Tassoni Alessandro
LA SECCHIA
RAPITA
A CHI LEGGE
La Secchia Rapita, poema di nuova spezie inventata dal Tassone, contiene una impresa mezza eroica e mezza civile, fondata su l'istoria della guerra, che passò tra i Bolognesi e i Modanesi al tempo dell'imperador Federico Secondo, nella quale Enzio re di Sardigna, figliuolo del medesimo Federico, combattendo in aiuto de' Modanesi, restò prigione e prima d'esser liberato morí in Bologna, come oggidi ancora può vedersi dall'epitafio della sua sepoltura nella chiesa di S. Domenico.
La secchia di legno, per cagion della quale è fama che nascesse tal guerra, si conserva tuttavia ndl' archivio della Catedrale di Modana, appesa alla volta della stanza, con una catena di ferro, quale dicone che servisse a chiudere la porta di Bologna, per onde entrarono i Modanesi quando rapiron la Secchia.
Di tal guerra ne trattano il Sigonio e 'l Campanaccio istorici, e alcune Croniche in penna della città di Modana, d'onde si può vedere che 'l Poema della Secchia Rapita ha per tutto ricognizione d'istoria e di verità.
L'impresa è una e perfetta, cioè con principio, mezzo e fine; e se non è una d'un solo, Aristotile non prescrisse mai ai compositori cosi fatte strettezze. E oggidí è chiaro che le azioni di molti dilettano piú che quelle d'un solo, e che è piú curiosa da vedere una battaglia campale di qual si voglia duello. Perciò che il diletto della poesia epica non nasce dal vedere operare un uomo solo, ma dal sentir rappresentare verisimilmente azioni maravigliose; le quali quanto sono piú, tanto piú dilettano. Ma facendosi operare un sol uomo, non si può rappresentare in una impresa sola gran numero d'azioni; adunque sarà sempre piú sicuro l'introdurre piú d'uno. E per questo veggiamo che l'Ariosto, tutto che non abbia unità di favola e introduca gran moltiplicità di persone, diletta molto piú dell'Odissea d'Omero per la quantità e varietà delle azioni maravigliose ben collegate insieme.
Ma comunque si sia, quando l'autore compose questo Poema (che fu una state nella sua gioventú) non fu per acquistar fama in poesia, ma per passatempo e per curiosità di vedere come riuscivano questi due stili mischiati insieme, grave e burlesco; imaginando che se ambidue di lettavano separati avrebbono eziandio dilettato congiunti e misti, se la mistura fosse stata temperata con artificio tale che dalla loro scambievole varietà tanto i dotti quanto gli idioti avessero potuto cavarne gusto. Perciò che i dotti leggono ordinariamente le poesie per ricreazione e si dilettano piú delle baie, quando sono ben dette, che delle cose serie; e gl'idioti, oltre a gusto che cavano dalle cose burlesche, sono eziandio rapiti dalla maraviglia, che le azioni eroiche sogliono partorire.
Or questa nuova strada, come si vede, è piaciuta comunemente. All'autore basta averla inventata e messa in prova con questo saggio. Intanto, com'è facile aggiugnere alle cose trovate, potrà forse qualch'altro avanzarsi meglio per essa.
Egli nel rappresentare le persone passate s'è servito di molte presenti, come i pittori che cavano dai naturali moderni le faccie antiche; perciò che è verisimile che quello che a' dí nostri veggiamo, altre volte sia stato. Però dove egli ha toccato alcun vizio, è da considerare che non sono vizi particolari, ma comuni del secolo. E che per esempio il Conte di Culagna e Titta non sono persone determinate, ma le idee d'un codardo vanaglorioso e d'un zerbin romanesco. E tanto basti etc.
(Dall'edizione del 1624 a firma Il Bisquadro, di A. Tassoni)
PAULINO CASTELVECCHIO
Al LETTORI
Questo poema della Secchia rapita non ha bisogno d'esser lodato per accreditarsi, perciò che quale egli sia il giudicio commune il dimostra; benché non vi sieno mancati de' cervelli stravolti, che l'hanno giudicato col giudicio dell'asino il quale sentenziò che cantava meglio il cucco del rusignolo. Ma non è maraviglia, poiché anche alla nostra età abbiamo veduti ingegni che hanno anteposto il Morgante del Pulci alla Gierusalemme del Tasso; e l'antica vide l'imperatore Adriano che anteponeva Ennio a Virgilio e Celio a Salustio; ma bench'egli fosse imperatore, il suo giudicio depravato il fe' riputare un maligno. Io non so se i morti godano dell'applauso, che danno i vivi all'opere loro; ma stimo ben gran ventura che i vivi veggano date all'opere loro quelle lodi che cosi di rado e con tanta difficultà a quelle de' morti vengono concedute. L'invidia e la malignità sono due vizii immascherati, che senza esser conosciuti danno ferite mortali, benché non sempre i colpi loro abbiano effetto, perciò che trovano anch'essi dell'armature incantate.
Ma passiamo alle dichiarazioni del Salviani. Gli argomenti de' Canti sono del signore Abbate Albertino Barisoni, come si può veder dalle prime copie stampate in Parigi.
(Dall'edizione del 1630 di A. Tassoni)
CANTO PRIMO
ARGOMENTO
Del bel Panaro il pian sotto due scorte
a predar vanno i
Bolognesi armati,
ma da Gherardo altri condotti a morte,
altri
dal Potta son rotti e fugati.
Gl'incalza di Bologna entro le
porte
Manfredi, i cui guerrier co' vinti entrati
fanno per una
Secchia orribil guerra,
e tornan trionfanti a la lor terra.
1
Vorrei cantar quel
memorando sdegno
ch'infiammò già ne' fieri petti
umani
un'infelice e vil Secchia di legno
che tolsero a i
Petroni i Gemignani.
Febo che mi raggiri entro lo
'ngegno
l'orribil guerra e gl'accidenti strani,
tu che sai
poetar servimi d'aio
e tiemmi per le maniche del saio.
2
E tu nipote del
Rettor del mondo
del generoso Carlo ultimo figlio,
ch'in
giovinetta guancia e 'n capel biondo
copri canuto senno, alto
consiglio,
se da gli studi tuoi di maggior pondo
volgi talor
per ricrearti il ciglio,
vedrai, s'al cantar mio porgi
l'orecchia,
Elena trasformarsi in una Secchia.
3
Già l'aquila
romana avea perduto
l'antico nido, e rotto il fiero
artiglio
tant'anni formidabile e temuto
oltre i Britanni ed
oltre il mar vermiglio;
e liete, in cambio d'arrecarle
aiuto,
l'italiche città del suo periglio,
ruzavano tra
lor non altrimenti
che disciolte polledre a calci e denti.
4
Sol la reina del
mar d'Adria, volta
de l'Oriente a le provincie, a i regni,
da
le discordie altrui libera e sciolta
ruminava sedendo alti
disegni,
e gran parte di Grecia avea già tolta
di mano a
gli empi usurpatori indegni;
l'altre attendean le feste a suon di
squille
a dare il sacco a le vicine ville.
5
Part'eran
ghibelline, e favorite
da l'imperio aleman per suo
interesse;
part'eran guelfe, e con la Chiesa unite
che le
pascea di speme e di promesse:
quindi tra quei del Sipa antica
lite
e quei del Potta ardea, quando successe
l'alto, stupendo e
memorabil caso,
che ne gli annali scritto è di Parnaso.
6
Del celeste Monton già il sol
uscito
saettava co' rai le nubi algenti,
parean stellati i
campi e 'l ciel fiorito,
e su 'l tranquillo mar dormíeno i
venti;
sol Zefiro ondeggiar facea su 'l lito
l'erbetta molle e
i fior vaghi e ridenti,
e s'udian gli usignuoli al primo albore
e
gli asini cantar versi d'amore:
7
quando il calor de la stagion novella,
che
movea i grilli a saltellar ne' prati,
mosse improvisamente una
procella
di Bolognesi a' loro insulti usati.
Sotto due capi a
depredar la bella
riviera del Panaro usciro armati,
passaro il
fiume a guazzo, e la mattina
giunse a Modana il grido e la ruina.
8
Modana siede in una gran pianura
che da la
parte d'austro e d'occidente
cerchia di balze e di scoscese
mura
del selvoso Apennin la schiena algente;
Apennin ch'ivi
tanto a l'aria pura
s'alza a veder nel mare il sol cadente,
che
su la fronte sua cinta di gielo
par che s'incurvi e che riposi il
cielo.
9
Da l'oriente ha le fiorite sponde
del bel
Panaro e le sue limpid'acque;
Bologna incontro, e a la sinistra
l'onde
dove il figlio del sol già morto giacque;
Secchia
ha da l'aquilon, che si confonde
ne' giri che mutar sempre le
piacque,
divora i liti, e d'infeconde arene
semina i prati e le
campagne amene.
10
Viveano i Modanesi a la spartana
senza
muraglia allor né parapetto,
e la fossa in piú
luoghi era sí piana,
che s'entrava ed usciva a suo
diletto.
Il martellar de la maggior campana
fe' piú che
in fretta ognun saltar del letto,
diedesi a l'arma, e chi balzò
le scale,
chi corse a la finestra, e chi al pitale;
11
chi si mise una scarpa e una pianella,
e
chi una gamba sola avea calzata,
chi si vestí a rovescio la
gonella,
chi cambiò la camicia con l'amata;
fu chi prese
per targa una padella
e un secchio in testa in cambio di celata,
e
chi con un roncone e la corazza
corse bravando e minacciando in
piazza.
12
Quivi trovar che 'l Potta avea spiegato
lo
stendardo maggior con le trivelle,
ed egli stesso era a cavallo
armato
con la braghetta rossa e le pianelle.
Scriveano i
Modanesi abbreviato
Pottà per Potestà su le
tabelle,
onde per scherno i Bolognesi allotta
l'avean tra lor
cognominato il Potta.
13
Messer Lorenzo Scotti, uom saggio e forte,
era
allor Potta, e decideva i piati.
Fanti e cavalli in tanto ad una
sorte
a la piazza correan da tutti i lati.
Egli, poiché
guernite ebbe le porte,
una squadra formò de' meglio
armati,
e ne diede il comando e lo stendardo
al figlio di
Rangon detto Gherardo.
14
Egli dicea: - Va' figlio arditamente,
frena
l'orgoglio di que' marrabisi;
non t'esporre a battaglia, acciò
perdente
non resti, mentre siam cosí divisi;
ma ferma a
la Fossalta la tua gente,
e guarda il passo e aspetta novi
avisi,
ch'io ti sarò, se 'l mio pensier non falle,
innanzi
sesta armato anch'io a le spalle. -
15
Cosí andava a l'impresa il
cavaliero
dal fior de la milizia accompagnato,
e spettacolo in
un leggiadro e fiero
si vedeva apparir da un altro lato,
cento
donzelle in abito guerriero
col fianco e 'l petto di corazza
armato,
e l'aste in mano e le celate in testa,
comparvero in
succinta e pura vesta.
16
Venían guidate da Renoppia
bella
cacciatrice ed arciera a l'armi avezza;
Renoppia di
Gherardo era sorella,
pari a lui di valor, di gentilezza;
ma
non avea l'Italia altra donzella
pari di grazia a lei né di
bellezza,
e parea co' virili atti e sembianti
rapir i cori e
spaventar gli amanti.
17
Bruni gli occhi e i capegli, e rilucenti,
rose
e gigli il bel volto, avorio il petto,
le labbra di rubin, di
perle i denti,
d'angelo avea la voce e l'intelletto.
Maccabrun
da l'Anguille in que' commenti
che fece sopra quel gentil
sonetto
Questa barbuta e dispettosa vecchia,
scrive ch'ell'era
sorda da una orecchia.
18
Or giunta in piazza ella dicea: - Signori,
noi
siam deboli sí, ma non di sorte
che non possiamo almen per
difensori
guardare i passi e custodir le porte;
queste compagne
mie ben avran cori
da gire anch'esse ad incontrar la morte,
né
già disdice a vergine ben nata
per difender la patria,
uscire armata.
19
Quel dí che Barbarossa arse Milano,
mio
nonno guadagnò quest'armi in guerra;
Gherardo mio fratel le
chiudea in vano,
ché le porte gittate abbiam per terra;
e
s'al cor non vien meno oggi la mano,
se 'l nemico s'appressa a
questa terra,
speriam che col suo sangue e la sua morte
ei
proverà se sian di tempra forte. -
20
Accese i cor di generoso sdegno
il
magnanimo ardir de la donzella,
onde con l'armi fuor senza
ritegno
correa la gioventú feroce e bella.
Con maestoso
modo e di sé degno
il Potta la raffrena e la rappella:
-
Dove andate, canaglia berettina,
senza ordinanza e senza
disciplina?
21
Credete forse che colà
v'aspetti
trebbiano in fresco e torta in su 'l
tagliere?
Adattatevi in fila, uomini inetti,
nati a mangiar
l'altrui fatiche e bere. -
Cosí frenando i temerari
affetti
distingueva in un tratto ordini e schiere.
Gherardo in
tanto in opportuno punto
era correndo a la Fossalta giunto:
22
ché Bordocchio Balzan, ch'avea
condotto
la prima squadra, allor quivi arrivato,
s'era con
molto ardir già spinto sotto
a la torre onde il passo era
guardato;
quei de la torre aveano il ponte rotto
da un canto, e
'l varco stretto indi serrato,
e 'l difendean da merli e da
finestre
con dardi, mazzafrusti, archi e balestre.
23
Il capitan de la Petronia gente,
ch'era un
omaccio assai polputo e grosso,
gridava da la ripa del torrente
a
i suoi, ch'eran fermati, a piú non posso:
- Perché
non seguitadi alliegramente?
Avídi pora di saltar un
fosso?
O volídi restar tutti a la coda?
Passadi panirun
pieni di broda. -
24
Cosí dicea, quand'ecco in vista
altera
vide giugner Gherardo a l'altra riva,
onde a destra
piegar fe' la bandiera
contra 'l nemico stuol ch'indi veniva;
e
confidato ne l'amica schiera,
i cui tamburi già da lunge
udiva,
spinse da l'alta sponda i suoi soldati
dal notturno
cammin stanchi e affannati.
25
Allor Gherardo a' suoi diceva: - O forti,
ecco
Dio che divide e che confonde
questi bedani: udite i lor
consorti
che sono del Panaro anco a le sponde.
Prima del
giugner lor, questi fien morti,
pochi e stanchi, e ridotti entro a
quest'onde.
Seguitatemi voi, ché larga strada
io vi farò
col petto e con la spada. -
26
Cosí dicendo urta 'l cavallo, e dove
la
battaglia gli par piú perigliosa
si lancia in mezzo a
l'onda, e 'n giro move
la spada fulminante e sanguinosa.
Non
fe' il capitan Curzio tante prove
sotto Lisbona mai, né su
la Mosa,
quante ne fe' tra l'una e l'altra ripa
Gherardo allor
su 'l popolo dal Sipa.
27
Uccise il Bertolotto, e 'l corpo grasso
spirò
ne l'acqua fresca, e fu l'orrore
de l'acqua ch'abborriva, in su
quel passo,
de l'orror de la morte assai maggiore.
Uccise
appresso a lui mastro Galasso
cavadente perfetto e
ciurmatore:
vendea ballotte e polvere e braghieri:
meglio per
lui non barattar mestieri.
28
Senza naso lasciò Cesar Viano
fratel
del Podestà di Medicina,
e d'un dardo cader fe' di
lontano
trafitto un figlio del dottor Guaina;
indi ammazzò
il barbier di Crespellano.
che portava la spada a la mancina;
e
mastro Costantin da le Magliette,
che faceva le gruccie a le
civette.
29
Un certo bell'umor de' Zambeccari
gli diede
una sassata ne la pancia,
e a un tempo Gian Petronio Scadinari
gli
forò la braghetta con la lancia;
la buona spada gli mandò
del pari
come se fosse stata una bilancia,
ch'a l'uno e l'altro
tagliò il capo netto,
e i tronchi ne la rena ebber ricetto.
30
Qual già su 'l Xanto il furibondo
Achille
fe' del sangue troian crescer quell'onda,
o Ippomedonte
a le tebane ville
fe' de l'Asopo insanguinar la sponda,
tal il
giovane fier l'onde tranquille
fa rosseggiar del sangue ostil che
gronda:
ma da la tanta copia infastidita
diede la Musa a pochi
nomi vita.
31
L'oste dal Chiú, Zambon dal
Moscadello,
facea tra gli altri una crudel ruina;
una zazzera
avea da farinello,
senz'elmo in testa e senza cappellina;
si
riscontrò con Sabatin Brunello,
primo inventor de la
salciccia fina,
che gli tagliò quella testaccia riccia
con
una pestarola da salciccia.
32
Bordocchio intanto il fiume avea
passato
soverchiand'ogn'incontro, ogni ritegno,
quando del
Potta, che venía, fu dato
da la torre a Gherardo e a
gl'altri il segno.
Se n'avvide Bordocchio, e rivoltato
di
ripassare a' suoi facea disegno;
ma ne l'onda il destrier sotto
gli cade,
e rimase prigion fra cento spade.
33
Quei ch'erano con lui dianzi passati
dal
figlio di Rangon tutti fûr morti;
e già gli altri
fuggian rotti e sbandati,
del mal consiglio lor, ma tardi,
accorti;
quando in aiuto da' vicini prati
vider venir correndo
i lor consorti,
che del Panaro a la sinistra sponda
passâr
piú lenti, ov'è piú cupa l'onda.
34
Gian Maria de la Grascia, un
furbacciotto
ch'era di quella squadra il capitano,
come vide
fuggir dal campo rotto
quei di Bordocchio insanguinando il
piano,
rinfacciò lor con dispettoso motto
la fuga vile e
l'ardimento insano;
e furioso i suoi quindi spingendo,
fe' de'
nemici un potticidio orrendo.
35
Radaldo Ganaceti era su 'l ponte
con molti
suoi per impedir il passo,
e insieme col destrier tutto in un
monte
fu da la sponda ruinato al basso.
Voltò Gherardo a
quel rumor la fronte
e in aiuto de' suoi venía a gran
passo,
quando comparve 'l Potta al suon di mille
corni, gridi,
tamburi e trombe e squille.
36
Si raccoglie il nemico, e si ritira
al
terror di tant'armi, al suono, a i lampi,
ma l'incalza Gherardo, e
al vanto aspira
d'aver col suo valor rotti due campi;
corre a
destra, a sinistra, urta, raggira
il destriero, e di sangue inonda
i campi;
rotta ha la spada, e porta ne lo scudo
cento saette, e
mezzo 'l capo ha ignudo.
37
Ma tratta da l'arcion ferrata mazza,
Fantin
Vizzani e Prospero Castelli,
Astor de l'Armi e Taddeo Bianchi
ammazza
e 'l cavalier Martin de gli Asinelli.
A questi spada,
scudo, elmo e corazza
fece levar, ch'eran dorati e belli,
per
onorarsen poi; ma veramente
fu peccato ammazzar sí nobil
gente.
38
Spinte il Potta in aiuto in tanto avea
le
prime insegne a i Gemignani stracchi;
ed egli verso il ponte, ove
parea
che piú fossero i suoi deboli e fiacchi,
sopra una
mula a piú poter correa,
che mordendo co' piè
giucava a scacchi,
quando ferito fu d'una zagaglia
quel de la
Grascia, e uscí de la battaglia.
39
Poiché mirò de' capitani
suoi
l'un fatto prigionier, l'altro ferito
la progenie
antichissima de' Boi,
e si vide ridotta a mal partito,
que'
valorosi che facean gli eroi,
senza aspettar chi lor facesse
invito,
chi a cavallo, chi a piè per la campagna
si
diedono a menar de le calcagna.
40
Ma ratto fu con una ronca in mano
il Potta
lor come un demonio addosso,
e tanti ne mandò distesi al
piano
che ne fu il Ciel de la pietà commosso.
Quel fiume
crebbe sí di sangue umano
che piú giorni durò
tiepido e rosso,
e dove prima il Fiumicel chiamato,
fu dappoi
sempre il Tepido nomato.
41
Tutto quel dí, tutta la notte intiera
i
miseri Petroni ebber la caccia;
ne coperse ogni strada, ogni
riviera
Manfredi Pio, che ne seguí la traccia.
Con
trecento cavalli a la leggiera
con tanto ardire il giovane li
caccia,
che su 'l primo sparir de l'aria scura
si trovò
giunto a le nemiche mura.
42
La porta San Felice aperta in fretta
fu a'
cittadini suoi, ch'erano esclusi,
ma tanta fu la calca in quella
stretta
che i vincitori e i vinti entrar confusi.
Quei di
Manfredi un tiro di saetta
corser la terra, e vi restavan
chiusi,
s'ei da la porta ove fermato s'era
non li chiamava
tosto a la bandiera.
43
Spinamonte del Forno e Rolandino
Savignani
e Aliprando d'Arrigozzo
de' Denti da Balugola e
Albertino
Foschiera e Calatran di Borgomozzo,
affannati dal
caldo e dal cammino
trovâr non lunge da la porta un pozzo,
e
una Secchia calâr nuova d'abete
per rinfrescarsi e
discacciar la sete.
44
La carrucola rotta e saltellante,
e la fune
annodata in quella mena,
e l'acqua ch'era assai cupa e
distante,
feron piú tardi uscir la Secchia piena:
le si
avventaron tutti in un istante,
e Rolandino avea bevuto a
pena,
quand'ecco a un tempo da diverse strade
fûr lor
intorno piú di cento spade.
45
Scarabocchio, figliol di Pandragone,
Petronio
Orso e Ruffin dalla Ragazza
e Vianese Albergati e Andrea
Griffone
venían gridando innanzi: - Ammazza, ammazza. -
ma
i Potteschi già pronti in su l'arcione,
d'elmo e di scudo
armati e di corazza,
strinser le spade e rivoltâr le facce
a
l'impeto nemico e a le minacce.
46
E Spinamonte, che la Secchia presa
per bere
avea, spargendo l'acqua in terra
e tagliando la fune ond'era
appesa,
se ne serví contro i nemici in guerra;
con la
sinistra man la tien sospesa
per riparo, e con l'altra il brando
afferra;
l'aiutano i compagni e fangli sponda
contra il furor
che d'ogni parte inonda.
47
Lotto Aldrovandi e Campanon
Ringhiera
gridavano ambidue: - Canaglia matta,
lasciate quella
Secchia ove prim'era,
o la bestialità vi sarà
tratta. -
- Fatevi innanzi voi, disse il Foschiera,
notate la
consegna che v'è fatta. -
E 'n questo dire un manrovescio
lascia,
e taglia a Campanone una ganascia.
48
Non fu rapita mai con piú fatica
Elena
bella al tempo di Sadocco,
né combattuta Aristoclèa
pudica,
al par di quella Secchia da un baiocco.
Passata a
Calatran fu la lorica
sí che nel ventre penetrò lo
stocco
d'un fiero colpo di Carlon Cartari,
falciatore sovran
de' macellari.
49
Rolandino ferí d'un sopramano
Napulion
di Fazio Malvasía,
ed egli a lui storpiò la manca
mano
con una daga che brandita avía.
Se di Manfredi un
poco piú lontano
era il soccorso, alcun non ne
fuggía;
restò ferito quel de la Balugola,
e del
tanto gridar gli cadde l'ugola.
50
Manfredi in su la porta i suoi raccoglie
e
l'inimico stuol frena e reprime,
e poiché dal periglio si
discioglie
torna, e ripassa il Ren su l'orme prime;
né
potendo mostrar piú degne spoglie,
in atto di trofeo leva
sublime
sopra una lancia l'acquistata Secchia,
ché
presentarla al Potta s'apparecchia;
51
parendo a lui via piú nobile e degno
de
la vittoria, aver su 'l chiaro giorno
corsa Bologna, e trattone
quel pegno
che sarebbe a' nemici eterno scorno.
Da la Samoggia
un messo a darne segno
a Modana spedí senza soggiorno,
e
tosto la città si mise in core
di girgli incontro e fargli
un bell'onore.
52
Era vescovo allor per aventura
de la città
messer Adam Boschetto,
che di quel gregge avea solenne cura,
e
'l mantenea d'ogni contagio netto;
non dava troppo il guasto a la
Scrittura,
ed era entrato al popolo in concetto
che in cambio
di dir Vespro e Matutino
giucasse i benefici a sbarraglino.
53
Questi, poiché venir dal
messaggiero
con quella Secchia udí l'amica gente
tolta
per forza a un popolo sí fiero
di mezzo una città
tanto possente,
si mise anch'egli in ordine col clero
per girla
ad incontrar solennemente,
e si fe' porre intorno il
piviale
ch'usava il dí di Pasqua e di Natale.
54
Un superbo robon di drappo rosso
si mise il
Potta e una beretta nera,
che mezzo palmo largo e un dito
grosso
avea l'orlo d'intorno a la testiera;
gli Anziani appo
lui col lucco indosso
seguivano a cavallo in lunga schiera
sopra
certe lor mule afflitte e grame,
che pareano il ritratto de la
fame.
55
Gli portava dinanzi un paggio armato
la
spada nuda e la rotella bianca,
e avea dal destro e dal sinistro
lato
i due primi Anzian, teste di banca;
lo stendardo del
popolo spiegato
portava il cont'Ettòr da
Villafranca,
giovinetto che Marte avea nel core
e ne la bocca e
ne' begli occhi Amore.
56
Due compagnie di lance e di corrazze,
una
dinanzi e l'altra iva di dietro;
i cursori del popol con le
mazze
facevan ritirar le genti indietro,
che correan tutte a
gara come pazze
a la vicina porta di San Pietro,
per veder
quella Secchia a la campagna
credendosi che fosse una montagna.
57
In ultimo cinquanta contadine
con le
gonnelle bianche di bucato,
ne le canestre lor di vinco
fine
portavan pane, vin, torta in buon dato,
uova sode,
frittate e gelatine
al famoso drappello affaticato
che venía
con la Secchia; e cosí andando
giunsero a la Fossalta
ragionando.
58
Quivi trovâr che 'l prete de la cura
gía
confortando ancor gli agonizzanti,
gli assolvea da' peccati, e
ponea cura
fra i paterni ricordi onesti e santi,
se 'n dito
anella avean per aventura,
o ne le borse o nel giubbon contanti,
e
per guardargli da gli furti altrui
gli togliea in serbo e gli
mettea co' sui.
59
Manfredi in tanto apparve, e conducea
distinta
a coppia a coppia la sua schiera-
Portar la Secchia in alto egli
facea
da Spinamonte innanzi a la bandiera;
e di mirto e di fior
cinta l'avea,
sí che spoglia parea pomposa e altera.
Subito
il Potta il corse ad abbracciare
dicendogli: - Ben venga mio
compare. -
60
Indi gli chiese come avea potuto
con quella
Secchia uscir fuor di Bologna,
che non l'avesse ucciso o
ritenuto
quel popolo per ira o per vergogna.
Ddisse Manfredi: -
Iddio sa dare aiuto
a chi si fida in lui, quando bisogna:
il
nemico a seguirci ebbe due piedi,
e noi quattro a fuggir, come tu
vedi. -
61
Fêr poi le Cataline il lor invito
su
l'erba fresca d'un fiorito prato,
e perché ognun moriva
d'appetito
in un Avemaria fu sparecchiato.
Finita la merenda, e
risalito
a cavallo ciascuno al loco usato,
ripresero il cammino
in vêr la porta
raccontando fra lor la gente morta.
62
Sotto la porta stava Monsignore
con lo
spruzzetto in man da l'acqua santa,
e intonando la laude in quel
tenore
che fa il capon quando talvolta canta.
Quivi smontaro
tutti a farli onore,
e l'inchinâr con l'una e l'altra
pianta,
e a suon di trombe se n'andâr con esso
a render
grazie a Dio del gran successo.
63
Ma la Secchia fu subito serrata
ne la torre
maggior dove ancor stassi,
in alto per trofeo posta e legata
con
una gran catena a' curvi sassi;
s'entra per cinque porte ov'è
guardata
e non è cavalier che di là passi
né
pellegrin di conto, il qual non voglia
veder sí degna e
gloriosa spoglia.
CANTO SECONDO
ARGOMENTO
Mandano i Bolognesi ambasciatori
due volte a dimandar la
Secchia in vano:
onde con fieri ed ostinati cori
s'armano
quinci e quindi il monte e 'l piano.
Chiamano Giove a concilio i
Dei minori,
contendono fra lor Marte e Vulcano:
Venere si
ritira e si diparte,
e 'n terra se ne vien con Bacco e Marte.
1
Già il quarto dí volgea che
vincitori
diêr la rotta a' Petroni i Gemignani,
e per
l'ira che ardea ne' fieri cori
restavano anco i morti in preda a i
cani,
quando in Modana entrâr due Ambasciatori
con
pacifici aspetti e modi umani;
e smontati al Monton col
vetturino,
chiesero a l'oste s'egli avea buon vino.
2
Indi un messo spedîr per impetrare
che
l'ordine ch'avean fosse ascoltato.
Cominciò il campanaccio
a dindonare
e in un momento s'adunò il Senato.
Andâr
gli ambasciatori ad onorare
Alessandro Fallopia e Gaspar Prato,
e
li condusser per diritta strada
a la sala ove il Duca or tien la
biada.
3
Un vecchio ranticoso, affumicato,
pallido e
vizzo che parea l'inedia
e per forza tener co' denti il fiato,
e
potea far da Lazzaro in comedia,
poi che due volte intorno ebbe
mirato,
incominciò cosí da la sua sedia:
-
Messeri, io son Marcel di Bolognino
dottor di legge e conte
Palatino.
4
Il mio collega è conte e cavaliero
e
Ridolfo Campeggi è nominato;
io son uomo di pace, egli è
guerriero;
io lettor de lo Studio, egli soldato.
Or l'uno e
l'altro ha qui per messaggiero
il nostro Reggimento a voi
mandato,
per iscusarsi del passato eccesso
che 'l popol nostro
ha contra voi commesso.
5
Il popol nostro è un popol del
demonio,
che non si può frenar con alcun freno;
e s'io
non dico il ver, che san Petronio
mi faccia oggi venir la vita
meno.
Sarà il collega mio buon testimonio,
che quando
l'altra notte ei passò il Reno,
fu mera ivenzion d'un
seduttore,
né il Reggimento n'ebbe alcun sentore.
6
Ma non si può disfar quel ch'è
già fatto;
d'ogni vostro disturbo assai ne spiace;
e
siam venuti qua per far riscatto
de' morti nostri, e ad offerirvi
pace:
ma vogliam quella Secchia ad ogni patto,
che ci rubò
la vostra gente audace:
perché altramente andría
ogni cosa in zero,
e ci scorrucciaremmo da dovero. -
7
Qui chiuse il Bolognino il suo sermone,
e
rise ognun quanto potea piú forte.
Era capo di banca un
Rarabone
Dal Tasso, arridottor cavato a sorte:
per sopra nome
gli dicean Tassone,
perch'era grosso e avea le gambe
corte.
Questi, poiché 'l Senato in lui s'affisse,
compose
il volto e si rivolse e disse:
8
- Che 'l vostro Reggimento abbia mandati
due
personaggi suoi sí principali
a scusarsi con noi de' danni
dati
e a condolersi de' passati mali,
nostra ventura è
certo; e registrati
ne fieno i nomi lor ne' nostri Annali.
A
noi ancora inver molto dispiace
de' vostri morti, che Dio gli
abbia in pace:
9
e se per sotterrargli or qui venite,
la
vostra ambascieria fia consolata;
ma quella pace che voi ci
offerite
col patto della Secchia, è un po' intricata:
e
conviene aggiustar pria le partite
con cui voi dite che ve l'ha
rubata;
perché di secchie non abbiam bisogno,
e ci
crediam che favelliate in sogno. -
10
Manfredi, ch'era a quel parlar
presente,
cavatosi il capuccio e in piè levato,
- Figlio
è, disse, d'un becco, e se ne mente
chi vuol dir ch'io la
Secchia abbia rubato.
Di mezzo la città nel dí
lucente
io la trassi per forza in sella armato:
e tornerò,
se me ne vien talento,
dov'è quel pozzo e cacherovvi
drento.
11
Siete mal informato, a quel ch'io
veggio,
messer Marcello mio da un bolognino. -
- Cappita! disse
il cavalier Campeggio,
voi siete bravo come un paladino.
Orsú
ripigliarem, ch'io me n'aveggio,
con le trombe nel sacco oggi il
cammino;
ma Gemignani miei, io vi protesto
che ve ne pentirete
assai ben presto. -
12
Rispondeva Manfredi; e ne potea
seguir
scandalo grave entro 'l Senato,
se 'l Potta allor non vi
s'interponea
con modo imperioso e volto irato:
- Taci, frasca
merdosa, egli dicea;
ché questo è ius antico
inviolato
che possa un messagier dir ciò che vuole
senza
render ragion di sue parole. -
13
Cosí gli ambasciatori usciron fuore
ed
a la patria lor feron ritorno:
la quale il Baldi principal
dottore
mandò con nuovi patti il terzo giorno;
e la
terra offeria di Grevalcore
se la Secchia tornava al suo
soggiorno.
Fu il dottor Baldi molto accarezzato
e a le spese
del publico alloggiato.
14
Poscia di nuovo s'adunò il
Conseglio
dov'egli fu introdotto il dí seguente.
Il
Baldi, ch'era astuto come veglio
e sapea secondar l'onda
corrente,
incominciò: - Signori, esempio e speglio
d'onor
e senno a la futura gente,
io rendo grazie a Dio che mi concede
di
seder oggi in cosí degna sede.
15
E vengovi a propor cosa inudita
che vi farà
inarcar forse le ciglia.
Giace una terra antica, e favorita
de
le grazie del cielo a meraviglia,
col territorio vostro appunto
unita.
e lontana di qua tredici miglia.
Già vi fu morto
Pansa, e dal dolore
nominata da' suoi fu Grevalcore.
16
Ancor dopo tant'anni e tanti lustri
il suo
nome primier conserva e tiene:
furon già stagni e valli ime
e palustri,
or son campagne arate e piagge amene;
non han però
gli agricoltori industri
tutte asciugate ancor le natíe
vene,
ma vi son fondi di perpetui umori
che sogliono abitar
pesci canori.
17
Le Sirene de' fossi, allettatrici
del
sonno, di color vari fregiate,
e del prato e de l'onda
abitatrici,
fanvi col canto lor perpetua state;
i regni de
l'Aurora almi e felici
paiono questi; ove son genti nate,
che
ne' costumi e ne' sembianti loro
rappresentano ancor l'età
de l'oro.
18
Or cosí degna terra e principale
vi
manda ad offerir la patria mia
se quella Secchia, che toglieste a
un tale
de' nostri, col malan che Dio gli dia,
quando i vostri
l'altrier fêr tanto male
e sforzaron la porta che
s'apría,
sarà da voi al pozzo
rimandata
publicamente, d'onde fu levata.
19
Mentre vi s'offre la fortuna in questo.
di
cambiare una Secchia in una terra,
ricordatevi sol che volge
presto
il calvo a chi la chioma non afferra.
Se non cogliete il
tempo, i' vi protesto
ch'avrete lunga e faticosa guerra,
né
potrete durare a la campagna
che s'armerà con noi tutta
Romagna. -
20
Qui tacque il Baldi e nacque un gran
bisbiglio,
né fu chi rispondesse alcuna cosa:
ma si
conobbe in un girar di ciglio
che la mente d'ognuno era
dubbiosa.
Alfin per consultare ogni periglio
e non urtare in
qualche pietra ascosa,
fecero al Baldi dir, ch'era
presente,
ch'avrebbe la risposta il dí seguente.
21
Il dí che venne, il cambio fu
approvato,
e disser che la Secchia eran per darla,
sottoscritto
il contratto e confirmato,
a qualunque venisse a
ripigliarla;
perch'altramente non volea il Senato
con atto
indegno al pozzo ei rimandarla;
che in questo il Reggimento era in
errore
se credea di dar legge al vincitore.
22
Il Baldi si scusò che non avea
ordine
d'alterar la sua proposta,
ma che l'istesso giorno egli
volea
ritornare a Bologna per la posta;
e se 'l partito a la
città piacea,
avrebbe rimandato un messo a posta.
Cosí
conchiuso il Baldi fe' ritorno,
né si seppe altro fino al
terzo giorno.
23
Il terzo dí, ch'ognun stava
aspettando
che non avesse piú la pace intoppo,
eccoti un
messaggier venir trottando
sopra d'un vetturin spallato e zoppo,
e
tratta fuori una protesta o un bando,
l'affisse al tronco d'un
antico pioppo
che dinanzi a la porta di sua mano
avea piantato
già san Gemignano.
24
Dicea la carta: - Il popol bolognese
quel
di Modana sfida a guerra e morte
se non gli torna in termine d'un
mese
la Secchia che rubò su le sue porte. -
Affisso il
foglio, subito riprese
il suo cammin colui, spronando forte
quel
tripode animale; e in un momento
parve che via lo si portasse il
vento.
25
Qual resta il pescator che ne la tana
mette
la man per trarne il granchio vivo,
e trova serpe o velenosa
rana
o qual si voglia altro animal nocivo
tal la gente del
Potta altera e vana,
trovar credendo un popolo corrivo,
quando
sentí quella protesta, tutta
raggrinzò le mascelle e
si fe' brutta.
26
Ma come ambiziosa per natura,
dissimulando
il naturale affetto,
mostrò di non curar quella scrittura
e
le minacce altrui volse in diletto:
non ristorò le ruinate
mura,
non cavò de le fosse il morto letto,
né di
ceder mostrò sembianza alcuna
a la forza nemica o a la
fortuna.
27
Ma scrisse a Federico in Alemagna
quant'era
occorso e di suo aiuto il chiese;
la milizia del pian, de la
montagna
a preparar segretamente attese:
fe' lega per un anno a
la campagna
col popol parmigian, col cremonese,
scrisse ne la
città fanti e cavalli,
indi tutta si diede a feste e balli.
28
La fama in tanto al ciel battendo l'ali
con
gli avisi d'Italia arrivò in corte,
ed al re Giove fe'
sapere i mali
che d'una Secchia era per trar la sorte.
Giove,
che molto amico era a i mortali
e d'ogni danno lor si dolea
forte,
fe' sonar le campane del suo impero
e a consiglio
chiamar gli Dei d'Omero.
29
Da le stalle del ciel subito fuori
i cocchi
uscir sovra rotanti stelle,
e i muli da lettiga e i corridori
con
ricche briglie e ricamate selle:
piú di cento livree di
servidori
si videro apparir pompose e belle,
che con leggiadra
mostra e con decoro
seguivano i padroni a concistoro.
30
Ma innanzi a tutti il Prencipe di Delo
sopra
d'una carrozza da campagna
venía correndo e calpestando il
cielo
con sei ginetti a scorza di castagna:
rosso il manto, e
'l cappel di terziopelo
e al collo avea il toson del re di
Spagna:
e ventiquattro vaghe donzellette
correndo gli tenean
dietro in scarpette.
31
Pallade sdegnosetta e fiera in volto
venía
su una chinea di Bisignano,
succinta a mezza gamba, in un
raccolto
abito mezzo greco e mezzo ispano:
parte il crine
annodato e parte sciolto
portava, e ne la treccia a destra mano
un
mazzo d'aironi a la bizzarra,
e legata a l'arcion la scimitarra.
32
Con due cocchi venía la Dea
d'Amore:
nel primo er'ella e le tre Grazie e 'l figlio,
tutto
porpora ed or dentro e di fuore,
e i paggi di color bianco e
vermiglio;
nel secondo sedean con grand'onore
cortigiani da
cappa e da consiglio,
il braccier de la Dea, l'aio del putto,
ed
il cuoco maggior mastro Presciutto.
33
Saturno, ch'era vecchio e accatarrato
e
s'avea messo dianzi un serviziale,
venía in una lettiga
riserrato
che sotto la seggetta avea il pitale;
Marte sopra un
cavallo era montato
che facea salti fuor del naturale;
le calze
a tagli e 'l corsaletto indosso,
e nel cappello avea un pennacchio
rosso.
34
Ma la Dea de le biade e 'l Dio del vino
venner
congiunti e ragionando insieme;
Nettun si fe' portar da quel
delfino
che fra l'onde del ciel notar non teme:
nudo, algoso e
fangoso era il meschino,
di che la madre ne sospira e geme,
ed
accusa il fratel di poco amore
che lo tratti cosí da
pescatore.
35
Non comparve la vergine Diana
che levata
per tempo era ita al bosco
a lavare il bucato a una fontana
ne
le maremme del paese Tosco;
e non tornò, che già la
tramontana
girava il carro suo per l'aer fosco;
venne sua madre
a far la scusa in fretta,
lavorando su i ferri una calzetta.
36
Non intervenne men Giunon Lucina,
che 'l
capo allora si volea lavare;
Menippo, sovrastante a la cucina
di
Giove, andò le Parche ad iscusare
che facevano il pan
quella mattina,
indi avean molta stoppa da filare;
Sileno
cantinier restò di fuori
per inacquare il vin de'
servidori.
37
De la reggia del ciel s'apron le
porte,
stridon le spranghe e i chiavistelli d'oro;
passan gli
Dei da la superba corte
ne la sala real del Concistoro:
quivi
sottratte a i fulmini di morte
splendon le ricche mura e i fregi
loro;
vi perde il vanto suo qual piú lucente
e piú
pregiata gemma ha l'Oriente.
38
Posti a seder ne' bei stellati palchi
i
sommi eroi de' fortunati regni,
ecco i tamburi a un tempo e gli
oricalchi
de l'apparir del Re diedero segni.
Cento fra paggi e
camerieri e scalchi
veníeno, e poscia i proceri piú
degni;
e dopo questi Alcide con la mazza,
capitan de la guardia
de la piazza.
39
E come quel ch'ancor de la pazzia
non era
ben guarito intieramente,
per allargare innanzi al Re la
via
menava quella mazza fra la gente;
ch'un imbriaco svizzero
paría,
di quei che con villan modo insolente
sogliono
innanzi 'l Papa il dí di festa
romper a chi le braccia, a
chi la testa.
40
Col cappello di Giove e con gli
occhiali
seguiva indi Mercurio, e in man tenea
una borsaccia,
dove de' mortali
le suppliche e l'inchieste ei
raccogliea;
dispensavale poscia a due pitali
che ne' suoi
gabinetti il Padre avea,
dove con molta attenzion e cura
tenea
due volte il giorno segnatura.
41
Venne al fin Giove in abito reale
con
quelle stelle c'han trovate in testa,
e su le spalle un manto
imperiale
che soleva portar quand'era festa;
lo scettro in
forma avea di pastorale
e sotto il manto una pomposa
vesta
donatagli dal popol Sericano,
e Ganimede avea la coda in
mano.
42
A l'apparir del Re surse repente
da i seggi
eterni l'immortal Senato,
e chinò il capo umíle e
riverente
fin che nel trono eccelso ei fu locato.
Gli sedea la
Fortuna in eminente
loco a sinistra, ed a la destra il Fato;
la
Morte e 'l Tempo gli facean predella,
e mostravan d'aver la
cacarella.
43
Girò lo sguardo intorno, onde sereno
si
fe' l'aer e 'l ciel, tacquero i venti,
e la terra si scosse e
l'ampio seno
de l'oceano a' suoi divini accenti.
Ei cominciò
dal dí che fu ripieno
di topi il mondo e di ranocchi
spenti,
e narrò le battaglie ad una ad una
che ne' campi
seguîr poi de la luna.
44
- Or, disse, una maggior se n'apparecchia
tra
quei del Sipa e la città del Potta:
sapete ch'è tra
lor ruggine vecchia
e che piú volte s'han la testa
rotta;
ma nuova gara or sopra d'una Secchia
han messa in campo;
e se non è interrotta,
l'Italia e 'l mondo sottosopra
veggio:
intorno a ciò vostro consiglio chieggio. -
45
Qui tacque Giove, e 'l guardo a un tempo
affisse
nel padre suo, che gli sedea secondo.
Sorrise il
vecchio, e tirò un peto, e disse:
- Potta, i' credea che
ruinasse il mondo.
Che importa a noi se guerra, liti e
risse
turban là giú quel miserabil fondo?
E se
gli uomini son lieti o turbati?
Io gli vorrei veder tutti
impiccati. -
46
Marte a quella risposta alzando il ciglio
-
O buon vecchio, gridò, son teco anch'io;
che importa a
questo eterno alto consiglio
se stato è colà giú
turbato o rio?
Chi è nato a perigliar, viva in
periglio:
viva e goda nel ciel chi è nato Dio.
Io, se la
Diva mia nol mi disdice,
l'una e l'altra città farò
infelice.
47
Sazierà doppia strage il mio furore,
di
corpi morti inalzerò montagne;
farò laghi di sangue
e di sudore,
e tutte inonderò quelle campagne. -
-
Cavalier, disse Palla, il tuo valore
san cantar fin le trippe e le
lasagne,
sí che indarno ti studi e t'argomenti
di farlo
or noto a le celesti menti.
48
Ma s'hai desio di qualche degna
impresa,
facciam cosí: va' tu co i Gemignani,
ch'io sarò
de' Petroni a la difesa,
e ti verrò a incontrar là
su que' piani.
Bologna sempre fu a' miei studi intesa;
onde
tenermi a cintola le mani
or non debbo per lei. Tu meco scendi
se
palma di valor, se gloria attendi. -
49
A quel parlar si levò Febo e disse:
-
Vergine bella, i' verrò teco anch'io
in favor di Bologna,
ove ognor visse
l'antico studio de le Muse e mio. -
Bacco, che
in Citerea le luci fisse
sempre tenute avea con gran desio
-
Cosí dunque, rispose in volto irato,
fia il popol mio da
tutti abbandonato?
50
La città ch'ognor vive in feste e
canti
fra maschere e tornei per onorarmi,
ch'ha si dolce
liquor, vedrà fra tanti
travagli suoi qui neghittoso
starmi?
Bella madre d'Amor, che co' sembianti
puoi far vinta
cader la forza e l'armi,
tu meco scendi: ch'io farò a
costoro
di stoppa rimaner la barba d'oro. -
51
Sfavillò Citerea con un sorriso
che
dicea: - Bacia, bacia, anima accesa -
e gli diede col ciglio a un
tempo aviso.
che sarebbe ita seco a quell'impresa.
Marte, che
'n lei tenea lo sguardo fiso
avido di litigio e di
contesa,
vedendo ch'ella avea d'andar desio,
disse: - A la fè,
che vo' venir anch'io.
52
Gite voi altri pur dove v'aggrada,
ch'io
vo' seguir de la mia Diva i passi;
dove ella volge il piè,
convien ch'io vada,
e quei di voi ch'ella abbandona, lassi.
Per
lei combatte questa invitta spada
e questa destra; ed or per lei
vedrassi
il Panaro gonfiarsi, e in atto strano
portar soccorso
al Po di sangue umano. -
53
Sorrise Palla, ma con occhio bieco
rimirollo
Vulcan ch'era in disparte;
e disse: - Empio sicario, adunque
meco
comune il letto avrai per ricrearte?
E Giove stesso
accorderassi teco
nel vituperio di sua figlia a parte?
Per
Stige, ch'io non so chi mi s'arresta
ch'io non ti do di questo in
su la testa. -
54
E strignendo un martel ch'al fianco
avea,
sollevò il braccio, e di menar fece atto.
La
manopola allor ch'in man tenea
lanciògli Marte, e balzò
in piedi ratto
sgangherato gridando: - Anima rea,
t'insegnerò
ben io di starti quatto. -
Giove che vide accesa una
battaglia,
stese lo scettro e disse: - Olà, canaglia!
55
Dove credete star? giuro a Macone
ch'io vi
gastigherò di tanto ardire;
venga il fulmine tosto. - E
l'Aquilone
il fulmine arrecògli in questo dire.
Vulcan
tratto a' suoi piedi in ginocchione
chiedea mercede e intiepidiva
l'ire
lagrimando i suoi casi e l'empia sorte,
ma piú
l'infedeltà de la consorte.
56
Citerea, che si vide a mal partito,
per una
porticella di nascosto
da lo sdegno del padre e del marito,
mentre
questi piagnea, s'involò tosto:
e dietro a lei senza
aspettar invito
corsero il Dio de l'armi e 'l Dio del mosto;
ella
in terra con lor prese la via,
e in mezzo a lor dormí su
l'osteria.
57
Gli abbracciamenti, i baci e i colpi
lieti
tace la casta Musa e vergognosa;
da la congiunzion di
que' pianeti
ritorce il plettro e di cantar non osa:
mormora
sol fra sé detti segreti,
ch'al fuggir de la notte umida
ombrosa
fatto avean Marte e 'l giovane tebano
trenta volte
cornuto il dio Vulcano.
58
L'oste di Castelfranco un gran pollaio
con
uova fresche avea quanto la rena;
ne bebbero i due amanti un
centinaio,
che smidollata si sentian la schiena:
ma la Diva ne
volle solo un paio,
che d'altro forse avea la pancia piena.
La
Diva, per non dar di sé sospetto,
presa la forma avea d'un
giovinetto.
59
Di candido ermesin tutto trinciato
sopra
seta vermiglia, era vestita,
con un colletto bianco
profumato,
calzetta bianca e cinta colorita:
di bianco il piè
leggiadro era calzato;
non si potea veder piú bella
vita;
un pugnaletto d'or cingeva al fianco,
e nel cappello un
pennacchietto bianco.
60
Ma l'oste ch'era guercio e Bolognese,
tanto
peggio stimò ne' suoi concetti
quando corcarsi in terzo
egli comprese
l'amoroso garzon fra tanti letti.
Sgombrarono gli
Dei tosto il paese,
che di colui conobbero i sospetti,
temendo
che 'l fellon con falso indizio
non gli accusasse quivi al
Malefizio.
61
A Modana passâr quella mattina,
e
ritrovâr che vi si fea gran festa:
un palio di teletta
cremesina
correasi a fiori d'or tutta contesta.
Vedendo quella
gente pellegrina,
ognuno a gara ne facea richiesta;
e molti li
tenean per recitanti
venuti a preparar comedie inanti.
62
Dicean che Marte il Capitan Cardone,
e
Bacco esser dovea l'innamorato,
e quel vago leggiadro e bel
garzone
esser a far da donna ammaestrato.
Cosí alle
volte ancor fuor di ragione
si tocca il punto; e molti han
profetato
che si credean di favellare a caso:
la sorte ed il
saper stanno in un vaso.
63
Poscia che passeggiata a parte a parte
ebber
gli Dei quella città fetente,
e ben considerato il sito e
l'arte
del guerreggiare e 'l cor di quella gente,
a un'osteria
si trassero in disparte
ch'avea un trebbian di Dio dolce e
rodente,
e con capponi e starne e quel buon vino
cenaron tutti
e tre da paladino.
64
Mentre questi godean, da l'altro canto
Pallade
e Febo eran discesi in terra;
e concitando gían Bologna
intanto
e le città de la Romagna in guerra.
Quanto è
dal Reno al Rubicone, e quanto
tra 'l monte e 'l mar quivi
s'estende e serra,
s'unisce con Bologna e s'apparecchia
di gir
con l'armi a racquistar la Secchia.
65
L'intesero gli amanti, e a la
difesa
prepararono anch'essi i lor vassalli:
Bacco chiamò
i Tedeschi a quell'impresa,
e andò fin in Germania ad
invitalli.
Essi quand'ebber la sua voglia intesa,
in un momento
armar fanti e cavalli,
benedicendo ottobre e San Martino,
e
sperando notar tutti nel vino.
66
Marte restò in Italia a preparare
la
milizia di Parma e di Cremona;
Venere disse che volea tentare
di
far venir un Re quivi in persona;
e passando dov'Arno ha foce in
mare,
si fe' da le Nereidi a la Gorgona
portar, e quindi a
l'isola de' Sardi
ricca di cacio e d'uomini bugiardi.
CANTO TERZO
ARGOMENTO
Venere accende a l'armi il Re de' Sardi.
Ragunano lor forze
i Gemignani:
s'uniscono co 'l Potta i tre stendardi,
Tedeschi,
Cremonesi e Parmigiani.
Passa il Re con piú popoli
gagliardi
l'alpi, e discende a guerreggiar ne' piani:
e 'l
Potta il campo contra a quei dal Sipa
del Panaro tragitta a
l'altra ripa.
1
Era tranquillo il mar, sereno il cielo,
taceva
l'onda e riposava il vento;
e ingemmata di fior, sparsa di
gelo,
l'alba sorgea dal liquido elemento,
e squarciava a la
notte il fosco velo
stellato di celeste e vivo argento:
quando
la Dea con amorose larve
ad Enzio re nel fin del sonno apparve.
2
E 'n lui mirando: - O generoso figlio
di
Federico, onor de l'armi, disse,
l'italiche città vanno a
scompiglio,
tornansi a incrudelir l'antiche risse:
Modana sovra
l'altre è in gran periglio,
che fida sempre al Sacro
Imperio visse:
e tu qui dormi in mezzo 'l mar nascoso?
Déstati
e prendi l'armi, uom neghittoso.
3
Va' in aiuto de' tuoi, ché
t'apparecchia
nuova fortuna il ciel non preveduta:
tu salverai
quella famosa Secchia
che con tanto valor fia combattuta,
che
giornata campal nuova né vecchia
non sarà stata mai
la piú temuta:
Modana vincerà, ma con fatica,
e
tu entrerai ne la città nemica.
4
Quivi d'una donzella acceso il core
ti fia,
la piú gentil di questa etade
che sí t'infiammerà
d'occulto ardore
che ti farà languir di sua beltade;
al
fin godrai del suo felice amore,
e 'l nobil seme tuo quella
cittade
reggerà poscia, e riputato fia
la gloria e lo
splendor di Lombardia. -
5
Qui sparve il sonno e s'involò
repente
da le luci del Re la Dea d'amore:
ei mirò le
finestre, e in oriente
biancheggiar vide il mattutino
albore;
chiese tosto i vestiti, e impaziente
si lanciò
de le piume; e tratta fuore
la spada ch'avea dietro al
capezzale,
menò un colpo e ferí su l'orinale.
6
Quel fe' tre balzi, e in cento pezzi
rotto
cadde con la coperta cremesina;
con lunga riga fuor
sparsa di botto
per la stanza del Re corse l'orina.
Fe' in
tanto un paggio de la guardia motto
ch'era giunto un corrier da la
marina
col segno de l'Imperio e la patente,
onde fu fatto
entrar subitamente.
7
Scrivea da Spira Federico al figlio
che
subito mandasse armi in difesa
di Modana, che posta era in
periglio
per nuova guerra in quelle parti accesa.
Letta la
carta il Re prese consiglio
d'andar egli in persona a
quell'impresa,
e tosto armò d'amici e di vassalli
sovra
'l lito pisan fanti e cavalli.
8
A Modana fra tanto era arrivato
l'aviso, che
già 'l conte di Nebrona
con seicento cavalli avea
passato
l'Alpi, e s'unía con l'armi di Cremona.
Questi
da Federico era mandato,
non potendo venir egli in persona:
gran
baron de l'Imperio e lancia rotta,
e nemico mortal de l'acqua
cotta.
9
Da l'altra parte era venuta nuova
ch'in armi
si mettea tutta Romagna;
onde deliberâr d'uscir di cova
i
Modanesi armati a la campagna,
e far di sé qualche onorata
prova
col soccorso d'Italia e d'Alemagna.
Lasciâr le
feste, e tutte le lor posse
furon da varie parti a un tempo mosse,
10
con ordin che dovesse il giorno sesto
al
prato de' Grassoni esser ridotta
da i capi lor tutta la gente a
sesto,
e l'insegna aspettar quivi del Potta.
Musa, tu che
scrivesti in un digesto
que' nomi eccelsi e le lor prove
allotta,
dammene or copia acciò che nel mio canto
i
pronepoti lor n'odano il vanto.
11
Il Prato de' Grassoni a destra mano
dal
ponte del Panaro era distante
quanto un arco potria tirar
lontano,
e quivi ognun dovea fermar le piante.
Chi dal monte il
dí sesto, e chi dal piano
dispiegò le bandiere in un
istante;
e 'l primo ch'apparisse a la campagna
fu il conte de
la Rocca di Culagna.
12
Quest'era un cavalier bravo e
galante,
filosofo poeta e bacchettone
ch'era fuor de' perigli
un Sacripante,
ma ne' perigli un pezzo di polmone.
Spesso
ammazzato avea qualche gigante,
e si scopriva poi ch'era un
cappone,
onde i fanciulli dietro di lontano
gli soleano gridar:
- Viva Martano. -
13
Avea ducento scrocchi in una schiera,
mangiati
da la fame e pidocchiosi;
ma egli dicea ch'eran duo mila e
ch'era
una falange d'uomini famosi:
dipinto avea un pavon ne la
bandiera
con ricami di seta e d'or pomposi:
l'armatura
d'argento e molto adorna;
e in testa un gran cimier di piume e
corna.
14
Fu Irneo di Montecuccoli il secondo,
figliolo
del signor di Montalbano,
giovane disdegnoso e furibondo,
e di
lingua e di cor pronto e di mano;
a carte e a dadi avría
giucato il mondo,
e bestemmiava Dio com'un marrano:
buon
compagno nel resto e senza pecche,
distruggitor de le castagne
secche.
15
Settecento soldati ei conducea
da le terre
del padre e de' parenti;
ne lo stendardo un Mongibello avea
che
vomitava al ciel faville ardenti.
L'onor de la famiglia di
Rodea,
Attolino, il seguía con le sue genti,
a cui
l'Imperator de' regni greci
cinta la spada avea con altri dieci.
16
Da Rodea, da Magreda e Castelvecchio
conduceva
costui trecento fanti
con sí leggiadro e nobile
apparecchio
che parean tutti cavalieri erranti:
su 'l cimier
per impresa avea uno specchio
cinto di piume ignote e
stravaganti.
E dopo lui fu vista una bandiera
su gli argini
venir de la riviera.
17
Le ville de la Motta e del
Cavezzo,
Camposanto, Solara e Malcantone
quivi raccolto avean
la feccia e 'l lezzo
d'ogn'omicida rio, d'ogni ladrone;
quel
clima par da fiera stella avezzo
a morire o di forca o di
prigione:
fur cinquecento, usati al caldo, al gielo,
a
l'inculta foresta, al nudo cielo.
18
Da Camillo del Forno eran guidati
uom
temerario e sprezzator di morte,
di semplice vermiglio avea
segnati
il suo stendardo e l'armatura forte;
non portava cimier
né fregi aurati,
né divisa o color d'alcuna
sorte,
fuor che vermiglio; e sovra la sua gente
con nera e
folta barba era eminente.
19
La gente che solcar soleva l'onda
e or
solca il letto del gran fiume estinto,
e quella dove cade e si
profonda
il Panaro diviso e 'n dietro spinto,
lasciâr le
barche e i remi in su la sponda;
e mosse da guerrier nobile
instinto,
quivi s'appresentar con lance e spiedi,
cento a
cavallo e novecento a piedi.
20
Per capitani avean due schiericati
l'arciprete
Guidoni e 'l frate Bravi;
che dianzi per ribelli ambo
cacciati
avean con una man d'uomini pravi
la Stellata e 'l
Bonden poscia occupati,
e 'l transito al Final chiuso a le
navi.
Or rimessi venían con queste schiere,
in abito di
guerra, in armi nere.
21
Alderan Cimicelli e Grazio Monte
seguían
dopo costoro a mano a mano;
la Staggia l'uno e la Verdeta ha
pronte,
quei di Roncaglia ha l'altro e di Panzano:
il destrier
che portò Bellorofonte
già in alto, Grazio, e un
argano Alderano
ne le bandiere lor spiegano al vento:
e i
soldati fra tutti eran secento.
22
San Felice, Midolla e Camurana,
secento a
piedi e ottanta erano in sella;
Nerazio Bianchi e Tomasin
Fontana
gli conduceano a la tenzon novella:
Tomasin per insegna
avea una rana
armata con la spada e la rotella;
Nerazio, che
reggea quei da cavallo,
avea una mezza luna in campo giallo.
23
S'armò dopo costor quella riviera
che
da Bomporto a la Bastía si stende;
povera gente, ma superba
e altera,
che 'n terra e 'n acqua a provecchiarsi attende.
Fur
quattrocento; e ne la lor bandiera,
che di vermiglio e d'or tutta
risplende,
ritratto avea un gonfietto da pallone
Bagarotto,
figliol di Rarabone.
24
Il sagace Claretto era con esso,
ch'acceso
di Dogna Anna di Granata
giunt'era tutt'afflitto il giorno
stesso
che un genovese gli l'avea rubata.
Gli ne fu dato a
Parma indizio espresso
che l'avrebbe a Bomporto ritrovata;
ma
quivi giunto ne perdé i vestigi,
e bestemmiò
sessanta frati bigi.
25
Entrò ne l'osteria per rinfrescarsi
e
ritrovò che Bagarotto a sorte
raccogliea quivi i suoi
soldati sparsi,
e d'armi intorno cinte eran le porte.
Corsero
l'uno e l'altro ad abbracciarsi,
ch'erano stati amici a la gran
Corte,
e l'uno e l'altro le speranze grame
avean lasciate a i
morti de la fame.
26
Narrò Claretto del suo nuovo ardore
la
lunga scena e l'intricati effetti;
con quanti scherni in varie
forme Amore
già tutti i suoi rivali avea negletti;
e
com'or ei perdea per piú dolore
la donna sua nel colmo de'
diletti.
Sorrise Bagarotto e disse: - Frate,
tu sciorini ogni
dí nuove scappate.
27
Vieni meco a la guerra, e lascia
andare
cotesti amori tuoi da scioperato:
la fama non s'acquista
a vagheggiare
un viso di bertuccia immascherato. -
Claretto non
istette a replicare,
ché gli venne desio d'esser
soldato;
prese una picca e si scordò di bere:
ma
ricordiamci noi de l'altre schiere.
28
Cittanova spiegâr, Fredo e
Cognento,
Piramo e Tisbe morti a piè del moro:
esser
potean costor da quattrocento,
e 'l furiero Manzol fu il duca
loro,
giovane d'alto e nobile talento,
a cui cedean l'Agilità
e 'l Decoro
nel ballar la nizzarda e la canaria
e nel tagliar
le capriole in aria.
29
Quasi a un tempo arrivar da un altro
lato
Villavara, Albareto e Navicelli;
eran trecento e
conduceagli al prato
il fiero zoppo d'Ugolin Novelli:
dipinto
ha ne l'insegna un ciel turbato
che piove sovra un campo di
baccelli.
Indi venían tra lor correndo a gara
quei del
Corleto e quei di Bazzovara:
30
Corleto emulator di Grevalcore
ch'Augusto
nominò dal cor giocondo
quel dí che fu d'Antonio
vincitore,
onde poscia con lui divise il mondo;
e Bazzovara or
campo di sudore
che fu d'armi e d'amor campo fecondo,
là
dove il Labadin persona accorta
fe' il beverone a la sua vacca
morta.
31
Eran guidati dal dottor Masello,
ch'avea
lasciato i libri a la ventura,
e s'era armato che parea un
Marcello,
con la giubba a l'antica e l'armatura:
portava per
impresa un ravanello
con la sementa d'or grande e matura;
e
dietro a lui venían quei di Rubiera
e di Marzaglia armati
in una schiera.
32
Bertoldo Grillenzon li conducea,
gran
giucator di spada e lottatore;
ne la bandiera un materasso
avea
che sdrucito spargea la lana fuore.
Questa schiera de
l'altra esser potea
se non uguale, almen poco maggiore;
giugneano
a punto al numero di mille
gli armati abitator di quattro ville.
33
Galvan Castaldi e Franceschin Murano
l'insegne
di Porcile e del Montale
e le di Cadiana e di Mugnano
uniro a
l'Osteria de le due scale.
Trecento con le ronche avea
Galvano;
l'altro di picche avea numero eguale:
l'impresa di
Galvano è una stadera;
Franceschino ha una gazza bianca e
nera.
34
Ecco Alberto Boschetti in sella armato,
conte
di San Cesario e di Bazzano;
ch'avendo poco pria quindi
cacciato
il presidio nemico e 'l capitano,
s'era fatto signor
di quello stato
col valor de la fronte e de la mano;
ed or di
questi e d'altri suoi vassalli
per forza armati avea cento
cavalli.
35
Pomposo viene e ne lo scudo porta
a onor di
san Lorenzo una gradella:
la lancia in mano e al fianco avea la
storta
tutta la schiera sua leggiadra e bella.
Una volpe che fa
la gatta morta
spiegano Collegara e Corticella
che Bernardo
Calori avea condotte,
trecento o poco piú tagliaricotte.
36
Due figli avea Rangon d'alto valore,
Gherardo
il forte e Giacopin l'astuto;
Gherardo che d'etade era il
maggiore
e 'n piú sublime grado era venuto,
de le genti
paterne avea l'onore
e 'l governo al fratel quivi ceduto;
ond'egli
se 'n venía portando altero
una conchiglia d'or sovra il
cimiero.
37
Spilimberto, Vignola e Savignano,
Castelnovo
e Campiglio in assemblea,
Ceiano e Guia, Montorsolo e Marano,
con
quei di Malatigna armati avea.
Cento a caval con le zagaglie in
mano
e mille fanti arcieri ei conducea,
ch'avean con agli e
porri e cipollette
avvelenati i ferri a le saette.
37
Mentre questi giugnean dal destro lato,
già
dal sinistro in campo era venuto
di Prendiparte Pichi il figlio
armato
col fior de la Mirandola in aiuto:
fu Galeotto il
giovane nomato
per tutta Italia allor noto e temuto;
e cento
cavalier carchi di maglia
sotto l'impresa avea d'una tenaglia.
39
Campogaiano poscia e San Martino
mandaron
cinquecento a la pedestre,
ch'aveano per insegna un saracino
e
armati eran di ronche e di balestre:
Mauro Ruberti ne tenea il
domíno
sovrastante maggior de le minestre;
vo' dir che
de le bocche avea la taglia
e dovea compartir la vittovaglia.
40
Zaccaria Tosabecchi allor reggea
di Carpi
il freno, uom vecchio e podagroso
a cui l'età il vigor
scemato avea
ma non lo spirto altero e bellicoso.
Una figlia al
morir gli succedea
che 'l conte di Solera avea per sposo,
zerbin
de la contrada e falimbello,
di Manfredi cugin, detto Leonello.
41
Venne al vecchio desío d'esser quel
giorno
in campo, e armò pedoni e cavalieri,
e una
lettiga fe' senza soggiorno
che portavano a man quattro
staffieri:
laminata di ferro era d'intorno,
e si potea assettar
su due destrieri;
una tal poscia forte a maraviglia
ne fece il
Contestabil di Castiglia;
42
e in Borgogna l'usò contra i
moschetti
del bellicoso re de' fieri Galli.
Zaccaria venne con
ducento eletti,
parte asini col fren, parte cavalli,
ma i
pedoni a tardar furon costretti
ché 'l conte, che dovea
tutti guidalli,
lasciò il suocero andar per la piú
corta
e restò con la sposa a far la torta.
43
Zaccaria, che si vide abbandonato
dal
genero, partí subito i fanti,
e quattrocento al cavalier
Brusato
e a Guido Coccapan dienne altrettanti.
Il Cavalier un
elefante alato
ha nell'insegna: e Guido ha due giganti
che
giocano a le noci: il vecchio ha un gatto
che insidia un topo e
stassi quatto quatto.
44
Quelli poi di Formigine e Fiorano,
dove
nascono fichi in copia grande,
sono trecento, e Uberto
Petrezzano
gli guida, e ne l'insegna un orco spande.
Baiamonte
con lui di Livizzano
quasi a un tempo arrivò con le sue
bande,
ducento fur con partigiane in spalla;
e la bandiera
avean turchina e gialla.
45
Appresso d'Uguccion di Castelvetro
l'insegna
apparve ch'era un cardo bianco.
Trecento balestrier le tenean
dietro
ch'avean bolzoni e mazzafrustri al fianco.
Da Gorzan,
Maranello e da Ceretro
de' famosi Grisolfi il buon
Lanfranco
tratti avea cinquecento in una schiera,
e portava un
frullon ne la bandiera;
46
onde la Crusca poi gli mosse lite
che fu
rimessa al tribunal romano.
Con l'impresa d'un pero e d'una
vite
Stefano e Ghin de' conti di Fogliano
avean con l'armi
foglianese unite
quelle di Montezibio e di Varano,
ch'eran
ducento ottanta martorelli,
unti e bisunti che parean porcelli.
47
Ma dove lascio di Sassol la gente
che suol
de l'uve far nettare a Giove,
là dove è il dí
piú bello e piú lucente,
là dove il ciel
tutte le grazie piove?
quella terra d'amor, di gloria
ardente,
madre di ciò ch'è piú pregiato
altrove,
mandò cento cavalli, e intorno a mille
fanti
raccolti da sue amene ville.
48
Roldano de la Rosa è il duca loro
ch'un
tempo guerreggiando in Palestina
contra 'l campo d'Egitto e contra
'l Moro
fe' del sangue pagan strage e ruina;
sparsa di rose e
di fiammelle d'oro
avea l'insegna azzurra e purpurina;
e dietro
a lui venía poco lontano
Folco Cesio signor di Pompeiano;
49
Pompeiano ove suol l'aura amorosa
struggere
il giel di que' nevosi monti;
Gommola e Palaveggio a la
famosa
donna del seggio lor chinan le fronti.
Sotto l'insegna
avea d'una spinosa
Folco raccolti de' piú arditi e
pronti
trecento, che su zoccoli ferrati
se ne venían di
chiaverine armati.
50
E quel ch'era mirabile a vedere,
cinquanta
donne lor con gli archi in mano
avezze al bosco a saettar le
fiere,
e a colpir da vicino e da lontano,
succinte in gonna e
faretrate arciere,
calavano con lor dal monte al piano;
e la
chioma bizarra e ad arte incolta
ondeggiando su 'l tergo iva
disciolta.
51
Bruno di Cervarola avea il domíno
di
quella terra e del vicin paese
di Moran, del Pigneto e di
Saltino;
uom vago di litigi e di contese.
Con ducento suoi
sgherri entrò in cammino
subito che de l'armi il suono
intese;
e perch'era un cervel fatto a capriccio,
portava per
impresa un pagliariccio.
52
Di Bianca Pagliarola innamorato
fatte avea
già per lei prove diverse;
e a lei che gli arse il cor duro
e gelato
sempre di sue vittorie il premio offerse:
or additando
il suo pensier celato
un pagliariccio in campo bianco
aperse,
ch'in mezzo un telo avea fatto di maglia
e mostrava nel
cor la bianca paglia.
53
Appresso gli venía Mombarranzone
col
suo signor Ranier, che di Pregnano
reggea la nuova gente e 'l
gonfalone
che mandato gli avea Castellarano;
cinquanta con le
natiche in arcione,
e quattrocento gían battendo il
piano
con le scarpe sdrucite e senza suola;
la loro insegna è
un bufalo che vola.
54
Brandola, Ligurciano e Moncereto
conduceva
Scardin Capodibue,
ch'un diavolo stizzato in un canneto
dipinto
avea ne le bandiere sue.
Col cimiero di lauro e mirto e aneto
il
signor di Pazzan dietro gli fue,
che pretendea gran vena in
poesia,
né il meschin s'accorgea ch'era pazzia.
55
Alessio era il suo nome, e 'n sesta
rima
composto avea l'amor di Drusiana ;
nel resto fu baron di
molta stima,
e seco avea Farneda e Montagnana.
Questa gente
contata con la prima,
non era da giostrare a la quintana:
eran
da cinquecento ferraguti
di rampiconi armati e pali acuti.
56
Di Veriga e Bison l'insegna al vento,
ch'era
in campo azzurrino un sanguinaccio,
spiega Pancin Grassetti, e
quattrocento
fanti conduce a suon di campanaccio:
ma piú
di questi ne mandaron cento
Montombraro, Festato e 'l
Gainaccio,
con l'impresa d'un asino su un pero,
e Artimedor
Masetti è il condottiero.
57
Taddeo Sertorio, di Castel d'Aiano
conte e
fratel di Monaca la bella,
conducea Montetortore e Misano,
dove
fu la gran fuga, e la Rosella,
con archi e spiedi porcherecci in
mano,
spiegando in campo bianco una padella;
trecento fur che
quelle vie ronchiose
con le piante premean dure e callose.
58
Seguiva di Monforte e di
Montese,
Montespecchio e Trentin poscia l'insegna:
Gualtier
figliuol di Paganel Cortese
l'avea dipinta d'una porca pregna;
fur
quattrocento, e parte al tergo appese
accette avean da far nel
bosco legna,
parte forconi in spalla, e parte mazze
e pelli
d'orsi in cambio di corazze.
59
Il conte di Miceno era un signore
fratel
del Potta a Modana venuto,
dove invaghí sí ognun del
suo valore
che a viva forza poi fu ritenuto:
non avea la
milizia uom di piú core,
né piú bravo di lui
né piú temuto:
corseggiò un tempo il mar,
poscia fu duce
in Francia: e nominato era Voluce.
60
Gli donò la città per
ritenerlo
Miceno, Monfestin, Salto e Trignano,
e Ranocchio e
Lavacchio e Montemerlo,
Sassomolato, Riva e Disenzano:
un san
Giorgio parea proprio a vederlo,
armato a piè con una picca
in mano;
con ottocento fanti al campo venne
con armi bianche e
un gran cimier di penne.
61
Panfilo Sassi e Niccolò Adelardi
co'
Frignanesi lor seguiro appresso,
di concerto spiegando i due
stendardi
di Sestola e Fanano a un tempo stesso;
l'uno ha tre
monti in aria e 'l motto tardi ,
l'altro nel mar dipinto un
arcipresso,
con l'uno è Sassorosso, Olina e
Acquaro;
Roccascaglia con l'altro e Castellaro.
62
Eran mille fra tutti. E dopo loro
venía
una gente indomita e silvestra;
San Pellegrino, e giú fino
a Pianoro
tutto il girar di quella parte alpestra
dove sparge
il Dragone arena d'oro
a sinistra, e 'l Panaro ha il fonte a
destra,
Redonelato e Pelago e la Pieve
e Sant'Andrea che padre
è de la neve;
63
Fiumalbo e Bucasol terre del vento,
Magrignan,
Montecreto e Cestellino;
esser potean da mille e
quatrocento
gl'inculti abitator de l'Apennino:
Apennin ch'alza
sí la fronte e 'l mento
a vagheggiare il ciel quindi
vicino,
che le selve del crin nevose e folte
servon di scopa a
le stellate volte.
64
Tutti a piedi venían con gli
stivali,
armati di balestre a martinelle
che facevano colpi
aspri e mortali
e passavano i giacchi e le rotelle:
pelliccioni
di lupi e di cinghiali
eran le vesti lor pompose e belle;
spadacce
al fianco aveano e stocchi antichi,
e cappelline in testa e
pappafichi.
65
Ma chi fu il duce de l'alpina schiera?
Fu
Ramberto Balugola il feroce
che portava un fanciul ne la
bandiera
che faceva a un Giudeo baciar la croce.
Con armatura
rugginosa e nera
e piume in testa di color di noce
venía
superbo a passi lunghi e tardi,
con una scure in collo e in man
tre dardi.
66
Da Ronchi lo seguía poco
lontano
Morovico signor di quella terra:
Palagano e Moccogno e
Castrignano
guidava, e quei di Santa Giulia in guerra.
Da
quattrocento con spuntoni in mano
co' piedi lor calcavano la
terra
dietro a l'insegna d'una barca a vela,
e cantando venían
la fa-li-le-la .
67
Un giovinetto di superbo core
che di sua
fresca etade in su 'l mattino
non avea ancor segnato il primo
fiore
del primo pel, nomato Valentino,
avea dipinto
addormentato Amore,
e Medola reggea, Montefiorino,
Mursian,
Rubbian, Massa e Povello,
Vedriola e de l'Oche il gran castello.
68
Di giavellotti armati e gianettoni,
di
panciere e di targhe eran costoro,
con martingale e certi lor
saioni
che chiamavano i sassi a concistoro.
Sotto le scarpe
avean tanti tacconi,
che parea il campo d'Agramante moro
che in
zoccoli marciasse a lume spento;
e non erano piú che
cinquecento.
69
Poiché la fanteria de la montagna
fu
veduta passar di schiera in schiera,
il Potta fece anch'egli a la
campagna
uscir la gente sua ch'armata s'era.
E già
quella di Parma e d'Alemagna
e di Cremona giunta era la sera
da
la parte del Po, per la fatica
che da Reggio temea, città
nemica.
70
In Garfagnana intanto avea intimato
a'
cinque capitan de le bandiere
che non uscisser pria di quello
stato
che vi giungesse il Re con le sue schiere:
però
ch'anch'ei da Lucca avea mandato
a fare in fretta a la città
sapere
ch'ei venía quindi, e domandava gente
da potersi
condur sicuramente.
71
E 'l giorno che seguí, posto in
cammino
per la diritta via di Gallicano,
tra le coste passò
de l'Apennino
e discese al Padul giú dal Frignano;
era
con lui Vetidio Carandino
con la bandiera di Camporeggiano,
dove
egli avea dipinta una civetta
che portava nel becco una scopetta.
72
Quella di Castelnovo, ov'era un Santo
con
le man giunte lavorato a scacchi,
seguía per retroguardia
indietro alquanto
sotto la guida di Simon Bertacchi.
Quivi
l'arredo regio è tutto quanto,
quivi veníeno i
servitori stracchi
e quei che 'l vin di Lucca avea arrestati,
per
some in su le some addormentati.
73
Ma le due di Soraggio e di Sillano
da Otton
Campora l'una era guidata,
l'altra da Jaconia di Ponzio
Urbano,
che porta una fascina incoronata.
La stella mattutina
il Camporano
con una cuffia rossa ha figurata:
E queste quattro
avean sei volte mille
fanti raccolti da sessanta ville.
74
Ma trecento cavalli avea la quinta
guidata
da Pandolfo Bellincino,
ove in campo dorato era dipinta
la
figura gentil d'un babuino.
I cavalieri avean la spada
cinta,
attaccato a l'arcione un balestrino,
lo scudo in braccio
e in mano una zagaglia;
e gíano a destra man de la
battaglia.
75
Però che quindi anch'essi i
Fiorentini
armatisi in favor de' Bolognesi
costeggiando venían
cosí vicini
che poteano i men cauti esser offesi.
Il Re
seimila fanti ghibellini,
sardi, pisani, liguri e lucchesi
e
due mila cavalli avea con lui,
svevi e tedeschi e parteggiani sui.
76
Intanto il Potta le sue genti avea
divise
in terzo, e 'l buon Manfredi avanti
con due mila cavalli in
assemblea
se 'n giva, e dopo lui veníano i fanti.
Eran
dodicimila e gli reggea
Gherardo, che ne gli atti e ne'
sembianti
parea un volpon che conducesse i figli
a dar
l'assalto a un branco di conigli.
77
La terza schiera fu di poche genti,
ma
piena d'ogni machina murale
e di que' piú terribili
instrumenti
che gli antichi trovâr per far del
male.
L'architetto maggior de' ferramenti
Pasquin Ferrari, gran
zucca da sale,
la conducea con mille balestrieri
e cento carri
e ventidue ingegneri.
78
Non si fermò ne l'arrivare al ponte
il
Potta, ma passò di là da l'onda,
e dietro a lui
tutte le schiere conte
si condussero in fretta a l'altra
sponda:
quivi secento a piè con l'armi pronte
trovar, da
la fruttifera e feconda
Nonantola venuti, e dal vicino
contado
di Stuffione e Ravarino.
79
Gli conducean due cavalier novelli
con armi
e piume di color di gigli,
Beltrando e Gherardino, i due
gemelli
che de la bella Molza erano figli.
Era l'impresa lor
due fegatelli
con la veste a quartier bianchi e vermigli,
le
tramezze di lauro e le frontiere:
e queste ultime fur di tante
schiere.
CANTO QUARTO
ARGOMENTO
Mentre dal Potta Castelfranco è stretto,
Rubiera
assalta il popolo reggiano.
Parte dal campo a quell'impresa
eletto
Gherardo, e se ne va notturno e piano.
Muove assalto a
la terra, onde costretto
da la fame si parte il capitano.
Cadono
i valorosi; e gli altri a patto
fan de la vita lor vile
riscatto.
1
Poiché fu sorto in su la destra riva,
si
fermò il campo e s'ordinâr le schiere;
ne gli
usberghi lucenti il sol feriva
e ne traeva fuor lampi e
lumiere:
un venticel che di ponente usciva
facea ondeggiar le
piume e le bandiere:
e per le rive intorno e per le
valli
romoreggiava il ciel d'armi e cavalli.
2
Il Potta, ch'era un uom molto eloquente
e
solito a salir spesso in ringhiera,
montato sopra un argine
eminente
che divideva i campi e la riviera,
cinto di capitani e
nobil gente,
co 'l capo disarmato e la montiera,
cosí
parlava al popolo feroce
con magnanimi gesti e altera voce:
3
- O vero seme del valor latino,
ben aveste
l'altrier da Federico
un privilegio in foglio pecorino,
che vi
ridona il territorio antico
che terminava già sopra 'l
Lavino:
ma il donativo suo non vale un fico,
se con quest'armi
che portiamo a canto
non ne pigliamo noi possesso in tanto.
4
Sol Castelfranco ne può far
inciampo,
ché rinforzato è di presidio grosso;
ma
non avrà da noi riparo o scampo,
se con tant'armi gli
giugniamo addosso:
quivi noi fermeremo il nostro campo
contra
'l nemico che non s'è ancor mosso;
e potremo goder sicuri e
lieti
de' beni altrui, finché fortuna il vieti.
5
Tutte nostre saran senza sospetti
queste
ricche campagne e questi armenti;
la salciccia, i capponi e i
tortelletti
da casa ci verran cotti e bollenti,
e dormiremo in
quegli stessi letti
dove ora dormon le nemiche genti:
il Re
giungerà in campo innanzi sera,
ché già scesa
dal monte è la sua schiera.
6
Ma che piú vi trattengo o forti?
Andiamo
a trar di bizzaria questi capocchi,
leviamgli
Castelfranco; e poi vediamo
ciò che faran con quel fuscel
ne gli occhi,
ricco di preda è quel castel, io
bramo
ch'ognun ne goda, a ciaschedun ne tocchi;
io per me certo
non ne vo' un quattrino,
e dono la mia parte al piú
meschino. -
7
Cosí dicendo il fiero campo mosse
con
tanta fretta a la segnata impresa,
che l'inimico a pena a tempo
armosse,
per correr de le mura a la difesa.
Subito intorno fur
cinte le fosse,
e adattate le macchine da offesa:
al primo
colpo d'un trabucco vasto
fu arrandellato un asino col basto.
8
La machina mural da sé rimove
con
impeto sí fier quella bestiaccia,
che la solleva in aria, e
in piazza dove
piú turba avea dentro il castel la
caccia.
Trasecolaron quelle genti nove
tutte, e l'un l'altro si
miraro in faccia
con le guance di neve e 'l cor di gelo,
ch'un
asino cader vider dal cielo.
9
Era con molti armati in quel presidio
un
capitan di poca matematica
di Casa Bonason, detto
Nasidio
perch'avea un naso contro la prammatica:
questi temendo
un general eccidio,
subito co' Potteschi attaccò
pratica
d'uscir di quel castel con la sua gente
se non avea
soccorso il dí seguente.
10
Fermato il patto, il Re giunse la sera
con
trombe e fuochi e segni d'allegrezza;
ma il dí seguente una
novella fiera
converse tutto il dolce in amarezza:
venne
correndo un messo da Rubiera
ch'aiuto richiedea con gran
prestezza
contra il popol reggian, ch'a quella terra
mossa la
notte avea improvisa guerra.
11
Il popolo reggian col modanese
professava
odio antico e nemicizia,
e avea contra di lui col bolognese
piú
volte unita già la sua milizia;
ora, dissimulando il tempo
attese,
e per mostrar la solita nequizia,
passato che fu il Re,
spinse a' suoi danni
seimila fra soldati e saccomanni.
12
Il Re tosto chiamar fece a consiglio
tutti
gli eroi de la città del Potta;
e poi ch'ebbe narrato il
gran periglio
ove quella fortezza era ridotta,
rivolse a destra
mano il nobil ciglio,
dove sedea l'onor di casa Scotta:
ed ei,
poiché fu sorto e si compose
la barba con la man, sputò
e rispose:
13
- A voi, signor, come piú degno,
tocca
sceglier fra questi un capitano in fretta,
che vada a
liberar l'oppressa rocca
e a far su quegli audaci aspra vendetta.
-
Volea piú dir, ma no 'l lasciò la bocca
aprir,
che si levò da la panchetta
e saltò in mezzo il
conte di Culagna
dicendo: - V'andrò io, chi m'accompagna? -
14
Maravigliando il Re si volse e disse:
- Chi
è costui sí ardito e baldanzoso? -
Il Potta si
guardò ch'ei no 'l sentisse,
e disse: - Questi è un
matto glorioso. -
Il Re, che avea disio che si spedisse
a
quella impresa un capitan famoso,
rimise quella eletta al Potta
stesso
che conosceva ognun meglio da presso.
15
Il Potta, che sapea che i Parmegiani
eran
nemici a la tedescheria,
e ch'era un accoppiar co' gatti i cani
se
gli uni e gli altri insieme a un tempo unía;
disegnò
di mandar contra i Reggiani
gli aiuti che da Parma in campo
avía
Giberto da Correggio allor guidati,
tremila a piedi
e mille in sella armati.
16
Ma il carico sovran diede a Gherardo
con
cinquemila fanti e quella schiera
ch'avea Bertoldo sotto il suo
stendardo
condotta da Marzaglia e da Rubiera.
Ripassò il
ponte il cavalier gagliardo;
ma non giunse a Marzaglia innanzi
sera,
quivi ebbe nuova de la terra presa,
ma che la rocca ancor
facea difesa.
17
Stettero in dubbio i cavalier del Potta
se
passavano allor quella riviera,
o s'attendean che fulminata e
rotta
fosse dal novo sol l'aria già nera.
Ed ecco
apparve lor su 'l fiume allotta
Marte, che presa la sembianza
fiera
di Scalandrone da Bismanta avea,
bandito e capitan di
gente rea;
18
e inalzando una face in su la sponda
che 'l
varco indi vicin tutto scopriva,
fe' sí che tragittò
di là da l'onda
subito il campo a la sinistra riva.
Spirava
il vento e dibattea la fronda
sí ch'a fatica il calpestio
s'udiva.
A i capitani allor Marte feroce
volgea lo sguardo e la
terribil voce;
19
e dicea lor: - Venite meco, o forti,
ché
gl'inimici or vi do vinti e presi,
mentre che ne la terra i male
accorti
son quasi tutti a depredar intesi,
aspettando che 'l
messo annunzio porti
che si sian quelli de la rocca resi,
dove
a l'assedio in su la fossa armato
Foresto Fontanella hanno
lasciato.
20
Io la perfidia lor patir non posso,
e vengo
a vendicarla ora con voi;
se lor giugniamo a l'improviso
addosso,
che potran far, se fosser tutti eroi?
Gira, Gherardo,
tu a sinistra il fosso,
e chiudi il passo co' soldati tuoi,
ch'io
Giberto e Bertoldo a piè del ponte
condurrò cheti a
l'inimico a fronte. -
21
Cosí parlava, e Scalandrone il
fiero
creduto fu da ognun ch'era presente.
Gherardo a manca man
tenne il sentiero,
Giberto a destra al lato di ponente,
e su
gli elmi inalzar fe' per cimiero
un segno bianco a tutta la sua
gente,
ché già la squadra udia del Fontanella
cantar
non lungi la Rossina bella .
22
Passavan cheti e taciturni avanti
senza
ronde scontrar né sentinelle,
quando cessaro a l'improviso
i canti
e i gridi e gli urli andar fino a le stelle;
i cavalli
lasciaro addietro i fanti
allora, e Marte accese due facelle,
e
illuminò cosí l'aer d'intorno
che parve senza sol
nascere il giorno.
23
Foresto, che venir sopra si vede
gli
stendardi di Parma e di Rubiera,
si lascia dietro anch'ei la gente
a piede;
e passa armato innanzi a la sua schiera.
Marte rimira
e Scalandrone il crede,
sprona il cavallo e abbassa la visiera;
e
'l coglie a punto al mezo de la pancia,
ma non sente piegar né
urtar la lancia.
24
Marte a l'incontro al trapassar percosse
in
guisa lui d'un colpo sopramano
che gli abbruciò la barba e
'l viso cosse,
e non parve mai piú fedel cristiano:
ei
se la bebbe, e subito scontrosse
con Bertoldo, ch'avea disteso al
piano
col braghiero in due pezzi Anselmo Arlotto,
grande
alchimista e in medicina dotto.
25
Ruppero l'aste a quell'incontro fiero,
e
con le spade incominciâr la guerra.
L'animoso Foresto avea
un destriero
che non trovava paragone in terra,
generoso di
cor, pronto e leggero;
e se un'antica cronica non erra,
fu de
la razza di quel buon Frontino,
fatto immortal da Monsignor
Turpino.
26
Bertoldo avea piú forza e piú
fierezza,
ed era di statura assai maggiore:
Foresto avea piú
grazia e piú destrezza,
picciolo il corpo e grand'era 'l
valore.
Ma l'uno e l'altro fa di sua prodezza
mostra al nemico
e di suo eccelso core;
e la terra è già tinta e
inorridita
di sangue e di bragiole e maglia trita.
27
Giberto intanto avea rotta la lancia
nel
ventre a Gambatorta Scarlattino,
e col troncon fatta crepar la
pancia
d'un fiero colpo a Stevanel Rossino;
quando tolse una
scure a Testarancia
figliuol di Filippon da San Donnino,
e con
essa a due man fe' tal ruina,
che tolse il vanto a quei de la
tonnina.
28
Uccise Braghetton da Bibianello
ch'un tempo
a Roma fece il cortigiano;
e 'l nome v'intagliò co lo
scarpello
sotto Montecavallo a manca mano;
avea la pancia come
un carratello
e avría bevuta la città d'Albano,
né
mai chiedeva a Dio nel suo pregare,
se non che convertisse in vino
il mare.
29
Gli divise la pancia il colpo fiero
e una
borrachia ch'a l'arcione avea:
cadeano il sangue e 'l vin sopra 'l
sentiero,
e 'l misero del vin piú si dolea.
l'alma
ch'usciva fuor col sangue nero
al vapor di quel vin si ritraea:
e
lieta abbandonava il corpo grasso,
credendo andar fra le delizie a
spasso.
30
Uccise dopo questi Alceo
d'Ormondo
protonotario e camerier d'onore
ne la corte papal,
capo del mondo
e di piú cavalier conte e dottore;
e 'l
miser Baccarin da San Secondo
che de le pappardelle era
inventore
morto lasciò con gli altri male accorti
sotto
Rubiera ad ingrassar quegli orti.
31
Prospero d'Albinea, Feltrin Casola,
Marco
Denaglia, Brun da Mozzatella,
Berto da Rondinara, Andrea
Scaiola,
Stefano Zobli, Gian da Torricella,
Guglielmo da la
Latta e Pier Mazzola
dal feroce guerrier tratti di sella,
con
Ugo Brama e Gian Matteo Scaruffa
tutti rimaser morti in quella
zuffa.
32
A i colpi de la forza di Giberto
gira gli
occhi Foresto; e i suoi soldati
vede da la battaglia al campo
aperto
fuggir chi qua chi là tutti sbandati:
e temendo
restar quivi diserto,
ché cinto si vedea da tutti i
lati,
volge a Bertoldo ed una punta abbassa,
e gli uccide il
cavallo e 'n terra il lassa:
33
e dove i suoi fuggían da la
battaglia
spronando quel destrier che sembra un vento:
-
Dunque, gridava lor, brutta canaglia,
questo è il vostro
valore e l'ardimento?
Se non avete tanto cor che vaglia
a
sprezzar de la morte ogni spavento
sí che vogliate
abbandonar la guerra,
ritiratevi almen dentro la terra. -
34
Cosí disse, e correndo in ver la
porta
donde il soccorso omai gli parea tardo,
piena la via
trovò di gente morta,
ch'ivi già penetrato era
Gherardo.
Allor frenando l'impeto che 'l porta,
s'arresta
alquanto il giovane gagliardo,
pensando se dovea quindi
fuggire
tra l'ombre de la notte o pur morire.
35
Spiccasi al fine, e là dove difende
il
nemico l'uscita, entrar procaccia:
la testa a Furio da la Coccia
fende
e nel ventre a Vivian la spada caccia:
il primo avea il
cervel fuor di calende
e l'altro era un fanton lungo sei
braccia,
l'un nemicizia avea col sol d'agosto
e l'altro
rincaría le calde arrosto.
36
Ferí dopo costor, con vario evento,
due
Gemignani, l'Erri e 'l Baciliero:
ne l'umbilico l'un subito
spento
cadè, tocco d'un colpo assai leggiero:
l'altro,
ch'un'ernia avea piena di vento
né potea camminar senza 'l
braghiero,
ferito d'una punta in quella parte,
esalò il
vento e si sanò contr'arte.
37
Giunto alfin dove l'ultima bandiera
Forcierolo
Alberghetti avea fermata,
come che cinta sia di gente fiera
la
sforza, e quindi a' suoi trova l'entrata;
né s'accorge che
lascia la sua schiera
tra i nemici rinchiusa e abbandonata.
In
tanto il conte avea di San Donnino
sentito il fiero suon del
mattutino.
38
Questi era de' Reggiani il generale,
grande
di Febo e di Bellona amico,
e stava componendo un
madrigale
quand'arrivò l'esercito nemico.
Reggio non
ebbe mai suggetto eguale
o nel tempo moderno o ne l'antico,
né
di lui piú stimato in pace e 'n guerra;
ed era consiglier
di Salinguerra.
39
Di Salinguerra il poderoso dico
che tenne
già Ferrara e Francolino,
fin che fu poi dal Papa suo
nemico
sospinto fuor del nobile domíno,
e tornò a
ripigliar lo scettro antico
il seme del superbo Aldobrandino:
Si
trova in somma scritto in varie carte,
che 'l conte era grand'uomo
in ogni parte.
40
Tosto ch'ode il romor, chiede da bere
a
Livio suo scudiero e l'armi chiede;
e beve in fretta, e poi volge
il bicchiere
sopra la sottocoppa in su col piede:
s'adatta i
braccialetti e le gambiere;
s'affaccia a la finestra; e guarda e
vede
a quel romor, senza notizia averne,
saltar di casa ognun
con le lanterne.
41
Già avea l'usbergo, e subito
s'allaccia
l'elmo con piume candide di struzzo;
cigne la spada
e 'l forte scudo imbraccia,
e monta sopra un nobile andaluzzo.
Gli
portava dinanzi una rondaccia
e una balestra il sordo
Malaguzzo,
era stizzato e gli sapeva male
di non aver finito il
madrigale.
42
Giunto a la porta e udito il gran
fracasso
montò subitamente in su le mura,
e mirò
intorno e vide giú nel basso
d'armi coperto il ponte e la
pianura,
vide i nemici aver serrato il passo
e de' soldati suoi
l'aspra ventura,
onde pieno d'angoscia e di dispetto
sospirò
forte e si percosse il petto.
43
E quivi a canto a lui fatti passare
due
mila balestrier ch'in campo avea,
cominciò l'inimico a
saettare
che cacciarlo di luogo ei si credea.
Come suol
rifuggir l'onda e tornare
fremendo nel furor de la marea,
cosí
fremea ondeggiando e i forti scudi
opponea l'inimico a i colpi
crudi.
44
Ma non partiva e non mutava loco:
e 'n
tanto l'alba uscía de l'oriente,
le cui guancie di rose al
sol di foco
mirando il ciel ne divenia lucente.
Gherardo
rinfrescò la gente un poco
mutandola a' quartieri, e al dí
nascente
dal fosso a basso e da la rocca d'alto
diede principio
a un furibondo assalto.
45
De la rocca Bertoldo ebbe l'assunto;
Giberto
a manca man, Gherardo a destra.
Vedesi il conte a mal partito
giunto,
ch'eran finiti il pane e la minestra:
pur mise
anch'egli i suoi soldati in punto,
e Bertoldo dicea da una
finestra:
- Ah! Reggianelli, gente da dozzina,
l'unghie vi
resteran ne la rapina. -
46
Dove la rocca giú nel pian scendea,
de
la piazza era il conte a la difesa:
e sbarrato di travi il passo
avea,
facendo quivi i suoi nobil contesa.
Gherardo a destra man
forte stringea,
Giberto facea machine da offesa,
mangani e
scale, e empía con sorda guerra
la fossa in tanto di
fascine e terra.
47
Durò il crudele assalto infino a
nona,
sin che stancârsi e intiepidiron l'ire.
Il saggio
conte i suoi non abbandona;
ma non avea che dargli a digerire.
Ne
la rocca serrata avean l'annona
i terrazzani al primo suo
apparire,
e tanti denti in su l'entrar di botto
distrusser ciò
che v'era e crudo e cotto.
48
Cerca di qua, cerca di là, né
trova
cosa da farvi un minimo disegno:
sbadiglian tutti e fan
crocette a prova,
e l'appetito lor cresce lo sdegno.
Fatta
avean quivi una chiesetta nova
certi frati di quei dal piè
di legno:
il conte al guardian chiese rimedio
per liberarsi dal
crudele assedio.
49
Cominciò il frate a dir che Dio
adirato
volea il popol reggiano or gastigare:
il conte ch'era
mezzo disperato
- Padre, dicea, non stato a predicare,
ma
cercate rimedio al nostre stato,
ch'è notte e non abbiam di
che cenare:
fateci uscir di queste mura in pace,
e predicate
poi quanto vi piace. -
50
Il frate uscí a trattar subito fuora,
e
ritornò con l'ultima risposta:
che se i Reggiani andar
voleano allora,
lasciasser l'armi e andassero a lor posta.
Alcuni
non volean piú far dimora,
ma gli altri si ridean de la
proposta,
e dicean che con l'armi era da uscire,
o da pugnar
con l'armi o da morire.
51
Onde forzato fu di ritornare
il frate al
campo, e 'l conte a lui converso:
- Padre, dicea, vi voglio
accompagnare,
datemi una gonella da converso. -
Il frate gliene
fece una portare
ricamata di brodo azzurro e perso,
ch'era del
cuoco: e 'l conte se la pose,
e tutto nel capuccio si nascose:
52
e rivoltato a' suoi disse ch'ei giva
a
procurar anch'ei sorte migliore;
ma se 'l nemico altier non
s'ammolliva,
tentato avría di rimaner di fuore;
e che
con nuova gente ei s'offeriva
di tornare in soccorso in fra poche
ore,
pur ch'a lor desse il cor di mantenerse
un giorno ancor ne
le fortune avverse.
53
In suo luogo lasciò Guido Canossa,
e
non prese arme, fuor ch'una squarcina
che nascondea quella
vestaccia grossa,
con un giacco di maglia garzerina.
Ritrovaron
Gherardo in su la fossa,
che facea fabricar per la mattina
contra
la porta una sbarrata grande
che chiudeva per fronte e da le
bande.
54
Quando Gherardo vide il guardiano,
gli
venne incontro; e 'l frate gli dicea,
che troppo duro al popolo
reggiano
il partito proposto esser parea;
ch'egli voleva uscir
con l'armi in mano,
e che nel resto a lui si rimettea.
Gherardo
entrò in furor quand'udí questo
e disse al frate: -
Padre, io vi protesto
55
che vo' far nuovi patti e vo' che lassi
l'armi
e l'insegne e quanto egli ha da guerra,
e ch'in farsetto e sotto
un'asta passi
a l'uscir de la porta de la terra.
Cosí vi
giuro, e non perdete i passi
a tornar, se 'l partito non si
serra;
perché vi aggiugnerò pene piú
gravi,
come son degni i lor eccessi pravi. -
56
Il conte, che tenea l'orecchie
intente
dicendo: - A fé non mi ci coglierai, -
s'incominciò
a scostar segretamente,
fin che si ritrovò lontano
assai.
Pregava il guardian molt'umilmente,
ma non poté
spuntar Gherardo mai:
onde tornò dolente al suo
camino,
senz'altra inchiesta far di fra' Stoppino.
57
Poiché tornò confuso e
sbigottito
da la fiera risposta il guardiano,
e narrò il
tutto e che se n'era gito
il conte e già poteva esser
lontano;
si consultò s'era miglior partito
il ritorno
aspettar del capitano,
o pur co l'armi al ciel notturno e
scuro
tentar d'uscir de l'infelice muro.
58
Tutti lodâr che s'aspettasse il
conte;
ma quando poi s'andò ben calculando
ch'ei non
poteva aver le genti pronte
prima che il nuovo sol fosse ito in
bando,
si torser tutti e rincrespâr la fronte,
dicendo
che volean morir pugnando:
onde Guido d'uscir fatto disegno,
fe'
stare in punto ognun co l'armi a segno.
59
Ma da la rocca diè Bertoldo aviso
a
Gherardo ch'usasse estrema cura,
che mostrava il nemico a
l'improviso
voler co l'armi uscir di quelle mura.
Preparossi
Gherardo; e su l'aviso
fé stare i suoi soldati, e l'aria
scura
rallumò con facelle e pece ardente;
e le sbarre
piantò subitamente.
60
Ed ecco aprir la porta e a un tempo stesso
de
gli affamati il grido e le percosse:
ma ne le sbarre urtar
ch'erano appresso;
e 'l rauco suono e l'impeto
arrestosse:
Gherardo avea per fianco e 'n fronte messo
vari
strumenti di tremende posse:
e a colpi di saette e pietre e
dardi
stese quivi i piú arditi e piú gagliardi.
61
Ed egli armato a piè con una
mazza
corse a le sbarre, e a tanti diè la morte,
che se
non ritraea la turba pazza
in dietro il piede e non chiudea le
porte,
perduta quella notte era la razza
de' soldati da Reggio
in dura sorte.
Fu de' primi a cader Guido Canossa
in preda a i
lucci di quell'empia fossa.
62
Ma l'ardito Foresto urta il destriero,
dove
vede la sbarra esser piú bassa;
e tratto disperato il
brando fiero
contra Gherardo, il fère a un tempo e passa,
e
dovunque al passar drizza il sentiero,
de l'alto suo valor vestigi
lassa;
fin ch'in sicura parte al fine arriva,
e i suoi d'aiuto
e di speranza priva.
63
L'esercito reggian, fatto sicuro
che la
forza adoprar gli valea poco,
e veggendo il nemico in
volt'oscuro
scuoter la porta e domandar del foco,
in fretta
rimandò fuora del muro
il guardian, ch'ebbe a fatica
loco
d'impetrar da Gherardo alcun partito,
ch'era già
inviperato e infellonito.
64
Al fin l'ultimo ottenne, e fu giurato
con
giunta, che chiunque a l'osteria
con modanese alcun fosse
alloggiato
di quello stuol che di Rubiera uscía,
a
trargli per onor fosse ubbligato
scarpe o stivali o s'altro in
piedi avía;
indi fu aperto un picciolo sportello,
d'onde
uscivano i vinti in giubberello.
65
Marte, che la sembianza ancor tenea
di
Scalandron, per onorar la festa,
stando a la picca, ove al passar
dovea
chinar il vinto la superba testa,
dava a ciascun, nel
trapassar che fea
sotto quell'asta, un scappellotto a sesta:
cosí
fino a l'aurora ad uno ad uno
andò passando il popolo
digiuno.
66
Poi che tutti passâr, Marte
disparve
lasciand'ognun di meraviglia muto.
Stupiva il vincitor
che le sue larve
conoscer non avea prima saputo:
stupiva il
vinto, poi che 'l sole apparve
cinto di luce, e che si fu
avveduto
con onta sua che le picchiate ladre
a tutti fatte
avean le teste quadre.
67
Sotto Rubiera si trattenne alquanto
Gherardo,
e riposar le genti feo,
onorando quel dí sacrato al
Santo
Apostolo divin Bartolomeo;
e de le spoglie de' nemici in
tanto
su la riva di Secchia alzò un trofeo,
quando
volgendo il sol dal mezzo giorno
eccoti un messaggier sonando un
corno;
68
e narra ch'attaccata è la battaglia
tra
il Re de' Sardi e le città nemiche,
ch'in campo conducean
tanta canaglia
che non ha tante mosche Apuglia o spiche;
e lo
prega d'aiuto, e che gli caglia
del gran periglio de le schiere
amiche.
Trenta peli di rabbia allor strapposse
Gherardo, e
bestemmiando il campo mosse.
CANTO QUINTO
ARGOMENTO
È preso Castelfranco: e con auspici
poco fausti a
Bologna il Nunzio giunto,
de' Bolognesi e de' paesi amici
vede
marciar l'esercito congiunto,
che 'l dí seguente addosso a
gl'inimici
giunge improviso e di battaglia in punto.
E 'l Potta
anch'ei da l'espugnate mura
tragge e schiera il suo campo a la
pianura.
1
Già il termine prescritto era
passato,
né la piazza Nasidio ancor rendea,
da
contrasegni e lettere avisato
che l'esercito amico uscir dovea.
Il
Potta, che si vide esser gabbato,
ne consultò col Re
vendetta rea:
e l'alba era ancor dubbia e 'l cielo oscuro,
quando
assaltò da cento parti il muro.
2
Rimasero i Tedeschi e i Cremonesi,
che da
Bosio Duara eran guidati,
e la cavalleria de' Modanesi
con loro
insegne a la campagna armati.
Il Potta avea de' suoi gli animi
accesi
con premi utili insieme ed onorati;
promettendo a colui
ch'era di loro
primo a salir, due mila scudi d'oro.
3
Mille n'avea al secondo, e cinquecento
promessi
al terzo: onde correa a salire
e a far di suo valore
esperimento
stimulando ciascun la forza e l'ire.
Ma l'inimico
in cosí gran spavento
si difendea con disperato
ardire,
sicuro omai di non trovar mercede
dopo l'error de la
mancata fede.
4
Pioggia cadea da le merlate mura
di saette e
di pietre aspra e mortale:
ma con sembianza intrepida e
sicura
movea l'assalitor machine e scale.
I mangani al ferir
maggior paura
facean da lunge e irreparabil male,
ché
subito ch'alcun scopriva il busto,
mastro Pasquin te l'imbroccava
giusto.
5
Non credo ch'Archimede a Siracusa
facesse di
costui prove piú leste.
Fra gli altri colpi suoi nota la
Musa,
ch'un certo Bastian da Sant'Oreste,
sbracato, lo schernía
sí come s'usa,
mostrandogli le parti poco oneste:
ed
egli tosto gli aggiustò un quadrello
nel foro a pel de
l'ultimo budello.
6
Rinforzossi tre volte il fiero
assalto
sottentrando a vicenda ordini e schiere;
e giú
nel fosso e su nel muro ad alto
morti infiniti si vedean
cadere;
quando il fiero Ramberto ergendo in alto
una scala, di
man trasse a l'alfiere
l'insegna, e 'n tanto i suoi con le
balestre
disgombravano i merli e le finestre.
7
Sandrin Pedoca e Battistin Panzetta
e Luca
Ponticel gli furo appresso:
fu morto il Ponticel d'una
saetta
ch'uscí di man di Berlinghier dal Gesso;
ma
Ramberto salito in su la vetta
si trovò incontro il
capitano istesso,
ch'armato d'una ronca era venuto
correndo in
quella parte a dare aiuto.
8
Tosto ch'ei può fermar tra' merli il
piede
pianta l'insegna, e oppone il forte scudo
a Nasidio, che
l'urta e che lo fiede
con la ronca a due man d'un colpo
crudo.
L'aspra percossa ogni riparo eccede,
l'armi distrugge, e
lascia il braccio ignudo
e ferito a Ramberto, e 'l cor ripieno
di
furor e di rabbia e di veleno.
9
A Nasidio s'avventa, e con le braccia
pria
ne la gola, indi ne' fianchi il cigne;
Nasidio ratto anch'ei seco
s'abbraccia,
lascia la ronca, e al paragon si strigne:
l'uno di
qua, l'altro di là procaccia
d'atterrare il nemico e lo
sospigne:
gli avviticchia le gambe e lo raggira,
or l'urta a
destra, or a sinistra il tira.
10
Grida Nasidio che 'l guerrier sia preso,
o
quivi in braccio a lui di vita casso;
egli di rabbia e di furore
acceso,
l'alza su 'l petto e tira in dietro il passo,
e su
l'orlo del muro il tien sospeso,
indi si lancia a precipizio a
basso:
Giesú chiama per aria in suo sussidio
il
discendente del famoso Ovidio.
11
Giú ne la fossa in loco assai
profondo
giaceva a piè de l'assalite mura
una gran massa
di pantano immondo
e di fracido stabbio e di bruttura:
quivi
caddero entrambo, e andaro al fondo,
e d'abito mutati e di
figura
tornar senz'altro danno a rivedere
l'almo splendor de le
celesti sfere.
12
E di nuovo correan per azzuffarsi,
come due
verri d'ira e d'odio ardenti
corron ne la belletta ad
affrontarsi
con dispettosi grifi e torti denti:
ma i soldati
potteschi intorno sparsi
furon lor sopra a quel fier atto
intenti,
e da le man del vincitore altero
trasser Nasidio vivo
e prigioniero.
13
Fu condotto Nasidio innanzi al Potta,
che
lo fece castrar subitamente
per ricordanza de la fede rotta
e
per esempio a la futura gente;
ed a la cima del gran naso a
un'otta
con un filo d'acciar fatto rovente
gli fe' attaccare i
testimoni freschi
de' mal sortiti suoi tiri furbeschi.
14
La bandiera fra tanto era spiegata
che
Ramberto al salir trasse con esso,
da Battistino e da Sandrin
guardata,
e da molti altri che saliro appresso;
ma contesa in
quel luogo era l'entrata
da l'inimico stuol sí folto e
spesso,
che quivi si facea tutta la guerra,
né si potea
calar giú ne la terra.
15
Ed ecco in su la fossa al gran
Voluce
improvisa apparir la Dea d'Amore
chiusa d'un nembo d'or,
cinta di luce,
ed infiammargli a la battaglia il core;
preso
gli mostra il miserabil duce,
e l'inimico stuol pien di
terrore
tutto rivolto a la bandiera alzata,
e la vicina porta
abbandonata.
16
Al magnanimo cor basta sol questo,
e
l'usato valor dentro raccende:
volge lo sguardo a' suoi soldati
presto,
e seco il fior de' piú lodati prende:
corre a la
porta, e ne' compagni è desto
emulo ardor ch'a gli animi
s'apprende;
onde Folco, Attolino e Bagarotto
corrono anch'essi,
e fanno a gli altri motto.
17
Egli infiammato di feroce sdegno
sta su la
soglia minacciando morte,
e con una bipenne il duro
legno
percuote, e risonar fa l'alte porte;
mettono gli altri un
ariete a segno,
e 'l sospingon con impeto sí forte,
che
già l'imposte e le bandelle sono
tutte allentate, e ne
rimbomba il suono.
18
Quei pochi, ch'ivi in guardia eran
fermati,
lanciano sassi e mettono puntelli,
e di paura afflitti
e sconcacati
vanno mirando a questi buchi e a quelli;
ma dal
fiero cozzar rotti e spezzati
già cadono le spranghe e i
chiavistelli,
e Voluce da i gangheri a fracasso
getta la porta
tutt'a un tempo a basso.
19
Come al cader di quella sacra avviene,
ch'ad
ogni cinque lustri apre il gran Padre,
quando la gente di lontan
se 'n viene
a Roma a riverir l'antica madre;
che non giovan le
sbarre e le catene
a trattener le peregrine squadre
ch'inondano
a diluvio, e chi s'arresta
lo soffoga la turba e lo calpesta:
20
tale al cader de le nemiche porte,
l'impetuosa
turba inonda e passa;
e di pianto, d'orror, di sangue e morte
ogni
cosa al passar confusa lassa:
il feroce e l'imbelle ad una
sorte
cade, ogn'incontro il vincitor fracassa:
fugge il vinto e
s'appiatta, o l'armi cede
e s'inginocchia a domandar mercede:
21
ma non trova mercé né
cortesia,
e in van s'inchina e in van la vita chiede:
Il Potta
vuol che Castelfranco sia
esempio eterno a non mancar di
fede.
furore ha luogo, ogni pietà s'oblía,
veggonsi
in ogni parte incendi e prede:
e cade in poca cenere un
Castello,
di cui non era in Lombardia il piú bello.
22
E già su le ruine il vincitore
dal
lungo faticar stanco sedea,
quand'ecco di lontan s'udí un
romore
che rimbombar d'intorno il pian facea:
venía il
campo nemico a gran furore,
che 'l periglio de' suoi già
inteso avea:
ed era quel che la foresta e i lidi
fea risonar di
trombe e corni e gridi.
23
Musa, tu che cantasti i fatti egregi
del re
de' topi e de le rane antiche,
sí che ne sono ancor fioriti
i fregi
là per le piagge d'Elicona apriche,
tu dimmi i
nomi e la possanza e i pregi
de le superbe nazion
nemiche,
ch'uniron l'armi a danno ed a ruina
de la città
de la salciccia fina.
24
Poscia che gli apparecchi e la contesa
di
Bologna la Fama intorno sparse,
trasse il desío di cosí
degna impresa
quattordici città seco ad armarse.
Tremò
l'Imperio e invigorí la Chiesa,
sentí l'Italia in
freddo giel cangiarse;
e credo che 'l Soldan de' Mammalucchi
ne
mandasse ragguaglio al re de' cucchi.
25
Il Papa, ch'era padre e protettore
de la
parte de' Guelfi e de la Chiesa,
avendo udito in Francia il gran
romore
e la cagion di sí crudel contesa,
per aggiungere
a' suoi fede e valore,
spedí subito nunzio a
quell'impresa
da Vienna un suo domestico prelato
che monsignor
Querenghi era nomato.
26
Questi era in varie lingue uom
principale
poeta singular tosco e latino,
grand'orator,
filosofo morale,
e tutto a mente avea sant'Agostino:
ma il Papa
non lo fece cardinale
ché 'n sospetto gli entrò di
ghibellino
dopo ch'ei ritornò di nunziatura
e perdé
la fatica e la ventura.
27
Nocquegli ancora i' esser padovano
suddito
d'Ezzelin, bench'innocente,
non volendo il Pontefice romano
aver
fede ad alcun di quella gente:
ma certo ei fu prelato e
cortigiano,
fra gli altri in quell'età molto eminente:
e
da lo sprezzo d'uom sí saggio e prode
il Papa non ritrasse
alcuna lode.
28
Egli partí da Vienna in su le poste,
e
nel passar de l'Alpi a un ponte rotto,
il perfido caval per certe
coste
lasciò cadersi, e non gli fece motto:
anzi da
discortese e bestia d'oste,
stava di sopra e monsignor di
sotto,
onde la nunziatura indi levata
con mal augurio fu mezzo
spallata.
29
Quivi ei montò in lettiga, e
seguitando
con una spalla fuor d'architettura,
giunse a punto a
Bologna il giorno quando
l'esercito uscía fuora a la
ventura:
si fe' porre il rocchetto, in arrivando,
da don Santi,
e salí sopra le mura;
dove a l'uscir de la città le
schiere
chinavano a' suoi piè lance e bandiere.
30
Et egli con la man sovra i campioni
de
l'amica assemblea, tutto cortese
trinciava certe benedizioni,
che
pigliavano un miglio di paese.
Quando la gente vide quei
crocioni,
subito le ginocchia in terra stese,
gridando: - Viva
il Papa e Bonsignore,
e muora Federico Imperadore. -
31
Ma perché la man destra avea fasciata
e
gli benedicea con la mancina,
fu scritto al Papa ch'egli avea
mandata
una persona marcia ghibellina.
Or basta, in ordinanza
usciva armata
la gente; e prima fu la perugina,
tre mila, che
mandati avea la Chiesa
col capitan Paulucci a quell'impresa.
32
Questi di cortegian fatto soldato
disertò
gli Ugonotti e i Calvinisti,
fe' vermiglia la Schelda, indi
passato
in Francia guerreggiò co' Navarristi;
navigò
nel Danubio; e al fin voltato
in occidente a piú sublimi
acquisti,
fra i monti Pirenei passò in Ispagna,
e
riportò per mar guanti d'Ocagna.
33
L'armatura dorata e rilucente
con
sopraveste avea cangiante e varia,
e camminava sí
leggiadramente,
che parea ch'ei ballasse una canaria:
disperata
guidava e altera gente,
che la fortuna amica e la
contraria
egualmente disprezza, e si diletta
sol di sangue, di
morte e di vendetta.
34
Seguía l'insegna di Milano, e avea
gran
gente in su le scarpe e in su le selle,
ch'ovunque il guardo di
lontan volgea,
rincarava le trippe e le fritelle.
Sei mila
pacchiarotti a piè reggea
Marion di Marmotta
Tagliapelle;
mille cavalli avean per capitani
Galeazzo e Martin
de' Torriani.
35
La terza insegna fu de' Fiorentini,
con
cinque mila tra cavalli e fanti,
che conduceano Anton Francesco
Dini
e Averardo di Baccio Cavalcanti:
non s'usavano starne e
marzolini,
né polli d'India allor, né vin di
Chianti:
ma le lor vittuaglie eran caciole,
noci e castagne e
sorbe secche al sole.
36
E di queste n'avean con le bigonce
mille
asinelli al dipartir carcati,
acciò per quelle strade
alpestre e sconce
non patisser di fame i lor soldati:
ma le
some coperte in guisa e conce
avean con panni d'un color
segnati,
che facean di lontan mostra pomposa
di salmeria
superba e preziosa.
37
Ma piú di queste numerosa molto
la
quarta schiera e bella in vista uscía,
la gran Donna del Po
tutto raccolto
quivi di sua milizia il fiore avía.
La
ricca gioventú superba in volto
di porpora e di fregi
ornata gía.
Fiammeggia l'oro, ondeggiano i cimieri,
passano
i fanti armati e i cavalieri.
38
Tre mila i cavalier sono, e due tanti
premon
col piè de la gran madre il dorso:
Maurelio Turchi è
il capitan de' fanti,
e de' cavalli il Bevilacqua Borso.
Ma
splende sovra questi e sovra quanti
vengono di Bologna al gran
soccorso,
il magnanimo cor di Salinguerra,
che fa del nome suo
tremar la terra.
39
Occupata di fresco avea Ferrara
Salinguerra,
e nemico era a la Chiesa;
ma i Petroni l'avean solo per
gara
tratto con larghi doni in lor difesa.
Il nunzio che sapea
la cosa chiara,
tenne sopra di lui la man sospesa;
lasciò
passarlo e poi segnò la croce:
ma se n'avide e rise il cor
feroce.
40
Ha seco il fior de la Romagna bassa
che
volontaria segue i segni suoi;
Lugo, Bagnacavallo, Argenta e
Massa,
Cotognola e Barbian madri d'eroi:
questa gente con
l'altra unita passa,
ma sua chiara virtú la scevra poi;
è
'l capitan che la conduce a piede
Faceo Milani, uom d'incorrotta
fede.
41
Ravenna e Cervia sotto una bandiera
seguono
i Ferraresi a mano a mano,
di lance e spiedi armate a la
leggiera;
e Guido da Polenta è il capitano.
Di Cervia
sol la numerosa schiera
potea ingombrar per molte miglia il
piano,
se non spargeano l'aria e 'l sito immondo
i cittadini
suoi per tutto il mondo.
42
Passano in ordinanza i fanti armati,
poscia
di cavalier segue un drappello,
due mila a piè, trecento
incavallati
(vocabol fiorentino antico e bello).
Va pomposo il
signor de' Ravennati
sopra un nobil corsier di pel
morello
stellato in fronte, che col piè balzano
par che
misuri a passi e salti il piano.
43
Rimini vien con la bandiera sesta,
guida
mille cavalli e mille fanti
il secondo figliuol del
Malatesta,
esempio noto a gl'infelici amanti.
Il giovinetto ne
la faccia mesta
e ne' pallidi suoi vaghi sembianti
porta quasi
scolpita e figurata
la fiamma che l'ardea per la cognata.
44
Halli donata al dipartir Francesca
l'aurea
catena a cui la spada appende;
la va mirando il misero, e
rinfresca
quel foco ognor che l'anima gli accende:
quanto cerca
fuggir, tanto s'invesca,
e 'l suo cieco furor in van riprende,
ché
già su la ragione è fatto donno,
né
distornarlo omai consigli il ponno.
45
- Perché donna, dicea, di questo
core
legarmi di tua man di piú catene?
Non stringevano
assai quelle, onde Amore
de le bellezze tue preso mi tiene?
Ma
tu forse notasti il mio furore
dissimulando il mal che da te
viene,
furore è il mio, non nego il mio difetto,
ma mi
traesti tu de l'intelletto.
46
Tu co' begli occhi tuoi speranza desti
a la
fiamma d'amor viva e cocente,
che sfavillar da questi miei
scorgesti
e chiederti pietà del cor languente.
Ma lasso
che vo io torcendo in questi
vani pensier l'innamorata mente,
e
sinistrando il caro pegno amato
che da sí nobil petto in
don m'è dato?
47
Bella de la mia donna e ricca spoglia
che
donata da lei meco te 'n vieni,
acciò che dal suo amor non
mi discioglia
e mi leghi in piú nodi e m'incateni;
tu
sarai refrigerio a la mia doglia,
tu sarai nuovo pegno a le mie
speni. -
La bacia e la ribacia in questi accenti,
e va seco
sfogando i suoi tormenti.
48
Passa il giovine amante, e dopo lui
la
gente di Faenza arriva e passa.
Tutti son cavalier, fuora che
dui
staffieri a piè del capitan Fracassa.
Del buon
sangue Manfredo era costui,
onor di quella età cadente e
bassa;
secento ha seco, e cento, i piú garbati,
di
maiolica fina erano armati.
49
Indi Cesena vien sotto l'impero
di Mainardo
d'Ircon da Susinana,
che s'è fatto signor di condottiero
di
gente disperata empia e scherana.
Ottocento pedoni ha seco il
fero
usati a vita faticosa e strana:
non ha cavalleria, ma i
fanti sui
vagliono piú ch'i cavalieri altrui.
50
La nona squadra fu de gl'Imolesi
che da
Pietro Pagani eran condotti:
mille e cento tra fanti e
banderesi,
saccomanni, briganti e stradiotti;
dopo questi
venieno i Forlivesi
da gli Ordelaffi in servitú
ridotti;
Scarpetta di condurgli ebbe l'onore,
che de gli altri
fratelli era il maggiore.
51
Forlimpopoli segue, allor cittade
non men
de le vicine illustre e degna;
Sinibaldo, il fratel minor
d'etade,
regge la schiera sua sott'altra insegna.
Sono
ottocento armati d'archi e spade,
mille son gli altri, e vanno a
la rassegna
distinti in guisa, che distinta splende
la gara che
fra lor gli animi accende.
52
Con la gente di Fano a tergo a
questa
Sagramoro Bicardi il Nunzio inchina,
e guida mille fanti
a la foresta
usati a corseggiar quella marina.
A lo scettro
ubbidían del Malatesta
Pesaro, Fossombruno e la
vicina
Senigaglia: e passâr con la bandiera
di Paulo
dianzi entro la sesta schiera.
53
Poiché fu di Romagna il fior
passato,
ecco il carroccio uscir fuor de la porta,
tutto
coperto d'or, tutto fregiato
di spoglie e di trofei di gente
morta;
lo stendardo maggior quivi è spiegato:
e cento
cavalier gli fanno scorta,
fra gli altri di valor chiaro e
sovrano;
e Tognon Lambertazzi è il capitano.
54
Dodici buoi d'insolita grandezza
il tirano
a tre gioghi; e di vermiglia
seta hanno la coperta e la
cavezza,
le sottogole e i fiocchi in su le ciglia.
Il pretor di
Bologna in grande altezza
sopra vi siede, e intorno ha la
famiglia
tutta ornata a livrea purpurea e gialla
con balestre
da leva e ronche in spalla.
55
Nomato era costui Filippo Ugone
brescian di
quei da la gorgiera doppia:
e di broccato indosso avea un
robone
che stridea come sgretolata stoppia.
Secondavano il
carro e 'l gonfalone
quattrocento barbute a coppia a coppia,
co'
cavalli bardati in fino a terra,
ch'avea mandate Brescia a quella
guerra.
56
Seguiva il battaglion dopo costoro
de'
Petronici fanti e l'apparecchio:
eran vintisei mila, e 'l duca
loro
il buon conte Romeo Pepoli vecchio,
avea l'armi d'argento
a scacchi d'oro
fregiate, e Braccalon da Casalecchio
col
braccio manco e con la spalla destra
gli portava lo scudo e la
balestra.
57
Finita di passar la fanteria
passarono i
cavalli in tre squadroni,
guidati da Bigon di Geremia,
ch'era
in Bologna in quell'età de' buoni;
e da due figli del
Malvezzo Elia,
Perinto e Periteo, che fra i campioni
del
petronico stuol piú illustri e chiari
risplendean gloriosi
e senza pari.
58
Usciti in armi a la campagna quanti
Petroni
e Romagnoli avea la terra,
marciar le schiere; e sette miglia
avanti
presero alloggio al solito di guerra.
indi tosto ch'al
re de' lumi erranti
le finestre del ciel l'alba diserra,
al
suon di mille trombe, al mattutino,
fresco tornò l'esercito
in cammino.
59
Né molto andò che da diversi
intese
la nuova, che temea, di Castelfranco,
tosto le squadre
in ordinanza stese
per giugner sopra l'inimico stanco;
il
destro corno Salinguerra prese,
ritennero i Petroni il lato
manco,
presaghi ch'il valor tedesco e sardo
dovea quivi pugnar
col Re gagliardo.
60
Con Salinguerra a destra i Fiorentini
giunsero
l'ordinanze, e i Milanesi,
e la squadra con lor de' Perugini,
e
la cavalleria de' Riminesi;
il signor di Ravenna e i
Faentini,
Fano, Imola, Cesena e i Forlivesi,
Pesaro,
Fossombruno e Sinigaglia
il mezzo ritenean de la battaglia.
61
Il carroccio restò, com'era usanza
tra
i Bolognesi, appo il sinistro corno,
con molti cavalier di gran
possanza,
e gente a piedi e machine d'intorno.
Indi si mosse il
campo in ordinanza;
e giunse che drizzava al mezzo giorno
Febo
i cavalli, a l'inimico a fronte,
rintronando di gridi il piano e
'l monte.
62
Da l'altra parte i Gemignani usciti
di
Castelfranco a la battaglia in fretta,
col magnanimo Re de' Sardi
uniti
fermâr l'insegne a tiro di saetta:
e posti in
fronte i piú feroci e arditi
slargaro i fianchi a
l'ordinanza stretta
per non esser rinchiusi e circondati
dal
numero maggior di tanti armati.
63
A manca man dove un torrente stagna,
con
quattro mila suoi mangiafagioli
stava Bosio Duara a la
campagna,
né seco aveva i Cremonesi soli,
ma quanti
scesi giú da la montagna
eran mazzamarroni in vari
stuoli;
e la cavalleria del buon Manfredi
copriva i fianchi de
la gente a piedi.
64
Ma incontro a l'austro era nel destro corno
la
bandiera real d'Enzio spiegata,
e Garfagnana seco, e quivi
intorno
la milizia del pian tutta schierata.
Regiamente pomposo
era quel giorno
di sopravesta bianca e ricamata
d'aquile d'oro
il Re, con un cimiero
di piume bianche, e sopra un gran corsiero.
65
Diciannov'anni il giovane reale
non compie
ancora ed è mezzo gigante.
Bionda ha la chioma, e 'n tutto
'l campo eguale
non trova di valor né di sembiante.
Se
maneggia destrier, s'avventa strale,
se move al corso le veloci
piante,
se con la spada o con la lancia fiede,
sia in giostra o
sia in battaglia ogn'altro eccede.
66
Giva intorno esortando in ogni lato
a ben
morir que' poveri villani.
Ma il Potta in mezzo a la battaglia
armato
d'ira e di rabbia si mordea le mani
di non trovarsi
allor Gherardo a lato;
e consegnando a Tomasin Gorzani
i
Gemignani a piè, con cambio secco
in luogo del coltel
mettea uno stecco.
CANTO SESTO
ARGOMENTO
S'accozzano i due campi, e Salinguerra
a destra i suoi
contro i nemici oppone:
Enzio il sinistro corno apre, ed
atterra
il pretore, il carroccio e 'l gonfalone;
ma da' suoi
poscia abbandonato in guerra,
resta de' Bolognesi al fin
prigione.
Fa gran prove Perinto, e s'appresenta
Bacco orribile
al Potta, e lo sgomenta.
1
Sovra l'arco del ciel col sole in
fronte
partiva Astrea con le bilance il giorno,
quando i due
campi già condotti a fronte,
mossero a un tempo l'uno e
l'altro corno.
Rintronaron le valli, il piano e 'l monte,
gli
argini tutti e la foresta intorno,
mugghiâr le selve e 'l
fiume indi vicino,
e le balze tremâr de l'Appennino.
2
Qual su lo stretto ove il figliol di
Giove
divise l'Oceàn dal nostro mare,
se l'uno e l'altro
la tempesta move
vansi l'onde superbe ad incontrare;
cadono
infrante, e valle orribil dove
dianzi eran monti, e spaventosa
appare;
trema il lido, arde il ciel, tuonano i lampi:
tal fu il
cozzar de' due famosi campi.
3
Offuscò il cielo, a i rai del sol fe'
scorno
il grandinar de le saette sparte.
Chi si ricorda aver
veduto il giorno
del protettor de la città di Marte
da
l'alta mole d'Adriano intorno
cader nembi di razzi in ogni
parte,
pensi che fosse ancor piú denso il velo
de la
pioggia ch'allor cadde dal cielo.
4
Al frangersi de l'aste, al gran fracasso
de
l'incontro de l'armi e de' cavalli,
sembran tutte cader le selve a
basso
svelte da l'Alpi, e risonar le valli.
Piú non
appar da lato alcuno il passo,
fuggono le distanze e gli
intervalli;
e son già i prati e le campagne amene
di
morte e di terror tutte ripiene.
5
Or preme e incalza, or torna indietro il
piede
questa ordinanza e quella; e dove inchina
una schiera
talor l'altra succede,
e ripara in altrui la sua ruina:
indi
torna la prima e l'altra cede,
come parte e ritorna onda
marina.
Van quinci e quindi i capitani accorti,
spingendo i
vili e rinfrancando i forti.
6
- Ah, dicea Salinguerra, uomini vani
che
gite armati sol per ornamento,
ove sono le spade, ove le mani,
ove
il cor generoso e l'ardimento?
Se vi fanno tremar questi
villani
rozzi, senz'armi e senza esperimento,
come potrò
sperar ch'oggi vi mova
desio di fama a piú lodata prova?
7
Questa è la via dove a la gloria
vassi:
chi ha spirito d'onor mi segua appresso.
Ecco v'apro il
sentiero; ora vedrassi
chi avrà desio d'immortalar sé
stesso. -
Cosí parla il feroce; e volge i passi
dove il
nemico stuol vede piú spesso;
urta il caval, la lancia
abbassa, e pare
un vento fier che spinga indietro il mare.
8
Qual ferito nel petto e qual nel volto
fa
l'incontro cader de l'asta dura:
si dirada d'intorno il popol
folto,
ognun scansa che può sua ria ventura,
scontra
Stefano e Ghino: e al primo, colto
ne l'occhio destro, il ciel
ratto s'oscura:
cade l'altro passato a la gorgiera;
indi uccide
Brandan da la Baschiera.
9
Aperta avea la temeraria bocca
Brandano
appunto ad oltraggiar quel forte,
quando il ferro crudel giugne, e
l'imbrocca
tra denti e denti, e lo conduce a morte.
Ricovra
l'asta il valoroso; e tocca
a la cima de l'elmo Ilario
Corte,
giovine irresoluto e spensierato,
e 'l fa cader disteso
in un fossato.
10
Non lunge il conte di Culagna vede
pomposo
d'armi e di bei fregi altero:
e come ardito e poderoso il
crede,
gli sprona incontra con sembiante fiero.
Ma il conte
lesto si rilancia a piede,
e si ripara dietro al suo
destriero:
trascorre l'asta; ed ei subito s'alza,
tocca a pena
la staffa, e in sella balza.
11
Chi vide scimia a la percossa
infesta
d'importuno fanciul ratta involarsi,
indi tornar d'un
salto agile e presta
passato il colpo, e a la finestra
farsi;
pensi che contro a quella lancia in resta
tal
rassembrasse il conte a l'abbassarsi,
e tale al risalir giusto a
pennello
tutto in un tempo e non parer piú quello.
12
E rivoltato a Bernardin Manetta
che 'l
rimirava e s'era mosso a riso:
- A fé, dicea, che l'ho
giucata netta,
che colui non mi colga a l'improviso.
Io
dismontai per orinare in fretta,
e 'l fellon che si stava in su
l'aviso,
m'avea spinto il destrier per fianco addosso:
ma guai
a lui se riscontrar lo posso. -
13
Cosí dicendo, a man sinistra torse
dove
spigneano innanzi i Fiorentini,
credendo uscir de la battaglia
forse;
ma quando vide Anton Francesco Dini
da quella parte co'
cavalli opporse,
rivolto a' suoi soldati e a' suoi vicini:
-
Ritirianci, dicea, da questo sito;
ch'è troppo aperto e non
è ben partito. -
14
Roldano, che l'udí, si voltò
ratto
e 'l percosse del calcio de la lancia
dicendo: -
Codardon, feccia di matto,
non ti si tigne di rossor la
guancia?
Se tu quinci non esci o non stai quatto,
giuro a Dio,
te la caccio ne la pancia. -
Il conte rispondea: - Non
v'adirate,
ché 'l dissi per provar queste brigate. -
15
Torto il mira Roldano; e sol col guardo
gli
fa tremar le fibre e le midolle:
indi spronando un corridor
leardo,
che 'l pregio al vento e a la saetta tolle,
drizza la
lancia al giovine Averardo
che di sangue nemico ei vede molle;
e
ferito nel braccio e ne l'ascella
il transporta su i fior giú
de la sella.
16
Ma il Dini gli sospinge incontro i sui,
e
grida loro: - Ah pinchelloni, e dove
vi rinculate voi da
cotestui,
che fuor de gli aitri a battagliar si muove?
Spignete
innanzi: a che badate vui?
Testé con alte imaginate
prove
affettavate quie come un popone
il mondo: ora v'addiaccia
il sollione? -
17
Sprona, cosí dicendo, ove piú
stretto
vede lo stuol che conducea Roldano.
È d'un colpo
di stocco a mezzo 'l petto
tolta l'indegna vita a Barisano.
Al
Teggia che 'l feriva in su l'elmetto
con una mazzaranga ch'avea in
mano,
credendolo schiacciar come un ranocchio,
d'un rovescio
levò l'uno e l'altr'occhio.
18
Cosí quivi si pugna e si contende;
ma
da la parte verso 'l mezzo giorno
il Re con piú fervor gli
animi accende,
e spigne i suoi contra 'l sinistro corno.
Ei
qual cometa minacciosa splende
d'oro e di piume alteramente
adorno:
cinto è de' suo' Germani, e lor rivolto
parla in
barbaro suon con fiero volto:
19
- O de l'imperio di Germania fiore,
anime
eccelse, eccovi l'ora e 'l campo,
in cui risplenderà vostro
valore
di glorioso inestinguibil lampo.
Io confidato in voi mi
sento il core
tutto infiammar di generoso vampo;
e su questi
papisti oggi disegno
di lasciar con la spada orribil segno.
20
Seguitatemi voi, ché l'empia setta
qui
tutte accolte ha le sue forze estreme,
perché possa una sol
giusta vendetta
l'ira sfogar di tante ingiurie insieme.
Se
vaghezza di fama il cor v'alletta,
se l'onor de la patria oggi vi
preme,
se v'è caro mio padre o molto o poco,
quest'è
il tempo ch'io 'l vegga e questo è il loco. -
21
Cosí detto, il feroce urta il
destriero,
e l'asta a un tempo e la visiera abbassa,
e tra'
nemici impetuoso e fiero,
qual fulmine tra cerri incontra e
passa.
Baldin Ghiselli e Lippo Ghiselliero
e Antonel
Ghisellardi in terra lassa,
e Melchior Ghisellini e
Guazzarotto,
bisavo che fu poi di Ramazzotto.
22
Giandon da la Porretta era un Petronio
grande
come un gigante, o poco meno,
e in vece d'un caval reggea un
demonio,
(cred'io) senza adoprar sella né freno:
un de'
mostri parea di Sant'Antonio,
né pasceva il crudel biada né
fieno,
ma gli uomini mangiava, e distruggea
co' denti il ferro,
e un corno in testa avea.
23
La fera bestia un dopo l'altro uccise
quattro
Tedeschi, ed era dietro al quinto:
ma il Re la lancia in mezzo 'l
cor gli mise
e gliel fece cader già mezzo estinto.
Ruppesi
l'asta e 'l Re non si conquise,
ma tratta fuor la spada ond'era
cinto,
divise d'un fendente il capo armato
a Giandon, che già
in piedi era levato.
24
Bigon di Geremia, che di lontano
a la
strage de' suoi gli occhi rivolse,
per fianco addosso al Re
spronò; ma in vano,
ché 'l conte di Nebrona il colpo
tolse.
Il conte cadde a quell'incontro al piano,
ma subito fu
in piedi e si raccolse,
ché vide il suo signor mover d'un
salto
contra Bigone e alzar la spada in alto.
25
Bigone attende il Re ne l'armi stretto,
ma
non gli giova alzar né oppor lo scudo,
ché 'l brando
il fende e fa balzar l'elmetto
sciolto da' lacci impetuoso e
crudo.
Raddoppia il colpo il valoroso, e netto
gli tronca da le
spalle il capo ignudo:
esce lo spirto, e in caldo fiato
unito
raggirandosi vola ov'è rapito.
26
Morto Bigone, il Re tutta fracassa
la
schiera sua, né qui l'impeto arresta;
urta per fianco
impetuoso, e passa
tra la gente pedestre e la calpesta.
Ovunque
il corso drizza, uomini lassa
uccisi a monti la crudel
tempesta
del barbaro furor, che 'l Re seconda,
e di fiumi di
sangue i campi inonda.
27
Seguono i Garfagnini, e 'l Re sospinto
da
fatale furor, già penetrato
dove il carroccio di sue
guardie cinto
fra l'ultime ordinanze era fermato,
con l'urto di
mill'aste apre quel cinto.
Cede ogn'incontro al vincitore
armato:
e del carroccio è giú tratto di botto
lo
stendardo maggior squarciato e rotto.
28
Fu al podestà messer Filippo
Ugone,
ch'era rimaso attonito e perduto,
da certi Garfagnin
tolto il robone
e la berretta ch'era di veluto;
ei del
carroccio si lanciò in giubbone,
pregando in vano e
addimandando aiuto;
e da l'impeto fier colto, in un fosso
cadde
rovescio col carroccio addosso.
29
Gli asini, che condotte a i Fiorentini
le
noci dietro e le castagne aviéno,
a vista del carroccio
assai vicini
stavan pascendo in un pratello ameno;
quando i
Tedeschi a un tempo e i Garfagnini
trassero quivi tutti a sciolto
freno
da l'ingordigia di rubar tirati:
e non restar col Re
trenta soldati.
30
Il sagace Tognon, che la vendetta
pronta si
vide, uní le genti sparte;
e diede aviso a i due Malvezzi
in fretta
che volgessero tosto a quella parte:
indi avendo al
tornar la via intercetta
a quei che saccheggiavano in disparte
i
fichi secchi e le castagne in forno,
cinse d'armi e cavalli il Re
d'intorno.
31
Il Re, che si rivolge e 'l guardo gira
e 'l
suo periglio in un momento ha scorto,
dal profondo del cor geme e
sospira,
ché senza dubbio alcun si vede morto:
ma il
dolor cede e si rinforza l'ira,
né vuol morir senza
vendetta a torto;
stringe la spada, urta il destriero, e dove
piú
chiuso è il passo, impetuoso il move.
32
Qual tigre in su la preda a la foresta
colta
da' cacciatori e circondata,
poi che al periglio suo leva la
testa,
volge fremendo i livid'occhi e guata;
indi s'avventa
incontra l'armi, e resta
del proprio e de l'altrui sangue
bagnata,
tal fra l'armi nemiche il Re s'avventa,
ché 'l
magnanimo cor nulla paventa.
33
Mena al primo ch'incontra e a
Braganosso
figliuol di Pandragon Caccianemico
l'elmo divide e
la cotenna e l'osso,
la faccia, il petto, e giú fino al
bellico:
indi toglie la vita a Min del Rosso,
ch'un'armatura
avea di ferro antico
da suo bisavo in Francia già
comprata,
e tutti la tenean per incantata.
34
Non la poté falsar la buona spada,
ma
piegò il cavaliero in su la sella,
e scorrendo a l'in su
per dritta strada
passò la gola e uscí da una
mascella,
onde convien che Mino estinto cada;
vinto è
l'incanto da nemica stella:
non può cozzar col ciel
l'ingegno umano,
ch'eterno è l'uno, e l'altro è
frale e vano.
35
Di due percosse il Re fu colto intanto
su
l'elmo e a sommo 'l petto al gorgerino:
de la seconda ebbe l'onore
e 'l vanto
Vanni Maggio figliuol di Caterino:
ma con forza
maggior dal destro canto
il ferí Gabbion di Gozzadino
che
con un colpo d'alabarda fiero
di testa gli levò tutto il
cimiero.
36
A lui si volse il Re con un riverso,
e 'l
colse a punto al confinar del ciglio,
tutta la testa gli tagliò
a traverso:
balzò un occhio lontan da l'altro un
miglio,
per la cuffia il cervel se 'n gío disperso,
stè
in sella il tronco e l'alma andò in esiglio;
e 'l
destriero, che 'l fren sentía piú lasso,
incognito
il portava attorno a spasso.
37
Non ferma qui la furibonda spada
ch'era una
lama da la lupa antica.
Ma tronca, svena, fende, apre e dirada
ciò
ch'ella incontra, uomini ed armi abbica.
Or quinci, or quindi si
fa dar la strada,
ma innumerabil turba il passo intrica:
veggonsi
in aria andar teste e cervella,
e nel sangue notar milze e
budella.
38
Da mille lance il Re percosso e cinto
e da
mille spuntoni e mille dardi,
tutto è molle di sangue, e
mezzo estinto
ha il famoso drappel di que' gagliardi.
Tognon
rimproccia i suoi da l'ira vinto,
e grida: - Ah feccia d'uomini
codardi,
sí vilmente morir, scannaminestre?
Che vi sia
dato il pan con le balestre! -
39
Sospinse il rampognar di quell'altiero
ognuno
incontro al Re, cui sol restato
vivo de' suoi nel gran periglio è
il fiero
Leupoldo conte di Nebrona a lato:
morto da cento lance
il buon destriero
sotto il Re cadde, ed egli in piè
balzato
fulmina e uccide di due colpi orrendi
Petronio ed
Andalò de' Carisendi.
40
Berto Gallucci e 'l Gobbo de la Lira
gli
sono sopra, e l'uno e l'altro il fiede;
ma il generoso cor non si
ritira,
ben che sieno a cavallo, ed egli a piede.
Il conte che
si volge e 'n terra il mira,
balza di sella e 'l suo caval gli
cede;
ed ei, perché rimonti il suo signore,
rimansi a
piedi, e 'n mezzo a l'armi muore.
41
Il Re prende la briglia e salir tenta,
ma
lo distorna il Gobbo e gliel contende;
egli una punta al fianco
gli appresenta,
e con la gobba al pian morto lo stende.
Tognon
smonta fra tanto, e al Re s'avventa
dietro a le spalle, e ne le
braccia il prende,
e Pasotto Fantucci e Francalosso
e Berto e
Zagarin gli sono addosso.
42
Il Re si scuote, e a un tempo il ferro
caccia
nel ventre a Zagarin che gli è a rimpetto,
ma non
può svilupparsi da le braccia
di Tognon che gli cinge i
fianchi e 'l petto;
ed ecco Periteo giugne e l'abbraccia
subito
anch'egli, e 'l tien serrato e stretto;
ei l'uno e l'altro or
tira, or alza, or spigne,
ma da' legami lor non si discigne.
43
Qual fiero toro, a cui di funi ignote
cinto
fu il corno e 'l piè da cauta mano,
muggisce, sbuffa, si
contorce e scuote,
urta, si lancia e si dibatte in vano;
e
quando al fin de' lacci uscir non puote,
cader si lascia afflitto
e stanco al piano:
tal l'indomito Re, poiché
comprese
d'affaticarsi indarno, al fin si rese.
44
Fu drizzato il carroccio, e fu rimesso
in
sedia il Podestà tutto infangato;
non si trovò il
robon, ma gli fu messo
in dosso una corazza da soldato;
le
calze rosse a brache avea, col fesso
dietro, e dinanzi un
braghetton frappato,
e una squarcina in man larga una
spanna,
parea il bargel di Caifàs e d'Anna.
45
Ei gridava in Bresciano: - Innanz,
innanzi;
che l'è rott'ol nemig, valent soldati:
feghe
sbità la schitta a tucch sti Lanzi
maledetti da Dé,
scommunegati. -
Cosí dicendo, già vedea gli
avanzi
del destro corno andar qua e là sbandati,
e
raggirarsi per que' campi aprichi
cercando di salvar la pancia ai
fichi:
46
però che 'l buon Perinto avea già
rotti
Tedeschi e Sardi e Garfagnini e Corsi
e gli altri ch'al
bottin fallace, indotti
da mal cauta speranza, erano corsi.
I
Tedeschi, del vino ingordi e ghiotti,
dietro a certi barili eran
trascorsi,
che ne credeano far dolce rapina;
e in cambio di
verdea trovâr tonnina.
47
Al primo suon de la nemica pesta
il popolo
del mar le spalle diede;
si restrinse il tedesco e fece testa;
in
dubbio il Garfagnin sospese il piede:
ma la cavalleria giugne e
calpesta
con impeto e furor la gente a piede;
né la
picca tedesca o l'alabarda
ferma i cavalli armati o li ritarda.
48
A Corrado Roncolfo, il capocaccia
del Re
che facea a gli altri animo e scudo,
sovragiugne Perinto, e ne la
faccia
mette per visiera il ferro crudo.
A Guglielmo Sterlin,
nato in Alsaccia,
tronca d'un man rovescio il collo ignudo,
e
Ridolfo d'Augusta e Giorgio d'Ascia
feriti di due punte in terra
lascia.
49
Un giovinetto fier nato su 'l Reno,
su 'l
Panaro nudrito, Ernesto detto,
che col bel viso e col guardo
sereno
potea infiammar qual piú gelato petto,
vedendo i
suoi che già le spalle aviéno
volte a fuggir, da
generoso affetto
e da nobil desío di gloria mosso
un
destriero african gli spinse addosso.
50
Perinto il colpo del garzone attende,
e a
l'arrivar ch'ei fa cala un fendente.
il destrier, che di scherma
non s'intende,
s'arretra come il suon del ferro sente;
a
l'estremo del collo il brando scende;
cade in terra il meschin
morto repente.
Ernesto, che mancarsi il destrier mira,
balza in
piedi di sdegno acceso e d'ira,
51
e d'una punta ne la coscia il fiede.
Volge
Perinto e 'l ferro a un tempo abbassa;
ma ei si ritira, e de
l'antico piede
d'un olmo si fa scudo e 'l campo lassa;
quei
l'incalza fremendo ed egli cede,
e va girando e fugge e torna e
passa.
Cosí corre a la pianta e si difende
il ramarro
che 'l bracco a seguir prende.
52
Jaconía capitan de' Soraggini,
ch'amava
Ernesto piú de la sua vita,
poi che gli occhi rivolse a i
rai divini
onde l'anima accesa era invaghita,
e 'l vide star su
gli ultimi confini,
corse precipitoso a dargli aíta
abbandonando
i suoi, che mal condotti
in fuga se ne gían sbandati e
rotti.
53
In arrivando il ritrovò piagato
nel
destro fianco e da la doglia vinto;
spinse il destrier d'un salto,
'l brando alzato
su la fronte a due man ferí Perinto;
e
se non che quell'elmo era temprato
per man del saggio Argon,
l'avrebbe estinto,
ma di sé tolto e di cader in
forse
portato dal destrier qua e là trascorse.
54
Al garzon Jaconía rivolto allora
-
Ernesto, gli dicea, la nostra gente
rotta si fugge, e noi facciam
dimora,
e perdiamo la vita inutilmente.
Deh non voler che cada
insieme a un'ora
mia viva speme e tua beltà innocente. -
-
Vattene, rispond'ei, ché 'l destrier mio
vendicar voglio o
qui morire anch'io. -
55
- O fanciul troppo ardito e poco
accorto
(soggiunge Jaconía) mira che questa
che ci
costrigne a ritirarne in porto,
è piú ch'a te non
par fiera tempesta;
ma se l'affanno d'un destrier già
morto
e la vendetta sua quivi t'arresta,
prenditi in dono il
mio. - Né piú s'estese;
ma gli porse la briglia, e
giú discese.
56
Quegli 'l ricusa, ed egli pur s'affretta
che
'l prenda; e mentre i prieghi orna e rinforza,
ecco torna Perinto
a la vendetta,
e fere Jaconía di tutta forza.
Con quel
furor che vien dal ciel saetta,
passa il brando crudel la ferrea
scorza
del grave scudo e la corazza forte,
e lascia Jaconía
ferito a morte.
57
Cadde il misero in terra, e quasi a un
punto
poco lungi da lui cadde Perinto,
cui, passato nel petto e
nel cor punto,
restò il cavallo a quell'incontro
estinto.
Al suo vantaggio allor non bada punto
Ernesto, e corre
da la rabbia vinto
a mezza spada a disperata guerra
poi che
l'amico suo vede per terra.
58
Ernesto di due colpi in su l'elmetto
con
tanta forza il cavalier percosse,
che ribattendo su l'arcion col
petto
sovra il morto destrier tutto piegosse.
Lo sguardo allor
drizzando al giovinetto
su le ginocchia Jaconía levosse,
e
disse: - Ah non voler perir tu ancora,
lascia ch'io sol per la tua
vita mora. -
59
E dicea il ver, s'un ostinato core
fosse
stato del ver punto capace:
surse Perinto e strinse con furore
la
spada contro il giovinetto audace;
Jaconía con quell'ultimo
vigore
che gli somministrò l'alma fugace,
per impedire
il colpo al ferro crudo,
lanciò contra Perinto il proprio
scudo.
60
Ma quello sforzo aprí la piaga, e
sparse
l'alma col sangue, e certo fu peccato;
ch'amico piú
fedel non potea darse,
e non bevea giammai vino inacquato.
Lo
scudo ch'ei lanciò venne a incontrarse
nel braccio che
spingea Perinto irato
e nel volto e nel petto e ne la mano,
e
gli fe' rimaner quel colpo vano.
61
Ma che pro, se 'l garzon non si ritira,
e
nuova fiamma al vecchio incendio aggiugne?
Colpi raddoppia a
colpi, e a ferir mira
dove s'apre la piastra e si
congiugne.
Perinto avvampa di disdegno e d'ira,
e d'una punta a
mezzo il ventre il giugne;
la panciera d'Ettòr, ch'era
incantata,
non gli avrebbe la vita allor salvata.
62
Cade Ernesto morendo in su la piaga,
e
chiama Jaconía che nulla sente;
esce un rivo di sangue e si
dilaga,
s'oscura de' begli occhi il dí lucente:
l'anima
sciolta disdegnosa e vaga
dietro a l'amico suo vola repente.
Salta
Perinto in su 'l destrier che trova,
e 'l volge a ricercar
battaglia nuova.
63
Né già ritorna ove fuggir
vedea
quei ch'ingannò la fiorentina preda,
ché
vittoria stimò vile e plebea
cacciar gente che fugga e 'l
campo ceda:
ma, dove in mezzo la battaglia ardea,
contra 'l
Potta sen va, come se 'l creda
bere in un sorso, e la città
sua tutta
ne' sterquilinî suoi lasciar distrutta.
64
Guido scontrò, che de la pugna
usciva
con mezza spada e una ferita in testa,
e a medicarsi al
padiglion se 'n giva
per man del suo barbier mastro Tempesta.
Indi
trovò, che 'l suo signor seguiva
messa in terror la
ravignana gesta:
le si fe' incontro, e con superbo grido:
-
Tornate, disse, indietro, o ch'io v'uccido. -
65
Ed a l'alfier che 'l rimirava fiso,
senza
altro moto far, come chi sdegna,
fulminò d'un man dritto a
mezzo 'l viso
- Cosí, dicendo, d'ubbidir s'insegna. -
Riman
colui del fiero colpo ucciso,
ed egli di sua man spiega
l'insegna.
Alzano i Ravignani allor le grida,
e 'l seguono
animosi ove gli guida.
66
Il Potta, che tornar vede la schiera
che
dianzi fuor de la battaglia usciva,
rivolto a Tomasin ch'a lato
gli era:
- Per vita, gli dicea, de la tua diva,
ad incontrar
va' tu quella bandiera,
che se 'n riede a la pugna onde fuggiva,
e
mostra il tuo valor, spiega i tuoi vanti
contra quei malandrin
scorticasanti. -
67
Nulla risponde, e contra i Ravennati
Tomasin
a quel dir, strigne gli sproni
con una compagnia di
scapigliati,
dediti al gioco e a far volar piccioni,
che
triganieri fur cognominati,
nemici natural de' bacchettoni,
gente
che 'l ciel avea posto in oblio,
e l'appetito sol tenea per Dio.
68
Con questi il Gorzanese ardito e franco
ratto
si mosse, e al primo incontro uccise
Gaspar Lunardi e Desiderio
Bianco,
e a Lamberto Raspon l'elmo divise:
quando Perinto lo
ferí per fianco
con l'asta de l'insegna, e in modo
arrise
fortuna al suo valor, ch'in terra cade,
e restò
prigionier fra mille spade.
69
Perduto il capitan, l'impeto allenta
la
gente sua che 'l disvantaggio vede,
ma non fugge però né
si sgomenta,
e torna in ordinanza in dietro il piede.
Perinto,
poi ch'a Ostasio da Polenta,
che tra' primi il seguía,
l'insegna diede,
Jotatan con la spada in terra mette
e Barbante
figliol di Mazzasette.
70
Ma intanto il Potta, udito il caso fiero
di
Tomasino, e quel che piú gli dolse,
del Re de' Sardi rotto
e prigioniero,
santa Nafissa a bestemmiar si volse,
e montato
su un'erta col destriero,
pur novella speranza anco raccolse:
ché
le bandiere de' nemici sparte
vide fuggir de la sinistra parte.
71
E di vederne il fin già
risoluto
scendea da l'alto, e raccendeva l'ire,
quando un
gigante orribile e cornuto
gli apparve e l'atterrí con
questo dire:
- Che pensi? ogn'ardimento è qui
perduto:
pensa di ritirarti o di morire.
ecco ti svelo i lumi,
or tu rimira
de la terra e del ciel lo sforzo e l'ira.
72
Vedi là guerreggiar l'empia
Bellona
tinta di sangue incontro a le tue schiere,
vedi il
superbo figlio di Latona
quanti coll'arco suo ne fa cadere,
Marte,
ch'in tuo favor pugna, abbandona
stanco e sudato omai le tue
bandiere.
Tu a raccolta le chiama, e le conserva
da lo sdegno
di Febo e di Minerva. -
73
Qui tacque il fero mostro, e in un
momento,
come sparisce il sogno a l'ammalato,
ritirò il
pede e si converse in vento,
e 'l Potta di stupor lasciò
ingombrato.
Bacco era questi a generar spavento
in quella forma
orribile cangiato
che combattuto avea col dio di Cinto,
e si
partía de la battaglia vinto;
74
e giva a ricercar nuovo partito,
perché
non fosse il popol suo disfatto.
Rimase il Potta attonito e
smarrito,
e si fe' il segno de la croce un tratto,
ch'un
demonio il credé, fuor di Cocito
a spaventarlo in quella
forma tratto:
stette sospeso un poco, indi fe' quanto
descritto
fia da me ne l'altro canto.
CANTO SETTIMO
ARGOMENTO
Rotti i Petroni da la destra parte,
sta in dubbio la
vittoria ancor sospesa;
fin che scende dal ciel Iride, e Marte
fa
ritirar da la crudel contesa.
Giugne Renoppia, e la smarrita
parte
rinvigorisce;e giugne in sua difesa
Gherardo, che dal
fiume a l'altra sponda
caccia i nemici e fa vermiglia l'onda.
1
Il conte di Culagna era fuggito,
com'io
narrai, di man di Salinguerra,
e quel fiero, da l'impeto
rapito,
pedoni e cavalier gittando a terra,
morto Rainero e
Bruno avea ferito
e mossa a un tempo a quella squadra guerra
che
Voluce in battaglia avea condotta;
e già le prime file
erano in rotta.
2
Quando Voluce ode il rumore e vede
Salinguerra
ch'i suoi rompe e fracassa,
salta in arcion, ché combatteva
a piede,
e l'asta prende e la visiera abbassa,
sprona il
cavallo, e tosto intorno cede
ognuno, e gli fa piazza ovunque
passa:
Salinguerra a l'incontro i suoi precorre
e minaccioso a
la battaglia corre.
3
I magnanimi cor di sdegno ardenti
metton le
lance a mezzo 'l corso in resta,
e vannosi a ferir come due
venti
o due folgori in mar quand'è tempesta.
Lampi e
fiamme gittâr gli elmi lucenti;
mugghiò tremando il
campo e la foresta
a quel superbo incontro, e l'aste secche
volaro
infrante in mille scheggie e stecche.
4
Si fece il segno de la santa Croce
l'un
campo e l'altro, e si fermò guardando
per meraviglia
immoto, senza voce,
del periglio comun scordato; quando
l'uno e
l'altro guerrier torse veloce
dispettoso la briglia, e tratto il
brando,
fulminârsi a gli scudi ambi e a la testa
dritti e
rovesci a furia di tempesta.
5
Non stettero a parlar de' casi loro
come
soleano far le genti antiche,
né se 'l lor padre fu
spagnuolo o moro,
ma fecero trattar le man nemiche.
Le ricche
sopraveste e i fregi d'oro,
i cimieri, gli scudi e le
loriche
volan squarciati e triti in pezzi e 'n polve,
il vento
gli disperge e gli dissolve.
6
Tra mille colpi il conte di Miceno
colse in
fronte il signor di Francolino
che gli fece veder l'arco
baleno,
la luna, il ciel stellato e 'l cristallino.
D'ira, di
sdegno e di superbia pieno
sollevò Salinguerra il capo
chino,
e a la vendetta già movea repente
quando rivolse
gli occhi a la sua gente.
7
Sotto la scorta di sí chiaro duce
eran
trascorsi i Ferraresi tanto,
che dietro a lui come a notturna
luce
sconvolto avean tutto il sinistro canto:
ma poi ch'a
Salinguerra il buon Voluce
si fece incontro, essi allentâr
fra tanto
l'impeto loro: e videsi in figura
che trotto d'asinel
passa e non dura.
8
Manfredi, che cacciati i Milanesi
rotti e
dispersi avea per la campagna,
e in aiuto venía de'
Cremonesi
contra quei di Toscana e di Romagna;
poi che conobbe
a l'armi i Ferraresi
ch'incalzavano i suoi de la montagna,
rivolto
a lo squadron ch'intorno avea,
gli accennava col brando e gli
dicea:
9
- Vedete là quella volubil gente
che
vaga ognor di Principi novelli
or piega al Papa e ne la vana
mente
seco sognando va mitre e cappelli;
mirate com'è
d'or tutta lucente,
come d'armi pomposa e di gioielli:
andiamo,
valorosi, urtiam fra loro,
che nostre fien le gemme e l'armi e
l'oro. -
10
Cosí dice: e spronando il buon
destriero
la spada stringe e 'l forte scudo imbraccia,
e tra le
squadre de' nemici altero
con la man fulminando urta e si
caccia.
Come al primo attizzar pronto e leggiero
corre stormo
di bracchi a dar la caccia
al gregge vil, cosí da quegli
arditi
i Ferraresi allor furo assaliti.
11
Manfredi a Pasqualin di Pocointesta
tagliò
d'un sottobecco il mento e 'l naso,
e fece rimaner con mezza
testa
Piero Simon di Gasparin Pendaso.
Contra Manfredi con la
lancia in resta
venía spronando il Mozzarel
Tomaso;
quand'ecco l'afferrò con un uncino
Archimede
d'Orfeo Cavallerino.
12
Correa l'inaveduto a tutta briglia
senza
badar s'alcun gli movea guerra;
e Archimede l'apposta e
l'arronciglia
e 'l fa cader d'arcion col culo in terra.
Per la
coda il destrier Tomaso piglia
per ritenerlo; ed egli i piè
diserra
con grazia tal, ch'in cambio di confetti
gli fa ingoiar
dodici denti netti.
13
Giannotto Pellicciar con un'accetta
spaccò
la testa a Gabrio Calcagnino;
Obizo Angiari e Baldovin
Falletta
uccisi fur da Gemignan Porrino;
con un colpo di mazza
Anteo Pinzetta
ammaccò la visiera ad Acarino
nato del
seme altier di Giliolo,
e gli fece del naso un raviggiolo.
14
Ma questo è un gioco a quel che fa
Manfredi
che tutta fracassata ha quella schiera,
Galasso Trotti
ha morto e Gotifredi
Gualengui e Perondel di Boccanera;
e 'l
Rosso Riminaldi ha messo a piedi
passato d'una punta a la
gorgiera;
onde, d'ardire e d'ordinanza tolta,
la gente di
Ferrara in fuga è volta.
15
Salinguerra, ch'i suoi vede fuggire
dal
nemico valor che gli sbarraglia,
ferma la spada in atto di
ferire,
e dice al conte: - Tua bontà mi vaglia,
sí
che la gente mia possa seguire
tanto ch'io la rivolga a la
battaglia;
ché s'io resto qui sol cinto da' tuoi,
né
tu meco pugnar con laude puoi. -
16
Voluce rispondea: - Signor Marchese,
è
morto Orlando e non è piú quel tempo:
ma per non vi
parer poco cortese,
se volete fuggir, voi siete a tempo;
seguite
pur, ch'io non farò contese,
la gente vostra, e non perdete
il tempo,
perché mi par che corra come un vento;
ma vo'
venir anch'io per complimento. -
17
- Oh questo no, rispose Salinguerra,
io non
partirò mai, s'ella non resta. -
E in questo dire un colpo
gli diserra
a mezza lama al sommo de la testa:
perdé le
staffe e quasi andò per terra
il conte a quella nespola
brumesta;
strinse le ciglia, e vide a un punto mille
lampade
accese e folgori e faville.
18
Allora Salinguerra il tempo piglia,
sprona
il cavallo e si dilegua ratto,
e là dove Manfredi i suoi
scompiglia,
d'ira avvampando e di furor s'è tratto;
grida,
rampogna, e or questo e or quel ripiglia,
mena la spada a cerco e
a chi di piatto,
a chi coglie di taglio, a chi minaccia;
e non
può far ch'alcun volga la faccia.
19
Voluce intanto si risente, e gira
il
guardo, e vede il principe lontano.
Tosto dietro gli sprona, e poi
che mira
chiusa la strada e che s'affanna in vano,
urta
fremendo di disdegno e d'ira
tra i Ferraresi anch'ei col brando in
mano,
e fa volare al ciel membra tagliate
e piastre rotte e
pezze insanguinate.
20
Tagliò una spalla a Tebaldel Romeo,
e
a Buonaguida Fiaschi un braccio netto;
la gamba manca a Niccolin
Bonleo
troncò dove finía lo stivaletto;
e mastro
Daniel di Bendideo
pieno d'astrologia la lingua e 'l petto
uccise
d'una punta, ond'ei s'avvide
che del presumer nostro il ciel si
ride.
21
Voluce fe' quel dí prove mirande
e
uccise di sua man trenta marchesi,
però che i marchesati in
quelle bande
si vendevano allor pochi tornesi;
anzi vi fu chi
per mostrarsi grande
si fe' investir d'incogniti paesi
da un
tal signor, che per cavarne frutto
i titoli vendea per un
presciutto.
22
Come nube di storni, a cui la caccia
lo
sparvier dava dianzi o lo smeriglio,
se l'audace terzuol per lunga
traccia
le sovraggiugne col falcato artiglio,
raddoppia il volo
e quinci e quindi spaccia
le campagne del ciel volta in
scompiglio;
or s'infolta, or s'allarga, or si distende
in lunga
riga e i venti e l'aria fende:
23
tal la gente del Po, che pria fuggiva
da la
tempesta di Manfredi irato,
poiché Voluce anch'ei le
soprarriva
e 'n lei doppia il terror freddo e gelato,
con
disordine tal fuggendo arriva
tra il popol di Fiorenza a destra
armato,
che seco lo trasporta e lo sbarraglia
e lo fa seco
uscir de la battaglia.
24
Segue Manfredi, e d'armi e di bandiere
resta
coperto il pian dovunque passa;
fende Voluce or queste or quelle
schiere
e memorabil segno entro vi lassa,
Pippo de' Pazzi e
Cecco Pucci ei fere,
Beco Stradini e Pier di Casabassa.
Seco è
il Duara, e per foreste e boschi
fuggon dispersi i Ferraresi e i
Toschi.
25
Ma non fuggon cosí già i
Perugini
né la cavalleria del Malatesta;
anzi, come fu
noto a i pellegrini
fregi il Duara e a la pomposa
vesta,
l'arroncigliâr con piú di cento uncini
ne
le braccia, né fianchi e ne la testa.
- Fate pian, grida
Bosio, aiuto, aiuto;
non stracciate, ché 'l saio è
di veluto:
26
fermate i raffi, ch'io mi do per vinto;
non
tirate, canaglia maledetta:
che malann'aggia il temerario
instinto,
Perugini, ch'avete, e tanta fretta. -
Cosí
dicendo fu subito cinto
e fatto prigionier da la cornetta
del
capitan Paulucci; indi legato
sopra un roncino a Crespellan
menato.
27
La prigionia del duca lor commosse
a furore
e vendetta i Cremonesi;
spinsero innanzi e rinforzâr le
posse
e s'uniron con loro i Frignanesi;
ma il Perugino audace
il piè non mosse
e stettero in battaglia i Riminesi,
dal
valor proprio e da l'esempio degno
de' capitani lor tenuti a
segno.
28
Il capitan Paulucci a Perdigone,
fratel di
Bosio che 'l destrier gli uccise,
tirò d'una balestra da
bolzone,
e con due coste rotte in terra il mise.
Indi ammazzò
col brando Ercol Pandone
che se l'ebbe per male in strane
guise;
perch'era vecchio in guerra e buon soldato
e nissuno mai
piú l'avea ammazzato.
29
Aveva in tanto Alessio di Pazzano
il buon
Omero Tortora assalito,
istorico famoso e capitano
che le ninfe
d'Isauro avean nudrito;
quando d'una zagaglia sopra mano
fu dal
signor di Rimini ferito,
e 'l ferro al vivo penetrò di
sorte
che 'l trasse de l'arcion vicino a morte.
30
E già per ispogliarlo era
smontato,
quando ei si volge e 'n su 'l morir gli dice:
- O tu
che godi or del mio acerbo fato,
sappi che morirai via piú
infelice,
vicina è la tua sorte, e 'l tuo peccato
già
prepara per te la mano ultrice,
dove meno la temi, e quel
ch'importa,
teco la fama tua fia spenta e morta. -
31
Qui chiuse i lumi Alessio, e 'l
Malatesta
frenò la mano, e ritirando il passo:
- Col mal
augurio tuo, disse, ti resta,
e va' giú a profetar con
Satanasso:
l'armi e la ricca tua serica vesta
portale teco pur,
ch'io le ti lasso
con questi annunzi tuoi sciaurati e rii,
o
poeta o stregon che tu ti sii. -
32
E in questo dire in su 'l destrier salito
a
la pugna volgea senza soggiorno,
dal magnanimo cor tratto a
l'invito
del suon de l'armi che fremea d'intorno:
quando il
tergo de' suoi vide assalito
dal feroce Roldan che fea ritorno
da
la campagna, e seco avea Ramberto
di sangue e di sudor tutto
coperto.
33
Onde contra il furor de le balestre
che
scoccava ne' suoi la gente alpina,
subito strinse l'ordinanza
equestre
e si ritrasse a un'osteria vicina,
e il capitan
Paulucci a la pedestre
sudando e ansando e con la man
mancina
dimenando il cappel per farsi vento,
ritrasse anch'egli
i suoi, ma con piú stento:
34
ché Betto e Vico e Peppe e Ciancio e
Lello
e Tile e Mariotto e Cecco e Bino
e 'l Miccia d'Erculan
Montesperello
vi restâr morti e Cittolo Oradino,
e
prigioni Binciucco Signorello
e Mede di Pippon Montomelino:
e
Fulvio Gelomia cadde di sella,
primo cultor de la natia favella.
35
Vi s'abbatté il dottor da Palestrina,
e
fu storpiato anch'ei per mala sorte.
E fu d'un colpo d'una
chiaverina
tratto un occhio di testa a Braccioforte,
a
Braccioforte a cui quella mattina
cinta la propria spada avea la
morte,
e 'l fiero Pluto per altrui spavento
messa gli avea
l'orrida barba al mento.
36
Ma intanto che la palma ancor sospesa
pende,
e l'un campo e l'altro è omai disfatto,
due politici fanno
in ciel contesa
e vengono a l'ingiurie al primo tratto.
Mercurio
de' Petroni ha la difesa,
favorisce i Potteschi Alcide
matto;
Giove sta in mezzo, e con real decoro
raffrena l'ire e
le discordie loro.
37
Ne' gangheri del ciel ferma ogni stella
cessa
di variar gl'influssi e l'ore;
cade nel mar tranquillo ogni
procella,
rischiara l'aria insolito splendore.
Da l'alto seggio
allor cosí favella
de la sesta lanterna il gran Motore:
-
Non affrettate, o dei, de gli odii il tempo
ch'ancor verrà
per voi troppo per tempo.
38
Vedete là dove d'alpestri monti
risonar
fanno il cavernoso dorso
la Turrita col Serchio e fra due
ponti
vanno ambo in fretta a mescolare il corso;
due popoli fra
questi arditi e pronti
in fiera pugna si daran di morso,
e si
faran co' denti e con le mani
conoscer che son veri Graffignani.
39
O quante scorze di castagni incisi
d'intorno
copriran tutta la terra!
quanti capi dal busto fian divisi
in
cosí cruda e sanguinosa guerra!
Caronte lasso in trasportar
gli uccisi
ch'a passar Stige scenderan sotterra,
bestemmierà
la maledetta sorte
che gli diè in guardia il passo de la
morte.
40
Quinci in aiuto a' suoi correre
armato
vedrassi al monte il forte Modanese;
quindi a i passi,
ch'in pace avrà occupato,
opporsi l'astutissimo
Lucchese.
Entrar potrete allor ne lo steccato
tu Mercurio e tu
Alcide a le contese,
e provar se piú vaglia in quella
parte
l'accortezza o il vigor, la forza o l'arte.
41
Un Alfonso e un Luigi Estensi a pena
d'un
pel segnata mostreran la guancia,
ch'a piú di mille
insanguinar l'arena
faranno or con la spada or con la lancia.
Le
squadre intere volteran la schiena
dinanzi a i nuovi Paladin di
Francia;
e Castiglion fra le percosse mura
sotto si cacherà
de la paura;
42
pregando il conte Biglia in ginocchione
che
venga a far cessar quella tempesta,
spiegando di Filippo il
gonfalone
con una spagnolissima protesta.
Quivi potrete allor
con piú ragione
cacciarvi gli occhi e rompervi la
testa:
cessate intanto; e la pazzia mortale
resti fra quei che
fan là giú del male. -
43
Cosí disse, e chiamando Iride
bella
ch'al sole avea l'umida chioma stesa
- Vola, le impone, o
mia diletta ancella,
e di' a Marte che ceda a la contesa
fin
ch'arrivi Gherardo e sua sorella
a cui si dee l'onor di
quest'impresa. -
Iride non risponde e i venti fende,
e giú
dal ciel ne la battaglia scende.
44
Vede Marte da lunge e drizza l'ale
dov'ei
combatte e l'ambasciata esprime:
indi si parte e fuor de la
mortale
feccia ritorna al puro aer sublime.
Marte, che scorge
la tenzone eguale,
ritira il piè da l'ordinanze prime
e
ne la retroguardia intanto passa,
e 'l Potta incontro ai Romagnoli
lassa.
45
Il Potta avea assaliti i Faentini
e
fracassata la lor gente equestre,
ché gli scudi dipinti e
gli elmi fini
non ressero al colpir de le balestre.
Giacoccio
Naldi e Pier de' Fantolini
rimasero feriti e a la pedestre:
e a
Mengo Foschi e al cancellier Giulita
il Potta di sua man tolse la
vita.
46
Uccise Bastian de' Fornardesi
che sapea
tutto a mente il Calepino,
e dal vóto ch'avea d'ir ad
Ascesi
lo sciolse e di vestirsi di bertino.
Indi per fianco
urtò fra gl'Imolesi,
e s'affrontò col cavalier
Vaino,
ch'ucciso avea Pallamidon fornaio
che mangiava la torta
col cucchiaio.
47
Il cavalier, che stava in su l'aviso,
d'arena
che tenea dentro un sacchetto
gli empiè gl'occhi e la bocca
a l'improviso,
poi strinse il brando e gli assaggiò
l'elmetto.
- Ah! disse il Potta allor forbendo il viso,
tu me
la pagherai Romagnoletto. -
E in questo dir menando con la
spada
colpí a la cieca, si fe' dar la strada.
48
Ma poi che Marte il suo favor ritenne
e
tornò di quadrato indietro il passo,
e che Perinto in
quella parte venne
guidato dal furor di Satanasso,
il modanese
stuol piú non sostenne
l'impeto ostil dal faticar già
lasso,
e rallentate l'ordinanze e l'ire
cominciò a
ritirarsi, indi a fuggire.
49
Il Potta pien di rabbia e disperato
gridava
con la bocca e con le mani
ma non potea fermar da nessun lato
lo
scompiglio e 'l terror de' Gemignani,
e da l'impeto loro al fin
portato
costretto fu d'abbandonar que' piani,
benché tre
volte e quattro in volto fiero
spignesse tra i nemici il gran
destriero.
50
Correndo in tanto e traversando il
lito
senz'elmo e molle e polveroso tutto
il conte di Culagna
era fuggito,
e giunto a la città piena di lutto,
narrato
avea fra il popolo smarrito
che 'l Re prigione e 'l campo era
distrutto;
onde i vecchi e le donne al fiero aviso
fuggían
chi qua chi là pallidi in viso.
51
Corsero gli Anzian tutti a consiglio
per
consultar ciò che s'avesse a fare;
molti volean nel subito
periglio
fuggirsi e la cittade abbandonare;
altri dicean ch'era
da dar di piglio
a tutto quel che si potea portare,
e salir su
la torre allora allora,
e chi non vi capía stesse di fuora.
52
Surse all'incontro un Bigo Manfredino
che
sedea appresso a Carlo Fiordibelli,
e disse: - Senza pane e senza
vino
che vogliamo cacar là su, fratelli?
questi sono
consigli da un quattrino
che non gli sosterrian cento
puntelli,
però i' vorrei, se 'l mio parer v'aggrada,
cavar
un pozzo in capo d'ogni strada,
53
e ricoprirlo sí, ch'in
arrivando
cadessero i nemici in giú a fracasso. -
Guarnier
Cantuti allor rispose: - E quando
sarà finita l'opra e
chiuso il passo?
Non è meglio che star quivi
indugiando
condur lo stabbio ch'abbiam pronto a basso
ch'ingombra
la metà de la cittade,
e con esso serrar tutte le strade? -
54
Ugo Machella a quel parlar sorrise
e disse
rivoltato a que' prudenti:
- Se chiudiamo le strade in queste
guise,
dov'entreranno poi le nostre genti?
Prendiamo l'armi: il
Ciel sovente arrise
a le piú audaci e risolute menti. -
Qui
s'alzar tutti, e gridâr senza tema:
- A la fé che l'è
vera, andema, andema. -
55
Ma i bottegai correndo in fretta a i passi
che
feano la città poco sicura,
con travi e pali e terra e
sterpi e sassi
tosto alzaron trinciere, argini e mura;
sbarrâr
le strade e gli affumati chiassi,
e i portici d'antica
architettura,
e dinanzi a le sbarre in quelle strette
cominciaro
a votar le canalette.
56
Quando armata apparir fu vista
intanto
Renoppia al suon de la novella fiera,
e correre a la
porta, e seco a canto
condurre il fior de la virginea
schiera,
diede a gli uomini ardir, riprese il pianto
del sesso
femminil con faccia altera;
e rimirando giú per la via
dritta
non vide alcun fuggir da la sconfitta.
57
Stette sospesa e addimandò del
conte,
ma il conte avea già preso altro sentiero,
onde
deliberò di gire al ponte
sovra il Panaro a investigar del
vero.
Quivi arrivò che 'l sol da l'orizonte
già
poco era lontan nel lito ibero,
e mirò in vista dolorosa e
bruna
spettacolo di morte e di fortuna.
58
Ne la parte piú cupa e piú
profonda
notavano pedoni e cavalieri;
tutta di sangue uman
torbida l'onda
volgea confusi e misti armi e destrieri;
i
Gemignani a la sinistra sponda
fuggían cacciati da i
Petroni fieri;
stavan Tognone e Periteo lor sopra
e mettea
l'uno e l'altro il ferro in opra.
59
Per man di Periteo giaceano morti
Guron
Bertani e Baldassar Guirino,
Giacopo Sadoleti e Antonio Porti,
e
ferito Antenor di Scalabrino:
ma il superbo Tognone e i suoi
consorti
le schiere di Stuffione e Ravarino
avean distrutte, e
a gran fatica s'era
salvato Gherardin su la riviera.
60
L'altro fratel ferito e prigioniero
cedeva
l'armi al vincitor feroce,
ma su gli archi del ponte un
cavaliero
fulminando col ferro e con la voce
cacciava i
Gemignani, e a quell'altiero
s'opponea solo il Potta in su la
foce
del ponte, e di fermar cercava in parte
l'ordinanze de'
suoi già rotte e sparte.
61
Giugne Renoppia, e dove rotta vede
da la
ripa fuggir l'amica gente,
volge con l'arco teso in fretta il
piede,
e di lampi d'onor nel viso ardente:
- O infamia, grida,
ch'ogn'infamia eccede:
tornate, e dite a la città
dolente
che moriron le figlie e le sorelle
dove fuggiste voi,
popolo imbelle.
62
Noi morirem qui sole e gloriose,
gite voi a
salvar l'indegna vita,
non resteran vostre ignominie ascose,
né
la fama con noi fia seppellita. -
Seco Renoppia avea le
bellicose
donne di Pompeian, schiera fiorita
ch'in Modana
arrestò tema d'oltraggio,
e cento de le sue di piú
coraggio;
63
e fra queste Celinda e Semidea,
di Manfredi
sorelle e sue dilette,
e l'una e l'altra l'asta e l'arco avea
e
la faretra al fianco e le saette.
Renoppia, che dal ponte i suoi
vedea
tutti fuggir, la cocca a l'occhio mette,
e drizza il
ferro a la scoperta faccia
di Perinto, ch'a' suoi dava la caccia.
64
E se non che Minerva il colpo torse
dal
segno ove 'l drizzò la bella mano,
il fortissimo eroe
periva forse:
ma non uscl però lo strale in vano
ch'al
destrier, ch'a quel punto in alto sorse
d'un salto e si levò
tutto dal piano,
andò a ferir nel mezzo de la fronte,
onde
col suo signor cadde su 'l ponte.
65
Perinto dal destrier ratto si scioglie,
ma
lui non mira piú la donna altera
che declina dal ponte e si
raccoglie
dove fuggiano i suoi da la riviera.
Quivi a Tognon,
che l'onorate spoglie
avea tratte a Engheram da la
Panciera,
prende la mira, e fa passar lo strale
dove giunto a
la spalla era il bracciale.
66
Ferito il cavalier si ritraea;
quand'un
altro quadrel gli sopraggiunge
che da l'arco gli vien di
Semidea,
e in una gamba amaramente il punge.
Strinse l'asta
Celinda, e giú scendea
là dove Periteo poco era
lunge:
quand'ecco col caval cader ne l'onda
rotolando il mirò
da l'alta sponda.
67
Avventâr le compagne a l'improviso
cento
strali in un punto al cavaliero.
L'armi difeser lui, ma cadde
ucciso
a i colpi di tant'archi il buon destriero;
la sembianza
real, l'altero viso,
la ricca sopravesta e 'l gran cimiero
trasser
gli occhi cosí tutti in lui solo,
che meglio era vestir di
romagnolo.
68
Qual Telessilla già dal muro
d'Argo
cacciò il campo Spartan vittorioso,
tal fe'
Renoppia dal sanguigno margo
ritrarre il piede al vincitor
fastoso.
Come uscito di sonno o di letargo
da quell'atto
confuso e vergognoso,
il campo che fuggía voltò la
fronte,
e fermò le bandiere a piè del ponte.
69
Indi allargati in su la destra mano
correano
a gara a custodir la riva,
quando s'udí un rumor poco
lontano
che 'l ciel di gridi e di spavento empiva.
Era questi
Gherardo il capitano
ch'in soccorso de' suoi ratto veniva;
al
giugner suo mutâr faccia le carte,
e ripresero cor Dionisio
e Marte.
70
Gherardo in arrivando a destra invia
Bertoldo
con due schiere, ed egli dove
vede il Potta pugnar prende la
via:
passa su 'l ponte e fa l'usate prove.
Perinto a piedi e
sol gli s'opponía,
ma come vide tante genti nuove
che
correano del ponte a la difesa,
ritrasse il piede e abbandonò
l'impresa.
71
Gherardo sbarra il ponte e 'n guardia il
lassa
a Giberto che quivi era con lui,
e torna indietro e su la
riva passa
là dove combattean ne l'acqua i sui.
Vede
stanco il caval, subito abbassa,
ne fa un altro venir, ché
n'avea dui,
né può soffrir di scender da la
sponda
ch'a precipizio giú salta ne l'onda.
72
Il signor di Faenza era in battaglia
col
capitan Brindon Boccabadati;
e Matteo Fredi e Gemignan Roncaglia
e
Beltramo Baroccio avea ammazzati.
Gherardo con la mazza apre e
sbarraglia
Faentini, Imolesi e Cesenati,
quei di Ravenna e quei
de la Cattolica,
e fa strage di ferro e di maiolica.
73
Al capitan Fracassa in su l'elmetto
menò
d'un colpo esterminato e fiero,
che tramortito ne l'ondoso
letto
cadendo di Brindon fu prigioniero.
Quindi si volse, e con
feroce aspetto
nel petronico stuol spinse il destriero;
e di
Panago al conte e a Boniforte
signor di Castiglion diede la morte.
74
Si ritira il nemico a l'altra riva
che 'l
disvantaggio suo vede e comprende,
e poi ch'a l'erta in fermo sito
arriva,
l'ordinanze restrigne e si difende.
Ma già la
notte d'oriente usciva,
e fra l'orror de le sue fosche bende
le
lampade del ciel tutte accendea,
e giú in terra a' mortali
il dí chiudea.
CANTO OTTAVO
ARGOMENTO
Il corno manco alfin de' Gemignani
giugne a forza pugnando
a' suoi steccati.
Vede Ezzelino in mostra a Padovani,
ch'a
danno de' Petroni ha ragunati.
Fan tregua i campi: e con partiti
vani
son da Bologna ambasciator mandati,
che di Rinoppia fra i
ricami e l'armi
del cieco Scarpinello odono i carmi.
1
Già la luce del sol dato avea loco
a
l'ombra de la terra umida e nera;
e le lucciole uscían col
cul di foco,
stelle di questa nostra ultima sfera,
quando le
trombe in suon già lasso e fioco
a raccolta chiamar da la
riviera.
Usciro i fanti e i cavalier de l'onda,
e si ritrasse
ognuno a la su sponda:
2
e quinci e quindi alzaro incontro al ponte
gli
eserciti trinciere e padiglioni.
Tornaro intanto di Miceno il
conte
e Manfredi e Roldano, i tre campioni
che le bandiere de'
nemici conte
cacciate avean per boschi e per valloni;
e fu da
loro in arrivando al lito
il suon de l'armi e de' cavalli udito.
3
E poi che da le spie certificati
del vario
fin de la battaglia fòro,
in dubbio se dovean per gli
steccati
ripassar de' nemici al campo loro,
o guazzando in
disparte i lor soldati
ricondur cheti a ripigliar ristoro;
a
guazzo al fin passar fanti e somieri,
e al ponte si drizzâr
co' cavalieri.
4
E dato aviso al Potta in diligenza
perché
le sbarre a tempo e loco alzasse,
de le spoglie de' vinti in
apparenza
di Ferraresi armâr la prima classe;
e acciò
che l'arte lor maggior credenza
tra gl'inimici a l'arrivar
trovasse,
quando loro parve esser vicini assai
- Viva Frarra,
gridar, guardai, guardai. -
5
Gli abiti ferraresi e le favelle
nel fosco
de la notte e 'n quel tumulto
ingannaron cosí le
sentinelle,
che fu il pensier de' valorosi occulto.
Giunti nel
campo, alzar fino a le stelle
i gridi e gli urli, e con feroce
insulto
trasser le spade e apersero il cammino
dove piú
il ponte a lor parea vicino.
6
Eran confusi ancor gli alloggiamenti,
gli
animi incerti e i corpi affaticati,
quando dal suon de' minacciosi
accenti
d'improviso terror fur saettati;
come scossi dal ciel
folgori ardenti,
venían di sangue e di sudor
bagnati;
Manfredi e 'l buon Voluce a la frontiera
e in ultimo
Roldan chiudea la schiera.
7
Come pere cadean le genti morte
sotto il
furor de le sanguigne spade.
Vede il conte Romeo ch'ad una
sorte
pedoni e cavalier sgombran le strade;
onde il nipote suo
Ricciardo il forte
chiamando, corre ove la gente cade:
ma
l'impeto lo sbalza, e prigioniero
porta seco Ricciardo in su 'l
destriero.
8
Come suol nube di vapori ardenti
far ne'
campi talor strage e fracassi
vomitando dal sen fulmini e venti,
e
portar seco svelti arbori e sassi:
cosí porta il furor di
que' possenti
seco ogn'incontro ovunque volge i passi:
cosí,
secondo i greci ciurmatori,
porta l'ottavo ciel gli altri minori.
9
Giunto al Potta fra tanto era l'aviso,
e
Gherardo su 'l ponte avea mandato:
ma fu l'arrivo lor
tant'improviso
che 'l ritrovaro ancor chiuso e sbarrato.
Quivi
a Roldano fu il destriero ucciso,
e rimanea da tutti
abbandonato,
se non si retraean fuora del ponte
i due guerrier
che combatteano in fronte.
10
L'uno di qua, l'altro di là si
mosse
dove incalzar vedea l'ultima schiera,
e l'impeto in sé
tolse e le percosse,
fin che tutti spuntar su la riviera.
Gherardo
in tanto al giugner suo rimosse
le sbarre che piantate avea la
sera,
e i suoi raccolse, e lasciò quei dal Sipa
con un
palmo di naso a l'altra ripa.
11
De l'orribile pugna il gran successo
sparse
intorno la fama in un momento,
onde ne giunse a Federico il
messo
che sospirò del figlio il duro evento.
Scrisse a
gli amici e maledí sé stesso,
che fosse stato a
quell'impresa lento:
ma sopra tutti scrisse ad Ezzelino
che di
Padova allor tenea il domino.
12
Ezzelin, come udí che prigioniero
del
suo signore era il figliolo, in fretta
armò le sue milizie,
e fe' pensiero
di farne memorabile vendetta.
Avea allor seco un
principe straniero,
cui per fresco retaggio era suggetta
la
nobil signoria de la Morea,
e a cui sposata una nipote avea.
13
In tutto l'Oriente uom di piú core
di
lui non era o di miglior consiglio:
fu detto Eurimedonte, e 'l suo
valore
fea tremar da l'Eusino al mar vermiglio.
Or a questi
Ezzelin diede l'onore
di liberar di Federico il figlio:
e con
piú ardor, quand'egli udí, si mosse,
ch'era
infreddato e ch'egli avea la tosse.
14
Dieci schiere ordinò, ciascuna
d'esse
di ducento cavalli e mille fanti,
e ghibellini capitani
elesse,
perché fosser piú fidi e piú
costanti.
Musa, tu che migliacci e caldalesse
vendesti lor,
déttami i nomi e i vanti
che fer dal piano a gli ultimi
arconcelli
l'alta torre tremar de gli Asinelli.
15
Già l'uscio aperto avea de l'Oriente
la
puttanella del canuto amante,
e 'n camicia correa bella e
ridente
a lavarsi nel mar l'eburnee piante;
spargeasi in onde
d'oro il crin lucente,
parea l'ignudo sen latte tremante,
e a
lo specchio di Teti il bianco viso
tingea di minio tolto in
paradiso:
16
quando a la mostra uscí tutta
schierata
la gente. E prima fu l'insegna d'Este
che l'aquila
d'argento incoronata
portar solea nel bel campo celeste;
or
d'uno struzzo bianco è figurata,
impresa del tiranno e di
sue geste;
di Sant'Elena il fiore indi seconda,
terra di rane e
di pantan feconda,
17
e Castelbaldo, a cui tributa rena
l'Adige
che fa quindi il suo cammino.
Savin Cumani è il duce, e da
l'amena
piaggia di Carmignano e Solesino
e dal Deserto e da
Valbona mena
gente, dove costeggia il Vicentino:
l'armi ha
dorate, ne l'insegna al vento
spiega un nero leon sovra l'argento.
18
Schinella e Ingolfo, onor di Casa
Conti,
gemelli e dal tiranno ambiduo amati,
da la Creola e da'
vicini monti
guidano dopo questi i lor soldati;
San Daniel,
Baone, e le due fronti
che toccano del ciel gli archi
stellati,
Venda e Rua, Montegrotto e Montortone
Gazzuolo e
Galzignano e Calaone.
19
Abano va con questi in una schiera
e quei
di Montagnon seco conduce.
L'aria e la terra affumicata e nera
di
sulfureo color gente produce.
Quivi l'orrendo albergo è di
Megera,
che di foco infernal tutto riluce,
e v'era Pietro
allor, co' fieri carmi
traeva i morti regni al suon de l'armi.
20
A liste di color vermiglio e bianco
segnata
de' due conti è la bandiera:
Nantichier di Vigonza è
loro al fianco,
e conduce con lui la terza schiera;
Vighezzolo
e Vigonza e Castelfranco
seco ha in armi e, di là da la
riviera
de la Brenta, le terre ove serpeggia
la Tergola e 'l
Muson fremendo ondeggia.
21
Camposanpier, Balò, Sala e
Mirano,
Strà, la Mira, Oriago, il Dolo e Fiesso,
Arin,
Caltana, Melareo, Stigliano,
e 'l popol di Bogione era con
esso.
Ne lo stendardo il cavalier soprano
l'antico segno ha di
sua schiatta impresso,
ch'una sbarra di vaio è per
traverso
in campo d'oro, e 'l fregio è bianco e perso.
22
Passa il quarto Inghelfredo, uomo che
nato
d'ignota stirpe e a ministerio indegno
da prima eletto, a
poco a poco alzato
s'è per occulte vie con cauto
ingegno.
Tesoriero fu dianzi, or è passato
a grado
militar piú illustre e degno:
ma superbo al sembiante e al
portamento,
sembra scordato già del nascimento.
23
Dichiarato è baron di Terradura,
e
la Battaglia va sotto il suo impero
dove fa risonar l'antiche
mura
l'incontro di due fiumi e 'l corso fiero:
tempestata di
gigli ha l'armatura,
e un levriere d'argento ha su 'l cimiero:
e
'l tiranno Ezzelin l'ha fatto duce
del patrimonio suo, ch'egli
conduce.
24
Le bandiere d'Onara e di Romano,
quelle di
Cittadella e Musolente
regge, e di Fontaniva e di Bassano
e de
la Bolzanella arma la gente.
Va con questi Campese a mano a
mano;
Campese la cui fama a l'occidente
e a' termini d'Irlanda
e del Cataio
stende il sepolcro di Merlin Cocajo,
25
latino autor di mantuani versi,
per cui la
donna sua Cipada agguaglia
e i monti di Cucagna e i rivi
tersi
levan la palma a quei de la Tessaglia.
Erano i Campesani
in Lete immersi,
or li solleva al ciel l'onda castaglia:
e
forse ancor su questi scartafacci
faran del nome lor diversi
spacci.
26
Brunor Buzzaccarini è il quinto, e a
gara
vanno seco Conselve e Bovolenta,
Are, Cona, Tribano e
l'Anguillara,
quei di Sarmasa e di Castel di Brenta,
di
Pontelungo e quei di Polverara,
dov'è il regno de' galli e
la sementa
famosa in ogni parte: e questa schiera
dogata a
verde e bianco ha la bandiera.
27
L'altra che segue, ove congiunte a
stuolo
vanno Pieve di Sacco e Saponara,
Montemerlo, Sanfenzo e
di Brazolo
la gente, e seco in un Camponogara,
San Bruson e
Cammin, guida un figliolo
de l'antico signor di Calcinara,
che
Franco Capolista è nominato,
e porta un cervo rosso in
campo aurato.
28
De la Riviera e de la Mandra ha
unite
ereditarie e bellicose genti;
quelle di Paluello
instupidite
furo ad armarsi allor sí negligenti,
ch'eran
le guerre già tutte finite
quando spiegaron la bandiera a i
venti:
onde i vicini lor ridono ancora
del soccorso che dier
que' sciocchi allora.
29
Con la settima squadra Aicardo
passa
Capodivacca, e seco ha Montagnana;
Monterosso e Zoone a
dietro lassa,
e guida Revolon, Torreggia e Urbana,
Meggiaino e
Merlara in parte bassa,
Luvigliano piú in alto a
tramontana,
Seivazzan, Saccolungo e Cervarese,
Saletto e Praia
e tutto quel paese.
30
Ma di Teolo la famosa insegna
fra l'altre a
grand'onor splender si vede;
Teolo ond'uscí già
l'anima degna
che 'l glorioso Livio al mondo diede.
Lo
stendardo vermiglio Aicardo segna
di tre spade d'argento; e in
guisa eccede
ogn'altro coll'altezza de le membra,
ch'eccelsa
torre in umil borgo ei sembra.
31
Vien poi Monselce, incontra l'armi e i
sacchi
securo già per frode e per battaglia,
sotto la
signoria d'Alviero Zacchi,
e 'l popol di Casale e di Roncaglia.
Ha
l'insegna costui dipinta a scacchi
azzurri e bianchi, e Gorgo e
Bertepaglia
e Corneggiana e Montericco ha drieto
e Carrara e
Collalta e Carpineto.
32
Il nono duce Ugon di Santuliana
de le
vicine ville avea la cura,
Terranegra conduce e Brusegana
dove
Antenore fe' le prime mura,
Villafranca, Mortise e Candiana,
San
Gregorio, Sant'Orsola e Cartura,
le Tombelle, Noventa e
Villatora,
ed altre terre che fioríano allora;
33
e de' vassalli suoi non poca parte,
ché
Pernumia e Terralba ei signoreggia
e 'l bel colle d'Arquà
poco in disparte,
che quinci il monte e quindi il pian
vagheggia;
dove giace colui, ne le cui carte
l'alma fronda del
sol lieta verdeggia,
e dove la sua gatta in secca spoglia
guarda
da i topi ancor la dotta soglia.
34
A questa Apollo già fe' privilegi
che
rimanesse incontro al tempo intatta,
e che la fama sua con vari
fregi
eterna fosse in mille carmi fatta:
onde i sepolcri de'
superbi regi
vince di gloria un'insepolta gatta.
Ugon su l'armi
e ne la sopraveste
un pardo d'oro e 'l campo avea celeste.
35
La squadra di Vicenza ultima guida
Naimiero
Gualdi, a la sembianza fuore
amico d'Ezzelin che se ne fida,
ma
non risponde a la sembianza il core.
Quel campo non avea scorta
piú fida,
d'ogni bellica frode era inventore;
ma facea
'l goffo, e si tenea col Papa,
e ne la finta insegna avea una
rapa.
36
Egli era un uom d'anni cinquantadui,
dotto
e faceto e con le guance asciutte,
solito sempre a dar la baia
altrui,
ché sapea tutti i motti di Margutte.
Gran turba
di villani avea con lui
con occhi stralunati e ciere
brutte,
ch'armati di balestre e ronche e scale
nati a posta
parean per far del male.
37
Valmarana, Arcugnan, Pilla e Fimone,
Sacco
e Spianzana guida; ove le chiome
de la Betia cantò su 'l
Bachiglione
Begotto e 'l volto e l'acerbette pome,
e dove la
sampogna di Menone
fe' risonar de la Tietta il nome;
e
Montecchio e la Gualda, Olmo e Cornetto,
e trenta ville e piú
di quel distretto.
38
Dopo l'ultime squadre il cavaliero
che
dovea comandar, solo veniva
sovra un baio corsier macchiato a
nero,
con armi di color di fiamma viva;
ondeggiava su l'elmo il
gran cimiero,
pompeggiando il caval se stesso giva,
e avea
dietro e dinanzi e d'ambo i lati
Greci per guardia e Saracini
armati.
39
Mentre s'armano questi a la vendetta
del
famoso figliol di Federico,
l'un campo e l'altro su 'l Panaro
aspetta
che stanco si ritiri il suo nemico.
Quinci e quindi si
veglia; e a la vedetta
stanno continue guardie a l'uso antico
con
archi e balestroni a canto a gli argini
che scopano del fiume i
nudi margini.
40
L'architetto maggior mastro Pasquino
fe'
molte botti empier di maccheroni,
altre di biscottelli, altre di
vino,
e ne formò ripari e bastioni;
onde i soldati
sempre a capo chino
stavano a custodir le guarnigioni,
fin ch'a
trattar del fin de le contese
furon per dieci dí l'armi
sospese.
41
Ed ecco comparir due ambasciatori,
l'un con
la veste lunga e incappucciato,
e l'altro in su le grazie e in su
gli amori
con la spada e 'l pugnal tutto attillato:
il primo è
del Collegio e de' Signori,
e 'l dottor Marescotti è
nominato;
il secondo di Rodi è cavaliero,
di Casa
Barzellin, detto frà Piero.
42
Questi venían per ritentar se
v'era
partito alcun di racquistar la Secchia,
avendo udito già
per cosa vera
che 'l Tiranno Ezzelin l'armi apparecchia.
Furo
onorati e si fermâr la sera,
né trattar piú de
la proposta vecchia;
ma di cambiar la Secchia in que'
baroni,
eccetto il Re, ch'essi tenean prigioni.
43
Il Potta, che 'l disegno a' cenni
intese,
rispose lor ch'era miglior riguardo
finir tutte le liti
e le contese,
e barattar la Secchia col Re sardo,
e 'l Duca di
Cremona e 'l Gorzanese
col signor di Faenza e con Ricciardo:
e
in questo si mostrò sí risoluto,
che d'ogn'altro
parlar fece rifiuto.
44
Gli ambasciatori, a' quali era
prescritto
quanto dovean trattar, spediro un messo,
ch'andò
dal campo a la città diritto
a ragguagliarne il Reggimento
stesso:
e in tanto il figlio di Rangone invitto
e 'l buon
Manfredi, a cui fu ciò commesso,
condussero a veder le lor
trinciere
gli ambasciatori, e l'ordinate schiere.
45
Menârgli a spasso poi dove
alloggiate
Renoppia le sue donne avea in disparte,
non quelle
tutte, che con lei passate
erano pria, ma la piú nobil
parte.
Stavano a' lor ricami intente armate
imitando Minerva in
ogni parte:
ma lasciar gli aghi e fêr venir in tanto
il
cieco Scarpinel con l'arpa e 'l canto.
46
Questi in diverse lingue era eloquente,
e
sapeva in ciascuna a l'improviso
compor versi e cantar sí
dolcemente,
ch'avrebbe un cor di Faraon conquiso.
L'arpa al
canto accordò subitamente;
e poiché fu d'intorno
ogn'un assiso,
col moto de la man ceffi alternando
incominciò
cosí tenoreggiando.
47
- Dormiva Endimion tra l'erbe e i fiori
stanco
dal faticar del lungo giorno,
e mentre l'aura e 'l ciel gli estivi
ardori
gli gían temprando e amoreggiando intorno,
quivi
discesi i pargoletti Amori
gli avean discinta la faretra e 'l
corno,
ch'a i chiusi lumi e a lo splendor del viso
fu loro di
veder Cupído aviso.
48
Sventolando il bel crine a l'aura
sciolto
ricadea su le guancie in nembo d'oro;
v'accorrean gli
Amoretti, e dal bel volto
quinci e quindi il partían con le
man loro;
e de' fiori onde intorno avean raccolto
pieno il
grembo, tessean vago lavoro,
a la fronte ghirlanda, al piè
gentile
e a le braccia catene, e al sen monile.
49
E talor pareggiando a l'amorosa
bocca o
peonia o anemone vermiglio,
e a la pulita guancia o giglio o
rosa,
la peonia perdea, la rosa e 'l giglio.
Taceano il vento e
l'onda, e da l'erbosa
piaggia non si sentía mover
bisbiglio;
l'aria e l'acqua e la terra in varie forme
parean
tacendo dire: "Ecco, Amor dorme".
50
Qual ne' celesti campi, ove il gran
toro
s'infiamma a i rai di luminose stelle,
sogliono sfavillar
con chioma d'oro
le figliole d'Atlante, alme sorelle;
ch'a la
maggiore e piú gentil di loro
brillando intorno stan
l'altre men belle:
tal in mezzo agli Amori Endimione
parea tra
l'erbe e i fior de la stagione.
51
Quando la bella Dea del primo cielo
tutta
cinta de' rai del morto sole,
a la scena del mondo aprendo il
velo
le campagne mirò tacite e sole;
e sparsa la rugiada
e scosso il gielo
dal lembo sovra l'erbe e le viole,
a caso il
guardo in quella piaggia stese,
e vaga di veder dal ciel discese.
52
Sparvero i pargoletti a l'apparire
de la
Dea spaventati; ed ella, quando
vide il giovane sol quivi
dormire,
ritenne il passo e si fermò guardando.
L'onestà
virginal frenò l'ardire:
e ne gli atti sospesa e
vergognando,
avea già per tornare il piè rivolto;
ma
richiamata fu da quel bel volto.
53
Sentí per gli occhi al cor passarsi un
foco
che d'un dolce desio l'alma conquise:
givasi avicinando a
poco a poco,
tanto ch'al fianco del garzon s'assise;
e di que'
vaghi fior, ch'avean per gioco
gli Amoretti intrecciati in mille
guise,
s'incoronò la fronte e adornò il seno,
che
tutti fur per lei fiamma e veleno.
54
Trassero i fior la man, la mano i baci
a le
guance, a le labbra, a gli occhi, al petto,
che s'impresser sí
vivi e sí tenaci,
che si destò smarrito il
giovinetto.
Al folgorar de le divine faci
tutto tremò di
riverente affetto;
e ad atterrarsi già ratto surgea,
s'ella
non l'abbracciava e nol tenea.
55
Anima bella, disse, e dormigliosa,
che
paventi? che miri? I' son la Luna
ch'a dormir teco in questa
piaggia erbosa
amor, necessità guida e fortuna.
Tu non
ti conturbar, siedi e riposa;
e nel silenzio de la notte
bruna
pensa occultar l'ardor ch'io ti rivelo,
o d'isperimentar
l'ira del cielo.
56
O pupilla del mondo, in cui la face
del sol
s'impronta, pastorello indegno
son io, disse il garzon: ma se ti
piace
trarmi per grazia fuor del mortal segno,
vivi sicura di
mia fé verace;
e questo bianco vel te ne sia pegno,
ch'a
mia madre Calice Etlio già diede
mio padre, in segno
anch'ei de la sua fede.
57
Cosí dicendo, un vel candido
schietto,
che di gigli di perle era fregiato,
e 'l tergo in un
gli circondava e 'l petto
giú da la spalla destra al manco
lato,
porse in dono a la Dea, ch'ogni rispetto
già
spinto avea del cor tutto infiammato,
e come fior che langue allor
ch'aggiaccia
si lasciava cader ne le sue braccia.
58
Vite cosí non tien legato e
stretto
l'infecondo marito olmo ramoso,
né con sí
forte e sí tenace affetto
strigne l'edera torta il pino
ombroso;
come strigneansi l'uno a l'altro petto
gli amanti
accesi di desio amoroso:
saettavan le lingue in tanto il core
di
dolci punte, che temprava Amore.
59
Cosí mentre vezzosi atti e
parole
guardi, baci, sospiri e abbracciamenti
facean dolcezze
inusitate e sole
a gli amanti gustar lieti e contenti;
levò
la diva l'uno e l'altro sole,
accusando le stelle e gli
elementi,
poiché con tanti e con sí lunghi
errori
seguite avea le fiere e non gli amori.
60
Misera me, dicea, quant'error presi
quel dí
ch'io presi l'arco e 'l bosco entrai!
quant'anni poscia ho
consumati e spesi,
che di ricoverar non spero mai!
o passi
erranti e vani e male intesi,
come al vento vi sparsi e vi
gettai!
quant'era meglio questi frutti corre,
ch'a rischio il
piè dietro a le belve porre!
61
Or conosco il mio fallo, e farne
ammenda
vorrei poter; ma il ciel non me 'l consente:
restami
sol che del futuro i' prenda
pensier, di cui mai piú non
sia dolente.
Però l'aria, la terra e 'l mare intenda
quel
che di terminar già fisso ho in mente,
e la legge, ch'io
fo, duri col sole
sovra me stessa e la femminea prole.
62
Io stabilisco che non copra il cielo,
ch'io
governo, mai piú femmina bella
(eccetto alcune poche ch'io
mi celo
che fien di me maggiori e d'ogni stella),
che sopporti
con casto e puro zelo
finir la vita sua d'amor ribella,
e che
stia intatta di sí dolce affetto,
se non mentitamente o al
suo dispetto. -
63
Volea l'orbo seguir, come dolente
tornò
la diva a la sua bella sfera:
se non che lo mirò di sdegno
ardente
Renoppia, e in voce minacciosa e altera,
- Accecato de
gli occhi e de la mente,
brutta effigie, gli disse, anima
nera,
va', canta a le puttane infame e sciocche
queste tue
vergognose filastrocche.
64
E se vuoi ch'io t'ascolti e che il tuo
canto
ritrovi adito piú per queste porte,
cantami di
Zenobia il pregio e 'l vanto
o di Lucrezia l'onorata morte. -
Il
cieco allor stette sospeso alquanto;
poscia in tuono di guerra
assai piú forte
l'amor di Sesto e gli empii spirti
ardenti
incominciò a cantar con questi accenti:
65
- Il Re superbo de' romani eroi
a la regia
di Turno il campo avea,
e con fanti e cavalli e servi e buoi
di
trinciere e di fosse ei la cingea.
Eran con lui tutti i figlioli
suoi:
e quivi si mangiava e si bevea
con gusto tal, che 'l dí
di san Martino
bebbero in sette un carratel di vino.
66
Finito il vin, nacque fra lor contesa
chi
avesse moglie piú pudica a lato:
e perch'ognun volea per la
difesa
combatter de la sua ne lo steccato,
per diffinir la
strana lite accesa,
di consenso commun fu terminato
di montar
su le poste allora allora,
e andarsene a chiarir senza dimora.
67
Non s'usavano allor staffe né selle:
e
quei signor con tanto vino in testa
correndo a lume di minute
stelle,
ebbero a rimaner per la foresta.
Chi perdé il
valigino e le pianelle,
chi stracciò per le fratte la
pretesta,
chi rese il vino per diversi spilli,
e chi arrivò
facendo billi billi.
68
Era con lor Tarquino Collatino
che la
moglie Lucrezia avea a Collazia:
ei non era fratel, ma
consobrino
e lor parente di cognome e grazia.
Tutti in corte
smontâr su 'l Palatino
e le mogli trovâr, per lor
disgrazia,
che foco in culo avean piú ch'un Lucifero
e
stavano ballando a suon di piffero.
69
Fecero una moresca a mostaccioni
la piú
gentil che mai s'udisse in corte;
e trovate al camin starne e
capponi,
verso Collazia ne portâr due sporte.
giunti
colà, di spranghe e di stangoni
d'ogni parte trovar chiuse
le porte;
e bussaron piú volte a l'aer bruno,
prima che
desse lor risposta alcuno.
70
Una schiavetta al fine in capo a
un'ora
affacciatasi a certe balestriere,
e spinto un muso di
lucerta fuora,
disse: Chi bussa là? Non c'è
messere.
C'è pur, rispose il Collatino allora,
venite a
basso e vel farem vedere.
Riconobbero i servi a quelle voci
il
padrone, e ad aprir corser veloci.
71
Lucrezia venne in sala ad incontrarlo
con
la conocchia senza servidori;
tutta lieta venía per
abbracciarlo,
ma vedendo con lui tanti signori,
trasse il
pennecchio, ché volea occultarlo,
e dipinse il bel volto in
que' colori
ch'abbelliscon la rosa, e fe' chiamare
le donne sue
che stavano a filare.
72
Di consenso comun la regia prole
diede il
vanto a costei di pudicizia.
Dormiron quivi, e a lo spuntar del
sole
ritornarono al campo e a la milizia.
Ma la bella sembianza
e le parole
rimasero nel cor pien di nequizia
del fiero Sesto,
un de' fratelli regi,
e le caste maniere e gli atti egregi.
73
Onde il dí quinto ripassando il
monte
tornò a Collazia sol, là dov'ella era;
e
giunto a l'imbrunir de l'orizonte,
disse ch'ivi alloggiar volea la
sera.
La bella donna, non pensando a l'onte
ch'ei preparava,
gli fe' lieta ciera;
la notte il traditor saltò del
letto,
e a la camera sua corse in farsetto.
74
E la porta gittò mezzo
spezzata,
entrando col pugnal ne la man destra:
quivi una
vecchia, che dormía corcata
in un letto di vinco e di
ginestra,
incominciò a gridar da spiritata,
ond'ei la
fe' balzar per la finestra;
ed a Lucrezia che facea
schiamazzo
disse: Mettiti giuso, o ch'io t'ammazzo.
75
A questo dir chinò Renoppia
bella
prestamente la man con leggiadria,
e si trasse di piede
una pianella;
ma l'orbo fu avvisato, e fuggí via.
S'alzaron
que' signor ridendo, ed ella
gli ringraziò di tanta
cortesia,
e con maniera signorile e accorta
gli andò ad
accompagnar fino a la porta.
CANTO NONO
ARGOMENTO
Melindo innamorato al ponte viene,
e tutti i cavalieri a
giostra appella.
Su l'isola incantata il campo tiene,
e fa
mostra di sé pomposa e bella.
Cadono i primi, e fan cader
le spene
a gli altri ancor di dirmanere in sella.
Al fin da un
cavalier non conosciuto
vinto è l'incanto, e 'l giovine
abbattuto.
1
Eran partiti già gli ambasciatori
venuti
a procurar la pace in vano;
però ch'insuperbiti i
vincitori
non si voleano il Re levar di mano;
e 'l Nunzio
anch'egli entrato era in umori
ch'ei si mandasse al gran Pastor
romano,
come in possanza di maggior nemico,
per piú
confusion di Federico.
2
Ma finita la tregua ancor non era,
quando
pel fiume in giú venne a seconda
una barchetta rapida e
leggiera,
che portava due araldi in su la sponda.
Giunti al
ponte, smontar su la riviera,
l'uno di qua, l'altro dí là
da l'onda:
e a giostra, poi che ne le tende entraro,
d'ambidue
i campi i cavalier sfidaro.
3
Contenea la disfida: - Un cavaliero,
per
meritar l'amor d'una donzella
c'ha sovra quante oggi n'ha il mondo
impero
in esser valorosa onesta e bella,
sfida a colpi di
lancia ogni guerriero
finché l'un cada e l'altro resti in
sella;
da l'abbattuto sol lo scudo ei chiede,
e 'l suo darà
se per fortuna cede. -
4
Accettâr la disfida i giostratori,
e
quinci e quindi ognun stè preparato
con pensier di dover
co' novi albori
del già cadente sol trovarsi armato.
Ma
la notte avea a pena i suoi colori
tolti a le cose e 'l mondo
attenebrato
spiegando intorno il taciturno velo,
ch'una tromba
s'udí sonar dal cielo.
5
Al fiero suon trecento schiere armârse
quinci
e quindi confuse e sbigottite,
quando nel fiume una gran nave
apparse,
che venía giú per l'onde intumidite,
e
tanti razzi e tanti fuochi sparse,
che tolse il vanto a la Città
di Dite.
Nave parea, ma in arrivando al ponte
isola apparve, e
la sua poppa un monte.
6
Orrido è il monte e di spezzati sassi,
e
signoreggia un praticello ameno
che lungo è intorno a
centoventi passi
e trenta di larghezza o poco meno;
la prora a
combaciar col ponte vassi,
e quivi una colonna al ciel
sereno
fiamme spargea con sí mirabil arte
ch'illuminava
intorno in ogni parte.
7
Da la colonna pende incatenato
un corno
d'oro, e dice una scrittura
di ch'era il marmo lucido
intagliato:
Suoni chi vuol provar l'alta ventura.
Piú in
alto sovra il corno era attaccato
un ricco scudo, in cui da la
scoltura
tolto era al puro argento il primo onore,
e scritto
avea di sopra: Al vincitore.
8
Avea l'egregio artefice ritratto
in esso la
battaglia di Martano
col signor di Seleucia; e stupefatto
parea
tutto Damasco al caso strano:
sta Griffone in disparte accolto in
atto
d'uom di dolore e di vergogna insano;
ride la corte,
Norandin si strugge,
ma il buon Martan facea come chi fugge.
9
Era coperto il pian di verde erbetta,
e la
riva di mirti ombrata intorno.
Smontâr molti guerrier ne
l'isoletta
passeggiando il pratel di fiori adorno,
ma poiché
la trovâr tutta soletta
trassero a gara a la colonna e al
corno:
e quivi infra di lor nacque contesa
chi dovesse primier
tentar l'impresa.
10
Giucaro al tocco, e sopra Galeotto
cadde la
sorte, il giovinetto ardito;
quegli il bel corno d'ôr prese
di botto,
e sonò sí ch'ognun ne fu stordito.
Tremò
l'isola tutta, e tremò sotto
il letto e l'onda, e tremò
intorno il lito:
sparve il foco ch'ardea, sparver le stelle,
e
perdé il ciel le sue sembianze belle.
11
E mentre ancor durava il gran
tremore,
ricoperse ogni cosa un nuvol denso,
e balenò
improviso, e a lo splendore
seguí uno scoppio orribile ed
immenso
che strignendo gli spirti e 'l sangue al core
fe'
rimanere ognun privo di senso;
e giú col tuono un fulmine
discese,
che percosse nel monte, e quel s'accese.
12
S'accese il monte, e tutto in fiamma viva
fu
convertito in un girar di ciglio,
e in mezzo de la fiamma ecco
appariva
mirabilmente un padiglion vermiglio.
Il nobil lin, di
cui già tele ordiva
l'antica età d'incombustibil
tiglio;
tal fra le pompe regie in oriente
fu visto rosseggiar
nel foco ardente.
13
Lasciò la fiamma il monte incenerito,
e
'l ciel tornò seren com'era pria;
e in tanto fu di cento
trombe udito
un misto suon di guerra e d'armonia.
Il lume
ritornò, ch'era sparito,
su la colonna; e 'l padiglion
s'apría,
e n'uscían cento paggi in bianca
vesta,
tutta di fiori d'ôr sparsa e contesta.
14
Bruni i fanciulli avean le mani e 'l viso,
e
parean tutti in Etiopia nati;
un poeta gli avrebbe a l'improviso
a
le mosche nel latte assomigliati.
Fuor di due porte il nero stuol
diviso
uscí con torce accese; e in ambo i lati
si
distinse con lunga e dritta schiera,
e lasciò vota in mezzo
una carriera.
15
Su l'altro capo intanto avea portato
copia
di lance un provido scudiero;
e Galeotto era comparso armato
con
sopravesta verde, armi e cimiero;
maneggiando un cavallo in Tracia
nato,
da tre piedi balzàn, di pelo ubero,
che
curvettando alzava da l'arena
al tocco de lo spron salti di
schiena.
16
Era ogni cosa in punto, e solamente
mancava
il cavalier de la ventura;
quando iterâr le trombe,
immantinente
uscí del padiglion su la pianura.
di bianca
sopravesta e rilucente
di gemme era vestito, e l'armatura
di
puro argento avea, bianco il cimiero,
ma nero piú che corvo
era il destriero.
17
Alta avea la visiera, e giovinetto
d'età
di sedici anni esser parea:
biondo era e bello e di gentile
aspetto,
e grazia in lui quell'abito accrescea.
Salutò
intorno ognun con grato affetto,
e 'l feroce destrier che sotto
avea,
su l'orme fe' danzar che pria distinse
col piè
ferrato, indi la lancia strinse.
18
Abbassò la visiera, e attese
intento
che la canora tromba il moto accenne;
ed ecco suona, e
come fiamma o vento
l'uno di qua l'altro di là se 'n
venne.
Scontrarsi a mezzo il campo, e rotte in cento
tronchi e
scheggie volâr le sode antenne,
gittò faville l'uno e
l'altro elmetto,
e Galeotto uscí di sella netto.
19
Vago di contemplar vista sí bella
stava
l'un campo e l'altro in ripa al fiume,
e le due podestà
sotto l'ombrella
miravano la giostra al chiaro lume.
Videro
Galeotto uscir di sella,
e vider l'altro con gentil
costume
stendere al fren la generosa mano
e tenergli il
destrier che gía lontano.
20
Galeotto confuso e vergognoso
lo scudo al
vincitor partendo cesse,
nel cui lembo dorato e luminoso
subito
il nome suo scritto si lesse.
In tanto un cavalier tutto
pomposo
d'azzurro e d'oro una gran lancia eresse,
e un leardo
corsier di chioma nera
spronò contra il campion de la
riviera.
21
Ruppe la lancia al sommo de lo scudo,
e fe'
i tronchi ronzar per l'aria scura;
ma fu colto da lui d'un colpo
crudo
che lo stese tra i fiori e la verdura:
cadde a pena, che
trasse il ferro ignudo
e volle vendicar sua ria ventura;
ma
l'altro si ritrasse, ed ecco un vento,
e fu ogni lume intorno a un
soffio spento:
22
e tremò l'isoletta, e fiamma
viva
vomitando e tonando a un tempo fuore,
quindi un gigante
orribile n'usciva
ch'a la terra ed al ciel mettea terrore;
questi
al guerrier che contra lui veniva
s'aventò dispettoso, e
con furore
lo ghermí come un pollo, e a spento lume
lui
col cavallo arrandellò nel fiume;
23
onde a fatica ei si salvò
notando:
restò lo scudo, e 'n lui si lesse: Irneo.
Allor
di nuovo l'isola tremando
s'aperse, e il gran gigante in sé
chiudeo:
e 'l chiaro lume, ch'era gito in bando,
tornò a
le torce spente e l'accendeo;
tacque il tremito e 'l vento: e
nuova giostra
chiamando, il cavalier fe' di sé mostra.
24
Il terzo giostrator fu Valentino,
che
passeggiando venne un destrier sauro:
e 'l quarto il valoroso
Giacopino
sopra un ginetto altier del lito mauro,
ch'avea
ferrato il piè d'argento fino
e sella e fren di perle
ornati e d'auro:
ma l'uno e l'altro uscí de
l'isoletta
senza lo scudo, e dileguossi in fretta.
25
Il quinto fu il signor di
Livizzano;
ch'innamorato di Celinda altera,
e per lei colto in
fronte e messo al piano,
ebbe a perir de la percossa fiera.
L'asta
rotta si fesse, e 'l colpo strano
fe' le scheggie passar per la
visiera;
ond'ei cadde trafitto il destro ciglio,
de l'occhio e
de la vita a gran periglio.
26
Il Potta rivoltato a Zaccaria
che gli sedea
vicin, disse: - Messere,
quest'è certo un incanto e una
malía
ognun quel cavalier farà cadere. -
Rispose
il vecchio allor: - Per vita mia
ch'a me l'istesso par, né
so vedere
che possan guadagnar questi briganti
a cozzar col
demonio e con gl'incanti;
27
però se stesse a me, farei divieto
che
nessuno de' miei con lui giostrasse. -
Prese il Potta il
consiglio, e fe' un decreto
che ne l'isola alcun piú non
entrasse,
e se ne stette poscia attento e cheto
mirando ciò
che l'inimico oprasse,
e vide due, vestiti a bruno ed
oro
appresentarsi co' cavalli loro.
28
L'un d'essi corse, e tócco a pena
fue
ch'uscí di sella e si distese al piano;
e pur
mostrava a le sembianze sue
d'esser di core indomito e di
mano.
Secondò l'altro, e per la groppa in giue
restò
cadendo al suo caval lontano.
Risorse il primo, e a quel de la
riviera
disse con voce e con sembianza altera:
29
- Guerrier, se tu non sei per via
d'incanto
prode con l'asta, or de l'arcion discendi
e con la
spada che tu cigni a canto
a trarmi in cortesia d'inganno
imprendi;
e s'hai timor di non turbar fra tanto
la giostra, a
tuo piacer pugna e contendi;
pur ch'io ti provi un colpo o due col
brando:
ecco lo scudo e piú non t'addimando. -
30
Rispose il cavalier de l'isoletta:
- A
dismontar sarei forse ubbligato,
s'a combatter per odio o per
vendetta
fossi venuto in questo campo armato.
A giostrar venni
e solo amor m'alletta,
e 'l mio disegno a tutti ho palesato:
sí
ch'io non son tenuto a uscir di questa,
per variar tenzone a tua
richiesta.
31
Ma perché non m'imputi a codardia
il
rifiutar la prova de la spada,
lasciami terminar l'impresa
mia,
poi ti risponderò come t'aggrada.
Lo scudo se 'l mi
chiedi in cortesia
io lo ti lascierò; per altra strada
non
ti pensar di ritenerlo, o ch'io
a tuo voler sia per cangiar desio.
-
32
- Il cangerai, soggiunse, al tuo dispetto,
-
l'altro guerrier, malvaggio incantatore. -
E del tronco de
l'asta in su l'elmetto
ferillo, e trasse a un tempo il brando
fuore;
tremò l'isola al colpo, e tremò il letto
del
fiume, e sparve tosto ogni splendore;
balenò il cielo, e
con orrendo scoppio
s'aprí la terra e n'uscí un fumo
doppio.
33
Sfavillò il fumo; ed ecco
immantenente
due tori uscir d'insolita figura
che con occhi di
foco e fiato ardente
parean seccare i fiori e la verdura.
S'uniro
i due guerrier, tratte repente
le spade, e non mostrâr di
ciò paura.
Vengono i tori, e l'uno e l'altro campo
trema
de gli occhi al formidabil lampo.
34
Il cavalier de l'isoletta s'era
tratto in
disparte a rimirar la guerra;
come saetta, l'una e l'altra
fera
col biforcuto piè trita la terra.
S'apre a l'arrivo
lor la coppia altera;
passa il corno incantato e non gli
afferra;
menano entrambi, e 'l taglio de la spada
par che su
lana o molle piuma cada.
35
Tornano i tori, e i cavalier rivolti
son
loro incontro e menano a la testa;
lampeggiaron le fronti ove fur
colti:
ma l'impeto e 'l furor per ciò non resta:
i
cavalier su 'l corno a forza tolti
fur portati nel fiume a gran
tempesta;
restar gli scudi, e scritti i nomi loro
Perinto e
Periteo ne gli orli d'oro.
36
Balzâr ne l'onda a precipizio i tori
co
i cavalieri; e quivi uscîr di vista:
si ravvivaro i soliti
splendori,
depose il ciel quella sembianza trista;
l'isoletta
cessò da' suoi tremori,
lieta tornando come prima in
vista;
e 'l cavalier che ritirato s'era,
tornò a
mettersi in capo a la carriera.
37
E nuova giostra in vano un pezzo
attese,
ch'ognuno era confuso e spaventato,
fin che dal ponte
un cavalier discese
maneggiando un corsier falbo dorato
che la
briglia d'argento e 'l ricco arnese
avea d'oro trapunto e
ricamato.
Questi in pensier di cambiar lancia venne,
e ne fe'
inchiesta, e la richiesta ottenne.
38
Diede il segno la tromba: e come vanno
per
gli campi de l'aria i lampi ardenti
ch'a terra e cielo e mar dar
luogo fanno
e portano con lor grandine e venti;
tal vannosi i
guerrier, con l'aste c'hanno
abbassate, a ferir gli elmi
lucenti.
Volâr le scheggie e le faville al cielo,
né
vi fu cor che non sentisse gielo.
39
Cozzarono i destrier fronte con fronte;
e
quel del cavalier de l'isoletta
lasciò col suo signor
l'altro in un monte,
e via dritto passò come saetta.
Tosto
risorse il cavalier del ponte
bramando far del suo caval
vendetta:
e a nuova lancia il giostrator richiese,
ed ei gli fu
di ciò molto cortese.
40
Venne un altro corsier di pel roano,
e su
montovvi il cavalier d'un salto;
sospese il fren con la sinistra
mano
e con lo sprone il fe' guizzare in alto;
e poiché
si rimise in capo al piano
lo sospinse di corso al fiero
assalto:
ma nell'incontro fu toccato a pena
che si trovò
rovescio in su l'arena.
41
Levossi e disse: - Ecco lo scudo mio,
ch'or
veggio che se' mago e incantatore,
né teco vo' né
col demonio rio
mettere in compromesso il mio valore:
forse
avverrà ch'ancor tu paghi il fio
per altre mani, e con tuo
poco onore,
del mal acquisto; or qui ti resta intanto
col
diavolo, ch'eletto hai per tuo santo. -
42
De l'isola partissi in questo dire,
e ne lo
scudo suo Tognon fu letto.
Dopo costui si vider comparire
due
cavalier di generoso aspetto
che 'l giostratore andarono a
ferire
l'un dopo l'altro con sembiante effetto:
rupper le lance
ne l'argento terso,
e l'uno e l'altro si trovò riverso.
43
Restar gli scudi, e Paolo e Sagramoro
ne
gli orli impressi. Indi a giostrar si mosse
sovra un corsier di
pel tra bigio e moro
un cavalier con piume bianche e rosse
e
sopravesta di teletta d'oro
ricamata a troncon di perle
grosse,
ch'una mano di paggi intorno avea
vestiti a
superbissima livrea.
44
Questi era un cavalier non piú
nomato,
figlio d'un romanesco ingannatore
che pria fu
rigattier, poi s'era dato
in Campo Merlo a far l'agricoltore,
e
'l grano e le misure avea falsato
tanto che divenuto era
signore;
e per aggiugner gloria al figlio altiero,
quivi dianzi
il mandò per venturiero.
45
Costui se 'n venía gonfio come un
vento,
teso ch'un pal di dietro aver parea:
fu conosciuto a
l'armi e al guarnimento
e a la superba sua ricca livrea.
Potrei
rassomigliarlo a piú di cento
di non forse inegual
prosopopea;
ma toccherei un mal vecchio decrepito,
e la
zerbineria farebbe strepito.
46
Ninfeggiò prima e passeggiò pian
piano,
poi maneggiò il destriero a terra a terra;
in fin
che si ridusse in capo al piano
dove s'avea da incominciar la
guerra.
Ecco la tromba; ecco con l'asta in mano
vien l'uno e
l'altro, e fa tremar la terra:
risonarono i lidi a le percosse;
né
a quell'incontro alcun di lor si mosse.
47
Fu il primo cavalier ch'in sella stette
contra
il campion mantenitor costui:
e ben maravigliar fe' piú di
sette
che non credean giammai questo di lui.
Il cavalier de
l'isola ristette
pensoso un poco, e favellò co' sui,
indi
a le mosse ritornando, fôro
lance piú sode
appresentate loro.
48
Ma come l'altre si fiaccaro e fero
salire i
tronchi a salutar le stelle:
piegossi l'uno e l'altro cavaliero
e
fur per traboccar giú de le selle.
Perdé le staffe
il romanesco altiero,
e vide l'armi sue gittar fiammelle;
ma
rinfrancossi al suon ch'intorno udiva
del nome suo da l'una e
l'altra riva.
49
Come si gonfia a l'Euro in un momento
il
Mar Tirreno, e sbalza e fortuneggia,
cosí il cor di costui
si gonfia al vento
del populare applauso, e ne folleggia:
va
tronfio e pettoruto, e bada intento
a i saluti, a gli sguardi, e
paoneggia;
e fatta c'ha di sé pomposa mostra,
nuova
lancia richiede e nuova giostra.
50
Fremean Perinto e Periteo di sdegno
che
durasse costui tanto in arcione;
quando diede la tromba il terzo
segno
da la parte che guarda il padiglione,
poser le lance i
cavalieri a segno,
e venner furiosi al paragone:
ma ne l'elmo
colpito, il romanesco,
finalmente caddé su l'erba al
fresco.
51
Di terra si levò tutto
arrabbiato;
trasse la spada e sbudellò il destriero,
come
fosse il meschin del suo peccato,
de la caduta sua l'autor
primiero:
indi al guerrier de l'isola voltato,
- Ti sarà,
disse, d'aspettar mestiero,
ch'uno scudo i' ti dia d'altro
lavoro;
ché questo i' nol darei per un tesoro. -
52
Sorrise il giostratore, e disse: - Questo
teco
giostrando ho vinto, e questo voglio.
Il mio val piú del
tuo, né saria onesto
che ti volessi anch'io cambiare il
foglio. -
Rispose il romanesco: - I' ti protesto
che lo
difenderò sí come i' soglio. -
E tratto il brando,
al solito costume
si scosse il suol, ma non si spense il lume.
53
E un asinello uscí, che due stivali
per
orecchie e una trippa avea per coda;
con l'orecchie fería
colpi mortali,
e la coda inzuppata era di broda:
terribil voce
avea, calci mortali,
la pelle d'un diamante era piú soda;
e
sempre che ferir potea d'appresso,
balestrava col cul pallotte a
lesso.
54
Parean polpette cotte ne l'inchiostro,
e
appestavano un miglio di lontano.
Titta di Cola s'affrontò
col mostro,
(che tal nomossi il cavalier romano),
e gli fu
d'altro che di perle e d'ostro
ricamato il vestito a piena
mano.
Egli del brando a quella bestia mena,
a segna il pelo ove
lo coglie a pena.
55
L'asino un par di calci gli appresenta,
indi
mena la coda agile e presta;
apre a un tempo la canna, e lo
sgomenta
co i ragli che tremar fan la foresta;
sbatte
l'orecchie, e di ferir non lenta
or le spalle, or i fianchi, ora
la testa;
volta la poppa e tuona, e a l'improviso
fulmina, e a
fresco gli dipinge il viso.
56
Il buon roman, che la tempesta sente,
getta
lo scudo ed a fuggir si pone:
rise il mantenitor dirottamente,
e
tornò in su le mosse al padiglione.
Ma già la notte
il carro a l'occidente
volgea, né compariva altro
campione:
ond'ei si chiuse ne la tenda, e 'n tanto
dieron
principio i galli al primo canto.
57
Il dí seguente il giostrator si
stette
nel padiglione, e non fe' mostra alcuna;
ma poi
ch'usciro i gufi e le civette
su per gli tetti a salutar la
luna,
a suon di trombe con nov'armi elette
anch'egli fe'
vedersi in veste bruna:
bruno il cimiero e bruno il
guarnimento,
ma bianco era il destrier piú che l'argento.
58
E i paggi, che servian per candelieri,
dove
dianzi parean de la Guinea,
parean scesi dal cielo angeli veri,
e
come i visi ancor cangiâr livrea.
Tutti comparver con
vestiti neri
in calze a tagli; onde a veder correa
con voglia
ingorda la milizia Tosca
tirata dal favor de l'aria fosca.
59
E 'l giovine Averardo, il qual non s'era
fin
allor visto appresentarsi in mostra,
fu il primo a comparir su la
riviera
e 'l primo a uscir di sella in quella giostra.
Diede lo
scudo e alzossi la visiera,
e si fermò nella fiorita
chiostra
a ragionar co' paggi e a fare inchiesta
del nome del
guerriero e di sua gesta.
60
Da molti lumi intanto accompagnata,
de
l'isola era uscita una donzella
in abito stranier candido
ornata,
e di maniere accorte e 'n viso bella:
e venne ove
Renoppia era attendata,
con due scudieri e con due paggi in
sella,
e gli acquistati scudi appresentolle,
e in nome del
guerrier poscia narrolle:
61
che la fama l'avea del suo valore,
quel dí
ch'armata in su la riva corse
e l'esercito ostil già
vincitore
sostenne, e mise la vittoria in forse,
quivi condotto
a far sol per suo amore
la bella giostra e in avventura a
porse;
onde chiedea che non s'avesse a sdegno
che gli scaldasse
il cor foco sí degno.
62
Vergognosa Renoppia e sdegnosetta:
-
Ruffianella mia, disse, a l'aria, a i venti
meco il vostro
guerrier l'arti sue getta,
ch'io non fui vaga mai
d'incantamenti.
Ma voi che siete bella e giovinetta,
e che con
lui vi state a lumi spenti,
perché lasciate voi che i premi
vostri
v'escan di mano e che per altra giostri? -
63
- Serva son io, rispose la donzella,
e
troppa per me fôra alta mercede;
possiede il mio signor
terre e castella,
né inchinerebbe a la mia sorte il piede.
-
Renoppia allora, astuta come bella:
- Se questo è,
soggiungea, fategli fede
ch'io mi chiamo ubbligata a quel
valore,
che mostra con la lancia in farmi onore.
64
E se ben forse avrei piú caro
avuto
ch'in soccorso de' nostri a vero marte
con l'armi per mio
amor fosse venuto
senza apparecchio alcun di magic'arte;
pur
l'affetto gradisco e lo saluto:
e questa gli darete da mia parte.
-
E di seno, a quel dir, senza intervallo
si trasse una
crocetta di cristallo,
65
dov'era un dente di san Gemignano,
e Papa
Onorio l'avea benedetta,
e finse porla a la donzella in mano,
che
la desse al guerrier de l'isoletta:
ma quella sparve come un sogno
vano
al subito toccar de la crocetta,
e sparvero con lei paggi
e scudieri,
e rimasero sol gli scudi veri.
66
Lesse i nomi Renoppia, e quelli rese
ch'esser
trovò de' cavalieri amici;
gli altri di ritener consiglio
prese
come spoglie e trofei de' suoi nemici.
Intanto il
giostrator seguía sue imprese
con gli usati successi ognor
felici:
quand'un guerriero ignoto in veste gialla
al ponte
capitò su una cavalla.
67
La lancia lunga piú d'ogn'altra
avea
due palmi, e una pantera in su l'elmetto:
ma sospeso venía
sí che parea
ch'andasse a quell'impresa al suo
dispetto.
Sonâr le trombe, e 'l suon che gli altri
fea
dentro brillar, fe' in lui contrario effetto:
corre, ma
sembra a i timidi atti fuore
portato dal destrier, non già
dal core.
68
Pur si ristrigne ne gli arcioni, e abbassa
la
lancia in su la resta, e gli occhi serra
in arrivando, e i denti
strigne, e passa
come chi va sol per vergogna in guerra:
e a
quell'incontro l'inimico lassa,
con maraviglia de' due campi in
terra.
Allor tutta s'udí quella riviera
gridar: - Viva
il campion de la pantera. -
69
Ed ei maravigliando al suon rivolto
vide
l'emulo suo giacer disteso:
onde di sé per allegrezza
tolto
fermossi a riguardar tutto sospeso.
Ma l'abbattuto, a
l'infiammato volto
mostrando il cor di fiero sdegno acceso,
ratto
risorse, e con un piè percosse
la terra e 'ntorno il pian
tutto si scosse:
70
e s'estinsero i lumi, e 'l padiglione
sparve
fra tuoni e lampi in un baleno,
e l'isoletta diventò un
barcone
colmo di stabbio, di fascine e fieno;
né
rimasero in esso altre persone
di tante, onde pur dianzi era
ripieno,
che 'l cavalier vittorioso e un nano
ch'avea uno scudo
e una lanterna in mano.
71
E lo scudo porgendo al cavaliere
- Questo è
il premio, dicea, del vincitore
tratto da la colonna, e in tuo
potere
lasciato al dipartir dal mio signore;
che per ragion di
cortesia ti chere
che, come l'hai de l'alto tuo valore,
cosí
ti piaccia ancor farlo avisato
del nome e de la patria onde se'
nato. -
72
Ringalluzzossi il cavaliero e al nano
rispose:
- Al tuo signor riferir puoi
che la mia stirpe vien dal lito
ispano,
ed è famosa oltre i confini eoi.
Quel Don
Chisotto in armi sí sovrano,
principe de gli erranti e de
gli eroi,
generò di straniera inclita madre
don
Flegetonte il bel, che fu mio padre.
73
Questi in Italia poscia ebbe domíno
e
si fe' in ogni parte memorando;
solo a la gloria sua mancò
Turpino
che scrivesse di lui come d'Orlando:
eroe non
l'agguagliò né paladino,
e sol cedé al valor
di questo brando;
e perché cosa occulta non rimagna,
digli
ch'io sono il conte di Culagna.
74
Ma poi ch'ho soddisfatto al tuo desío
e
t'ho dato di me notizia intera,
resta ch'ancor tu soddisfaccia al
mio
in dirmi il nome e la sua stirpe vera. -
Rispose il nano: -
Informerotti anch'io
di quel che brami, usciam de la riviera
ché
tanti cavalier che colà vedi
bramano anch'essi quel che tu
mi chiedi. -
75
Giunser del fiume in su la destra sponda
dove
molti guerrier facean soggiorno;
che, subito che 'l nano uscí
de l'onda,
gli furon tutti a interrogarlo intorno.
Egli che
lingua avea pronta e faconda,
fermando il piede: - A voi, disse,
ritorno
per sodisfare a la comune voglia:
state or a udir, né
alcun di me si doglia.
76
Poi che de la città cacciati foro
gli
Aigoni dal furor de' Ghibellini,
e 'l conte di Vallestra capo
loro
uscí con gli altri anch'ei fuor de' confini,
trovò
per arte magica un tesoro,
e fe' ne' monti al suo castel
vicini
una grotta incantata, ove gran parte
del tempo stassi
esercitando l'arte.
77
Quivi un figliol di tenerella etate
ch'unico
egli ha, detto Melindo, e' tiene;
le cui maniere nobili e
lodate
destan nel vecchio padre amor e spene.
Questi, uditi i
costumi e la beltate
e 'l valor che mostrò su queste
arene
una donzella in questo proprio loco,
arse per lei
d'inestinguibil foco;
78
e con prieghi e sospir dal padre ottenne
di
comparire a far qui di sé mostra;
onde su l'isoletta in
campo venne
armato a mantener la bella giostra.
Ma il timoroso
vecchio, a cui sovvenne
l'età ineguale a la possanza
vostra,
fece un incanto ch'esser perditore
per forza non potea
né per valore.
79
Fu l'incanto ch'ei fe' con tal riguardo
che
non potea cader Melindo a terra,
se non venía un guerrier
tanto codardo
che non trovasse paragone in terra;
e quanto piú
l'incontro era gagliardo,
tanto meglio il fanciul vincea la
guerra;
come il ferir del fulmine che spezza
con piú
furor dov'è maggior durezza.
80
L'aste, il cavallo e l'armi onde guernito
era
il fanciul, tutte incantate avea:
e chi traea la spada era
spedito,
ché de l'isola a forza uscir dovea.
Il cambiar
lancia era miglior partito;
ma non per questo il cavalier
vincea,
se non era di forza e di valore
piú d'ogn'altro
a Melindo inferiore. -
81
Qui tacque il nano: e 'n giubilo fu volto
de
gli abbattuti il mal concetto sdegno.
Ma il conte di Culagna
increspò il volto,
e ritirando il passo e d'ira
pregno
trasse la spada, e a quel piccin rivolto
che di timore
alcun non facea segno
- Tu menti, disse, menzognier villano,
e
te lo manterrò con questa in mano.
82
Tu vorresti macchiar la mia vittoria;
ma
non la macchierai, brutto scrignuto,
ché già nota
per tutto è la mia gloria,
né scusa ha il tuo signor
vinto e abbattuto. -
Non volle il Nano entrar seco in istoria;
ma
fatto a que' signori umil saluto,
al conte che seguiva il suo
costume
rispose: - Buona notte - e spense il lume.
CANTO DECIMO
ARGOMENTO
A Napoli se 'n va la Dea d'amore,
e 'l principe Manfredi a
l'armi accende.
Al conte di Culagna infiamma il core
Renoppia,
che di lui gioco si prende.
E d'uccider la moglie entra in
umore
con veleno, e sé stesso incauto offende.
Fugge la
moglie al campo, e si procaccia
d'amante, e fagli al fin le corna
in faccia
1
Il carro de la Notte era già fuora
del
cerchio che divide Africa e Spagna,
e non dormiva e non posava
ancora
il glorioso conte di Culagna.
Va tra sé
rivolgendo ad ora ad ora
con quant'onore in campo egli
rimagna,
poiché mercé di sua felice
stella
l'incantato guerrier tratto ha di sella.
2
Quindi pensando a la cagion che spinto
Melindo
avea su 'l favoloso legno,
pargli non pur del ricco scudo
vinto,
ma de la bella donna esser piú degno.
Gli
somministra il naturale istinto
e la ragion del suo elevato
ingegno,
che poiché 'l campo il cavalier gli
cede,
d'ogn'onor, d'ogni premio il lascia erede.
3
E su questo pensier vaneggia in guisa,
che
di Renoppia già si finge amante,
e le bellezze sue fra sé
divisa
cupidamente, e n'arde in un istante.
Or ne' begli occhi
suoi tutto s'affisa,
or ne gli atti leggiadri, or nel sembiante;
e
come lusingando il va la speme,
or gioisce, or sospira, or brama,
or teme.
4
Moglie giovane e bella ei possedea,
ma ogni
pensier di lei se n'è fuggito;
e in questo nuovo amor
s'interna e bea
tanto, che pargli il ciel toccar col dito.
Cosí
la carne già ch'in bocca avea
su 'l fiume il can d'Esopo,
un dí schernito
lasciò cader nel fuggitivo
umore,
per prender l'ombra sua ch'era maggiore.
5
Tutta la notte andò girando il conte
le
piume, senza mai prender riposo;
e Febo già con
l'infiammata fronte
rimovendo dal ciel l'aer ombroso,
colta
l'Aurora avea su l'orizonte
ignuda in braccio al suo Titon
geloso;
ond'ella rossa in volto, alzando il petto
con la
camicia in man fuggia del letto.
6
Quand'il conte levato anch'egli mosse
colà
dove Renoppia era attendata,
cantando a l'improviso a note
grosse
sopra una chitariglia discordata:
e giudicando che la
lingua fosse
di gran momento a intenerir l'amata,
s'affaticava
in trovar voci elette
di quelle che i Toscan chiamano prette.
7
- O, diceva, bellor de l'universo,
ben
meritata ho vostra beninanza;
ché 'l prode battaglier cadde
riverso,
e perdé l'amorosa e la burbanza.
Già
l'ariento del palvese terso
non mi brocciò a pugnar per
desianza;
ma di vostra parvenza il bel chiarore,
sol per
vittoriare il vostro quore. -
8
Cosí cantava il conte innamorato
a
lei che del suo amor fra sé ridea.
Ma Venere fra tanto in
altro lato
le campagne del mar lieta scorrea:
un mirabil
legnetto apparecchiato
a la foce de l'Arno in fretta avea;
e
movea quindi a la riviera amena
de la real città de la
Sirena,
9
per incitar il Principe novello
di Taranto
ad armar gente da guerra,
e liberar di prigionia il fratello
che
chiuso sta ne la nemica terra.
Entra ne l'onda il vascelletto
snello,
spiega la vela un miglio o due da terra;
siede in poppa
la Dea, chiusa d'un velo
azzurro e d'oro a gli uomini ed al cielo.
10
Capraia adietro e la Gorgona lassa,
e
prende in giro a la sinistra l'onda;
quinci Livorno, e quindi
l'Elba passa
d'ampie vene di ferro ognor feconda;
la distrutta
Faleria in parte bassa
vede, e Piombino in su la manca
sponda,
dov'oggi il mare adombra il monte e 'l piano
l'aquila
del gran re de l'Oceàno.
11
Tremolavano i rai del sol nascente
sovra
l'onde del mar purpuree e d'oro;
e in veste di zaffiro il ciel
ridente
specchiar parea le sue bellezze in loro:
d'Africa i
venti fieri e d'Oriente
de le fatiche lor prendean ristoro;
e
co' sospiri suoi soavi e lieti
sol Zefiro increspava il lembo a
Teti.
12
Al trapassar de la beltà divina
la
Fortuna d'amor passa e s'asconde.
L'ondeggiar de la placida
marina
baciando va l'inargentate sponde.
Ardon d'amore i pesci,
e la vicina
spiaggia languisce invidiando a l'onde;
e stanno
gli amoretti ignudi intenti
a la vela, al governo, a i remi, a i
venti.
13
Quinci e quindi i delfini a schiere a
schiere
fanno la scorta al bel legnetto adorno;
e le ninfe del
mar pronte e leggiere
corron danzando e festeggiando intorno.
Vede
l'Umbrone ove sboccando ei père
e l'isola del Giglio a
mezzogiorno;
e in dirupata e ruinosa sede
monte Argentaro in
mezzo a l'onde vede.
14
Quindi s'allarga in su la destra mano,
e
lascia il porto d'Ercole a mancina;
vede Civitavecchia, e di
lontano
biancheggiar tutto il lido e la marina.
Giaceva allora
il porto di Traiano
lacero e guasto in misera ruina;
strugge il
tempo le torri e i marmi solve
e le machine eccelse in poca polve.
15
Già la foce del Tebro era non
lunge,
quando si risvegliò Libecchio altiero
che 'n
Libia regna, e dove al lido giunge,
travalca sopra il mar superbo
e fiero:
vede l'argentea vela, e come il punge
un temerario suo
vano pensiero,
vola a saper che porti il vago legno,
e intende
ch'è la Dea del terzo regno.
16
Onde orgoglioso, e come invidia il muove,
a
Zefiro si volge e grida: - O resta,
o io ti caccierò nel
centro dove
non ardirai mai piú d'alzar la testa.
A te
la figlia del superno Giove
non tocca di condur: mia cura è
questa,
va' tu a condur le rondini al passaggio,
e a far
innamorar gli asini il maggio. -
17
Zefiro, ch'assalito a l'improviso
da
l'emulo maggior quivi si mira,
ne manda in fretta al suo fratello
aviso,
che su l'Alpi dormiva, e 'l piè ritira:
corre
Aquilon, tutto turbato in viso,
ch'ode l'insulto, e freme di
tant'ira
che fa i tetti cader, gli arbori svelle,
e la rena del
mar caccia a le stelle.
18
Libecchio che venir muggiando insieme
i due
fratelli di lontano vede,
si prepara a l'assalto, e già non
teme
del nemico furor, né il campo cede:
tutte raguna le
sue forze estreme,
e dal lido african sciogliendo il piede,
chiama
in aiuto anch'ei di sua follía
Sirocco regnator de la
Soria.
19
Vien Sirocco veloce, onde s'accende
una
fiera battaglia in mezzo a l'onde.
Si turba il ciel, si turba
l'aria, e stende
densa tela di nubi e 'l sol nasconde:
fremono
i venti e 'l mar con voci orrende,
risonano percosse ambe le
sponde:
e par che muova a' suoi fratelli guerra
l'ondoso
scotitor de l'ampia terra.
20
Si spezzano le nubi e foco n'esce
che
scorre i campi del celeste regno:
il foco e l'aria e l'acqua e 'l
ciel si mesce;
non han piú gli elementi ordine o
segno;
s'odono orrendi tuoni, ognor piú cresce
de' fieri
venti il furibondo sdegno,
increspa e inlividisce il mar la
faccia
e l'alza contra il ciel che lo minaccia.
21
Già s'ascondeva d'Ostia il lido
basso,
e 'l Porto d'Anzio di lontan surgea,
quando sentí
il romor, vide il fracasso
che 'l ciel turbava e 'l mar, la bella
Dea:
vide fuggirsi a frettoloso passo
le Ninfe dal furor de la
marea;
onde tutta sdegnosa aperse il velo
e dimostrò le
sue bellezze al cielo.
22
E minacciando le tempeste algenti
e le
procelle e i turbini sonanti,
cacciò del ciel le nubi, e
gli elementi
tranquillò co' begli occhi e co'
sembianti.
Corsero tutti ad inchinarla i venti
a le minacce sue
cheti e tremanti;
ella in Libecchio sol le luci affisse,
e
mordendosi il dito irata disse:
23
- Moro, can, senza legge e senza
fede,
t'insegnerò, con queste tue contese,
come si
tratta meco e si procede,
e ti farò tornare in tuo paese.
-
Quel s'inginocchia e bacia il divin piede
chiede perdon de
l'impensate offese;
e fa partendo in Africa passaggio:
segue la
navicella il suo viaggio.
24
Le donne di Nettun vede su 'l lito
in gonna
rossa e col turbante in testa:
rade il porto d'Astura, ove
tradito
fu Corradin ne la sua fuga mesta:
or l'esempio crudele
ha Dio punito
ché la terra distrutta e inculta
resta;
quindi Monte Circello orrido appare
col capo in cielo e
con le piante in mare.
25
S'avanza, e rimaner quinci in disparte
vede
Ponzia diserta e Palmarola,
che furon già de la città
di Marte
prigioni illustri in parte occulta e sola.
Varie torri
su 'l lido erano sparte:
la vaga prora le trascorre e vola;
e
passa Terracina, e di lontano
vede Gaeta a la sinistra mano.
26
Lascia Gaeta, e su per l'onda corre
tanto
ch'arriva a Procida e la rade,
indi giugne a Puzzòlo, e via
trascorre,
Puzzòlo che di solfo ha le contrade;
quindi
s'andava in Nisida a raccorre,
e a Napoli scopría l'alta
beltade:
onde dal porto suo parea inchinare
la Regina del mar,
la Dea del mare.
27
Da Nisida la Dea spedisce un messo
al
principe Manfredi, e 'n terra scende;
e cangia volto, e 'l bel
sembiante espresso
de la contessa di Caserta prende.
Il
principe e costei d'un padre stesso
nacquero, se la fama il vero
intende,
ma di madri diverse, e fur nudriti
per alcun tempo in
differenti liti.
28
Condotti in corte poi fanciulli ancora
ne
l'albergo real crebbero insieme
senza riguardo, in fin che venne
l'ora
che 'l fior di nostra età spunta col seme;
erano
gli anni quasi uguali, e allora
de l'uno e l'altro le bellezze
estreme;
onde il fraterno amor, non so dir come,
strano
incendio divenne e cangiò nome.
29
Sospettonne osservando i gesti e i visi
il
padre, e maritò la giovinetta:
ma i corpi fur, non gli
animi divisi,
e restò l'alma in servitú
ristretta.
Or che vede venir con lieti avisi
Manfredi il
messaggier da l'isoletta,
cuopre la poppa d'una navicella,
e
solo e chiuso va da la sorella.
30
Trovolla a piè d'una distrutta
ròcca,
che passeggiava in un giardino ameno.
Subito
scende; e, come Amore il tocca
corre e l'abbraccia e la si strigne
al seno,
e la bacia ne gli occhi e ne la bocca,
e da la Dea
d'amor tanto veleno
con que' baci rapisce e tanto foco,
che
tutto avvampa e non ritrova loco.
31
Volea iterar gli abbracciamenti e i baci,
ma
con la bella man la Dea s'oppose,
e respignendo l'avide e
mordaci
labbia, si tinse di color di rose.
- Frenate, signor
mio, le mani audaci
e le voglie, dicea, libidinose;
ché
non son questi a gli andamenti, a i cenni
baci fraterni, e udite
perch'io venni. -
32
Il principe ristette: ed ella, poi
che
d'Enzio il fiero caso ebbe narrato,
ch'estinto il fior de'
cavalieri suoi
prigioniero pugnando era restato,
le lagrime
asciugando: - Or, disse, a voi
che mio padre in sua vece ha qui
lasciato,
tocca mostrar, s'in voi non mente il sangue,
che la
destra di Svevia ancor non langue.
33
Voi che reggete il fren di questo regno
potete
vendicar di nostro padre
e di nostro fratel l'obbrobrio
indegno,
armando in terra e in mar diverse squadre.
Né
già piú glorioso o bel disegno,
né piú
famose prove e piú leggiadre
poteva in terra o in mar da
parte alcuna
al valor vostro appresentar fortuna.
34
Io, se non fossi donna, andrei con questa
mano
a spianar le temerarie mura;
né vorrei che giammai l'iniqua
gesta
si vantasse d'aver parte sicura,
se prima non venisse in
umil vesta
con una fune al collo o la cintura
a chiedermi
perdono e a consegnarmi
il mio fratello e la cittade e l'armi.
35
Ah Dio! perché fui donna, o non usai
a
l'armi, al sangue anch'io la destra molle? -
Qui sfavillò
di sí cocenti rai,
che trafisse il meschin ne le
midolle.
Trema il cor come fronda; e tutto omai
fuor di
ghiaccio rassembra e dentro bolle:
vorría stender la man,
vorría rapire;
ma un segreto terror smorza l'ardire.
36
Al fin con voce tremula risponde:
- Sorella
mia, reina mia, Dea mia,
andrò nel foco, andrò per
mezzo a l'onde,
e nel centro per voi, s'al centro è via.
Lo
scettro di mio padre in queste sponde,
con libero voler, tutto ho
in balía:
disponetene voi come v'aggrada,
ché
vostro è questo core e questa spada. -
37
Cosí dicendo apre le braccia e
crede
strigner de la sorella il vago petto:
ma l'amorosa Dea
che 'l rischio vede,
subito si ritira e cangia aspetto.
Ne la
forma immortal sua prima riede;
e alzandosi ne l'aria, al
giovinetto
versa, al partir, dal bel purpureo grembo
sopra di
rose e d'altri fiori un nembo.
38
- O bellezza del ciel viva immortale,
dove
fuggi da me? perché mi lassi?
Né mi concedi almen,
che in tanto male
io possa in te sbramar quest'occhi lassi? -
Cosí
parlava il giovane reale;
e intanto rivolgea gli afflitti passi
a
l'onda giú dove l'attende il legno,
disegnando d'armar
tutto quel regno.
39
Ma il conte di Culagna avendo intanto
vista
Renoppia uscir del padiglione,
rassettato il collar, la barba e 'l
manto
e tiratosi in fronte un pennacchione,
l'era gita a
incontrar da un altro canto,
salutandola quasi in
ginocchione;
ond'ella instrutta di sue degne imprese
l'avea
chiamato a sé tutta cortese.
40
E avendo il suo valor molto esaltato,
la
dispostezza e 'l fior de l'intelletto,
giurato avea di non aver
trovato
chi piú paresse a lei degno suggetto
de l'amor
suo, quand'ei non fosse stato
in nodo marital congiunto e
stretto:
onde il burlar de la donzella avía
posto il
meschino in strana frenesia.
41
Trovollo Titta in un solingo piano
ch'ei
passeggiava a l'ombra d'una noce,
e gía fra sé con
la corona in mano
parlando, a passo or lento, ora veloce.
Come
egli vide il cavalier romano,
gli si fece a l'orecchia, e a mezza
voce
- Frate, gli disse, per uscir di doglie
io son forzato
avvelenar mia moglie.
42
A me certo ne spiace in infinito,
ma cosí
porta la crudel mia stella. -
Quindi gli narra quanto era
seguito,
e quel che detto gli ha Renoppia bella.
Mostra di
rimaner Titta stupito,
e lo chiama felice in sua favella:
-
Conte, tu se' nu Papa, e t'aio detto
che no' ce che te pozza stare
a petto. -
43
Gli va poscia di bocca ogni pensiero
cacciando
a poco a poco, e lo millanta:
ed ei, com'è di cor pronto e
leggiero,
si ringalluzza e si dimena e canta.
Gli scuopre de
l'interno il falso e 'l vero,
e del disegno rio si gloria e
vanta.
Nota Titta ogni cosa, e lo conforta
ch'alcun non saprà
mai chi l'abbia morta.
44
Era Titta per sorte innamorato
de la moglie
del conte, e mentre fue
ne la città, con atti a lei
mostrato
l'avea e con voci a le serventi sue.
Or che si vede il
modo apparecchiato
di far che resti il mal accorto un bue,
scrive
il tutto a la donna, e in che maniera
il pazzo rio d'attossicarla
spera.
45
Lo ringrazia la donna, e cauta osserva
gli
andamenti del conte in ogni parte,
e informa del periglio ogni sua
serva,
perché sieno a guardarla anch'esse a parte.
Il
conte, fisso già ne la proterva
sua voglia, tratto avea
solo in disparte
il medico Sigonio, e in pagamento
offertogli
in buon dato oro ed argento,
46
se gli prepara un tossico provato,
cui
rimedio non sia d'alcuna sorte:
dicendo che di fresco avea
trovato
la moglie che gli fea le fusa torte,
e ch'avea risoluto
e terminato
di darle di sua man condegna morte.
Lungamente
pregar si fe' il Sigonio,
e al fin gli diè una presa
d'antimonio.
47
Per tossico se 'l piglia il conte; e passa
a
Modana improviso una mattina;
saluta la moglier che non si
lassa
conoscer sospettosa, e gli s'inchina.
Va scorrendo la
casa e al fin s'abbassa,
per dispensare il tossico, in cucina;
ma
la trova guardata in tal maniera
che non sa come fare, e si
dispera.
48
Torna a salir su per l'istessa scala
tutto
affannato e conturbato in volto:
e aspetta fin che sian portati in
sala
i cibi, e su la mensa il pranzo accolto.
Allora corre, e
la minestra sala
de la moglier col cartoccin disciolto,
fingendo
che sia pepe, e a un tempo stesso
scuote la peparola ch'avea
appresso.
49
La cauta moglie e sospettosa viene,
e
mentre ch'ei le man si lava e netta,
gli s'oppone co' fianchi e
con le rene,
e la minestra sua gli cambia in fretta:
mostra che
s'è lavata, e siede e tiene
l'occhio pronto per tutto, e
non s'affretta
a mettersi vivanda alcuna in bocca
che non abbia
il marito in prima tocca.
50
Il conte in fretta mangia e si diparte,
ché
non vorria veder la moglie morta.
Vassene in piazza ov'eran genti
sparte
chi qua, chi là, come ventura porta.
Tutti, come
fu visto, in quella parte
trassero per udir ciò ch'egli
apporta.
Egli cinto d'un largo e folto cerchio
narra fandonie
fuor d'ogni superchio.
51
E tanto s'infervora e si dibatte
in quelle
ciance sue piene di vento,
ch'eccoti l'antimonio lo combatte
e
gli rivolta il cibo in un momento.
Rimangono le genti
stupefatte;
ed egli vomitando, e mezzo spento
di paura, e
chiamando il confessore,
dice ad ognun ch'avvelenato more.
52
Il Coltra e 'l Galiano, ambi speziali,
correan
con mitridate e bollarmeno,
e i medici correan con gli orinali
per
veder di che sorte era il veleno.
Cento barbieri e i preti co i
messali
gl'erano intorno e gli scioglieano il seno,
esortandolo
tutti a non temere
e a dir devotamente il Miserere .
53
Chi gli ficcava olio o triaca in gola,
e
chi biturro o liquefatto grasso;
avea quasi perduta la parola,
e
per tanti rimedi era già lasso:
quand'ecco un'improvisa
cacarola
che con tanto furor proruppe a basso,
che l'ambra
scoppiò fuor per gli calzoni
e scorse per le gambe in su i
taloni.
54
- O possanza del ciel, che cosa è
questa?
disse un barbier quando sentí l'odore;
questo è
un velen mortifero ch'appesta,
io non sentii giammai puzza
maggiore.
Portatel via, che s'egli in piazza resta,
appesterà
questa città in poche ore. -
Cosí dicea, ma tanta
era la calca,
ch'ebbe a perirvi il medico Cavalca.
55
Come a Montecavallo i Cardinali
vanno per
la lumaca a concistoro
stretti da innumerabili mortali
per
forza d'urti e con poco decoro;
cosí i medici quivi e gli
speziali
non trovando da uscir strada né fòro,
urtati
e spinti, senza legge e metro
facean due passi innanzi e quattro
indietro.
56
Ma poiché l'ambracane uscí del
vaso
e 'l suo tristo vapor diffuse e sparse;
cominciò in
fretta ognun co' guanti al naso
a scostarsi dal cerchio e a
ritirarse;
e abbandonato il conte era rimaso,
se non ch'un
prete allor quivi comparse,
ch'avea perduto il naso in un
incendio,
né sentia odore; e 'l confessò in
compendio.
57
Confessato che fu, sopra una scala
da
piuoli assai lunga egli fu posto,
e facendo a quel puzzo il popol
ala,
il portâr due facchini a casa tosto:
quivi il posaro
in mezzo de la sala,
chiamaro i servi, e ognun s'era
nascosto;
fuor ch'una vecchia, che v'accorse in fretta
con un
zoccolo in piede e una scarpetta.
58
Già pria la nuova in casa era
venuta
che 'l conte si moriva avvelenato:
onde la moglie
accorta e proveduta
aveva in fretta il suo destrier sellato:
e
in abito virile e sconosciuta
con un cappello in testa da
soldato
tacitamente già s'era partita,
e a trovar Titta
al campo era fuggita.
59
A cui fatto saper con lieto aviso
che
l'attendea del conte un paggio in sella
per cosa di suo gusto, a
l'improviso
l'avea fatto venir dove stav'ella.
Com'egli alzò
le luci al vago viso,
tosto conobbe la sua donna bella,
onde
s'avventa, e de l'arcion la prende,
e la si porta in braccio a le
sue tende.
60
E baciandola in bocca avidamente
or la
strigne or la morde or la rimira;
ed ella in lui, fra cupida e
dolente,
le belle luci sue languida gira.
Parve l'atto ad alcun
poco decente
che l'ebbero per maschio a prima mira:
né
distinguendo ben dal pèsco il fico,
dicevano di lui quel
ch'io non dico.
61
Stette tutto quel giorno il conte in
letto,
tutta la notte e la seguente ancora,
sempre con gran
timor, sempre in sospetto
di doversi morire ad ora ad
ora:
ond'ebbero gli amanti agio a diletto
di star anch'essi e
l'una e l'altra aurora,
giunti a goder de le sciocchezze
sue,
discorrendo fra lor com'ella fue.
62
Già Titta dal Sigonio intesa avea
la
beffa del veleno, e l'avea detta
a la donna gentil che ne ridea
e
godeva fra sé de la vendetta,
disegnando di star, s'ella
potea,
col nuovo amante e non mutar piú detta:
poiché
questa le par tanto sicura
che sarebbe pazzia cangiar ventura.
63
Ma il conte poi che fu certificato
dal
collegio de' medici ch'egli era
fuor di periglio, a la campagna
armato
uscí per ritrovar la sua mogliera.
Al campo
venne: e quivi indizio dato
gli fu del suo caval da la sua
schiera,
cui sopra un giovinetto era venuto,
né l'un né
l'altro piú s'era veduto.
64
Il conte di trovarlo entra in pensiero,
e
vuol saper chi 'l giovinetto sia;
e promette gran premio a chi
primiero
indizio gli ne porta o gli ne invia.
La mattina
seguente uno scudiero
gli dice che 'l caval veduto avía
ne
le tende di Titta, e 'l premio chiede,
ma il conte ride e 'l suo
parlar non crede.
65
E manda un uomo suo, ch'a Titta dica
quel
che gli fa saper l'accusatore.
Giura Titta che questa è una
nemica
fraude per sciorre un sí leale amore:
ma fra
tanto si studia e s'affatica
di far tignere il pel del
corridore
con un color di sandali alterato,
e di leardo il fa
sauro bruciato.
66
Poi chiama il conte, e fa vedergli in
prova
tutti i cavalli suoi cosí al barlume.
Il conte che
'l candor del suo non trova
e che di Titta ciò mai non
presume,
si scusa che non gli era cosa nuova
de la sua
limpidezza il chiaro lume.
ma tace che da lui fuggita sia
la
donna che trovar cerca e desia;
67
e gli giura ch'un paggio gli ha rubato
il
suo caval né sa dove sia gito;
ma se può ritrovarlo
in alcun lato,
che 'l tristo ladroncel farà pentito.
Titta,
che già si vede assicurato,
comincia a ruminar nuovo
partito
di ritenersi ancor la donna appresso,
senza che ne
sospetti il conte stesso.
68
Con lei s'accorda, e trova acqua stillata
da
scorza fresca di matura noce;
e 'l bel collo e la faccia
dilicata
de la donna e le man bagna veloce;
si disperde il
candore, e sembra nata
in Mauritania, là dove il sol
cuoce:
d'un leonato scuro ella diviene,
ma grazia in quel
colore anco ritiene.
69
Come panno di grana in bigio tinto
ritiene
ancor de la beltà primiera,
e nel morto color d'un nero
estinto
purpureggiar si vede in vista altera;
cosí di
quella faccia il color finto
ritiene ancor de la bellezza
vera,
splende nel fosco, e de' begli occhi il lume
folgoreggia
anco al solito costume.
70
D'una giubba azzurrina ornata d'oro
quindi
ei la veste e le ricopre il seno;
e tutta d'un leggiadro abito
moro
l'adorna sí, che non gli piace meno.
Indi la mostra
al conte e dice: - I' moro
per questa ingrata schiava e spasmo e
peno;
e a lei di me non cal, né so che farmi:
pregala
conte mio che voglia amarmi. -
71
Il conte la saluta in candiotto,
ed ella
gli risponde in calabrese:
- Bella mora, ei dicea, deh fate
motto
al signor vostro e siategli cortese. -
Ella volgendo a
Titta un guardo ghiotto,
sporge la bocca, ed ei con voglie
accese
que' baci incontra, e da' bei labbri sugge
l'alma di lei
che sospirando fugge.
72
Teneva il conte immoto e stupefatto
a gli
amorosi baci i lumi intenti,
e gli parea che Titta fosse matto
a
sentir per colei pene e tormenti.
Durava quella beffa lungo
tratto:
se non che de la giovane i parenti
seppero il tutto e
fer saperlo al Potta,
e subito la tresca fu interrotta.
73
Il Potta fe' condur segretamente
la donna
fuor del campo; e perché Titta
percosse in quella mena un
insolente
birro e gli fu grave querela scritta,
fe' pigliarlo
anche lui subitamente,
e in carcere condur per la via dritta
a
la città per metterlo in palazzo,
quand'egli cominciò
fiero schiamazzo:
74
ch'era pariente de gliu Papa, e ch'era
baron
romano, e gir bolea en castello.
Ma il buon fiscal Sudenti e 'l
Barbanera
giudice criminale, e Andrea Bargello
gli mostrar con
destrissima maniera
che l'albergo in palazzo era piú
bello,
e che l'avrian parato e ben fornito;
onde a la fin
d'andar prese partito.
CANTO UNDECIMO
ARGOMENTO
Il conte di Culagna entra in furore,
e sfida a duellar
Titta prigione.
Ma, sciolto che lo vede, ci perde il core,
e
cerca di fuggir dal paragone.
Vi si conduce al fine: e
perditore
un nastro rosso il fa de la tenzone.
De la vittoria
sua spande la nuova
Titta, e pentito poi se ne ritrova.
1
Poiché la fama al fin con mille
prove
mostrò l'infamie sue scoperte al conte,
e gli fece
veder come si trove
con la corona d'Atteone in fronte,
contra
la moglie irato in forme nuove
si volse a vendicar l'ingiurie e
l'onte;
e per farla morir con vituperio
l'accusò di
veleno e d'adulterio.
2
Per tutto il campo allor si fe' palese
quel
ch'era prima occulto o almeno in forse.
La donna francamente si
difese,
e le querele in lui tutte ritorse;
e fe' rider ognun
quando s'intese
com'ella seppe al suo periglio opporse,
e
d'inganno pagar l'ingannatore,
ch'ebbe poscia a cacar l'anima e 'l
core.
3
Il conte, che si vede andar fallato
contra
la moglie il suo primier disegno,
pensa di vendicarsi in altro
lato,
e volge contra Titta ogni suo sdegno.
sa che per
ritrovarsi imprigionato,
per forza ha da tener le mani a segno.
lo
chiama traditor solennemente
e aggiugne che se 'l nega, ei se ne
mente;
4
e che gliel proverà con lancia e
spada
in chiuso campo a publico duello;
e perché la
disfida attorno vada,
la fa stampar distinta in un cartello;
e
vantasi d'aver trovata strada
da non potere in qual si voglia
appello
d'abbattimento o giusto o temerario
sottoporsi al
mentir de l'avversario.
5
Ma gli amici di Titta avendo intesa
la
disfida, s'uniro in suo favore;
e feron sí che la sua causa
presa
e terminata fu senza rigore:
anzi, perch'ei serviva in
quella impresa
contra Bologna e 'l Papa suo signore,
fu
scarcerato come ghibellino
senza fargli pagar pur un quattrino.
6
Sciolto ch'ei fu, rivolse ogni pensiero
a la
battaglia pronto e risoluto;
preparò l'armi e preparò
il destriero,
né consiglio aspettò, né chiese
aiuto.
Poco avanti da Roma un cavaliero
nel campo modanese era
venuto,
di casa Toscanella, Attilio detto:
e fu da lui per suo
padrino eletto.
7
Questi era un tal piccin pronto ed
accorto,
inventor di facezie e astuto tanto,
che non fu mai
Giudeo sí scaltro e scorto
che non perdesse in paragone il
vanto.
Uccellava i poeti, e per diporto
spesso n'avea qualche
adunata a cantO;
ma con modi sí lesti e sí
faceti,
che tutti si partían contenti e lieti.
8
In armi non avea fatto gran cose,
però
ch'in Roma allor si costumava
fare a le pugna, e certe
bellicose
genti il governator le castigava.
ma egli ebbe un cor
d'Orlando, e si dispose
d'ire a la guerra, perché
dubitava
de' birri, avendo in certo suo accidente
scardassata
la tigna a un insolente.
9
Il conte allor che vide al vento sparsi
tutti
i disegni e 'l suo pensier fallace,
cominciò con gli amici
a consigliarsi
se v'era modo alcun di far la pace.
vorrebbe
aver taciuto, e ritrovarsi
fuor de la perigliosa impresa
audace;
ché sente il cor che teme e si ritira,
e manca
l'ardimento in mezzo a l'ira.
10
Ma il conte di Miceno e 'l Potta stesso
e
Gherardo e Manfredi e 'l buon Roldano
gli furo intorno, e 'l
vituperio espresso,
dov'ei cadea, gli fêr distinto e
piano.
indi promiser tutti essergli appresso,
e la pugna
spartir di propria mano;
ond'ei riprese core, e per
padrino
s'elesse il conte dI San Valentino.
11
Questi, che ne la scherma avea
grand'arte,
subito gl'insegnò colpi maestri
da ferire il
nemico in ogni parte,
e modi da parar securi e destri;
indi
rivide l'armi a parte a parte
del cavaliero e i guernimenti
equestri.
ma un petto, senza cor, che l'aria teme,
non
l'armerían cento arsenali insieme.
12
La notte a la battaglia precedente,
che fra
i due cavalier seguir dovea,
volgendo il conte l'affannata
mente
al periglio mortal ch'egli correa,
ricominciò a
pensar tutto dolente
di nol voler tentar, s'egli potea;
e
innanzi l'alba i suoi chiamò fremendo,
un gran dolor di
ventre aver fingendo.
13
Il padrin, che dormía poco
lontano,
tutto confuso si destò a quell'atto;
con panni
caldi e una lucerna in mano
Bertoccio suo scudier v'accorse
ratto:
e 'l barbier de la villa e 'l sagrestano
di
Sant'Ambrogio v'arrivaro a un tratto;
e 'l provido barbier,
ch'intese il male,
gli fe' subitamente un serviziale.
14
Ed egli per non dar di sé
sospetto,
cheto se 'l prese e si mostrò contento;
ma
fingendo che poi non fésse effetto,
né prendesse il
dolore alleggiamento,
chiamò gli amici e i servidori al
letto,
e disse che volea far testamento;
onde mandò per
Mortalin notaio,
che venne con la carta e 'l calamaio.
15
La prima cosa lasciò l'alma a Dio,
e
lasciò il corpo a quell'eccelsa terra
dov'era nato, e per
legato pio
danari in bianco e quantità di terra.
indi
tratto da folle e van desio
a dispensar gli arredi suoi da
guerra,
lasciò la lancia al Re di Tartaria
e lo scudo al
Soldan de la Soria;
16
la spada a Federico Imperatore
ed al popol
romano il corsaletto;
a la reina del mar d'Adria, onore
del
secol nostro, un guanto e un braccialetto;
l'altro lasciollo a la
città del Fiore,
e al greco Imperator lasciò
l'elmetto:
ma il cimier, che portar solea in battaglia,
ricadeva
al signor di Cornovaglia.
17
Lasciò l'onore a la città del
Potta,
poi fe' del resto il suo padrino erede.
D'intorno al
letto suo s'era ridotta
gran turba intanto, chi a seder, chi in
piede;
fra' quali stando il buon Roldano allotta,
che non
prestava a le sue ciance fede,
gli dicea a l'orecchia tratto
tratto:
- Conte, tu sei vituperato a fatto.
18
Non vedi che costor t'han conosciuto
che
per tema tu fai de l'ammalato?
Salta su presto, e non far piú
rifiuto;
ché tu svergogni tutto il parentato.
Noi
spartiremo e ti daremo aiuto
subito che l'assalto è
incominciato. -
Il conte si ristrigne e si lamenta,
e si vorría
levar, ma non s'attenta.
19
Di tenda in tenda in tanto era volata
la
fama di quell'atto, e ognun ridea.
Renoppia, che non era ancor
levata,
un paggio gli mandò che gli dicea
che stava per
servirlo apparecchiata,
e accompagnarlo in campo; e ben
credea
ch'egli si porterebbe in tal maniera
ch'ella n'avrebbe
poscia a gire altiera.
20
Quest'ambasciata gli trafisse il core
e
destò la vergogna addormentata:
e cominciaro in lui viltà
ed onore
a combatter la mente innamorata.
S'alza a sedere, e
dice che 'l dolore
mitigato ha il favor de la sua amata,
e
s'adatta a vestir, ma la viltade
finge che 'l dolor torni, e giú
ricade.
21
E la pittrice già de
l'oriente
pennelleggiando il ciel de' suoi colori
abbelliva le
strade ad dí nascente,
e Flora le spargea di vaghi
fiori;
quindi usciva del sole il carro ardente,
e di raggi e di
luce e di splendori
vestiva l'aria, il mar, la piaggia e 'l
monte,
e la notte cadea da l'orizonte:
22
quando comparve il conte di Miceno
col
medico Cavalca in compagnia.
Il medico a l'orina in un
baleno
conobbe il mal che l'infelice avía;
e fattosi
recare un fiasco pieno
di vecchia e dilicata malvagía,
gli
ne fece assaggiar tre gran bicchieri;
ed ei pronto gli bebbe e
volontieri.
23
Cominciò il vino a lavorar pian
piano,
e a riscaldar il cor timido e vile,
e a mandar al cervel
piú di lontano
stupido e incerto il suo vapor sottile:
onde
il conte gridò ch'era già sano,
che 'l dolor gli
avea tolto il vin gentile,
e balzando del letto i panni chiese,
e
tosto si vestí l'usato arnese.
24
Indi tratto fremendo il brando fuora,
tagliò
Zefiro in pezzi e l'aura estiva,
e se non era il suo padrino,
allora
a la battaglia senz'altr'armi ei giva.
L'almo liquor che
i timidi rincora
puote assai piú che la virtú
nativa;
ben profetò di lui l'antica gente
ch'era sovra
ogni re forte e possente.
25
Or mentre s'arma, ecco Renoppia viene
e 'l
coraggio gli adoppia e la baldanza,
che con dolci parole e luci
piene
d'amor gli fa d'accompagnarlo instanza.
Egli che 'l foco
acceso ha ne le vene,
commosso da desio fuor di speranza
e da
furor di vino, ambo i ginocchi
a terra inchina; e dice a que'
begli occhi:
26
- O del cielo d'Amor ridenti stelle
onde de
la mia vita il corso pende;
d'amorosa fortuna ardenti e
belle
ruote dove mia sorte or sale, or scende;
imagini del sol
, vive facelle
di quel foco gentil che l'alme incende,
il cui
raggio, il cui lampo, il cui splendore
ogn'intelletto abbaglia,
arde ogni core:
27
occhi de l'alma mia, pupille amate,
lucidi
specchi ove beltà vagheggia
sé stessa; archi celesti
ond'infocate
quadrella aventa Amor ch'in voi guerreggia;
de le
vostre sembianze onde il fregiate,
cosí splende il mio cor,
cosí lampeggia,
ch'ei non invidia al ciel le stelle
sue,
benché sian tante, e voi non piú che due.
28
Come a i raggi del sole arde d'amore
la
terra e spiega la purpurea veste;
cosí a i vostri be' raggi
arde il mio core,
e di vaghi pensier tutto si veste.
Quest'alma
si solleva al suo fattore,
e ammira in voi di quella man
celeste
le meraviglie, e dal mortal si svelle,
o degli occhi
del ciel luci piú belle.
29
Rimiratemi voi con lieto ciglio
del cieco
viver mio lumi fidati,
siate voi testimoni al mio periglio,
e
scorgetemi voi co' guardi amati;
ché fia vana ogni forza,
ogni consiglio:
cadrà l'empio e fellon ne' propri aguati,
e
non che di pugnar con lui mi caglia,
ma sfiderò l'inferno
anco a battaglia. -
30
Cosí detto risorge, e 'l destrier
chiede
tutto foco ne gli atti e ne' sembianti;
e fa stupire
ognun che l'ode e vede
sí diverso da quel ch'egli era
innanti.
Ma Titta armato già dal capo al piede
con armi
e piume nere e neri ammanti
in campo era comparso,
accompagnato
dal solo suo padrin senz'altri a lato.
31
La desïosa turba intenta aspetta
che
venga il conte, e mormorando freme;
s'empiono i palchi intorno, e
folta e stretta
corona siede in su le sbarre estreme;
e da i
casi seguiti omai sospetta
che 'l conte ceda, e la sua fama
preme.
Quando a un tempo s'udîr trombe diverse
da quella
parte, e 'l padiglion s'aperse.
32
Ed ecco, da cinquanta accompagnato
de'
primi de l'esercito possente,
il conte comparir ne lo steccato
con
sopravesta bianca e rilucente,
sopra un caval pomposamente
armato
che generato par di foco ardente:
sbuffa, anitrisce, il
fren morde, e la terra
zappa col piede e fa col vento guerra.
33
Disarmata ha la fronte, armato il petto,
nude
le mani, e sopra un bianco ubino
gli va innanzi Renoppia, e 'l
ricco elmetto
gli porta; e 'l buon Gherardo il brando fino,
il
brando famosissimo e perfetto
di Don Chisotto; e 'l fodro ha il
suo padrino.
Ha Voluce lo scudo, e seco a canto
Roldan la
lancia, e Giacopino un guanto;
34
l'altro ha Bertoldo, e l'uno e l'altro
sprone
gli portano Lanfranco e Galeotto,
e 'l conte Alberto in
cima d'un bastone
la cuffia da infodrar l'elmo di sotto:
ma
dietro a tutti fuor del padiglione
l'interprete Zannin venía
di trotto
sopra d'un asinel, portando in fretta
l'orinale, una
ombrella e una scopetta.
35
Armato il cavalier di tutto punto
e
compartito il sole a i combattenti,
diede il segno la tromba, e
tutto a un punto
si mossero i destrier come due venti.
Fu il
cavalier roman nel petto giunto,
ma l'armi sue temprate e
rilucenti
ressero, e 'l conte a quell'incontro strano
la lancia
si lasciò correr per mano.
36
Ei fu colto da Titta a la gorgiera
tra il
confin de lo scudo e de l'elmetto
d'una percossa sí
possente e fiera
che gli fece inarcar la fronte e 'l petto.
Si
schiodò la goletta, e la visiera
s'aperse, e diede lampi il
corsaletto;
volaro i tronchi al ciel de l'asta rotta,
e perdé
staffe e briglia il conte allotta.
37
Caduta la visiera il conte mira,
e vede
rosseggiar la sopravesta:
e - Oimé son morto, - e' grida; e
'l guardo gira
a gli scudieri suoi con faccia mesta;
- Aita,
che già 'l cor l'anima spira,
replica in voce fioca, aita
presta. -
Accorrono a quel suon cento persone,
e mezzo morto il
cavano d'arcione.
38
Il portano a la tenda, e sopra un letto
gli
cominciano l'armi e i panni a sciorre,
il chirurgo cavar gli fa
l'elmetto,
e 'l prete a confessarlo in fretta corre.
Tutti gli
amici suoi morto in effetto
il tengono: e ciascun parla e
discorre
che non era da porre a tal cimento
un uom privo di
forza e d'ardimento.
39
Ma Titta poi che l'avversario vede
per
morto riportar ne le sue tende,
passeggia il campo a suon di
trombe, e riede
dove la parte sua lieta l'attende;
fastoso è
sí che di valor non cede
a Marte stesso; e de l'arcion
discende,
e scrive pria che disarmar la chioma,
e spedisce un
corriero in fretta a Roma.
40
Scrive ch'un cavalier d'alto valore
di
quelle parti, uom tanto principale
che forse non ve n'era altro
maggiore
né ch'a lui fosse di possanza eguale,
avuto
avea di provocarlo core,
e di prender con lui pugna mortale;
e
ch'esso de gli eserciti in cospetto
gli avea passato al primo
incontro il petto.
41
Spedí il corriero a Gaspar
Salviani
decan de l'Accademia de' Mancini,
che ne desse l'aviso
a i Frangipani
signor di Nemi e a i loro amici Ursini,
e al
Cavalier del Pozzo e a i due romani
famosi ingegni, il Cesi e 'l
Cesarini,
et al non men di lor dotto e cortese
Sforza gentil
Pallavicin Marchese;
42
che tutti disser poi ch'egli era matto,
quando
s'intese ciò ch'era seguito.
Intanto avean spogliato il
conte, a fatto
dal terror de la morte instupidito;
e gían
cercando due chirurghi a un tratto
il colpo onde dicea d'esser
ferito:
né ritrovando mai rotta la pelle
ricominciâr
le risa e le novelle.
43
Il conte dicea lor: - Mirate bene,
perché
la sopravesta è insanguinata;
e non dite cosí per
darmi spene,
ché già l'anima mia sta
preparata:
venga la sopravesta. - E quella viene,
né san
cosa trovar di che segnata
sia, né ch'a sangue assomigliar
si possa,
eccetto un nastro o una fetuccia rossa
44
ch'allacciava da collo, e sciolta s'era
e
pendea giú per fino a la cintura.
Conobber tutti allor
distinta e vera
la ferita del conte e la paura.
Egli accortosi
al fin di che maniera
s'era abbagliato, l'ha per sua ventura,
e
ne ringrazia Dio levando al cielo
ambe le mani e 'l cor con puro
zelo.
45
E a Titta e a la moglier sua perdonando
si
scorda i falli lor sí gravi e tanti,
e fa voto d'andar
pellegrinando
a Roma a visitar que' luoghi santi,
e dare in
tanto a la milizia bando
per meglio prepararsi a nuovi vanti.
Cosí
il monton che cozza, si ritira
e torna poi con maggior colpo ed
ira.
46
Ma come a Roma poi gisse e trattasse
in
camera col Papa a grand'onore,
e l'alloggio per forza ivi
occupasse
ne l'albergo real d'un mio signore,
e quindi poscia
in Bulgaria levasse
co la possanza sua, col suo valore
a quel
becco del Turco un nuovo stato,
fia da piú degno stil forse
cantato:
47
ché versi non ho io tanto sonori
che
bastino a cantar sí belle cose.
E torno a Titta, che già
uscendo fuori,
poi che a la tenda sua l'armi depose,
pel campo
se ne gía sbuffando orrori
con sembianze superbe e
dispettose;
quando accertato fu che la ferita
del conte nel
cercar s'era smarrita.
48
Qual leggiero pallon di vento pregno
per le
strade del ciel sublime alzato,
s'incontra ferro acuto o acuto
legno,
si vede ricader vizzo e sfiatato;
tale il Romano altier,
che fea disegno
d'essersi con quel colpo immortalato,
sgonfiossi
a quell'aviso, e di cordoglio
parve un topo caduto in mezzo a
l'oglio.
49
Ma il padrin ch'era accorto, il confortava
e
dicea: - Titta mio, non dubitare:
non è bravo oggidí
se non chi brava,
e, come diciam noi, chi sa sfiondare.
Se per
vinto e per morto or or si dava
il conte e al padiglion si fea
portare:
perché non possiam noi per tale ancora
nominarlo
a le genti in campo e fuora?
50
A te deve bastar ch'egli sia vinto
al primo
colpo tuo; ché s'ei non muore,
non fu il tuo fin ch'ei
rimanesse estinto,
ma sol di rimaner tu vincitore.
Lascia
correr la fama, o vero o finto
che sia questo successo, egli è
a tuo onore;
ed io farò che immortalato resti
da la musa
gentil di Fulvio Testi.
51
Fulvio col conte ha non vulgari sdegni,
e
canterà di te l'armi e gli amori;
dirà l'alte
bellezze e i fregi degni
ch'ornan colei ch'idolatrando adori;
le
compagnie d'ufficio, i censi e i pegni
che per lei festi già
su i primi fiori;
e i casali e le vigne e gli altri beni
c'hai
spesi in vagheggiar gli occhi sereni.
52
Gran contento a gli amanti e gran diletto
che
possano veder le luci amate,
che portano squarciati i panni al
petto
per godere il tesor di lor beltate!
Povero e ignudo Amor
senza farsetto
dipinse con ragion l'antica etate,
ché
spoglia chi per lui s'affligge e suda,
e lo fa vago sol di carne
ignuda.
53
Fra i successi d'amor canterà l'armi
e
l'imprese ch'hai fatte in questa guerra;
e con sonori e bellicosi
carmi
eternerà la tua memoria in terra.
E già di
rimirar la Fama parmi
trombeggiando volar di terra in terra,
e
contra 'l papa di tua mano a i venti
la bandiera spiegar de'
malcontenti. -
54
Cosí ragiona il Toscanella e ride,
e
Titta ride anch'ei per compagnia;
ma l'amaro dal cor non si
divide,
ché non sa ricoprir sí gran bugia.
Stette
pensando un pezzo, e poi che vide
di non poter scusar la sua
follia,
di far morire il conte entrò in pensiero
per
sostener ch'egli avea scritto il vero.
55
S'armò d'un giacco e con la spada a
lato
l'andò subitamente a ritrovare.
Il conte a
Sant'Ambrogio era passato
e stava con que' preti a
ragionare;
Titta gli fece dir per un soldato
ch'uscisse fuor,
che gli volea parlare;
il conte caricò la sua balestra,
e
s'affacciò di sopra a una finestra.
56
E a Titta domandò quel che chiedea,
ed
ei rispose che venisse giuso;
il conte si scusò che non
potea;
e vedendo che l'uscio era ben chiuso,
disse che se
trattar seco volea,
trattasse quivi, o ch'egli andasse suso.
Titta
allor furiando si scoperse,
e l'oltraggiò con villanie
diverse.
57
Ma il conte rispondea con lieta ciera:
-
Voi siete un uom di pessima natura,
a tener l'ira una giornata
intiera;
io deposi la mia con l'armatura.
Non occorre a far qui
l'anima fiera
con spampanate per mostrar bravura;
io v'ho reso
buon conto in campo armato
e son stato con voi ne lo steccato.
58
Quand'anch'io irato fui con l'armi in
mano,
voi dovevate allor sfogarvi a fatto.
Or, Titta mio, voi
v'affannate in vano,
ch'io non ho tolto a sbizzarrire un
matto.
Andate, e come avrete il cervel sano
tornate, e so che
mi farete patto.
Io non ho da partir nulla con voi,
però
dormite e riparlianci poi. -
59
Titta ricominciò: - Becco e
poltrone,
t'insegnerò ben io,;vien fora, vieni. -
Piú
non rispose il conte a quel sermone,
ma destò anch'egli al
fine i suoi veleni;
e scoccò la balestra, e d'un bolzone
il
colse a punto al sommo de le reni
sí fieramente che lo
stese in terra,
e saltò fuori a discoperta guerra,
60
gridando: - Per la gola te ne
menti,
romaneschetto, furbacciotto, spia. -
Titta aveva
offuscati i sentimenti,
e a gran fatica il suo parlar sentía.
Ma
saltaron color ch'eran presenti
subito in mezzo, e ognun gli
dipartía:
e condussero Titta al padiglione
dilombato e
che gía quasi carpone.
61
Quivi dal Toscanella ei fu burlato
che
dovendo levare al ciel le mani
d'aver l'emulo suo
vituperato,
fosse entrato in umor bizzarri e strani
di volerlo
ancor morto; e stuzzicato
sí l'avesse con atti e detti
insani,
che d'una rana imbelle e senza morso
l'avesse al fin
mutato in tigre, in orso.
62
- Se tu disprezzi la vittoria, disse,
che
puoi tu dir s'ella da te s'invola?
Chi va cercando e suscitando
risse,
non sa che la fortuna è donna e vola. -
Tenea
Titta le luci in terra fisse
mesto ed immoto, e non facea
parola.
Ma tempo è omai di richiamar gli accenti
a i
fatti de gli eserciti possenti.
CANTO DUODECIMO
ARGOMENTO
Cessa la tregua, e la vittoria pende.
Il papa in Lombardia
manda un Legato.
Sprangon su 'l ponte a guerreggiar discende,
onde
sospinto poi resta affogato.
Sono rotti e Petroni entro le
tende,
e ammolliscono il cor duro ostinato.
S'interpone il
Legato a tanti mali;
e si fa pace alfin con patti uguali.
1
Le cose de la guerra andavan zoppe,
i
Bolognesi richiedean danari
al papa, ed egli rispondeva coppe,
e
mandava indulgenze per gli altari.
Ma Ezzelino i disegni
gl'interroppe
col soccorso che diede a gli avversari:
allora
egli lasciò di fare il sordo,
e scrisse al Nunzio che
trattasse accordo.
2
Indi spedí Legato il Cardinale
messer
Ottavian de gli Ubaldini,
uomo ch'in zucca avea di molto sale
ed
era amico a i Guelfi e a i Ghibellini;
e gli diede la spada e 'l
pastorale
che potesse co' fulmini divini
e con l'armi d'Italia
opporsi a cui
rifiutasse la pace e i preghi sui.
3
Fece il Legato subito partita
con bella
corte e numerosa intorno.
Ma la tregua fra tanto era finita,
e
a l'armi si tornò senza soggiorno.
Facevano i guerrier su
'l ponte uscita
per guadagnarlo: e quivi notte e giorno
si
combattea con sí ostinato ardire
che 'l fior de' cavalier
v'ebbe a morire.
4
Fra gli altri giorni quel di San Matteo,
de
l'uno e l'altro esercito avvocato,
sí fieramente vi si
combatteo
che tutto 'l fiume in sangue era cangiato.
Prove
eccelse Perinto e Periteo
feron col brando; ma da l'altro
lato
minori non le fe' Renoppia bella,
d'alto pugnando a colpi
di quadrella.
5
Su la torre vicina armata ascese,
che fu di
Sant'Ambrogio il campanile;
e per compagne sue seco si
prese
Celinda e Semidea coppia gentile.
Quivi l'arco fatal
l'altera tese:
e sdegnando ferir bersaglio vile,
furon da lei
le piú degne alme sciolte,
e votò la faretra cinque
volte.
6
Paride Grassi e 'l cavalier Bianchini
su 'l
ponte uccise e Alfeo degli Erculani;
su la riva l'alfier de'
Lambertini,
Pompeo Marsigli e Cosimo Isolani;
Lapo Bianchetti e
Romulo Angelini,
Gabrio Caprari e Barnaba Lignani
giú
nel fondo trafisse, e due cognati
Fulgerio Cospi e Lambertuccio
Grati.
7
A Petronio Sampier, ch'innanzi al ponte
facea
la strada a quei de la Crocetta,
drizzò l'arco Celinda e ne
la fronte
gli affisse la mortal fera saetta.
Nel collo Semidea
ferí Bonconte
Beccatelli, ch'uccisi in quella stretta
avea
Anton Borghi e Gemignan Colombo,
e lo fece cader nel fiume a
piombo.
8
Fu Girolamo Preti anch'ei ferito,
poeta
degno d'immortali onori
che quindici anni in corte avea
servito
nel tempo che puzzar soleano i fiori.
Col collare a
lattughe era vestito,
tutto di seta e d'òr di piú
colori:
ond'al primo apparir ch'ei fece in campo,
Renoppia di
sua man trasse a quel lampo.
9
Tra 'l collo e le lattughe andò a
ferire,
e pelle pelle via passò lo strale.
Ei si sentí
la guancia impallidire,
ché dubitò la piaga esser
mortale.
L'accortezza e 'l saver nocque a l'ardire
che gli
affissò la mente al proprio male,
e in cambio di pensare a
la vendetta,
correre il fece a medicarsi in fretta.
10
Ei nondimen scusandosi dicea
che pugnar con
le dame era atto vile,
ma pazzo ardir contra colei ch'avea
la
sua franchigia in cima a un campanile.
In tanto da uno stral di
Semidea
fu morto a piè del ponte Andrea Caprile
ch'avea
quella mattina un frate ucciso:
la balestra del ciel scocca
improviso.
11
E se non che la notte intorno ascose
l'aurea
luce del sol col nero manto,
imprese vi seguían
maravigliose
ch'avrebbon desti i primi cigni al canto.
Taciute
avria quell'armi sue pietose
il Tasso, e 'l Bracciolino il legno
santo,
il Marino il suo Adon lasciava in bando,
e l'Ariosto di
cantar d'Orlando.
12
Giunto a Genova in tanto era il Legato;
e
'l Nunzio da Bologna gli avea scritto
ch'egli sarebbe ad
incontrarlo andato
prima ch'ei fesse a Modana tragitto.
Ma
egli, ch'a lo studio avea imparato
che fa la maestà poco
profitto
se le manca il poter, senza intervallo
assoldando
venía gente a cavallo.
13
E 'l papa già co' Genovesi avea
d'un
mezzo million fatto partito,
talché sicuramente egli
potea
ragunar soldatesca a suo appetito.
Ma il trascorrer qua e
là ch'egli facea
il trasse fuor del camin dritto e
trito,
fin che con lunga ed onorata schiera
egli arrivò
ne' prati di Solera.
14
Quivi stanco dal caldo e fastidito
fermossi
a l'ombra, e d'aspettar dispose
il Nunzio, a cui già un
messo avea spedito
per intender da lui diverse cose.
In tanto i
servi suoi su 'l verde lito
vivande apparecchiâr laute e
gustose,
ed egli in fretta trattisi gli sproni
mangiò
per compagnia cento bocconi.
15
Mangiato ch'ebbe, sté sovra
pensiero
rompendo certi stecchi di finocchi;
indi venner le
carte e 'l tavoliero,
e trasse una manciata di baiocchi,
e
Pietro Bardi e Monsignor del Nero
si misero a giucar seco a
tarocchi;
e 'l conte d'Elci e Monsignor Bandino
giucarono in
disparte a sbarraglino.
16
Poi ch'ebbero giucato un'ora e mezzo
levossi,
e que' prelati a sé chiamando,
con gusto andò con
lor cacciando un pezzo
i grilli che per l'erba ivan saltando.
Cosí
l'ore ingannava, e al fresco orezzo
la venuta del Nunzio attendea;
quando
di persone e di bestie ecco un drappello
guastò
la caccia ch'era in su 'l piú bello.
17
Eran questi una man d'ambasciatori
da
Modana mandati ad invitarlo
con muli e carri e cocchi e
servidori
e molta nobiltà per onorarlo;
ben ch'avesse
Innocenzio e i decessori
data lor poca occasion di farlo,
essendo
i Modanesi a quella corte
esclusi da ogni onor d'infima sorte;
18
non perché avesse alcun mai
tradimento
usato nel servir la Santa Sede,
ma perché
avean con lungo esperimento
a Cesare serbata ottima fede.
Quel
che dovea servir d'incitamento
per onorar di nobile mercede
la
costanza e 'l valor, servía d'ordigno
per accendere i cor
d'odio maligno.
19
Or al Legato que' signor
portaro
rinfrescamenti di diverse sorte,
di trebbian
perfettissimo un quartaro,
e in sei canestre ventiquattro torte,
e
una misura, che tenea un caldaro,
di sughi d'uva non piú
visti in corte,
e per cosa curiosa e primaticcia
quarantacinque
libre di salciccia.
20
Ringraziolli il Legato, e que'
regali
dividendo fra' suoi l'invito tenne;
e fra tanto col
feltro e gli stivali
il Nunzio per la posta sopravenne;
e
informandol di tutti i principali
motivi, seco a la città
se 'n venne:
la qual s'affaticò con ogni onore
di trarre
il papa del passato errore.
21
Si rinovò la tregua, e ad
incontrarlo
uscí de la città tutto il Consiglio,
e
fin le dame uscir per onorarlo
fuor de la porta inverso il fiume
un miglio.
Preparossi il castel per alloggiarlo
con paramenti
di tabbí vermiglio:
corsesi un palio, e fessi una
barriera,
e in maschera s'andò mattina e sera.
22
Il Nunzio ragunar fece il Senato
ne la sala
maggiore il dí seguente,
dove con pompa grande entrò
il Legato
benedicendo nel passar la gente.
Sotto un gran
baldacchino di broccato
stava la sedia sua molto eminente;
e
quindi ei cominciò, grave e severo
a parlare a quei vecchi
dal braghiero:
23
- Il papa, ch'è signor de l'universo
e
del gregge di Dio padre e pastore,
veduto fra le cure ov'egli è
immerso
d'una favilla uscir cotanto ardore,
al ben comun da
quel desio converso
che spira e muove in lui l'eterno amore,
pace
vi manda; o vi dinunzia guerra,
se voi la ricusate, in cielo e in
terra.
24
Quello che io dico a voi, dico al
nemico
vostro, ché 'l papa a tutti è giusto Padre:
e
se ben voi per retto e per oblico
foste sempre ribelli a la gran
Madre,
e novamente a l'empio Federico
congiunti avete e gli
animi e le squadre;
non vuol però che d'alcun vostro
gesto
s'abbia memoria o sentimento in questo.
25
E mi manda a trattar pace fra voi
con patti
uguali; e mi comanda ch'io
in armi debba aver fra un mese o
doi
dieci mila cavalli al voler mio
per rintuzzar chi fia
ritroso a i suoi
santi disegni, al suo voler restio:
e a Genova
i contanti hammi rimesso,
e trenta compagnie già son qui
appresso:
26
e promette di darmi il re di Francia
dodici
mila fanti infra due mesi,
sí che 'l fondarsi in altro
aiuto è ciancia.
Né piú sia detto a voi che a
i Bolognesi.
Il Papa sa che a correr questa lancia
i danari di
Dio fien meglio spesi
ch'in erger torri e marmi in sua
memoria
d'armi e nomi scolpir, fumi di gloria. -
27
Era capo di banca allor per sorte
un
Giacopo Mirandola, uom feroce,
nemico aperto a la romana
corte,
turbulento di cor, pronto di voce.
Questi volgendo a le
ragioni accorte
del romano Legato il dir veloce,
con quella
autorità ch'avuta avea,
cosí parlò dal luogo
ove sedea:
28
- Il papa è papa e noi siam
poveretti,
nati, cred'io, per non aver che mali;
e però
siam da lui cosí negletti
e al popol fariseo tenuti
eguali.
Se per tiepidità noi siam sospetti,
per
diffidenza voi ci fate tali;
ma se per troppo ardor, che possiam
dire
se non che 'l vostro giel nol può soffrire?
29
Fra i divoti di Dio noi siamo soli
che non
godiam di quel ch'a gli altri avanza,
né possiamo ottener
come figlioli
nel paterno retaggio almen speranza.
vengono
genti da gli estremi poli
e trovano appo voi felice stanza:
noi
soli siam da gli avversari nostri
per esempio di scherno a dito
mostri.
30
Se in lupi si trasformano i pastori,
gli
agnelli diverran cani arrabbiati:
che fra gli oltraggi quei sono i
peggiori
che ci fanno color ch'abbiamo amati.
Ma da noi
Federico armi ed onori
però ch'in libertà ci ha
conservati:
egli tratta con noi con cor sincero,
e noi serbiamo
fede al sacro Impero.
31
Né deve minor lode esser a nui,
il
conservar la libertade antica,
ch'a gli altri l'occupar gli stati
altrui
e la fede ingannar di gente amica.
Questo dico a chi
tocca e non a vui,
che se 'l papa si studia e s'affatica
di
porne in pace con paterno zelo,
ne debbiamo levar le mani al
cielo;
32
quantunque non rispondano a le prove
quel
terzo ch'ei mandò di Perugini,
e questo monsignor che fa da
Giove
co i fulmini ch'avventa a i Ghibellini;
però
s'amor, se carità lo muove,
se lo spirto di Dio spira i
suoi fini,
deh cessi il mal influsso a questa terra,
e faccia
il Papa a gl'infedeli guerra:
33
ché noi siam pronti a riverire i
suoi
santi pensieri e far ciò ch'egli impone,
e a por
liberamente in mano a voi
ogn'arbitrio di pace, ogni
ragione.
L'onore intatto resti, e sia di noi
quel che
v'aggrada, acciò ch'al paragone
piú non abbiamo a
rassembrar bastardi
tra i vostri figli a gli altrui biechi
sguardi.
34
Ché quell'armi ch'or voi depor ci
fate,
se verrà tempo mai ch'uopo ne sia,
se verrà
tempo mai che le chiamiate
o in Mauritania o a i regni di
Soria,
vi seguiran nel mar fra l'onde irate,
vi seguiran per
solitaria via,
saran le prime a disgombrarvi i passi,
onde a la
gloria e a la salute vassi. -
35
Qui il Mirandola tacque, e 'l concistoro
tutto
levossi a gridar - Pace, pace. -
- E pace sia, rispose a un tempo
loro
il discreto pastor, s'ella vi piace,
per me non fia che di
sí bel tesoro
questa vostra città resti incapace:
né
i Tedeschi, cred'io, l'impediranno,
ch'omai confusi e mal condotti
stanno.
36
E 'l papa contra lor mosse in battaglia,
non
contra voi, la gente perugina,
se non era con voi questa
canaglia,
egli impedita avría tanta ruina.
Or ha segnata
Dio giusta la taglia
e versata ha su 'l mal la medicina.
Siate
voi piú devoti e men bizzarri,
e camminate per la via de'
carri. -
37
Col fin de le parole in piè levato
uscí
dov'eran dame e cavalieri:
poi fe' chiamare i primi del senato,
e
consultò con loro i suoi pensieri.
In Modana due dí
stette il Legato
fra giostre e feste e musiche e piaceri:
il
terzo se n'andò verso Bologna
per dar l'ultimo unguento a
tanta rogna.
38
Gli donò la città trenta
rotelle,
e una cassa di maschere bellissime,
e due some di pere
garavelle,
e cinquanta spongate perfettissime,
e cento
salcicciotti e due cupelle
di mostarda di Carpi isquisitissime,
e
due ciarabottane d'arcipresso,
e trenta libre di tartufi appresso.
39
Fu da mille cavalli accompagnato
da la
città fino a i vicini lidi,
dove trovò l'esercito
schierato
che 'l ricevé con suon di trombe e gridi.
Il
ponte e la riviera indi passato,
da i Bolognesi e loro amici
fidi
fu ricevuto, e circa le vent'ore
giunse a la lor città
con grande onore.
40
Il dí che venne, per trattenimento
le
spoglie gli mostrâr del campo rotto,
prigioni, armi,
bandiere e ogni stormento,
e fu in trionfo anch'egli il Re
condotto.
Indi per allegrezza il Reggimento
gittò dalle
finestre un porco cotto,
ordinando che 'l dí de la
vittoria
cosí si fesse ogn'anno in sua memoria.
41
Fece il Legato poi la sua ambasciata
nel
publico Consiglio, e non fu intesa
con quella attenzion
ch'imaginata
s'era nel cominciar di quella impresa.
Parea
strano a ciascun che terminata
fosse con pari onor quella
contesa,
e rivolean la Secchia ad ogni patto,
e non volean che
'l Re fésse riscatto.
42
Proponeva il Legato un mezzo onesto,
che
ritenendo il Re ch'avean prigione,
rimettessero poscia in quanto
al resto
ne l'arbitrio del Papa ogni ragione.
E quando ancor
gli trovò sordi in questo,
né gli poté mutar
d'opinione:
- Dunque, disse sdegnato, i nostri amici
han minor
fede in noi che gli nemici?
43
Or vi farò veder quello ch'importe
il
disprezzar l'autorità papale. -
Cosí disse, e non
pur fuor de le porte
che chiudean le superbe e ricche sale,
ma
di Bologna uscí con la sua corte;
e volgendo il cammin
verso il Finale,
il Paulucci avisò ch'immantenente
il
seguisse al Bonden con la sua gente;
44
dove dovea trovarsi il giorno appresso
Azio
d'Este figliol d'Aldobrandino,
e quivi esser da lui poscia
rimesso
nel ferrarese antico suo domino;
come gli avea ordinato
il Papa stesso
con un breve, da poi ch'ei fu in cammino:
e a un
tempo fur da lui tutti chiamati
i cavalli ch'adietro avea
lasciati.
45
Salinguerra, ch'intese il suo periglio,
tosto
del ponte abbandonò l'impresa,
e tornando a Ferrara, in
iscompiglio
ritrovò la città già mezza
presa.
Ma risoluti a non mutar consiglio
s'ostinaron via piú
ne la contesa
i Petroni, e stimâr cosa leggiera
l'aver
perduta e l'una e l'altra schiera.
46
Da l'altra parte i Gemignani volti
al lor
vantaggio, avean con segretezza
danari a cambio da i Lucchesi
tolti
e assoldata milizia a l'armi avezza;
e avendo i Padovani
in campo accolti
senza segno di tromba e d'allegrezza,
si
mostravan d'ardir, di forze impari
per crescer confidenza a i
temerari.
47
E 'n tanto preparar feano in disparte
ordigni
da trattar notturno assalto,
ponti da tragittar da l'altra
parte,
saette ardenti da lanciar in alto,
fuochi composti in
varie guise ad arte
ch'ardean ne l'acqua e su 'l terreno
smalto,
falci dentate e machine diaboliche
che non trovaron mai
le genti argoliche.
48
Tre giorni senza uscir de la
trinciera
stettero i Padovani e i Modanesi:
ed ecco il quarto
con sembianza altiera
fuor de' ripari uscir de' Bolognesi,
e su
'l ponte calar da la riviera,
tutto coperto di ferrati arnesi,
un
fanton di statura esterminata
nominato Sprangon da la Palata.
49
Un celaton di legno in testa avea
graticciato
di ferro, e al fianco appesa
una spada tedesca, e in man
tenea
imbrandita una ronca bolognesa.
Quindi volto a i nemici
egli dicea:
- O Pavanazzi da la panza tesa,
quando volidi uscir
di quelle tane
valisoni da trippe trevisane?
50
Fra tanti poltronzon j n'è
neguno
ch'apa ardimento de vegnir qua fora
a far custion con
mi, fina che l'uno
sipa vittorios e l'altro mora? -
Cosí
dicea, né rispondeva alcuno
a la superba sua disfida
allora:
ma non tardò ch'a rintuzzar quel fiero
da
l'antenoree tende uscí un guerriero.
51
Lemizio fu nomato o Lemizzone,
piccolo e
grosso e di costumi antico,
avea ne la man destra un rampicone,
e
sopra la celata un pappafico;
ne la manca una targa di
cartone
foderata di scotole di fico:
del resto in giubberel con
le gambiere
parea un saltamartin proprio a vedere.
52
Rise Sprangon vedendolo su 'l ponte,
e
motteggiollo e dileggiollo assai,
chiamandolo aguzzin di
Rodomonte,
stronzo d'Orlando, ambasciator de' guai.
Volgendo
Lemizzon l'ardita fronte
rispose: - Al cospettazzo, e che
dirai
burto porco arlevò col pan de sorgo,
se te fazzo
sbalzar zoso in quel gorgo? -
53
Alza la ronca a quel parlar Sprangone,
e
mena per dividergli le ciglia;
Lemizzone la targa al colpo
oppone,
v'entra un palmo la punta e vi s'impiglia:
ei la targa
abbandona, e 'l rampicone
gli avventa a l'elmo, e ne' graticci il
piglia;
e tira con tant'impeto a traverso,
che 'n riva al ponte
il fa cader riverso.
54
Sprangon tocca del cul su 'l ponte a pena,
che
balza in piedi, e la sua ronca gira
con quella targa infitta, e su
la schiena
ferisce Lemizzon che si ritira.
Lemizzon de l'uncino
a un tempo mena,
ma non va il colpo ove drizzò la
mira;
segnava a la visiera, e giú discese,
e ne la
stringa de' calzoni il prese.
55
Con le ginocchia e con le mani in
terra
Lemizzon cade, e fa cader con esso
le brache di Sprangon,
ch'a sorte afferra
col raffio ch'abbassò nel tempo
stesso:
ma da la ronca a quel colpir si sferra
lo scudo del
carton spezzato e fesso:
onde l'ardito Lemizzon che vede
il
rischio, salta in un momento in piede;
56
e Sprangon, ch'a sbrigar le gambe
attende,
urta per fianco e giú da l'orlo il getta.
Sprangon
cadendo in una mano il prende,
e 'l rapisce con lui per sua
vendetta.
ravviluppato l'un con l'altro scende;
ma nel cader si
distaccaro in fretta:
batton su l'onda e vanno al fondo
insieme;
l'acqua rimbalza e 'l lido intorno freme.
57
Lemizzon, ch'è piú sciolto e piú
spedito,
soffia le spume e 'l volto alza da l'onda,
e poi ch'ha
scorto ov'è sicuro il lito,
passa notando in su l'amica
sponda:
ma da le brache sue l'altro impedito
e da l'armi, restò
ne la profonda
voragine affogato e quivi giacque,
cibo de'
pesci e impedimento a l'acque.
58
Ramiro Zabarella, un cavaliero
il piú
gentil che fosse a' giorni sui
ma disdegnoso e furibondo e
fiero
con chi volea pigliar gara con lui,
comparve armato sopra
un gran destriero,
dopo che Lemizzon chiarí colui;
e
disse: - O Bolognesi, oggi la vostra
disfida féste, e noi
farem la nostra.
59
Però doman su questo ponte stesso
tutti
vi sfido a singolar battaglia
con lancia e spada, acciò che
meglio espresso
si vegga chi di noi piú in armi vaglia.
-
Qui tacque il Zabarella, e seguí appresso
il grido
universal de la canaglia:
e fu accettata la disfida altiera
da
i cavalier de la contraria schiera.
60
Era ne la stagion ch'i sensi invita
a
ristorarsi omai la notte bruna,
e con luce scemata e
scolorita
s'era congiunta al sol l'umida luna:
la gente di
Bologna, insuperbita
dal passato favor de la fortuna,
dormía
secura in aspettando l'ora
ch'esca Ramiro a la battaglia fuora.
61
Quand'ecco a l'arma a l'arma, e
d'oriente
volando il grido a mezzogiorno arriva,
a l'arma a
l'arma s'ode a l'occidente,
rimbomba l'aria e fa tremar la
riva.
La sonnacchiosa e spaventata gente
sorgea confusa; e
quinci e quindi giva,
ravvolgendo e intricando ordini e schiere,
e
cercando a lo scuro armi e bandiere.
62
Avean taciuto i Modanesi un pezzo
per
cogliere il nemico a l'improviso,
e da piú parti riserrarlo
in mezzo
per farlo rimaner vie piú conquiso,
parendo lor
che la vittoria avezzo
l'avesse a trascurar quasi
ogn'aviso.
Presero il tempo e 'l ritrovâr distratto
e da
simil pensier lontano affatto.
63
Correano a gara i capitani al ponte,
dove
maggior periglio esser parea:
e quivi il furibondo Eurimedonte
col
destriero ingombrato il varco avea;
e in minacciosa e formidabil
fronte,
con la spada a due man ferendo, fea
smembrati e morti
giú da l'alta sponda
cavalli e cavalier cader ne l'onda.
64
A Petronio Casal divise il volto
fra l'uno
e l'altro ciglio in fino al petto;
a Gian Pietro Magnan, ch'a lui
rivolto
già tenea per ferirlo il brando eretto,
troncò
la mano e aperse il fianco, e sciolto
trasse lo spirto fuor del
suo ricetto;
e partito dal collo a una mammella
Ridolfo
Paleotti uscí di sella.
65
Ma di gente plebea n'uccide un monte
che
s'erge sovra l'onda e innanzi passa;
seguono i Padovani; e già
del ponte
le steccate e le sbarre addietro lassa.
Quindi ne le
trinciere urta per fronte
e le rompe, le sparge e le fracassa;
si
rinforza il nemico, e fa ogni prova
contra tanto furor, ma nulla
giova;
66
ché da levante vien per fianco il
forte
Gherardo a un tempo, e da ponente viene
Manfredi, e l'uno
e l'altro ha in man la morte,
e fa di sangue rosseggiar
l'arene.
trasser le genti lor con pari sorte
di là da
l'onda, e per le rive amene
taciti costeggiando a un punto
furo
sopra i nemici incauti al ciel oscuro.
67
A prima giunta in cento parti e cento
acceso
fu ne' palancati il foco:
crebbe la fiamma e la diffuse il
vento,
e l'inimico a quel terror diè loco.
Urtando i
Gemignani, e al violento
impeto loro ogni riparo è poco.
Da
l'altra parte i Padovani anch'essi
hanno già i primi in su
l'entrata oppressi.
68
Varisone, fratel di Nantichiero,
che
Barisone ancor fu nominato,
uccise Urban Guidotti e
Berlinghiero
dal Gesso, e 'l Manganon da Galerato.
Seco avea
Franco e 'l valoroso Alviero
e don Stefano Rossi, a cui fu dato
il
cognome a l'uscir di quel periglio,
perché tutto di sangue
era vermiglio.
69
Al pretor di Bologna intorno stanno
tutti i
primi guerrier del campo armati:
egli che vede la ruina e 'l
danno
e non può riparar da tanti lati
esce da
tramontana; e se ne vanno
di Castelfranco a i muri abbandonati:
e
si riparan quivi, e quivi accolte
sono le genti rotte in fuga
volte.
70
Il popolo di Fano e di Cesena
restò
col fior de' Milanesi estinto;
de' Ravennati e Forlivesi a pena
fu
ricondotto a Castelfranco il quinto;
preso il carroccio, ogni
campagna piena
di morti, ogni sentier di sangue tinto;
gli
alloggiamenti e la nemica preda
restaro al foco e a le rapine in
preda.
71
Piú non tornaro al ponte i Modanesi,
ma
a Castelfranco fêr passar la gente:
e quivi furo i
padiglioni tesi
poco distanti al lato di ponente,
dove ancor
sono i margini difesi
da una trinciera quadra ed eminente,
che
può veder passando in su la strada
qualunque dal castello
al fiume vada.
72
Tiraro il dí seguente una trinciera
i
Bolognesi fuor de la muraglia,
e quivi usciro armati a la
frontiera
contra i nemici in atto di battaglia:
ma stetter poi
cosí fino a la sera,
per mostrar di non ceder la
puntaglia.
E in tanto il Reggimento avea mandato
un messo in
fretta al Cardinal Legato;
73
cui chiedendo perdon del folle
eccesso,
d'aiuto il supplicava e di consiglio
con libero e
assoluto compromesso,
pur che levasse i suoi fuor di
periglio.
Egli, dissimulando il gusto espresso
di vedergli
abbassato il superciglio,
mostrò dolersi de l'avuta
rotta;
e fe' ritorno a la città del Potta.
74
Quivi accolto in Senato ei disse: - Amici,
io
torno a voi con quell'istessa fede
ch'io ritrassi l'altrier, che i
benefici
non mi faceano ancor sperar mercede.
Voi, ch'io credea
di ritrovar nemici,
féste donna di voi la Santa Sede;
e
i nostri amici vecchi insuperbiti
mutaron fede e ne lasciar
scherniti.
75
Or ha l'orgoglio lor Dio rintuzzato:
io che
'l sentiero a la vittoria ho fatto,
che 'l terzo di Perugia ho lor
levato,
che Salinguerra fuor del campo ho tratto,
l'arbitrio
che da voi pria mi fu dato
vi ridomando, ma però con
patto
che debba l'onor vostro esser securo;
e cosí vi
prometto e cosí giuro. -
76
Il Mirandola allora alzato in piede
gli
rispose: - Signor, la patria mia
né per incontro a la
fortuna cede,
né per felicità sé stessa
oblía.
L'arbitrio che da prima ella vi diede,
l'istesso
or vi conferma, e sol desía
che siate voi magnanimo in
usarlo,
com'ella è pronta e generosa in darlo. -
77
Ringraziò que' signori, e fe'
partita
da Modana il Legato il giorno stesso:
e conchiusa la
pace e stabilita
fra le parti in virtú del compromesso,
con
gaudio universal, con infinita
sua lode publicolla il giorno
appresso;
riserbando ne' patti a i Modanesi
la Secchia e 'l Re
de' Sardi a i Bolognesi.
78
Nel resto si dovean tutti i prigioni
quinci
e quindi lasciar liberamente,
e le terre e i confini e lor
regioni
ritornar come fur primieramente.
Cosí finîr
le guerre e le tenzoni,
e 'l giorno d'Ogni Santi al dí
nascente
ognun partí da la campagna rasa,
e tornò
lieto a mangiar l'oca a casa.
79
Voi buona gente che con lieta ciera
mi
siete stati intenti ad ascoltare,
crediate che l'istoria è
bella e vera;
ma io non l'ho saputa raccontare.
Paruta vi
sar?ia d'altra maniera
vaga e leggiadra, s'io sapea cantare;
ma
vaglia il buon voler, s'altro non lice,
e chi la leggerà
viva felice.
FINE
DICHIARAZIONI Dl GASPARE SALVIANI ALLA SECCHIA RAPITA
(Dall'edizione del 1630, attribuite ad A. Tassoni)
CANTO PRIMO
Stanza 1a, verso 4. I Bolognesi sono chiamati Petronii e i Modanesi Gemignani per la moltitudine de' cittadini dell'una parte e dell'altra che hanno questi nomi; non per disprezzo alcuno, poiché per altro sono nomi de' Santi protettori di quelle due città.
S. 2a, v. 8. Accenna la conformità, che è tra il rapimento d'Elena e quello della Secchia.
S. 4a, v. 1. Veramente la Republica di Venezia in quel tempo, veggendo ruinare l'imperio greco, attendeva a profittarsi della caduta sua, e non premeva molto nelle cose d'Italia. Rebuelta de rio, gananza de pescador.
S. 5a v. 4 Questa è moneta che spende ordinariamente la Corte di Roma. Diceva prima: Ma non avran dal Papa altro che messe. Fu mutato, perché il satirizzare su l'imperfezioni de' religiosi pecca in moralità e scandalizza gli uomini pii.
S. 10a, v. 8. Usò questa voce [pitale] il poeta e molt'altre della Corte di Roma, sí per la licenza, che concede Aristotile ai poeti epici d'usar varie lingue; ma molto piú perché egli ebbe opinione che la favella della Corte romana fosse cosí buona, come la fiorentina, e meglio intesa per tutto.
S. 12a, v. 2. I Modanesi portano per impresa della città loro una trivella: col motto: Avia pervia.
S. 12a, v 5. Questo non è capriccio del poeta, come l'hanno tenuto alcuni, ma istoria vera cavata dalle croniche del Lancillotto: il quale aggiugne anco di piú, che occorse un giorno che sementando certi agricoltori fagioli dietro le rive del Panaro, il podestà di Modana uscí con gente armata a far loro la scorta, perché non fossero impediti dai nemici ch'erano anch'essi in campagna: onde i Bolognesi, come faceti, inventarono poi che 'l Potta di Modana sementava i fagioli stando a cavallo.
S. 13a, v. 1. Questi è figurato pe 'l conte Lorenzo Scotti amico del poeta, che morí poi alla corte dell'imperatore Mattias.
S. 13a, v. 8. Gherardo figlio di Rangone Rangoni fu veramente in quel tempo; e secondo l'istorie del Campanaccio e del Sigonio, furono egli e Tomasino Gorzani capitani del popolo modanese in quella guerra e insieme col re Enzio rimasero ambidue prigioni.
S. 14a, v. 2. Marrabisi: è voce lombarda, e significa uomini di mal affare: è propria de' Bolognesi.
S. 14a, v. 5. La Fossalta è un passo d'un torrente tra Modana e 'l fiume Panaro, che si passa a guazzo co' piedi asciutti.
S. 16a, v. 1. Questo è nome finto.
S. 16a, v. 5. Aristotile insegnò all'epico ch'egli poteva usare la varietà delle lingue; onde il poeta qui si serve della regola per introdurre il ridicolo.
S. 25a, v. 3. Bedano appresso i Bolognesi significa quello che appresso i Sanesi significa besso, scemo, balordo.
S. 26a, v. 5. Il capitan Curzio Saracinelli fu uomo bravissimo, ma milantatore al possibile; non s'era fatta guerra in cent' anni, dove egli non fosse intervenuto; e non era intervenuto in guerra, dove di sua mano non avesse tagliato a pezzi almeno cent'uomini, e particularmente nelle guerre di Fiandra e di Portugallo.
S. 28a, v. 1. Questi fu un dottore senza naso; ma il colpo era stato piuttosto di guaina che di spada.
S. 29a, v. 1. Qui è forza narrare un accidente ridiculoso intervenuto al poeta mentre era allo Studio di Bologna, che forse diede materia a questi versi. Era di carnevale, e standava in maschera; e 'l poeta era vestito da Zanni dottore con una zimarra e una beretta di velluto. Incontrossi in tre altri mascheri vestiti da Zanni, in San Mammolo, i quali toltolo in mezzo il cominciarono a urtare; e uno di loro, che portava un formaggetto vecchio legato con una corda, gli diede con esso una botta su lo stomaco, e 'l fece cadere in terra; e un altro gli levò la beretta che gli era caduta nel fango, e gliela portò via trafugandosi fra gli altri mascheri, e 'l fece rimanere un Zanni da dovero. Egli seppe dappoi che quello che l'aveva fatto cadere era stato uno de' Zambeccari, e quello che gli aveva tolta la beretta era stato un tal Dal Gesso che morí poi la state seguente, e 'l terzo era uno de' Scadinari.
S. 31a, v. 1. Questa è un'osteria fuor di porta San Felice a Bologna, dove sempre suol essere buonissimo moscadello.
S. 39a, v. 3. Alcuni vogliono che Bologna fosse anticamente detta Boionia, dai Galli Boi, che abitarono quivi.
S. 41a, v. 4. Manfredi Pio non fu molto distante a quei tempi; fu capo delia fazione ghibellina e vicario imperiale in quelle parti.
S. 43a, v. 7. La secchia, che tuttavia si conserva in Modana, è veramente d'abete; e mostra che fosse nuova con tre cerchi e il manico di ferro. È anticaglia degna d'esser veduta, come quella che tiene il terzo luogo dopo la nave d'Argo e l'arca di Noè.
S. 48a, v. 3. Chi desidera di sapere il successo di questa vergine, legga il Leonico, De varia historia etc.
S. 52a, v. 1. Bonadamo Boschetti era veramente vescovo di Modana in quei tempi, e come uomo di fazione era stato cacciato dai ghibellini. Questa ottava si leggeva prima così:
Era vescovo allor per aventura
de la città messer Adam Boschetti,
che celebrava con solenne cura
quando i suoi preti li facean banchetti.
Non dava troppo il guasto a la scrittura,
le starne gli piacevano e i capretti,
e in cambio di dir vespro e matutino
giucava i benefici a sbarraglino.
Ma perché al poeta parve d' aver ecceduto nel motteggiare la persona d'un vescovo per altro di nobilissima famiglia e molto sua amorevole, non ostante che avesse motteggiata la persona sola e non la dignità né la famiglia, la corresse come si vede. I difetti delle persone eminenti s'ascoltano con gusto, perché servono di scusa agli inferiori delle loro imperfezioni: ma il motteggiare le persone sacre non si può ammettere in buona politica, perché scema la riverenza alla religione. E per questo furono mutati eziandio quei versi dell'ottava 62a:
Sotto la porta stava Monsignore
dimenando il cotal dell'acqua santa.
S. 61a, v. 1. Cataline sono chiamate qui le contadine del modanese, perché dicono Catalina in cambio di Caterina, e infinite di loro hanno questo nome, ma il proferiscono alla spagnola, e i Bolognesi le beffeggiano.
S. 63a, v. 7. Molti credono, che questa sia favola; ed è istoria verissima. e in passando da Modana se ne posson chiarire.
CANTO SECONDO
S. 7a, v. 3 Questo Rarabone, che 'l poeta finge qui per autore della sua famiglia, non si sa che veramente fosse allora capo di banca; ma si trova però nelle croniche di quella città scritto fra gli anziani e conservatori di essa ventott'anni appresso.
S. 11a, v. 2. Equivoca e scherza sopra il nome di Marcello, che in Venezia è una moneta da dodici soldi.
S. 13a, v. 3. Il dottor Camillo Baldi fu principal lettore dello Studio di Bologna, e amico del poeta; e avea le sue possessioni a Grevalcore terra palustre; dove, alle prime rane che si veggono, sogliono i Modanesi motteggiare che quei di Grevalcore non possono piú perir di quell' anno, perché quivi ne nascono e se ne mangiano assai.
S. 15a, v. 7. Veramente Appiano Alessandrino, descrivendo il luogo dove Pansa console fu ucciso dalle genti di Marc'Antonio, pare che additi le valli di Grevalcore; dove tanto gli uomini quanto le rane nascono verdi e gialli.
S. 27a, v. 6. Veggansi l'istorie di quei tempi, e troverassi che i Modanesi, i Parmegiani e i Cremonesi erano sempre uniti in lega.
S. 28a, v. 1. Finge il poeta che la Fama porti gli avisi e le gazzette de' menanti d'ltalia alla corte di Giove.
S. 35a, v. 4. Intende delle maremme di Siena, i cui cervelli hanno fama d'avere occulta intelligenza con questa Dea.
S. 35a, v. 8. Le meretrici invecchiate e dismesse sogliono per l'ordinario applicarsi a cosí fatti lavori.
S. 36a, v. 2. Rappresenta certe mogli indiavolate e traverse, che sempre aggiustano tutte le faccende loro a disgustare il marito. S'egli ha forestieri, esse vogliono fare il bucato; se vuol mangiar per tempo, esse vanno all' ultima messa; s'egli ha bisogno di loro, vanno a lavarsi il capo: altre non si mettono mai ad intrecciarsi i capegli, se non quando si vuole andare a tavola, per farsi aspettare un pezzo: strebbiatrici, insolenti, picchiapetti.
S. 36a, v. 8. È galanteria, che s'usa nelle corti di Roma, acciò che i servidori non s'imbriachino. Sono di quei beneficii non ricercati, che sogliono usare i moderni caritativi.
S. 43a, v. 1. Il signor Guglielmo Moons, agente del serenissimo elettor di Colonia, paragonò questo luogo con quelli d'Omero e di Vergilio; ma non gli parvero da competere: ma io so che 'l poeta non ebbe intenzione di concorrer con essi.
S. 43a,v. 7. Chi non intende il poeta, legga le veridiche istorie di Luciano, dove tratta delle battaglie seguite tra Endimione e Fetonte ne' campi della Luna.
S. 44a, v. 2. Dante disse [Inf. XVIII, 61]: Tra Savna e 'l Ren dove si dice Sipa.
S. 45a, v. 8. Saturno, pianeta maligno, che agli uomini co' suoi influssi sempre minaccia danni, risponde qui conforme alla sua natura. E Marte applaude alla sua risposta, per esser anch'egli pianeta di mala qualità.
S. 46a, v. 7. Parla astrologicamente: perciò che, se la stella di Marte è mirata d'aspetto opposto o quadrato da quella di Venere, a' suoi cattivi infiussi vien scemato il vigore.
S. 50a, v. 1. A Modana si fanno e s'adoprano le maschere piú che in città del mondo; e 'l carnevale vi sono continue danze e tornei e giostre e bagordi. E quivi parimenti sono trebbiani dolcissimi ed altri vini in copia grande.
S. 50a, v. 8. Allude al proverbio far la barba di stoppa; e motteggia le statue degli Dei de' gentili ch'avevano la barba d'oro: onde Dionisio tiranno la levò ad Esculapio, dicendo ch'era indecenza che 'l figlio avesse la barba e 'l padre, ch'era Apollo, fosse sbarbato.
S. 57a, v. 8. Piú modestamente non si poteva dichiarare l'oscenità, né con piú acutezza schernire il gentilesimo. Alcuni si credettero d'imitar questi dileggiamenti degli Dei de' gentili, e diedono nelle seccagini e nelle freddezze: Ma ognun del suo saper par che s'appaghi.
S. 60a, v. 1. La plebe di Bologna suol essere astutissima: aggiuntovi poi l'esser oste e l'esser guerzo, affina la tristizia a ventiquattro carati.
S. 63a, v. 2. Chiama il poeta fetente Modana per rispetto delle sue strade lorde, dominate piú dalla dea Merdarola che dal dio Febo. Un altro poeta disse:
Modana e una città di Lombardia
Tra 'l Panaro e la Secchia in un pantano,
Dove si smerda ogni fedel cristiano
Che s'abbatte a passar per quella via.
I Modanesi sogliono con tutto ciò dire che la città loro ha due strade per tutto: una per gli uomini e l'altra per le bestie; intendendo che i portici, che sono in tutte le contrade, servano per gli uomini.
S. 65a, v. 3. Bacco non poteva chiamar gente piú sua affezionata e divota, né invitarla in luogo dove fosse meglio trattata; perciò che a Modana ci sono bonissimi vini, e in tanta quantità che si vende a tre giulii il barile: onde si può dire che quivi sia la regia di Bacco, e la terra di promissione de' Tedeschi.
S. 65a,v. 7. Questi è il primo Santo che venga dopo le vendemmie; e suole essere la sua festa destinata ad assaggiare i vini nuovi. Oltre di ciò Gregorio Turonese fra' miracoli di questo Santo conta alcune moltiplicazioni di vino; sí che per tutti questi rispetti i Tedeschi deono avere in venerazione particolare questo gran Santo.
CANTO TERZO
S. 4a, v. 1. È promessa simile a quella che già fece l'istessa dea a Paride; e accenna l'origine de' signori Bentivogli, che tengono di esser discesi dal re Enzio.
S. 11a, v. 8. Culagna è una rocca smerlata su le montagne di Reggio, famosa come a Roma Capodibove.
S. 13a, v. 8. Le corna erano anticamente segno di corona, e oggidí ancora in Germania si portano sui cimieri in segno di nobiltà. Però niuno interpreti a sinistro il cimiero di questo eroe, che porta corna ch'ognuno le vede, e tal le porta che non se le crede.
S. 14a, v. 1. Ad un cavaliero de' Montecuccoli parve che questo fosse il suo ritratto: ma molte cose dette a caso paiono alle volte dette a posta.
S. 15a,v. 7. Quando Balduino imperator di Costantinopoli venne in Italia, nel passar per Modana fece veramente alcuni cavalieri tra' quali furono Attolino e Guidotto Rodea, Forte Livizzano e Rainero de' Denti di Balugola.
S. 18a, v. 1. Camillo del Forno fu veramente uomo arrischiato e bravo ma in ultimo essendosi fatto capo di banditi, la sua temerità il precipitò.
S. 20a, v. 2. Questo arciprete fu ribello del comune di Modana, e gli occupò la terra del Finale, e gli fece di molti danni.
S. 24a, v. 1. Questa fu istoria vera: e chi desidera di saperla, legga quel che ne scrive il conte Giovan Paulo Caisotto nell'istorie di Nizza.
S. 30a, v. 1 . Corleto e Grevalcore furono detti a contraposizione Cor laetum et Grave cor; questo dai soldati di Pansa ucciso quivi; e quello dai soldati d'Ottaviano vittorioso in quel luogo, quando liberò Modana dall'assedio.
S. 30a, v. 7. Quest'era un maestro di scuola famoso, a cui essendo venuto uno de' suoi contadini a dargli nuova che gli era morta una vacca, il rimandò in villa e gl'insegnò che gli facesse un beverone che sarebbe guarita.
S. 31a, v. 1. Questo dottore si maritò con una giovinetta in età matura e morí subito. I vecchi, che si maritano a donne giovani, sono giubboni vecchi che s'attaccano a calzoni nuovi, che subito si schiantano.
S. 32a, v. 1. Ebbe nome Bartolomeo, e fu appunto quale il poeta il descrive.
S. 35a, v. 2. L'arma de' signori Boschetti è una grattugia con certe sbarre; ma il poeta la finge una gradella, perché veramente i pittori la rappresentano piuttosto in forma di gradella che di grattugia.
S. 39a, v. 1. Questo si chiama San Martino de' Ruberti, famiglia nobile reggiana, che vanta la sua origine d'Africa; e per questo il poeta le dà per impresa un Saracino.
S. 40a, v. 1. Questa fu antica e nobil famiglia oggidí estinta. Zaccaria fu signor di Carpi; ma da Manfredi Pio, ch'era allora vicario imperiale, gli ne fu levato il dominio.
S. 46a, v. 1. Intende della famosa Accademia della Crusca di Firenze, che porta l'istessa impresa.
S. 46a, v. 8. Gli finge unti, perché quivi nasce l'olio di sasso famoso, intorno al quale faticano.
S. 47a, v. 2. I vini di Sassuolo sono perfettissimi.
S. 48a, v. 1. Quei della Rosa furono in quel tempo signori di Sassuolo; e chiamavansi egualmente quei della posa e quei di Sassuolo. Oggi è famiglia estinta
S. 49a, v. 1. Scherza su 'l nome e su le bellezze della signora Laura Cesi contessa di Pompeiano. Sol che tramonta.
S. 50a, v. 2. Il conte Ercole Cesi aveva assuefatte alcune giovani di quelle terre, che tiravano co' moschetti a segno, come gli uomini.
S. 51a, v. 1. Cioè avea il cognome e'l dominio della terra di Cervarola e di Saltino e del Pigneto e di Morano paese vicino.
S. 54a, v. 3 Rappresenta nell'insegna un uomo collerico.
S. 57a, v. 2. Questo cavaliere aveva una sorella bellissima, che poi si fece monaca
S. 57a, v. 4. Settecento uomini che guardavano un passo stretto d'una montagna, veggendo apparire certi cavalli nella pianura, a quella vista sola tutti si misero in fuga, perché avevano per capo il conte di Culagna. È istoria antica che sente del moderno.
S. 59a, v. 1. Allude al conte Fabio Scotti, conte di Miceno, detto corrottamente Muceno.
S. 64a, v. 1. Niuna cosa vien istimata piú abile a muovere il riso che gli abiti contrafatti; e però il poeta arma questi popoli montagnuoli così alla scapigliata.
S. 65a, v. 2. Alberto ebbe nome, e fu giovane valoroso nell'armi, che poi si fece frate cappuccino.
S. 65a, vv. 3- 4. Questi due versi si leggono guasti in alcuni testi, non so da chi, né perché, essendo rappresentazione d'un atto ridiculo che sogliono ordinariamente fare i putti cristiani in disprezzo del giudaismo. Ma alle volte taluno si fa scrupolo a sputare in chiesa, che poi ruberebbe la sagrestia.
S. 66a, v. 2. Cioè Morovico signor di Ronchi, e di casa Ronchi.
S. 67a, v. 8. Chiamasi la Torre dell'Oche grande, non rispetto al luogo, ma al numero di quelli che hanno il cervello d'oca.
S. 73a, v. 4. La bizzaria di queste insegne par fatta a caso; ma nelle piú di loro vi sono degli artificii occulti, i quali si tacciono per non offendere.
S. 75a, v. 1. Fu verissimo che in quella guerra i Fiorentini anch'essi aiutarono i Bolognesi: e il commessario loro fu messer Botticella degli Orciolini.
CANTO QUARTO
S. 2a, v. 6 La montiera è un cappelletto alla spagnola da portare in casa, che usavano anche gli antichi; onde Svetonio in Augusto: Domi quoque non nisi petasatus sub dio spatiabatur. Augusto per rispetto de' crepuscoli non passeggiava in casa allo scoperto senza la montiera.
S. 3a, v. 1. Chiama seme de' Latini i Modanesi, perché Modana era stata colonia de' Romani.
S. 3a, v. 4. Gli scrittori antichi mettono il Lavino fiume nel territorio di Modana. Ma Carlo Magno, nella divisione che fece de' confini d'ltalia, divise col Panaro i confini di Modana e di Bologna, perché in quel tempo Modana era distrutta e spopolata e Bologna populatissima. Succederono poi Federico Barbarossa e Federico Secondo, i quali avendo i Bolognesi per difidenti e per nemici tenevano un presidio a Modana, e non lasciavano goder loro quel territorio in pace per le ragioni antiche.
S. 4a, v. 1. È castello su la strada maestra ne' confini de' Bolognesi, oggidí aperto.
S. 15a, v. 1. Furono veramente i Parmegiani aspri nemici di Federico Secondo. Veggansi l'istorie.
S. 21a, v. 8. La Rossina è una canzone triviale che si canta in Lombardia; e cominciando dalle chiome dice: Le belle chiome c'ha la mia Rossina, Rossina bella fa la li le lá: Viva l'amore e chi morir mi fa: e cosi va seguendo.
S. 28a, v. 1. Il testo primo diceva: Uccise d'an gran taglio Angel Rasello. Et era un ritratto cavato dal naturale d'un personaggio ora morto, che quadrava a puntino.
S. 39a, v. 1. Avendo i Ferraresi cacciato Aldobrandino da Este per l'alterigia sua, s'elessero per signor Salinguerra Torelli, o Garamonti com'altri vogliono. Ma poco dopo Salinguerra fu anch'egli cacciato, e fu restituito il dominio ad Azio da Este figliuolo d'Aldobrandino. Vogliono nondimeno alcuni speculativi che qui il poeta alluda alla cacciata di qualche altro signor piú moderno. Salinguerra, secondo l'istorie del Biondo, fu aiutato da Ezzelino tiranno di Padova ad acquistare il dominio di Ferrara, perché era suo cognato e gli Estensi erano suoi nemici.
S. 40a, v. 3. Questo è un contrasegno del marchese Fontanella conte di San Donnino, che soleva far quell' atto.
S. 61a, v. 7. La famiglia Canossa era fino a quel tempo molto nobile e gli storici dicono che Guido Canossa fu veramente capo del popolo reggiano in quella guerra, e che, trasportato dall'impeto del cavallo e ferito, s'affogò in una fossa.
S. 64a, v. 1. Questa potrebbe esser giudicata da qualcheduno invenzione del poeta per ischernire i Reggiani; e non è cosí: perciò che veramente nell'archivio de'signori Pii si trova una sentenza data in Rubiera l'anno 1255 alli 20 di febbraro, regnando Federico Secondo imperatore, ed essendo suo vicario in Modana il signore Alberto Pio; e tal sentenza fu data dal dottore Andrea Canossa da Parma, giudice deputato da esso Signore Alberto nella controversia che allora si disputava tra la comunità di Reggio e quella di Modana, la quale per esser cosa lunga non la riporterò qui tutta, ma le parole e clausule solamente che contengono il punto di questo accidente. E sono quelle che seguono:
Christi nomine repetito, etc.
Dicimus, sententiamus et pronuntiamas et diffinimus, et iudex quietamus liberamus et absolutos, quietos et liberatos esse iubemus et condemnamus et ut arbiter arbitramur et sententiatum esse volumus et condemnamus ut intra, videlicet:
Dictos de Reggio, sea praædictam communitatem Reggii teneri et obligatos seu obligatam esse extrahere videlicet cothurnos, stivalia, soturales et crepidas, in signum hanoris et reverentiæ debitæ et debendæ prædictis Mutinensibus, in itinere pedestri, equestri et navali, in quibascumque domibus hospitiis et ad omnem quamcumque volantatem prædictorum Mutinensium requirentium et etentium sibi calciamenta extrahi debere et stivalia cothurnos sotalaria vel crepidas, sic extractas vel extracia purgare, mundare, lavare et ezsdem et quibuscumque eorum, ut dominis suis eos vel ra præsentare. Et ita pronunciamus omni meliori modo etc.
Præsentibus ambobus prædictis procuratoribus seu mandatariis D. D. Pietro de Nava et Francisco Regino etc.
Actum in Castro Herberiæ etc.
A questa scrittura precedono e seguono le solite clausole, le quali, come ho detto, per brevità si tralasciano, bastandoci avere accennata qui la sostanza del fatto. Se poi tale scrittura sia cosa vera e reale o pur finta, me ne rimetto all'altrui giudicio, bastandomi aver significato che 1' originale è in casa de' signori Pii di Savoia, e che non è invenzione del poeta.
S. 65a, v. 6. A sesta, cioè a misura. Ma questa pur anco parrà ad alcuno invenzione del poeta contra i medesimi Reggiani: e nondimeno nell'istorie del regno d'ltalia sotto l'anno 1152 e in altri autori ancora, si legge ch'essendo in lega i Modanesi co' Parmegiani ruppero l'esercito de' Reggiani e ne menarono a Parma un gran numero di prigioni; e che'l giorno seguente, mostrando di volerli arder vivi, accesero in piazza un gran foco; poi trattili di prigione con una canna in mano per ciascheduno, che aveva in cima una banderola di carta, li facevano passare per certo luogo stretto, e nel passar che facevano davano a ciascheduno uno scappezzone o scappellotto su la nuca; e in cambio d'arderli facevano loro degli soffioni e ardevano loro la barba, e poi li mandavano via cosí svergognati e spauriti.
S. 66a, v. 7. I Reggiani oppongono ai Modanesi che mirano la luna nel pozzo, perché veramente i Modanesi hanno in costume, quando veggono un pozzo, di correr subito a mirarci dentro. E i Modanesi oppongono ai Reggiani che abbiano le teste quadre, perché realmente molti di loro non l'hanno né tonde né ovate, come anche si dice de' Genovesi che abbiano le teste acute, perché molti di loro l'hanno cosí. Però come questo è accidente di molti, non di tutti, il poeta finse che quelli solamente che patteggiati uscirono di Rubiera avessero le teste quadre, e che i medesimi soli fossero ubbligati a cavar gli stivali o le scarpe ai Modanesi quando s'incontravano per viaggio. In ogni evento è da considerare che i capricci de' poeti non fanno caso, e tanto piú de' poeti burleschi, che hanno per fine loro il diletto e non la verità; perché ben si sa che per altro li signori Reggiani sono molto onorati.
CANTO QUINTO
S. 2a, v. 2. Bosio Duara signor di Cremona fu veramente allora in aiuto de' Modanesi, e vi rimase prigione.
S.23a, v. 8. A Modana i pizzicagnoli si pregiano vanamente di far salciccia fina, perciò che non val nulla rispetto a quella di Lucca detta perciò latinamente lucanica da Lucca.
S. 24a, v. 4. Nelle croniche di Modana si legge, che le città che s'armarono in favore de' Bolognesi contra Modana furono appunto quattordici, e quell'istesse che nomina il poeta, da Perugia in fuori, che fu introdotta da lui a contemplazione del signor Baldassare Paulucci.
S. 25a, v. 7. Il papa era allora in Francia nel Lionese Veggasi il Biondo sotto l'anno 1218, nel quale seguí la battaglia e la rotta e la presa del re Enzio.
S. 28a, v. 3. Questa è vera istoria e non pecca in altro che in anacronismo. L'accidente occorse a questo prelato a Scarperia, mentre da Roma andava a Parma.
S. 32a, v. 1-8. È ritratto cavato dal naturale e fu vero che ritornando portò guanti agli amici.
S. 36a, v. 1. È descrizione della salmeria che portarono quei Toscani, che l'anno 1613 passarono in aiuto de' Mantuani contra i Savoiardi, che si servirono d'asini per bagagli.
S. 40a, v. 4. Il dice per gli Sforzeschi e per quelli da Barbiano, che furono eroi.
S. 41a, v. 4. Guido da Polenta fu padre della Francesca da Rimini, di cui si favella ne' seguenti versi.
S. 43a, v. 3. Paulo: fu questi fratello di Lanciotto, da cui fu ucciso perché il trovò con la moglie Francesca. Vedi Dante.
S. 48a, v. 3. Accenna quello che si dice de' Faentini, che l'imperator Carlo Quinto, essendo stato molto onorato da quei cittadini nel giugnere alla piazza creasse cavalieri tutti quelli che vi si trovarono; onde perciò i Faentini quasi tutti si chiamino cavalieri.
S. 49a, v. 2. Mainardo da Susinana fu veramente tiranno di Cesena, come anco Pietro Pagano d'Imola e gli Ordelafi di Forlí e Forlimpopoli. Leggi il Villani, che ne favella.
S. 53a, v. 2. I prirni ch'usassero il carroccio furono i Milanesi. Era un gran carro tirato da molte paia di buoi, dove si mettevano tutte l'insegne quando si combatteva, e dove si ricoveravano i feriti sotto la guardia d'una grossa banda di soldati, i piú vaiorosi del campo.
S. 53a, v. 8. Antonio Lambertazzi e Lodovico di Geremia furono i due capi principali del popolo di Bologna nella giornata d'Enzio.
S. 55a, v. 1. Quest'era veramente il podestà. di Bologna in quel tempo. La gorgiera in questo loco è detta per gozzo; e dicesi che nel bresciano quando le genti s'ammogliano, non le vogliono se non hanno il gozzo, perché dicono che le sgozzate non hanno tutti i loro membri.
S. 55a, v. 8. I Bresciani sono contati anch'essi fra le città collegate con Bologna. Le parole delle croniche di Modana sono le seguenti: De anno 1247 die 4 octobris Bononienses cum suo carroccio et cum amicis suis Faventinis, Imolensibus, Forliviensibus, Ariminensibus, Pisauriensibus, Fanensibus, Mediolanensibus, Brixianis, Forlimpopolensibus, Cesenatibus, Ravennatibus, Ferrariensibus, Florentinisque faerunt in obsidionem Bazani et ceperunt castrum Vignolæ et cum eis fait Comes Albertus de Mangona, etc.
Eodem tempore die 24 octobris Mutinenses equitaverunt comburendo omnia usque ad Rhenum, et tunc fait magnum prælium apud Sanctam Mariam de Strata, et ex parte Bononiensium captus fuit dominus Thomasinus Salinguerra, et vulneratus est dominus Paulus Traversarus de Ravenna, et multi Florentini et Bononienses capti sunt. Ex parte vero Mutinensium mortuus est dominus Ponzanatus de Cremona... Et de anno 1248 inter Bononienses et Mutinenses fait magnum prælium in die Mercurii apud Fossaltam: in quo Mutinenses vieti sunt, et capti fuerunt septem de populo, et circa centum milites de Mutina. Et in dicto prælio captus fuit Henricus rex Sardiniæ, qui tunc erat cum Mutinensibus, et multi milites Germanici, qui cum dicto rege militabant etc. E questo può servire a mostrare che ne'successi di quella guerra i Bolognesi non sono stati aggravati dal poeta, come forse taluno si crede; poiché le rotte furono vicendevoli.
S. 56a, v. 4. Il conte Romeo Pepoli è moderno: ma vi fu un altro Romeo Pepoli che non era conte, del quale fa menzione il Biondo, e fu vicino a quei tempi; e i suoi nipoti furono poi signori di Bologna, e la venderono all'arcivescovo Giovanni Visconti per ducento mila scudi.
S. 63a, v. 6. I marroni in Lombardia si chiamano le castagne grosse col guscio: e mazzamarroni significa l'istesso che mangiamarroni,perciò che i montanari ne sogliono distruggere e mangiare una gran quantità. Cosí chiamò anche i Cremonesi mangiafagioli.
S. 66a, v. 6. Questo Tomasino Gorzani fu uno de' capitani del popolo in quella guerra, e fu fatto prigione anch'egli col re Enzio.
CANTO SESTO
S. 1a, v. 1. Questo poeta non fu rubatore: ma le cose sue sono trovate da lui, e particolarmente le descrizioni, come questa del mezzogiorno e tant'altre dell'aurora e della notte. A Vergilio e al Tasso scema gran parte della lode l'essersi serviti delle invenzioni degli altri.
S. 16a, v. 2. Dell'istessa lingua fiorentina riputata per ottima si serve a generare il ridicolo, sindacando la cattiva pronuncia d'alcune voci.
S. 17a, v. 5 Introduce personaggi noti a molti e aggiustati all'azioni che lor fa fare. Il Teggia fu uomo di lettere, e cognito nella corte di Roma; e morí cieco: onde finge che fosse acciecato in questa guerra.
S. 21a, v. 5. Sono cognomi di famiglie nobili bolognesi de' nostri tempi.
S. 33a, v. 5. Min del Rosso, Gabbion di Gozzadino, Carlon Cartari, Ruffin dalla Ragazza ed altri cosí fatti sono nomi notissimi tra i vecchi di Bologna.
S. 45a, v. 3. Lanzi in Lombardia si chiamano i Tedeschi: sbittare in bresciano significa saltar fuora e scappare, e schitta nello stesso linguaggio è l'istesso che cacarella o cacaiola.
S. 64a, v. 1. Guido da Polenta signor di Ravenna e padre della Francesca da Rimini, di cui si ragionò di sovra, fioriva anch'egli in que' tempi.
S. 66a, v. 8. È detto da un nemico, che oppone ai Romagnoli due pecche; cioè che sieno facili, quando sono banditi, a mettersi a rubare alla strada, e che scorticassero san Bartolomeo; ch'è una fama vana, perciò che san Bartolomeo morí in India.
S. 67a, v. 5. In Modana sono veramente queste due fazioni. I triganieri sono una mano di scapigliati oziosi, che, non sapendo che farsi, si dànno a far volar colombi ch'essi chiamano trigani, e gli avezzano non solamente a condurne alle loro colombaie de' forestieri, ma a portar anche delle lettere da luoghi distanti cinquanta e sessanta miglia: usanza conservata in quella città fin dalla sua prima origine; onde leggiamo in Plinio che, quando era assediata da Marc'Antonio con tanta strettezza che non ne poteva uscire uomo alcuno, furono mandate fuora colombe con lettere al collo, che furono cagione che'l senato romano affrettasse il soccorso.
S. 67a, v. 6. La campagnia de' Bacchettoni ha preso questo nome da'Fiorentini, che chiamano bacchettoni certi che 'l giorno vanno baciando le tavoloccie e la sera s'adunano a disciplinarsi a calzoni calati. Ma l'origine di tal nome io non l'ho potuta sapere.
S. 69a, v. 7. Questi sono i nomi di due triganieri famosi nella città di Modana e conosciuti da tutti gli osti e bettolieri.
S. 70a, v. 4. Chi vuol sapere chi fosse santa Nafissa, o per dir meglio chi fosse la Nafissa riverita per santa dai maomettani, legga il Leoni nella descrizione dell'Africa, dove tratta delle curiosità e novità che sono nella gran città del Cairo. E questo sia detto per rispondere a chi oppose già al poeta che questo era un miscere sacra profanis, e che questo poema era una calza d'uno svizzero di due assise; non avendo mai letto Plinio secondo, nell'epistola XXI dell'ottavo libro ove egli favellò nella forma seguente: Ut in vita sic in studiis pulcherrimam et humanissimum existimo severitatem comitatemque miscere, ne illa in tristitiam, hæc in petulantiam excedat, etc.
CANTO SETTIMO
S. 5a, v. 1. Omero finge ragionamenti tra colpo e colpo, e in particolare fa narrare la stirpe loro agli stessi combattenti nell'atto del menar le mani. Però se Aristotile fosse stato soldato non l'avrebbe lodato né in questo né in molte altre cose, dove parla della milizia bamboleggiando.
S. 9a, v.1. Parla come nemico; e attribuisce a mancamento ai Ferraresi quello ch'era lode loro, cioè il tener col papa. Cosí Enzio nel canto precedente come nemico chiama papisti i guelfi; e il poeta deve imitare chi favella.
S. 16a, v. 1. Nel poema dell'innamoramento d'Orlando si legge che combattendo quel paladino col re Agricane, e vedendo quel barbaro i suoi che fuggivano, pregò Orlando che glieli lasciasse rimettere in battaglia, che poi ritornerebbe a duellare con esso lui: e Orlando se ne contentò. Ma qui Voluce dice ch'Orlando è morto, e non è piú quel tempo.
S. 21a, v. 8. Un tal principe greco, che si vantava della stirpe di Costantino Magno, e mostrava privilegi di cartapecora vecchia, veggendo l'ambizione degl'ltaliani, dava loro titoli a decine senza risparmio per ogni minima mercede. E a Ferrara fe' gran profitto, dove infeudò le terre del Turco.
S. 27a, v. 1. Veramente Bosio Duara signor di Cremona rimase anch'egli prigionièro de' Bolognesi in quella guerra.
S. 29a , v. 2. Questi versi non diceano cosí nella prima stampa, ma il poeta volse onorare Omero Tortora istorico amico suo e gli mutò.
S. 34a,v. 1. Nomi perugini accorciati.
S. 34a, v. 8. Questi professava di parlar peruginissimamente secondo il volgare del popolo, e si poteva imparar da lui il parlar perugino.
S. 39a, v. 1. Favella della guerra della Garfagnana tra i Lucchesi e i Modanesi, nella quale que' popoli montagnoli per odio si tagliavano le viti e si scorticavano i castagni l'un l'altro con vendetta montanaresca.
S. 42a, v. 1. Questi era un personaggio mandato dal governator di Milano per veder d'acquetar que' popoli; e salvò la piazza di Castiglione spiegando una bandiera del re Cattolico, alla quale i Modanesi fecero di berretta.
S. 42a, v. 3. Alcuni dicono che fu un pezzo di tela rossa, e che i Modanesi si lasciarono ingannare dal colore. Nella edizione di Parigi i versi furono mutati da un Lucchese che assisteva alla stampa, e voltati a favore della sua nazione. Ognuno procura suo vantaggio.
S. 48a,v 1. Parla secondo gli astrologi. L'aspetto quadrato è infelice, e tanto piú ne' pianeti maligni come Marte.
S. 53a, v. 1. Questo è un consiglio imitato in Petronio Arbitro, dove i consiglieri contendono a chi dice peggio.
S. 53a, v. 6. A quel tempo Modana era stata tutta piena di masse di stabbio: oggidí le strade ne sono meno adorne, ma non però in tutto prive. Da Omero sarebbe stata detta urbs bene stabalata.
S. 54a, v. 8. È un verso di lingua pretta modanese.
S 55a, v. 5. L'antichità di Modana si conosce dalle fabbriche particularmente de' portici su i balestri, che mostrano d'esser stati fatti assai prima che Vitruvio scrivesse d'architettura.
S. 55a, v. 8. Le canalette sono le cloache, delle quali è piena quella città: e quando le votano, non si può passar per le strade per rispetto della lordura che si diffonde, oltre il puzzo che appesta.
S. 68 a, v. 1. Chi desidera di saper meglio l'istoria di Telessilla, legga il Leonico, De varia historia.
S. 74a, v. 7. Séguita l'opinione di coloro che dissero che i pianeti erano come lampade attaccate al cielo.
CANTO OTTAVO
S. 1a, v. 3. Chiama il poeta le lucciole stelle della terra, e le stelle lucciole del cielo, perché fanno l'istesso effetto di volar per l'aria e di non risplendere se non di notte.
S. 8a, v. 7. Chiama ciurmatori i filosofi greci, che persuasero al popolo che ogni pianeta avesse un cielo da sé, e che gl'inferiori fossero rapiti dall'ottava sfera da oriente in occidente. Perciò che il poeta fu sceptico, e tenne che le cose de' cieli, quanto a noi, consistessero tutte in opinione e probabilità. E ne portò egli ancora una nuova nel terzo libro de' suoi Pensieri.
S. 11a, v. 7. Ezzelino da Romano era allora signor di Padova, e dipendente da Federico imperatore. Veggansi l'istorie di quei tempi.
S. 15a, v. 7. È descrizione dell' aurora fatta a concorrenza di quella di Dante nel IX del Purgatorio:
La concubina di Titone antico
Già s'imbiancava al balzo d'oriente
Fuor de le braccia del suo dolce amico.
Veggasi l'una e l'altra.
S. 19a, v. 7. Parla di Pietro d'Abano, tenuto per mago; il quale, se allora fosse stato quivi, avrebbe armata qualche compagnia di demoni in favore de' Modanesi.
S. 22a, v. 1. Dicono che veramente costui fosse uno de' favoriti d'Ezzelino, e alzato da lui a' primi gradi d'onore, d'uomo basso ch'egli era.
S. 25a, v. 2. La donna di Cipada è Mantova, illustrata dai versi di Vergilio, come Cipada da quei di Merlino poeta sepolto nella terra di Campese con famosa sepoltura fabbricatagli dal padre don Angelo Grillo, poeta famoso anch'egli, e principalissimo soggetto della religione benedettina.
S. 26a, v. 6. Le galline di Polverara e la razza loro e famosa per tutta Italia.
S. 28a. v. 7. In quelle parti, quando si vuol significare qualche aiuto fuora di tempo e tardo, si dice il soccorso di Paluello, come in Toscana il soccorso di Pisa.
S. 30a, v. 3. È opinione che Tito Livio istorico fosse da Teolo.
S. 32a, v. 3. Quivi dicono che Antenore fondasse la sua prima città chiamata Urbs euganea, che poi è stato corrotto dagl'idioti in Brusegana.
S. 33a, v. 7. La pelle della gatta del Petrarca s'è conservata fino a' tempi nostri, e continuamente viene illustrata dai versi e dai componimenti de' begli ingegni.
S. 36a, v. 1. Descrive l'arciprete Gualdi amico suo.
S. 37a, v. 5. Le rime burlesche in lingua padovana di Menone e Begotto sono assai note in tutto lo stato veneto.
S. 41a, v. 7. Non erano veramente ancora signori di Rodi i cavalieri di san Giovanni, ma furono poco dopo: e 'l poeta parla secondo quello che fu poi.
S. 47a, v. 1. Il poeta fu poco amico d'Omero, e disprezzò le sue invenzioni come rozze e di cattivo costume: nondimeno, per mostrare -che conobbe il buono e'l cattivo di quel poeta, introduce questo cieco a cantare all'omerica.
S. 51a, v. 4. Le compagne mirò ecc. Cosí è stampato in tutte le copie: nondimeno il testo manuscritto di mano del poeta dice Le campagne e non Le compagne; e cosí dev'essere scritto e stampato, non ostante che anche si possa intendere che Le compagne significhi le stelle compagne della Luna. Ma il poeta vuol significare che la Luna mirò in terra, e non in cielo.
S. 57a, v. 1. Finge il poeta ch'Endimione donasse a Diana una benda bianca che portava armacollo fregiata di perle, per adornare il dono che finsero i poeti antichi esserle stato donato da quel pastore, e per mostrar che le femmine, comunque innamorate, sempre vogliono qualche cosa dall'amante.
S. 65a, v. 7. Gli anacronismi, quando sono lontanissimi e cadono opportunamente come questo, parturiscono anch'essi il ridiculo.
S. 68a, v. 4. I poveri d'una famiglia hanno sempre per grazia che i ricchi gli vogliano riconoscere per parenti: perciò che la povertà è un argomento di demerito, e per questo i poveri sono sprezzati.
S. 71a, v. 8. Vedi Livio, ché '1 poeta sta su 1'istoria.
CANTO NONO
ARGOMENTO.
Questo canto par avere poco del comico, e nondimeno tutto è comico: perciò che tien sospeso l'uditore sino al fine; poi in aspettazione di cosa grave e seria finisce in un ridicolo.
S. 8a, v. 2. Vedi l'Ariosto.
S. 10a, v. 1. Questi è Galeotto figliolo del signore della Mirandola, di cui si favellò di sopra nel canto 111.
S. 12a, v. 5 Questo è il lino asbestino, di cui favella Plinio. Gli antichi ne filavano tele incombustibili, che, quando si voleano imbiancare, si gittavano nel foco; ed erano stimate al pari delle gioie piú preziose. Il cavalier Gualdi ne ha mostra in Roma tra le sue curiose anticaglie. È pietra venata con certa lanugine per le vene,simile all'allume di piuma che non si consuma nel foco. Ma la maniera di filar tal materia noi non l'abbiamo, benché forse non mancherebbe l'industria quando se ne trovasse quantità sufficiente e che ci fosse il premio. Tiglio e tiglioso significa materia atta a filarsi.
S. 25a, v. 7. Questo fu accidente vero, accaduto al signor Ippolito Livizzani nel giostrar contra il conte Alfonso Molza in Modana.
S. 44a, v. 1. Qui si descrive il ritratto d'un zerbino affettato romanesco, nato di casa nuova, arricchito per strada obliqua, che fa del cavalierazzo e del bravo mentre conosce d'aver a fare con persona inferiore e di poco polso.
S. 58a, vv. 6-8. Questi versi dicevano prima cosí:
. . onde a veder correa
la fiorentina e perugina gente,
tratta da natural impeto ardente.
Ma i vizii quanto piú si diffondono nel generale, tanto meno offendono i particolari; e però fu mutato.
S. 67a, v. 2.
La pantera è bellissimo animale; ma dicono che sia d'animo molto vile.
S. 72a, v. 5. Le prodezze di don Chisotto della Mancia cavalier errante impazzito sono note per l'istorie delle sue geste.
S. 76a, v. 1. Gli Aigoni e i Grisolfi erano in quel tempo capi delle fazioni. I Grisolfi erano imperiali, e avevano cacciati gli Aigoni eh'erano ecclesiastici e guelfi: oggidí si chiamano gl'Ingoni, e ce ne sono pochi; ma i Grisolfi sono annullati.
S. 76a, v. 3. È fama che nel monte di Vallestra sia un tesoro guardato dai diavoli; però il poeta si serve dell' opinione del vulgo a formare questo episodio.
S. 80a, v. 5. Per questo fu finto che quando Tognone cambiò lancia non cadesse, perché aveva la lancia incantata, e Melindo non l'avea.
S. 81a, v. 5. Il maggior segno di codardia è insuperbire e fare il bravo con le genti che non possono competere. Vedi appresso il Boccaccio le prove che faceva maestro Simone quand' era scolare.
CANTO DECIMO
S. 7a, v. 1. In quel tempo s'usava questa lingua, come si può vedere dalle storie e dai versi de' litterati che fiorivano allora, assai rozzi. Ma qui il poeta picca coloro che oggidí chiamano questa 1a lingua del buon secolo, e la vorrebbero rimettere in uso; mostrando loro come riuscirebbe alla prova. Le cose cadute dall'uso è vanità il volerle sostentare. Il sale della satira è il condimento della comedia. Ma il poeta sfuggí di chiamare questa sua invenzione nuova di poetare eroisatiricomica, sapendo quanto il nome di satira sia odioso in questi tempi e sospetto .a quelli particolarmente che dominano.
S. 10a, v. 8. Chiama gran re dell'oceano il re Cattolico per lo vasto dominio ch'egli ha nell'oceano, che è dominato da lui dalle colonne d'Ercole fin sotto il polo antartico: onde a riguardo del mare il sole nasce e tramonta ne' regni suoi.
S. 23a, v. 1. Chiama Venere moro Libecchio, perché nasce in Mauritania il chiama cane, perché quivi i popoli vivono senza politica, e il chiama senza fede, perché gli africani hanno sempre avuto per uso il mancar di fede.
S. 24a, v. 3. Della prigionia di Corradino di Svevia seguita ad Astura per tradimento del signore di quella terra leggi il Villani: e veramente quella terra oggidi è distrutta e tutto il territorio è diserto, che pare appunto vendetta celeste.
S. 26a, v. 8. Chiama dea del mare Venere, perché nacque dal mare, e reina del mare la città di Napoli perché domina tutto quel mare.
S. 27a, v. 3. Manfredi principe di Taranto e poi re di Napoli fu veramente innamorato della contessa di Caserta sua sorella. Veggansi l'istorie di Napoli e le lettere di Paulo Manuzio ove porta uno squarcio di questa istoria.
Qui alcuni hanno richiesto perché il poeta non séguiti a narrare quel che facesse Manfredi per liberare il fratello dalle mani de' Bolognesi. E non s'avveggono che il poeta finisce la favola della Secchia alla quale è obbligato, e che questa è un'altra istoria, e che seguíta la pace, il lettore dee imaginarsi o che Manfredi non facesse altro o che cominciasse un'altra guerra da sé. Neanco il Tasso descrive ciò che avvenisse d'Armida e d'Erminia dopo la presa di Gerusalemme, perché erano cose fuora della favola proposta da lui.
S. 36a, v. 2. Napoletanamente.
S. 42a, v. 7. Versi romaneschi.
S. 53a, v. 7. Questa è quella sorta di ridicolo che propriamente vien chiamata da Aristotile nella Poetica: Turpitudo sine dolore, che fa nascere il riso dalle azioni: ma del riso che nasce dalle parole non ne favellò Aristotile.
S. 60a, v. 7. Questi versi dicevano prima cosí:
né distinguendo ben dal fico il pesco,
scusavanlo col dir: gli è romanesco.
Ma fu giudicato troppo satirico e fu corretto.
S. 74a, v. 1. Cava il ridicolo dalla cattiva pronuncia romanesca, come di sopra a ottave 42. Ma qui è contrasegno d'un personaggio noto in Roma.
S. 74a, v. 3. Questo fu veramente fiscal di Modana, ma ne' tempi piú moderni, e scontrando una volta certi banditi, si cacò ne' calzoni di paura: ma essi nol conobbero e 'l lasciarono andare cosí merdoso: che se l'avessero conosciuto, guai a lui. - È nondimeno da avvertire che questa di Titta, come ho detto, fu veramente azione d'un romanesco; il quale vantandosi d'esser parente del papa, non voleva esser condotto prigione in Torre di Nona, ma in Castello Sant' Angelo.
CANTO UNDECIMO
S. 1a, v. 4. La favola d'Atteone convertito in cervo da Diana è notissima a tutti
S. 4a, v. 8. I duellisti sfuggono quanto possono il tirarsi addosso le mentite per non divenire attori.
S. 6a, v. 5. Diceva prima poco dianzi. Ma l'autore l'ha mutato per isfuggire le dispute. Perciò che dianzi vuol dire poco prima, e alcuni tengono che sia un reiterar lo stesso. Con tutto ciò l'autore tiene che si possa reiterar l'istesso per significare un tempo assai prossimo, e dire poco poco prima e per conseguenza poco dianzi. Il Petrarca disse par dianzi, che fu quasi il medesimo.
S. 8a, v. 8. Con certe buone coltellate levò l'insolenza a un cocchiero di Roma, che è una dell'eroiche azioni che si possano contare in quella corte, dove l'insolenza de' cocchieri, de' birri, de' barilari e de' carrattieri non può esser rappresentata con alcun superlativo.
S. 14a, v. 7. I visi che i pittori cavano dal naturale dilettano sempre piú che gl'imaginati.
S. 17a, v. 1. Alcuni s'hanno creduto che il poeta fingendo di burlare dica da dovero.
S. 20a, v. 1.
Inventa tutti i mezzi che possano animare un cuor vile.
S. 22a, v. 5.
Questo buon medico usa il rimedio che si suole usare con gli cavalli barberi che corrono al palio; i quali, per animarli maggiormente acciò che non abbiano da correre con timidità, si sogliono abbeverar di buon vino. Gli spiriti riscaldati dal calor del vino non istimano i pericoli o non gli conoscono.
S. 26a, v. 1. Qui il conte poeteggia assai meglio che non fece nell'altro canto, quando non avea bevuto: perciò che qui poeteggia commosso da furor di vino, e là compone di suo natural talento. Ennio, Orazio e Torquato Tasso non sapeano comporre, se prima non avevano ben bevuto: e 'l Tasso in particulare soleva dire che la malvagia sola era quella che lo faceva comporre perfettamente.
S. 32a, v. 1. A' veri paladini della poltroneria non bastano i rimorsi dell'onore, né la vergogna, né i rinfacciamenti degli amici, né l'ingiurie de' nemici, né l'esortazioni de' confidenti, né gli stimoli della dama, né il calore del vino; che finalmente vogliono anch'essere accompagnati da cinquanta difensori.
S. 34a, v. 8. Questa e la salmeria del conte portatagli dietro in campo da un suo padrino parziale.
S. 41a, v. 1. Nol poteva spedire a persona piú informata né piú diligente di me.
S. 41a, v. 5. Intende del cavalier Cassiano del Pozzo, del principe Federico Cesi e del signor don Virginio Cesarini, famosi ingegni della loro età, come altri ancora ne fanno fede.
S. 41a, v. 8. Il poeta ha mutato marchese, perché il primo per comparire in scena aveva promessi certi guanti d'ambra, che poi per esser cosa odorosa andarono in fumo. E realmente il luogo meritava d'essere occupato da un altro ingegno mirabile, come quello del marchese Sforza Pallavicino. E l'altro, che stimava piú due paia di guanti che l'immortalità, meritava d'esser levato da tappeto.
S. 44a, v. 7. Gli animi vili, purché salvino la pancia, non si curano di perder l'onore.
S. 46a, v. 3. S'andò a mettere in casa d'un cardinale suo paesano senza essere invitato, e convenne, volesse o no, ch'egli 1'alloggiasse; perciò che non bastarono né parole né fatti a farlo uscire di quella casa.
S. 46a, v. 7. Il manuscritto dice: A quel becco del Tarco un marchesato. E veramente fu vero ch'egli da un principe greco si fece investire d'un marchesato nelle provincie del Turco, e pagò il titolo, chi dice una mano di scudi, e chi dice una dozzina di salami.
S. 51a, v. 4. Alcuni interpretano costei per una certa spagnuola detta Dogna Maria di Ghir, che stette un tempo in Roma puttaneggiando, e mandò fallito questo eroe romanesco.
S. 57a, v. 1.
La flemma nel petto de' poltroni resiste alla collera in maniera che prima che la collera si riscaldi ci bisognano dieci guanciate. E veramente succedé un giorno che trovandosi il conte alla finestra, e passando due spagnoli, uno con la spada e l'altro prete, ed essendo la strada piena di sole, egli chiamando un suo uomo di casa, disse: Mira come questi marrani godono d'andare al sole. Gli spagnoli l'intesero: e quel dalla spada sopra la voce marrano gli diede una mentita e lo sfidò a venire a basso a duello: ma egli ridendosi di lui rispose che aveva burlato e che a Roma non si faceva quistione; e non si mosse dalla finestra, veggendo che l'uscio era chiuso.
S. 60a, v. 2. L'intacca di que' vizii ne'quali per l'ordinario suole incorrere la plebe di Roma.
S. 61a, v. 3. Si vituperò da se stesso: perché veramente fu vero ch'egli accusò la moglie d'adulterio, e la fece metter prigione insieme con l'adultero, ch'era persona assai vile.
CANTO DUODECIMO
S. 1a, v. 4. Il vero testo stampato in Parigi e 'l manuscritto dell' autore dicono: E mandava indulgenze per gli altari, In Roma fu corretto per non parer che si dileggiassero le azioni d'un papa e le sue indulgenze: ma si guastò il ridicolo che cadeva a tempo.
S. 2a, v. 2 Il cardinale Ottaviano degli Ubaldini era allora vescovo di Bologna, e fu egli veramente quello che s' interpose, e che trattò la pace.
S. 4a, v. 2. Diceva prima con un poco piú di piccante: De l'uno e l'altro esercito avocato.
S. 11a, v. 5. Motteggia questi poeti, l'uno d'aver usato pietose per pie e l'altro d'aver usato il legno santo per la croce, facendo equivoco col legno d'lndia che guarisce il mal francese.
S. 16a, v. 3. È trasportato da persona a persona: perciò che non fu I'Ubaldino, ma un altro dell'istesso ordine, che ne' prati di Solera andò un giorno dopo desinare a pigliar de' grilli.
S. 17a, v. 5. Innocenzo Secondo era allor papa; ma non era già egli nemico de' Modanesi; come parve che poi si mostrasse qualche altro suo successore.
S. 18a, v. 4. È un equivoco acuto.
S. 19a, v. 3. Un quartaro tiene due barili, cioè la quarta parte di una botte. I saghi sono una certa composizione che si fa di mosto bollito con farina, e s'usa in molte città di Lombardia cominciando a Bologna.
S. 26a, v. 8. Cosí fatte memorie sono veramente piuttosto fumo di gloria che gloria vera; mentre che l'altre azioni non corrispondano.
S. 40a, v. 8. Ogn'anno veramente il giorno della festa di San Bartolomeo i Bolognesi dalle finestre del palazzo del Legato gettano in piazza un porcello cotto con altri diversi animali vivi; ma essi nondimeno dicono di farlo per altro rispetto.
S. 51a, v. 1. Questo è cognome di famiglia antica di Padova oggidí estinta.
S. 52a, v. 7. Parlano questi due ciascuno nel linguaggio suo naturale, ma villanesco. Sorgo in padovano significa la saggina.
S. 68a, v. 1. Barisone da Vigonza fu il fondatore della famiglia Barisoni di Padova.
S. 79a, v. 8. In Lombardia per Ogni Santi moltissime famiglie sono solite di mangiare un'oca, massimamente gli artigiani e la plebe.