegrino,
sí
vien sopra di sé con tanta altezza
che fa risplender tutto
quel giardino,
chiamata Lisa di gran gentilezza,
piena d'ogni
virtú piú che zaffino,
e piú che pietra
chiara e preziosa,
umil soave dolce e vergognosa.
46
Venne
tanto valor da' Bivigliani,
come al signor dell'universo
piacque,
ch'al tempo delle donne de' Troiani
passavan di biltà
la terra e l'acque;
avria fatti parer lor volti vani
questa
ch'onora tanto ond'ella nacque,
quest'alta donna, lucido
tesoro,
con angelico viso e coi crin d'oro.
47
A
cotal festa Loba fu chiamata,
la qual rispose con benigno
volto:
"Dolce reina mia tanto pregiata,
ecco la mia biltà
gradita molto,
ecco la vaga giovinetta amata
da ciascun cor
gentil che non è stolto;
i' son colei che, se virtú
non manca
d'abbatter vizi, sempre sarò franca."
48
Amor
che dolce lume fa d'oscuro
tien questa donna nel verace seno,
non
Polissena nel valor sicuro
vide suo stato lucido e sereno,
né
spiendor di biltà senti sí puro,
quanto costei ognor
che n'ebbe meno,
perché soletta s'è, cotal
virtute
da' Bardi tolse piena di salute.
49
Come
dei fior la vaga primavera
s'adorna per virtú de' sommi
raggi,
tal segue per amor l'alta bandera
costei, che pare un
fior tra verdi faggi:
qual è quel lume che l'ottava
spera
mova sí chiaro ne' dolci viaggi,
qual move questa
penetrante stella,
per sua virtú chiamata Lisa
bella.
50
Degli Ammannati scese cotal
fiore,
come si può veder, da Dio formato;
che chi nel
mondo cerca piú valore
può gir cercando Glauco
trasformato.
Pensate adunque chi la tien nel core
quanto si
vede piú ch'altro beato,
piú non ne dico perché
par vergogna
narrar quel ver ch'ha faccia di
menzogna.
51
All'alta voce della vaga
figlia
Francesca bella subito rispose;
costei veracemente
m'assomiglia
la santa Venus tra vermiglie rose;
chi guarda
nelle suo pulite ciglia
subito corre alle celesti cose;
tanto
dolcezza ne' begli occhi porta,
che 'l mondo sempre di virtú
conforta.
52
Chi della schiatta sua mi
dimandasse,
io credo che dal ciel per arte venne,
o l'alto
Giove per pietà spirasse
tutta la sua virtú, che
nulla tenne,
e missela in costei, che trasformasse
contra
Medusa le frontali antenne
in chiari lumi d'alte condizioni;
e
gli Asini i di ciò son testimoni.
53
Ben
è felice piú ch'altra filice
per ogn'altra virtú
e per bellezza;
giammai non fu reina o 'mperadrice
che questa
s'assembrasse in gentilezza;
e come canta in sul finir fenice
cosí
con melodie di gran dolcezza
sempre s'infiamma nell'eterna
via,
donde fortuna non la può tor via.
54
Ell'è
sí vaga bella ed amorosa
ch' i' non ardisco gloriar
costei,
però che d'una tanto altera cosa
non si può
dir se non tra sommi Iddei;
benigna donna, piú ch'altra
vezzosa,
or veggio che tu se' sola colei
per cui s'adorna il
mondo di chiarore,
gli Strozzi partoriron sí bel
fiore.
55
Oretta bella guardi chi
vedere
vuol quella gran biltà ch'onora il mondo;
viva
fontana di vago piacere,
leggiadra ninfa col viso giocondo;
ben
si può dir costei senza temere
che suo virtú già
mai si truovi in fondo,
però che Giove la dotò nel
cielo
coperta dal superno e alto velo.
56
Voli
la fama sopra l'alte stelle
di chi formò sí bella
creatura,
ciò furon gl'Infangati, che novelle
rendono al
ciel di sí fatta figura;
le suo fattezze, Amor, son tanto
belle
che non si posson dir per iscrittura,
però che
Pallas di valor trapassa,
e 'l suo bel viso ogni bel viso
cassa.
57
Ecco chi giugne nel fiorito
prato,
vagando suo biltà come Narcisso,
non per vano
piacer ma piú beato
d'alcun che spenga fuoco
nell'abisso;
chiamar si fa Maria di grande stato
questa che
corre lampeggiando fisso,
coll'alta chioma legando gli amanti
al
ben servir con amorosi canti.
58
La bella
schiatta che l'alta reina
creò, questa creò
similemente,
furon gli Strozzi per virtú divina,
siccome
piacque a Giove onnipotente;
chi mira il suo bel viso, in cui
s'affina
valor d'ogni valor piú risplendente,
vede la
gloria che dagli occhi suoi
per umiltà discende sopra
noi.
59
Chi sente pena per alcun
dolore
volga la luce agli occhi di costei,
e subito fuggendo
ogni tremore
la pace sentirà, virtú di lei,
perché
gli è tanto dilettoso fiore
questo che par creato tra gli
Dei;
donnina leggiadretta come donna,
fontana di virtú
superna gonna.
60
Superna donna de' Bomben
discesa,
in chiara vista glorioso lume;
non faccia di biltà
nessun contesa,
che questa sola nel benigno fiume,
qual figlia
di Peneo si vidde accesa
di bella vista o d'alto e bel
costume,
che la minor virtú sola di questa
non sia piú
che di quella manifesta.
61
Amor a ciascun
ben Moraccia prende
per alto suo valor in ogni loco,
ben è
beato chi con lei s'apprende
in dolce fiamma d'amoroso foco;
e
come pellegrin falcon discende
calando giú dell'aire a poco
a poco,
cosí costei dal ciel per sua virtute
volando
viene a noi con gran salute.
62
E come che
si chiamin Bonfiglioli
la schiatta donde questa donna nacque,
pur
venne suo virtú dagli alti poli
siccome piace a Giove e
sempre piacque:
la fama di costei convien che voli
nel fondo
chiaro delle tepid'acque,
siccome cosa che poco né
troppo
non volle mai che fosse suo rintoppo.
63
Cosí
chiamando Caterina bella
quest'alte donne con sommo diletto,
com'è
usanza d'ogni vecchierella
sempre portare invidia e gran
dispetto,
nascosa s'era tra l'erba novella
una vecchietta di
crudele aspetto,
la quale era di borgo tegolaio
Ogliente moglie
di ser Calamaio.
64
Venuta quivi questa
donna Ogliente
si fece innanzi tutta schizzinosa,
quasi
adirata, perché primamente
non la chiamaron donna
valorosa:
la buccia crespa molto strettamente
s'avía
tirata questa invidiosa,
e cosí giunse tutta
vezzeggiando
coi lenti passi quasi minacciando.
65
Ciascuna
la guardò per meraviglia,
e Caterina subito si volse
alla
lor donna colle belle ciglia,
l'una coll'altra per ira
raccolse,
veggendo questa vecchia che bisbiglia
co' denti neri
e colle carni bolse,
venuta quivi sanz'esser chiamata
piú
ch'altra viziosa e arrabbiata.
66
Allor
gridò Costanza, e disse: "Via,
subitamente fate che
sia morta
questa superba vecchia tanto ria,
ch'ardita fu passar
la nostra porta."
Perché tutta la bella
compagnia
ciascuna ver la vecchia stette accorta,
e chi con
pietre e chi con gran bastoni,
chi con cinture e chi pur con
punzoni,
67
tanto le dieron che fuor di quel
prato
per forza la sospinson tutta rotta;
ella fuggendo cadde
in un fossato,
percossa in terra d'una lunga grotta.
Cosí
morí la vecchia in tale stato
per esser dal peccato mal
condotta;
la piena giunse e 'l corpo menò via
e il
diavol ne portò l'anima ria.
68
Morta
la vecchia, le donne tornaro
alla lor donna tutte con gran
risa,
Costanza bella coll'aspetto chiaro
veggendo la dolente sí
conquisa,
ogni stormento dilettoso e caro
comanda che si suoni,
e 'n ciò l'avvisa,
con canti e balli dilettosi e gai,
che
ciò veggendo in paradiso andai.
69
Qual
paradiso o armonia celeste
generò mai sí dolce e
vago canto,
o quale dea per le verdi foreste,
o ninfa in chiaro
fiume fe' mai tanto?
Certo giammai non furon pari a queste
d'Orfeo
le melodie, o di chi vanto
si diè di Febo me' saper
sonare,
quando di pelle Apollo il fe' spogliare.
70
Un
suon non fu già mai di tal virtute
quanto fecer le donne a
quella volta,
ghirlande dritte e ghirlande cadute
scherzando si
vedien per l'erba folta,
e cosí tutte d'amor provvedute
chi
balla canta suona e chi ascolta,
chi l'una l'altra bascia, e chi
s'abbraccia,
e chi la vecchia suocera minaccia.
71
O
cari amanti, e' mi par tempo omai
lasciar le donne alquanto
sollazzare
con gran diletto sanza pene o guai
ponendo fine al
mio primo cantare;
e nel secondo con diletto assai
seguire
intendo sanza dimorare,
narrando la biltà di molte
donne,
che di valor nel mondo son colonne.
CANTARE
SECONDO
1
Dal ciel discenda la verace
manna
di quella pura Vergine Maria
che figlia fu di Giovacchino
e d'Anna,
piú ch'altra donna graziosa e pia,
e sparga
sopra me che chiamo osanna
per non morir nella fallace
via,
ch'ogn'anima dolente sempre volge
al tristo porto nella
eternal bolge.
2
E tu che reggi l'amorosa
stella,
ch'e valorosi amanti sempre guida,
o penetrante Venus
chiara e bella,
nelle cui chiome non dimora strida;
tu con
merzé, tu con pietà se' quella
che doni pace a chi
di te si fida,
cosí ti priego degna e graziosa
che la
tuo grazia non mi sia nascosa.
3
Venite,
amanti, ch' io ritorno al prato
dove le donne sollazzar lasciai,
e
movo per passar l'alto fossato
dove morí la vecchia con
gran guai.
Risuona la foresta d'ogni lato
degli angelici canti
dolci e gai:
Costanza bella nobile reina
si posa a guisa di
stella divina.
4
Poi che Costanza tempo da
tacere
vidde negli atti di sí gran valore
silenzio puose
a tanto bel piacere,
e in piè drizzossi con ardito
core,
dicendo: "Donne mie, sanza dolere
viver possiam, poi
ch'ha voluto Amore
che la nostra biltà non sia turbata
da
vecchia alcuna misera ed ingrata.
5
Le
vecchie son crudeli e invidiose,
le vecchie son nimiche d'ogni
bene,
verso gli amanti sempre dispettose,
e sempre
apparecchiate a veder pene,
arabiche superbe e maliziose,
avare
cieche e fuor d'ogn'altra spene,
vadan le vecchie a' frati col
malanno,
da poi ch'amor né fede al cor non
hanno.
6
Lascino star la nostra
giovinezza,
la nostra gran biltà e 'l nostro amore;
noi
diamo al mondo pace e allegrezza,
somma felicità che mai
non more;
ogni valore e ogni gentilezza
per noi si vede sempre
in alto core,
ed ogni vizio da noi si ribella
seguendo d'onestà
Diana stella.
7
O care donne, alquanto
rimirate
che vale il mondo sanza nostro lume,
e poi a queste
vecchie imaginate
quanto son fuor d'ogn'alto e bel costume;
però
vi priego che sian discacciate
dal nostro prato e dal nostro
villume,
sí che lor legge fra noi non si mischi
che male
sta il falcon fra' badalischi.
8
E come
donna Ogliente concia sia
quale entrerà nel nostro bel
giardino,
sí che punite della lor follia
veder si possan
tutte a gran ruino;
se ciò non basta, dico in fede mia,
che
subito si cerchi ogni cammino,
e dove alcuna vecchia
ritroviamo
sanza piatà sia morta a mano a mano.
9
Vadan
con Esicon e Proserpina
facendo pe' fossati amara festa,
e
chiamin Nuccia, Matta, e la Gemmina
Cianghella di spiacente, e la
gran gesta,
la sempre schizzinosa, e la Dondina
Puccia barbuta
con canuta testa,
e lascin noi con Venus nostro duce
che a
morte né a vecchiezza non c'induce."
10
Costanza
dato fine al suo sermone,
tutte le donne con pace e
dolcezza
gridando muoia la cruda Esicone,
e viva Venus con
felice altezza;
intanto quella del bel gonfalone
in piè
drizzossi piena di bellezza
come a Costanza piacque di seguire
a
rassegnar le donne da gradire.
11
E Madalena
prima fu chiamata
come piú degna in questo primo canto,
la
qual rispose d'alto amor guidata:
"Reina nostra, prezioso
ammanto,
ecco colei che sempre fia beata
donando a queste
vecchie mortal pianto;
perch'i'ho tanti vizi al mondo
spenti
quant'ha nel cielo stelle rilucenti.
12
In
verde selva Amor m'ha fatta Dea,
come ben vedi, donna, se
ragguardi
qual è quell'arco che mai non ristea
di
saettar li dolci e vaghi dardi,
altro che l'arco mio ch'ogni ben
crea?
Negli alti petti che non son codardi,
che mai per mia
virtú non fia disfatta,
formata fui della Guascona
schiatta."
13
Il seno e 'l grembo avea
pien di vivole
per far ghirlande nel mezzo de' fiori
una che
sola par figlia del sole
di raggi adorna con tanti valori,
Agnola
bella che già mai non duole
per tempo che secondi o per
errori
che 'l mondo muova, ma come smeraldo
suo lucido splendor
tien sempre saldo.
14
In che punto del cielo
o 'n che pianeto
congiunse amore a generar costei
quando ne'
Tornaquinci tanto lieto
entrò per tor biltà agli
altri Dei?
O gentil donna, o animo discreto,
omai ben veggio
che tu se' colei
Agnola bella sol da Dio formata,
il qual per
nostra pace t'ha mandata.
15
Tal come la
diman la bella aurora
caccia la notte tenebrosa e scura,
cosí
giugnendo la vezzosa Dora
viltà sommerge e caccia ogni
paura;
qual misero colui non s'innamora
mirando suo biltà
felice e pura,
e gli atti gloriosi sí leggiadri,
ch'a
tor l'anima altrui son dolci ladri.
16
O
bella Dora co' dorati crini,
cogli occhi vaghi e colla dolce
bocca,
coi denti ritondelli e minutini,
che sola la tua man
gentil gli tocca;
ognor convien che tua biltà raffini
nel
vago lume che dal ciel ti fiocca;
de' Boscoli discese questa
ninfa
nel verde bosco piú bella che
ninfa.
17
Inghirlandando il suo bel capo
biondo,
Antonia bella si sentí chiamare:
Antonia,
Antonia col viso giocondo
vien oltre innanzi, e piú non
dimorare
ch'omai la tua biltà qui non nascondo,
che non
è cosa da poter celare,
ch'Amor di tanti raggi ti
fiammeggia,
che 'l cieco veder fai che ti vagheggia.
18
Tu
se' de Bardi degna d'alta fama,
bella leggiadra saggia e
graziosa,
non dove Troiol pose la sua brama,
beltà si
vede quanta in te riposa:
tu frutto d'ogni ben, tu verde rama,
tu
donnesca colonna valorosa,
tu le Sibille avanzi di sapere,
come
chi ben ti mira può vedere.
19
Una
donna gentil soave e piana
giugne cantando: "Io son
Bartolomea,
che vegno dalle selve di Diana
per imparar onor da
cotal Dea;
la valorosa mia biltà sovrana
concede sempre
che tra voi mi stea
per mantenere altezza e grande onore
e per
privar le vecchie con dolore."
20
O
Baroncelli, o casa degna e alta,
ben ti dee gloriar di sí
bel frutto,
che questa donna ogni valor esalta
spegnendo dove
truova amaro lutto;
fino alle stelle la suo fama salta,
che
quasi ogni biltà si vede in tutto:
tanto valor del cielo in
lei discende
e tanta gentilezza gli risplende.
21
Diana
colle chiome penetranti
giugne, mostrando sé ne' be'
sereni;
specchiansi gli amorosi viandanti
ne' raggi suoi perché
a virtú gli meni:
o vaga donna, pace degli amanti,
che
sempre vizio e crudeltà raffreni,
tu se' un lume di tanta
chiarezza
che non si può stimar tuo
grand'altezza.
22
Cosí bella fortezza
da' Belforti
edificata fu per divin arte,
cogli atti dilettosi
tanto accorti
che le fort'armi torrebbono a Marte,
se rimirasse
per le belle porti
che 'nfiamman quei che da virtú si
parte,
sí presta giugne per cacciar martiri
che prima ha
preso altrui ch'altrui la miri.
23
Per
aggradir la valorosa schiera
dal ciel discende una giovine
donna
appresso a quella triunfal bandiera
ch'oggi nel mondo si
può dir colonna,
e giugne con amor di virtú
vera
tutta coperta di celeste gonna,
quest'è Filippa
tanto graziosa
che al mondo non fu mai sí bella
cosa.
24
Quella catena bianca incatenata
che
'l corpo lega azzurro oltramarino
diede nel mondo la donna
beata,
la qual risplende sopra ogni rubino,
Filippa bella degli
Alberti nata,
piú alta di valor che Serafino,
piú
vaga che Ginevra o che Cassandra,
ed è carnal sirocchia
d'Alessandra.
25
- "Or credi tu non mai
sentir d'amore" -
Tommasa dolcemente vien cantando;
tal
che le donne a sí vago romore
per maraviglia tutte
riguardando
a lei si volson faccendole onore,
e di sue gran
bellezze ragionando,
del vago aspetto e della gentilezza,
che
sempre ride per piacevolezza.
26
De' Giuochi
scese questa, e non par giuoco
di quei che salgon l'amorose
scale,
il forte scudo contro gli val poco
ch'ogni durezza passa
col suo strale;
o dilettosa fiamma, o dolce foco,
di cui verace
fama batte l'ale,
se valore o virtú non fosse al mondo
tu
'l rifaresti piú che mai giocondo.
27
Volgete,
amanti, gli occhi a questa diva,
che lampeggiando vien per la
campagna,
Giovanna il cui valore sempre viva,
come stella nel
ciel sanza magagna,
chi vuol suo porto con virtute arriva
per
tempo, né per morte non si lagna,
tanta dolcezza sente
dentro al petto
ch'ogni crudel martiro gli è
diletto.
28
Scese de' Cavalcanti tanto
lume,
che 'l mondo non potea sanz'esso fare;
o alta Dea, o fior
d'ogni costume,
tu che le fiere e li pesci del mare,
l'aquile
grandi con l'oscure piume,
e freddi marmi stanno a rimirare
per
maraviglia tua virtú gradita,
donde mi par che traggan
dolce vita.
29
Chi non rimirerà
questa vezzosa
ch'al mondo dà felice provvidenza?
Or
rimirate s'ell'è graziosa,
o s'ell'è degna di gran
reverenza,
questa che giugne tanto dilettosa,
adorna di
leggiadra conoscenza,
mirate dunque, amanti, il vostro
lume,
ch'ell'è la Nera fuor d'ogni costume.
30
Qual
de' Mazzetti per chiara scintilla
discese sopra noi co' raggi
ardenti,
certo piú bella Filis o Cammilla
non furon di
costei, che si rammenti:
che quando gli occhi volge sí
sfavilla
un fuoco, che portato fra tre venti,
dà carità,
dà fede e dà speranza
nel cuor di chi la mira per
sua manza.
31
Come leggiadra donna
innamorata
del buon amor ch'ogni virtú disía,
Lorenza
leggiadretta e costumata,
dicendo: "Vieni all'alta
compagnia,
Cupído mio Signor m'ha qui mandata
sí
bella perché onor fatto mi sia,
e per distruggimento
d'Esicone,
vecchia crudel di mala condizione."
32
Le
pere d'oro: nel celeste campo
nobile schiatta valorosa e
grande
fermaron sí bel segno in quello stampo,
che
chiara ninfa con pulite bande,
questa d'ogni virtú si vede
scampo
come lucido sol che raggi spande,
questo bel frutto,
lume d'alto fiore,
rende per l'universo sommo odore.
33
Chi
è costei che vien con l'alta chioma?
chi è costei
che giugne sí leggiadra?
Quest'è colei che tanti
vizi doma
per la virtú dell'amorosa squadra;
Nonnina
bella fra l'altre si noma
che 'l ciel rapisce con la luce
ladra,
nella qual luce chi ben mira vede
la nobile virtú
che dentro sede.
34
Non affatichi la callosa
mano
l'antico fabro del focoso Marte,
io dico del sollecito
Vulcano
che dardi e freccia fabbrica per arte,
però
ch'ogni suo ferro è dolce e vano
presso a que' di costei
ch'e cuor diparte,
con gran virtú dà pena e dà
dollere
e Lischi dieron tanto bel piacere.
35
Mentre
che penetrato dal disío
gli occhi posava donde gli occhi
presi,
non viso uman ma di celeste Iddio
mirando vidi allor, se
ben compresi;
e Caterina subito ferío
coll'alta boce che
mi fe' palesi
li raggi e il nome di colei che raggia,
chiamando
Tora gentilesca e saggia.
36
Non so se Febo
partorí costei
quando da Giove fu mostrato al
giorno,
perché non credo che mondani omei
potesson far
d'oscuro tanto giorno;
o giovinetta vaga delli Dei,
tu perché
giorno mai non perdi giorno,
de' Brunelleschi se' e tu lor
fai,
però che sanza te non furon mai.
37
Ecco
seguendo quattro Margherite,
ch'adornan di chiarezza tutto 'l
mondo,
tal che ne duole Stigia e piange Dite
veggendo
abbandonar l'amaro pondo;
in oriente l'una fa reddite
e l'altra
l'occidente fa giocondo,
la terza in tramontana, e poi la
quarta
dal mezzogiorno Amor non vuol che parta.
38
La
prima Margherita orientale
come si fece avanti alla reina
cavò
del suo turcasso un bello strale
tutto sanguigno per usar
rapina,
e disse: "Donna, questo è quello al
quale
riparo alcun non è né medicina,
quest'è
del sangue degli amanti carco
per forza di virtú ch'usa 'l
mio arco."
39
L' oscura luna nel
raggiante sole
che portano i Covon per loro insegna
formò
quest'alta donna che non dole
per gran valor che vizio sempre
sdegna;
certo la suo biltà non è da fole,
e ciò
comprende chi nel cuor l'assegna
imaginando quanto gli occhi
gira,
che par che s'apra il cielo e fugga
ogn'ira.
40
Dell'occidente l'altra
Margherita
seguito l'ombra della prima petra,
e quando giunse
parve vita a vita
si raccozzasse e vel dich'io m'impetra;
o
nobil donna di virtú gradita,
il cui valor per tempo non
s'arretra,
o vago lume, nella qual pupilla
la deità
d'amor sempre sfavilla.
41
Qual petto
stimerà la gran bellezza
di questa donna, donna
veramente;
non sofficente a renderne chiarezza
sarebbe 'l mondo
di suo convenente,
però ch'ell'è di tanto grande
altezza
che Giove solo a ciò saria possente;
quest'è
la giovinetta da Paterno
che 'l posto toglie a Pluto dal
ninferno.
42
Al mezzogiorno Margherita
terza
edificata fu per lo gran mastro,
che quando Febo con
ardente ferza
percuote chioma d'oro in alabastro,
sicché
per forza lo splendor rinterza
cerchiando sé di rilucente
nastro;
turbo sarebbe cosí gran chiarore
appresso quel
che spande questo fiore.
43
Chi mi domanda:
O dolce peregrino,
che se' presente a tanto bel diletto,
chi è
costei che nel vago giardino
di sí gran lume mostra chiaro
effetto?
Dico che l'alto creator divino
le diè valor sí
lucido e perfetto
che par formata sol per le sue mani,
benché
chiamata sia de' Gavacciani.
44
La quarta
nella vaga tramontana
la superbia raffrena d'aquilone:
questa
domanda a Eulo che Diana
sia riverita per ogni cagione,
e quivi
giugne leggiadretta e piana,
ch'assembra la bellisima
Alcione,
Giuno pregando con piaceri adorni
per Ceix suo marito
che ritorni.
45
Cosí pregando questa
l'altre priega
ed a pregar Costanza lei conforta
dicendo:
"Donne, io sento che la lega
s'ordina fra le vecchie per la
morta
Ogliente invidiosa mala strega;
ciascuna dunque debba
stare a pruova;
io forte petra son de' Frescobaldi
ch'a ciò
gli stocchi miei saranno saldi."
46
Per
allegrezza gran romor si sveglia
fra queste donne, e ciascheduna
grida
a male e morte d'ogni falsa veglia
chiamando Venus con
soavi strida;
il cielo ogni virtú par che
diveglia
dall'alte stelle e quivi par che rida;
tanto valor
mostrarono a quel punto
ch'i' dissi ciò che può
esser qui congiunto.
47
Non vuol Costanza
che romor si faccia
in fin che la rassegna non ha fine
e
Caterina in seguitar s'avaccia,
chiamò Filippa fra l'altre
divine,
dicendo: "Bella donna, in questa traccia
per tuo
virtú morranno assai tapine,
certo sarà per te
nostra vittoria,
tanto se' piena di perfetta
gloria."
48
Filippa leggiadretta ed
amorosa,
Filippa saggia gentilesca e bella,
al mondo non fu mai
sí bella cosa
quanto costei, che sempre rinnovella;
gli
Strozzi portan fama valorosa
per questa chiara e rilucente
stella,
la quale ha fatto in terra nuovo cielo
siccome degna
d'abitare in cielo.
49
Una vezzosa e vaga
Colombina
dal ciel si move con benigno foco,
Giove s'allegra e
piagne Proserpina
veggendo questa donna in cotal loco;
ella sé
trasse avanti alla reina,
la qual cosí le disse e non per
gioco:
"Tu se' la mia speranza, o leggiadretta,
beato chi
riceve tuo saetta."
50
Diedon
Baldovinetti cotal donna
nell'universo per accender pace,
di
calamita pare una colonna
ch'a sé commuova ogni piacer
verace;
ognor la cuopre el sol dell'alta gonna
di che si veste
lui come gli piace;
sí che vestita se' de' raggi suoi,
dir
non saprei qual piú risplenda poi.
51
Quale
il pavon per la riviera verde
vagando suo biltà si volge e
grida,
sí che s'adorna e tutto si rinverde
facendo per
letizia dolci strida,
cosí vien Caterina che non perde
il
suo valor per tempo che 'l divida,
vincendo ogn'ira co' suoi occhi
belli
quando si volge all'ombra de' capelli.
52
Come
d'alto valore alta chiarezza
spirar si vede in angelica
forma,
cosí degli Ammannati tal bellezza
discese, che
nimica par che dorma:
deh! chi porria narrar la gentilezza
che
nel suo petto per virtú s'informa?
Esser può ben la
sua virtú stimata
ma sol dal creator che l'ha
formata.
53
Appresso segue un'altra donna
ancora
col nome di costei ch'è qui davanti,
leggiadra
Caterina che rincora
qual fiso mira i suoi dolci sembianti;
un
occhio porta che ciascuno accora
e fa con umiltà rider gli
amanti;
questa m'assembra d'ogni virtú dea
per gran
valor che dentro a lei si crea.
54
Vedila
gir nimica di paura
snella soave benigna e accorta,
Giotto che
vide piú nella pintura
non avea suo biltà veduta
scorta,
perché sí vaga la formò natura
che
sol natura in sé tal fregio porta;
dal ciel discese questa
cosí bella
tra noi chiamata di Malagonnella.
55
Checca
vezzosa, giovinetta pia,
porta fra l'altre di bellezza nome;
non
può sapere alcun che biltà sia
se prima non rimira
questo pome;
e come tramontana caccia via
davanti al ciel le
nubolose chiome,
tal discacciò costei, com'ella
nacque,
vizio dal mondo, tanto a virtú piacque.
56
Volle
col suo valor ne' Portinari
donasse vera fama in sempiterno,
la
qual risuona sopra gli alti mari
in cielo in aire in terra e in
inferno;
costei che fa magnanimi gli avari
eternalmente la
formò l'eterno
per far con umiltà vincer superba
e
per sommerger ogni vita acerba.
57
Miri chi
d'Eva la bellezza scorse,
di Cleopatra e di Pantasilea,
miri
quel forte Achille che si torse
per Pulissena, e ferir non
volea:
miri quel Nesso ch'alla morte corse
per Degianira piú
bella che Dea,
mirin se mai biltà fu pari a
questa
d'un'Adola ch'è giunta alla gran festa.
58
Titan
veduto fu con tosta riga
muover correndo gli veloci carri
quando
nacque costei che 'l mondo riga,
e a vedere l'andò sugli
alti carri;
di lei s'innamorò prendendo riga
ad essa
volontà muovere i carri,
né Corbizzi si diè
cotale altezza,
che tanto piacque alla divina altezza.
59
Chi
l'Adovarda guarda là dov'arde
il gran valor che suo biltà
dimostra,
tosto dispregia l'opere codarde
uscendo fuor della
mondana chiostra,
e di tanta virtú nel cor riarde
che
spande el nome suo da borea all'ostra;
Amor sí vaga l'ha
dal ciel dotata
esser mostrando in equator
formata.
60
Bisdomini, duo volte gran
signori,
poiché si vede in voi tal signoria,
Amor che
può ferir negli alti cori
non può, se da costei non
ha balía,
perch'ella è degna di tutti gli onori
in
acquistar di gloria leggiadria;
Diana ne può far
testimonianza
che sempre seco ha fatto dimoranza.
61
Intanto
che piú stanno di sicuro
le vaghe donne con diletto e
gioco,
ed ecco giugner con visaggio scuro
una vecchia crudel di
senno poco,
e come falso e dispietato furo
sovr'una mula giunse
in questo loco,
accompagnata d'altre sette streghe
cogli occhi
rossi e visi fatti a pieghe.
62
Tutte le
belle donne stupefatte
tosto gridando: "Alla morte, alla
morte!"
Costanza le chiamò soavi e ratte
dicendo: "
Non uscite dalle porte."
E tutte in sulla porta si son
fatte
per sentir le novelle che son porte,
e quella vecchia con
un grande strido
a gridar cominciò: "Io vi
disfido."
63
E prese una stracciata e
unta cuffia
insanguinata ch'era sopra un pruno,
e disse:
"Questo vi manda Matuffia,
che sono io dessa d'anni
cenventuno,
da parte della gran vecchia paruffia,
in segno di
battaglia e in remuno,
però che Ogliente vogliam
vendicare
con vostra pena sanza dimorare."
64
Com'ebbe
diffinita l'ambasciata
incominciò la mula a punzecchiare,
e
dipartissi quella digrignata
con l'altre sette di noioso
affare;
Costanza in quella piú che mai beata
incominciò
colle donne a cantare,
e tutti gli stormenti fe' romire
ballare
e sollazzar con gran desíre.
65
Fatto
silenzio alli stormenti vaghi
incominciò parlando: "Donne
mie,
ciascheduna di voi nel cuor s'appaghi
ch'egli è
venuto quel beato die
il qual ci ha fatto segno delle piaghe
che
porgeremo a quelle vecchie rie;
adunque omai s'attenda a provar
l'armi,
che tempo non si perda, e questo parmi."
66
Io
lascerò le donne in tanta festa
e 'n tal disío che
dir non si potrebbe;
ciascuna corre dentro alla foresta
l'armi
trovando, ch'a cercar non s'ebbe;
chi spicca l'elmo e chi la
sopravvesta,
qual di grillanda suo cimier ricrebbe;
cosí
mi parto, e mai da lor non parto
seguendo il terzo canto e poscia
'l quarto.
CANTARE TERZO
1
L'alta
chiarezza di quell'alta madre,
la gran piatà di quel
benigno lume,
che 'l creator del ciel prese per madre
per
figlia per isposa e per suo lume
per divota sirocchia, sí
che madre
non fu ch'al figlio desse tanto lume,
quanto mostrò
nel mondo, poiché 'l figlio
dal ventre suo discese come
giglio,
2
del figlio e di tal madre el lume
chiamo
sí che al mio canto segua dolce fine;
la santa
Venus che 'l nemico gramo
sempre sommette a velenose spine,
mi
porga un frutto del benigno ramo
quale soccorso di tutte
ruíne,
cosí per grazia delle luce sante
dirò
la pace di ciascuno amante.
3
Dico che
s'apparecchi a gran battaglia
infra li duo nemici disfidati.
Le
vecchie mandan per ogni boscaglia
per siepi per spilonche e per
fossati
cercando di lor armi e vittuvaglia,
e di color che son
disamorati;
facendo loro sforzo prestamente
per vendicar del
tutto donna Ogliente.
4
Nel borgo della noce
un casolare
siede cerchiato da ogni bruttura,
dove le vecchie
per consiglio fare
tutte si ragunar sanza misura;
or quivi si
facea sí gran ciarlare
con urli e canti di maniera
oscura,
che nel ninferno non si fece mai
tanto rumor di strida
o tanti guai.
5
Quivi era gente di vil
condizione,
bigliocchi portatori e beccamorti,
ragazzi che
facean nuovo sermone,
stregghie sonando e panatoi ritorti;
quivi
era dispiegato un gonfalone
terribile a veder pien di
sconforti,
tutto dipinto d' infernal ruina
e poi nel mezzo
siede Proserpina.
6
Tanti neri mantili e
canovacci
adoperati a fuoco mai non furo,
quanti alle teste lor
facean legacci
e questo ben parea timido e scuro;
pendevano a
quell'ombra i capellacci
canuti e unti d'olio e di bituro,
gli
occhi focosi e le vizze mascelle
avrebbon morto il diavolo a
vedelle.
7
Erano armati d'uncinati raffi,
di
pale coltellacci e di schedoni,
e l'una all'altra: "Or credi
ch'io l'accaffi..."
diceva spesso con brutti sermoni,
qual
eran sanza sella e sanza staffi
montate con gran pena a
cavalcioni,
su magri tori e su bufale nere,
come piú
sozze e di maggior podere.
8
E quale a' piè
con un forcon da stalla
di gran valor combattere intendea,
gli
portator colla callosa spalla
con grandi urli seguon tal ginea;
il
villan canta e 'l sottocuoco balla
gridando ver Proserpina lor
dea:
"Dacci vettoria, imperadrice diva,
verso chi vuol che
la tua fama viva."
9
Cosí nel
casolare apparecchiate
con tal tempesta che dir nol porria,
lor
capitana feciono, or pensate
se dovea esser pieno di
follia,
essendosi gran pezza sconsigliate
sanza ragion ma con
invidia ria;
la qual fu una che se bene affissola
dall'altre
era chiamata donna Ghisola.
10
O Ghisola
tapina e dolorosa,
di quanto mal se' fatta capitana,
tu brami,
o falsa strega invidiosa,
la fama spegner dell'alta Diana?
Non
pensi tu quel gran valor che posa
nel regno di costanza umile e
piana?
Le spade rilucenti per lor mani
distruggeranno e vostri
cuor villani.
11
Amor benigno, o dolce mio
signore,
or trammi tu che puoi di tal matera,
che queste
vecchie m'hanno spento il core
in parte della tua santa
lumera,
però che gli è sí grave il loro
errore
ch'a ciò pensando l'alma si dispera,
e io che li
lor regni ho qui veduti
son quasi morto se tu non
m'aiuti.
12
Tu se' nel petto mio tanto
soave
che prima ch'io ti chiami tu rispondi,
e colla tua
perfetta e vera chiave
aperto m'hai e tratto alle
chiar'ondi;
correte, amanti, poiché non v'è grave,
e
udirete con versi giocondi
come Costanza bella s'apparecchia
per
dar la morte a ciascheduna vecchia.
13
Nel
verde prato del vago giardino
che siede in quella nobile
foresta,
dove si pose il creator divino
colle suo mani e con la
dritta sesta
formando tanto lucido cammino,
come ben vede chi
d'amor fa festa;
quivi sonando trombe e cennamelle
eran con
gran valor le donne belle.
14
E se nel regno
di Ghisola prava
grave spavento e tenebre si vede,
cosí
dall'alto ciel virtú si schiava,
virtú di queste
donne e di lor fede,
con allegrezza tanta che 'nchinava
le
pietre e l'acqua per trovar merzede,
pensando quanto dolce
melodia
allora in quel bell'orto si sentia.
15
L'alta
reina delle chiare ninfe
che delle vecchie sente
l'apparecchio,
ridendo si rivolse a quelle ninfe,
la cui somma
biltà non ha parecchio;
e disse: "Donne, leggiadrette
ninfe,
gli alti stormenti del dolce apparecchio
mettete omai
nelle veste dorate,
e me alquanto priego che
ascoltiate.
16
Molto s'appressa la vostra
vittoria
che Venus ci ha promesso veramente,
ma per piú
pregio di viva memoria
parmi che manchi a nostro convenente,
non
già per tema, ma per crescer gloria,
in ciascun ch'è
d'amor fedel servente,
il caro duca de' leali amanti,
però
mandiam per lui che venga avanti.
17
Mandiam
per lui che tostamente vegna
con quelli amanti che vorran
seguire
la sua celeste e triunfale insegna,
acciò che
noi veggiamo il loro ardire,
e come fia venuto non ci tegna
priego
né tema del nostro partire,
ma tosto fatte le sovrane
ischiere
seguasi di presente le bandiere."
18
Andaron
due messaggi a quel barone,
e subito gli fer comandamento
ch'al
terzo dí, spiegato suo pennone,
cogli amador si muova e non
sia lento.
Udito 'l duca quell'alto sermone
tosto rispose sanza
alcun pavento
che non al terzo dí ma al dí
secondo
verrà con tutti gli amador del mondo.
19
Spirato
'l duca di molta letizia
d'argento fe' sonar trombe e
trombette,
la cui gran voce priva di tristizia
sentita fu
mentre che non ristette
in acqua in terra in alta primizia
dove
dimoran l'anime perfette,
alla cui voce quasi in men d'un
punto
ogn'amador dinanzi a lui fu giunto.
20
Qual
de' Troian già mai le ricche schiere
de' principi de' regi
e de' signori,
qual greci adornamenti di cimiere
de' rilucenti
scudi in piú colori,
qual armi de' Romani usate
fiere
lucide piú che il sol negli alti cori,
simile a
queste furon chiare e sperti
delle qual gli amador venien
coperti?
21
Perle zaffir balasci argento e
oro,
galatide bandine e amatiste
ornavan per virtú li
drappi loro,
con ricamate fiere, e chi con liste,
chi rilevati
cuor di gran tesoro,
porta feriti d'amorose viste;
ghirlande
avien di fior maravigliose
sovra i destrier coverti tutti a
rose.
22
Dinanzi al duca lor con
reverenza
allegramente si rappresentaro,
e 'l duca per la sua
magnificenza
come piú degno piú felice e caro
per
non poter ricever violenza
d'alcuna piaga o d'altro colpo
amaro,
si fe' menare i suo' quattro destrieri,
che son sí
forti poderosi e fieri.
23
Egli eran bianchi
piú che l'ermellino
coperte di meravigliose veste,
con
pomi tutti quanti d'oro fino
sovr'un velluto di color celeste,
e
ogni pomo avea il suo rubino
sí come il fior che prima si
digeste
e per picciuoli avean chiari topazi,
le foglie
circuncinte in grisopazi.
24
Perché
mi metto in quel che dir non posso
né io né altri
che nel mondo sia?
Egli avea il duca tante perle addosso
che
non val tanto Spagna e la Turchia.
Imagini ciascun che non è
grosso
omai la lor virtú e vigoría,
e quanto sia
lucente lor ricchezza
che ragionarne piú mi par
mattezza.
25
Dappoi che furon tutti
apparecchiati
il duca comandò d'esser seguito;
cosí
la schiera degli innamorati
si mosse su per l'amoroso lito;
non
eran gli stormenti ammutolati
ma ben parea quel suon da cielo
uscito;
trombe trombette nacchere e sveglioni
e d'altra guisa
piú di mille suoni.
26
Serrati sotto
un vago pennoncello
verso quella foresta cavalcando
chi fosse
stato sovr'un monticello
la lor bellezza in quella
rimirando,
sariegli il sol paruto oscuro e fello;
simili allo
splendor che va raggiando
la vaga schiera della santa Dea,
che
d'angioli una nuvola parea.
27
Già
eran tutti sovra la fiumana
a piè della foresta
pervenuti,
dove Costanza di valor sovrana
prima che gli altri
tosto gli ha veduti,
e una danza leggiadretta e piana
fece
sonar pian pian con duo leuti,
prendendo un ballo a quella vaga
danza,
qual fu cagion d'amor fede e speranza.
28
Or
chi potria contar la gran letizia
di quelli amanti tanto
valorosi,
spogliati di dolore e di trestizia,
quando si viddon
ne' porti amorosi?
Ciascun ragguarda sua dolce primizia
cogli
occhi bassi onesti e vergognosi,
d'animo giusti e di perfetto
core,
come leali amanti d'alto amore.
29
Non
creder tu che leggi o tu che ascolti,
ch'amanti di parole sian
costoro,
non giovinetti di maniera stolti,
come si veggono oggi
fare a loro.
O ignoranza, quanti n'hai tu tolti
al ben servir
dell'amoroso coro,
esser mostrando a tale innamorato
che dir si
può piuttosto ismemorato!
30
Amor in cor
villan non ha suo loco,
ch'amor per suo virtú vizio
abbandona.
O quanta pace, quanto dolce gioco,
cosí alto
signor al servo dona!
Chi sente fiamma dal benigno foco,
la
cosa amata amar chi l'ama sprona,
or pensa, pensa s'allegrezza
induce
l'alto valor di sí perfetta luce.
31
Ma
tu che segui l'impeto carnale
usando nuove e dolorose leggi,
se
piangi per angoscia o senti male,
rammarcati di te, che piú
non veggi,
e non di donna il cui valore è tale
che non
intende alli tuo bassi seggi;
Amore è tanto quanto onesta
brama
non già carnal disío, com'altri 'l
chiama.
32
Dunque non sia chi pensi alcun
difetto
del savio duca e della sua compagna;
amanti son di
quell'amor perfetto
che chi piú 'l segue piú virtú
guadagna.
Rimanga nel poetico intelletto
omai quel che per me
non si diragna;
voi che portate amor dell'alte muse
sarete
pronti a far tutte mie scuse.
33
Poiché
Costanza nella sua foresta
si vidde tanto bene accompagnata,
Itta
chiamò e Telda molto presta,
e disse: "Che vi par di
tal brigata?"
E quelle rispondendo con gran festa:
"Piú
bella schiera non fu mai trovata,
che sol gli amanti che qui
giunser'ora
combatterian con tutto il mondo ognora.
34
Dunque,
reina, omai non dimoriamo,
facciam sonare a stormo l'altra
grida,
e a ciascuna donna comandiamo
che s'apparecchi per
donare strida
a quelle vecchie contro a' quali andiamo,
per la
virtú d'amor che 'n noi s'annida
e 'l duca cogli amanti sí
sovrani
par che si strugga d'essere alle mani."
35
La
tromba per lo campo già risuona,
com'a Costanza piacque,
del partire,
e certo quivi allor non si tenziona
né con
ragazzi si sente garrire:
l'una arma l'altra, e l'altra all'una
dona
chi scudo e chi cimier sanza mentire;
cosí con pace
e con molta dolcezza
all'arme viddi il fior d'ogni
bellezza.
36
Costanza bella sovr'un gran
destriere
era salita come imperadrice,
per ordinar le valorose
schiere
dell'alta schiera ch'è tanto felice,
ell'avea
sovra 'l capo tre bandiere
in segno tal com'a reina lice;
e piú
di mille cavallotti a destra
e palafren da dritta e da
sinestra.
37
In quella insegna che nel mezzo
siede
triunfa Giove e suo bella pintura;
nella seconda Venus
poi si vede
piú bella che mai fosse criatura;
nel terzo
luce il sol con tanta fede
ch'ogni altra cosa fa parere
oscura,
quando per vento sventolando vole
o che tal sol dal sol
riceva sole.
38
Tre chiare lune in
fiammeggiante fuoco
attraversate in campo d'oro fino
coprivan
gli destrieri da ogni loco,
che ben parea veder atto divino;
gli
adornamenti suoi non vaglion poco
che sarie sciocco alla stima
Merlino;
però silenzio mostri gloriato
quel che per dir
non può esser lodato.
39
Il ciel non
credo che di maggior lume
mostrasse mai virtú per suo
grandezza,
né altro cerchio sovra 'l suo cacume
non
porse in occhio mai tanta allegrezza;
quivi d'ogni diletto corre
un fiume
che cerchia l'universo per altezza,
e io che tanto
lume rimirai
non porria dirlo, sí forte
abbagliai.
40
Mentre che l'occhio mio
guardava fiso
gli adornamenti della bella dama,
ed ecco giugner
con pulito viso
Itta vezzosa d'ogni virtú rama
sovr'un
destrier coperto d'un aliso
velluto incatenato per suo
fama
d'incrocicchiate catene d'argento
con tante perle che mi
fe' pavento.
41
Ben dimostrava questa bella
donna
la sua grandezza in ciascheduna parte,
ella par veramente
una colonna
che 'l ciel sostenga e 'l mondo d'ogni parte;
pel
campo corre a guisa d'alta monna,
maestra in arme dell'ardito
Marte,
ordine dando all'altre tuttavia:
"Armatevi,
sorelle, in cortesia."
42
Telda
coll'arme de' piccon vermigli
di montare a caval già non
dimora,
questa conforta gli amorosi figli
e al ben far piú
ch'altra gli rincora.
Deh quanto son perfetti i suoi consigli
in
distrugger le vecchie d'ora in ora!
Questa risplende sí
nell'armi bella
qual nel sereno ciel si vede stella.
43
Segue
nell'arme col bello stendardo
chi gentil Caterina si piú
dire,
con un volpon nel petto sí gagliardo
che proprio
vivo par sanza mentire,
e poi ch'a tutte pose il dolce sguardo
nel
mezzo si fermò con grande ardire;
intanto l'altre con un
bel drappello
armate corson sotto suo pennello.
44
Or
si rallegri tutto l'universo
l'imperio grande e 'l regno di
Plutone,
sentendo d'allegrezza il dolce verso,
veggendo l'armi
di tanta ragione,
l'oro e le perle e 'l vermiglio col perso,
i
fior la seta e poi l'alte corone,
la festa il giuoco l'amore e la
fede,
la franchezza del cor che 'n lor si vede.
45
Cosí
le belle donne apparecchiate
nell'armi rilucenti e nelle
schiere,
la prima schiera, e ciò non dubitate,
il savio
duca prese volentiere
per correr prima tra quelle arrabbiate,
con
valorosi amanti, a chi mestiere
fa di provare el giorno
francamente
per viver con amor benignamente.
46
Piacque
a Costanza l'altra schiera dare
ad Alessandra valorosa guida,
la
qual sovr'un destrier di grande affare
era montata per donare
strida
al vecchio campo, e con lor provare
volesse contro a chi
in amor s'annida;
e per insegna lucide catene
porta nel serafin
che ben la tene.
47
La terza poi condusse
Elena bella
saggia benigna onesta e gloriosa,
chiara nell'armi,
a guisa d'una stella,
amorosa vezzosa e valorosa;
rigan tre
febe il bel petto di quella
nel campo febo in banda sanguinosa,
in
segno quale altezza nel suo sangue
è per sommerger
l'arrabbiato angue.
48
L'ultima e quarta
Costanza reina
colle reali insegne poi conduce,
con Itta Telda
e bella Caterina,
e con alquante d'ogni virtú
luce.
Quest'alta ischiera valorosa e fina
governa il mondo come
savio duce,
or pensa quando questa sarà vinta,
ch'allor
sarà la luna stella quinta.
49
Fatte
le schiere e ordinati i segni
la santa Venus fu data per nome,
e
gli stormenti di dolcezza pregni
incominciaron le vaghe
idiome.
Allor le vecchie con crudeli isdegni
cogli aspri volti
e con canute chiome
sentendo l'apparecchio ch'era fatto
bacini
e corni fecion sonar ratto.
50
E poi
ch'alquanto doloroso suono
ebbon finito con superbo fine,
Ghisola
si levò con un gran tuono,
e la sua strozza paurosa
aprine
dicendo: "In nome del crudel dimono
Scilla Cariddi
e tutte altre ruine
adempian oggi il nostro mal volere,
sí
ch'ogni ben si possa far cadere.
51
Dolor
tormento e grida ci notrica,
dunque la pace non si fa per noi;
la
grande invidia ch'al cor ci s'abbica
farà Costanza sempre
gridar "Oi";
altro non fa bisogno ch'io vi dica
se
non che ciascuna sia morta poi;
che piú di noi si tengono
esser belle,
asine brutte disdegnose e felle."
52
E
fece quattro schiere di sua gente
e diè le prime al Ciuffa
portatore
vecchio bistorto pazzo e frodolente,
ch'un cercine
per arme ha messo fore.
Or udirete come francamente
si porterà
nell'arme il feritore,
che volendo in sull'asino salire
sei
volte o piú ne cadde, allo ver dire.
53
A
Nuccia trista impose la seconda,
la qual per arme portò un
strufinaccio,
questa d'ogni bruttura sempre abbonda,
porta
padella per un tavolaccio,
una pentola in testa poi si fonda,
in
pugno prese lo schedone avaccio;
minacciando Costanza sovr'un
toro
salí rivolta indietro per ristoro.
54
La
terza a Dogliamante concedette
con l'arme sua dipinta di
malíe,
costei porta per guanti duo scarpette
e per
barbuta una cesta d'ubbíe;
fatt'ha lo scudo di quoia ben
sette,
dico di topi, e non s'armò di die;
questa
sovr'una bufola s'inforna
legata con la coda tra le
corna.
55
Ghisola tapina di tristizia
volle
la quarta sotto il suo condotto,
con Puccia matta Tondina e la
Vizia
con Semaldrudo che pare un merlotto:
e menò seco
per maggior letizia
la Grigna la Germina e ser Margotto;
queste
che mai non calan di gridare
per rabbia e per invidia del ben
fare.
56
La 'nsegna sua che gli è
portata sopra
riluce a guisa dell'oscura notte,
però che
Proserpina vi s'adopra
cerchiata di ramarri serpe e botte,
e di
tal dama intendo che si scopra
il gran cimier ch'uscí
dell'atre grotte
l'asino, dico, che pare un balestro
legato
sovra 'l fondo d'un canestro.
57
Sovr'una
mula magra zoppa e cieca
trecento portator la caricaro
con gran
fatica questa vecchia bieca,
e poi d'intorno ben la puntellaro
di
paglia e di capecchio ch'ognun reca,
sí che non caggia per
un colpo amaro,
e un paiuolo le dieron per targhetta
con una
forca per doppia vendetta.
58
Secchie bacini
e vecchi can latrando
corni vassoi e altri vaghi suoni
e quelle
vecchie a gridar cominciando
Giove temette di sí fatti
tuoni;
però che 'l ciel si venne annuvolando
sentendo lo
stridor de' gran dimoni
che fecion quando fu Ghisola armata
e
ciascun'altra vecchia apparecchiata.
59
Benché
lecito sia narrare il vero
del brutto campo che 'n quel luogo
vidi,
parmi pur tanto grande il vitupero
che signoreggia li
mortali stridi,
ch'amor chiamando dal celeste impero
priego
ch'alquanto con piatà mi fidi,
sí ch'io possa
tornare al santo regno
del qual Costanza mi fa vero
segno.
60
Cosí per grazia del benigno
amore
lieto ritorno all'altra tragedia,
lasciando queste
vecchie con dolore
in una valle chiusa d'aspra via,
e pongo
fine al mio terzo tenore
seguendo l'altro poi con mente pia,
dove
si narran le crude ruine
dell'aspre vecchie o 'l doloroso
fine.
CANTARE QUARTO
1
Madre
reina, madre di quel re
che costrigne le stelle a patir legge
di
quel gran lume che lume ci diè,
cui tu creasti fra l'umane
gregge,
grazia mi presta per tua santa fè
e per amor di
quel che tutto regge,
ch'alfin di questo poco che m'è
troppo
snodar m'aiuti il contemplato groppo.
2
O
Venus, Venus, né tu m'abbandona,
però che sanza te
durare affanno
van mi parria di ciò che si ragiona,
d'amor
benigno di gloria e di danno;
adunque, terza luce, tu
m'introna
de' canti vaghi che ne' cuor si danno
apparecchiati
al ben sanza malizia,
sí che risuonin poi con gran
letizia.
3
Move Costanza dalla sua foresta
e
va cercando le vecchie crudeli
colle sue belle donne, e mai non
resta
per monti boschi piagge, a caldi o geli,
infin che truova
quella falsa gesta,
ch'amor per tempo non vuol che si celi
agli
occhi vaghi di sí fatto lume,
però che 'l buon
distrugge il rio costume.
4
Al suon de'
corni e al mugghievol sido
Costanza per virtú di suo
grandezza
di botto sente dove sta lo strido
di tanta grave
oscura e ria gramezza,
e dritta sulle staffe misse un grido,
che
l'inferno crudel sentí dolcezza,
e volsesi alle donne e
agli amanti
dicendo: "Fate i vostri cuor
diamanti."
5
Sotto la 'nsegna del
dorato pome
si fece avanti il valoroso duca,
e fe' sonar la
tromba in segno come
chiamar battaglia, dove si conduca.
Intanto
giunson le cattive some
de' vili amanti sanza amor che luca,
ciò
fûr bigliocchi portatori e fanti
col Ciuffa capitan che
giunse avanti.
6
Il savio duca e principe
amoroso
veggendo contro a sé tanta vil gente
abbassa
l'aste e 'l caval poderoso
ferí spronando molto
francamente,
e come amante piú che valoroso
il Ciuffa
giunse con ferro pungente,
il qual gli mise per lo grave petto
e
morto l'abbatté dell'asinetto.
7
Mosso
da virtuoso e alto sdegno
il duca cogli amanti poi trascorse
tra
quella gente sanza alcuno ingegno,
la qual fuggendo subito si
torse;
allor gli amanti seguendo lor segno
molti n'uccison
nelle gravi corse.
Costanza bella che questo mirava
il duca
cogli amanti gloriava.
8
Ride Costanza e
alle donne dice:
"Certo le vecchie mal fanno vendetta;
parmi
ch'e loro amanti alle pendice
vadan caggendo in sulla fresca
erbetta."
Alessandra chiamò in quella vice,
e
disse: "Figlia, che sia benedetta
percuoti con tuo gente e
fa' che sia
oggi palese la tua gagliardia."
9
Non
ebbe appena inteso la parola
che per desío d'amor tosto si
mosse,
e diventò qual vermiglia vivola
parendole
mill'anni ch'a ciò fosse;
cosí guardando vidde
Nuccia sola
fermata in mezzo delle genti grosse;
broccò
il destrieri e con l'asta abbassata
a ritrovar l'andò
fralla brigata.
10
Nuccia veggendo
Alessandra venire
di dietro all'altre si trovò di
botto,
sicché a Alessandra convenne ferire
a una vecchia
d'anni novantotto,
la qual chiamata fu donna Garrire,
e a
costei percosse cotal botto
caggendo morta, e non valse il
tagliere
che 'n man portava per un broccoliere.
11
Or
quivi cominciò la bella zuffa
tra quelle quattro schiere
principali;
di pentole e vassoi una baruffa
vediesi per lo ciel
volar senz'ali;
ed era già la gente del gran Ciuffa
tutta
sommersa per li colpi tali,
e già le vecchie tutte
scapigliate
corrien pel campo a guisa d'arrabbiate.
12
Era
Alessandra in questo mezzo chiusa
e guarda pur se Nuccia può
vedere,
e fitto avea 'l destrier fino alla musa
nel sangue di
cotanto vil podere;
i cercini le stanghe marre e fusa
le
pentole i paiol di quelle fiere
avieno il campo tutto
asserragliato
e del lor puzzo tutto infastidiato.
13
Poiché
Alessandra al cui veder niente
si chiude per virtú che in
lei dimora,
la Nuccia scorse misera e dolente
che non calava di
minacce ancora,
ferí sovra di lei sí francamente
che
Giove d'allegrezza si rincora,
e giú del toro morto
l'abbatteo,
poi a ben cento simil gioco feo.
14
L'altre
compagne non si stanno oziose,
ma ben dimostra sua virtú
ciascuna,
intanto che di quelle dolorose
poche n'eran campate
ovver nessuna;
la Ghisola che vede queste cose
a Dogliamante
comandò, che l'una
delle sue quattro schiere
governava,
ch'allo stormo si metta, e ciò la
grava.
15
Alzò la fronte e del ciel
si rammarca
Ghisola che si vede a tal partito,
e dice a Giove:
"Tua ragion travarca
in fare altrui gran torto ed hai
fallito.
Deh! chi sarà colui che mai ti parca
poi ch'a
distrugger noi se' stato ardito,
donando a cui non dei benigna
vita,
ma la tua ingiuria forse fia pulita."
16
L'alta
Costanza, donna serenissima,
dall'altra parte vide sanza
dubito,
che tutta la sua gente potentissima
vinto vincendo
vinceranno subito;
volsesi adunque alla virtú
pienissima
alzando le suo braccia e tutto il gubito,
gridò
chiamando quest'alta memoria
merzé, signor, poiché
ci dài vittoria.
17
E poi comanda,
preso maggior core,
che gli stormenti faccian gran litizia,
e
che ciascuna donna di valore
tosto la segua per donar trestizia
a
chi nel mondo porge grave errore
brighe crudeli e ogn'aspra
malizia,
gridando: "L'arme d'allegrezza sia!"
tutte
si mosson con gran vigoria.
18
È
Dogliamante venuta in sul campo
che di combatter la parea già
tempo,
e alla schiera sua fenne far campo
senza ordine misura o
fermo tempo,
e veniesi avvolgendo per lo campo
con uno
spazzatoio di molto tempo
correndo con quell'arme verso
Elèna
quest'amante crudel di fuoco piena.
19
Elena
ciò veggendo tosto rise,
dicendo fra suo cuor: "ecco
diletto!"
e colla spada il capo le divise
e morta cadde
sull'erboso letto.
Elena bella per gran cuor si mise
di tor la
vita a Ghisola del petto,
correndo per lo mezzo di suo
schiera
trovò per forza la crudel bandiera.
20
Trovato
ch'ebbe l'infernale insegna
Ghisola vidde con la spada in mano,
e
a fedir l'andò con mente pregna
d'alto valor d'ogni viltà
lontano.
Ghisola ciò veggendo forte sdegna
e cominciò
gridando un urlo strano
che fece tutto il mondo impaurire
e
tutta l'aria e la terra putire.
21
Il puzzo
fu sí duro crudo e forte
ch'uscí di quel canal
disabitato
che questa Lena a cui vezzose sorte
e leggiadrie
gentili erano a lato,
costumi vaghi di celeste corte
e
nimicizia d'ogni rio peccato:
sentendo il suo contrario con gran
pena
a gridar cominciò: "Or muori, Elèna."
22
Ma
prima disse: "Io non verrò già meno
ch'io non
mi sazi del sangue doglioso."
Punse il destrieri e allentogli
il freno
e prese il brando tutto sanguinoso,
faccendo delle
vecchie aspro rimeno,
ch'a mille o a piú donò mortal
riposo;
ma poi essendo per lo puzzo afflitta
chiamò
Costanza sua sorella e Itta.
23
Gridando:
"Donne mie, Elena vostra
non può durare in vita piú
con voi."
E sola in mezzo della crudel chiostra
dice
piangendo e convien pur che muoi.
Costanza parla: "Dov'è
Elena nostra
ch'io non la veggio...;" e riguardando poi
nel
mezzo vide il suo vago cimiere
appunto a' piè delle crudel
bandiere.
24
Dice Costanza: "Elena sia
soccorsa."
E ad un tratto mosse il grande stuolo,
ma
troppo tardi fu la brieve corsa
però ch'al cuor sentiva il
mortal duolo;
molto n'uccison in quella trascorsa
di quelle
vecchie nel veloce volo
Costanza e Telda e Itta per atare
Elena
che si muor per ben provare.
25
E quando
furon tutte a piè di lei
fuor la cavaron di quell'aspro
loco,
pregando Giove e tutti gli altri Dei
ch'aiutin Lena trar
di cotal loco.
Smontò Costanza del destriero a' piei,
in
braccio la portò lontano un poco,
sicché dal campo
la ritrasse alquanto
in un bel prato sovr'un ricco
ammanto.
26
Fuor che Costanza Telda e Itta
bella
l'alte rimason tutte combattendo,
e queste disarmaron
quella stella,
a chi di testa il bell'elmo traendo
vidon che
morta non era ancor quella,
ma gli occhi aperse quasi
sorridendo
verso Costanza, e con un gran sospiro
l'alma
produsse al ciel sanza martiro.
27
Cosí
morí chi piú d'altra gentile
mentre che visse si
poté dar vanto,
benigna saggia cortese e umile
vezzosa
leggiadretta e bella tanto,
sempre nimica d'ogni cosa vile
piú
ch'altra donna in virtuoso manto,
onesta piena di perfetta
gloria,
piatosa donna sanza vanagloria.
28
Piange
Costanza la perduta Elèna
spesso baciando suo candido
viso,
e dice: "Donna, d'ogni virtú piena
come farò
che sento il cor diviso?
Morir conviemmi teco in grave pena
che
tutto 'l mio valor sento conquiso."
Cosí
piangendo cadde tramortita,
chiamando:
"Elena mia, dove se' gita!"
29
Itta
si duole e Telda fortemente
con
grave pianto del perduto bene,
ciascuna
dice: "Lassa medolente!
morir
con teco, Lena, mi conviene,
ma
prima che la morte ci abbia spente
tutte
le vecchie sofferranno pene!"
Sovra
quel corpo ciascuna giurando
metterne
mille al taglio di suo brando.
30
Cresce
lo stormo e la zuffa s'accende
con
gravi strida e con urli mortali;
quivi
ciascuna vecchia si difende
preso
rigoglio de' commessi mali,
Ghisola
d'allegrezza il cuore apprende,
dicendo
all'altre: "Ciascuna si cali
donando
pena a quella grave sorta
che
la piú pro' di loro è suta morta."
31
Itta
pigliò Costanza per lo braccio
che
sovra 'l corpo piangendo giacea,
dicendo:
"Donna mia soccorri avaccio
le
nostre donne dalla morte rea!"
Costanza
si levò qual freddo ghiaccio
ch'appena
per dolor si sostenea,
volgendo
gli occhi al cielo, e quel compianse,
che
l'alto Giove per piatà ne pianse.
32
Poi
dice a Telda, che con molti fiori
quel
corpo celi sí che fia coverto,
la
quale andò scegliendo i sommi odori,
dove
nel prato alcun ne vede aperto,
e
cosí la coperse e 'n piú colori
perché
non fosse agli occhi l'occhio certo;
e
poi montata sovra un gran destriere
segue
Costanza, e Itta le bandiere.
33
E
poi ch'a quello istormo furon giunte
Costanza
con gran pianto all'altre dice:
"Volgete,
donne, le taglienti punte
per
far vendetta del corpo felice,
e
fate che le vecchie sian difunte,
che
s'elle son disperse, il cor mi dice,
Venus
pregando e l'alto Giove poi
Elena
viva tornerà con noi."
34
Crebbe
la forza per tal diceria
nel
cor di queste donne doppiamente,
ciascuna
per provar sua gagliardia
move
col ferro in mano arditamente;
Diana
Dora e Filippa s'invia,
Felice
Tora e Agnola piacente,
Margherita
Lorenza e Caterina,
Adola
Nera Giovanna e Nonnina,
35
Francesca
bella e poi Bartolomea,
Colombina
Tommasa e Maddalena,
Giovanna,
Antonia in cui virtú si crea,
ciascuna
corre sanza prender lena;
incominciò
Costanza la mislea
con
una lancia e a ferir non pena,
e
per amor della dolce sirocchia
uccise
Matta, Grigna e la Pannocchia.
36
Ben
par Costanza un affamato drago
tra
quelle vecchie, tante ne conquide,
le
quai vanno caggendo per lo brago
con
gran dolor con pianto e con istride,
dumila
e piú ne misse in tristo lago
questa
reina e tutte le conquide,
perché
d'Elèna non si può dar pace,
cercando
pur di Ghisola rapace.
37
Or
chi vorria contar quanto valore
ciascuna
donna in quel punto mostrava,
ch'a
tante dieron l'ultimo dolore
quanta
nell'ocean rena si lava.
Il
duca valoroso feritore
cogli
amorosi amanti non si stava,
ma
combattendo dalla costa giva
e
fatto avea de' morti lunga riva.
38
Duo
parti delle vecchie son per terra
svenate
sbudellate e smozzicate,
e
della terza, se 'l mio dir non erra,
eran
piú che le mezze inaverate;
sicché
mal posson seguitar la guerra
quelle
dolenti streghe sventurate;
Ghisola
dentro d'ira si consuma
faccendo
al ceffo velenosa schiuma.
39
Itta
benigna Costanza seguendo
di
suo prodezze fa gran maraviglia
disamorati
e vecchie percotendo,
che
fan la terra diventar vermiglia;
l'insegna
poi di Ghisola veggendo
irata
corse e subito la piglia
col
manco braccio e con l'altro divise
quella
che la tenea, sí che l'uccise.
40
La
bella Telda che tante n'ha morte
quante
nel ciel si veggon chiare stelle
Ghisola
vide; allor correndo forte
la
lancia le ficcò per le mascelle;
quella
gridando con parole scorte
vendetta
chiese all'eruine felle,
e
un crudo stridor sí forte mise
che
Telda quasi da vita divise.
41
Costanza
vede Telda stupefatta
per
lo stridor di quella vecchia cruda,
irata
corse molto presta e ratta
con
una spada valorosa e gnuda,
e
per ferir la Ghisola si è tratta
in
parte che 'l valor vuol che si chiuda,
dicendo:
" Vecchia, vecchia, maladetta,
la
vita ti convien lasciare in fretta."
42
E
con quella parola un colpo mena
del
forte brando sanguinoso e molle,
la
testa le partí con grave pena
e
morta cadde la Ghisola folle.
Vendetta
fece Costanza d'Elèna
qual
nell'animo suo dispose e volle;
al
ciel volgendo gli occhi dilettosi
sospiri
porge vaghi ed amorosi.
43
Tutte
le belle donne fanno pruova
per
consumare a tutto quelle fiere,
intanto
che la fine amara piova
che
vecchie non si possa piú vedere;
e
cosí mentre ch'alle donne giova
di
far contento lor sommo volere,
quelle
seguendo uccison di presente
fin
che le spade menan vanamente.
44
Non
truovan piú le spade che ferire
ed
è la terra piena di carogne;
quivi
molti moscon si fan sentire
nibbi
cornacchie corbi e gran cicogne;
chi
con budella fugge a non mentire,
chi
li lor membri portan per le fogne;
i
teschi e l'ossa e lupi divoraro,
le
mosche il sangue tutto consumaro.
45
Non
compié di passare un'ora intera
che
di que' corpi nulla se ne scorse,
e
cosí capitò la prava schiera
per
la superbia che in lor mente corse;
invidia
e avarizia vuol che pera
chi
strigner si lasciò nelle lor morse,
siccome
queste di vizio profondo,
le
qua' Costanza discacciò del mondo.
46
Rimase
con vettoria chi dovea,
ciò
fur le ninfe di sommo valore;
grand'allegrezza
fra lor si facea
in
una parte, in altra gran dolore,
perché
ciascuna sola si vedea
di
quella bella Elèna di gran core,
per
cui si piagne e poi dall'altra parte
della
vittoria si ringrazia Marte.
47
Fece
Costanza far comandamento
ch'ogni
suo donna debba far gran festa,
e
che sonar si deggia ogni stormento
sanza
piú doglia e sanza piú tempesta;
onde
ciascuno tal proponimento
sognando
d'allegrezza si fe' presta.
Le
donne traggon gli elmi agli amadori
donando
lor ghirlande di be' fiori.
48
Chi
canta chi s'abbraccia e chi pur suona
e
chi si lava il volto alla fontana,
chi
dolce bacio alla compagnia dona
e
chi per bigordar fa la chintana,
chi
l'una verso l'altra corre e sprona
per
allegrezza sovra la fiumana,
chi
giuoca con la palla e chi pur danza,
chi
porta rose alla bella Costanza.
49
Tutto
quel giorno con sommo diletto
le
donne nel bel prato fan dimora,
e
poi ciascuna il suo bel trabacchetto
acconcia
per la notte l'ultim'ora.
Drappi,
zendadi, con capanne o tetto
la
notte le coperse; infin ch'aurora
mostrò
del giorno il giovane mattino
tornando
Febo a esser montanino.
50
Ecco
le rote del veloce carro
su
per la schiera d'un poggio rapente;
allor
le donne tutte, s'io ben narro,
aperson
l'occhio all'occhio rilucente,
e
d'allegrezza fanno grande sbarro
con
molti suoni, e poi benignamente
davanti
alla reina tutte vanno
e
con gran reverenzia onor le fanno.
51
Poiché
Costanza l'ebbe tutte a sé,
dimostrar
volle la sua gran virtú,
e
da seder drizzossi ritta in piè,
dicendo:
"Donne, temo non è piú
d'abandonare
Elèna che mort'è,
ma
volger gli occhi si vuol colassú,
dove
l'anima sua con Giove stà
pregandol
che la renda per piatà.
52
Io
questa notte vidi, donne mie,
che
Venus dolcemente lagrimando
pregava
Giove con parole pie:
-
Rendimi l'alma e non le dar piú bando
del
vago corpo pien di leggiadrie,
perché
senz'esso il mondo vien mancando
d'ogni
chiara virtú senza soccorso
di
questa donna ch'era suo ricorso. -
53
E
vidi Giove per piatà di lei
riprender
quasi sé d'aver mal fatto
di
tener tanto l'anima a costei,
considerando
'l ben ch'avea disfatto,
allor
promisse d'esser con gli Dei
e
far concilio prestamente e ratto,
nel
quale intende che Elena si renda
e
che giammai piú morte non l'offenda.
54
Dunque
ciascuna si rallegri omai
e
faccia per letizia dolce festa;
il
ciel piú non consente i nostri guai,
e
qui si vede l'opra manifesta;
libere
fatte siam per sempremai
piú
non temendo la vecchiarda gesta,
che
morte tutte son per vostre mani
e
le lor membra mangiate da' cani.
55
Facciasi
tempio in questo loco grande
e
sacrificio a Giove si largisca
e
un'alta colonna tanto grande
alla
foresta vo' che si largisca,
ch'al
cielo aggiunga la parte piú grande:
quivi
ciascuna donna si largisca
scolpita
con intagli sí notabili
in
alabastro che non fian mancabili."
56
Il
fine fu di quella diceria
che
'l tempio s'argomenti sanza sosta;
ogni
stormento per gran vigoria
alle
celesti melodie s'accosta,
faccendo
gran romor con voce pia:
cosí
nessuna d'allegrezza sosta,
e
quel bel tempio tosto edificaro
d'argento
e d'oro molto ricco e caro.
57
Presono
il corpo della vaga Elèna
con
molti fiori e molti drappi d'oro,
e
in quel tempio sanza prender lena
il
puoson sopr'un letto dentro al coro.
Ciascuna
canta con la dolce vena,
doppieri
accesi v'ha di gran tesoro,
con
pietre preziose in somma grande
che
'ntorno al corpo fanno piú ghirlande.
58
Cosí
cantando con festa gioconda
priegano
il ciel che l'anima ritorni;
Giove
pertanto non sa che risponda
se
non di render quella e non soggiorni;
al
sol la diè nella luce ritonda,
il
qual la prese infra li raggi adorni,
e
come l'ebbe tostamente corse
nel
nuovo tempio e quella al corpo porse.
59
Il
corpo sente la suo dolce vita
e
subito si drizza sopra il letto,
correndo
alla sorella sua gradita,
ciò
fu Costanza, che dentro dal petto
per
gran dolcezza fu quasi smarrita,
veggendo
Elèna con benigno aspetto;
e
poi la prese in braccio istrettamente
baciando
il viso suo benignamente.
60
Tutte
le donne con somma letizia
corron
dintorno a quella giovinetta,
quivi
con gioco e festa ogni tristizia
tosto
cacciar si vede con gran fretta.
Or
chi potria narrar quanta dovizia
apparve
di biltà fra quella setta,
veggendo
Elèna bella ritornata
dall'alto
Giove per piatà mandata.
61
Cosí
con allegrezza il campo mosse
ver
la foresta con ulivi e fiori
in
segno di vittoria e di lor posse,
andando
innanzi tutti gli amadori.
Le
belle insegne non parien percosse,
ma
rilucente con vaghi colori
dànno
nel ventolar sí bella vista
che
'l cielo allegro piú valor ne acquista.
62
E
poi ch'alla foresta sono andate
entraron
dentro al nobile castello
e
quivi prestamente disarmate
rappiccan
l'armi nel sovrano ostello,
e
di lor veste si sono addobbate
sí
riccamente, che narrando quello,
parrebbe
a chi l'udisse non credibile,
per
lo tesoro di stima valibile.
63
Taccia
la lingua mia di raccontare
il
minimo diletto ch'io vi scorsi
nel
vago canto e dolce sollazzare
ch'allor
facendo le donne m'accorsi.
Il
gran Neutunno rabbonaccia il mare
e
per le selve si rallegran gli orsi,
tutte
le fiere son venute pie
per
la virtú dell'alte melodie.
64
L'alta
colonna della fama eterna
Costanza
dice ch'ordinare intende,
non
come cosa di virtú moderna
ma
qual celeste piú nel ciel s'apprende;
cosí
chiamando la gloria superna
dall'alte
rote tal grazia discende,
che
quivi giunse la ricca colonna
eterna
vita d'ogni bella donna.
65
D'un
alabastro lucido e perfetto
si
veggon dentro gli sottili intagli
di
queste donne con verace effetto,
con
fronde capitelli e piú frastagli.
Son
le lor chiome d'oro puro e netto
dove
ciascuno amante vuol ch'abbagli
quell'alto
Giove che da ciel la pose
per
la virtú delle donne amorose.
66
Di
grado, in grado, d'una in altra bella,
le
vaghe donne son quivi scolpite,
e
sovra l'alta sommità di quella
Costanza
regna, minacciante Dite,
spiriti
vaghi sono intorno a quella
con
trombe d'oro lucide e pulite,
sonando
sempre con la boce tale
che
l'universo teme di far male.
67
Armato
il duca colla spada in mano
si
vede in quella piú che valoroso
e
ogni amante di virtú sovrano
v'è
posto dentro fiero e coraggioso;
or
quivi d'allegrezza a mano a mano
si
fa gran festa con sommo riposo,
con
sí perfetta gloria e alto bene
ch'è
nell'alme dannate manco pene.
68
Tre
gran parole vuol Costanza dire
in
questa bella fine sanza fine,
onde
ciascuna pronta a ubbidire
alli
soavi canti pose fine.
L'alta
reina di perfetto ardire
allor
la voce sua pulita e fine
incominciò
parlando, e cosí dice:
"Nostra
virtú sarà sempre felice.
69
Noi
abbiam morte quelle maladette
che
'l mondo d'ogni bene avien disposto,
ma
pur si cerchi ancor delle lor sette,
e
dove alcuna n'è sia morta tosto;
cosí
con pace viverem perfette
sanza
sentir di morte il grave costo;
Elena
bella tal pruova n'ha fatta
ch'omai
beate noi e nostra schiatta."
70
Finito
ch'ebbe quell'alto sermone
nel
verde prato fanno dolce festa
le
belle donne per ogni stagione.
Allor
mi dipartí dalla foresta
lasciando
quelle omai sanza questione
in
allegrezza tanto manifesta,
e
non creda alcun che la tornata
mi
sia per tempo o tempo mai vietata.
71
Amor,
adunque omai lecito sia
ch'io
ponga fine al dilettoso canto;
e
tu, Costanza, d'ogni virtú pia
della
tua grazia mi concedi alquanto
con
l'alta vaga e bella compagnia
ch'agli
occhi mi mostrasti valor tanto,
sicché
per me si possa omai lasciare
quel
che per dir non si porria stimare.
72
Io
son chiamato dal fioretto mio
per
cui mi mossi a gloriar Costanza,
e
dice ch'io ritorni al suo ricrío
al
vago lume di dolce speranza,
il
qual m'accende ognor vago disío
nel
cor che contro a lui non ha possanza;
e
dicemi che 'l termine è passato,
però
ritorno, e qui prendo commiato.
73
In
donna non fu mai simil virtute,
donna
non fu giammai di tanto pregio,
come
quest'alto fior la cui salute
volle
ch'al vecchio vizio tal dispregio
in
sé portasse con aspre ferute,
valor
donando di vittoria fregio,
alla
biltà che val sopr'ogni bella,
cioè
virtute in vaga damigella.
74
Non
nacque questo fiore in verde prato
né
lungo riva di veloce fiume,
ma
nel piú alto ciel fu collocato
il
suo principio per eterno lume,
dinanzi
al cui valor son ritornato
pognendo
fino a questo mio vilume,
nel
qual si può veder favoleggiando
virtú
nascose e virtú gloriando.
75
A
onta delle vecchie dolorose
e
degli avari tristi smemorati
a
bene e pace delle valorose
leggiadre
donne e degli innamorati,
chiamo
li santi Dei e le lor cose
ch'a
questo fine sien tanto beati,
che
'l mio vilume al pregio de' cattivi
giammai per alcun tempo non arrivi.