Gaspara Stampa
RIME SCELTE
1
Sacro
re, che gli antichi e novi regi,
quanti sono o fur mai eccelsi e
degni,
per forza di valor propria e d'ingegni
vinci, e te
stesso e tutto 'l mondo fregi,
ed
a' più chiari spirti ed a' più egregi,
a' più
felici e più sublimi ingegni
la via d'alzarsi al ciel,
scrivendo, insegni
con la materia de' tuoi tanti
pregi,
volgi dal tron de la
tua maestade
sereno il ciglio, onde queti e governi
popoli e
regni, a la mia umiltade;
ché,
se tu aspiri a' miei disiri interni,
spero, vil donna, a la futura
etade
far con tant'altri i tuoi gran fatti eterni.
2
Alma
reina, eterno e vivo sole,
prodotta ad illustrar imperi e regni,
e
congiunta al maggior re, ch'oggi regni,
cara sì che con voi
vuole e non vuole,
date a
l'ingegno mio rime e parole,
onde possa adombrar con quai può
segni
quanto la vostra altezza e pregi degni
il mondo tutto
riverisce e cole.
Lasciate
ch'a la fama e agli scrittori,
che parleran di voi sì
chiaramente,
io donna da lontan possa andar dietro;
lasciate
ch'io di sì famosi allori
m'adorni il crin a la futura
gente.
Oh qual grazia mi fia, se questo impetro!
3
Tu,
che traesti dal natio paese
le nostre muse tutte ed Elicona
là
dove regge il Rodano e la Sona
il maggior re che viva e 'l più
cortese;
ed or con voi son
tutte ad una intese
insieme col gran figlio di Latona
a
celebrar quella real corona,
e le sue tante e gloriose
imprese,
chiaro Alamanni, io
vorrei ben anch'io
venir in parte di cotanto onore,
e lodar lui
con voi e poi voi anco;
ma
s'oppone a l'immenso mio disio
l'esser io, donna e vil, preda
d'Amore.
Lo spirto è pronto, ma lo stil è
stanco.
4
Alma
fenice, che con l'auree piume
prendi fra l'altre donne un sì
bel volo,
ch'Adria ed Italia e l'uno e l'altro polo
tutto di
meraviglia empi e di lume,
bellezza
eterna, angelico costume,
petto d'oneste voglie albergo solo,
deh,
perché non poss'io, come vi còlo,
versar, scrivendo,
d'eloquenzia un fiume?
Ché
spererei de la più sacra fronde,
così donna qual
sono, ornarmi il crine,
e star con Saffo e con Corinna a
lato.
Poi che lo stil al desir
non risponde,
fate voi co' be' rai, luci divine,
chiare voi
stesse e questo mar beato.
5
Voi n'andaste, signor, senza
me dove
il gran troian fermò le schiere erranti,
ov'io
nacqui, ove luce vidi innanti
dolce sì, che lo star mi
spiace altrove.
Ivi vedrete
vaghe feste e nove,
schiere di donne e di cortesi amanti,
tanti,
che ad onorar vengono, e tanti,
un de li dèi più
cari al vero Giove.
Ed io,
rimasa qui dov'Adria regna,
seguo pur voi e 'l mio natio paese
col
pensier, ché non è chi lo ritegna.
Venir
col resto il mio signor contese;
ché, senza ordine suo,
ch'io vada o vegna
non vuol Amor, poi che di lui
m'accese.
6
Mentre,
chiaro signor, per voi s'attende
a poggiar nel camin ch'al ciel vi
mena
per via di lingue e di scienzie e vena,
che 'l vostro nome
in tutto il mondo stende,
io,
donna e vil, cui desir egual prende,
e l'acque di Castalia ho
viste a pena,
vorrei venirvi dietro, e non ho lena,
ché
la bassezza mia tant'opra offende.
Però
mi resto, e di lontan sospiro
i nobil frutti de l'ingegno
vostro,
che con tant'altri già tant'anni ammiro.
Quei
son la vera porpora e 'l ver'ostro,
gli archi e le statue, se ben
dritto miro,
che rendon chiaro e caro il secol
nostro.
7
Se
voi non foste a maggior cose vòlto,
onde 'l vostro
splendor, Venier, sormonte,
avendo sì gran stil, rime sì
pronte,
e de' lacci d'Amore essendo sciolto,
vi
pregherei che 'l valor e 'l bel volto
e l'altre grazie del mio
chiaro conte
a la futura età faceste cònte,
poi
che 'l poterlo fare a me è tolto;
e
faceste ancor cònto il foco mio
e la mia fede oltra ogni
fede ardente,
degna d'eterna vita, e non d'oblio.
Ma,
poi degno rispetto nol consente,
vedrò, tal qual io sono,
adombrarn'io
una minima parte solamente.
8
Speron
ch'a l'opre chiare ed onorate
spronate ognun col vostro vivo
essempio,
mentre d'ogni atto vile illustre scempio
con l'arme
del valor vincendo fate,
poi
che di seguir io vostre pedate
per me l'ardente mio desir non
empio,
voi, d'ogni cortesia ricetto e tempio,
a venir dopo voi
la man mi date;
sì che,
come ambedue produsse un nido,
ambedue alzi un vol, vostra
mercede,
e venga in parte anch'io del vostro grido.
Così
d'Antenor quell'antica sede
e questo d'Adria fortunato
lido
faccian de' vostri onor mai sempre fede.
9
Zanni,
quel chiaro e quel felice ingegno,
che splende in voi, e quel
sommo valore,
di cui non ha, per quel che s'ode fuore,
Adria
più ricco e più leggiadro pegno,
io
quanto posso umìle a inchinar vegno,
serva di cortesia,
serva d'Amore,
dogliosa sol che in così santo ardore
non
van le forze del disir al segno,
perché,
a ridir per via di rime a pieno
quanto io v'onoro e quanto è
'l vostro merto,
ogn'altro stil, che 'l vostro, verria
meno.
Voi sol col passo saldo
e passo certo
in questo d'Adria e fortunato seno
salite al
monte faticoso ed erto.
10
Conte,
quel vivo ed onorato raggio,
che splende fuor del vostro chiaro
ingegno
per via di rime, ed è già giunto a
segno,
che o l'ha con pochi, o non ha alcun paraggio,
è
frutto sol del vostro santo e saggio
petto, d'ogni virtù
nido e sostegno;
ch'io per me propria, se a stimarmi vegno,
non
pur per darne altrui, lume non aggio.
E,
se talvolta vo spiegando in carte
oscure e basse qualche mio
martìre,
Amor, che me lo dà, dammi anche
l'arte.
Voi per voi sol potete
al ciel salire,
cigno gentil, sì ch'altri non v'ha
parte:
così potess'io il vostro vol
seguire!
11
Quel
lume, che 'l mar d'Adria empie ed avampa
di sì bei frutti e
di sì degni effetti,
che natura ed Amor, conte, in voi
stampa,
è lume proprio
de la vostra lampa,
e frutti de' vostr'alti e bei concetti,
e
non reflesso degli oscuri obietti
di me misera, afflitta e lassa
Stampa.
E, se vostra infinita
caritade
me bassa e grave di terreno peso
di così rare
lode empie ed ingombra,
alfin
ritorna in voi la chiaritade,
che di nessuna indegnità
ripreso,
fate sparir la lode altrui qual ombra.
12
O
inaudita e rara cortesia,
donar i pregi del suo proprio onore
ad
una donna umìl, che 'l proprio core,
non pur altro, non ha
che di lei sia!
Ben v'avea fra
tutti altri alzato pria
a chiaro segno il vostro alto
valore,
senza nova cercar gloria e splendore
per questa
disusata e rara via;
sì
che non resti modo alcuno in terra,
ond'uom possa poggiar per
farsi chiaro,
non cerco da l'illustre Vinciguerra.
O
spirto, in mille guise eccelso e raro,
qual vena d'eloquenzia
petto serra,
che possa gir a le tue lodi a
paro?
13
Signor,
da poi che l'acqua del mio pianto,
che sì larga e sì
spessa versar soglio,
non può rompere il saldo e duro
scoglio
del cor del fratel vostro tanto o quanto,
vedete
voi, cui so ch'egli ama tanto,
se, scrivendogli umìle un
mezzo foglio,
per vincer l'ostinato e fiero orgoglio
di quel
petto poteste aver il vanto.
Illustre
Vinciguerra, io non disio
da lui, se non che mi dica in due
versi:
- Pena, spera ed aspetta il tornar mio. -
Se
ciò m'aviene, i miei sensi dispersi,
come pianta piantata
appresso il rio,
voi vedrete in un punto riaversi.
14
Se
quanta acqua ha Castalia ed Elicona
beveste tutta e sì
felicemente,
chiaro signor, che poi le vene spente
restasser
secche ad ogn'altra persona,
come
poss'io, quando desio mi sprona
a dir di voi sì caldo e sì
sovente,
sperar di pur adombrar solamente
quanto di voi si
stima e si ragiona?
Anzi,
perché non pur i versi miei
non posson dir quant'io v'onoro
e còlo,
ma mille Lini meco e mille Orfei
o
voi dite di voi, o di me solo
sappia il mondo ch'io vòlsi e
non potei
alzarmi pigra a sì gradito volo.
15
Io
vorrei ben, Molin (ma non ho l'ale
da prender tanto e sì
gradito volo),
portar, scrivendo, a l'uno e l'altro polo
l'alta
cagion del mio foco immortale;
ché
l'opra e la materia è tanta e tale,
ed io son sì dal
mal vinta e dal duolo,
che a ciò non basto, e voi bastate
solo,
od altrui stile al vostro stile eguale.
Voi
far fiorir potete esternamente
il colle ch'amo; voi farlo,
lodando,
novo Parnaso a la futura gente.
Io
vo ben ciò talor meco provando,
quando mi detta il mio
desir ardente;
ma forse scemo sue lode cantando.
16
Tu,
ch'agli antichi spirti vai di paro,
e con le dotte ed onorate
rime
rischiari l'acque e fai fiorir le cime
del colle, ove si
sale oggi sì raro,
movi
il canto, Molin, canoro e chiaro,
se mai movesti; e 'l mio colle
sublime
fa' fiorir fra le cose al mondo prime,
poi ch'a me il
ciel di farlo è stato avaro.
A
me dié solo amarlo, e l'amo quanto
si puote amar; ma 'l
celebrarlo poi
è d'altro stil incarco, che di
donna.
Qui convien sol la tua
cetra e 'l tuo canto,
chiaro signor; tu sol descriver puoi
questa
del viver mio salda colonna.
17
Voi,
che fate sonar da Battro a Tile,
onde il sol viene a noi, onde si
parte,
quel chiaro stil, che 'l cielo vi comparte,
che può
d'orrido verno far aprile,
o a
soggetto men basso e men vile
le vostre rime, in tutto 'l mondo
sparte,
rivolgete o pregate Amor ex parte
che faccia me a voi
non dissimìle;
sì
che, qual sono i vostri versi gai,
sia egual la materia, e regni e
viva
quanto il sol gira, e quanto ne sperai.
Ché,
s'ella è di valor in tutto priva
e quei sì chiari,
indegna opra dirai,
d'Adria felice ed onorata
riva.
18
Dotto,
saggio, gentil, chiaro Bonetto,
la cui bontà il bel nome
ancor pareggia,
e l'alta cortesia, che signoreggia
il nobil
cor, ch'a ogniun vi rende accetto,
saper
bramo io dal vostro almo intelletto,
che le cose segrete in Dio
vagheggia
quale è più, il danno o l'util che si
veggia
il mondo trar da l'amoroso affetto.
Ditemi
ancor perché fu Amor dipinto
già dagli antichi, e
da' moderni ancora
si pinge faretrato, ignudo e
cieco.
Questo dubbio da voi mi
sia distinto,
che nel mio cor gran tempo già dimora,
mercé
de l'ignoranzia ch'è ognor meco.
19
È
sì gradito e sì dolce l'obietto
del mio foco,
signor, e tanto e tale,
che di soffrir ardendo non mi cale
ogni
acerbo martìr, ogni dispetto.
Duolmi
sol ch'io non sia degno ricetto
di tanto bene e a tanta fiamma
eguale,
e che 'l mio stil sia infermo, stanco e frale
a portar
l'opra, ove giunge il concetto.
E
sopra tutto duolmi che la ria
mia fortuna s'ingegna sì
sovente
a dilungar da me la gloria mia.
Che
mi giova, signor, che fra la gente,
illustre, come dite, e chiara
io sia,
se dentro l'alma mia gioia non sente?
20
Il
gran terror de le nimiche squadre,
che sotto il più felice
imperadore
frenò sì spesso il tedesco furore,
fatto
ribelle a la sua santa madre,
come
hai potuto tu, celeste Padre,
veder degli anni suoi nel più
bel fiore,
fra donne imbelli, empia mercé d'Amore,
cader
per man servili, indegne et adre?
Marte
il suo bellicoso orrido carme
cangi in sospiri omai, e con lui
chiuda
sotterra i suoi trofei, l'insegne e l'arme;
o
d'esse almen la bella amica ignuda
Venere sua, come più
degna, n'arme,
poi ch'ella è più di lui sanguigna e
cruda.
21
Se
da' vostr'occhi, da l'avorio ed ostro,
ond'Amor manda fuor faci e
quadrella,
se dai tesor de l'anima, ch'ancella
nacque d'alto
valor nel divin chiostro,
ciò
ch'io scrissi e cantai mi fu dimostro,
per lor d'ogn'atto vil
tornai rubella,
e, se mercé di quelle e mercé
d'ella,
col tempo avaro e con gl'ingegni giostro,
a
voi deve ogni lingua dotta e chiara
rendervi lode, poi che 'n voi
s'accoglie
virtù, che 'l fosco mio sgombra e
rischiara.
A voi de' morte,
che tutt'apre e scioglie,
non esser come agli altri empia ed
amara,
e 'l mondo ornarvi il crin di doppie foglie.
22
-
Grazie, che fate il ciel fresco e sereno,
quando v'aggrada, e tu,
che l'innamori,
sacratissima madre degli Amori,
al cui bel
raggio ogn'altra ombra vien meno,
spargete
con cortese e largo seno
nembo odorato di grazie e di fiori
sopra
questi chiarissimi pastori,
che me di gioia et Adria han d'onor
pieno;
sì che non turbi
il lor felice stato
fortuna avversa o torbida procella,
e sia
sempre, come or, dolce e beato. -
Tal
pregando Anassilla, pastorella
d'ardente zelo e 'l cor caldo e
'nfiammato,
le Grazie udîrla e la più chiara
stella.
23
A
voi sian Febo e le sorelle amiche,
schiera gentil, che col vivace
ingegno,
con l'arte e con lo stil giungete a segno,
ove non
giunser le memorie antiche.
Voi
le più gravi cure e le nimiche
voglie acquetate, voi l'ira
e lo sdegno;
voi sète dolce altrui triegua e ritegno
ne
le lunghe, penose, aspre fatiche.
Io
de la interna mia cura e vivace,
fin ch'è durato il vostro
dolce dire,
ho, la vostra mercé, trovato pace.
Così
piaccia ad Amor di stabilire
questa mia breve gioia; e chi mi
sface
tenga mai sempre queto il mio disire.
24
Amica,
dolce ed onorata schiera,
schiera di cortesia e
d'onestade,
soggiorno di valore e di beltade,
di diporti e di
grazie madre vera,
io prego
Amor e 'l ciel ch'unita, intera
ti conservi in felice e lunga
etade,
e questi giochi e questa libertade
veggan tardi, o non
mai, l'ultima sera.
Cosa non
possa mai perversa e ria
turbar per tempo alcun o disunire
così
dolce e gradita compagnia.
A
me si dia per grazia di gioire
con lei molt'anni e con la fiamma
mia,
che sovra il ciel mi fa superba gire.
25
Rivolgete
la lingua e le parole
a dir di cosa più degna e più
chiara
che non sono io, schiera onorata e cara,
onde tanto
Elicona s'orna e còle.
Come
la luna il lume suo dal sole
prende, onde poi la notte apre e
rischiara,
io, cui natura è stata in tutto avara,
splendo
quanto il mio sol permette e vuole.
A
lui dunque si de' tutta la lode,
perché, s'ei non mi dà
del suo vigore,
non è chi mova la mia lingua e
snode.
La mia vita in lui vive
ed in me more,
di lui sol parla, pensa, scrive et ode.
Oh pur
mi serbi in questo stato Amore!
26
Voi,
ch'a le muse ed al signor di Delo
caro più ch'altri, quasi
unico mostro,
la via d'andar a lor m'avete mostro,
pensier
cangiati innanzi tempo e pelo;
e,
di Morte schernendo il crudo telo,
chiaro poggiate a quel celeste
chiostro,
ov'io con voi d'alzarmi indarno giostro,
ché
pur m'atterra il peso grave e 'l gelo;
fate
col vostro stil palese e note
le vostre lode e a tutto 'l mondo e
'l saggio
senno e valor, ch'ogn'altro par
ch'adombre,
perch'io per me,
Michiel, cosa non aggio
d'esser cantata da le vostre note,
che
tempo e morte tosto non la sgombre.
27
Deh,
perché non poss'io, qual debbo e quale
voi m'imponeste, al
mio stil porre i vanni,
sì che 'l vostro bel nome, dagli
inganni
del tempo tolto, al ciel spiegasse l'ale,
coppia
onorata, a cui null'altra eguale
si vede, o vedrà mai dopo
mill'anni,
per virtute e valor salita a' scanni,
ove raro o non
mai si salse o sale?
Felice
Serravalle, a cui per sorte
si diede l'esser retta e governata
da
sì gran donna e sì degno consorte!
Felicissima
me, se fosse nata
o con voi prima, o con voi fin a morte
vivesse
questa vita che m'è data!
28
Perché
Fortuna, avversa a' miei disiri,
quasi smarrita e stanca
navicella
da lunga combattuta e ria procella,
come a lei piace
mi rivolva e giri,
e meco più
ad or ad or s'adiri,
e mi percuota in questa parte e 'n quella,
né
lassi l'empia e di pietà rubella
che da' suoi colpi il cor
punto respiri,
io pur, Balbi,
nel mal mi riconforto,
poi che ho le vostre ornate rime
amiche,
onde malgrado suo vivrò mill'anni.
Queste
a la speme mia mostrano il porto,
queste contra de l'aure aspre e
nemiche
saran dolce ristoro de' miei danni.
29
Anima,
che secura sei passata
per questo procelloso mar, per questa
vita
mortal senza provar tempesta,
dagli onori e dal volgo
allontanata,
ed or con quella
angelica brigata
ti vivi vita eterna in gioia e 'n festa,
lassata
qui tutta confusa e mesta
la gioventù da te retta e
guidata,
pianga il tuo
dipartir, la lontananza
del buon Socrate suo celeste e santo
tutta
Italia e tutta Adria in ogni stanza;
ed
io per me, se non che mi fa tanto
pianger Amor per lui, che non
m'avanza,
colmerei l'urna tua col mio gran pianto.
30
Qual a pieno potrà
mai prosa o rima
la vostra cortesia lodar e l'arte,
quella,
ch'a me di lode dà tal parte,
questa, ch'orna ed illustra
il nostro clima?
Voi sète
sol, signor, se 'l ver si stima,
cui altri non pareggia; in voi ha
sparte
le grazie il ciel, ch'altrove non comparte
in questa
nostra etade o ne la prima.
Voi
sète il Sol, ch'ogn'altra luce avanza;
da voi si prende
qualitate e lume
e tutto quel di ben, che splende in
nui.
Felice me, poi c'ho
trovato stanza
ne la vostra memoria, per costume
usa a far
viver dopo morte altrui.
31
Ben
posso gir de l'altre donne in cima
fin dove il sole a noi nasce e
diparte,
poi ch'io son scritta da le vostre carte,
Emo, e
polita da la vostra lima.
Il
chiaro Achille ebbe la spoglia opima
d'onor fra gli altri gran
figli di Marte,
non perché fusse tale egli in gran
parte,
ma perché Omero lui alza e sublima.
In
me è sol amor, e disianza
di ber de l'acque del Castalio
fiume,
ove voi spesso ed io ancor non fui.
Se
questo onesto mio disir s'avanza,
se un dì m'infonde Apollo
del suo nume,
andrò lodando queste rive e
vui.
32
Porgi
man, Febo, a l'erbe, e con quell'arte,
che suol render altrui
salute e vita,
il mio buon Emo e 'l Tiepol nostro aita,
due che
tengon di noi la miglior parte;
e
l'empia febre e le reliquie sparte,
onde han la faccia pallida e
smarrita,
sia da lor, tua mercé, tosto bandita,
se disii
presso noi famoso farte.
Sì
vedrai poi d'incensi e d'odor vari
e di votive tavole e di
segni
carco il tuo tempio e' tuoi sacrati altari;
et
udrai mille e mille chiari ingegni
dir le tue lode e i fatti
egregi e chiari,
onde fra gli altri dèi lodato
regni.
33
Ninfe,
che d'Adria i più riposti guadi
sacre abitate, e tu, dea
degli Amori,
che da quest'acque prima uscisti fuori,
care sì
che 'l tuo Cipro men t'aggradi,
a'
modi adorni a meraviglia e radi,
a la maggior beltà ch'oggi
s'onori,
al soggetto più degno di scrittori,
pur che sia
stil ch'a sì gran segno vadi,
a
la Barozza, a cui nulla è seconda,
dei più ricchi
tesor, che 'l mar vostro aggia,
ornate il crin e l'aurea treccia
bionda.
E lungo questa erbosa
e chiara spiaggia
canti l'una di voi, l'altra risponda,
la
vostra donna bella, onesta e saggia.
34
Felice
cavalier e fortunato,
a cui toccò fra tutti gli altri in
sorte,
aver sì bella e sì nobil consorte,
e di sì
chiaro ingegno e sì pregiato,
voi
potete obliar, standole a lato,
i gravi assalti di fortuna e
morte,
perch'ella può con le due fide scorte
render
tranquillo il ciel fosco e turbato.
Coppia
gentil, dopo mill'anni e mille
de' vostri veri pregi e vero
onore
splenderanno fra noi chiare faville.
Ed
ancor fia chi dica pien d'ardore:
- Alme felici, poi che 'l ciel
sortille
a sì bel nodo ed a sì santo
ardore!
35
Le
virtù vostre e quel cortese affetto,
che mostrate,
Guiscardo, avermi a parte,
e quel vergar de l'onorate carte
in
lode mia sì chiaro e sì perfetto,
hanno
tanto poter dentro al mio petto,
che con quanto si può mai
studio od arte
io son vòlta ad amarte ed onorarte,
quasi
di vero onor nido e ricetto.
Ma
con quel sol e non altro disio,
che prescrive onestate, e che
conviensi
al voler vostro ed a lo stato mio;
perché
l'amar con questi frali sensi
è amor breve; e spesse volte
è rio,
ché n'ancide la strada, ond'al ciel
viensi.
36
Quel,
che con tanta e sì larga misura
felice ingegno il nostro
alto Fattore
vi diè, Guiscardo, e quel raro valore,
che
de' più chiari il vivo raggio oscura,
quel
vago stil, quella cortese cura,
che a lodarmi sì v'infiamma
il core,
non per mio merto, a tanta opra minore,
ma per mia
rara e mia sola ventura,
e
sopra tutto quello amor, che tanto
mostrate avermi, che l'amato
move,
e fa uno il voler quando è diviso,
son
cagion che v'onori ed ami, quanto
può donna chiaro ingegno,
stile e viso;
però quanto onestà detti ed
approve.
37
Quel
gentil seme di virtute ardente,
che germogliar nel vostro ingegno
intende
fin da' primi anni, ed or tal frutto rende,
che n'è
pieno Adria omai tutto, e lo sente,
con
quel disio, che sì fervidamente
spiegate in carte, che di
me vi prende,
sì viva fiamma nel mio cor accende,
ch'a
la vostra è minor o poco o niente.
È
ben ver ch'l disio, con ch'amo voi,
è tutto d'onestà
pieno e d'amore,
perch'altramente non convien tra
noi.
Appagate di questo il
vostro core,
spirto gentil, e fate noto poi
ne' vostri versi
questo santo ardore.
38
S'io
non avessi al cor già fatto un callo
e patteggiato dentro
col pensiero
non dar più luogo al despietato arciero,
mal
trattata da lui quanto egli sallo;
di
farmi entrar ne l'amoroso ballo
novamente, e più crudo che
'l primiero,
per farmi uscir dal mio preso sentiero,
e
commetter del primo un maggior fallo,
avrian
forza i vostr'occhi e quel cortese
atto e tante altre grazie e la
beltade,
onde natura a farsi onor intese.
Ma,
per aver di me giusta pietade,
tanto ho di voi, non più, le
voglie accese,
quanto permette onor et onestade.
39
-
Pastor, che d'Adria il fortunato seno
di tanti onori e tanti pregi
ornate,
e de le rive sue chiare e pregiate
avete omai,
cantando, il mondo pieno;
pastor,
ch'alto saper chiudete in seno
ne la più verde e più
fiorita etate,
e, da radici uscendo alte e lodate,
fate col
canto il ciel fosco e sereno,
deh
potess'io del vostro almo splendore
venir in parte e di quei
chiari effetti,
ché non temerei morte o tempo
oscuro.
Così, lodando
il suo saggio pastore,
Anassilla dicea, di dolci aspetti
ripieno
il cielo, a l'aer chiaro e puro.
40
Mentre
al cielo il pastor d'alma beltate
Coridon alza l'una e l'altra
Stampa,
e mentre l'una e l'altra arde ed avvampa
di far lui
chiaro a questa nostra etate,
in
note di vivace amor formate,
d'amor, che solo in gentil cor
s'accampa,
dice Anassilla al sol volta, che scampa
le forze
avendo a più poter legate:
-
Deh, perché stil, vaghezza ed armonia
d'alzar lui non ho
io, rime e concento,
a segno ove pastor mai non è
stato?
Perché a voglia
sì santa e così pia
non risponde il poter, che in un
momento
faria lo stato mio chiaro e beato?
41
Qual
è fresc'aura, a l'estiv'ora ardente,
a la stanca e sudata
pastorella,
qual è a chi dorme in riva erbosa e bella
il
mormorar d'un bel cristal corrente,
qual
di sol raggio in bel prato ridente
a fior che langue a la stagion
novella,
qual certo porto a dubbia navicella,
ch'esce fuor di
tempesta aspra e repente;
tal
fu il vostro apparir gradito tanto,
Priuli nostro, a nostre luci
meste,
e le rime ch'agli altri han tolto il vanto.
Quell'a
noi stesse ne fu caro, e queste,
dopo il dipor del terren vostro
manto,
ne faran chiare ovunque amor si deste.
42
Chiunque
a fama gloriosa intende
per via di chiaro stil, d'alto
intelletto,
talor basso e vilissimo soggetto,
per essaltarlo
poetando, prende.
Omero, che
per tutto fama stende,
alzò cantando un animal negletto;
e
Virgilio, la lingua saggio e 'l petto,
de la zanzala, al ciel,
scrivendo, ascende.
Tal di
noi, basso tema, fate vui,
che 'l nostro nome, indegno ch'uom
riguardi,
alzate sì che non fia mai che moia.
A
voi, Priuli saggio, ceda lui,
che Mantov'orna e i bei campi
lombardi,
e chi cantò Micena insieme a
Troia.
43
Cercando
novi versi e nove rime
per poter far le lodi vostre cònte,
Apollo,
sceso giù dal sacro monte,
l'orecchie mi tirò ne
l'ore prime.
- Altro ingegno,
altro stile ed altre lime,
- mi disse - o d'eloquenzia un maggior
fonte
ti converrebbe a poter stare a fronte
con soggetto sì
degno e sì sublime.
Un
mar, che non ha fine e non ha fondo,
cerchi solcar, cercando di
lodare
il riverendo a null'altro secondo.
A
tutt'altri le stelle fûro avare,
quando mandâr sì
chiaro spirto al mondo,
a cui han dato ciò che si può
dare.
44
Soranzo,
de l'imenso valor vostro
e de l'alte virtù tante e sì
nove
raggio sì vivo e sì possente move
e di sì
chiaro lume il secol nostro,
che,
volend'io vergar carta ed inchiostro,
sì come son or qui,
sien note altrove,
la grandezza de l'opra mi rimove,
e ritarda
lo stil quel che m'è mostro,
io
vinco ben tutt'altre di disio
in amarvi e onorarvi come deggio;
ma
l'opra è tal, che vince il poter mio.
Onde
maggior virtute a chi può chieggio
da pagar tanto e sì
devuto fio,
o vo' tacer di voi per non far
peggio.
45
Questo
felice e glorioso tempio
de la più chiara dea ch'oggi
s'onori,
poi ch'io non ho condegni incensi e fiori,
(colpa del
duro mio destino ed empio)
dietro
a voi, che di morte fate scempio,
fra i più famosi e più
saggi scrittori,
dotti figli d'Esperia, almi pastori,
di queste
basse rime adorno ed empio.
Ché,
se m'avesse il cielo alzata dove
alzato ha lei, alzato ha 'l
vostro stile,
o me lodata, o paghi e' disir miei!
Voi
dunque in rime disusate e nove
fate udir il suo nome a Battro e
Tile,
e tutto quel ch'io vòlsi e non
potei.
46
Signor,
s'a quei lodati e chiari segni
il vostro ingegno, i vostri studi e
l'arte
v'hanno alzato, e 'l vergar di tante carte,
a' quai
s'alzâro i più chiari e più degni,
come
poss'io, come i maggiori ingegni,
entrando in tanto mar con poche
sarte,
quanto si vuol, quanto si de' lodarte,
sì che di
nostro dir tu non ti sdegni?
Certo
il disire e debito mi sprona,
e via più la vostr'alta
cortesia,
che talvolta di me pensa e ragiona.
Ma
l'opra è tal, tal è la penna mia,
tal di voi parla e
sente ogni persona,
che, credend'io d'alzar,
v'abbasseria.
47
Voi,
che di vari campi e prati vari
con la penna metendo biade e
fiori,
mostrate ognor fra i più saggi scrittori,
ond'uomo
si diletti ed onde impari;
o
degli ingegni al mondo eletti e rari,
di mille edere degno e mille
allori,
il cui splendor non fia che discolori
l'invido oblio o
gli anni empi ed avari,
quante
grazie vi rendo, Ortensio, poi
che senza merto mio, per vostri
scritti,
n'andrò famosa dagl'Indi agli Eoi
con
tant'altre lodate e chiari invitti,
che per la vostra penna e
pregi suoi
di morte o tempo non temon despitti.
48
S'una
sola eccellenzia suol far chiaro
chi la possede, e voi n'avete
mille,
gradito cavalier, quai voci o squille
potran mai gire a'
vostri merti a paro?
Voi ne
l'età più verde con quel raro
giudicio restingueste
le faville
d'Inghilterra e di Francia, ove sopille
non puoté
alcun di quanti unqua provâro.
Voi
di grandezza, voi di cortesia,
voi di presenzia, voi di
nobiltate
v'alzate a segno, ov'altri non fu pria.
Cantin
di voi le penne più lodate;
che io, quanto potrà la
penna mia,
vi farò chiaro a la futura
etate.
49
Mille
fiate a voi volgo la mente,
per lodarvi, Fortunio, quanto
deggio,
quanto lodarvi e riverirvi io veggio
da la più
dotta e la più chiara gente;
ma
da l'opra lo stil vinto si sente,
con cui sì male i vostri
onor pareggio;
onde muta rimango, ed al ciel chieggio
o maggior
vena o desir meno ardente.
Io
dirò ben che, qualunque io mi sia
per via di stile, io son
vostra mercede,
che mi mostraste sì spesso la
via;
perché 'l far poi
del valor vostro fede
è opra d'altra penna che la mia,
e
'l mondo per se stesso se lo vede.
50
Signor,
che per sì rara cortesia
con rime degne di futura etate
sì
dolcemente cantate e lodate
l'alto mio colle, l'alta fiamma
mia,
io priego Amor che, se
spietata e ria
vi fu giamai la donna che ora amate,
ferendo lei
di quadrella indorate,
la renda a' desir vostri molle e
pia.
E prego voi che 'l vostro
chiaro stile,
lasciato me suggetto senza frutto,
si volga al
signor mio chiaro e gentile;
o
per me son quasi un terreno asciutto,
sono una pianta abbandonata
e vile,
colta da lui, e suo è 'l pregio in
tutto.
51
Non
aspettò giamai focoso amante
la disiata e la bramata
vista
di quel, per cui versò lagrime tante;
non
aspettò giamai anima trista,
e distinata nel profondo
abisso,
la faccia del Signor di gloria mista;
non
aspettò giamai servo, ch'affisso
fosse a dura ed acerba
servitute,
a la sua libertà 'l termine prefisso;
non
disiò giamai la giovintute
cara e gioiosa un uom già
carco d'anni,
in cui tutte le forze son perdute;
non
disiò giamai d'uscir d'affanni
un, cui fortuna aversa
afflige e preme,
carco e gravato d'infiniti danni;
non
aspettò giamai un uom, che teme
vicin a morte, la sua
sanitate,
di cui era già giunto a l'ore estreme;
non
aspettò giamai le luci amate
di dilettoso caro e dolce
figlio
benigna madre e carca di pietate;
non
aspettò giamai di gran periglio
sì disiosa uscir
nave, a cui l'onde
e nemica tempesta dier di
piglio;
quant'io le carte tue
care e gioconde,
Mirtilla mia, Mirtilla, a le cui voglie
ogni
mia voglia, ogni disir risponde;
Mirtilla
mia, con la qual mi si toglie
ogni mia gioia ed ogni mio
diletto,
restando preda di perpetue doglie;
col
cui leggiadro e grazioso aspetto
mi si rende ogni bene, ogni
piacere
dolce, amoroso, caro, alto ed eletto.
Ché,
non potendo te propria vedere,
veder i frutti del tuo vago
ingegno
è quanto di conforto io posso avere.
Però,
tosto ch'io vidi il caro pegno
de l'amor tuo, ver' me, l'amiche
carte,
de la memoria tua perpetuo segno,
quel
piacer, che può dar a parte a parte
cosa dolce e gradita,
ho sentit'io,
sì ch'a gran pena io lo potrei
contarte.
Quel c'ha turbato
alquanto il gioir mio,
è stato entr'esse il legger e 'l
vedere
cosa tutta contraria al mio disio,
che
la Mirtilla mia, degna d'avere
prospero corso e vera e dolce
pace,
sia stata astretta per febre a giacere.
Questo
però fra 'l mezzo mal mi piace,
che la mercé di Dio
vi sète presto
convaluta del mal aspro e tenace.
Or
attendete a conservar il resto
del tempo, che da me sarete
lunge,
sì ch'anco a me non sia 'l viver
molesto.
Perch'un sol duol due
corpi insieme punge,
sì come un solo amor ed una fede
ed
una voluntà due cor congiunge.
E,
se talor di voi cerca far prede
qualche cura noiosa,
adoperate
quell'estrema virtù, che 'l ciel vi
diede,
e fra tanto di me vi
ricordate.
52
-
Di chi ti lagni, o mio diletto e fido,
sovra questo famoso e
chiaro lido,
ove fan nido tante onorat'alme
felici ed
alme?
- Io mi lagno, signor,
di due begli occhi,
onde eterna dolcezza avien che fiocchi,
né
par che tocchi a lor, né dia lor noia,
perch'io mi
moia.
- Per le saette mie, per
la mia face
che 'l tuo languir a gran torto mi spiace
ma,
s'egli piace a chi vuol che ti sfaccia,
che vòi ch'io
faccia?
- Vo' che tu, che sol
pòi soccorso darmi,
tu, che sei nostro dio, tu, ch'hai
fort'armi,
onde aitarmi, o tempri il duro core
o 'l mio
dolore.
- Mille fiate e mille
mi son messo
per saettar quegli occhi e gir lor presso;
ma 'l
lume stesso sì m'ingombra, ch'io
non son più
dio.
- Or se tanto essi, e tu
sì poco vali,
perché non cedi lor l'arco e gli
strali
e faci ed ali e 'l tuo carro e 'l tuo regno,
come a più
degno?
- Io cederei di grado,
pur che loco
mi desser que' begli occhi, e strali e foco,
ond'apro
e cuoco; ma lor non aggrada
che seco vada.
-
Com'esser può ch'Amor voglia legarse
e farsi servo altrui,
né possa farse,
e son sì scarse quelle vive
stelle,
che stii con elle?
-
Elle hanno a schivo che di lor vittoria
abbia io, stando con lor,
parte di gloria,
perché d'istoria è men degno
colui
ch'è con altrui.
-
Dunque senza speranza e senza aita,
poi ch'è la deitade tua
finita,
sarà mia vita il tempo che m'avanza
in
disianza?
- Così fia,
lasso! ed io la face e l'arco
e le saette mie gitto ad un
varco,
poi che son scarco, mercé di quel lume,
d'ogni
mio nume.
- Piangiamo insieme,
l'un la deitate,
l'altro la sua perduta libertate,
senza
pietade di colei, che sola
tutto n'invola.
-
Io volo al cielo. - Io resto fra quest'onde.
- Io Giove. - Io
chiamerò chi non risponde.
Aure seconde, fate al mondo
chiara
cosa sì rara.
53
Felice
in questa e più ne l'altra vita
chi fugge, come voi, prima
che provi,
la miseria del secolo infinita;
prima
che dentr'al cor si turbi e movi
per tanti inaspettati uman
cordogli,
e poi d'uscirne al fin loco non trovi.
Felice
anima, tu, che qui ti spogli
e de le nostre pene non ti dogli!
di
questi affetti miseri e terreni.
Tutti
i tuoi dì saran lieti e sereni,
senz'ira, senza guerra e
senza danni,
di pace, di riposo e d'amor pieni.
Felice
chi si fa, sotto umil panni,
di Cristo, signor suo,
devot'ancella,
né prova i nostri maritali affanni!
E,
gli occhi alzando a la divina stella,
lascia quest'aspro e
periglioso mare,
ch'aura giamai non ha senza
procella!
Felice chi non ha
tant'ore amare,
né sente tutto 'l dì pianti e
lamenti
o di troppo volere, o poco fare!
Qui
s'odon sol al fin con gran tormenti
o querele di figli o di
consorte,
e mai de l'esser tuo non ti contenti.
Infelice
colei, ch'a questa sorte
chiama la trista sua disaventura,
ch'in
vita sa che cosa è inferno e morte!
Questa
è una valle lagrimosa e scura,
piena d'ortiche e di
pungenti spine,
dove il tuo falso ben passa e non
dura.
Infelici noi povere e
meschine,
serve di vanità, figlie del mondo,
lontane,
aimè, da l'opre alte e divine!
Altre
per far il crin più crespo e biondo
provan ogn'arte e
trovan mille ingegni,
onde van de l'abisso l'alme in
fondo.
Infelice quell'altra
move a' sdegni
il marito o l'amante, e s'affatica
di tornar
grata e far che lei non sdegni.
Ad
altri più che a se medesma amica,
quella con acque forti il
viso offende,
de la salute sua propria nimica.
Infelice
colei, che sol attende
da mezzo dì, da vespro e da
mattina,
e tutto 'l giorno a la vaghezza spende;
per
parer fresca, bianca e pellegrina
dorme senza pensar de la
famiglia,
e negli empiastri notte e dì
s'affina!
Infelice quest'altra
de la figlia
grande, che per voler darle marito,
senza quietar
giamai, cura si piglia!
E,
perché al mondo ha perso l'appetito
non fa se non gridar,
teme e sospetta
de l'onor suo che non gli sia
rapito.
Infelice qualunque il
frutto aspetta
de' cari figli, e sta con questa speme,
lagrimando
così sempre soletta!
Questo
l'annoia poi, l'aggrava e preme,
che misera da lor vien
disprezzata,
e di continuo ne sospira e geme.
Infelice
chi sta sempre arrabbiata,
e col consorte suo non ha mai
posa,
mesta del tutto, afflitta e sconsolata!
Tropp'accorta
al suo mal, vive gelosa,
e col figliuolo suo spesso s'adira,
non
gusta cibo mai, mai non riposa.
Infelice
quest'altra, che sospira,
ché sa che 'l suo marito poco
l'ama,
e di mal occhio per mal far la mira!
Alcuna
in testimonio il cielo chiama,
che sa di non aver commesso
errore,
e pur talor si duol de la sua fama.
Infelice
via più chi porta amore,
e di vane speranze e van desiri
si
va pascendo il tormentato core!
Altre
pene infinite, altri martìri,
che narrar non si sanno, il
mondo apporta,
mill'altre angosce e mill'altri
sospiri.
Felice chi sue voglie
ha vòlte e sparte
al sommo Sole, al ben del paradiso,
e
qui con umiltà pon cura ed arte!
A
voi convien, che 'l bel leggiadro viso
celate sotto puro e bianco
velo,
avere il cor da uman pensier diviso.
Felice
voi, che, d'amoroso zelo
accesa, v'aggirate al vero Sole,
che
luce eternamente in terra e 'n cielo!
Voi
correte qua giù rose e viole,
sarà del viver vostro
il fin beato,
ch'altro non à di chi tal vita
vuole.
Felice voi, che avete
consacrato
i vaghi occhi divini, il bel crin d'oro
a chi sì
bella al mondo v'ha creato!
È
questo il ricco, il caro e bel tesoro,
quest'è la preziosa
margherita,
onde, di palme al fin cinta e d'alloro,
vittoria
porterete a Cristo unita.
54
Alma
celeste e pura,
che, casta e verginella
stata tanto fra noi,
sei gita al cielo,
dov'or sovra misura
ti stai lucente e
bella,
di più perfetto accesa e maggior zelo,
perché
nel mortal velo
rade volte altrui lice
unir perfettamente
al
suo Fattor la mente,
sì trista è del nostro arbor la
radice,
e sì forte n'atterra
questa del senso perigliosa
guerra;
tu vagheggi or
beata
quell'infinito Sole,
di cui quest'altro sole è
picciol raggio;
e la voglia appagata
hai sì, ch'altro
non vuole,
giunta a l'ultimo fin di suo viaggio;
e la noia e
l'oltraggio
e l'ombra di quel male,
che sostenesti in vita,
è
per sempre sbandita,
salita in parte, ove dolor non sale,
ove
si vive sempre
col primo Amor in dilettose tempre.
Ben
può gradirsi altero
il nostro sesso omai
per tanta donna
e tanto a Cristo amica,
che, mancato il primiero
valor, spenti
que' rai,
ch'illustrar già la santa schiera antica,
in
questa età nemica,
dove 'l vizio governa,
sia stata una
di noi,
che tutti i pensier suoi
abbia rivolto a quella luce
eterna,
e qui fra queste rive
sia vissa sempre come in ciel si
vive.
Adria si lagna parte
del
tuo da lei partire,
parte s'allegra, poi ch'al ciel sei gita;
ché,
s'udirte e parlarte
le ha tolto il tuo morire,
or che sei
sempre al sommo Ben unita,
potrai chiedergli aita,
quando il
bisogno fia;
certo soccorso e fido
per lo tuo chiaro nido,
sì
che sicuro e glorioso sia,
e fin quanto il sol giri
ciascun lo
tema, riverisca e ammiri.
Da
que' superni chiostri,
ov'or sicura siedi,
tutta raccolta in
chi di sé ti prese,
gli ardenti sospir nostri
a temprar
talor riedi
con le voglie d'amor più vive e accese.
Mira,
madre cortese,
i tuoi diletti figli
e la lor mesta casa,
or
senza te rimasa
a le terrene noie ed a' perigli;
e siale, ancor
lontana,
scorta e più che mai fida tramontana.
Se
'n te, quant'è disio, fosse valore,
potresti
leggiermente
alzarti al ciel fra quella santa
gente.
55
Alma
onorata e saggia, che tornando,
dopo sì lungo corso, onde
venisti,
vergine e pura qual dal ventre uscisti,
lasciato hai
noi piangendo e disiando,
ed
or davanti al tuo principio stando
a cui vivendo ancor qua giù
t'unisti,
de le degne opre tue mercede acquisti,
e d'esser gita
lui mai sempre amando,
mira
dal cielo i tuoi diletti figli
qual del tuo dipartir cordoglio
prema,
et Adria, che con lor t'onora ed ama.
Quelli
non è chi più guidi o consigli
senza il tuo senno, e
questa resta scema
di chi le mostri ognor come Dio
s'ama.
56
Casta,
cara e di Dio diletta ancella,
che, vivuta fra noi tanti e
tant'anni,
ti sei sempre schermita dagli inganni
di questa vita
neghittosa e fella,
ed or
semplice e pura verginella
sei gita a volo a quei superni
scanni,
vero porto ed eterno degli affanni,
d'ogni nostr'atra e
torbida procella,
Adria ha
visto e veder spera ancor segno
de la tua santa e gloriosa vita,
e
fiorir frutti del tuo santo ingegno;
e
de' tuoi dolci figli insieme unita
la schiera, che ti fu sì
caro pegno,
pur te sospira mesta e sbigottita.
57
Quelle
lagrime spesse e sospir molti,
che mandan fuor i tuoi figli
diletti,
poi che salisti al regno degli eletti,
alma felice,
che dal ciel n'ascolti,
sien
da la vera tua pietate accolti
qual si conviene a' lor ardenti
affetti;
e quei pensier or casti e benedetti
sieno a la cura
lor, se mai fûr, vòlti.
E,
sì come qua giù fosti lor guida
e madre e scorta,
così su dal cielo
sii lor la vera tramontana e
fida;
sì che tutti
infiammati di quel zelo,
che per dritto sentier a te ne guida,
di
quest'ombre qua giù squarciamo il velo.
58
Quando
quell'alma, i cui disiri ardenti
sempre resse virtute ed
onestate,
finito il corso di sua lunga etate,
salì al
cielo, i mortai lumi spenti,
l'eterno
Re de le ben nate genti
raccolse lei ne la sua maestate,
e
quelle squadre angeliche e beate
empiêro il ciel di non
usati accenti.
- Vieni,
diletta virginella e pura
- s'udia dolce cantare, - a côrre
il frutto
de la tua castità, lieta e sicura.
Vieni,
fedel, ché disdiceva in tutto
star sì raro miracol
di natura,
sì gentil pianta, in un terreno
asciutto.
59
Di
queste tenebrose e fiere voglie,
ch'io drizzai ad amar cosa
mortale,
seguendo il van disio fallace e frale,
che sì
rio frutto di sue opre coglie,
s'avien
che la tua grazia non mi spoglie,
poi che per me la mia forza non
vale,
temo che l'aversario empio infernale
non riporti di me
l'amate spoglie.
Dolce Signor,
che sei venuto in terra,
ed hai presa per me terrena vesta
per
combatter e vincer questa guerra,
dammi
lo scudo di tua grazia, e desta
in me virtù, sì
ch'io getti per terra
ogni affetto terren, che mi
molesta.
60
Quelle
piaghe profonde e l'acqua e 'l sangue,
che nel tuo corpo glorioso
io veggio,
Signor, che, sceso dal celeste seggio,
per vita al
mondo dar restasti essangue,
che
nel mio cor, che del fallir suo langue,
vogli imprimer omai per
grazia chieggio,
sì ch'al fin del viaggio, che far
deggio,
non trionfi di me l'inimico angue.
Scancella
queste piaghe d'amor vano,
che m'hanno quasi gíà
condotta a morte,
pur rimirando un bel sembiante
umano.
Aprimi omai del regno
tuo le porte,
e per salir a lui dammi la mano;
perché a
ciò far non giovano altre scorte.
61
Signor,
che doni il paradiso e tolli,
doni e tolli a la molta e poca
fede
(per opre no, ch'a sì larga mercede
sono i nostri
operar deboli e folli),
da'
tuoi alti, celesti e sacri colli,
ov'è 'l soggiorno tuo
proprio e la sede,
china gli occhi al mio cor, che mercé
chiede
del suo fallir co' miei umidi e molli.
E,
perché suol la tua grazia sovente
abuondare, ove il fallo è
via maggiore,
per mostrar la tua gloria maggiormente,
nel
petto mio, ricetto d'ogni errore,
entra col foco tuo vivo ed
ardente,
e, spento ogn'altro, accendivi il tu'
amore.
62
-
Volgi a me, peccatrice empia, la vista -
mi grida il mio Signor
che 'n croce pende;
e dal mio cieco senso non s'intende
la voce
sua di vera pietà mista,
sì
mi trasforma Amor empio e contrista,
e d'altro foco il cor arde ed
accende;
sì l'alma al proprio e vero ben contende,
che
non si perde mai, poi che s'acquista.
La
ragion saria ben facile e pronta
a seguire il suo meglio; ma la
svia
questa fral carne, che con lei s'affronta.
Dunque
apparir non può la luce mia,
se 'l sol de la tua grazia non
sormonta
a squarciar questa nebbia fosca e ria.
63
Purga,
Signor, omai l'interno affetto
de la mia coscienzia, sì
ch'io miri
solo in te, te solo ami, te sospiri,
mio glorioso,
eterno e vero obietto.
Sgombra
con la tua grazia dal mio petto
tutt'altre voglie e tutt'altri
disiri;
e le cure d'amor tante e i sospiri,
che m'accompagnan
dietro al van diletto.
La
bellezza ch'io amo è de le rare
che mai facesti; ma poi
ch'è terrena,
a quella del tuo regno non è
pare.
Tu per dritto sentier là
su mi mena,
ove per tempo non si può cangiare
l'eterna
vita in torbida, e serena.
64
Volgi,
Padre del cielo, a miglior calle
i passi miei, onde ho già
cominciato
dietro al folle disio, ch'avea voltato
a te, mio
primo e vero ben, le spalle;
e
con la grazia tua, che mai non falle,
a porgermi il tuo lume or
sei pregato:
trâmi, onde uscir per me sol m'è
vietato,
da questa di miserie oscura valle.
E
donami destrezza e virtù tale,
che, posti i miei disir
tutti ad un segno,
saglia ove, amando il nome tuo, si
sale,
a fruire i tesori del
tuo regno;
sì ch'inutil per me non resti e frale
la
preziosa tua morte e 'l tuo legno.
65
Dunque
io potrò, fattura empia ed ingrata,
amar bellezza umana e
fral qual vetro,
e l'eterna e celeste lasciar dietro
de la
somma Bontà, che m'ha creata,
e
poi m'ha da la morte liberata
e da l'inferno tenebroso e tetro,
se
del fallir mi pento qual fe' Pietro,
poi che tre volte già
l'ebbe negata?
Dunque io potrò
veder di piaghe pieno
il mio Fattor, per me sospeso in croce,
e
d'amor e di zel non venir meno?
Dunque
non drizzerò pensieri e voce,
ogn'altro affetto uman spento
e terreno,
solo a' suoi strazi, a la sua pena
atroce?
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Mesta
e pentita de' miei gravi errori
e del mio vaneggiar tanto e sì
lieve,
e d'aver speso questo tempo breve
de la vita fugace in
vani amori,
a te, Signor,
ch'intenerisci i cori,
e rendi calda la gelata neve,
e fai
soave ogn'aspro peso e greve
a chiunque accendi di tuoi santi
ardori,
ricorro, e prego che
mi porghi mano
a trarmi fuor del pelago, onde uscire,
s'io
tentassi da me, sarebbe vano.
Tu
volesti per noi, Signor, morire,
tu ricomprasti tutto il seme
umano;
dolce Signor, non mi lasciar perire!