Robert Louis Stevenson



IL SIGNORE DI BALLANTRAE

 

 

Racconto d'inverno






A SIR PERCY FLORENCE E LADY SHELLEY



Questa narrazione abbraccia un periodo di molti anni e si sposta in molti paesi. L'autore vi pose mano, la continuò e la condusse a termine, per singolare coincidenza, in luoghi svariati e lontani.


Soprattutto, egli fu a lungo in mare. Il carattere e il destino dei due fratelli nemici, la sala grande e la macchia di Durrisdeer, il problema di rendere adatta a più alto volo la stoffa casalinga di cui è fatto Mackellar, sono cose che, in vari porti formicolanti dei riflessi delle stelle, gli furono compagne in coperta e che, in mare, gli occuparono spesso la mente, accordandosi al canto schioccante della velatura, finché non le scacciava alla svelta il sopraggiungere di un temporale. Spero che, grazie ai paraggi in cui fu composta, questa storia possa incontrare almeno un poco di favore presso gente di mare e innamorata del mare quali voi siete.


Se non altro, questa dedica vi giunge da grande distanza, viene scritta presso il lido sonante di un'isola subtropicale a quasi diecimila miglia dalla calanca e dal maniero di Boscombe: luoghi che, mentre scrivo, mi si ripresentano allo sguardo insieme coi volti e con le voci dei miei amici.


Ora io sto per riprendere il mare, anche Sir Percy, senza dubbio.


Facciamoci il segnale B.R.D.!

R.L.S.


Waikiki, 17 maggio 1889




CAPITOLO PRIMO


Riepilogo dei fatti successi durante le peregrinazioni del Master (1)


Tutta la verità su questo caso strano il mondo l'aspetta da tempo, e sarà di sicuro benvenuta per la curiosità del pubblico. La sorte volle che io fossi intimamente coinvolto negli ultimi anni del casato e della sua storia, e non c'è anima viva che sia capace di mettere in chiaro le cose e desiderosa di raccontarle fedelmente quanto me. Io conobbi il Master, ho nelle mie mani una memoria autentica su molti momenti sconosciuti della sua vicenda, gli fui quasi unico compagno nell'ultima traversata in mare, feci parte della spedizione in quell'invernale viaggio di terra sul quale ci sono state tante dicerie e fui presente alla morte di quell'uomo. Quanto al mio compianto Lord Durrisdeer, l'ho servito e amato per quasi vent'anni, e la mia considerazione per lui non ha fatto che crescere quanto più lo conoscevo. Non mi pare giusto, inoltre, che una simile somma di testimonianze vada perduta, ho un debito di verità verso la memoria del mio signore, e credo che la mia vecchiaia passerà più serena e la mia testa canuta riposerà più in pace sul cuscino quando questo debito sarà pagato.


I Duries di Durrisdeer e Ballantrae furono una numerosa famiglia del sud-ovest scozzese fino dai tempi di David Primo (2). Si sente ancora le campagne una strofetta. I Durrisdeer sono tutto un piccolo popolo.


Cavalcano con molte e molte lance..."che contraddistingue l'antichità del casato; il nome ricorre, inoltre, in una strofa attribuita dalla voce pubblica, non so dire con quanto fondamento, addirittura a Thomas d'Ercildoune (3) e che alcuni, non oso dire quanto a proposito, hanno applicato ai fatti di cui racconto:

"Due Duries in Durrisdeer, L'uno alla briglia, l'altro in sella.


Giorno infausto per lo sposo, Per la sposa giorno ancora peggiore."Inoltre, le pagine della storia vera e propria sono piene di loro imprese che, ai nostri occhi di oggi, non paiono molto encomiabili: e vi si vede la famiglia subire in abbondanza la sua parte di quegli alti e bassi ai quali furono continuamente esposti i grandi casati scozzesi. Sorvolo su tutto questo, per arrivare al 1745, l'anno memorabile in cui furono gettate le basi di questa tragedia.


Nel castello di Durrisdeer, vicino Saint Bride's sulla costa del Solway (4), principale rocca della loro gente fin dalla Riforma, la famiglia era composta allora da quattro persone. Il vecchio lord, ottavo del nome, non era vecchio di anni, ma soffriva precocemente gli acciacchi della vecchiaia; il suo posto abituale era accanto al fuoco, dove se ne stava seduto a leggere intabarrato in un mantello foderato di pelo, parlando poco con chiunque e falsamente con nessuno, proprio come un vecchio fattore a riposo; tuttavia, aveva la mente nutrita di buoni studi e in paese lo consideravano più astuto di quanto non sembrasse. Il Master di Ballantrae, il cui nome di battesimo era James, aveva preso dal padre il gusto delle letture serie. Anche un po' del suo accorgimento, forse, ma quello che era semplice avvedutezza nel padre diventava, nel figlio, nera simulazione.


Apparentemente la sua condotta non era altro che popolaresca e scapestrata: egli faceva tardi con il bere, più tardi ancora con le carte, era considerato in paese «pericoloso per le ragazze» ed era sempre in prima fila nelle risse. Si osservava però che, se era il primo a buttarsi nelle malefatte, ne usciva invariabilmente meglio di tutti, e che erano i suoi compagni a pagarne le spese. Fosse fortuna, fosse abilità, questo gli procurò il malanimo di alcuni, ma ne aumentò la stima presso gli altri, che si aspettavano grandi cose da lui quando avesse acquistato maggiore serietà. Aveva una sola macchia molto nera sulla reputazione; ma la faccenda, sul momento, era stata soffocata e quando io arrivai le leggende l'avevano tanto travisata che mi faccio scrupolo di riferirla. Se vera, era un bruttissimo fatto in un individuo così giovane e, se falsa, era una bruttissima calunnia. Mi sembra degno di nota che egli si fosse sempre vantato di essere inesorabile e di essere uno di parola, tanto che in giro godeva la fama di uno «che è male contrariare». Insomma un giovane di nobile famiglia (non ancora ventiquattrenne nel '45) che in paese si era creato ben presto un suo prestigio. A maggior ragione, quindi, non c'è da meravigliarsi che si sapesse ben poco del secondogenito, signor Henry (il mio defunto Lord Durrisdeer), che non aveva né grandi pregi né grandi difetti ed era invece un tipo di ragazzo solido e schietto come molti altri. Se ne sapeva poco ho detto; ma è vero, piuttosto, che se ne parlava poco. Lo conoscevano i pescatori di salmone dell'estuario, perché praticava assiduamente quella pesca; inoltre era bravissimo come veterinario e, quasi fin da ragazzo, si era accollato il maggior peso dell'amministrazione delle tenute. Nessuno sa meglio di me come un simile compito fosse difficile nella situazione in cui si trovava la famiglia, né quanto ingiustamente si affibbi a volte a una persona il titolo di tiranno e spilorcio. La quarta persona di casa era la signorina Alison Graeme, una parente prossima, orfana ed erede di un patrimonio considerevole che suo padre aveva accumulato nel commercio. Quei denari servivano urgentemente al vecchio lord poiché i terreni erano pieni di ipoteche: la signorina Alison, di conseguenza, era destinata a diventare la moglie del Master; cosa a lei gradita; ma quanto gradita a lui resta da sapere. La signorina era allora una ragazza avvenente, e piuttosto vivace e capricciosa, perché in quella casa dove il capo non aveva figlie e la signora era morta da un pezzo, lei era cresciuta a modo suo.


Quando la notizia dello sbarco del principe Charlie (5) arrivò a questi quattro, li mise in subbuglio. Il vecchio lord, casalingo com'era, giudicava opportuno prender tempo. La signorina Alison era del parere opposto, per il suo aspetto romantico; e il Master (anche se, a quanto mi risulta, loro due non si trovassero spesso d'accordo) era, una volta tanto, della stessa opinione. L'avventura lo tentava, a quel che capisco: lo tentava l'opportunità di risollevare le sorti della famiglia, e, non meno, la speranza di soddisfare i suoi debiti personali, che erano parecchio gravi. Quanto al signor Henry, sembra che all'inizio abbia parlato molto poco; la sua parte lo chiamò in scena poi. Ci volle un giorno intero di discussioni, agli altri tre, per arrivare a convenire infine di adottare una rotta intermedia:

cioè, che un figlio andasse a combattere per re Giacomo (6) mentre mylord e l'altro figlio restavano a casa per mantenersi nelle buone grazie di re Giorgio (7). Certo fu mylord a decidere così; e, come ben si sa, recitarono la stessa parte parecchie famiglie importanti. Ma, chiusa una discussione, un'altra se ne aprì. Infatti, mylord, la signorina Alison e il signor Henry erano tutti di un parere: che spettasse al cadetto andare; mentre il Master, magari per irrequietezza e vanità, non voleva saperne di restare a casa a nessun costo. Mylord pregò, la signorina Alison pianse, il signor Henry parlò molto chiaro, ma non ci fu verso.


- Tocca all'erede diretto di Durrisdeer cavalcare a fianco del suo re, - disse il Master.


- Un discorso simile, - disse il signor Henry, - avrebbe senso se si facesse un gioco da uomini. Ma che stiamo facendo? Barando alle carte.


- Stiamo salvando la casa di Durrisdeer, Henry, - disse il padre.


- Capisci, James, - disse il signor Henry, - se vado io e il principe ha la meglio, ti sarà facile far pace con re Giacomo. Ma se ci vai tu e la spedizione fallisce, avremo entrambi il diritto e il titolo. E io allora in che posizione verrò a trovarmi?

- In quella di Lord Durrisdeer, - disse il Master. - Mi ci gioco tutto quello che possiedo.


- Io non sto a simile gioco, - esclamò il signor Henry. Resterei in una posizione insostenibile per qualunque uomo di buon senso e d'onore. Non sarei né carne né pesce! - esclamò. E poco dopo ebbe un'altra uscita, più chiara, forse, di quanto egli stesso avrebbe voluto. - Il tuo dovere è di stare qui con mio padre, - disse. - Lo sai pure che sei il prediletto.


- Davvero? - replicò il Master. - L'Invidia parla! Vuoi farmi lo sgambetto, Giacobbe? - aggiunse accentuando con malizia quel nome.


Il signor Henry se ne andò in fondo alla sala senza rispondere, perché aveva l'ottima qualità di saper tacere a tempo. Poi tornò indietro.


- Io sono il cadetto, e perciò "dovrei" andare, - disse, - e il lord nostro padre, che è il capo di casa, dice che io "devo" andare. Che rispondi a questo, fratello?

- Io rispondo, Henry, - ribatté il Master, - che un battibecco tra gente ostinata non può avere che due vie d'uscita: o a botte, e credo che nessuno di noi desideri arrivare a tanto; o lasciando decidere alla sorte, e qui c'è una ghinea. Ci stai al giudizio della moneta?

- Ci sto, per la vita e per la morte, - rispose il signor Henry. - Testa, vado; scudo, resto.


Lanciarono la moneta e venne scudo. - Così Giacobbe impara, disse il Master.


- Verrà il momento che ce ne pentiremo, - esclamò il signor Henry, e uscì in fretta dalla sala.


Quanto alla signorina Alison, raccolse la moneta d'oro che aveva mandato allora allora il suo innamorato alla guerra, e la lanciò proprio attraverso lo stemma di famiglia della grande invetriata a colori.


- Se mi amassi come ti amo io saresti rimasto a casa, - esclamò.


- Non potrei amarti tanto, se non amassi di più l'onore, canterellò il Master.


- Oh, - esclamò la signorina, - sei proprio senza cuore! Dio voglia che ti ammazzino! - e, nel dir questo, scappò dalla sala per rifugiarsi, tutta in lacrime, nella sua camera.


Sembra che il Master si rivolgesse al vecchio lord con la sua aria più scherzosa, dicendogli:- Questa ragazza promette di diventare un demonio di moglie.


- E tu mi sembri un demonio di figlio, - esclamò suo padre; tu che hai sempre goduto la mia predilezione, sia detto a mia vergogna! Non ho mai avuto un'ora di bene con te da quando sei nato; no, mai un'ora di bene, - e ripeté queste parole ancora una volta. Io non so proprio se mylord fosse più turbato dalla leggerezza del primogenito, o dall'insubordinazione di costui, o dall'accenno del signor Henry alla parzialità paterna; ma inclino a credere che proprio quell'accenno lo avesse scosso, perché so di certo che il signor Henry, da allora in poi, fu più considerato in famiglia. Ad ogni modo, il Master cavalcò verso il Nord piuttosto in rotta con i suoi di casa; il che fu per costoro un ricordo molto doloroso, quando pareva troppo tardi per rimediare. Un po' con le cattive, un po' con le buone il Master aveva racimolato una dozzina di uomini, più che altro figli di fittavoli.


Quando si misero in cammino, con la coccarda bianca sul cappello, erano tutti avvinazzati e salirono verso la vecchia abbazia in cima al poggio, cantando e sghignazzando. Attraversare quasi tutta la Scozia senza aiuti era un'avventura disperata per così piccolo drappello; e (cosa che dava ancora di più quest'impressione) proprio mentre quello sparuto gruppetto saliva l'erta vociando, una grande nave da guerra del re, che avrebbe potuto sopraffarli mandando una sola imbarcazione, era all'ancora nella baia, con la grande bandiera nazionale sventolante a poppa. Il pomeriggio seguente, lasciato un buon margine di vantaggio al Master, fu la volta dei signor Henry che, messosi a cavallo, se ne andò, da solo, a offrire la propria spada e portare lettere di suo padre al governo di re Giorgio. La signorina Alison rimase chiusa in camera e non fece altro che piangere finché tutti e due non furono partiti; però, cucì la coccarda sul cappello del Master e, secondo quanto John Paul mi ha raccontato, quando egli glielo portò giù la coccarda era bagnata di lacrime.


In seguito, il signor Henry e mylord si attennero scrupolosamente, da parte loro, ai patti. Se abbiano effettivamente fatto qualcosa, non so; che abbiano in nessun modo caldeggiato la causa del re, non credo.


Però rispettarono alla lettera la fedeltà al sovrano, si tennero in corrispondenza con il Lord Presidente, se ne restarono tranquilli in casa e, finché la faccenda continuò, ebbero pochi o nessun rapporto con il Master. Né, da parte sua, egli fu più comunicativo. Anzi, la signorina Alison continuava a mandargli corrieri, ma non so se ricevesse molte risposte. Ci andò per lei una volta, a cavallo, Macconochie, che trovò gli Highlanders (8) davanti a Carlisle e il Master che, molto popolare, cavalcava al fianco del principe. Racconta Macconochie che il Master prese la lettera, l'aprì, le diede una scorsa atteggiando le labbra al fischio, e se la infilò nella cintura, da dove cadde a terra, a uno scarto del cavallo, senza che nessuno ci facesse caso. La raccolse Macconochie, l'ho anzi vista ancora in mano sua, perché l'aveva conservata. Naturalmente, a Durrisdeer arrivavano notizie, attraverso la voce pubblica, che sa diffondersi attraverso un paese in un modo che non smette di stupirmi. Per questo tramite arrivarono alla famiglia altre informazioni sul favore di cui il Master godeva presso il principe e sulle origini che si attribuivano a quel favore: si diceva, infatti, che con una condiscendenza molto strana in un uomo così orgoglioso (salvo ricordare che in lui poteva molto di più l'ambizione) egli si fosse arrampicato in alto lisciando gli irlandesi. I suoi compagni di ogni giorno erano Sir Thomas Sullivan, il colonnello Burke e gli altri dello stesso genere, così che egli si staccava dai suoi conterranei. Aveva un ruolo nel fomentare tutti i piccoli intrighi, contrariava mylord George in mille modi, aderiva sempre al parere (non importa se buono o cattivo) che risultava più gradito al principe, e insomma sembra che, da quel giocatore inveterato che continuò ad essere per tutta la vita, badasse meno alle sorti della campagna che all'entità dei favori che avrebbe potuto trarne se si desse il caso che fosse giunta a una felice conclusione. Del resto, in campo dava ottima prova di sé: nessuno ha mai sollevato obiezioni al riguardo. Non era assolutamente un vigliacco.


Giunse poi la notizia della disfatta di Culloden, portata a Durrisdeer dal figlio di un fittavolo. Il giovanotto diceva di essere il solo sopravvissuto tra quanti erano saliti cantando su per l'erta. Per un caso malaugurato, John Paul e Macconochie avevano trovato proprio quella mattina la ghinea, radice di ogni male, impigliata in un ciuffo d'agrifoglio; erano andati subito ad «alzare il gomito», come dicono i servitori di Durrisdeer, al posteggio dei cavalli e ne erano usciti con le tasche quasi vuote e con la testa vuota del tutto. Niente di strano, perciò, che John Paul piombasse nella sala dove la famiglia stava a pranzo, e proclamasse lì che Tam Macmorland «era appena smontato da cavallo e ahimè! ahimè!... dopo di lui non poteva arrivare più nessuno».


I tre ascoltarono la notizia in silenzio, come condannati; il signor Henry si passò una mano sulla fronte, e la signorina Alison nascose il viso fra le mani. Quanto a mylord, era diventato color cenere.


- Ho ancora un figlio, - disse. - E ti renderò giustizia, Henry, il migliore è quello che rimane.


Strana cosa da dirsi in un simile momento; ma mylord non aveva affatto dimenticato quella certa frase del signor Henry e portava sulla coscienza lunghi anni di parzialità. Tuttavia la cosa era strana, e più di quanto la signorina Alison potesse lasciare passare. Venne fuori a rimproverare mylord per le sue parole snaturate, il signor Henry perché se ne stava al sicuro mentre suo fratello giaceva cadavere, e se stessa per le parole crudeli rivolte al fidanzato prima che partisse: intanto chiamava questi la perla degli uomini, e ne invocava il nome, torcendosi le mani e protestando il suo amore davanti ai servi sbigottiti.


Il signor Henry si alzò e rimase in piedi, reggendosi alla sedia. Era diventato anche lui color cenere.


- Oh! - proruppe di colpo. - Lo so che l'amavi.


- Lo sanno tutti, sia gloria a Dio! - esclamò lei; e poi, rivolta al signor Henry: - Ma io sola so una cosa: che tu lo tradivi in cuor tuo.


- Dio sa, - egli gemette, - che fu amore sprecato da entrambe le parti.


Dopo di che, il tempo continuò a trascorrere nella casa senza troppi mutamenti; soltanto, la famiglia era ridotta da quattro a tre, il che era per essa perenne ricordo del suo lutto. Non bisogna dimenticare che il denaro della signorina Alison serviva per il riscatto delle tenute; ed essendo morto uno dei fratelli, mylord si mise subito in testa che lei sposasse l'altro. Giorno per giorno portò avanti l'opera, sedendo accanto al fuoco, con un dito fra le pagine del suo libro latino e con gli occhi fissi sul viso di lei, in una specie di garbata attenzione che si addiceva molto al vecchio gentiluomo. Se lei piangeva, lui la compassionava con il tono di un vegliardo che ne ha viste di peggio e comincia a dare poco peso anche al dolore; se lei si esasperava, riprendeva la lettura del suo libro latino, non mancando mai di scusarsi urbanamente, se lei, come capitava spesso, proponeva di dar loro il suo denaro a titolo di donazione, le dimostrava come quel partito fosse inconciliabile con l'onore e le ricordava che, anche se lui stesso avesse acconsentito, il signor Henry avrebbe opposto il suo rifiuto. "Non vi sed saepe cadendo" (9) era un suo motto favorito; e, senza dubbio, quella pacifica persecuzione logorò lentamente la volontà della fanciulla. Esisteva anche il fatto che, facendo per lei la parte di tutti e due i genitori, egli aveva acquistato gran potere su di lei; in quanto a questo era lei stessa imbevuta dello spirito dei Duries ed era disposta a sacrificarsi per la gloria di Durrisdeer. Non credo però che sarebbe arrivata al punto di sposare il mio povero padrone, se non ve l'avesse indotta, strano a dirsi, la circostanza dell'estrema impopolarità di costui.


Questa impopolarità fu opera di Tam Macmorland. Tam non era cattivo; ma aveva un difetto deplorevole: era cioè di lingua lunga; e come solo uomo del paese che fosse andato alla guerra, o, per meglio dire, che ne fosse tornato, non mancava mai di ascoltatori. Ho osservato che tutti quelli che hanno la peggio in un combattimento sono ansiosi di convincere se stessi di essere stati traditi. A sentire il resoconto di Tam, i ribelli erano stati traditi continuamente e da ogni ufficiale, erano stati traditi a Derby e a Falkirk; la marcia notturna era stata un tradimento di Lord George e Culloden era stata persa per il tradimento dei Macdonald. Questa abitudine di accusare tutti di tradimento crebbe in quello sciocco, tanto di fargli tirare in ballo anche il signor Henry. A sentire lui, il signor Henry aveva tradito i giovani di Durrisdeer; aveva promesso di seguirli con un rinforzo di uomini, e invece era andato da re Giorgio. - Sì, proprio il giorno dopo!... - esclamava Tam. Il nostro bel Master, poveretto, e quei bravi ragazzi, poveretti, erano appena di là dalla cresta che già si metteva in cammino, quel Giuda! Eh, già! Ne ha tirato fuori quello che voleva. Sarà il lord, addirittura, eppure c'è più di un freddo cadavere tra l'erica delle Highlands! E a questo punto, Tam, se aveva bevuto, cominciava a piangere.


A insistere un po' sullo stesso discorso, si finisce sempre con il convincere. L'interpretazione data da Tam del comportamento del signor Henry serpeggiò pian piano per il paese; se ne parlò tra persone che erano di parere opposto, ma a corto di argomenti; e gli ignoranti e i malevoli che stettero a sentire credettero e ripeterono come fosse vangelo. Il signor Henry cominciò a vedersi sfuggito; di lì a poco i paesani cominciarono a bisbigliare, mentre lui passava, e le comari (sempre più ardite sapendosi al sicuro) arrivarono addirittura a insultarlo apertamente. Il Master venne celebrato come un santo. Si ricordò che non aveva mai contribuito a spremere i fittavoli, e, veramente, i denari non si era mai curato che di spenderli. Forse era un po' scapestrato, diceva la gente, ma quant'era meglio un giovane spontaneo e sventato, che avrebbe messo presto la testa a partito, che non uno spilorcio ipocrita, sempre con il naso nel libro dei conti e accanito nel perseguitare i poveri fittavoli! Una sgualdrina che aveva avuto un figlio dal Master e con la quale egli si era comportato malissimo sotto ogni punto di vista si innalzò tuttavia a paladina della sua memoria. Un giorno tirò un sasso al signor Henry.


- Dov'è quel bel ragazzo che si fidava di voi? - gli urlò in faccia.


Il signor Henry tirò le redini e dall'alto del cavallo la guardò, con un filo di sangue che gli scorreva dal labbro. Come, Jessie? Anche tu? - disse. - Eppure dovresti sapere bene chi sono io. - Perché i denari per vivere glieli passava lui.


La donna, che aveva pronto un altro sasso, fece per lanciarlo; e il signor Henry, per ripararsi, alzò la mano che impugnava lo scudiscio.


- Come! Picchiereste una ragazza, brutto...? - esclamò lei, e corse via strillando, come se l'avesse battuta.


Il giorno dopo, in paese si diffuse in un lampo la voce che il signor Henry aveva massacrato di botte Jessie Broun. Racconto questo per far capire come crebbe la valanga della maldicenza, e come una calunnia ne tirò dietro un'altra finché il mio povero padrone fu screditato al punto che cominciò a restare chiuso in casa, come il vecchio lord.


Intanto, siatene più che certi, in famiglia non aprì bocca per lamentarsi; l'origine stessa di quello scandalo era una piaga troppo dolorosa per rimestarla; inoltre, il signor Henry era molto orgoglioso e stranamente ostinato nel tacere. Mylord dovette sentirne qualcosa, se non altro da John Paul; e certo notò un cambiamento nelle abitudini del suo figliuolo. Però è probabile che neppure lui sapesse come si erano scaldati gli animi. Quanto alla signorina Alison, lei era l'ultima persona a sapere quello che succedeva fuori, e quella che se ne interessava meno, quando ne sentiva parlare.


Al culmine dei malumori (perché poi si spensero come si erano accesi, e nessuno potrebbe dirne il motivo) si tenne una votazione nella cittadina di Saint Bride's, che è la più vicina a Durrisdeer, in riva alla Water of Swift. Fermentava un malcontento (non ricordo quale, se pure l'ho mai saputo): si diceva apertamente che, prima di sera, ci sarebbe stata qualche testa rotta, e che lo sceriffo aveva mandato a chiedere soldati fino a Dumfries. Mylord sollecitò il signor Henry a essere presente alle elezioni, facendogli notare che questo era necessario per mantenere il credito della casata. - Altrimenti non si tarderà a riferire, - disse, - che non marciamo alla testa del nostro stesso paese.


- Il mio è uno strano modo di marciare in testa, - disse il signor Henry; e avendo gli altri insistito, aggiunse: - A dire il vero, non oso più mostrare la faccia.


- Tu sei il primo della famiglia a dire così, - esclamò la signorina Alison.


- Ci andremo tutti e tre, - disse mylord. E davvero egli si fece mettere gli stivali (per la prima volta dopo quattro anni, una faccenda seria per John Paul che glieli infilò); la signorina Alison indossò il vestito da amazzone, e tutti e tre se ne andarono a cavallo fino a Saint Bride's.


Laggiù le strade erano piene di tutta la marmaglia dei dintorni; e, non appena il signor Henry fu individuato, cominciò uno schiamazzo indecente. Chi fischiava, chi urlava; e di qua e di là si gridava - Giuda! - o - Dov'è il Master? - o - Dove sono quei poveri ragazzi che andarono via con lui? - Fu lanciato perfino un sasso; però allora i più si misero a gridare che era una vergogna, per riguardo a mylord e alla signorina Alison. Prima che fossero passati dieci minuti, mylord fu costretto a convincersi che la riluttanza del signor Henry non era stata senza motivo. Non fece parola, ma girò il cavallo e via verso casa con il mento sul petto. Non disse una parola neppure la signorina Alison ma pensò di sicuro molte cose dentro di sé, e di sicuro fu punta nell'orgoglio, perché era una Durie fino al midollo; e di sicuro si impietosì nel vedere suo cugino trattato così ingiustamente. Quella notte non toccò il letto; io ho biasimato spesso la signora, ma quando mi ricordo di quella notte, le perdono tutto; e la mattina dopo per prima cosa andò dal vecchio lord, che sedeva sul solito seggiolone.


- Se Henry mi vuole ancora, - disse, - sono pronta a sposarlo.


A lui fece un discorso diverso: - Non posso darti amore, Henry; ma, lo sa Iddio quanta pietà ho per te.


Si sposarono il primo giugno del 1748. Nel dicembre dello stesso anno, io scesi per la prima volta alle porte del palazzo; riprendo da quel momento la storia dei fatti, riferendoli, quali si svolsero per mia diretta conoscenza, come un testimone in tribunale.




NOTE


1) Nome dato, fin dalla prima adolescenza o dall'infanzia, al figlio maggiore di un casato nobiliare. Da parte dei dipendenti ha anche un senso di rispettosa e affettuosa familiarità, più o meno come poteva essere da noi «signorino» o «padroncino»; ma assume la qualità di un titolo di cortesia, in quanto è rivolto al legittimo erede che, per nascita, rivestirà un giorno il titolo nobiliare.


2) Re di Scozia dal 1124 al 1153.


3) Poeta scozzese del Tredicesimo secolo, famoso per le profezie attribuitegli.


4) Estuario del fiume Eden che sbocca nel Mare d'Irlanda ai confini tra Scozia e Inghilterra.


5) Carlo Edoardo Stuart, autore dell'ultima impresa guerresca tentata dalla sua famiglia per riconquistare la corona britannica.


6) Giacomo Stuart, figlio di Giacomo Secondo re d'Inghilterra, padre del principe Carlo Edoardo e noto come il "Vecchio Pretendente".


7) Giorgio Ludovico, elettore di Hannover, re di Gran Bretagna e Irlanda dal 1714 al 1727 e fondatore della dinastia ancora regnante.


8) Truppe scozzesi delle regioni montuose settentrionali.


9) «Non con violenza, ma con insistenza.»




CAPITOLO SECONDO


Riepilogo dei fatti (Continuazione)


Coprii l'ultimo tratto di viaggio nella fredda fine di dicembre, in una giornata di gelo quanto mai tagliente, e chi doveva capitare a farmi da guida se non Patey Macmorland, il fratello di Tam? Un ragazzino di dieci anni, capelli come stoppa, gambe nude, ma linguacciuto come non ne ho mai conosciuti altri, aveva preso presto il vizio del fratello. Anch'io, poi, ero di età non troppo matura, l'orgoglio non aveva ancora dominato la curiosità; e veramente, in quella mattinata fredda, chiunque si sarebbe lasciato prendere nel sentirsi raccontare tanti vecchi pasticci locali, nel vedersi indicare strada facendo tanti posti dove erano successi casi strani. Mi furono snocciolate storie di Claverhouse (1) quando si attraversarono gli acquitrini e storie del diavolo quando si superò la cresta. Arrivando nei pressi dell'abbazia, venni a sapere un po' dei monaci di un tempo e molto di più dei contrabbandieri, che ne usano i ruderi come deposito e per questo motivo sbarcano a un tiro di cannone da Durrisdeer; e lungo tutta la strada i Duries furono in prima linea, come bersaglio della diffamazione. La mia mente, dunque, rimase molto mal disposta contro la famiglia al cui servizio stavo per entrare, così che fui quasi sorpreso quando vidi Durrisdeer, annidato in una conca amena sotto Abbey Hill. Il palazzo mi parve costruito con tutte le finezze dello stile francese, o forse con influenze italiane (non m'intendo d'architettura), e il terreno intorno mi sembrò abbellito dei più vaghi giardini, prati, boschetti e viali che io avessi mai visto. Il denaro profuso improduttivamente in quelle delizie sarebbe bastato a rimettere su la famiglia; e invece per la sola manutenzione non bastava tutta una rendita.


Il signor Henry venne alla porta personalmente ad accogliermi: era un giovane gentiluomo alto e bruno (tutti i Duries hanno i capelli neri), dal volto comune e poco allegro, molto robusto come corporatura e un po' meno come salute. Mi diede la mano affabilmente e mi incoraggiò con parole schiette e gentili. Quindi, senza neppure lasciarmi togliere gli stivaloni, mi portò in sala, per presentarmi subito a mylord. Era ancora giorno; e la prima cosa che osservai fu una losanga di vetro trasparente, proprio nel mezzo dello stemma della vetrata a colori. Ricordo che questo mi sembrò una stonatura in una stanza tanto bella, con i suoi ritratti di famiglia, con la sua volta a crociera e con il suo camino scolpito, in un angolo del quale il mio vecchio lord sedeva leggendo Tito Livio. Somigliava al signor Henry, con la stessa fisionomia comune, ma più arguta e piacevole, ed era cento volte più attraente nel conversare. Egli, me ne ricordo ancora, ebbe molte domande da farmi riguardo all'università di Edimburgo, dove mi ero appena laureato, e riguardo ai vari professori, delle cui persone e delle cui capacità sembrava benissimo informato; sicché, discorrendo di cose che conoscevo, imparai subito a parlare liberamente nella mia nuova casa.


Nel bel mezzo della conversazione, entrò nella stanza la moglie del signor Henry; era in stato di avanzata gravidanza, poiché aspettava la signorina Katharine fra sei settimane, e perciò, a prima vista, la sua bellezza non mi sembrò un gran che; inoltre, lei mi trattò con maggiore degnazione che non gli altri, ragion per cui, tutto sommato, la collocai al terzo posto nella mia stima.


Non ci volle molto perché tutte le storie di Patey Macmorland mi sembrassero menzognere, ed io diventassi, come poi sono rimasto sempre, devoto servitore della famiglia di Durrisdeer. Il signor Henry ebbe la maggior parte del mio affetto. Lavoravo sotto di lui; ed egli (pur così gentile durante le ore di riposo) nell'ufficio di amministrazione mi si mostrava oltremodo severo, sovraccaricandomi di lavoro e sorvegliandomi assiduamente. Ma un bel giorno, alzando gli occhi dalle sue scartoffie con una specie di timidezza mi fece:- Signor Mackellar, credo di dovervi dire che svolgete benissimo il vostro compito. - Questa fu la prima parola di lode che ebbi da lui, e da quel giorno la sua diffidenza riguardo al il modo in cui adempivo ai miei compiti si sciolse; ben presto fui «signor Mackellar» qui, e «signor Mackellar» lì, per tutta la famiglia; e, durante gran parte del mio servizio a Durrisdeer, trattai tutti gli affari, quando e come credetti meglio, senza che mi si contestasse un solo quattrino.


D'altronde, cominciai a provare affetto per il signor Henry anche nel periodo in cui questi mi stava alle calcagna; ed a questo fui mosso in parte da compassione, tanto l'infelicità di lui era evidente. Nel bel mezzo dei nostri conti, egli si perdeva in profonde meditazioni, restando con lo sguardo fisso sulla pagina, o fuori della finestra:

allora l'aspetto della sua faccia e i sospiri che gli sfuggivano dal petto suscitavano in me un intimo sentimento di curiosità e di commiserazione. Un giorno, mi ricordo, ci eravamo attardati nell'ufficio per non so che faccenda. Quella stanza era in cima alla casa, e vi si scorgeva la baia con un piccolo promontorio boscoso e una lunga spiaggia; di lassù, proprio di fronte all'occidente, dove il sole stava calando nel mare, vedemmo i contrabbandieri percorrere il lido con gran forza di uomini e di cavalli. Il signor Henry si era incantato a guardare il tramonto così fissamente, da stupirmi che non ne fosse abbacinato. Di colpo si accigliò; poi si passò una mano sulla fronte e si rivolse a me con un sorriso.


- Voi non immaginate quello che pensavo, - disse.- Pensavo che sarei più felice se potessi rischiare la vita, scorrazzando con quella gente senza legge.


Gli risposi che mi ero accorto della sua tristezza; e che è comune fantasia invidiare gli altri e credere di poter prosperare con il cambiare stato; essendo fresco di studi, citai in proposito Orazio.


- Già, è vero,- disse lui. - E con questo possiamo tornare ai nostri conti.


Non passò molto tempo che cominciai a capire le cause del suo abbattimento. D'altra parte, anche un cieco si sarebbe accorto che c'era un'ombra in quella casa, l'ombra del Master di Ballantrae. Morto o vivo che fosse (e allora lo credevano morto) quell'uomo era il rivale di suo fratello: il suo rivale in paese, dove nessuno aveva una buona parola per il signor Henry, e tutti rimpiangevano e lodavano il Master; e il suo rivale in famiglia, non solo rispetto a suo padre e a sua moglie, ma rispetto ai servi stessi.


Questi si erano divisi in due fazioni con a capo due vecchi camerieri.


John Paul, un uomo basso, calvo, solenne e panciuto, molto religioso e (tutto sommato) un servo abbastanza fedele, capeggiava il partito del Master. Nessuno osava quello che osava John. Prendeva gusto a mancare pubblicamente di rispetto al signor Henry, spesso con raffronti sprezzanti. Mylord e la signora lo riprendevano, si sa, ma non così risolutamente come avrebbero dovuto; e bastava che lui facesse il viso lungo e cominciasse a piagnucolare per il Master, «il suo ragazzino», come era solito chiamarlo, perché tutto gli fosse perdonato. Quanto a Henry, lasciava passare queste cose in silenzio, con un viso triste, a volte, e a volte rabbuiato. Non si poteva competere con il morto: lo sapeva; e a censurare un vecchio servo per un eccesso di devozione, lui non ci sarebbe riuscito davvero. Non aveva lingua per questo.


Alla testa del partito opposto stava Macconochie, un vecchio furfante maldicente, bestemmiatore, chiacchierone e ubriacone, e mi è spesso sembrato un aspetto bizzarro dell'umana natura il fatto che ognuno dei due domestici si ergesse a campione di colui che rappresentava il suo opposto, giungendo così a dipingere a fosche tinte i propri difetti e a deprezzare i propri meriti riscontrandoli in un padrone.


Macconochie, fiutate ben presto le mie segrete simpatie, mi ammise nella sua confidenza, parlando per ore contro il Master, anche a costo di farmi trascurare le mie faccende. - Tutti rincitrulliti questi paesani, che siano maledetti! - esclamava. - Master!... Il diavolo si porti chi lo chiama così! Il signor Henry dovrebbe essere l'erede adesso! Non erano mica tanto entusiasti del Master, quando lo avevano tra i piedi, ve lo garantisco io. Che sia maledetto! Non gli ho mai sentito dire una parola con garbo, né io, né nessuno, ma insolenze e sarcasmi e maledizioni, oh, quelle sì! Che possa bruciare nell'inferno! Nessuno sa a che punto arrivava la sua perfidia: lui un gentiluomo? Avete mai sentito parlare, voi, signor Mackellar, di Wully White, il tessitore? No? Ebbene, Wully era un gran bigotto, un tipo noioso, insomma, tutto diverso da me, che non l'ho mai potuto soffrire; ad ogni modo un uomo come si deve, nel suo genere, che se ne andò a rampognare il Master per certe marachelle. Che prodezza per un Master di Ballantrae impiantare una faida contro un tessitore, vero?

- E qui Macconochie faceva un riso stridulo, perché proprio non poteva proferire quel nome senza una specie di ringhio d'avversione.- Ma così fece! Era davvero una bella azione, grattare all'uscio di costui, e urlargli «buh! buh!» giù per la cappa del camino, e buttargli polvere da sparo nel fuoco, e fargli scoppiare petardi sul davanzale fino a far credere a quel disgraziato che il diavolo in persona gli stesse alle calcagna. Bene, per farla corta, Wully ci ammattì. Non c'era più verso di tirarlo su dal suo starsene ginocchioni; e continuò a urlare e a pregare, e a piangere, finché non finì di soffrire. Fu un assassinio vero e proprio, lo dissero tutti. Chiedetelo a John Paul, non aveva più il coraggio di mostrare la faccia per la vergogna, lui, un uomo così devoto! Grande prodezza per il Master di Ballantrae! - Gli chiesi che impressione quel caso avesse fatto al Master stesso. - E che ne so io? - disse Macconochie. - Non ha aperto bocca! - E il servo riprese a imprecare e a bestemmiare, secondo il suo solito, ringhiando ogni tanto nel naso: - Master di Ballantrae!- Durante una di queste confidenze, mi mostrò la lettera di Carlisle con l'impronta dello zoccolo del cavallo ancora impressa nella carta. Però quella fu la nostra ultima conversazione, perché allora egli si espresse con tanta malignità sul conto della signora, che io lo dovetti riprendere aspramente, e, da allora in poi, badai bene di tenerlo a distanza.


Il mio vecchio lord trattava il signor Henry con uniforme bontà, anzi aveva simpatici gesti di gratitudine, come quello di battergli talvolta una mano sulla spalla dicendo, senza rivolgersi a nessuno in particolare: - Ho un ottimo figlio.E di certo gli portava gratitudine, da uomo giusto e onesto come era. Ma credo che si trattasse di gratitudine pura e semplice, e sono sicuro che il signor Henry fosse della mia stessa opinione. L'affetto era tutto per il figlio morto. Non che questo venisse fuori spesso nelle parole: con me, una volta sola. Mylord mi aveva chiesto un giorno, come mi trovassi con il signor Henry, e io gli avevo detto la verità.


- Già, - aggiunse lui, guardando in tralice il fuoco che divampava, - Henry è un buon ragazzo, un gran buon ragazzo. E continuò: - Avete sentito dire, signor Mackellar, che io avevo un altro figlio? Forse non era pieno di virtù come il signor Henry; ma Dio mio, ora è morto, signor Mackellar; e quando viveva, andavamo tutti tanto orgogliosi di lui, tanto orgogliosi! Se non era, in certo modo, proprio come avrebbe dovuto essere ebbene, per questo appunto lo amavamo di più! Queste ultime parole le disse guardando pensierosamente il fuoco, ma poi si rivolse a me di nuovo, e aggiunse con molta vivacità: - Ma io mi rallegro tanto che voi andiate così d'accordo con il signor Henry.


Troverete in lui un buon padrone.- E, a questo punto, aprì il suo libro: il che era, da parte sua, il consueto segno di commiato. Ma, di certo, lesse poco e capì meno; il campo di Culloden e il Master, ecco che cosa gli opprimeva la mente; e la mia era oppressa, nei confronti del morto e per amore del signor Henry, da una strana gelosia che già allora aveva cominciato a impadronirsi di me.


Dato che non ho ancora parlato della signora, potrà sembrare che io abbia espresso con ingiustificata esagerazione il mio modo di sentire:

giudichi il lettore da sé quando avrò finito. Ma devo prima parlare di un'altra cosa, che servì a farmi entrare maggiormente nell'intimità della famiglia. Non erano passati sei mesi dal mio arrivo a Durrisdeer, quando accadde che John Paul si ammalò e dovette rimanere letto: secondo la mia umile opinione, la radice di ogni suo male stava nel bere; ma l'assisterono come un santo tormentato, e lui si comportava proprio come tale, sicché lo stesso ministro della nostra chiesa, che venne a visitarlo, andò via dichiarandosi edificato. La terza mattina della malattia di John Paul, il signor Henry mi capitò davanti tutto confuso.


- Mackellar, - mi disse, - vorrei pregarvi di un piccolo servizio.


C'è una pensione da pagare, toccava a John portarla, ed ora che è malato non so a chi rivolgermi se non a voi. E' una faccenda molto delicata, seri motivi mi impediscono di recapitare il denaro di persona; non oso mandare Macconochie, perché è un chiacchierone, ed inoltre desidero che questa faccenda non arrivi alle orecchie della signora, - aggiunse; e così dicendo, arrossì fino al collo.


A dire il vero, quando scoprii che dovevo portare il denaro a una certa Jessie Broun, la quale non era una donna per niente perbene, immaginai che il signor Henry avesse da coprire una sua marachella. A maggior ragione rimasi colpito quando venne fuori la verità.


Jessie abitava a Saint Bride's in un vicolo fuori mano: covo di gentaglia quasi tutta della risma dei contrabbandieri. Trovai all'angolo un uomo con la testa avvolta in bende; un po' più in là, dentro una bettola, c'era gente che cantava e sbraitava, anche se non erano ancora le nove del mattino. Tutto sommato, non avevo mai visto quartiere peggiore, neppure nella grande città di Edimburgo, e fui sul punto di tornarmene indietro. La stamberga di Jessie era degna del vicinato, e lei non ci scompariva. Il signor Henry, metodico com'era, mi aveva raccomandato di farmi dare la ricevuta; ma lei non volle rilasciarmela prima di aver mandato a prendere dei liquori e di avermi costretto a bere alla sua salute. Le sue maniere erano di donna fatua e sventata: ora si dava arie di gran dama, ora prorompeva in risa sguaiate, ora faceva smancerie da nauseare. Del denaro parlò tragicamente.


- E' il prezzo del sangue! - esclamò. - Questo ricevo io: il prezzo del sangue e del tradimento! Guardate a cosa sono ridotta! Ah, se quel bel ragazzo ritornasse, le cose cambierebbero! Invece è morto... giace morto tra i monti degli Highlands... quel bel ragazzo, quel bel ragazzo!

Piangeva per il «bel ragazzo» a mani giunte e roteando gli occhi: un atteggiamento estatico che doveva aver imparato da commedianti girovaghi. Secondo me, le sue smanie erano in gran parte affettate, e lei la faceva tanto lunga perché la sua vergogna era adesso l'unica cosa di cui potesse vantarsi. Non nego di aver provato pietà per lei; ma fu una pietà piena di disgusto, e il suo ultimo cambiamento di modi la cancellò. Questo accadde quando ne ebbe abbastanza di me come uditorio, e si decise finalmente a sottoscrivere la ricevuta. - Ecco!

disse e, dopo aver proferito le più sconce bestemmie, mi ordinò di andarmene a portare il foglio al Giuda che mi aveva mandato da lei.


Era la prima volta che sentivo applicare quel nome al signor Henry, e la forte veemenza delle parole e del tono della donna aumentò il mio sbalordimento: sicché, sotto un diluvio di maledizioni, me ne uscii dalla stanza come un cane bastonato. Ma non fu finita nemmeno così; perché la megera spalancò la finestra e affacciandosi, continuò a insultarmi, mentre me ne andavo su per il vicolo; i contrabbandieri, facendosi sulla porta della bettola, si misero anche loro a beffeggiarmi, e uno di loro fu disumano al punto da aizzarmi dietro un cagnolino ferocissimo che mi morse alla caviglia. Questa fu una buona lezione, se mai ne avessi avuto bisogno, per insegnarmi a evitare le cattive compagnie. Rimontato a cavallo me ne tornai verso casa, spasimando per il morso e con l'animo indignato.


Il signor Henry era nell'ufficio d'amministrazione, fingendosi occupato, ma vidi bene che era ansioso solo di avere notizie della mia commissione.


- Ebbene? - chiese appena entrai, e, quando gli ebbi riferito qualcosa di quello che era successo, dicendogli che Jessie sembrava una donna indegna e tutt'altro che riconoscente: - Non ha simpatia per me, - rispose, - però, Mackellar a dire il vero, io vanto poche simpatie, e Jessie ha qualche motivo di essere ingiusta. Non è necessario che io tenga nascosto quello che è noto a tutto il paese; quella donna non fu trattata bene da un membro della nostra famiglia.


- Fu questa la prima volta che sentii il signor Henry alludere, sia pure alla lontana, al Master e credo che pure quel poco lo dicesse contro voglia, ma subito riprese: - Ecco, per qual motivo non vorrei che se ne parlasse... Farebbe dispiacere alla signora... e a mio padre, aggiunse, arrossendo un'altra volta.


- Signor Henry, - dissi, - se voi mi permettete tanta libertà, vi vorrei pregare di non curarvi più di quella donna. A che serve il vostro denaro per una sua pari? Lei non conosce né sobrietà né economia e, quanto a gratitudine, sarebbe più facile cavar latte dal basalto. Perciò, se voi metteste un freno alla vostra beneficenza, questo non porterebbe altro effetto se non quello di preservare le caviglie dei vostri messaggeri.


Il signor Henry sorrise. - Ma io mi rammarico per la vostra caviglia, - disse subito dopo, con la dovuta serietà.


- E osservate, - continuai, - che io vi do questo consiglio dopo matura riflessione; perché il mio cuore, all'inizio, si è impietosito per quella donna.


- Ecco, avete visto?- esclamò il signor Henry. - E voi dovete considerare che io l'ho conosciuta quando era una ragazza proprio per bene. Bisogna pure tener presente che, sebbene io parli poco della mia famiglia, la sua reputazione mi preme molto.


E, così dicendo, interruppe la conversazione; era la prima volta che parlavamo così familiarmente. Durante quello stesso pomeriggio, ebbi la prova che suo padre era informatissimo di quella faccenda e che il signor Henry la teneva segreta solo per via di sua moglie.


- Temo che oggi abbiate dovuto fare una commissione penosa, mi disse mylord,- e, siccome essa non rientra in nessun modo nelle vostre mansioni, devo ringraziarvene e ricordarvi al tempo stesso (se mai il signor Henry avesse trascurato di farlo) quanto sia desiderabile che di questo fatto non arrivi nessuna eco all'orecchio di mia nuora. Le riflessioni sui morti, signor Mackellar, sono doppiamente penose.


Il mio cuore avvampava di sdegno; e fui sul punto di dire in faccia a mylord quanto poco era opportuno per lui puntellare l'immagine del morto nel cuore della signora, e quanto meglio avrebbe fatto, invece, infrangendo il falso idolo: perché, ormai, capivo bene come stavano le cose tra il mio padrone e sua moglie.


La mia penna è capace di riferire abbastanza chiaramente una storia semplice; ma rendere l'effetto di un'intimità di piccolezze, nessuna di per sé degna di essere riferita, tradurre la storia di occhiate e il messaggio di voci, che non dicono gran che, e condensare in mezza pagina l'essenza di quasi diciotto mesi, è un'impresa in cui dispero di riuscire. La colpa, a dire il vero, era tutta della signora. Aver acconsentito ai matrimonio le sembrava un merito, e del matrimonio si era fatta un martirio; nella qual cosa il mio vecchio lord, inconsapevolmente o no, la istigava continuamente. Lei ascriveva a proprio merito la sua costanza verso il morto, sebbene a una coscienza migliore sarebbe parso che questa dovesse chiamarsi piuttosto infedeltà al vivo; e anche in questo aveva l'appoggio di mylord. Credo che lui sentisse il bisogno di parlare del proprio lutto e che si vergognasse di accennarvi col signor Henry. Fatto sta, ad ogni modo, che in una famiglia di tre persone, si poté formare una piccola consorteria, dove l'escluso era il marito. Sembra che fosse vecchia abitudine della famiglia, quando a Durrisdeer non c'erano ospiti, che mylord portasse il suo vino vicino al caminetto e che la signorina Alison, invece di ritirarsi, portasse uno sgabellino vicino alle sue ginocchia e si fermasse a discorrere con lui a quattr'occhi. Dopo che lei fu diventata la moglie del mio padrone quest'abitudine proseguì.


Poteva essere piacevole vedere quel vecchio gentiluomo tanto tenero verso la nuora, ma io, che parteggiavo per il signor Henry, potevo provare soltanto sdegno per la sua esclusione. Molte volte lo vidi prendere una palese decisione, alzarsi da tavola, unirsi al gruppo di sua moglie e di mylord, che, da parte loro non esitavano minimamente a fargli buon viso, si rivolgevano a lui sorridendogli come a un bambino che interviene a sproposito, e lo ammettevano nella conversazione con uno sforzo tanto mal dissimulato, che lui non tardava a tornare al mio fianco, vicino al tavolo; da dove (la sala di Durrisdeer è molto vasta) si sentiva soltanto il mormorio delle voci di quelli che parlavano vicino al camino. Il signor Henry stava lì seduto ad osservarli mentre io facevo la stessa cosa; e quando mylord piegava tristemente il capo, o metteva la mano su quella della signora, quando la signora posava la sua mano sul ginocchio di lui, in atto di offrire conforto, o c'era uno scambio di sguardi lacrimosi, noi tiravamo la conclusione che il discorso si aggirava sul soggetto antico, e che l'ombra del morto era nella sala.


A volte mi capita di biasimare, in cuor mio, il signor Henry per aver preso le cose con tanta pazienza; però non bisogna dimenticare che la signora lo aveva sposato per compassione e che lui l'aveva accettata in quei termini. Mi ricordo che, una volta, annunciò, a tavola, di aver chiamato un uomo per sostituire il vetro della finestra istoriata; il che, essendo lui a capo degli affari di casa, rientrava nelle sue attribuzioni. Ma per le fantasticherie sul Master quel vetro rotto era una reliquia; e alla prima parola di toccarlo minimamente, il sangue affluì al viso della signora.


- Mi meraviglio di voi! - esclamò.


- E io mi meraviglio di me stesso, - replicò il signor Henry, con un'amarezza maggiore di quella che gli avessi mai sentita esprimere.


A questo punto il vecchio lord intervenne con la sua parola pacata, di modo che, prima della fine del pasto, tutto sembrava dimenticato; peraltro, dopo mangiato, quando i due si furono ritirati, come al solito, vicino al camino, vedemmo che lei piangeva con al testa sulle ginocchia di lui. Il signor Henry sostenne con me la conversazione a proposito di certe faccende della tenuta. Non sapeva parlare che di affari, e non fu mai brioso in compagnia, ma quel giorno sostenne la conversazione con insolita continuità: i suoi occhi non facevano che girarsi verso il camino e la sua voce, ogni tanto, cambiava tono, senza che però vi fosse interruzione nel discorso. Ad ogni modo, il vetro non fu rimesso; e credo che egli considerasse questo fatto come un grosso smacco.


Forse non si mostrava abbastanza deciso, ma Dio sa se si dimostrava più che buono. La signora aveva con lui certi modi condiscendenti che, da parte di una moglie, avrebbero punto la mia vanità fino a esulcerarla; egli li prendeva come un favore. La signora lo teneva a distanza, dimenticava e poi ricordando gli si mostrava affabile come ci capita di fare con i bambini, lo opprimeva sotto una fredda bontà, lo rimproverava con il solo cambiar di colore e mordersi il labbro come se arrossisse per lui di una cosa della quale egli dovesse vergognarsi, e, non vigilandosi, gli dava ordini con un'occhiata; vigilandosi, invece, gli chiedeva la più semplice cosa come se si trattasse di un favore inaudito. E lui contraccambiava tutto questo con una devozione instancabile, baciando, come si dice, la terra sotto i suoi piedi, e sempre con quell'amore negli occhi che bruciava come un lume. Quando stava per nascere la signorina Katharine, non ci fu verso di non farlo rimanere nella camera, a capo del letto. Rimase là, bianco (mi dissero) come il lenzuolo, con il sudore che gli gocciolava dalla fronte, e appallottolò il fazzoletto che aveva in mano fino a ridurlo non più grande di una palla di moschetto. Per molti giorni non sopportò la vista della signorina Katharine, anzi dubito che con la mia padroncina egli sia mai stato come avrebbe dovuto essere; mancanza, questa, di un affetto naturale, che gli fu apertamente rimproverata.


Questo era lo stato di questa famiglia al primo aprile del 1749, giorno in cui accadde il primo di quella serie d'eventi che dovevano spezzare tanti cuori e spegnere tante vite.


Quel giorno, poco prima di cena, me ne stavo nella mia stanza, quando John Paul, spalancata la porta senza avere la cortesia di bussare, mi avvisò che giù qualcuno voleva parlare con l'intendente: e, nel pronunciare il nome del mio ufficio, ghignò.


Chiesi che specie di uomo fosse quello, e come si chiamasse; scoprii così la causa del malumore di John perché risultò che il visitatore rifiutava di dare il proprio nome a chiunque tranne che a me: un affronto, questo, all'importanza del maggiordomo.


- Bene, - dissi io sorridendo un po', - vediamo che vuole.


Trovai nell'atrio un omone vestito molto alla buona e avvolto in un mantello da marinaio, come uno sbarcato proprio allora, come infatti era. Poco lontano stava dritto Macconochie, con la lingua tra le labbra e una mano sul mento come un tonto che si sforza di riflettere profondamente, e il forestiero, che si era tirato il mantello sul viso, sembrava a disagio. Vedendomi arrivare mi si fece subito incontro con espansività.


- Caro mio, - disse, - mille scuse del disturbo, ma mi trovo in una situazione quanto mai delicata. E là c'è un figlio di un archibugio che mi sembra di riconoscere, e che, con tutta probabilità, credo riconosca me. Poiché vivete in questa famiglia, signore, e per di più occupando un posto di una certa fiducia (per il qual motivo mi sono appunto permesso di farvi chiamare), senza dubbio tenete per il partito onesto.


- Potete almeno star certo, - risposi,- che tutte le persone appartenenti a questo partito sono al sicuro in Durrisdeer.


- Mio caro, è proprio ciò che penso anch'io - aggiunse lui. Capite, mi ha appena sbarcato un Tizio onestissimo di cui non ricordo il nome, che per me farà bordate in fuori e bordate in terra fino a giorno, non senza rischio per la sua pelle; e, per parlarvi schietto, sono un po' preoccupato che non abbia ad essercene anche per la mia. Ho portato in salvo la vita così spesso, signor... non ricordo come vi chiamate...


che, parola mia, mi dispiacerebbe perderla, dopo tutto. E quel figlio di un archibugio che credo di aver visto davanti a Carlisle...


- Oh, signore, - interruppi, - potete contare sulla discrezione di Macconochie fino a domani.


- Ebbene, è un piacere sentirvelo dire, - riprese il forestiero. - Il fatto è che il mio nome non è molto popolare in questa terra di Scozia. Però, con un galantuomo come voi, caro mio, non mi garba, si capisce, far sotterfugi; quindi, con vostra licenza, ve lo bisbiglierò all'orecchio. Mi chiamo Francis Burke, colonnello Francis Burke, e sono qui, correndo un maledetto rischio, per vedere i vostri padroni, se mi è lecito, mio caro, chiamarli così, perché davvero, dal vostro aspetto, non l'avrei immaginato. Nel caso che vogliate, per bontà vostra, annunciare loro la mia venuta, dite, vi prego, che porto lettere, il cui contenuto essi leggeranno, di certo, con somma gioia.


Il colonnello Francis Burke era uno di quegli irlandesi, gregari del principe, che portarono danni infiniti alla sua causa ed erano molto invisi agli scozzesi al tempo della ribellione; mi venne subito in mente come tutti si fossero stupiti che il Master di Ballantrae avesse fatto lega con quella gente. Nello stesso momento, un forte presentimento della verità si impadronì del mio animo.


- Se volete entrare qui, - dissi, aprendo la porta di un salotto, - avverto mylord.


- Siete molto buono, signor Non-so-come-vi-chiamate, - disse il colonnello.


A passi lenti andai su, nel salone. Erano lì tutti e tre: il vecchio lord a sedere nel posto solito, la signora a cucire vicino alla finestra, il signor Henry a passeggiare (come faceva spesso) su e giù all'estremo opposto. In mezzo, la tavola era apparecchiata per la cena. Dissi in breve quello che dovevo. Il mio vecchio lord si accasciò nel suo seggiolone, la signora saltò in piedi con uno scatto automatico, e suo marito e lei si fissarono negli occhi attraverso la sala. Fu uno stranissimo sguardo di sfida, quello che si scambiarono; e, guardandosi, impallidirono tutti e due. Poi il signor Henry si rivolse a me, non già per dire qualcosa, solo a fare un cenno; ma bastò questo, ed io scesi a chiamare il colonnello.


Quando rientrai con lui, i tre non si erano mossi dalla posizione in cui li avevo lasciati; né credo che si fossero scambiati una sola parola.


- Il riverito Lord Durrisdeer, suppongo, - disse inchinandosi il colonnello, e mylord ricambiò l'inchino.


- E questi, - continuò il colonnello, - sarebbe forse il Master di Ballantrae?

- Non ho affatto assunto questo nome, - disse il signor Henry, - ma sono Henry Durie, per servirvi.


Allora il colonnello si gira verso la signora, inchinandosi con il cappello sul cuore, in un atteggiamento di irresistibile galanteria.


- Mi è facile riconoscere un così leggiadro aspetto di gentildonna, - aggiunse. - Io parlo, certo, all'incantevole signorina Alison, della quale ho tanto sentito parlare?

Ancora una volta, marito e moglie scambiarono uno sguardo.


- Io sono la signora Henry Durie, - lei disse, - ma il mio nome, prima del matrimonio, era Alison Graeme.


Allora mylord interloquì. - Io sono vecchio, colonnello Burke, disse, - e debole. Farete opera di carità parlando spedito. Mi portate notizie di... - esitò, e poi le sue parole proruppero con un singolare mutamento di voce - di mio figlio?

- Mylord, parlerò chiaro come un soldato, - replicò il colonnello. - Sì.


Mylord allungò una mano tremante, sembrava voler fare un cenno; ma se per interrompere o per incitare il suo interlocutore, non riuscimmo a capirlo. Finalmente disse una sola parola: - Buone?

- Ma sì, le migliori del mondo! - esclamò il colonnello. Poiché il mio ottimo amico e ammirato commilitone è, a quest'ora, nella bella città di Parigi, e più sì che no, se non mi sbaglio di grosso sulle sue abitudini, si starà sedendo a cena. Cospetto, mi sembra che la signora svenga!

La signora Alison era davvero del colore della morte, e si era accasciata contro gli stipiti della finestra. Ma quando il signor Henry fece una mossa, come per correre in suo aiuto, lei si ricompose con una specie di brivido.- Sto benissimo,disse con labbra sbiancate.


Il signor Henry si fermò, e il suo viso ebbe una contrazione d'ira. Ma subito si rivolse al colonnello.- Non dovete rammaricarvi per l'effetto delle vostre parole sulla signora. E' una cosa del tutto naturale, siamo cresciuti insieme tutti e tre come fratelli e sorella.


La signora guardò suo marito con un'espressione di sollievo e forse anche di gratitudine. Secondo me, quel discorsetto fu per lui il primo passo nelle sue buone grazie.


- Cercate di perdonarmi, signora Durie perché io sono proprio un irlandese di rozza pasta, - disse il colonnello; - e meriterei di essere fucilato per non aver saputo comunicare con maggior tatto il mio messaggio a una gentildonna. Ma ecco qui le lettere del Master stesso, una per ognuno di voi tre; e di certo (se non mi sbaglio di grosso sull'abilità del mio amico) egli racconterà la sua storia con un garbo migliore del mio.


Così dicendo tirò fuori le tre lettere, le mise in ordine secondo la soprascritta, presentò la prima a mylord che la prese bramosamente, poi avanzò verso la signora, porgendo la seconda.


Ma costei la respinse con la mano. - A mio marito, - disse con voce soffocata.


Il colonnello era uomo di spirito pronto; ma, a quest'uscita, rimase un po' sconcertato. - Di certo! - esclamò; - come sono sciocco! Di certo! - Ma continuava a porgere la lettera.


Finalmente il signor Henry protese la mano, e il colonnello non poté fare altro che arrendersi. Il signor Henry prese le due lettere (tanto la sua quanto quella della moglie), e guardò le buste, corrugando le sopracciglia, come se riflettesse. Egli mi aveva stupito, fino a quel momento, per il suo ottimo contegno; ma doveva superare se stesso.


- Permettete che vi accompagni nella vostra camera, - disse a sua moglie. - Questa sorpresa è stata molto repentina; e, d'altronde, voi vorrete leggere la vostra lettera da sola.


Lei lo guardò di nuovo attonita ma egli, avvicinandosi a lei con fare risoluto, non le diede tempo di replicare.- E' meglio così, credetemi, - le disse, - e il colonnello Burke è troppo comprensivo per non scusarvi. - E, con queste parole, prendendola per la punta delle dita, la portò fuori della stanza.


La signora non ritornò in sala, per quella sera, e quando la mattina seguente, il signor Henry andò a trovarla, lei, come seppi lungo tempo dopo, gli riconsegnò la lettera, ancora chiusa.


- Oh, leggila, e che sia finita! - egli esclamò.


- Risparmiami questa prova, - lei disse.


E con queste due frasi ognuno dei coniugi, secondo il mio modo di vedere, disfece gran parte di quello che prima aveva fatto di buono.


Questa lettera, per ultimo, finì nelle mie mani, e io, chiusa com'era, la bruciai.


Per dare un resoconto preciso delle avventure del Master dopo la battaglia di Culloden, scrissi, non molto tempo fa al colonnello Burke, ora cavaliere dell'Ordine di San Luigi (2) chiedendogli qualche appunto scritto; poiché, dopo un intervallo così lungo, non potevo troppo fidarmi della mia memoria. Per dire il vero, fui un po' imbarazzato dalla risposta del colonnello, perché questi mi mandò le memorie di tutta la propria vita, riguardanti solo qua e là il Master, abbraccianti un periodo molto più esteso che non quello della mia intera storia, e non sempre (a quanto mi sembrò) intese all'edificazione altrui. In una lettera datata da Ettenheim, il colonnello mi pregava di curare la pubblicazione dell'intero manoscritto, dopo averne fatto l'uso che a me conveniva; e io credo di soddisfare pienamente il mio intento personale e i desideri dell'autore, stampando per esteso alcuni capitoli. A questo modo, i miei lettori avranno una relazione minuta e, credo, veritiera di alcuni incidenti essenziali; e, se qualche editore s'invaghirà dell'arte narrativa del cavaliere, saprà dove rivolgersi per avere il resto, che è abbondante, e sempre a disposizione. Io introduco qui il mio primo estratto, affinché possa stare al posto di quanto il cavaliere ci raccontò all'ora del vino, nella grande sala di Durrisdeer; ma dovete aver presente che al mio lord egli espose non la cruda realtà, ma una versione molto abbellita.




NOTE:


1) John Graham of Claverhouse (1648-1689), conosciuto come il «Bonnie Dundee». Ebbe a lungo funzioni di «polizia» contro le ribellioni del sud-ovest scozzese.


2) Ordine cavalleresco creato da Luigi Quattordicesimo nel 1693 e aperto ai soli cattolici.




CAPITOLO TERZO


Le peregrinazioni del Master (Dalle memorie del cavalier Burke)


... Me ne andai da Ruthven (non serve neppure dirlo) con soddisfazione molto maggiore di quella provata arrivandovi; ma sia che in quelle lande sbagliassi strada, sia che i miei compagni fossero venuti meno agli accordi, non tardai a scoprire che ero completamente solo.


Situazione spiacevolissima per me, poiché non mi è mai riuscito di capire, né quest'orribile paese, né la sua rustica gente, e l'ultima fase della ritirata del principe aveva reso noi seguaci d'Irlanda più impopolari che mai. Stavo riflettendo sulle mie scarse probabilità di salvezza, quando vidi sul poggio un altro cavaliere, che, a tutta prima, mi sembrò un fantasma, poiché la notizia della morte di lui, nelle prime file, sul campo di Culloden, passava per sicura fra tutto l'esercito. Egli era il Master di Ballantrae, figlio di Lord Durrisdeer, un giovane aristocratico di raro coraggio e valore, e designato dalla natura così ad ornare le corti come a raccogliere lauri sul campo. Il nostro incontro fu gradito a tutti e due, tanto più che lui era uno dei pochi scozzesi che avessero trattato gli irlandesi riguardosamente, e poteva, al momento, essermi di prezioso aiuto per trovare uno scampo. Tuttavia, quello che gettò le basi della nostra amicizia personale fu una circostanza romanzesca, in sé, come una leggenda di re Artù.


Il secondo giorno della nostra fuga, dopo aver dormito una notte sotto la pioggia, sul pendio di un monte, ci imbattemmo in un tipo di Appin, un certo Alan Black Stewart (o qualcosa di simile) (1) che io rividi poi in Francia. Costui era geloso del mio compagno. Furono scambiate frasi molto inurbane; e Stewart invitò il Master a smontare e a farla finita.


- Macché, signor Stewart, - replicò il Master, - per il momento, io preferisco fare una corsa con voi. - E, così dicendo, diede di sprone al cavallo.


Stewart ci tenne dietro a piedi, per più di un miglio. Fu una vera ragazzata; e io non mi potei tenere dal ridere, quando, girandomi finalmente indietro, lo vidi dritto in cima a un poggio, con una mano premuta sul cuore e sul punto di scoppiare per l'affanno della corsa.


- Peraltro, - non potei fare a meno di dire al mio compagno, io non lascerei che uno mi rincorresse, per uno scopo così onorato, senza dargli soddisfazione. E' stata una bella burla, ma puzza un po' di codardia.


Mi guardò accigliato. - Credo che non sia poco da parte mia, portarmi in groppa l'uomo più impopolare della Scozia, e che questo basti come prova di coraggio.


- Oh, perbacco,- dico io, - vi potrei far vedere a occhio nudo qualcuno più impopolare ancora. E se la mia compagnia non vi garba, potete "portarvi in groppa" qualcun altro.


- Colonnello Burke, - mi fa lui, - non litighiamo; e, per intenderci meglio, permettetemi di assicurarvi che io sono l'uomo meno paziente del mondo.


- Io non sono più paziente di voi, - dico io. - E chi vuol capire capisca.


- Di questo passo, - dice lui, fermando il cavallo, - non arriveremo lontano. Perciò propongo che facciamo immediatamente delle due l'una:

o azzuffarci e farla finita, o fare patti chiari di tollerare, l'uno dall'altro, qualsiasi cosa.


- Come due fratelli? - chiedo io.


- Non diciamo sciocchezze, - replicò lui. - Ho un fratello e non lo stimo un soldo. Ma se dobbiamo condividere i rischi di questo piano di fuga, osiamo essere noi stessi come i selvaggi, e giuriamo di non sentirci offesi né far rimproveri per niente che venga dall'altro. In fondo, io sono cattivo e trovo noiosissima la finzione della virtù.


- Oh, io sono cattivo quanto voi, - dissi. - Non c'è latte scremato in Francis Burke. Ma che dev'essere? Guerra o pace?

- Ebbene, - fa lui, - credo che la cosa migliore sia fare a testa o croce.


Questa proposta, estremamente cavalleresca, non poteva non andarmi a genio; e, per quanto possa sembrare strano da parte di due gentiluomini del nostro tempo, noi (come due antichi paladini) tirammo una moneta per decidere se dovessimo segarci la gola l'un l'altro o essere amici per la vita. Non mi sembra possibile che si sia mai data una circostanza più romanzesca, e questa è una di quelle memorie del mio passato che dimostrano come le antiche storie di Omero e degli altri poeti trovino riscontro al giorno d'oggi, almeno fra gente nobile e signorile. La moneta segnò pace, e noi ratificammo il patto con una stretta di mano. Soltanto allora il mio compagno mi spiegò l'idea che l'aveva indotto a sfuggire il signor Stewart; un'idea proprio degna del suo fine senso politico. Essere creduto morto (così mi disse) costituiva per lui una gran salvaguardia; Stewart, avendolo riconosciuto, era diventato pericoloso, e lui aveva scelto l'espediente più semplice per ridurre quel signore al silenzio. - Poiché, - mi fa, - Alan Black è un uomo troppo vanitoso per palare di una storia simile.


Nel pomeriggio, arrivammo alle rive di quel certo "loch" (2) al quale eravamo diretti e vi trovammo la nave, che aveva appena gettato l'ancora. Era la "Sainte-Marie-des-Anges", proveniente dal porto di Havre-de-Grace. Il Master, dopo che si erano fatti i segnali, affinché ci mandassero un'imbarcazione, mi chiese se conoscessi il capitano.


Gli dissi che era un mio compaesano, e uomo della più impeccabile integrità, ma, a quel che sapevo, piuttosto pusillanime.


- Non fa niente, - dice lui. - Bisogna che sappia lo stesso la verità.


Gli chiesi se alludesse alla battaglia; perché, se il capitano fosse venuto a sapere che avevamo avuto la peggio, avrebbe certo ripreso subito il largo.


- E che me ne importa! - esclama lui; - le armi adesso non servono più a niente.


- Caro mio, - dico allora, - chi pensa alle armi? Ma certo non dobbiamo dimenticare gli amici. Devono seguirci da molto vicino, forse ci sarà il principe in persona, e se il veliero se ne va, molte vite preziose correranno un grande pericolo.


- In quanto a questo, sono vite anche quelle del capitano e dell'equipaggio, - dice Ballantrae.


Io dichiarai che quello era un sofisma, e che io non volevo assolutamente saperne di raccontare al capitano come stavano le cose.


Allora Ballantrae mi diede una risposta buffa, e appunto per riferire questa risposta (ed anche perché questa faccenda della "Sainte-Marie- des-Anges" mi ha procurato qualche biasimo) ho riferito, punto per punto, l'intera conversazione.


- Frank, - dice lui, - ricordate il nostro patto. Io non ho diritto di oppormi al vostro proposito di tacere, che, per conseguenza, perfino incoraggio; ma, per lo stesso motivo, voi non dovete risentirvi se io parlerò.


A quest'uscita non potei tenermi dal ridere; sebbene di nuovo avvertissi Ballantrae delle conseguenze.


- Segua pure il pandemonio, per quel che me ne importa, - dice quel temerario. - Io ho sempre fatto precisamente quello che mi è passato per la testa.


Come ben si sa, la mia predizione si avverò. Il capitano, non appena ebbe saputo come stavano le cose, tagliò la gomena e prese il largo; sicché, prima che facesse giorno, eravamo nel Great Minch.


La nave era molto vecchia e il capitano, davvero il più onesto tra gli uomini (irlandese, per giunta), era anche il meno competente. Per tutto quel giorno si ebbe poca voglia di mangiare o di bere. Ci coricammo di buon'ora con l'animo molto turbato, e durante la notte (quasi per darci una lezione) il vento saltò a nord-est diventando uragano. Ci svegliarono il rombo tremendo della tempesta e il calpestìo dei marinai in coperta, così che io credetti arrivata la nostra ultima ora; e Ballantrae, irridendo alle mie orazioni (3), accrebbe a dismisura il terrore della mia mente. Appunto in ore come quelle l'uomo pio si mostra nella sua vera luce e si scopre quanto sia vana (com'è insegnato ai bambini) la fiducia riposta negli amici di questo mondo: peccherei contro la mia religione, se sorvolassi su questo punto. Restammo nell'oscurità della saletta, rosicchiando per cibo solo un po' di biscotto, per tre giorni. Il quarto, il vento volse a bonaccia lasciando la nave disalberata a sollevarsi su onde enormi. Il capitano non aveva idea di dove fossimo stati sbalestrati; era del tutto ignaro del suo mestiere, e non sapeva fare altro che benedire la Vergine Maria: ottima cosa che non rappresenta, tuttavia, l'intera arte marinaresca. Nostra unica speranza poteva essere quella di essere raccolti da un'altra nave; e, se questa nave fosse risultata inglese, il Master e io avremmo avuto poco da rallegrarci.


Il quinto e il sesto giorno continuammo a sballottare in balia dei flutti. Il settimo fu alzata qualche vela; ma la "Sainte-Marie", la quale anche in buone condizioni era di difficile manovra, continuò a scadere. In effetti per tutto quel tempo eravamo andati alla deriva a sud-ovest e, durante il fortunale, la nave doveva essere stata sospinta in quella direzione con una violenza inaudita. La nona mattina spuntò fredda e nera, con il mare in convulsione e tutti i segni portatori di maltempo. In quella situazione ci rallegrammo non poco, avvistando all'orizzonte una piccola nave e vedendola virare di bordo e dirigere verso la "Sainte-Marie". Ma la nostra gioia fu di breve durata, perché, non appena la nave, messa alla panna, calò un'imbarcazione in mare, questa si riempì immediatamente di malviventi che vogarono verso di noi cantando e schiamazzando, per poi assalirci in coperta con le sciabole d'abbordaggio sguainate e bestemmiando a gran voce. Il loro capo era uno sporco malandrino, dalla faccia tinta di nero e dai favoriti arricciati. Si chiamava Teach, ed era un famoso pirata. Scalpitava su e giù per la coperta, infuriandosi e gridando che il suo nome era Satana e quello della sua nave "Inferno". C'era in lui un misto di ragazzaccio e di mentecatto che mi faceva allibire.


Bisbigliai all'orecchio di Ballantrae che ero pronto ad offrirmi per accolito e che facevo voti a Dio che quella gente scarseggiasse di uomini d'equipaggio, e lui approvò il mio proposito con un cenno del capo.


- Perbacco, - disse a Capitan Teach, - se voi siete Satana, ecco un demonio ai vostri comandi.


Queste parole piacquero al pirata; e (per non entrare in troppi particolari, circa questo disgustoso incidente) Ballantrae, io e altri due fummo reclutati, mentre il capitano e il resto degli uomini dell'equipaggio venivano gettati in mare con il supplizio della tavola fuori nave (4). Io vi assistevo per la prima volta, il cuore sembrò mancarmi in petto; e Capitan Teach o uno dei suoi accoliti (non saprei dirlo con esattezza, perché avevo la testa troppo smarrita) commentò il mio pallore con parole da gelarmi il sangue. Ebbi la forza di fare uno o due passi di giga e di urlare qualche ribalderia, il che per il momento mi salvò, ma le gambe mi si piegavano sotto, quando dovetti calarmi nella barcaccia con quegli scellerati. Sia per l'orrore della compagnia che mi era capitata, sia per lo spavento dei cavalloni immensi, altro non potei che mantenere una parlantina da irlandese e lanciare qualche facezia, mentre venivamo tirati su a bordo. Per grazia di Dio, nella nave del pirata c'era un violino, di cui mi impadronii non appena lo vidi, e nella mia qualità di menestrello ebbi la fortuna di trovare favore presso i pirati. Mi soprannominarono «Pat il menestrello» (5), e poco mi curai del nome, pur di sentirmi sicuro della pelle.


Che specie di pandemonio fosse quella nave, non si può descrivere. Era comandata da un pazzo, e avrebbe potuto chiamarsi un manicomio galleggiante. Chi beveva, chi sghignazzava, chi cantava, chi litigava e chi ballava; gli ubriachi non mancavano mai: c'erano giorni interi in cui, se fosse arrivata una tempesta, ci avrebbe colati a picco in un batter d'occhio, e giorni in cui, se fosse arrivata una nave del re, ci avrebbe trovati nell'incapacità di opporre resistenza. A volte si avvistava qualche vela, e, se non eravamo troppo brilli, la raggiungevamo, Dio ci perdoni! Ma se avevamo tutti alzato il gomito, quella se ne andava e io benedicevo sottovoce i santi. Teach governava, se governo si può chiamare una cosa che non mette ordine, per mezzo del terrore che provocava; e io lo vidi vanitosissimo della sua autorità. Ho conosciuto marescialli di Francia, sì, e perfino certi capi delle Highlands, che erano meno apertamente tronfi di lui; il che getta una luce singolare sull'ambizione degli onori e della gloria. In verità, più si vive e più si riscontra quanto Aristotele e gli altri filosofi avessero ragione, e io, anche se, per tutta la vita, sono stato avido di meritorie distinzioni, posso, alla fine della mia carriera, mettermi una mano sul cuore e dichiarare che nessuna di esse, no, e neppure la vita, è degna di essere ottenuta o preservata con il sacrificio, sia pur minimo, dell'umana dignità.


Passò molto tempo prima che io potessi parlare a quattr'occhi con Ballantrae; ma finalmente, una notte, mentre gli altri avevano da fare di meglio, strisciammo tutti e due sul bompresso a commiserare insieme la nostra situazione.


- Solo i santi possono liberarci, - dissi io.


- Sono d'opinione completamente diversa, - replicò Ballantrae;- perché intendo liberarmi da solo. Questo Teach è uno sciagurato, noi non ne ricaviamo nessun profitto e corriamo il continuo pericolo di essere catturati. Ma io non voglio essere uno sporco pirata per nulla, né voglio finire in catene, se posso farne a meno. - E mi comunicò quel che aveva in mente per migliorare la disciplina a bordo, il che ci avrebbe procurato una maggiore sicurezza per il presente e avrebbe reso possibile la nostra liberazione in un prossimo futuro, cioè quando gli altri, paghi dei profitti conseguiti, si fossero divisi.


Gli confessai ingenuamente che, in quella compagnia orribile, i miei nervi erano del tutto scombussolati, e che non osavo dirgli di contare su di me.


- Io non mi spavento così facilmente, - disse lui, - né mi dò così presto per vinto.


Pochi giorni dopo, accadde un incidente che per poco non ci mandò tutti a tirar calci al vento, e che offre la più straordinaria immagine della stoltezza di chi dirigeva le nostre faccende. Eravamo tutti alticci, quando uno di quei mentecatti avvistò una vela. Teach virò di bordo, lanciando senz'altro la sua nave all'attacco, e noi cominciammo a brancicare le armi e a menar vanto dei prossimi orrori.


Notai che Ballantrae stava quieto a prua, facendosi visiera con la mano; ma per parte mia, fedele alla mia politica fra quei selvaggi, mi affaccendavo con i più scalmanati e snocciolavo facezie irlandesi per il loro divertimento.


- Alza la bandiera, - urlò Teach. - Mostra a quei cialtroni il Jolly Roger (6).


In quella fase della caccia, un simile ordine era una stolta bravata da ubriaco, che poteva farci perdere una buona preda, ma non mi sembrò che toccasse a me ragionare e issai la bandiera nera con le mie stesse mani.


Ballantrae se ne viene subito a poppa con un sorriso sulle labbra.


- Vi può forse importar di sapere, beone maledetto, - dice a Teach, - che state dando la caccia a una nave del re.


Il pirata gli sbraitò che mentiva; ma corse alla murata e tutti gli andarono dietro. Non ho più visto tanti ubriachi rinsavire così di colpo. La nave di crociera, che alla nostra sfacciataggine di spiegare la bandiera aveva subito virato di bordo, faceva proprio allora portare le vele sulle nuove mure (7); la sua bandiera sventolò chiaramente visibile e mentre ancora guardavamo ci fu una nuvoletta di fumo poi la detonazione, e un proiettile venne a tuffarsi nelle onde mancandoci di un bel po'. Alcuni si buttarono alle manovre facendo virare la "Sarah" di bordo con incredibile sveltezza. Uno diede di piglio al barile posato sulla coperta, dal quale si era spillato il rum, e lo fece rotolare prontamente fuori bordo. Per parte mia, andai al Jolly Roger, lo ammainai e lo scagliai in mare; e mi ci sarei gettato anch'io, tanto ero umiliato per la nostra balordaggine. Quanto a Teach, diventò pallido come un morto e scese subito nella sua cabina. Quel pomeriggio comparve in coperta due volte soltanto, andò al coronamento di poppa, diede una lunga occhiata alla nave da guerra che, ancora sull'orizzonte, continuava a darci la caccia; poi, senza parlare, di nuovo giù in cabina. Si può ben dire che ci abbandonava a noi stessi, e se non fosse stato per un marinaio assai bravo che c'era a bordo, e per il fatto che tutto quel giorno soffiarono solo bave di vento (8), saremmo certamente finiti impiccati alla varea di un pennone (9).


Bisogna supporre che Teach fosse umiliato e, forse, impensierito per la sua posizione di fronte all'equipaggio, e il modo con cui si preparò a riguadagnare l'autorità perduta fu caratteristico dell'uomo.


Il giorno dopo, molto di buon'ora, si mise a bruciare zolfo nella cabina, gridando:- Inferno! Inferno! -, al che l'equipaggio, conoscendo il significato di quelle parole, si spaventò non po'.


Subito dopo, comparve in coperta in una camuffatura pagliaccesca: aveva il viso impiastricciato di tinta nera, i capelli e i favoriti arricciati, e la cintura zeppa di pistole; masticava frammenti di vetro per farsi colare il sangue sul mento e brandiva un pugnale. Non so se avesse imparato quei lazzi dagli indiani d'America, fra i quali era nato; ma questo era il suo modo di annunciare che stava per accingersi a imprese atroci. Il primo in cui s'imbatté fu il marinaio che aveva buttato il rum nel mare la sera prima: gli trafisse il cuore, maledicendolo come ribelle; e poi si mise a saltellare intorno al cadavere, farneticando, bestemmiando e sfidandoci a farci avanti.


Era un'ostentazione idiota, e tuttavia minacciosa, perché quel vigliacco stava preparandosi a un altro assassinio.


Di colpo, Ballantrae avanza. - Avete finito di recitare? - gli dice.


- Credete forse di spaventarci con questi versacci? Non vi siete fatto vedere per niente, ieri, quando c'era bisogno di voi; e ce la siamo sbrigata da soli, lasciatemelo dire.


Fra l'equipaggio corse un mormorio di soddisfazione e di sgomento, mescolati, credo, in parti eguali. Quanto a Teach lanciò un urlo selvaggio e fece volteggiare il pugnale nell'atto di scagliarlo:

un'arte nella quale (come molti marinai) egli era espertissimo.


- Buttategli giù quella lama! - mi ordinò Ballantrae, così rapido e deciso, che il mio braccio obbedì prima che la mente avesse capito il comando.


Teach rimase intontito, senza neppure pensare alle sue pistole.


- Scendete nella vostra cabina, - esclamò Ballantrae, - e tornate in coperta quando vi sarà passata la sbornia. Credete che vogliamo farci impiccare per voi, muso nero, bruto rimbecillito, beccaio ubriaco?

Scendete! - E a questo punto, batté il piede con tale foga, che Teach non poté far altro che darsela a gambe giù per la scala di cabina.


- E ora, compagni, - dice Ballantrae, - una parola a voi. Io non so se facciate i cavalieri di ventura per passatempo. Ma so che io voglio fare denari e tornare a terra per spenderli da uomo. E ho deciso una cosa: non voglio farmi impiccare, se mi riesce. Orsù, consigliatemi voi: sono un principiante! Non c'è modo di mandare avanti questa faccenda con un po' di disciplina e di buon senso?

Uno dei pirati prese la parola: disse che avevano diritto ad avere un primo nostromo (10), e non appena una simile parola gli uscì di bocca, tutti furono del suo parere. Ballantrae fu nominato primo nostromo per acclamazione; gli venne affidata la provvista del rum; fu approvata una regola simile a quella di un pirata chiamato Roberts e la proposta finale fu di mettere a morte Teach. Ma Ballantrae, temendo di trovarsi poi di fronte a un capitano più in gamba, che potesse competere con lui, si oppose risolutamente. Teach, egli disse, era abbastanza capace ad abbordare le navi e a spaventare la gente con le sue bestemmie e con il suo viso tinto; sarebbe stato difficile trovare una persona più adatta a quello scopo; e, d'altra parte, siccome aveva ormai perso ogni credito ed era quasi deposto, si sarebbe potuta ridurre la sua parte di bottino. Questo fu l'argomento decisivo; la parte di Teach fu ridotta a una quantità irrisoria, cioè minore della mia. Rimasero, perciò, due punti soli da decidere; e cioè se Teach avrebbe acconsentito, e chi dovesse annunciargli la sua sentenza.


- Non vi confondete, - disse Ballantrae. - Ci penso io.


Si diresse verso la scala, e giù da solo nella cabina ad affrontare quell'ubriaco forsennato.


- Questo è l'uomo che fa per noi, - esclamò uno dell'equipaggio: - Tre evviva per il nostromo! - Facemmo come un sol uomo il saluto alla voce, io gridando più forte di tutti, e sono certo che l'acclamazione fece un certo effetto, in basso, a Capitan Teach, poiché abbiamo visto anche ultimamente quanto le vociferazioni di piazza possono turbare perfino la mente dei legislatori (11).


Quello che accadde sotto coperta non si seppe mai con precisione, anche se qualche accenno ne venne in luce più tardi; e restammo tutti stupefatti, nonché soddisfatti, quando Ballantrae apparve sul ponte portando Teach a braccetto e ci comunicò che tutto era sistemato.


Sorvolo su quei dodici o quindici mesi, durante i quali continuammo a tenere il mare nell'Atlantico settentrionale rifornendoci di acqua e di cibo sulle navi da noi catturate e facendo, nel complesso, affari abbastanza buoni. Di certo nessuno può desiderare di leggere scritti così volgari come le memorie di un pirata, sia pure di un pirata a malincuore come ero io! Le cose, regolate secondo i nostri disegni, andarono molto meglio; e Ballantrae, con mia grande ammirazione, tenne il comando da quel famoso giorno in poi. Verrebbe da dire qualcosa sul fatto che un gentiluomo sia destinato ad essere primo ovunque, anche su una nave corsara. Se non che io per nascita, sono, in tutto e per tutto, nobile come un lord scozzese, eppure a bordo della "Sarah" (devo confessarlo) restai fino all'ultimo Pat il menestrello, e altro non fui se non il buffone dell'equipaggio. Veramente, l'ambiente non era adatto a far emergere i miei meriti. La mia salute soffrì per una quantità di motivi; io mi sono sempre sentito più a mio agio in groppa a un cavallo che non sul ponte di una nave; e, per essere sincero, la paura del mare mi stava continuamente nel cuore, combattendo con la paura dei miei compagni. Non occorre che io vanti il mio coraggio, ho fatto il dovere mio su molti campi di battaglia, sotto gli occhi di famosi generali, e ho guadagnato la mia ultima promozione per un atto del più distinto valore da me compiuto davanti di molti testimoni. Ma quando dovevamo procedere a un abbordaggio, il cuore di Francis Burke scendeva negli stivali; l'imbarcazione, simile a un guscio d'uovo, nella quale ci toccava avventurarci, l'orrido beccheggio sul mare lungo, l'altezza della nave da scalare, il pensiero della quantità di gente che poteva essere di guardia a bordo, armata alla legittima difesa, i tetri cieli che (in quel clima) così spesso stendevano ombre fitte sulle nostre imprese, e lo stesso urlìo del vento nelle orecchie, erano elementi deleteri per il mio valore. Oltre a ciò, essendo io stato sempre una persona della più delicata sensibilità, le scene che seguivano alle nostre vittorie mi allettavano ancora meno che non i pericoli della disfatta. Per ben due volte trovammo donne a bordo; e, sebbene io abbia visto saccheggi di città, e, di recente, in Francia, orrendi tumulti pubblici, dichiaro che niente mi raccapricciò mai come quelle piraterie perpetrate da pochi uomini nella squallida e infida solitudine del mare. Confesso, con tutta sincerità, che io vi potei partecipare solo a condizione di essere per tre quarti ebbro; e lo stesso avveniva all'equipaggio; perfino Teach non riusciva a intraprendere niente finché non era fradicio di rum; e una delle parti più difficili del compito di Ballantrae consisteva nel fornirci di liquore nella giusta misura. Faceva anche questo a perfezione, essendo, in complesso, uno degli uomini più abili che io abbia mai incontrato, e anche uno dei più geniali. Mentre io cercavo di accattivarmi i favori dell'equipaggio con buffonate continue, che dissimulavano un'ansia tremenda, egli preservava, quasi in ogni congiuntura, una dignità e un'alterigia notevoli; di modo che appariva come il padre di una nidiata di bambini o un maestro con i suoi scolari. A rendere il suo compito più arduo, i pirati erano spesso di umore nero, sia perché la disciplina imposta da Ballantrae, per quanto moderata, riusciva fastidiosa a uomini amanti di ogni eccesso, sia perché la forzata sobrietà dava loro modo di pensare e, in conseguenza, di pentirsi dei misfatti commessi. Il rimorso pungeva specialmente uno che era molto buon cattolico. Ero solito appartarmi di soppiatto a pregare con lui, specialmente quando faceva brutto tempo, nei giorni di nebbia o di pioggia, in cui era più facile passare inosservati; e nemmeno due criminali sulla via del supplizio devono aver mai detto le loro devozioni con pietà sincera quanto la nostra. Ma gli altri, non avendo simili speranze nell'aldilà, si ricreavano invece facendo calcoli. Passavano giornate intere a tirare i conti della loro porzione di bottino o a rammaricarsi sul risultato di essi. Ho detto che gli affari erano stati abbastanza buoni. Ma bisogna aggiungere un'osservazione: che a questo mondo, in nessuna faccenda di cui io abbia avuto esperienza, i profitti rispondono mai all'aspettativa. Incontrammo navi in quantità e ne catturammo un buon numero; ma poche erano ben provviste di denaro, e le loro merci, di solito, erano del tutto inutili per noi. Che potevamo farcene di un carico di aratri o di tabacco? Ed è penosissimo riflettere sul numero di equipaggi che furono da noi condannati al «percorso sull'asse», per nient'altro che una provvista di biscotti, o qualche gallone di grappa.


Intanto la nave cominciava ad avere la carena molto sporca (12), e ormai era ampiamente arrivato il momento di dirigerci verso il nostro "port de carénage", che era posto nell'estuario di un fiume, tra le paludi. Regnava tra di noi il tacito accordo che, in quella circostanza, la nostra compagnia si sarebbe sciolta e che ognuno sarebbe andato a scialacquare per proprio conto la sua porzione della preda. Ma questo rendeva ognuno ingordo di acquistare di più: cosicché l'esecuzione di un simile proposito veniva differita di giorno in giorno. Ciò che finalmente la decise fu un incidente lievissimo, che una persona ignara potrebbe supporre ovvio nel nostro genere di vita.


Ma bisogna che io mi spieghi meglio: di tutte le navi da noi abbordate, una sola, e precisamente la prima in cui trovammo donne, ci oppose vera e propria resistenza. In quell'occasione avemmo due morti e parecchi feriti, e, se non era per il coraggio di Ballantrae, alla fine ci sarebbe toccata a peggio. Su ogni altra nave la difesa (se anche si tentava) era tale da far ridere le truppe meno agguerrite d'Europa; e così la parte più rischiosa del nostro compito era lo scalare il fianco della nave; e spesso ho perfino visto quei poveracci che stavano a bordo lanciarci una sàgola, tanto erano ansiosi di arruolarsi con noi, piuttosto che «percorrere l'asse». Una così costante immunità aveva infiacchito l'animo dei miei compagni; e, a quanto potei capire, quel mentecatto di Teach aveva acquistato tanta autorità su di loro, appunto perché la sua compagnia costituiva il principale pericolo nella vita che conducevamo. Ma ecco l'incidente al quale alludevo. Durante un gran nebbione, avvistammo quasi sotto bordo a noi una piccola nave a vele quadre che procedeva alla meglio, o (ad esser più precisi) alla peggio, come noi; puntammo allora contro di essa il cannone di prua per vedere se potevamo farne saltare qualche pennone. Il mare era molto grosso, il movimento della "Sarah" indescrivibile; niente di strano, quindi, che i nostri cannonieri sparassero tre volte senza far centro. Ma intanto, con il favore della fitta nebbia, la nave cacciata aveva scoperto un cannone di poppa; e poiché aveva migliori tiratori, il primo colpo ci prese tra i masconi (13), ridusse in poltiglia i nostri due cannonieri spruzzandoci tutti del loro sangue, e attraverso il ponte piombò nel castello di prua dove avevamo i nostri giacigli. Ballantrae avrebbe insistito, e davvero, in quel "contretemps" non c'era niente che potesse turbare l'animo di un soldato; ma egli aveva una pronta percezione della gente di bordo, ed era evidente che quel colpo ben diretto li aveva disgustati del loro mestiere. Si trovarono unanimi in un momento:

poiché la nave cacciata si allontanava da noi, era inutile insistere e la "Sarah" era troppo malandata per raggiungere nemmeno una bottiglia; era da stolti continuare a tenere il mare con una simile carcassa. In base a questi pretesti, si virò di bordo e si fece rotta per l'estuario. Strano spettacolo fu l'allegria che prese quell'equipaggio; gli uomini scalpitavano in coperta scherzando, e ognuno calcolava di quanto la sua parte si era accresciuta per la morte dei due cannonieri.


Ci vollero nove giorni prima di raggiungere il porto, tanto leggere erano le brezze con cui veleggiavamo e tanto era sporca la carena della nave; ma all'inizio del decimo, prima dell'alba e con una nebbietta che si alzava, doppiammo il promontorio. Poco dopo, la nebbietta si alzò e ricadde, rivelandoci una nave da guerra che incrociava molto vicina. Era un duro colpo che questo accadesse negli immediati paraggi del nostro rifugio. Cominciò una grande discussione, per decidere se ci avessero avvistati e, in tal caso, se era probabile che avessero riconosciuto la "Sarah". Era sempre stata nostra cura uccidere tutti gli uomini a bordo dei bastimenti che assalivamo, proprio per sopprimere ogni possibilità di testimonianze a carico delle nostre persone; ma non potevamo così facilmente tenere segreti i connotati della "Sarah", tanto più che, da quando essa aveva la carena sporca e a noi era capitato di inseguire molte navi senza successo, la sua descrizione doveva essere stata divulgata. Credo che l'allarme al quale ho accennato avrebbe potuto farci disperdere all'istante. Ma anche in tale congiuntura il fervido genio di Ballantrae doveva riservarmi una sorpresa. Fin dal primo giorno della sua nomina a nostromo, egli era andato d'accordo con Teach. Spesso lo interrogai su questo fatto, che fu la più notevole manifestazione del suo buon successo, ma non ne ebbi risposta se non una volta, e cioè quando mi raccontò che fra Teach e lui c'era un'intesa, «la quale avrebbe molto sorpreso l'equipaggio, se questo ne fosse venuto a conoscenza e avrebbe sorpreso molto lui stesso se fosse stata mantenuta». Bene, anche in questo caso Teach e lui si trovarono d'accordo; e per i loro comuni accorgimenti, non appena la nave fu ormeggiata, l'intero equipaggio si sfrenò in un'inenarrabile baldoria. Nel pomeriggio eravamo una compagnia di dementi che buttavano roba in mare, che ululavano in coro canzoni discordi, che altercavano e si azzuffavano, e poi, dimentichi di ogni rancore, si abbracciavano teneramente.


Ballantrae mi aveva ordinato di non bere liquori e di fingermi ubriaco, se mi era cara la vita; e io non ricordo una giornata uggiosa pari a quella che passai standomene la maggior parte del tempo coricato sul castello di prua, a contemplare gli acquitrini e i roveti che circondavano il nostro angusto bacino. Poco dopo il crepuscolo, Ballantrae finse d'inciampare, cadde al mio fianco dando in una risata da ubriaco, e, prima di rimettersi in piedi, mi bisbigliò «d'andarmene barcollando giù nella saletta, di buttarmi su un cassone e fingere di dormire, stando però bene all'erta perché presto ci sarebbe stato bisogno di me». Feci quanto mi era ingiunto, e, disceso nella saletta, dove era buio pesto, mi lasciai cadere sul primo cassone. C'era già disteso un uomo: dal modo con cui si riscosse e mi diede uno spintone potei arguire che non era molto ebbro; però, quand'ebbi trovato un altro posto, sembrava essersi addormentato di nuovo. Il cuore mi batteva forte, perché capivo bene che si stava mettendo in atto qualche impresa disperata. Ben presto scese giù Ballantrae, accese il lume, si guardò intorno nella cabina, accennò con la testa in segno di soddisfazione, e via sul ponte senza dire una parola. Io spiavo attraverso le dita, e vidi che, a dormire, o fingere di dormire, sui cassoni eravamo in tre: io e due pirati animosi, un certo Dutton e certo Grady. Gli altri, in coperta, avevano spinto la gazzarra oltre ogni umano limite; di modo che il loro baccano non potrebbe descriversi con parole decenti. Gli schiamazzi degli ubriachi, specialmente sulla "Sarah", non erano per me una cosa nuova, ma non avevo mai sentito niente di nemmeno lontanamente simile a ciò che allora mi arrivava all'orecchio; tanto che immaginai perfino che il liquore fosse drogato. Passò molto tempo prima che gli strilli e gli urli si placassero in una specie di lamentoso mugolio, preludio del silenzio; e un tempo lunghissimo sembrò quindi trascorrere prima che Ballantrae ridiscendesse, avendo alle calcagna questa volta Teach, che, nel vedere noi tre sui cassoni, si mise a bestemmiare.


- Ohibò,- disse Ballantrae,- potreste scaricare una pistola all'orecchio di costoro, e non sentirebbero. Sapete pure che roba hanno tracannato.


Nel tavolato della cabina c'era un boccaporto, e là sotto il meglio del bottino stava in serbo per il giorno della ripartizione. Il coperchio era chiuso con un anello a tre lucchetti, le cui chiavi (per sicurezza maggiore) erano affidate a tre diverse mani: una a Teach, una a Ballantrae e una al primo ufficiale, un tale di nome Hammond.


Stupii, vedendole tutte in mano di uno solo; e ancor più stupii osservando (sempre attraverso le mie dita) che Ballantrae e Teach avevano con loro certi fagotti, quattro in tutto, legati accuratamente e provvisti di un cappio per il trasporto.


- E ora, - disse Teach, - andiamo.


- Una parola, - fece Ballantrae. - Ho scoperto che non siete solo a conoscere un tragitto segreto attraverso la palude: c'è chi ne conosce un altro più corto del vostro.


Teach esclamò che in quel caso loro due erano perduti.


- Non mi sembra, - rispose Ballantrae. - Perché vi sono varie altre circostanze che devo portare a vostra conoscenza. Anzitutto non ci sono palle nelle vostre pistole che (se ben ricordate) ho avuto stamattina la bontà di caricare per entrambi. In secondo luogo, dato che qualcun altro conosce il tragitto, voi dovete considerare molto improbabile che io mi addossi l'impiccio di un mentecatto come voi. In terzo luogo, questi signori (che non hanno più bisogno di far finta di dormire) parteggiano per me, e ora procederanno a imbavagliarvi e a legarvi all'albero. Quando poi i vostri uomini si sveglieranno (nel caso che possano svegliarsi, dopo aver ingollato le droghe che abbiamo messo nel loro liquore), vi useranno certo la cortesia di liberarvi, e voi (mi immagino) non farete molta difficoltà a spiegare la faccenda delle chiavi.


Teach non fiatò, ma mentre l'imbavagliavamo e lo legavamo, ci guardava come un bambino spaventato.


- Adesso capirete, voi, tanghero, - dice Ballantrae,- perché abbiamo fatto quattro fagotti. Fino a questo punto vi hanno chiamato capitano Teach, ma adesso mi sembra che diventerete capitano Learn (14).


Questa fu la nostra ultima parola a bordo della "Sarah". Noi quattro, con i nostri quattro fagotti, ci calammo pian piano in una imbarcazione con la quale abbandonammo la nave in un silenzio di tomba, rotto soltanto da qualche mugolio di ubriaco. Sulle acque la nebbia ci arrivava al petto: cosicché Dutton (quello, cioè, che conosceva il sentiero della palude) doveva dirigere, stando in piedi, la nostra voga; ma quest'inconveniente, spingendoci a vogare pian piano, favorì la nostra salvezza. C'eravamo di poco allontanati dalla nave, quando il cielo cominciò a schiarire e gli uccelli si misero a svolazzare sull'acqua. Di colpo Dutton si accasciò, bisbigliando che tacessimo, pena la vita, e che stessimo in ascolto. Sentimmo così, da un lato, un leggerissimo cigolìo di remi e poi ancora, un po' oltre, un cigolìo di remi dall'altro lato. Era evidente che la mattina prima ci avevano avvistati; ed ecco le imbarcazioni della nave di crociera a sbarrarci il passo; ed eccoci, senza difesa, proprio in mezzo ad esse.


Di certo non ci furono mai miseri mortali in una situazione peggiore; e, mentre stavamo lì, curvi sugli scalmi a pregare Iddio che la nebbia continuasse, il sudore mi grondava dalla fronte. Di lì a poco si sentì un'imbarcazione così vicina che avremmo potuto buttarvi dentro un biscotto. - Piano, gente, - bisbigliava un ufficiale; ed io mi feci meraviglia che non sentissero i tonfi del mio cuore.


- Non curiamoci più del sentiero nella palude, - dice Ballantrae; - ci conviene rifugiarci in un posto qualunque; voghiamo diritto verso la sponda più vicina.


Così facemmo, con la più ansiosa cautela, vogando a piccolissime palate come meglio potevamo, senza fare forza sui remi con il peso del corpo, e governando a caso nella nebbia, che (d'altra parte) era l'unica nostra salvezza. Ma ci diresse il Cielo: arrivammo in secco tra una folta boscaglia, saltammo a terra con il nostro tesoro, e, poiché la foschia cominciava a diradarsi e non c'era altro mezzo di nascondere l'imbarcazione, l'affondammo facendola abboccare (15).


C'eravamo appena messi al coperto che il sole spuntò e contemporaneamente un gran vocìo di marinai proruppe nel mezzo del bacino, facendoci capire che la "Sarah" veniva abbordata. Come in seguito seppi, l'ufficiale che la catturò ne ebbe un grande onore e, in verità, l'accostamento fu lodevolmente condotto; però, credo che, una volta a bordo, la cattura gli sia stata facile (16).


Stavo ancora benedicendo tutti i santi per avermi tratto in salvo, quando mi accorsi che eravamo in difficoltà di altra natura. Ci trovammo ad essere sbarcati, alla ventura, in una palude vasta e infida e il modo di raggiungere il sentiero era una faccenda piena d'incertezze, di fatica e di pericolo. Dutton, anzi, era del parere che convenisse aspettare la partenza della nave e ripescare l'imbarcazione, ogni attesa sembrando più saggia dell'avanzare alla cieca fra quegli acquitrini. Di conseguenza, uno di noi ritornò in riva al bacino e (spiando tra i cespugli) vide che la nebbia era quasi tutta svanita e la bandiera inglese sventolava sulla "Sarah" ma non c'era nessun segno che la nave facesse preparativi di partenza. La nostra situazione, quindi, diventava ancor più precaria. La palude non era un posto adatto per trattenervisi; nella nostra cupidigia di portare via il tesoro avevamo preso con noi solo poche provviste; era, per di più, oltremodo desiderabile che ci allontanassimo da quei dintorni ed entrassimo in territori colonizzati (17) prima che si diffondesse la notizia della cattura; e a fronte di tutte queste considerazioni si contrapponeva solo il pericolo di passare dall'altra parte. Non sembri strano che noi scegliessimo il partito dell'azione.


Il sole già scottava, quando c'incamminammo per attraversare la palude, o, piuttosto, per rintracciare il sentiero con l'aiuto della bussola. Dutton teneva la bussola, e l'uno o l'altro di noi tre portava la parte del tesoro appartenente a lui. Vi posso garantire che Dutton teneva ben d'occhio la sua retroguardia, poiché quanto ci aveva affidato gli era caro più della sua anima. La boscaglia era intricata come una sterpaia; il terreno era insidioso così che spesso vi affondavamo in modo terrificante o eravamo costretti a girare largo; per di più il caldo era asfissiante; l'aria diventava sempre più afosa e gli insetti si addensavano in tali miriadi che ognuno di noi camminava come sotto una nube. Si è spesso notato come i gentiluomini di razza reggano alla fatica meglio che non le persone del volgo; di modo che, se gli ufficiali a piedi devono marciare nella polvere accanto ai loro soldati, li fanno sfigurare in quanto a resistenza.


Ciò ben si vide anche nel caso del quale parlo. C'eravamo, da un lato, Ballantrae e io, gentiluomini di nobilissima stirpe, e, dall'altro, Grady, semplice marinaio e uomo di quasi gigantesca robustezza. Dutton è fuori di discussione, poiché devo confessare che si comportò bene quanto noi (18). Ma quanto a Grady, cominciò ben presto a lamentarsi della propria sorte, indugiava alla retroguardia, rifiutò di portare il pacco di Dutton quando venne il suo turno, reclamava continuamente rum (di cui avevamo scarsissima riserva), e finì addirittura con il minacciarci alle spalle, con la pistola spianata, affinché gli concedessimo di riposarsi. Ballantrae, credo, lo avrebbe affrontato, facendola finita; ma io lo convinsi del contrario, così che facemmo una sosta e ci rifocillammo. Poco giovamento sembrò trovarne Grady, poiché non tardò a restare di nuovo distaccato in coda, gemendo e deplorando il proprio destino; e, alla fine, per sbadataggine, non avendo seguito debitamente le nostre orme, mise il piede in fallo in una pozza dove il pantano era quasi tutta acqua, lanciò urla tremende, e, prima che potessimo accorrere in suo aiuto, affondò con il proprio bottino. La sua fine miseranda, e, soprattutto, gli urli che lanciò ci fecero raccapriccio; peraltro, tutto sommato, quella sciagura fu per noi una circostanza fortunata e una causa di salvezza, poiché essa spinse Dutton ad arrampicarsi su un albero, dal quale poté scorgere e mostrare a me, salito dietro di lui, una prominenza del macchione, che era un punto di riferimento per rintracciare il sentiero. Poi, a quanto devo supporre, egli avanzò con minore precauzione; poiché ben presto lo vedemmo affondare un po', tirare su il piede e affondare di nuovo: e così per due volte. Quindi girò verso di noi la faccia impallidita.


- Datemi una mano, - esclamò. - Sono in un brutto punto.


- Ciò non mi riguarda, - dice Ballantrae, senza muoversi.


Dutton prorompe nelle più violente bestemmie, affondando, intanto, un po' di più, tanto che il fango gli sale fin su alla cintola. - Aiutatemi, - urla, strappandosi una pistola dalla cintola,- o morirete e sarete maledetti.


- Là, là, - fa Ballantrae, - ho detto per scherzo. Vengo. - E mette giù il suo pacchetto con quello di Dutton, che allora era in mano sua.


- Non vi avventurate ad avvicinarvi se non vedete che sia necessario, - dice a me, e si approssima da solo al punto dove l'uomo è conficcato nel pantano. Questi si era calmato, sebbene puntasse ancora la pistola e mostrasse in viso i segni di un terrore da far pietà.


- Per amor di Dio, - dice, - occhio a dove mettete i piedi.


Ballantrae gli era ormai addosso. - State fermo, - ordinò e sembrò riflettere; e poi: - Porgete tutt'e due le mani!

Dutton posò la pistola, e quella subito sparì nel suolo limaccioso.


Lanciando una bestemmia, l'uomo si chinò per recuperarla, e, intanto, Ballantrae, di slancio, lo pugnalò fra le spalle. Lo sciagurato alzò in alto le braccia, non so se per lo spasimo, o per difendersi; e, un momento dopo, cadde bocconi nella melma.


Ballantrae era già dentro fino alle caviglie; ma si disimpigliò, e tornò da me, che ero rimasto inchiodato al mio posto con le ginocchia che mi sbattevano per il terrore. - Che il diavolo vi porti, Francis!

- mi dice. - Sembra che, tutto sommato, abbiate un cuore di pecora.


Io ho fatto soltanto giustizia di un pirata. Ed eccoci sbarazzati del tutto della "Sarah"! Chi potrà dire, adesso, che abbiamo avuto mano in qualcosa d'irregolare?

Lo assicurai che mi giudicava male; ma il mio senso di umanità era così turbato dallo spettacolo atroce al quale avevo assistito, che quasi mi mancava il fiato per rispondere.


- Orsù, - mi incitò lui, - dovete essere più deciso. Costui aveva smesso di esserci indispensabile dal momento in cui ci indicò il punto dove passa il sentiero, e non vorrete negare che sarebbe stato da stolto lasciarmi sfuggire un'occasione simile.


Non potevo fare a meno di riconoscere che, in teoria, aveva ragione; ma nemmeno potei trattenermi dal versare lacrime di cui nessun uomo valoroso avrebbe potuto vergognarsi; e non fui capace di procedere, se non dopo aver preso un sorso di rum. Ripeto che sono ben lungi dal vergognarmi per la mia generosa emozione (la pietà è onorevole nel guerriero); pure non potrei del tutto censurare Ballantrae, il cui atto violento ci portò fortuna, poiché riuscimmo a trovare il sentiero senza ulteriori disavventure, e quella sera stessa, verso il tramonto, arrivammo al limite della palude.


Eravamo troppo stanchi per andare oltre: ci coricammo su uno spiazzo di sabbia asciutta, ancora calda del sole diurno, vicino a un bosco di pini e sprofondammo subito in un sonno pesante.


Ci svegliammo di buon'ora, la mattina dopo, e, di umore tetro, attaccammo un discorso che per poco non si concluse in una zuffa.


Gettati su una costa delle province meridionali, a mille miglia da qualsiasi stabilimento francese, un viaggio spaventoso e mille pericoli stavano davanti a noi e certo, se mai ci fu bisogno di amicizia, fu in quell'ora. Devo ritenere che Ballantrae avesse alquanto perso il senso del bel garbo, proprio così, né l'idea ha niente di strano, con tutto il tempo che eravamo rimasti a bazzicare con lupi di mare; da parte mia, il modo in cui mi rimbeccò era villano, qualsiasi gentiluomo si sarebbe risentito delle sue maniere.


Andò che, avendogli io detto come giudicavo la sua condotta del giorno prima, egli si allontanò un poco, con me alle calcagna, che lo rimproveravo, finché non mi fermò con un gesto della mano.


- Frank, - mi fa, - lo sapete che cosa abbiamo giurato, ma non si è ancora inventato giuramento che mi indurrebbe a ingoiare simili espressioni, se non vi portassi un affetto sincero. Di questo non potete dubitare, ve ne ho dato le prove. Dutton dovevo per forza prenderlo con me, perché conosceva il passaggio, e Grady perché senza di lui Dutton non si sarebbe mosso; ma che bisogno c'era di portare anche voi? Costituite per me un perpetuo pericolo, con la vostra maledetta parlata irlandese. Di giusto, dovreste a quest'ora essere ai ferri sulla nave di crociera. E vi mettete a litigare con me come un bambino, per un'inezia!

Considero questo uno dei discorsi più villani che si siano mai fatti e davvero, ancora oggi, stento a conciliarlo con la mia idea di un gentiluomo che era mio amico. Ribattei rinfacciandogli l'accento scozzese, che, a dire il vero, era meno forte in lui che in altri, ma sempre abbastanza da risultare barbarico e sgradevole, e la faccenda sarebbe andata molto lontano, se non si fosse prodotto un preoccupante intervento.


Ci eravamo un po' inoltrati sulla sabbia. Il posto dove avevamo dormito, e dove stavano i nostri pacchi aperti, con l'oro sparpagliato alla luce del giorno, era tra noi e la pineta: fuori di quest'ultima, doveva essere sbucato l'intruso. Era un campagnolo alto e vigoroso, portava una grande ascia sulla spalla, e guardava, a bocca aperta, ora il tesoro, che giaceva proprio ai suoi piedi, ora noi litiganti che avevamo già sfoderato le armi. Non appena si vide osservato, se la diede a gambe e si rifugiò fra i pini.


Questa scena non era tale da lasciarci indifferenti, due uomini, con le armi alla mano e in veste da marinaio, sorpresi in zuffa presso un tesoro, a non molte miglia di distanza dal braccio di mare dove era stata catturata una nave corsara: c'era di che farci piombare addosso tutta la gente del paese. Non ci demmo neppure la briga di fare la pace: dimenticammo addirittura il motivo della nostra contesa, e riuniti in un batter d'occhio i nostri pacchetti, ci demmo alla fuga, correndo di buona lena. Ma il guaio fu che non sapevamo dove dirigerci, e più volte ritornammo sui nostri passi. Ballantrae aveva cercato di raccogliere tutte le informazioni possibili da Dutton, ma è difficile viaggiare per sentito dire; e da tutte le parti l'estuario, dilatato in un golfo vasto e frastagliato, ci costringeva a cambiare direzione di fronte a un nuovo braccio d'acqua.


Eravamo quasi usciti di senno, e già esausti dalla lunga corsa, quando, giungendo alla sommità di una duna, ci vedemmo di nuovo il cammino sbarrato da un'altra ramificazione della baia. Questa insenatura, però, diversamente dalle precedenti che ci avevano fermato, si apriva in una costa rocciosa, che scendeva così a picco in acqua profonda, da aver consentito a un piccolo bastimento di ormeggiarvisi di fianco; e l'equipaggio aveva sistemato un'asse fino alla riva. Là gli uomini avevano acceso un fuoco e sedevano per il pasto della sera. Quanto al bastimento, era uno di quelli che si costruiscono alle Bermude (18).


L'amore dell'oro e l'odio terribile che tutti portano ai pirati erano motivi potentissimi per incitare il paese intero alla nostra ricerca.


Inoltre, era ormai chiaro che noi ci trovavamo in una specie di penisola frastagliata, simile a una mano dalle dita aperte; e che il polso, cioè il varco alla terra ferma, da noi cercato invano fin dall'inizio, era ora, quasi certamente, ben guardato. Queste considerazioni ci indussero a un proposito più ardito. Ci coricammo fra i cespugli alla sommità della duna, e là, finché ci bastò l'animo, ci riposammo aspettandoci, di momento in momento, di sentire il rumore di una pattuglia in perlustrazione. Avendo poi ripreso un po' di fiato e ricomposto il nostro aspetto, scendemmo finalmente, con ostentata disinvoltura, verso il crocchio radunato vicino alla fiamma.


Esso era composto da un mercante e dai suoi negri (tutti, gente d'Albany, nella provincia di New York) che facevano ritorno in patria, dopo essere stati a fare carico nelle Indie. Non posso ricordare il nome del mercante. Costui ci stupì non poco, dicendoci di aver riparato in quella cala per terrore della "Sarah", poiché noi non avevamo idea che le nostre imprese fossero così famose. Appena l'uomo di Albany sentì che la nave corsara era stata catturata il giorno prima balzò in piedi, ci diede una tazza di liquore, in compenso della buona notizia, e mandò i suoi negri ad alzare le vele sul bastimento bermudiano. Da parte nostra, con il pretesto del cicchetto, cercammo di entrare in maggiore confidenza con lui, e finimmo con l'offrirci quali passeggeri. Egli guardò di sbieco i nostri abiti sporchi e le nostre pistole, poi rispose abbastanza urbanamente, di avere poco spazio perfino per se medesimo; e né preghiere, né offerte di denaro, che facemmo salire a un punto abbastanza elevato, servirono a rimuoverlo dal suo proposito.


- Capisco che voi pensate male di noi, - dice Ballantrae, - ma io, per mostrarvi quanto bene noi pensiamo di voi, vi dirò la verità.


Siamo giacobiti fuggiaschi, e c'è una taglia sulla nostra testa.


A questa confessione, l'uomo d'Albany sembrò commuoversi un po'. Ci fece molte domande circa la guerra di Scozia, e Ballantrae rispose pazientemente a tutte. Poi, con una volgare strizzatina d'occhio, il mercante ci disse:- Capisco che voi e il vostro principe Charlie avete trovato qualcosa di più di quanto avreste voluto.


- E' vero, perbacco, - dissi. - Ed ora, caro mio, gradirei che ci offriste un esempio analogo, dandoci, anche voi, qualcosa di più.


Dissi queste parole con quel piglio irlandese, che, per generale riconoscimento, ha in sé qualcosa di molto seducente. E' notevole prova delle simpatie godute dalla nostra nazione il fatto che questo modo di parlare riesce infallibile in una persona simpatica. Non posso dire quante volte mi sia capitato di vedere un soldato semplice sfuggire al cavalletto, o un mendicante ricevere una buona elemosina, grazie alla piacevolezza della parlata irlandese. Perciò, appena l'uomo di Albany rise della mia uscita, cominciai a sentirmi abbastanza tranquillo. Tuttavia, egli mise molte condizioni e, tra l'altro, ci tolse le armi, prima di permetterci di salire a bordo. La qual cosa fu il segnale di partenza; di modo che, un attimo dopo, scivolavamo fuori della cala, favoriti da una buona brezza e benedicendo Iddio per la nostra liberazione. Giunti vicino alla foce dell'estuario, passammo la nave di crociera e, poco dopo, la povera "Sarah" con il suo equipaggio di preda (20) (spettacoli questi da farci tremare). Essendo costretti, così, a ricordare la sorte dei nostri compagni, avemmo l'impressione di essere molto al sicuro sul bastimento bermudiano e di avere giocato, con somma fortuna, un colpo ardito. Ma a dire la verità, nello sfuggire l'aperta ostilità della nave da guerra affidandoci alla dubbia grazia del nostro mercante di Albany, non avevamo fatto altro che cambiare trappola, cadendo dalla padella nella brace e correndo dalla forca al ceppo.


Per varie circostanze, ci capitò invece di trovarci più al sicuro di quanto non avessimo osato sperare. La città di Albany, in quel tempo, aveva un intenso contrabbando attraverso il deserto con gli indiani e i francesi. Questa pratica, sommamente illecita, corrompeva il loro sentimento di lealtà nazionale, e, ponendoli in rapporto con il popolo più compito della terra, li rendeva duttili nelle loro simpatie.


Insomma come tutti i mercanti di frodo nel mondo, essi erano spie ed agenti pronti a servire qualsiasi fazione. Per di più, il nostro mercante era proprio un brav'uomo nonché molto ingordo; e (per nostra somma ventura) prese molto gusto a stare con noi. Prima che avessimo avvistato la città di New York, egli si era impegnato a trasportarci fino ad Albany con il suo veliero, e a metterci, quindi, sulla buona strada affinché potessimo varcare la frontiera e raggiungere i francesi. Per tutto questo fummo costretti ad accettare un alto prezzo; ma, così come agli accattoni non è dato di scegliere, ai profughi non è dato di contrattare.


Risalimmo, dunque, il fiume Hudson, che, mi piace dichiararlo, è un bellissimo corso d'acqua, e sbarcammo alle «Armi del Re», in Albany.


La città era gremita di milizie della regione, bramose di massacrare i francesi (21). C'era perfino il governatore Clinton, assai indaffarato e, a quel che potei sapere, quasi fuori di sé per la turbolenza dei suoi deputati. Gli indiani di entrambe le parti erano sul piede di guerra: li vedemmo passare a drappelli, spingendosi davanti i prigionieri e (cosa ancora più spaventosa) agitando per aria scalpi di uomini e di donne, per far preda dei quali erano pagati a tariffa. Vi assicuro che lo spettacolo non era affatto incoraggiante. D'altra parte, non saremmo potuti arrivare in periodo meno propizio ai nostri disegni; essendo capitati ad alloggiare nella locanda principale, ci trovavamo tremendamente in vista; il nostro uomo ci prendeva in giro con mille indugi e pareva sul punto di mandare a monte gli impegni presi; nient'altro che il pericolo sembrava circondare i poveri fuggitivi; e così, per qualche tempo, cercammo di stordire le nostre ansie in un irregolarissimo tenore di vita.


Ma anche quest'ultima circostanza si volse a nostro vantaggio; e una delle osservazioni che cadono appropriate riguardo alla nostra salvezza è che i nostri passi furono guidati fino all'ultimo dalla Provvidenza. Quale umiliazione per la dignità umana! La mia filosofia, il singolare genio di Ballantrae e il nostro valore, cosa in cui riconosco che eravamo pari, tutto questo sarebbe risultato insufficiente senza la Divina Grazia che benedisse i nostri sforzi. E quanto è vero che, come ci dice la Chiesa, le verità della fede sono, alla fine, applicabili ai più ovvi incidenti della vita quotidiana!

Appunto nel corso delle nostre baldorie facemmo la conoscenza di un animoso giovine, chiamato Chew. Era tra i più arditi mercanti indiani, molto pratico dei sentieri segreti attraverso le solitudini, bisognoso, dissoluto e, per nostra fortuna, piuttosto in rotta con la propria famiglia. Convincemmo costui a venirci in aiuto; egli provvide in segreto quanto serviva alla nostra fuga, e un bel giorno, senza dire nulla al nostro primo protettore, ce ne andammo alla chetichella dalla città di Albany per imbarcarci un po' più a monte, in una canoa.


Ci vorrebbe una penna più elegante della mia per descrivere adeguatamente le fatiche e i pericoli di quel viaggio. Il lettore può figurarsi da solo l'inospitale paese che dovemmo percorrere; le boscaglie, le sue paludi, le rupi scoscese, i suoi fiumi impetuosi e le sue enormi cascate. Dovevamo faticare tutto il giorno fra questi paesaggi selvaggi, ora vogando con la pagaia, ora trasportando a spalla la nostra canoa, e di notte dormivamo intorno a un falò circondati dall'ululato dei lupi e di altri feroci animali. Era nostra intenzione risalire alla sorgente dell'Hudson, fino alle vicinanze di Crown Point, dove i francesi si erano fortificati nei boschi prospicienti il lago Champlain. Ma compiere il tragitto per via diretta sarebbe stato troppo rischioso; perciò esso si svolse per un labirinto di fiumi, laghi e valichi, tale da farmi venire le vertigini al solo pensarvi. In tempi ordinari, queste vie erano del tutto deserte, ma ora che il paese era insorto, e che le tribù erano mobilitate, le pattuglie indiane in perlustrazione gremivano i boschi.


Non facevamo che imbatterci in drappelli armati, che sbucavano fuori quando meno ci pensavamo; e un giorno (non potrò mai dimenticarmene) fummo circondati a un tratto, verso l'alba, da cinque o sei di questi demoni dipinti, i quali brandivano accette, emettendo lugubri urla.


Essi, peraltro, passarono oltre senza darci molestia; dalla qual cosa si astennero, ugualmente, tutte le altre pattuglie che incontrammo, poiché Chew era ben conosciuto e sommamente stimato fra le diverse tribù. Per la verità, egli era un degno e prode giovane; ma non bisogna credere che, sia pure con il vantaggio della sua compagnia, quegli incontri fossero privi di pericolo. Era necessario, da parte nostra, dar segno di amicizia, mettendo mano alla provvista del rum, poiché davvero, comunque si travesta, il vero traffico dei mercanti indiani consiste nel tenere una bettola ambulante nelle foreste, e, non appena quei prodi avevano ottenuto la loro bottiglia di "scaura" (così essi chiamano quel volgarissimo liquore), ci conveniva ripartire di buon trotto, per mettere in salvo la nostra pelle. Una volta che avevano bevuto un po', addio ad ogni senso di decenza! Non pensavano più ad altro che a procurarsi altra "scaura", e ci sarebbe voluto poco a far venir loro in mente di darci la caccia. Nel qual caso, molto probabilmente, non avrei potuto mai scrivere queste memorie.


Eravamo arrivati al punto più critico del nostro percorso, trovandoci egualmente esposti a cadere nelle mani degli inglesi come in quelle dei francesi, quando ci accadde una terribile calamità. Chew improvvisamente si sentì male, con tutti i sintomi di un avvelenamento e, nel giro di poche ore, spirò nel fondo della canoa. Perdevamo così, contemporaneamente, guida, interprete, barcaiolo e passaporto, poiché egli era per noi tutte queste cose in una; e ci trovammo ridotti, di botto, alla più disperata e irrimediabile miseria. Chew, che andava molto orgoglioso del suo sapere, ci aveva tenuto frequenti discorsi sulla configurazione del paese; e Ballantrae, credo, lo aveva ascoltato. Ma, da parte mia, ho sempre trovato sommamente noiose le nozioni geografiche; e oltre al fatto di essere nel territorio degli indiani Adirondack, e non troppo lontani dalla nostra meta (solo che avessimo potuto trovare la via per arrivarvi), io nient'altro sapevo.


D'altra parte potei presto convincermi che c'era poco da far caso degli insegnamenti di Chew, perché Ballantrae, nonostante l'attenzione prestatavi, non ne aveva approfittato più di me. Egli sapeva di dover continuare a risalire un fiume; quindi raggiungerne un altro per via di terra, trasportando canoa e provviste, e discenderlo; poi, risalirne un terzo. Ma dovete considerare quanti corsi d'acqua sgorgano da ogni parte in un paese montuoso. E come un gentiluomo, perfettamente straniero in quella parte del mondo, potrebbe distinguere l'uno dall'altro? Né questa era la nostra sola difficoltà.


Noi eravamo novizi nel manovrare una canoa, le nostre forze quasi non bastavano per i trasporti; e così ci capitò varie volte di rimanere accasciati per mezze ore intere in muto sgomento. Per di più, non avendo noi più modo di parlare con gli indigeni, l'imbatterci in un solo indiano avrebbe potuto essere causa della nostra morte. Tutto sommato, pertanto, il fatto che Ballantrae si mostrasse di umore piuttosto tetro non è senza scusa. Era però intollerabile la sua abitudine di imputare il biasimo ad altri capaci quanto lui; né era facile sopportare il suo linguaggio. A dire il vero, egli aveva contratto, a bordo della nave corsara, la consuetudine di esprimersi in modo del tutto insolito fra gentiluomini; e ora, trovandosi egli in uno stato di concitazione febbrile, quella brutta abitudine era cresciuta in lui enormemente.


Il terzo giorno delle nostre peregrinazioni, mentre trasportavamo la canoa su per un passaggio roccioso, essa cadde, e si sfondò completamente. Si trattava del passaggio da un lago a un altro, entrambi abbastanza grandi; il sentiero, se così lo si può chiamare, sboccava alle due estremità sull'acqua; da tutti e due i lati di esso si addensavano selvagge boscaglie, e le rive dei laghi erano rese impraticabili dagli acquitrini; di modo che ci vedevamo condannati, non solo a proseguire senza barca e senza la maggior parte delle nostre provviste, ma anche ad avventurarci a un tratto in sterpaie impervie, abbandonando l'unica insicura guida che ci restava, e cioè il corso del fiume. Entrambi ci infilammo le pistole nella cintura, imbracciammo un'ascia, facemmo fagotto del nostro tesoro e di tutte le provviste che potevamo reggere sulla schiena; e abbandonato il resto dei nostri averi, perfino le spade che ci sarebbero state di grave impaccio nei boschi, ci mettemmo in cammino per questa miseranda avventura. Le fatiche di Ercole, così finemente descritte da Omero, erano inezie al confronto di quelle che dovemmo sobbarcarci. Alcune zone della foresta erano densissime fino al livello del suolo, cosicché dovevamo aprirci il varco passo passo, come vermi nel formaggio. In altri punti, essa era disseminata di botri profondi, e tutta infradiciata. Saltando su un grande tronco caduto, affondai fino al ginocchio in legno a schegge; cercai, nel cadere, di aggrapparmi a quello che sembrava un fusto massiccio, e quello mi si disfece tutto fra le mani, come carta bruciata. Incespicando, cadendo, sguazzando fino al ginocchio, aprendoci il varco a colpi d'ascia fra sterpi e frasche che minacciavano di cavarci gli occhi e ci strappavano i vestiti di dosso, penammo tutto il giorno, non riuscendo, forse, nemmeno a percorrere due miglia. E per di più, siccome riuscivamo raramente ad avere una vista del paese, ed eravamo continuamente deviati, nel tragitto, da ostacoli di ogni tipo, ci era impossibile formarci un'idea della direzione verso la quale ci muovevamo.


Un po' prima del tramonto del sole, in uno spiazzo solcato da un fiume e circondato da montagne desolate, Ballantrae buttò giù il suo fagotto. - Non voglio più andare avanti, - disse e mi ordinò di accendere il fuoco, maledicendo la mia nazione in termini che sarebbero stati disdicevoli anche sulla bocca di un facchino.


Gli dissi che si sforzasse di scordare la sua pratica di pirata, e di ricordare la sua nascita di gentiluomo.


- Siete matto? - esclamò. - Non mi seccate. - E poi, mostrando i pugni ai monti: - Pensare, - esclamò, - che dovrò lasciare le mie ossa in queste sciagurate solitudini. Volesse Iddio che fossi morto sul patibolo, da gentiluomo come sono! Disse così declamando come un attore; e poi si mise a mordersi i pugni, fissando gli occhi al suolo, per niente da cristiano.


Cominciai a provare un certo ribrezzo per quell'uomo; mi sembrava che, sia come soldato sia come gentiluomo, avrebbe dovuto affrontare la fine con maggiore filosofia. Di conseguenza, non gli diedi risposta.


Essendo calato, verso sera, un vento gelido, fui ben contento di accendere il fuoco per riscaldarmi. Lo sa Iddio che, in un posto così scoperto, e nel paese pieno di selvaggi, quell'atto rasentava la demenza. Ballantrae, per un pezzo, sembrò non osservarmi; ma di colpo, mentre abbrustolivo un po' di grano, alzò gli occhi.


- Avete mai avuto un fratello? - mi chiese.


- Per bontà di Dio, - risposi, - ne ho non meno di cinque.


- Io ne ho uno solo, - riprese lui, con voce strana; e subito dopo, - e me la pagherà, - aggiunse. E quando gli chiesi che colpa suo fratello avesse delle nostre miserie - Come?! esclamò, - lui ha preso il mio posto, porta il mio nome, corteggia la mia fidanzata; e io sono qui solo con un maledetto irlandese in questa solitudine spaventosa. Oh, sono stato un vero allocco! - esclamò.


Un simile sfogo, del tutto alieno dalla natura del mio amico, mi sbigottì, facendo sbollire il mio giusto risentimento. Certo una frase offensiva, per quanto vivace, sembra una cosa trascurabilissima in certi estremi! Ma a questo punto c'è da notare una stranezza.


Ballantrae aveva alluso una volta sola alla dama con la quale si era impegnato, e questo quando, giunta la nave in vista del porto di New York, egli mi aveva detto che se i suoi diritti valevano, ci avvicinavamo allora a terreni di sua pertinenza, poiché la signorina Graeme possedeva grandi proprietà nella regione. E un simile discorso, in quel momento era caduto a proposito; ma ora la giovane veniva ricordata una seconda volta; e conviene osservare che, proprio in quel mese (era il novembre del '47) e, CREDO PROPRIO NEL GIORNO IN CUI NOI CI TROVAVAMO TRA QUEI MONTI SELVAGGI, suo fratello e la signorina Graeme si sposarono. Io sono il meno superstizioso degli uomini; ma l'intervento del destino appare, in una simile coincidenza, troppo palese per non essere notato (22).


Il giorno dopo, e l'altro che seguì, passarono ancora in affanni; Ballantrae spesso decideva sul nostro percorso, tirando una moneta; e una volta che io protestai contro una simile puerilità, egli fece una bizzarra osservazione, da me mai dimenticata. - Non so esprimere meglio di così,- egli disse,- il mio disprezzo per l'umana ragione. - Credo che il terzo giorno fosse quello in cui trovammo il corpo di un cristiano scotennato, mutilato orrendamente e immerso in una pozza di sangue. Gli uccelli rapaci stridevano su di lui, fitti come sciami di mosche, e io non so descrivere la spaventosa impressione che ricevemmo da quella vista, è certo però che mi tolse ogni forza e ogni speranza di salvezza in questo mondo. Lo stesso giorno, e poco dopo, avanzavamo faticosamente in una parte dove la foresta era bruciata, quando Ballantrae, che era più avanti, si acquattò all'improvviso, dietro un tronco abbattuto. Lo raggiunsi nel suo nascondiglio, donde potevamo guardare in giro senza essere visti; e, in fondo alla valle vicina, scorgemmo un numeroso drappello di selvaggi, che marciavano in una direzione che incrociava il nostro percorso. Erano circa un battaglione, tutti nudi fino alla cintola, anneriti di sugna e di fuliggine e dipinti di biacca e di vermiglio, secondo il barbaro costume indigeno. Andavano l'uno dietro l'altro come una fila di oche, trottando piuttosto speditamente; cosicché, in pochissimo tempo, ci sfilarono accanto e scomparvero fra i boschi.


Tuttavia, mi sembra che lo spasimo d'incertezza e di perplessità che soffrimmo in quei pochi minuti fosse maggiore di quello che abitualmente un uomo ha da subire nell'intera sua vita. Se quelli stessero con i francesi o con gli inglesi, se andassero in cerca di gente da scotennare o da far prigioniera, se a noi convenisse farci avanti, affidandoci al caso, o stare quieti e continuare la straziante fatica del nostro viaggio, erano problemi, questi, che avrebbero confuso lo stesso Aristotele. Ballantrae rivolse verso di me il viso contratto, dove le labbra si erano ritratte dai denti, come nei moribondi di inedia, non disse una parola, ma il suo aspetto stesso era una specie di terribile domanda.


- Potrebbero essere di parte inglese, - bisbigliai, - e, pensate un po'! il meglio che, in quel caso, potremmo sperare, sarebbe di ricominciare tutto daccapo.


- Lo so, lo so, - rispose. - Pure bisogna rischiare una buona volta.


- E di botto tirò fuori la sua moneta, la scosse tenendola chiusa tra le due mani, la guardò, poi si gettò a terra con la faccia nella polvere.


"Aggiunta del signor Mackellar". - Interrompo a questo punto il racconto del cavaliere, perché i due uomini litigarono e si separarono quel giorno stesso; e il resoconto che il cavaliere dà dell'alterco mi sembra (devo confessarlo) del tutto incompatibile con il carattere di entrambi. Da allora in poi, essi peregrinarono ognuno per conto proprio, sopportando patimenti straordinari, finché, prima l'uno poi l'altro, furono raccolti da un drappello di soldati del forte di Saint Frederick. Solo due cose sono da notare. La prima (e la più importante dal mio punto di vista) è che il Master, nel corso delle proprie traversie, seppellì il suo tesoro in un posto mai più scoperto, ma di cui egli tracciò con il proprio sangue un disegno sulla fodera del suo cappello. La seconda è che, capitando al forte così sprovvisto di denaro, egli fu accolto come un fratello dal cavaliere; che, poi, gli pagò le spese del viaggio alla volta della Francia. Il signor Burke, a questo punto, è indotto dalla propria semplicità di carattere a formulare lodi sperticate del Master. A un occhio più esperto delle cose del mondo sembrerebbe, invece, che solo il cavaliere fosse degno di lode. Mi è tanto più gradito rilevare questo tratto davvero nobile del mio stimato corrispondente, in quanto temo di averlo ferito nelle mie precedenti considerazioni. Mi sono astenuto da qualsiasi commento sulle sue idee straordinarie e (dal mio punto di vista) immorali, perché lo conosco geloso della propria reputazione. Ma il suo resoconto dell'alterco è, però, tale che io non posso riprodurlo; poiché ho conosciuto bene il Master e so che non è possibile immaginare un uomo suscettibile alla paura meno di lui. Mi dispiace che il cavaliere abbia preso un abbaglio su questo punto, tanto più che il tenore del suo racconto (eccezion fatta per qualche fioritura) mi sembra estremamente sincero.




NOTE:


1) "Nota del signor Mackellar". Non potrebbe essere Breck Stewart più tardi noto come uccisore di Appin? Il cavaliere a volte non è molto forte in fatto di nomi. (Nota dell'Autore).


2) Insenatura profonda tra le terre, sulle coste scozzesi.


3) Il cavaliere è cattolico, tutti questi episodi hanno per sfondo il contrasto religioso che caratterizza la storia inglese dal Seicento in poi.


4) Estremo supplizio praticato dai pirati: il condannato è costretto a percorrere ad occhi bendati un'asse, messa in bilico sulla murata, finché l'asse stessa si capovolge ed egli cade nell'acqua.


5) Pat da Patrik (Patrizio): soprannome dato negli Stati Uniti agli irlandesi, i quali venerano in San Patrizio il loro protettore.


6) Nome dato dai pirati alla loro bandiera nera con un teschio bianco nel centro.


7) La nave da guerra («nave del re») ha cambiato («sulle nuove mure») l'orientamento delle vele, che ora prendono il vento e si gonfiano per fare la bordata nella nuova direzione.


8) Venti intermittenti e leggerissimi, che favoriscono il bastimento pirata che è più leggero rispetto all'altra nave.


9) L'estremità, la cima di un pennone, cioè di una di quelle travi, sospese orizzontalmente tra gli alberi, e che portano le vele quadre.


10) Capo riconosciuto dai marinai, che ha autorità su tutti gli uomini dell'equipaggio.


11) Essendo questo memoriale attribuito a un irlandese passato al servizio della Francia, i disordini cui si fa qui riferimento sono probabilmente da identificare con i moti di piazza francesi intorno al 1787.


12) La carena (cioè la parte immersa dello scafo, detta anche «opera viva») deve essere periodicamente ripulita dalle incrostazioni che vi si formano per la lunga permanenza in acqua. Per questa operazione si portavano le navi in un posto adatto, alandole in secco e abbattendole prima su di un fianco e poi sull'altro.


13) Le parti arrotondate (guance) della prora.


14) "Teach (to teach)", insegnare; "Learn (to learn)", imparare.


15) Inclinandola su un fianco (fino a farvi entrare l'acqua).


16) "Nota del signor Mackellar". Non si deve confondere questo Teach della "Sarah" con il famoso Barbanera. Le date e i fatti non corrispondono in nessun modo. E' possibile che questo secondo Teach abbia preso il nome dal primo, imitandone anche gli atteggiamenti in quello che avevano di più eccessivo. Persino il Master di Ballantrae potrebbe avere degli ammiratori. (Nota dell'Autore.) 1

17) Ricordiamo che la «colonizzazione» inglese, sulla costa atlantica dell'America settentrionale, cominciò attivamente tra il 1620 e il '30, ad opera di gruppi privati (in cui ebbero spesso larga parte certe comunità perseguitate in Inghilterra per motivi d'intolleranza politico-religiosa), e in base a «concessioni» e statuti del re d'Inghilterra. Dato il numero relativamente ristretto dei primi coloni, i territori occupati e colonizzati, «stabilimenti», si estendevano, materialmente, su zone limitate, tra vaste distese selvagge. Intorno al 1747 (epoca in si svolgono questi episodi del romanzo), in America esistevano già tredici colonie inglesi.


18) "Nota del signor Mackellar". Non è qui l'intera spiegazione?

Dal momento che Dutton, proprio come un ufficiale, era stimolato da un certo senso di responsabilità. (Nota dell'Autore).


19) Bastimenti piccoli e veloci, chiamati «bermudiani» o «golette alla Bermuda», che, come quelli costruiti nella baia di Chesapeake, vennero molto in uso nel Diciottesimo secolo, per le necessità di traffici legali e soprattutto illegali. La vela Bermuda è simile all'odierna vela Marconi: una grande vela di taglio triangolare.


20) L'equipaggio messo a bordo della nave catturata per condurla in porto.


21) Dal 1744 al 1748, durante il regno di Giorgio Secondo d'Inghilterra e in coincidenza con la guerra di successione austriaca, anche in America si svolsero conflitti con incursioni inglesi contro gli stabilimenti francesi nel Canada.


22) "Nota del signor Mackellar". Un grosso sbaglio: a quel tempo non si parlava ancora delle nozze: vedasi più sopra nella mia narrazione. (Nota dell'Autore).




CAPITOLO QUARTO


Persecuzioni sopportate dal signor Henry


Si può immaginare su quale parte delle proprie avventure il colonnello insistesse di più. Anzi, c'è da credere che, se ci avesse raccontato tutto, la faccenda avrebbe avuto tutt'altro corso; invece, la nave dei pirati fu appena sfiorata. Né io potei sentire fino in fondo ciò che il colonnello acconsentì di rivelare, poiché il signor Henry, rimasto immerso per un bel po' in una cupa meditazione, si alzò e quindi (ricordando al colonnello che c'erano affari urgenti da sbrigare) mi invitò a seguirlo subito nell'ufficio.


Una volta là, non cercò oltre di nascondere il proprio turbamento, ma si mise a passeggiare su e giù per la stanza, con il viso stravolto e passandosi ripetutamente la mano sulla fronte.


- Ci aspetta un bel lavoro, - disse alla fine; ma si interruppe, dichiarò che dovevamo bere un po' di vino e mandò a prenderne un "magnum" del migliore. Questo era del tutto contrario alle sue abitudini; e, cosa ancora più strana, quando il vino fu portato, egli trangugiò un bicchiere dopo l'altro, come un uomo incurante del decoro. Ma il bere lo rinvigorì.


- Non vi stupirete affatto, Mackellar, - mi fa, - sentendomi dire che mio fratello, della cui salvezza ci rallegriamo tutti, ha bisogno di denaro.


Gli risposi che ne avevo avuto il sospetto; e aggiunsi che il momento non era propizio, perché eravamo in cattive acque.


- No davvero, - rispose. - Non ci sono forse i denari per togliere l'ipoteca?

Gli ricordai che appartenevano alla signora.


- Me la sbrigherò io con mia moglie, - esclamò d'impeto.


- Però, - aggiunsi, - bisognerà pur pensare all'ipoteca.


- Lo so, - disse; - appunto per questo volevo consultarvi.


Gli dimostrai quanto era inopportuno stornare allora quei denari dalla loro destinazione; e come, facendo così, avremmo perduto ogni profitto dei passati risparmi, e immersa di nuovo la tenuta nelle difficoltà.


Mi feci ardito al punto da esortarlo a non cedere; e siccome lui continuava a oppormisi con un cenno negativo della testa e con un amaro sorriso di ostinazione, diventai, per troppo zelo, irriverente e incivile. - Questo è il colmo della pazzia, - esclamai, - e, per conto mio, non intendo assecondarlo.


- Parlate come se lo facessi per mio piacere, - mi fa lui. Ma io ho una figliola adesso; per di più sono amante dell'ordine; e, se devo dire la pura verità, Mackellar, avevo cominciato ad essere orgoglioso delle tenute. - Si rabbuiò per un attimo. Ma che volete farci?- continuò. - Niente è mio, niente. La notizia di oggi ha scalzato le basi della mia vita. Non mi resta che il nome e l'ombra delle cose:

l'ombra soltanto; non c'è sostanza concreta nei miei diritti.


- Risulteranno abbastanza concreti davanti a un tribunale, dissi io.


Lui mi guardò con occhio acceso, e sembrò reprimere la parola che aveva sulle labbra; io mi pentii di quanto avevo detto, perché mi convinsi che, nel parlare della proprietà, egli continuava ad avere in mente il suo matrimonio. Ed ecco a un tratto, tira la lettera fuori della tasca, dove si era tutta spiegazzata, la stende d'impeto sulla tavola, e con voce tremante mi legge quanto segue: - «Mio caro Giacobbe». Capite come inizia? - esclamò. - «Mio caro Giacobbe, ti ho chiamato così una volta, come ben ricorderai, e ora ce l'hai fatta, mandandomi a gambe levate». Che ne dite Mackellar di queste parole da parte del mio unico fratello? Chiamo Dio a testimonio del bene che gli ho voluto; ho sempre tenuto dalla sua; ed ecco quello che mi scrive!

Ma io non ingoierò quest'accusa, - e passeggiava su e giù; - valgo quanto lui; valgo più di lui, me ne appello a Dio! Non posso dargli tutta la somma enorme che pretende; lui sa che le proprietà non sono da tanto; ma gli darò tutto quello che ho, e sarà più di quanto spera.


Sopporto da troppo tempo. Guardate che dice, più giù, leggete da voi:

«So che sei un individuo spilorcio». Un individuo spilorcio! Io spilorcio? E' vero, Mackellar? Lo credete voi? - Davvero a questo punto ebbi l'idea che volesse mettermi le mani addosso. Oh, lo credete tutti! Ebbene, vedrete tutti, e lui vedrà, e vedrà Iddio. A costo di rovinare la proprietà e di andare scalzo, sazierò questa sanguisuga.


Chieda pure tutto, tutto, e l'avrà! E' tutto suo di diritto. - Ah! - esclamò,- ed io prevedevo questo, e peggio, quando non volle che partissi. - Si versò un altro bicchiere di vino, e stava per portarlo alle labbra, quando mi arrischiai a mettergli un dito sul braccio.


Allora rimase perplesso.- Avete ragione - disse poi, e gettò bicchiere e tutto nel camino. - Orsù, contiamo i denari.


Non osai più contraddirlo; ero molto turbato davvero alla vista di un simile scompiglio in un uomo di solito così padrone di sé. Ci sedemmo tutti e due, contammo i denari e ne facemmo dei rotoletti, affinché fossero di minore impaccio al colonnello Burke, che doveva esserne latore. Fatto questo, il signor Henry tornò nella sala, dove passò la notte con l'ospite e con mylord.


Un po' prima dell'alba mi chiamarono, e andai ad accompagnare il colonnello. Costui, uomo parecchio pieno di boria, non si sarebbe accontentato di una scorta più umile, e non fu possibile procurargliene una più importante, perché il signor Henry non poteva farsi vedere con i contrabbandieri. Tirava un vento pungente, e, mentre scendevamo attraverso il lungo tratto di boschetti, il colonnello Burke stava tutto imbacuccato nel mantello.


- Signore - gli dissi, - la somma richiesta dal vostro amico è assai forte. Devo credere che si trovi in gravi difficoltà.


- Dobbiamo crederlo,- mi rispose lui, e il suo tono mi sembrò piuttosto secco; ma, forse, sembrava così per via del mantello che gli fasciava la bocca.


- Io non sono che un servitore della famiglia, - aggiunsi. Potete parlar chiaro con me. Ho idea che non possiamo aspettarci niente di buono da lui.


- Caro mio, - disse il colonnello, - Ballantrae è un gentiluomo dotato delle più eminenti attitudini naturali, e una persona che ammiro tanto da rispettare perfino la terra che lui calpesta. - E qui fece una pausa, come se avesse difficoltà nel continuare.


- Nonostante ciò,- insistetti,- ho idea che non possiamo aspettarci da lui niente di buono.


- Voi siete libero di pensare ciò che vi piace, caro mio, - mi fa il colonnello.


Intanto, eravamo arrivati alla sponda dell'insenatura, dove c'era l'imbarcazione ad attenderlo.


- Ebbene, - disse lui, - vi sono obbligatissimo per tutte le vostre gentilezze, signor Qualunque-sia-il-vostro-nome; e, tanto per dire un'ultima parola, e poiché mostrate un interessamento così intelligente, vi renderò noto un piccolo particolare che forse può giovare alla famiglia. Ritengo che il mio amico abbia omesso di scrivere che il Fondo Scozzese di Soccorso gli passa una pensione superiore a quella di ogni altro profugo a Parigi; ed è una vergogna, signore, - esclamò il colonnello, accalorandosi, - perché per me non c'è nemmeno il becco d'un quattrino.


Mi guardò, tirandosi il cappello sulle ventitré, come se avessi colpa io di quella parzialità; poi, ripresa la sua aria solita di spavalda cortesia, mi strinse la mano e se ne andò fino all'imbarcazione, stringendo il denaro sotto il braccio e fischiettando la patetica melodia di «Shule Aroon». Sentii allora per la prima volta quella ballata; dovevo sentirla di nuovo (musica e parole) in circostanze che racconterò in seguito. Ma non posso dimenticare come quella strofetta continuò a ronzarmi nelle orecchie, anche dopo che i contrabbandieri gli ordinarono - Zitto, in nome del demonio - e al canto si sostituì il cigolio dei remi, e io rimasi ad osservare l'alba che si propagava sul mare, l'imbarcazione che si allontanava e il trabaccolo che l'attendeva, con la vela di trinchetto a collo (1).


Il baratro aperto nella nostra cassa era un guaio grosso e tra le altre conseguenze ebbe questa: che io dovetti farmi la cavalcata fino a Edimburgo e là contrarre, a condizioni molto svantaggiose, un nuovo prestito per tenere a galla il primo, così che per poco meno di tre settimane, fui assente dalla dimora di Durrisdeer.


Quello che successe nel frattempo, non c'era nessuno per venirmelo a raccontare, però notai un grande cambiamento nel contegno della signora: sospesi gli abituali colloqui con mylord, visibile una cert'aria come di scusa nei confronti del marito al quale mi sembrò che si rivolgesse più spesso; e adesso, tra l'altro, lei viveva tutta per la signorina Katharine. Si crederà che la variazione dovesse riuscire gradita al signor Henry ; nemmeno per sogno! Al contrario, ogni segno di cambiamento era per lui come una pugnalata, poiché vi leggeva la confessione di vagabondaggi della fantasia. La signora aveva potuto inorgoglirsi di un costante affetto per il suo primo fidanzato, finché questi era creduto morto; ma da quando avevamo saputo che egli era in vita, questo affetto era diventato per lei causa di un rossore, che formava il detestabile motivo del suo nuovo modo di comportarsi. Non sta a me nascondere nessuna parte di verità, pertanto, dirò qui, senza indugio che quello mi sembrò il periodo in cui il signor Henry diede peggiore prova di sé. In pubblico si dominava, certo, ma un'intima inquietudine traspariva in lui. Con me, che non gli davo troppa soggezione, era spesso grossolanamente ingiusto, e gli capitava di trattare con asprezza perfino sua moglie:

sia quando lei lo irritava con gentilezze non richieste, sia senza un motivo chiaro, per spontaneo sfogo di un malumore ormai abituale.


Quando perdeva così tanto il dominio di sé (cosa discorde, in verità, dai loro rapporti coniugali), tutta la famiglia ne era turbata, e marito e moglie si guardavano l'un l'altro con una specie di penoso stupore.


E, mentre egli faceva torto a se stesso per questa mancanza di pazienza, danneggiava anche la sua condizione con un silenzio che non saprei dire se fosse originato da generosità o da orgoglio. I contrabbandieri tornarono molte volte sbarcando messi del Master, e nessuno di costoro si allontanò mai a mani vuote. Non mi arrischiai a discutere con il signor Henry; egli dava, con una specie di nobile furore, tutto quello gli veniva richiesto. Forse, appunto perché sapeva di essere per natura incline alla parsimonia, trovava un segreto piacere nella prodigalità con cui soddisfaceva le richieste del fratello. Forse la falsità della sua posizione avrebbe incitato a un simile eccesso anche un uomo meno orgoglioso. Ma l'andamento domestico ne risentì in vari modi: le spese quotidiane furono ridotte di giorno in giorno, nelle scuderie non rimasero che quattro ronzini, alcuni servi furono licenziati sollevando un vero scandalo nel paese e riaccendendo le vecchie antipatie contro il signor Henry; e, alla fine, si dovette sospendere l'annuale soggiorno a Edimburgo.


Questo avvenne nel 1756. Bisogna sapere che la nostra sanguisuga aveva succhiato il sangue di Durrisdeer per sette anni senza che il mio padrone protestasse. Il Master, con diabolica malizia, rivolgeva le sue richieste solo al signor Henry, senza mai farne parola a mylord.


La famiglia aveva notato con stupore le nostre economie. Deplorava, non ne dubito, che il mio padrone fosse diventato così taccagno, poiché questo difetto, spregevole sempre, è addirittura odioso nei giovani, e il signor Henry non aveva ancora trent'anni. Però egli aveva amministrato i beni di Durrisdeer quasi fin da ragazzo, e i suoi congiunti sopportarono tutti i cambiamenti in un silenzio altero e ostinato come quello di lui finché non saltò fuori, come una pietra angolare, la faccenda della gita a Edimburgo.


A quel tempo, credo, il mio padrone e sua moglie stavano raramente insieme, eccetto che a tavola. Immediatamente dopo la venuta del colonnello Burke, la signora aveva cominciato a tentare chiaramente una riconciliazione, mettendosi a fare al marito una specie di timida corte, in assoluto contrasto con il suo antico atteggiamento di noncuranza e di alterigia. Non ebbi mai il coraggio di biasimare il signor Henry per avere evitato questi approcci; e neppure di censurare la moglie, quando si mostrava punta nel vivo dalla scontrosità di lui.


Ma il risultato finale fu un allontanamento completo: cosicché (come ho detto) marito e moglie si parlavano raramente se non a tavola.


Persino l'argomento della gita a Edimburgo fu discusso per la prima volta a tavola, e si diede il caso che la signora, quel giorno, fosse sofferente e stizzosa. Non appena capì l'intenzione del marito, si fece rossa in viso.


- Questo poi, - esclamò, - è troppo! Dio sa quanto godo nella vita, e mi si nega il mio unico svago. E' tempo di mettere un freno a queste inclinazioni vergognose: siamo già abbastanza segnati a dito in paese.


Non intendo sopportare questa nuova pazzia.


- Non posso permettermi certi lussi, - dice il signor Henry.


- Certi lussi? - esclamò lei. - Vergogna! Ma io potrò pure spendere il mio denaro.


- Il vostro denaro, signora, appartiene a me per diritto maritale, - egli ringhiò e uscì, senz'altro, dalla sala.


Il vecchio lord alzò le braccia al cielo e, ritirandosi con la nuora vicino al fuoco, mi fece capire che dovevo andarmene. Trovai il signor Henry nel suo solito rifugio, l'ufficio, appollaiato sul bordo del tavolo e occupato a conficcarvi il temperino con un viso che non prometteva niente di buono.


- Signor Henry, - gli dissi, - siete molto ingiusto con voi stesso, ed è ora di finirla.


- Oh! - esclamò lui, - nessuno qui si meraviglia di quanto succede.


Sembra una cosa ovvia, perché io ho delle inclinazioni vergognose, perché sono un individuo spilorcio, - e affondò il temperino fino al manico. - Ma io farò vedere a quello là, esclamò con una bestemmia, - gli farò vedere chi è il più generoso!

- Qui non si tratta più di generosità, - dissi; - qui si tratta di orgoglio.


- Credete che mi servano lezioni di morale? - mi chiese. A me sembrava che gli servisse aiuto e, volente o nolente, glielo avrei dato; perciò, non appena la signora si fu ritirata in camera, mi presentai alla sua porta, chiedendo di essere ammesso in sua presenza.


Lei non nascose il proprio stupore. - Che cosa desiderate da me, signor Mackellar? - mi chiese.


- Lo sa Iddio, signora,- risposi, - che finora non vi ho mai disturbato; ma c'è qualcosa che mi pesa troppo sulla coscienza, e devo liberarmene. E' possibile che due persone siano cieche quanto voi e mylord? che siate vissuti tutti questi anni con un gentiluomo nobile come il signor Henry capendo così poco la sua natura?

- Che volete dire? - esclamò.


- Non sapete dove vanno i suoi denari? I suoi e i vostri, e persino quelli del vino che lui non beve a tavola? proseguii. A Parigi, da quell'uomo! Ottomila sterline ha avuto da noi in sette anni, e il mio padrone è abbastanza sciocco per tenere il segreto!

- Ottomila sterline! - lei ripeté. - E' impossibile. Le proprietà non sono da tanto.


- Dio sa come abbiamo sudato il centesimo per metterle insieme,- dissi. - Ma la somma è ottomilaseicento, senza contare le frazioni in scellini. E se, dopo aver saputo questo, potrete credere ancora che il mio padrone sia un uomo gretto, non mi intrometterò un'altra volta.


- Non serve che diciate altro, signor Mackellar, - rispose lei.- Quello che modestamente chiamate intromissione torna molto a proposito. Sono io la persona da biasimare; voi dovete davvero credermi una moglie molto negligente - (e, a questo punto, mi guardò con un sorriso strano). - Ma rimedierò subito. Il Master è stato sempre sventato per natura; ma il suo cuore è ottimo; egli è la generosità in persona. Gli scriverò io stessa. Non potete credere quanto mi abbia afflitta la vostra comunicazione.


- Veramente, signora, avevo sperato che vi consolasse, ribattei, esasperato dal fatto che lei continuava a pensare al Master.


- E mi ha consolata, - disse lei, - sicuro che mi ha consolata.


Quel giorno stesso (non dirò se non quello che osservai con i miei occhi) ebbi la soddisfazione di vedere il signor Henry nell'atto di uscire dalla camera di sua moglie, in uno stato del tutto insolito per lui, perché aveva la faccia tutta bagnata di lacrime, eppure sembrava non toccare terra dalla contentezza. Questo mi fece arguire che sua moglie, una volta tanto, avesse fatto piena ammenda dei propri torti.


«Ah», pensai fra me, «oggi l'ho indovinata!».


La mattina dopo, mentre aspettavo ai miei registri, il signor Henry mi arrivò dietro in punta di piedi, mi prese per le spalle e mi diede per gioco uno scossone. - Ho scoperto che siete un bello spione, - mi disse; e questo fu l'unico suo accenno alla parte che avevo fatto; ma il tono con cui parlò valeva, per me, più di qualsiasi protesta eloquente. Né questo fu il solo effetto da me ottenuto, perché, al giungere di un altro messo (che non tardò molto a venire), costui non ebbe che una lettera da portare al Master. Prima di allora, avevo condotto io stesso, per qualche tempo, questa specie di affari, senza che il signor Henry mettesse la penna sulla carta, e usando, da parte mia, i termini più secchi e convenzionali. Ma quella lettera non la vidi nemmeno, né credo che il suo contenuto fosse amabile, perché il signor Henry si sentiva, una volta tanto, sostenuto da sua moglie, e il giorno che la missiva fu spedita, lo vidi molto soddisfatto.


La vita di famiglia cominciò ad andar meglio, per quanto non si potesse pretendere che andasse bene addirittura. Non c'erano, almeno, malintesi; c'era cortesia da tutte e due le parti; e io credo che il mio padrone e sua moglie avrebbero potuto riavvicinarsi, solo che lui fosse riuscito a rintuzzare l'orgoglio e lei a dimenticare quello che era il fondamento di ogni guaio, e cioè il suo struggimento per un altro uomo. E' strano come un pensiero segreto trapeli sempre; è strano ancora oggi, per me, come tutti seguissimo il corso dei suoi sentimenti; e sebbene lei avesse un contegno quieto e non andasse soggetta a variazioni di umore, capivamo, tuttavia, quando le sue fantasticherie correvano a Parigi. Eppure, chiunque avrebbe supposto che la mia rivelazione avrebbe dovuto sradicarle dal cuore il suo idolo. Credo ci sia un demonio nelle donne: il fatto che dopo tanti anni, senza aver più visto quell'uomo, e senza nemmeno avere troppi ricordi piacevoli del fidanzamento con lui, avendolo creduto morto per un certo tempo, vedendo allo scoperto la sua snaturata rapacità, niente di tutto questo bastasse, e lei conservasse nel suo cuore il miglior posto per quel maledetto, era cosa da far schiumare di rabbia un uomo semplice. Ho sempre guardato con sospetto la passione amorosa, e vederne così fuorviato l'animo della signora me ne disgustò addirittura. Mi ricordo di aver sgridato una fantesca, perché cantava qualche stupidaggine mentre seguivo idee simili nella mia testa; e la mia asprezza mi valse l'inimicizia di tutte le gonnelle di casa. A questo feci poco o niente caso; ma se ne divertì il signor Henry che scherzò con me sulla nostra comune impopolarità. Per quanto possa sembrare strano, se si pensa che mia madre era una perla e mia zia Dickson, che mi pagava le tasse all'università, una persona non comune, io non ho avuto mai troppa pazienza e, forse, nemmeno molta simpatia per il sesso femminile; motivo per il quale, essendo, per giunta, tutt'altro che ardito, ho sempre evitato la compagnia delle donne. Non solo, da parte mia, non ho nessun motivo di rammaricarmi per questa mia diffidenza, ma ho anche osservato immancabilmente come a chi non si regoli nello stesso modo tocchino le conseguenze più deplorevoli. Tanto ho creduto opportuno esporre, per non essere considerato ingiusto verso la signora. D'altra parte, le mie osservazioni nacquero spontanee dall'accurato studio di una lettera, che rappresentò il secondo passo nello svolgimento dei fatti da me raccontati e che, con mio sommo stupore, mi fu recapitata segretamente, qualche settimana dopo la partenza dell'ultimo messo.


"Lettera del colonnello Burke (poi cavaliere) al signor Mackellar."Troyes in Champagne, 12 luglio 1756.


«Egregio signore, «vi meraviglierà, certo, il ricevere una comunicazione da una persona a voi così poco conosciuta; ma, quando ebbi la ventura di incontrarvi a Durrisdeer, ebbi l'impressione che foste un giovane molto posato; qualità questa che confesso di ammirare e riverire, quasi quanto il genio spontaneo e il prode spirito cavalleresco dell'uomo d'armi. Mi interessai, inoltre, alla nobile famiglia che voi avete l'onore di servire o (per parlare secondo le buone regole) di cui siete l'umile e rispettato amico; e una conversazione che io ebbi il piacere di fare con voi, sull'aurora, è rimasta impressa nella mia mente.


«Trovandomi l'altro giorno a Parigi, per una visita a quella famosa città, dove già fui di guarnigione, approfittai dell'occasione per informarmi del vostro nome (di cui, lo confesso, non mi ricordavo) presso il mio amico, Master di B.; e presentandosi a ciò una favorevole opportunità, vi scrivo per darvi le più recenti notizie.


«Il Master di B. (quando ultimamente parlammo insieme di lui) godeva, come mi sembra di aver detto allora, di una pensione molto cospicua, rilasciata dal Fondo Scozzese. In seguito, ricevette il comando di una compagnia, e poco dopo fu promosso alla testa di un reggimento. Mio caro signore, non mi impegno a spiegare questa circostanza, e tanto meno come mai io, pur avendo cavalcato alla destra di principi, sia tenuto a bada con un paio di galloni, e mandato a marcire in un angolo di provincia. Abituato come sono alle corti, non posso fare a meno di sentire che non vi spira aria buona per un soldato; e non potrei mai sperare di avanzare con certi mezzi, ammesso e non concesso che mi avvilissi al punto di servirmene. Ma il nostro amico ha una speciale attitudine a riuscire per mezzo delle dame; e, se quello che ho sentito è vero, egli ha goduto di una protezione insigne. E' probabile che questo si volgesse a suo danno; poiché quando ebbi l'onore di stringergli la mano, egli era stato rilasciato allora dalla Bastiglia, dove lo avevano rinchiuso per un ordine di arresto; e ora, anche se rilasciato, ha perso reggimento e pensione. Egregio signore, la lealtà di un semplice irlandese è destinata a vincerla sull'astuzia; e, certo, un gentiluomo della vostra probità sarà della mia opinione.


«Ebbene, signore, il Master è un uomo il cui genio ammiro oltre ogni dire, e, inoltre, è amico mio; ma ho pensato che un accenno a questa rivoluzione delle sue fortune cadrebbe a proposito, perché, secondo me, egli è in condizioni disperate. Parlò, quando lo vidi, d'un viaggio alle Indie (dove io stesso ho qualche speranza di accompagnare il mio illustre campatriota signor Lally); ma, per questo scopo, egli avrebbe bisogno (a quel che capii) di più denaro contante di quanto non sia a sua disposizione. Avete mai sentito il proverbio militare: a nemico che fugge, ponti d'oro? Confido che mi capirete e mi sottoscrivo con il dovuto ossequio a Lord Durrisdeer, a suo figlio e alla leggiadra signora Durie, «Vostro obbedientissimo e umilissimo servo FRANCIS BURKE».


Portai subito questa missiva al signor Henry e in tutti e due, credo, uno solo fu il pensiero: che era arrivata una settimana troppo tardi.


Mi affrettai a mandare al colonnello Burke una risposta, in cui lo pregavo, nel caso che avesse visto il Master, di assicurarlo che un suo prossimo messaggero sarebbe stato ascoltato. Ma, nonostante la mia fretta, non feci in tempo ad allontanare la realtà incombente; il dardo era scoccato e ormai volava. Quasi potrei mettere in dubbio che la divina Provvidenza abbia il potere (e tanto meno il volere) di arrestare le conseguenze degli eventi; e provo una sensazione strana pensando come, e per quanto tempo, e con quale cieca ignoranza della portata dei propri atti, ognuno di noi avesse contribuito ad accumulare gli elementi della catastrofe.


Dopo l'arrivo della lettera del colonnello, tenni un cannocchiale nella mia stanza; cominciai a lasciar cadere domande ai fittavoli e, siccome le faccende dei contrabbandieri, che (dalle nostre parti) adoperavano la forza, non meno della furberia, non erano tenute molto segrete, presto venni a sapere dei segnali in uso fra loro, e imparai a capire, con sufficiente approssimazione, quando potesse attendersi la venuta di un messo. Interrogai, dico, i fittavoli, perché con i contrabbandieri, malandrini tracotanti che andavano abitualmente armati, non potei mai decidermi ad averci che fare di mia spontanea volontà. Anzi, si dà il caso, destinato ad avverarsi in seguito, poco propizio, che io fossi oggetto di scherno per certi di quei bravacci, che non solo mi avevano gratificato di un soprannome, ma, incontratomi di notte in un sentiero fuori mano, ed essendo (come avrebbero detto loro) piuttosto allegri, mi obbligarono a ballare per loro divertimento. Il metodo crudele che impiegarono fu quello di tranciare l'aria con le sciabole d'abbordaggio sguainate, sulle dita dei miei piedi, urlando al tempo stesso - Piedipiatti! - Sebbene non mi facessero nessun male fisico, quella beffa mi procurò uno spavento tale da tenermi a letto ammalato per parecchi giorni: uno scandalo, per la Scozia, che non richiede commenti.


Nel pomeriggio del 7 novembre di quello stesso sfortunato anno, vidi, durante una passeggiata, il fumo di un falò sul Muckle Ross. Era tempo, per me, di tornare a casa; ma l'inquietudine del mio spirito era quel giorno tale, che mi slanciai attraverso la macchia, fino al suo orlo verso Punta Craig, come viene chiamata. Il sole era già tramontato, ma a occidente c'era ancora una vasta luminosità, che mi mostrò sul Ross alcuni contrabbandieri nell'atto di spegnere, calpestandolo, il loro fuoco di segnalazione, e, nella baia, un trabaccolo a vele imbrogliate (2), che chiaramente era appena venuto all'ancoraggio eppure aveva già ammainato l'imbarcazione che vogava verso l'approdo, all'estremità della macchia. E ciò, a quanto ben sapevo, non poteva significare altro che l'arrivo di un messo per Durrisdeer.


Domato il ricordo dei miei passati terrori, scesi giù per il declivio (un posto dove fino a quel momento non avevo mai osato avventurarmi) e mi nascosi fra i cespugli della riva, in tempo per vedere l'imbarcazione toccare terra. La governava, cosa insolita, il capitano Crail in persona, al suo fianco sedeva un passeggero, e i marinai vogavano con difficoltà, essendo impacciati da circa una mezza dozzina di sacche da viaggio, grandi e piccole. Ma lo sbarco ebbe luogo con rapidità, e, ben presto, il bagaglio fu gettato a terra alla rinfusa, l'imbarcazione prese la via del ritorno al trabaccolo, e sulla punta rocciosa rimase solo il passeggero: un alto e snello gentiluomo vestito di nero, spada al fianco e una mazza da passeggio allacciata al polso. Costui agitò la mazza verso il capitano Crail, in segno di saluto, con un misto di grazia e di beffardaggine che impressero profondamente quel gesto nella mia memoria.


Non appena l'imbarcazione si fu allontanata con i miei nemici giurati, io, ripreso una specie di mezzo coraggio, mi feci sul limitare della macchia, dove mi fermai di nuovo, con la mente esitante fra una naturale diffidenza e un oscuro presagio del vero. Certo avrei potuto restare lì perplesso per tutta la notte, se il forestiero non si fosse girato e, vedendomi attraverso la nebbia che cominciava a scendere, non mi avesse chiamato con la voce e con i gesti. Gli obbedii con il cuore oppresso.


- Ehi, buon uomo, - mi fa lui con accento inglese, - c'è qualcosa qui da portare a Durrisdeer.


Ora mi ero avvicinato abbastanza per vederlo bene. Aveva una bella figura e un viso olivastro, asciutto, ovale, con occhi neri, vigili e penetranti, da uomo abituato al combattimento e al comando; su una guancia gli risaltava un neo, che non stava male; un grosso diamante gli brillava all'anulare; il suo vestito, sebbene di una sola tinta, era di foggia francese e ricercata, con i polsi a sbuffo più lunghi del comune e di trina finissima; tanto più mi stupì il vederlo così vestito allo sbarco da un lurido trabaccolo di contrabbando. Intanto, lui mi aveva guardato meglio; poi mi squadrò una seconda volta attentamente e sorrise.


- Scommetto, amico,- disse,- che io conosco tanto il vostro cognome che il vostro soprannome. Ho persino immaginato come vestivate dalla vostra calligrafia, signor Mackellar.


A queste parole mi misi a tremare.


- Oh, - fece lui, - non dovete aver paura di me. Non vi serbo rancore per le vostre noiosissime lettere, e è mia intenzione giovarmi di voi. Potete chiamarmi signor Bally: ho assunto questo nome; o meglio (poiché parlo con un uomo tanto meticoloso) ho abbreviato così il mio. Orsù, raccogliete questa e questa, - e indicava due sacche da viaggio- Non sareste capace di portare altro; e il resto può aspettare. Orsù, non perdete più tempo, di grazia.


Il suo tono era così deciso che io riuscii a fare quanto mi era ordinato per una specie d'istinto, avendo del tutto perso la testa.


Non appena ebbi raccolto le sacche, egli si girò, incamminandosi speditamente attraverso la macchia, dove già, tra i folti sempreverdi, si addensavano le ombre del crepuscolo. Io gli tenni dietro, curvo quasi fino a terra sotto il peso, anche se posso garantire che non mi accorgevo del carico, poiché avevo l'animo assorto nell'orrore di quel ritorno, e la mente in moto come la spola di un tessitore.


All'improvviso, posai in terra le sacche e mi fermai. Egli si girò e mi guardò.


- Che c'è? - chiese.


- Siete il Master di Ballantrae?

- Dovete rendermi la giustizia di notare che non ho fatto misteri con l'astuto Mackellar.


- E in nome di Dio, - esclamo io, - che cosa vi porta qui? Ritornate indietro, finché siete in tempo.


- Vi ringrazio, - rispose. - Il vostro padrone ha voluto così, non io; ma, dato che lui ha voluto così, tocca a lui (e anche a voi) accettare il risultato. E adesso raccogliete questi miei bagagli, che avete posato nel fango, e fate quello che vi ho ordinato di fare.


Ma ormai avevo altro per la testa che obbedire; mi avvicinai a lui.


- Se niente può indurvi a tornare indietro, - gli dissi,- per quanto, nelle vostre circostanze, qualsiasi buon cristiano, o, per meglio dire, qualsiasi gentiluomo si farebbe scrupolo di andare avanti...


- Molto cortese, il signore, - egli interruppe.


- Se niente può indurvi a tornare sui vostri passi, continuai, - ci sono pure alcuni riguardi da osservare. Aspettate qui con il bagaglio, e io andrò a preparare la famiglia. Vostro padre è vecchio; e... - incespicai, - ci sono dei riguardi da osservare.


- Davvero,- egli disse, - questo Mackellar è una conoscenza più interessante di quanto credessi. Ma badate bene, caro mio, e capitemi una volta per sempre: parlare con me è fiato sprecato, e io andrò avanti per la mia strada con moto ineluttabile.


- Ah! - esclamai. - E' così? La vedremo allora!

Mi girai e partii gambe in spalla alla volta di Durrisdeer. Egli tentò di acciuffarmi, lanciando un grido irato, poi mi sembrò di sentirlo ridere e, di certo, mi inseguì per pochi passi, quindi (suppongo) lasciò perdere. Una cosa almeno è certa: cioè che, pochi minuti dopo, arrivai alla porta del palazzo, quasi soffocato dall'affanno, ma solo.


Corsi difilato su per le scale, mi precipitai in sala e là sostai, davanti alla famiglia, senza poter articolare parola. Dovevo, peraltro, portare la mia storia scritta in viso, perché si alzarono tutti da sedere e mi fissarono come colpiti da un sortilegio.


- E' venuto, - ansimai finalmente.


- Lui? - disse il signor Henry.


- In persona, - risposi.


- Mio figlio? - esclamò mylord. - Temerario, temerario ragazzo! Oh, perché non restare dov'era, al sicuro?

La signora non fiatò; né io la guardai, e ignoro il perché.


- Ebbene, - chiese il signor Henry con un profondo sospiro, dov'è?

- L'ho lasciato nella macchia, - risposi.


- Portatemi da lui, - mi disse.


Pertanto uscimmo insieme, lui ed io, senza altre parole; e, in mezzo al piazzale, inghiaiato, incontrammo il Master che veniva avanti fischiando e sferzando l'aria con la mazza. C'era ancora abbastanza luce in cielo per riconoscere, se non per leggere, una fisionomia.


- Oh! Giacobbe! - esclamò il Master. - Ecco dunque Esaù di ritorno.


- James, - disse il signor Henry, - per amor di Dio, chiamami per nome. Non fingo di essere felice per il tuo ritorno; ma voglio accoglierti il meglio possibile nella casa dei nostri padri.


- Ovvero in casa mia? in casa tua? - osservò il Master. Quale delle due cose stavi per dire? Ma non stuzzichiamo vecchie piaghe. Se non hai voluto spartire con me, finché stavo a Parigi, spero tuttavia che non negherai al tuo fratello maggiore un cantuccio nel focolare di Durrisdeer.


- Questo è un discorso ozioso, - replicò il signor Henry. - E tu sai perfettamente qual è la forza della tua posizione.


- Bah, credo di sì, - fece l'altro con una risatina. E questo, sebbene i due fratelli non si fossero nemmeno toccata la mano, fu (per così dire) l'epilogo del loro incontro; poiché, a quel punto, il Master si rivolse a me, ordinandomi di portargli il bagaglio.


Io, da parte mia, mi rivolsi al signor Henry in attesa di conferma; e, forse, con una certa intenzione di sfida.


- Finché il Master sarà qui, signor Mackellar, vi sarò obbligatissimo se vorrete tener conto dei suoi comandi come dei miei, - dice il signor Henry. - Noi vi disturbiamo continuamente: volete avere la bontà di chiamare un servo? - e accentuò l'ultima parola.


Questo discorso altro non poteva significare se non un meritato rimprovero al forestiero, eppure costui, nella sua diabolica impudenza, trovò modo di distorcerlo in senso opposto.


- E mi sarà lecito di dire volgarmente: «Sbrigatevi»? interrogò a bassa voce, guardandomi di traverso.


Anche se ne fosse andato di mezzo un regno, non sarei stato capace di pronunciare una parola; perfino chiamare un servo sorpassava il mio potere, preferii servire quel demonio io stesso, piuttosto che parlare; mi girai in silenzio, e mi diressi verso la macchia con il cuore pieno d'ira e di sgomento. Era buio sotto gli alberi, tra i quali avanzai, dritto davanti a me e dimentico di ciò che vi andavo a fare, finché non rischiai di rompermi uno stinco, inciampando nelle sacche. Appunto allora osservai un particolare strano; e cioè che mentre prima ne avevo trasportate due quasi senza accorgermene, ora feci fatica a caricarmi di una. E questo, costringendomi a fare due viaggi, mi trattenne più tempo lontano dalla sala.


Quando vi entrai, le cerimonie dell'accoglienza erano finite da un pezzo; la famiglia era già a cena; e, per una svista che mi punse sul vivo, non si era pensato a un posto per me. Avevo visto il ritorno del Master sotto un aspetto, ora mi toccava vederlo sotto un altro! Fu lui ad osservare per primo che io ero entrato, rimanendo in disparte con un certo malumore. Balzò dalla sedia.


- Probabilmente, ho preso il posto del buon Mackellar! esclama.- John, apparecchiane un altro per il signor Bally; egli non intende disturbare nessuno, e la tavola è grande abbastanza per tutti.


Potevo appena prestar fede ai miei orecchi, o ai miei occhi, quando mi prese per le spalle e mi spinse, ridendo, al mio posto solito, tanto affettuosa e scherzevole era la sua voce. E mentre John (obbedendo alle sue insistenze) metteva un'altra posata per lui, egli si avvicinò alla sedia di suo padre, chinandosi a guardarlo; e il vecchio si girò, alzando gli occhi verso il figlio, e la mutua tenerezza era così amabile che io fui lì lì per portarmi le mani al capo dallo stupore.


Ma il tono fu quello, in tutto. Da lui non uscì una sola parola dura né un sogghigno gli apparve sulle labbra. Aveva anche smesso il secco accento inglese per esprimersi nel gentile idioma scozzese che dà tanto risalto alle parole amorevoli, e se nei suoi modi c'era un'eleganza aggraziata del tutto estranea al nostro uso di Durrisdeer, quella cortesia restava casalinga e invece di metterci in soggezione ci lusingava. Ogni suo atto, anzi, dall'inizio alla fine del pasto, come il bere in mia compagnia con visibile riguardo, girarsi a scherzare con John, toccare teneramente la mano di suo padre, venir fuori con allegri aneddoti sulle sue avventure, rievocare il passato con felice opportunità, ogni suo atto, dico, risultava così appropriato, e lui stesso appariva così prestante, che non potevo davvero meravigliarmi che mylord e la signora stessero a tavola con visi raggianti né che, alle loro spalle, John badasse al servizio con le lacrime agli occhi.


Appena la cena fu terminata, la signora si alzò per ritirarsi.


- Questo non è mai stato vostro costume, Alison, - disse lui.


- E' il mio costume adesso, - lei replicò: e l'asserzione era falsa.


- Buona notte, James, e bentornato... dal regno dei morti,- aggiunse, e la voce le mancò in un tremito.


Il povero signor Henry, che a tavola aveva fatto una figura piuttosto goffa, era più turbato che mai: contento lì per lì, di vedere sua moglie ritirarsi, e insieme scontento indovinandone il motivo, e subito dopo, del tutto sbigottito dal fervore delle parole di ieri.


Da parte mia, pensai che là ormai ero di troppo e stavo già sgusciando via, nella scia della signora, quando il Master se ne accorse.


- Signor Mackellar, - disse, - questo è quasi un segno d'inimicizia.


Non posso permettere che andiate via: significherebbe trattare il figliuol prodigo da estraneo, nella casa stessa, permettete che ve lo ricordi, del suo genitore! Orsù, tornate a sedervi, e bevete un altro bicchiere in compagnia del signor Bally.


- Certo, signor Mackellar, - mi fa allora mylord, - non bisogna trattare da estraneo né lui, né voi. Ho già detto a mio figlio, - e il suo tono, come al solito, si ravvivava nel pronunciare quella parola, - quanto apprezziamo i vostri amichevoli servigi.


Così me ne rimasi, in silenzio, fino alla mia ora solita, e quasi mi sarei lasciato ingannare sulla natura di quell'uomo, non fosse stato per un tratto che mise in mostra fin troppo chiaramente la sua perfidia. Fu come ora dirò; e il lettore, sapendo come era stato l'incontro dei due fratelli, potrà giudicare da sé. Siccome il signor Henry, per quanto si sforzasse di darsi un contegno davanti al vecchio lord, si mostrava piuttosto depresso, il Master balzò in piedi, girò intorno alla tavola e batté la mano sulle spalle del fratello.


- Su, su, Harry, ragazzo mio, - dice con un largo accento paesano, quale dovevano aver usato tutti e due da ragazzi, non devi abbatterti perché tuo fratello è tornato a casa. Tutto è tuo senza discussione, e non te lo invidio. Neppure tu devi invidiarmi il mio posto accanto al focolare paterno.


- Questo è verissimo, Henry, - dice il vecchio lord accigliandosi un po', cosa rara in lui. - Sei stato come il fratello maggiore della parabola nel senso buono; devi ora guardarti dall'altro senso.


- E' facile mettermi dalla parte del torto, - disse il signor Henry.


- Chi ti mette dalla parte del torto? - esclamò mylord con piglio molto risentito per un uomo così benigno. - Ti eri meritato mille volte la mia gratitudine e quella di tuo fratello, puoi contare sulla costanza di questa gratitudine; ciò ti basti.


- Ma certo, Harry, ci puoi contare, - disse il Master, e mi sembrò che il signor Henry lo guardasse con una specie di ferocia negli occhi.


Riguardo a tutte le vicende miserevoli che seguirono, mi posi allora, e continuo a pormi ancora, quattro domande: quell'uomo era mosso da qualche speciale sentimento ostile al signor Henry? o da ciò che lui riteneva il proprio vantaggio? o da un semplice gusto per la crudeltà, simile a quello dimostrato dai felini, e attribuito dai teologi al demonio? o da ciò che avrebbe chiamato amore? La mia opinione, di solito, oscilla fra i primi tre motivi, ma forse, alle radici dei suoi atti, c'era qualche elemento di tutti e quattro. E così, l'animosità spiegherebbe l'odiosa maniera con cui trattava il signor Henry quando erano soli; i vantaggi che si era venuto a procacciare spiegherebbero il suo ben diverso atteggiamento in presenza del vecchio lord; lo stesso motivo, con un tantino di intenzione galante, la sua premura di stare in buoni rapporti con la signora, e il gusto della malignità in sé, la cura incessante che egli metteva nel mescolare e contrapporre queste diverse linee di condotta.


In parte perché ero dichiaratamente un amico del mio padrone, in parte perché nelle mie lettere indirizzate a Parigi mi ero preso spesso la libertà di far rimostranze, venivo incluso anch'io in quel suo diabolico divertimento. Quando ero solo con lui, mi perseguitava con il suo scherno; davanti alla famiglia mi trattava con estrema condiscendenza e somma affabilità. Questo non solo era penoso di per sé, non solo mi poneva continuamente dalla parte del torto, ma conteneva un indescrivibile elemento d'insulto. Che egli dovesse risparmiarsi di dissimulare con me, come se la mia testimonianza stessa fosse tanto spregevole da riuscire completamente trascurabile, mi feriva a sangue. Ma ciò che ne soffrivo non è degno di nota. Io vi accenno solo, e soprattutto, per il motivo che tale sofferenza ebbe un buon risultato, aiutandomi a capire vivamente il martirio del signor Henry.


Il peggio toccava a lui. Come poteva egli rispondere alle pubbliche gentilezze di chi non si lasciava mai sfuggire l'opportunità di deriderlo in privato? Come poteva egli ricambiare il sorriso dell'ingannatore e dell'offensore? Era condannato a sembrare scontroso. Era condannato al silenzio. Se fosse stato meno altero, se avesse parlato, chi mai avrebbe prestato fede alla verità? Quella commedia denigrante aveva lavorato a dovere, e mylord, la signora, testimoni quotidiani del suo svolgimento, avrebbero potuto deporre sotto giuramento in tribunale che il Master era un modello di magnanima bonarietà, e il signor Henry un esempio di invidia e di ingratitudine. E questi difetti, che sarebbero sembrati abbastanza brutti in chiunque, sembravano dieci volte più brutti nel signor Henry: chi poteva, infatti, dimenticare che la vita del Master era in continuo pericolo e che egli già aveva perso la sua bella, il titolo e il patrimonio?

- Henry, vieni a cavalcare con me? - chiede un giorno il Master.


E il signor Henry, che era stato provocato dal fratello per tutta la mattina, sbuffa: - No.


- A volte vorrei che tu fossi più gentile, Henry, - dice l'altro mestamente.


Questo non è che un saggio di scene che capitavano continuamente.


Niente di strano, quindi, che il signor Henry fosse biasimato; niente di strano che io mi irritassi quasi al punto d'ammalarmi dalla bile; anzi, tanto che al solo ricordo sento avvelenarmisi il sangue.


In questo mondo non vi fu certo mai un più diabolico raggiro: così perfido, semplice e impossibile da combattere. Eppure credo ancora, e crederò sempre, che la signora avrebbe potuto leggere tra le righe; che lei avrebbe potuto avere una miglior conoscenza dell'animo di suo marito; che, dopo tanti anni di matrimonio, avrebbe potuto possedere o conquistare la confidenza di lui. E anche il vecchio lord, quel vigile gentiluomo, dov'era andata a finire la sua chiaroveggenza? Però è vero, anzitutto, che l'inganno veniva praticato con mano maestra, e avrebbe beffato anche un angelo. In secondo luogo è vero (e sia detto a scusa della signora) che non vi sono persone distanti come due sposi ormai estranei l'uno all'altro; ho osservato che il signor Henry e la signora sembravano non trovarsi a portata d'orecchio l'uno dell'altra, oppure mancare di un comune linguaggio. In terzo luogo, entrambi gli spettatori erano accecati da una vecchia, radicata predilezione. E in quarto luogo il rischio che si supponeva pendere sul Master (dico che si supponeva, e presto sentirete il perché) faceva sembrare più ingenerosa ogni critica e li faceva stare tutti e due in una continua, tenera preoccupazione per la sua vita, accecandoli ancora di più sui suoi difetti.


Appunto nel tempo al vado accennando, mi accorsi chiaramente del prestigio delle belle maniere, e fui indotto a deplorare amaramente la semplicità delle mie. Il signor Henry, gentiluomo nell'animo, sapeva pur recitare la propria parte con dignità e spirito, quand'era stimolato o se le circostanze lo richiedevano, ma nel commercio quotidiano, è inutile negarlo, risultava poco ornato. Invece il Master non aveva un solo gesto che non tornasse a suo credito. Succedeva così che se l'uno sembrava cortese e l'altro scortese, questo sembrava clamorosamente confermato da ogni particolare del loro fisico. E non solo: quanto più il signor Henry si dimenava nei trabocchetti del fratello, tanto più diventava rustico, e quanto più il Master se la godeva, nel suo dispettoso gioco, tanto più sembrava attraente, sorridente! Così che la macchinazione veniva favorita e appoggiata dalle mosse di colui che ne era il bersaglio.


Il Master, tra l'altro, possedeva il talento di servirsi del pericolo in cui (come ho detto) lo si riteneva. Ne parlava, a quelli che lo amavano, con garbati scherzi, facendolo apparire ancora più commovente. E lo adoperava, nei rapporti con il signor Henry, come crudele arma di offesa. Ricordo come un giorno che in sala c'eravamo soltanto noi tre egli posasse il dito sulla losanga trasparente della vetrata colorata. - Di qui è passata quella tua fortunata ghinea, Giacobbe, - disse. E, poiché il signor Henry si limitava a guardarlo cupamente, - Oh! aggiunse, - è inutile esprimere questo astio impotente, mia cara mosca. Ti puoi sbarazzare del tuo ragno quando ti pare e piace. Fra quanto tempo, Dio mio? Quand'è che ti spingerai a una delazione, fratello scrupoloso? E' una delle mie curiosità in questo buco uggioso. Gli esperimenti mi sono sempre piaciuti. Tuttavia il signor Henry continuò a fissarlo, accigliato e impallidendo, così che alla fine il Master scoppiò a ridere e gli diede del musone, battendogli sulla spalla. Questo fece fare al mio padrone un balzo indietro, con un gesto che mi sembrò molto minaccioso; e devo credere che tale apparisse anche al Master, perché questi parve, sia anche solo un pochino, sconcertato e, che io ricordi, non mise mai più le mani addosso al signor Henry.


Ma per quanto avesse sempre il suo pericolo sulle labbra in un modo o nell'altro, pensavo che si comportava con una strana mancanza di precauzione, e cominciai a dirmi che il governo, che aveva messo una taglia sulla sua testa, si doveva essere addormentato profondamente.


Non nego di aver avuto la tentazione di denunciarlo; ma due pensieri mi trattennero: primo, che se egli avesse terminato la vita su un patibolo onorato, sarebbe addirittura diventato un santo, nella mente di suo padre e della moglie del mio padrone; secondo, che se io mi fossi minimamente immischiato nella faccenda, il signor Henry stesso non avrebbe potuto sfuggire a qualche ombra di sospetto. Intanto, il nostro nemico usciva dal palazzo e vi rientrava più liberamente di quanto avrei creduto possibile, e del fatto che lui era tornato in famiglia si parlottava per tutto il paese senza che se ne inquietasse affatto. Come ero solito dire nei miei travagli, bisognava credere che fra tutte quelle persone, numerose e diverse, che sapevano della sua presenza, nessuna nutrisse la minima cupidigia, oppure la minima fedeltà al governo; e lui cavalcava su e giù per il paese molto più ben accetto (considerando i sedimenti dell'antica impopolarità) del signor Henry, e (rispetto ai contrabbandieri) molto più sicuro di me.


Non che non avesse i suoi bravi fastidi, e devo ora riferirli, per le gravi conseguenze che ne derivarono. Il lettore non può aver dimenticato Jessie Broun. Gran parte della vita di costei trascorreva fra i contrabbandieri; il capitano Crail stesso era fra i suoi intimi; perciò lei fu informata per tempo della presenza del signor Bally al palazzo. Secondo me, da un bel pezzo non le importava più un fico della persona del Master; ma aveva preso l'abitudine di collegare continuamente se stessa con il nome del Master e su questo basava tutte le sue commedie, sicché ora, essendo tornato, si credette in dovere d'infestare le vicinanze di Durrisdeer. Il Master non poteva quasi più mettere piede fuori di casa, senza trovare ad aspettarlo questa scandalosa donna, quasi sempre alticcia, che lo chiamava sfacciatamente «cocco mio», citando poesie da cantastorie e, a quanto mi raccontarono, perfino cercando di piangere sulla sua spalla.


Confesso che mi fregavo le mani per quella persecuzione, ma il Master, che sfidava tanto gli altri, era, da parte sua, il meno paziente degli uomini. Strane scene accaddero nel parco. Si raccontò che lui le avesse alzato addosso il bastone e che lei fosse ricorsa alla sua vecchia arma: le pietre. E' certo, almeno, che lui si rivolse al capitano Crail perché sequestrasse quella donna sulla sua nave, e che il capitano respinse la proposta con straordinaria indignazione. Il risultato finale fu una vittoria per Jessie. Si misero insieme dei denari, ci fu un colloquio, in cui il mio altero gentiluomo dovette lasciarsi baciare e piangere addosso, e la donna venne sistemata come padrona di una taverna, da qualche parte lungo il Solway (non ricordo più dove) e, secondo le uniche notizie che ne ebbi, assai mal frequentata.


Ma questo è un anticipare gli eventi. Nei primi tempi che Jessie gli stava alle calcagna, il Master venne un giorno da me nell'ufficio e, con garbo maggiore del consueto, mi disse:

- Mackellar, c'è una pazza maledetta che ronza da queste parti. Io non ho modo di togliermi d'impaccio da solo, e questo è il motivo che mi porta da voi. Abbiate la bontà di provvedere; bisogna dare ai servi ordini severi di scacciare quella ragazza.


- Signore, - risposi, tremando un po', - potete sbrigare voi stesso le vostre sporche faccende.


Egli non replicò, e uscì.


Poco dopo, capita il signor Henry. - Belle notizie! esclama. - Come se non bastasse, vi mettete anche voi ad aggravare la mia sventura.


Sembra che abbiate insultato il signor Bally.


- Con vostra buona licenza, signor Henry, - risposi, - vi dirò che lui ha insultato me e, secondo me, in modo del tutto grossolano. Può darsi che, parlando, io abbia trascurato di tener conto della vostra posizione; se questo sarà il vostro parere, quando avrete saputo tutto, mio caro padrone, voi non avrete che da dire una parola. Poiché io sono pronto ad assecondarvi in qualunque cosa, perfino in un delitto, che Dio mi perdoni! E, a questo punto, gli raccontai ciò che era successo.


Il signor Henry sorrideva fra sé: non vidi mai un sorriso più truce.


- Avete fatto benissimo, - disse. - Berrà fino alla feccia la sua Jessie Broun. - E quindi, vedendo il fratello, aprì la finestra e chiamandolo con il nome di signor Bally, l'invitò a salire per scambiare due parole.


- James, - disse, quando il nostro persecutore fu entrato ed ebbe chiusa la porta dietro di sé, guardandomi con un sorriso, come convinto che io stessi per subire un'umiliazione,- sei venuto a lagnarti con me del signor Mackellar, cosa su cui ho indagato. Non serve neppure dire che sono sempre pronto a credere alla sua parola piuttosto che alla tua. Poiché siamo soli, mi prenderò un po' lo stesso tuo arbitrio, per dirti che il signor Mackellar è un gentiluomo che stimo molto e, finché sei sotto questo tetto, devi cercare di adattarti a non venire più in urto con una persona che sono pronto a sostenere, qualunque possano esserne le conseguenze per me o per i miei. Quanto alla faccenda per la quale ti eri rivolto a lui, liberati tu stesso delle conseguenze della tua crudeltà: nessuno dei miei servi deve essere adibito a questo scopo.


- I servi sono alle dipendenze di mio padre, se non sbaglio, disse il Master.


- Va' a raccontargli questa storia, - replicò il signor Henry.


Il Master si fece molto pallido. Accennò a me con l'indice.


- Voglio che quest'uomo sia licenziato, - disse.


- Non lo sarà, - affermò il signor Henry.


- Questa, la pagherai molto cara, - disse il Master.


- Ho già pagato tanto caro il guaio di avere un fratello malvagio, - rispose il signor Henry, - che sono rimasto al verde di tutto, anche di timori. Non c'è più un solo punto in cui tu possa ancora colpirmi.


- Te ne accorgerai, - ribatté il Master, e pian piano se ne andò.


- Ed ora che cosa farà, Mackellar? - esclamò il signor Henry.


- Permettetemi di andare via, - dissi. - Permettetemi di andare via, caro padrone; sarò causa, altrimenti, di nuove sciagure.


- Vorreste lasciarmi completamente solo? - disse lui.


Non restammo a lungo con l'animo in sospeso circa la natura del nuovo assalto. Il gioco del Master nei confronti della signora si era mantenuto fino a quel momento molto nascosto: egli evitava deliberatamente a trovarsi con lei da solo a sola, cosa che io attribuii allora a un sentimento delle convenienze ma che oggi mi sembra come un'arte insidiosissima; la incontrava, si può dire, solo all'ora dei pasti, comportandosi in quel caso con amorevolezza che possiamo chiamare fraterna. Fino a quel momento, per così dire, egli non si era intromesso quasi per niente tra il signor Henry e la moglie, se non manovrando in modo da allontanare l'uno dalle buone grazie dell'altra. Adesso, tutto era destinato a cambiare; ma chi, tranne il diavolo, potrà stabilire se questo fu fatto veramente per vendetta o perché egli cominciava ad avere in uggia Durrisdeer e andava in cerca di uno svago?

Ad ogni modo, da quel momento l'assedio alla signora ebbe inizio e fu condotto con tale abilità che non so davvero se lei se ne rese conto e il marito dovette stare a guardare in silenzio.


L'apertura del primo contraffosso fu casuale, o meglio così si volle farla apparire. Si era giunti a parlare, come spesso succedeva, dei fuorusciti in Francia, e si scivolò sull'argomento delle loro canzoni.


- Ce n'è una, - disse il Master, - se questo vi interessa, che mi è sempre sembrata molto commovente. La poesia è rozza; eppure, forse a causa della situazione in cui ero, ha sempre trovato la via del mio cuore. Devo dirvi che si suppone cantata dall'innamorata dell'esule; e rappresenta, forse, non tanto quello che realmente lei pensa, quanto quello che l'amante spera di lei in terra lontana, poveretto! - E a questo punto, il Master sospirò. - Vi assicuro che la vista di una ventina di rozzi irlandesi, tutti semplici soldati, nell'atto di cantare quest'aria, è patetica davvero; le lacrime che rigano le guance di quei poveri diavoli mostrano com'essa tocca loro il cuore.


E' questa, padre, - egli disse, eleggendo abilmente ad ascoltatore il vecchio lord, - e, se non arrivo in fondo, potete credere che è un caso comune fra gli esuli. - A questo punto intonò la stessa aria che avevo sentito zufolare dal colonnello; però egli vi aggiunse le parole, rustiche davvero, e tuttavia esprimenti, in maniera accorata, le ansie di una povera fanciulla per l'innamorato in esilio. Una strofa ancora mi suona nella mente:

"Mi tingerò di rosso la gonnella, Ad accattare andrò con l'amor mio, Anche se tutti mi vorranno morta, Fra le giuncaie andrò con Willie mio!"La cantò bene, già come canzone in sé, ma, come commediante, fece di meglio ancora. Ho sentito attori famosi che non lasciavano un solo occhio asciutto nel teatro di Edimburgo ed era cosa da restare a bocca aperta, ma non più che nel vedere il modo con cui il Master sapeva servirsi di quella canzonetta e di chi lo ascoltava, come di uno strumento, ora sembrando sul punto di svenire, ora mostrando di tenere a freno l'emozione, così che parole e musica sembravano sgorgare dal suo cuore e dal suo passato, rivolte direttamente alla signora. Ancora più avanti si spinse la sua arte, poiché egli sfiorava ogni accenno con una delicatezza tale che nessuno avrebbe potuto sospettarlo della minima intenzione e che, lungi dal vedervi uno sfoggio di emozioni, si sarebbe giurato che lottava per mantenersi calmo. Al termine, tutti restammo in silenzio per un po'. Egli aveva scelto il momento del crepuscolo serale e perciò nessuno poté vedere gli altri in viso; ma sembravamo tutti trattenere il fiato, solo mylord si schiarì la gola.


Il primo a muoversi fu il cantore, che si alzò in piedi all'improvviso, quietamente, e se ne andò a passeggiare quietamente su e giù all'estremità opposta della sala, il luogo solito del signor Henry. Ciò voleva farci supporre che lui laggiù ricacciasse l'ultimo residuo di emozione; infatti, poco dopo tornò, lanciandosi in una disquisizione sull'indole degli irlandesi (sempre tanto denigrati e che lui difendeva) con il suo solito timbro di voce, di modo che, ancora prima che ci portassero i lumi, avevamo ripreso l'ordinaria conversazione. Ma, anche allora, mi sembrò che la signora fosse un tantino pallida e, tra l'altro, si ritirò quasi subito.


La seconda avvisaglia fu che quel diavolo insidioso strinse amicizia con l'innocente signorina Katharine, così che erano sempre insieme, tenendosi per mano o lei arrampicata su un suo ginocchio, simili a due bambini. Per il signor Henry il fatto che gli adescassero la figlioletta a mettersi contro di lui costituì il colpo di grazia, un fatto che lo rese ruvido nei confronti della povera innocente, facendolo scadere di un altro gradino nella stima di sua moglie, e che, insomma, rappresentò un vincolo tra la signora e il Master. Sotto un simile influsso, il solito riserbo tra loro andò sciogliendosi di giorno in giorno. Ben presto vi furono passeggiate nella macchia, conversazioni sul belvedere e non so che tenera familiarità. Sono certo che la signora era come tante altre donne oneste, con la coscienza a posto ma forse a prezzo di chiudere un po' un occhio.


Infatti, persino a un osservatore ottuso come me pareva chiaro che la sua gentilezza era di un genere più sentimentale che non quello di una sorella. La sua voce si era fatta più ricca di toni, i suoi occhi avevano una luce e una dolcezza nuove, e lei era più gentile con tutti, anche con il signor Henry, anche con me: sembrava che da lei emanasse una tranquilla e malinconica felicità.


Quale tormento per il signor Henry, la vista di tutto ciò! Eppure ne derivò la nostra definitiva liberazione, come presto racconterò.


Lo scopo della permanenza del Master (per quanto si volesse indorarlo) non era niente di più nobile che l'intenzione di spillar soldi. Egli aveva qualche progetto di andare a far fortuna nelle Indie francesi, come mi aveva scritto il cavaliere, ed era venuto appunto per procurarsi la somma necessaria. Ciò significava rovina per il resto della famiglia; ma il vecchio lord, nella sua incredibile parzialità, era sempre dell'opinione di concedere. La famiglia si era così rimpicciolita (consisteva ormai soltanto del padre e dei due figli) che era possibile rompere il fidecommisso, vendendo un pezzo di terreno. E il signor Henry, dapprima per accenni e quindi per insistenze aperte, fu indotto ad acconsentire. Egli non l'avrebbe mai fatto, lo so per certo, se non fosse stato oppresso dal peso dell'angoscia. Soltanto la sua appassionata ansia di veder partire il fratello poté indurlo a violare così i propri sentimenti e la tradizione della casata. E, pur essendovisi deciso, vendé il proprio consenso a caro prezzo, parlando, una volta tanto, a chiare note e presentando la faccenda nei suoi vergognosi colori.


- Voi osserverete, - disse, - che questa è un'ingiustizia fatta a mio figlio, se mai ne avrò uno.


- Ma non è probabile che tu lo abbia, - disse mylord.


- Lo sa Iddio! - esclamò il signor Henry. - Comunque, considerando la crudele falsità della posizione in cui mi trovo rispetto a mio fratello e considerando, mylord, che siete mio padre e avete il diritto di comandarmi, io sottoscrivo questo foglio. Però voglio prima dire una cosa: mi si è fatta ingenerosa pressione e se vi accadrà ancora, signore, di essere tentato a un paragone tra i vostri figli, ricordate, ve ne prego, quello che ho fatto io e quello che ha fatto lui. Le azioni sono testimoni veritieri.


Non avevo mai visto un uomo più a disagio di mylord; persino al suo vecchio volto salì il sangue. - Credo, Henry, che il momento non sia scelto bene per le lamentele, - disse. - Ciò diminuisce il merito della tua generosità.


- Non v'ingannate, mylord, - disse il signor Henry.


Quest'ingiustizia è accettata, non per generosità verso di lui ma per obbedienza a voi.


- Davanti ad estranei...- comincia a dire mylord, ancora più turbato.


- Non c'è altri che Mackellar qui, - disse il signor Henry. E' mio amico, e dacché voi, mylord, non lo fate estraneo ai biasimi frequenti con i quali mi colpite, sarebbe arduo per me doverlo escludere dal sentire una cosa rara, come è la mia difesa.


Credo quasi che mylord avrebbe revocato la propria decisione; ma il Master stava all'erta.


- Ah, Henry, Henry, - dice, - sei come sempre il migliore. Rude e sincero! Ah, vorrei proprio somigliarti!

E a questo esempio di generosità da parte del suo favorito, mylord mise da parte l'esitazione e l'atto fu sottoscritto Le terre di Ochterhall vennero vendute, quanto più presto si poté farlo, ad un prezzo molto inferiore al reale valore, e il ricavato passò alla nostra sanguisuga che lo spedì segretamente in Francia.


Così almeno egli disse, benché in seguito io abbia sospettato che il denaro non fosse andato tanto lontano. Ed ecco ora tutti gli maneggi di quell'uomo giunti felicemente in porto e le sue tasche nuovamente gonfie del nostro oro; ma il risultato per il quale avevamo acconsentito a quel sacrificio ci era ancora negato, perché l'ospite indugiava lo stesso a Durrisdeer. Se facesse questo per malignità, o perché non era maturo il tempo per la sua impresa nelle Indie, o a causa di certe speranze che egli nutrisse sulla signora, oppure in ottemperanza a istruzioni governative, chi può dirlo? Fatto sta che indugiò, per settimane.


Noterete che ho detto: istruzioni governative. Circa a quell'epoca, infatti, il suo disonorevole segreto trapelò.


Ne ebbi il primo accenno da un fittavolo, che stava commentando la permanenza del Master e ancora di più la sua immunità; e poiché questo fittavolo era un simpatizzante dei giacobiti e aveva perso un figlio a Culloden, guardava con occhio particolarmente critico.- C'è una cosa, - mi disse, - che non posso fare a meno di trovare strana, e cioè come abbia fatto ad arrivare a Cockermouth.


- A Cockermouth? - domandai, ricordando di colpo la mia prima impressione di stupore nello scorgere quell'uomo che sbarcava vestito tanto inappuntabilmente dopo una così lunga traversata.


- Ma sì, - rispose il fittavolo, - il capitano Crail lo imbarcò là.


Credevate che fosse venuto dalla Francia per mare? L'abbiamo creduto tutti, del resto.


Rimuginai un poco su questa notizia; poi la portai al signor Henry. - C'è una strana circostanza, - dissi, e gliela raccontai.


- Che importa, Mackellar, sapere come sia arrivato, dal momento che è qui? - gemette il signor Henry.


- No, signore, - dissi, - ma ripensateci bene! Non vi sembra che questo fatto puzzi un po' di connivenza con il governo? Sapete pure quanto ci meravigliavamo già della sua immunità.


- Zitto, - mi fa il signor Henry. - Lasciatemi pensare. - E mentre pensava, gli apparve sulla faccia quel sorriso torvo che somigliava un po' a quello del Master. - Datemi un foglio di carta, - disse. E, senza far altre parole, sedette a scrivere a un gentiluomo di sua conoscenza. Non voglio fare nomi senza necessità, ma dirò che si trattava di persona autorevole. Spedii questa lettera per mezzo della sola mano di cui potevo affidarmi in un caso simile, e cioè per quella di Macconochie; e il vecchio dovette galoppare a briglia sciolta, perché ancora prima di quanto la mia ansia mi avesse incitato a sperare, era alla porta con la risposta. Nel leggerla, il signor Henry ebbe di nuovo quel sorriso torvo.


- Oggi mi avete reso il migliore dei vostri servigi, Mackellar, - mi disse.- Con questa dichiarazione in mano lo sloggerò dalle sue posizioni. Osservateci a pranzo.


A tavola, quindi, il signor Henry fece una proposta che comportava un'apparizione assolutamente pubblica del Master e mylord, come egli sperava, vi si oppose in nome del pericolo che ci sarebbe stato.


- Oh! - esclama, con molta disinvoltura, il signor Henry, non serve che voi continuiate a fingere con me: conosco il segreto quanto voi.


- Il segreto? - dice mylord. - Che intendi dire, Henry? Ti do la mia parola che non ho segreti dai quali tu sia escluso.


Il Master si era trasformato in viso, e io capii che questo colpo gli penetrava fra le scaglie dell'armatura.


- Come? - dice il signor Henry, rivolgendosi verso di lui con aria di grande sorpresa. - Vedo che servi molto fedelmente i tuoi padroni; ma credevo che avessi avuto l'umanità di mettere in pace l'animo di tuo padre.


- Di che parli? Rifiuto di discutere in pubblico gli affari miei.


Ordino di smettere, - esclama il Master con furore stolto, più da bambino, in verità, che da uomo.


- Tanta discrezione da parte tua non era richiesta, posso assicurartelo, - continuò il signor Henry. - Poiché guarda che cosa scrive il mio corrispondente, - e spiegò il foglio. Naturalmente è interesse, così del governo, come del gentiluomo che converrà, forse, continuare a chiamare signor Bally, il tenere segreto questo accordo, ma non fu stabilito mai che la famiglia del gentiluomo in parola dovesse continuare a soffrire le ansie che voi dipingete in maniera così commovente; e mi compiaccio che la mia mano sia designata ad acquietare queste pene. Il signor Bally è sicuro in Gran Bretagna al pari di voi».


- E' possibile? - esclama mylord, guardando suo figlio, con grande stupore e con ancora più grande sospetto dipinti sul volto.


- Mio caro padre, - dice il Master, che già si era molto ripreso, - mi rallegro oltremodo di poter palesare il vero. Le istruzioni venute a me direttamente da Londra avevano senso del tutto contrario all'odierna comunicazione, e includevano l'ordine di tenere l'indulgenza concessami segreta a tutti, non escluso voi, anzi compreso proprio voi, e ciò vi faro vedere nero su bianco, a meno che la lettera non sia andata distrutta. Devono aver cambiato idea da un momento all'altro, perché l'intera faccenda è molto recente, o piuttosto, l'informatore di Henry deve aver preso abbaglio su quel punto come sembra averlo preso sul resto. Per dire il vero, signore, - continuò, rinfrancandosi a vista d'occhio, - avevo supposto che questo favore inesplicabile a un ribelle fosse il risultato di qualche premura da parte vostra; e che l'ingiunzione di conservare il segreto verso la famiglia derivasse dal vostro desiderio di nascondere la vostra bontà. Da qui una ancor maggiore attenzione da parte mia nell'ottemperare agli ordini. Resta ora da arguire per quali altri canali può essere sgorgata l'indulgenza su un colpevole così conosciuto come sono io; poiché non credo che a vostro figlio necessiti difendersi da quanto sembra accennato nella lettera di Henry. Non ho mai sentito dire che un Durrisdeer abbia cambiato casacca, o sia diventato una spia disse con alterigia.


E così sembrava che dovesse uscire immune dal pericolo corso; ma questo significava fare i conti senza un suo sproposito e la pertinacia del signor Henry, che doveva mostrare di possedere un po' della malizia di suo fratello.


- Tu dici che la faccenda è recente? - chiese il signor Henry.


- E' recente, - afferma il Master, con notevole sfoggio di fermezza, ma non senza un tremito.


- Davvero tanto recente?- chiede il signor Henry, con aria perplessa, e spiegando di nuovo la sua lettera.


In tutta la lettera non si faceva parola della data; ma come poteva saperlo il Master?

- A me è parsa tardare anche troppo, - disse, con una risata. E a quella risata, che suonò falsa, come una campana fessa, mylord lo guardò attraverso la tavola, serrando le labbra avvizzite.


- Già, - aggiunse il signor Henry, dando un'altra occhiata alla lettera,- ma io ricordo la tua frase. Avevi detto che era molto recente.


E qui avemmo una prova della nostra vittoria, e anche il più forte esempio dell'incredibile parzialità di mylord, poiché che cosa mai seppe egli fare se non interporsi per salvare il suo favorito da uno smacco?

- Credo, Henry, - dice con una specie di ansia pietosa, credo che non serva discutere più oltre. Infine, siamo tutti contenti di sapere al sicuro tuo fratello; siamo unanimi in tale sentimento: e, da sudditi riconoscenti, altro non possiamo che bere alla salute e alla prosperità del sovrano.


Così il Master fu tolto d'impaccio; ma, almeno, era stato messo sulla difensiva e ne era uscito malconcio, vedendosi strappare definitivamente di dosso l'attrattiva del pericolo personale. Ché mylord, nell'intimo del cuore, sapeva ormai che il suo favorito era una spia del governo, e la signora (comunque lei spiegasse la storia) si raffreddò notevolmente verso lo screditato eroe del romanzo. Nel miglior tessuto di duplicità c'è una maglia debole, che, se colpita, fa allentare tutta la trama; e se, con quel colpo fortunato, non avessimo scosso l'idolo dal suo piedistallo, chi può dire cosa sarebbe stato di noi, al momento della catastrofe?

Eppure in quel momento sembrò che non fossimo approdati a nulla. Dopo uno o due giorni, quell'uomo aveva cancellato i cattivi risultati della sua sconfitta e, secondo ogni apparenza, era più in auge che mai. Quanto a Lord Durrisdeer, egli era immerso nella sua paterna infatuazione: non si trattava tanto di amore, che è un impulso attivo, quanto di apatia, di torpore di ogni attività dello spirito; e il perdono (se si può trasporre in questo modo il significato di una parola tanto nobile) gli sfuggiva per pura debolezza, come le lacrime della senilità. Il caso della signora era diverso; e Dio solo sa che cosa costui trovò da dirle, o in che modo ne vinse il disdegno. Uno dei peggiori inconvenienti del sentimento è che dà più importanza alla voce che non alle parole e all'oratore piuttosto che al discorso; ma il Master deve pure avere trovato qualche scusa o magari scovò un artifizio, per rivolgere il suo smacco a proprio vantaggio poiché, dopo un certo periodo di freddezza, le cose sembrarono prosperare, peggio che mai, tra lui e la signora. Erano costantemente insieme. Non vorrei aver l'aria di gettare su quella sventurata dama nessun'ombra di biasimo, oltre quello che è dovuto a un semivolontario accecamento, ma credo che, in quegli ultimi giorni, lei scherzasse con il fuoco e, sia che in ciò io abbia ragione o mi inganni, una cosa è certa e sufficiente: il signor Henry era della mia stessa opinione. Quel pover'uomo restava per ore nella mia stanza, in un abbattimento tale che io non osavo neppure rivolgergli la parola. Però bisogna pur credere che trovasse qualche conforto nella mia presenza e nell'idea della mia compassione. Alcune volte parlavamo, ed era uno strano modo di conversare; non si nominava mai nessuno, né si alludeva a nessuna circostanza particolare; eppure avevamo in mente la stessa cosa, e ce ne accorgevamo tutti e due. E' veramente un'arte strana parlare per ore di qualcosa, senza mai nominarla e neppure accennarvi! Mi ricordo di essermi chiesto se, per mezzo di un'attitudine naturale di questo tipo, fosse possibile al Master fare la corte alla signora dalla mattina alla sera (come pareva chiaro) senza però mai destare i suoi scrupoli.


Per mostrare a qual punto le cose fossero arrivate con il signor Henry, riferirò alcune parole che lui disse (come non potrò mai dimenticare) il 26 febbraio del 1757. Faceva un tempo fuori di stagione, una recrudescenza dell'inverno: l'aria era ferma e rigida, il terreno tutto bianco di brina, il cielo grigio e basso; il mare nero e silenzioso come una cava di pietra. Il signor Henry sedeva vicino al fuoco e discuteva (com'era ormai sua abitudine) se fosse bene «intervenire», se fosse «prudente interporsi» ed altre simili frasi generiche che ognuno di noi applicava al caso specifico. Io ero vicino alla finestra e guardavo fuori, quando vidi passare, di sotto, il Master, la signora e la signorina Katharine, il terzetto ormai fisso. La bambina correva avanti e indietro, contenta della brinata; il Master parlava quasi all'orecchio della signora, con una grazia che sembrava (anche così da lontano) diabolicamente insinuante, e lei, da parte sua, guardava in terra, come chi sia assorto in quello che ascolta. Io ruppi il mio riserbo.


- Se fossi in voi, signor Henry, - dissi, - parlerei chiaramente con mylord.


- Mackellar, Mackellar, - mi rispose, - voi non capite quanto sia debole la mia posizione. Io non posso trascinare supposizioni così ignobili davanti a nessuno, meno che mai davanti a mio padre; tanto varrebbe, per me, cadere negli abissi del suo disprezzo. La debolezza della mia posizione, continuò, - dipende da me, dalla mia incapacità di ispirare amore. Io ho la loro gratitudine: tutti quanti non fanno che ripetermelo; né ho a iosa! Ma non mi hanno nel cuore; non sono indotti né a pensare come me, né a pensare a me. Ecco il mio guaio! - Si alzò in piedi e calpestò la brace. - Ma bisogna trovare un espediente, Mackellar, - disse, girandosi di scatto a guardarmi, - bisogna trovare qualche espediente. Io sono un uomo provvisto di molta pazienza, troppa, troppa. Comincio a disprezzare me stesso. Eppure, di certo, nessun uomo si trovò mai impigliato in una simile trappola! - E ricadde nelle sue meditazioni.


- Fatevi animo, - gli dissi. - Finirà da sé.


- Ormai sono incapace d'ira, - mi rispose, e questa frase era così poco coerente con la mia, che lasciai correre entrambe.




NOTE:


1) La vela («al terzo») del primo albero verso prua è messa in modo da prendere il vento in faccia, anziché da dietro; la velatura, cioè, è disposta in un modo che il piccolo bastimento stia relativamente fermo senza dare fondo all'ancora, e quindi pronto a prendere subito il largo.


2) Con le vele provvisoriamente e parzialmente chiuse.




CAPITOLO QUINTO


Resoconto di quanto accadde nella notte del 27 febbraio 1757


La sera del colloquio da me riferito prima, il Master uscì; rimase fuori anche gran parte del giorno seguente, il fatale 27; ma dove andasse, o che facesse, non ci curammo di chiederlo fino al giorno seguente. Se avessimo fatto in modo di saperlo, o se l'avessimo scoperto per un caso qualsiasi, gli eventi avrebbero potuto prendere un altro corso. Ma quanto facemmo fu compiuto nell'ignoranza e come tale va giudicato; perciò questi episodi verranno raccontati quali ci sembrarono nel momento in cui si produssero, tenendo in serbo ciò che poi scoprii, per il momento in cui ne avvenne la scoperta. Sono infatti giunto a una delle parti più fosche del mio racconto e devo sollecitare l'indulgenza del lettore per il mio padrone.


Il tempo rigido durò per tutto il 27: un freddo da togliere il fiato, paesani che passavano simili a fumaioli in funzione, un'altissima catasta di legna nell'ampio camino della sala, alcuni uccelli migratorii di primavera già capitati a nord dalle nostre parti che stringevano d'assedio le finestre del palazzo o zampettavano come impazziti sulle zolle gelate. Intorno a mezzogiorno un barlume di sole lasciò vedere un paesaggio molto pittoresco, invernale, gelato, di monti e boschi candidi, con il trabaccolo di Crail che aspettava il vento sotto Punta Craig e con il fumo che saliva dritto nell'aria da ogni masseria e da ogni casolare. All'avvicinarsi della sera la coltre di vapori si abbassò e la notte cadde buia, senza vento, estremamente fredda: una notte proprio fuori stagione, adatta a strani eventi.


La signora, com'era ormai sua abitudine, si ritirò molto presto.


Ultimamente avevamo preso a giocare a carte per passare la serata, segno anche questo di quanto il nostro ospite cominciasse ad essere stufo della vita di Durrisdeer; ma avevamo appena iniziato la partita quando mylord sgusciò dal suo posto vicino al fuoco e, senza una parola, andò a cercare il calduccio sotto le coperte. Fra i tre rimasti non regnavano amore né cortesia, nessuno di noi sarebbe rimasto alzato un solo istante per compiacere a un altro; ma, per la forza dell'abitudine, essendo già state distribuite le carte, si continuò la formalità di giocare quella mano. Devo far notare che eravamo abituati a fare tardi e che anche se il vecchio lord se ne era andato prima del solito, la mezzanotte, in realtà, era già scoccata da un po' sulla pendola e i servi erano a letto da un bel pezzo. Devo anche far notare che il Master, sebbene io non l'abbia mai veduto alterato dai liquori, aveva bevuto copiosamente e forse, senza mostrarlo affatto, era un po' riscaldato.


Comunque egli effettuò uno dei suoi soliti voltafaccia e senza il minimo cambiamento di voce, appena la porta si fu richiusa alle spalle di mylord, passò dall'ordinaria conversazione beneducata a un torrente di insulti.


- Mio caro Henry, tocca a te, - stava dicendo, ed ora continuò:- Sembra impossibile che anche in una cosa da niente come una partita a carte tu debba dimostrare la tua pesantezza. Giochi come un campagnolo, Giacobbe, o come un marinaio all'osteria. La stessa stupidità, la stessa avidità meschina, "cette lenteur d'hébété qui me fait rager": è incredibile che io abbia un fratello simile. Persino Piedipiatti trova un po' di vivacità quando la sua posta è in pericolo; ma mi mancano davvero le parole per descrivere la monotonia di una partita con te.


Il signor Henry continuava a guardare le proprie carte come se ponderasse molto maturamente una mossa; ma aveva la testa altrove.


- Dio mio, quando ti deciderai?- esclama il Master. - "Quel lourdeau"! Ma perché infastidirti con espressioni francesi, del tutto sprecate con un ignorante del tuo stampo? Un "lourdeau", mio caro fratello, è, come diremmo noi, un cafone, un gaglioffo, un bifolco, un individuo senza grazia, leggerezza, prontezza, privo del dono di piacere, privo di qualsiasi dote brillante, un individuo come quello che vedrai, ogni volta che tu voglia, guardando nello specchio. Ti dico queste cose per il tuo bene, te lo assicuro; inoltre, Piedipiatti, - e si rivolse a me, soffocando uno sbadiglio, - è una delle mie distrazioni in questo luogo noioso arrostire voi e il vostro padrone a fuoco lento, come castagne. Con voi il piacere è notevole, poiché osservo che il soprannome (rozzo com'è) ha sempre il potere di farvi sobbalzare. Ma qualche volta ho maggiori difficoltà con quel caro figliolo che sembra essersi addormentato sulle carte. Capisci come ti si attaglia l'epiteto che ti ho or ora chiarito, caro Henry?

Permettimi di dimostrartelo. Per esempio, a dispetto di tutte queste solide qualità di cui mi è grato darti atto, non ho mai conosciuto una donna che non preferisse me... né, proseguì dolcemente con deliberatissima intenzione, - né che non continui, io credo, a preferirmi.


Il signor Henry posò le carte. Si alzò in piedi pian piano, continuando ad avere l'aria di uno immerso in profonda meditazione. - Che vigliacco! - disse sommessamente, come tra sé. E poi, senza fretta e senza particolare violenza, colpì il Master sulla bocca.


Il Master balzò in piedi, trasfigurato; mai lo vidi così bello. - Uno schiaffo!- esclamò.- Neanche da Dio Onnipotente mi tengo uno schiaffo!

- Abbassa la voce, - disse il signor Henry. - Vuoi forse che mio padre intervenga di nuovo a difenderti?

- Signori, signori, - esclamai, cercando di frappormi tra di loro.


Il Master mi prese per una spalla, tenendomi scostato con il braccio teso e, sempre rivolto al fratello: - Ti rendi conto di quello che significa? - chiese.


- E' stato il gesto più deliberato della mia vita, - rispose il signor Henry.


- Voglio sangue, voglio sangue, per questo, - disse il Master.


- Piaccia a Dio che si tratti del tuo, - disse il signor Henry e, andato alla parete, tirò giù un paio di spade che vi erano appese insieme ad altre, senza fodero. - Mackellar vigilerà sulla correttezza del nostro combattimento, - aggiunse. Ritengo che sia molto necessario.


- Non serve che continui a insultarmi, - disse il Master, prendendo una delle spade, a caso. - Ti ho odiato per tutta la vita.


- Mio padre è andato a letto da poco, - disse il signor Henry. - Dobbiamo andare da qualche parte, fuori di casa.


- C'è un ottimo posto nella macchia, - disse il Master.


- Signori, - dissi io, - vergognatevi entrambi! Figli di una stessa madre, vorrete dunque attentare alla vita che vi diede?

- Proprio così, Mackellar, - mi rispose il signor Henry con la stessa perfetta tranquillità di modi che aveva mostrato fino a quel momento.


- Ve lo impedirò, - dichiarai.


Ed eccomi a confessare la vergogna della mia vita. A queste mie parole, il Master rivolse la sua lama contro il mio petto, vidi un bagliore scivolare lungo l'acciaio; e, alzate le braccia, caddi in ginocchio, davanti a lui, sul pavimento. - No, no, esclamai come un bambino.


- Non ci darà più noia, - disse il Master. - E' bene avere in casa un vigliacco.


- Servirà luce, - disse il signor Henry, come se non ci fosse stata nessuna interruzione.


- Questo pauroso ci può portare un paio di candele, - rispose il Master.


Sia detto a mia vergogna, io ero ancora così accecato dal lampo di quella spada nuda che mi offfrii di portare una lanterna.


- Non abbiamo bisogno di una l-l-lanterna,- disse il Master facendomi il verso. - Non c'è un alito di vento. Su, alzatevi in piedi, prendete due candelieri, e andate avanti. Io vi sarò alle calcagna con questa, - e, mentre parlava, fece luccicare la spada.


Presi i candelieri e precedetti i due fratelli con passi che vorrei cancellare anche a prezzo del mio sangue; ma un codardo non è che uno schiavo; e, mentre camminavo, i denti mi continuavano a battere in bocca. Era come aveva detto lui, non spirava un alito, un gelo senza vento aveva fermato l'aria e, mentre avanzavamo al lume delle candele, la tenebra formava come un soffitto sulle nostre teste. Non dicemmo una parola, né sentimmo altro suono, tranne lo scricchiolio dei nostri passi sul viottolo ghiacciato. Il freddo della notte mi si rovesciò addosso come un secchio d'acqua, accrescendo nelle mie vene il tremito provocato dal terrore; ma i miei compagni, usciti come me a testa scoperta dal salone ben riscaldato, non sembravano accorgersi del cambiamento di temperatura.


- Ecco il posto, - disse il Master. - Mettete giù le candele.


Feci quanto mi ordinava; subito le fiammelle si drizzarono, fisse come dentro una stanza, in mezzo agli alberi gelati; e io vidi i due fratelli prendere posizione.


- La luce mi batte negli occhi, - disse il Master.


- Ti concederò tutti i vantaggi,- replicò il signor Henry, spostandosi, - poiché credo che stai per morire. - Disse questo con tono, più che altro, triste, e tuttavia c'era una vibrazione nella sua voce.


- Henry Durie, - disse il Master, - due parole prima di cominciare.


Tu sei abituato alla scherma e a maneggiare il fioretto, ma ignori quanto sia diverso impugnare la spada! Perciò so che cadrai. Ma pensa com'è forte la mia posizione! Se cadi, io sparisco da questo paese, andandomene dove il mio denaro mi aspetta. Se cado io, in che panni ti trovi? Mio padre, tua moglie che, come ben sai, è innamorata di me, persino la tua bambina che mi preferisce a te... come mi vendicheranno! Avevi pensato a questo, caro Henry? - Guardò il fratello con un sorriso, poi fece un saluto da sala di scherma.


Il signor Henry non disse una parola, ma salutò lui pure, e le spade si incrociarono.


Io non sono un buon giudice di duelli e inoltre avevo perso la testa per il freddo, per lo spavento e per l'orrore, ma sembra che il signor Henry abbia preso e mantenuto il vantaggio fin dal legamento, investendo l'avversario con una furia contenuta e ardente. Lo strinse sempre più da vicino finché, a un tratto, il Master balzò indietro con una bestemmia soffocata, e quella mossa, credo, gli riportò la luce di fronte. Il combattimento continuò sul nuovo terreno; ma ora forse più serrato, il signor Henry incalzando più ferocemente e il Master sentendosi scosso, senza dubbio, nella propria baldanza. Non c'è dubbio, infatti, che egli cominciasse a sentirsi perduto e a provare il freddo spasimo della paura; altrimenti, non avrebbe mai osato trasgredire le norme cavalleresche. Non posso dire che io me ne accorsi, il mio occhio inesperto non era pronto abbastanza da percepire i particolari; ma sembra che Ballantrae abbia afferrato la lama di suo fratello con la sinistra: una mossa illecita. Fatto sta che il signor Henry poté salvarsi solo facendo uno scarto, e che il Master facendo l'affondo nel vuoto, inciampò e cadde su un ginocchio, mentre, prima che potesse fare un solo gesto, la spada gli entrava in corpo.


Lanciai un grido soffocato e mi avvicinai di corsa; ma il corpo era già caduto al suolo, dove guizzò per un momento come un verme calpestato, e poi giacque immobile.


- Guardategli la mano sinistra, - mi ordinò il signor Henry.


- E' tutta insanguinata, - dissi.


- Nel palmo? - chiese lui.


- Ha un taglio nel palmo, - risposi.


- L'avevo immaginato, - disse lui, e girò le spalle.


Aprii le vesti del caduto; il cuore era del tutto immobile, non aveva nessun fremito.


- Dio ci perdoni, signor Henry, - esclamai. - E' morto.


- Morto? - ripeté lui, un po' intontito; e poi, in un crescendo: - Morto? morto? - continuò; e, improvvisamente gettò in terra la spada insanguinata.


- Che dobbiamo fare? - dissi. - Tornate in voi, signore. E' troppo tardi adesso: dovete tornare in voi.


Si girò, e mi fissò con gli occhi sbarrati.- Oh, Mackellar!

esclamò, e si nascose il volto fra le mani.


Io lo tirai per la giacca. - Per amor di Dio, per pietà di tutti noi, siate più coraggioso! - dissi. - Che dobbiamo fare?

Mi mostrò il viso, con la stessa imbambolata fissità di sguardo.- Fare? - chiese. - E, nel dir così, gli venne di girare gli occhi verso il cadavere. - Oh! - gemette e si portò la mano alla fronte, come ricordando solo in quel momento. Poi, voltatemi le spalle, prese a correre verso il palazzo di Durrisdeer, con un'andatura strana e barcollante.


Rimasi per un attimo soprappensiero; ma presto mi sembrò che il mio dovere fosse tutto verso i vivi, e mi slanciai dietro al mio padrone, lasciando le candele sul terreno coperto di brina e il corpo del caduto a giacere alla loro luce, sotto gli alberi. Ma ebbi un bel correre. Il mio padrone aveva avuto il vantaggio, e, quando arrivai al portone, egli era già dentro, su nella sala, dove lo trovai vicino al fuoco, con la faccia di nuovo fra le mani e tutto scosso dal tremito.


- Signor Henry, signor Henry, - dissi, - questa sarà la nostra rovina finale.


- Che ho fatto? - esclamò lui, e poi, guardandomi con una espressione che non dimenticherò mai: - Chi lo dirà al vecchio?- chiese.


Quella domanda mi percosse il cuore; ma non era tempo da debolezze.


Gli versai un bicchiere di acquavite. - Bevete, dissi, - bevete tutto. - Lo costrinsi a inghiottire, come si fa con un bambino, ed essendo anch'io mezzo morto per il freddo della notte, seguii il suo esempio.


- Bisogna dirglielo, Mackellar, - egli insisté. - Bisogna dirglielo.


- E, cadendo all'improvviso su una sedia, la sedia del vecchio lord, nel canto del fuoco, cominciò a sussultare per i singhiozzi.


Lo sgomento mi scese nell'anima; era evidente che non si poteva sperare aiuto dal signor Henry.


- Ebbene, - dissi, - restate lì, e lasciate fare a me. - E, presa in mano una candela, uscii dalla sala, internandomi nella casa oscura.


La quiete qui era perfetta; dovevo supporre che tutto fosse passato inosservato; e stava ora a me considerare come cavarmela fino in fondo, con altrettanta segretezza. Non era tempo di scrupoli; perciò aprii la porta della camera della signora, senza nemmeno bussare, ed entrai arditamente.


- E' successa una disgrazia! - lei esclamò, rizzandosi a sedere sul letto.


- Signora, - dissi, - io tornerò nel corridoio e voi mettetevi qualcosa addosso più presto che potete, vi prego. C'e molto da fare.


Non mi importunò con nessuna domanda, né si fece aspettare. Prima che avessi tempo di preparare una parola di ciò che dovevo dirle, era sulla soglia, facendomi segno di entrare.


- Signora,- dissi. - Se non vi sentite molto coraggiosa, dovrò rivolgermi altrove; perché, stanotte, se nessuno mi aiuta, per la casa di Durrisdeer è la fine.


- Sono molto coraggiosa, - lei rispose; e mi guardò con una specie di sorriso, penosissimo a vedere, ma anche molto deciso.


- Siamo arrivati a un duello, - dissi.


- Un duello? - lei ripeté. - Un duello! Henry e...


- E il Master, - dissi io. - Per quanto tempo sono state sopportate sevizie, di cui voi non sapete niente, che voi non credereste, se ve le raccontassi. Ma stanotte esse passavano il segno; e, quando lui vi ha insultata...


- Fermatevi, - lei disse. - Lui? Chi?

- Oh, signora, - esclamai, non potendo più contenere la mia amarezza, - me lo chiedete? Allora posso davvero andare a chiedere aiuto altrove; non ne troverò qui!

- Non so in che cosa io possa avervi offeso,- lei disse.


Perdonatemi; toglietemi da questa incertezza.


Ma io non osavo ancora raccontarle tutto; non mi sentivo sicuro di lei; e con quel dubbio, e sotto l'impressione d'impotenza che esso portava con sé, mi rivolsi a quella povera donna con un sentimento simile all'ira.


- Signora, - dissi, - noi parliamo di due uomini, uno di essi vi ha insultata e voi chiedete chi sia. Vi aiuterò a trovare una risposta.


Voi avete passato tutte le vostre ore con uno di questi due uomini: vi ha rimproverata, forse, l'altro? Voi siete stata sempre gentile con quell'uomo, con l'altro, com'è vero che Dio mi vede e giudica fra noi, non sempre, credo: vi è mai venuto meno il suo amore? Stanotte uno dei due ha detto all'altro, in mia presenza, in presenza di un estraneo salariato, che voi eravate innamorata di lui. Prima che io dica una parola di più, voi stessa dovete rispondere alla vostra domanda: Chi era colui? Anzi, signora, dovete rispondere a un'altra domanda: Se siamo arrivati a questa conclusione orrenda, di chi è la colpa?

Mi guardava come abbagliata. - Dio mio! - gemette, dapprima come se l'esclamazione le prorompesse involontaria dal petto; e poi, una seconda volta, come bisbigliando fra sé: - Dio mio! In nome della Divina Misericordia, Mackellar, che è successo? esclamò. - Sono pronta: posso ascoltare ogni cosa.


- Non siete pronta, - dissi. - Qualunque cosa sia accaduto, dovete dire prima che la colpa è vostra.


- Oh! - esclamò, facendo un gesto come per torcersi le mani, quest'uomo mi farà impazzire! Non potete smettere di pensare a me?

- Io non penso affatto a voi, - esclamai. - Non penso che al mio caro e sventurato padrone.


- Ah! - lei esclamò, premendosi una mano sul cuore. - Henry è morto?

- Abbassate la voce, - dissi. - No. L'altro.


La vidi vacillare, come ciò che è colpito dal vento e, non so se per codardia o per angoscia, distolsi lo sguardo e fissai il pavimento. - Queste sono notizie tremende,- dissi alla fine, quando il suo silenzio cominciò a preoccuparmi;- tanto più coraggio dobbiamo avere, voi ed io, se si vuole salvare la casa.- Neppure allora lei rispose. - C'è inoltre la signorina Katharine, - aggiunsi: - e, se non rimediamo questa sciagura, le toccherà un retaggio di vergogna.


Non so se la riscosse il pensiero della sua bambina, o l'impressione della rude parola vergogna; comunque, appena ebbi finito di parlare, passò fra le sue labbra un suono quale non avevo mai sentito: sembrava che giacesse sepolta sotto una montagna, e che cercasse di rimuoverne il peso. E, un momento dopo, trovò una parvenza di voce.


- E' stato un combattimento, - bisbigliò. - Non è stato...? e la parola non fu detta.


- E' stato un combattimento leale da parte del mio caro padrone,- dissi. - Quanto all'altro, fu ucciso proprio nell'atto di un colpo a tradimento. - No! - lei esclamò.


- Signora, - dissi, - l'odio contro quell'uomo divampa nel mio petto come ardente fuoco; già, anche adesso che è morto. Dio lo sa, se avrei impedito il combattimento, solo che mi fosse bastato l'animo. Per mia vergogna, non l'ho avuto. Ma, quando vidi quell'uomo cadere, se avessi potuto formare un solo pensiero che non fosse di pietà per il mio padrone, quello sarebbe stato di esultanza per la nostra liberazione.


Non so se lei mi badasse; ma le sue prime parole furono: - E mylord?

- Provvederò io, - risposi.


- Pensate di parlargli come avete fatto con me? - chiese.


- Signora, - dissi, - non avete da pensare a un altro? Per mylord lasciate fare a me.


- Un altro? - lei ripeté.


- Vostro marito, - dissi. Mi guardò, con un'espressione indecifrabile. - Contate forse di girargli le spalle? - chiesi.


Continuò a guardarmi; poi si premette di nuovo le mani sul cuore. - No, - rispose - Dio vi benedica, per questa parola! - esclamai. - Andate da lui adesso: è seduto in sala; parlategli, non importa quello che gli direte; dategli la mano, dite: «So tutto»; e, se per grazia di Dio ci riuscite, dite: «Perdono».


- Dio vi dia forza e vi renda misericordioso, - mormorò. - Io andrò da mio marito.


- Vi accompagno con il lume fin là, - aggiunsi, prendendo la candela.


- Troverò la strada anche al buio, - disse con un brivido, e credo che rabbrividisse di me.


Così ci separammo. Scese giù, verso il fioco lume che filtrava dalla porta della sala; io andai lungo il corridoio verso la camera di mylord. Mi sarebbe difficile spiegarne il perché, ma non potei piombare nella camera del vecchio come ero piombato in quella della giovane. Per quanto riluttante, dovetti bussare. Forse il capo di casa era assopito appena, come succede ai vecchi, o forse non dormiva affatto: al primo colpo, mi ordinò di entrare.


Anche egli si drizzò a sedere sul letto: sembrava vecchissimo ed esangue; e mentre vestito ed alla luce del giorno mostrava una certa robustezza di aspetto, in quel momento mi sembrò fragile e minuto, con una faccia che, senza la parrucca, sembrava piccola come quella di un bambino. Ciò mi intimidì, non meno del feroce presentimento di sventura che c'era nel suo sguardo. La voce, però, era persino pacata, quando egli mi chiese che cosa volessi. Posai la mia candela sopra una sedia e, curvandomi ai piedi del letto, lo guardai.


- Lord Durrisdeer, - dissi - voi sapete bene che io sono un partigiano nella vostra famiglia.


- Spero che nessuno di noi sia partigiano, - replicò egli. Che voi amiate sinceramente mio figlio, è sempre stato per me un piacere.


- Oh, mylord, è passato per noi il tempo dei complimenti! esclamai.


- Se vogliamo salvare dall'incendio qualcosa, dovremo guardare i fatti nella loro nudità. IO sono un partigiano; e partigiani siamo stati tutti; e quale partigiano vengo qui, nel cuore della notte, a perorare davanti a voi. Ascoltatemi; prima di andarmene, vi dirò il perché.


- Io vi ascolterò sempre, signor Mackellar, - egli disse, - ed a qualunque ora del giorno o della notte, poiché sarò sempre certo della giustezza delle vostre ragioni. Voi avete già parlato una volta perfettamente a proposito; non me ne sono dimenticato.


- Sono venuto a perorare la causa del mio padrone, aggiunsi. - Non serve che io vi dica come egli si comporta. Voi sapete in che situazione si trova. Sapete con quale generosità egli ha sempre contentato l'altro vostro... contentato i vostri desideri, - mi corressi, incespicando sul nome di figlio. Voi sapete, voi dovete sapere, quello che ha sofferto, quello che ha sofferto per sua moglie.


- Signor Mackellar! - esclamò mylord, drizzandosi nel letto come un leone disturbato nel suo covo.


- Dicevate che mi avreste ascoltato, - continuai. - Ciò che non sapete, ciò che dovreste sapere, una delle cose di cui sono venuto a parlarvi, è la persecuzione che egli deve tollerare in privato. Voi non avete voltato ancora le spalle, che qualcuno che io non oso nominare a voi, l'investe con i più spietati sarcasmi, buttandogli in faccia... scusatemi, mio lord... buttandogli in faccia la vostra predilezione, chiamandolo Giacobbe, chiamandolo zotico, perseguitandolo con canzonature ingenerose, che nessun uomo sopporterebbe. E solo che appaia uno di famiglia, subito cambia tono, e il mio padrone deve sorridere e inchinarsi a colui che l'ha ricoperto d'insulti; io so qualcosa di quegli insulti, perché ne ho avuto la mia parte, e vi assicuro che rendono la vita insopportabile.


Si va avanti così da mesi, fin dallo sbarco; la prima sera il mio padrone è stato salutato con il nome di Giacobbe.


Mylord fece l'atto di gettar da parte le coperte e alzarsi. Se in quello che dite c'è del vero... - cominciò.


- Ho forse l'aria di uno che mente? - lo interruppi, trattenendolo con la mano.


- Dovevate dirmelo subito, - egli ribatté.


- Oh, mylord! - esclamai. - Così avrei dovuto fare, e voi avete ragione di odiare la faccia di questo servo infedele.


- Prenderò provvedimenti, subito, - continuò il vecchio. - E fece di nuovo l'atto di alzarsi.


Di nuovo lo trattenni. - Non ho finito, - continuai. Volesse Iddio che avessi finito! Il mio caro e sventurato padrone ha sopportato tutto senza aiuto e senza difesa. La vostra miglior parola, per lui, mylord, era soltanto di gratitudine. Eppure, anche lui era figlio vostro! Egli non aveva altro padre. Era odiato in paese, Dio sa quanto ingiustamente. Non aveva trovato amore nel matrimonio. Da tutte le parti gli mancavano affetto e sostegno, caro, generoso, sventurato, nobile cuore!

- Le vostre lacrime fanno molto onore a voi e molta vergogna a me, - disse mylord, tremando come un paralitico. - Ma voi sbagliate un po' nel giudicare. Henry mi è sempre stato caro, molto caro. James (non lo nego, signor Mackellar), James, forse mi è ancora più caro; voi non avete visto il mio James in una luce favorevole; le sventure hanno alterato la sua natura e non possiamo esimerci dal ricordare quanto esse furono grandi e immeritate. Anche adesso è di indole affettuosissima. Ma non voglio parlare di lui. Quello che dite di Henry è verissimo; non me ne stupisco, so quanto egli è magnanimo; volete dire che io ne approfitto? E' possibile; certe virtù sono pericolose, tentano ad abusarne. Signor Mackellar, voglio rimediare; voglio provvedere. Sono stato debole; e, peggio ancora, sono stato malaccorto.


- Avendo sulla coscienza ciò che mi resta da dire, non posso permettervi di biasimare voi stesso, - replicai. - Voi non siete stato debole; siete stato raggirato da un simulatore diabolico. Avete visto da solo come egli vi ha ingannato a proposito del suo pericolo:

vi ha ingannato in ogni atto della sua condotta. Vorrei strapparvelo dal cuore; vorrei costringervi a rivolgere lo sguardo sull'altro figlio; quello è un figlio vero!

- No, no, - egli disse, - due sono i miei figli: ho due figlioli.


Io feci un gesto di disperazione che lo turbò; mi guardò con viso mutato. - C'è di peggio? - chiese, con voce che si spense nel punto stesso in cui faceva la domanda.


- Molto peggio, - risposi. - Stanotte egli ha detto al signor Henry queste parole: «Non ho mai incontrato una donna che non mi preferisse né che non continui, io credo, a preferirmi».


- Non permetto che si parli contro mia figlia, - esclamò il vecchio; e, dalla sua prontezza nell'interrompermi su questo soggetto, arguisco che i suoi occhi non fossero così annebbiati come avevo supposto, e che egli avesse seguito non senza ansietà l'assedio sostenuto dalla signora.


- Non penso affatto a biasimarla, - esclamai. - Non si tratta di questo. Quelle parole furono dette in mia presenza al signor Henry; e, se a voi non sembrano chiare abbastanza, vi riferirò queste altre, che furono dette poco dopo: «Tua moglie, che è innamorata di me».


- C'è stato un alterco? - mi chiese.


Assentii col capo.


- Bisogna che io vada, - riprese, ricominciando a scendere dal letto.


- No no! - esclamai, protendendo le mani.


- Voi non capite, - mi disse. - Certe parole sono pericolose.


- Non è possibile farvi indovinare, mylord? - chiesi.


I suoi occhi imploravano la verità.


Caddi in ginocchio vicino al letto. - Oh, mylord, esclamai, - pensate a colui che vi resta; pensate al povero peccatore che voi avete generato, che vostra moglie ha partorito, e che nessuno di noi ha soccorso come doveva; pensate a lui, non a voi; lui è la vittima, pensate a lui! Ecco la porta del dolore, la porta di Cristo, la porta di Dio: è tutta spalancata! Pensate a lui, proprio come lui ha pensato a voi. «Chi lo dirà al vecchio?»: queste sono state le sue prime parole. Perciò sono venuto; perciò sono qui ad implorarvi in ginocchio.


- Lasciatemi alzare, - esclamò respingendomi, e fu in piedi prima di me. La voce gli tremava come vela al vento; pure egli parlava in tono abbastanza vibrato; e, sebbene la sua faccia fosse bianca come la neve, i suoi occhi erano asciutti e fermi.- Non è tempo di discorrere, - disse. - Dov'è successo?

- Nella macchia, - risposi.


- E il signor Henry dove è? - mi chiese. E quando glielo ebbi detto, aggrottò la faccia, riflettendo.


- E il signor James? - chiese poi.


- L'ho lasciato in terra, - risposi, - accanto alle candele.


- Candele? - egli esclamò. E, nel dire così, corse alla finestra, l'aprì e guardò fuori. - Potrebbero vedere la luce dalla strada.


- Non ci passa nessuno a quest'ora, - obiettai.


- Non si sa mai, - replicò. E quindi: - Sentite? - esclamò. Che cos'è?

Era un rumore furtivo di remi nella baia e glielo dissi.


- I contrabbandieri,- disse lui. - Correte subito, Mackellar; spegnete quelle candele. Intanto io mi vestirò; e quando ritornerete, discuteremo sulla decisione da prendere.


Scesi a tentoni le scale e mi affacciai dalla porta. Il chiarore era visibile a grande distanza e punteggiava di luccichii la macchia; in una notte così nera, avrebbe potuto distinguersi in un raggio di molte miglia e mi rimproverai aspramente per l'imprudenza. Quanto più aspramente mi biasimai, quando giunsi sul posto! Uno dei candelieri era rovesciato e la candela era spenta. L'altra continuava a bruciare, formando una larga zona di luce sul terreno gelato. Ogni cosa, dentro quel cerchio, in virtù del contrasto con la tenebra incombente, pareva più chiara che nella luce del giorno. Al centro dello spiazzo c'era la pozza del sangue; e, un po' più oltre, la spada del signor Henry che aveva l'elsa d'argento; ma del corpo, neppure la minima traccia. Il cuore mi martellava contro le costole, e i capelli mi si rizzavano sulla fronte, mentre stavo là a guardare, tanto strano era lo spettacolo, e così orrendi i terrori che esso risvegliava. Guardai a destra e a sinistra; il suolo indurito niente rivelava. Stetti in ascolto, finché non ne ebbi gli orecchi indolenziti; ma la notte, intorno a me, era silenziosa come una chiesa deserta; non un soffio increspava l'onda sulle rive: si sarebbe potuto sentire la caduta di uno spillo nella contea.


Spensi la candela e la tenebra piombò su di me che brancolavo; mi circondò come una calca; e io tornai verso il palazzo di Durrisdeer girandomi indietro e trasalendo, lungo il percorso, per un oscuro sgomento. Sulla porta, una forma si mosse verso di me, e io fui sul punto di urlare dal terrore, prima di riconoscere la signora.


- Glielo avete detto? - mi chiese.


- Lui mi ha mandato, - risposi. - Non c'è più, sapete. Ma perché siete venuta fin qui?

- Non c'è più! - lei ripeté. - Che cosa non c'è più?

- Il corpo, - risposi. - Perché non siete con vostro marito?

- Non c'è più? - lei continuava a ripetere.- Forse non avete guardato bene. Tornate indietro.


- Non c'è luce, ora, - dissi. - Non oso.


- Io ci vedo anche al buio. E' tanto che sono qui, tanto tanto, - riprese. - Venite, datemi la mano.


Tenendoci per mano, tornammo alla macchia, e allo spiazzo funesto.


- Badate al sangue, - dissi.


- Sangue? - esclamò. E diede un violento balzo indietro.


- Suppongo che sia qui, - ripresi. - Sono come cieco.


- No, - lei disse. - Non c'è niente! Non avete sognato?

- Volesse Iddio che tutti avessimo sognato! - esclamai.


Lei vide la spada, la raccolse, e alla vista del sangue, la lasciò cadere spalancando le braccia.- Ah!- esclamò. E poi, con improvviso coraggio, la riprese, e l'infisse fino all'elsa nel terreno gelato. - La riporterò a casa e la pulirò bene, disse e di nuovo si guardò intorno, da ogni parte. - Può darsi che non fosse morto, - aggiunse.


- Il cuore non batteva più, - replicai; e poi, ritornando in me: - Perché non siete rimasta con vostro marito?

- E' inutile, - rispose, - non vuol parlare con me.


- Non vuol parlare con voi? - ripetei. - Oh, forse non avete provato a farlo parlare!

- Avete il diritto di sospettare di me, - lei disse, con garbata dignità.


A queste parole, per la prima volta, sentii compassione di lei. - Dio sa, signora, - esclamai, - Dio sa che non sono crudele come sembro.


Chi mai, in questa notte spaventosa, potrebbe misurare le parole? Ma io sono amico di tutti coloro che non sono nemici di Henry Durie.


- E' strano, allora, che voi esitiate per sua moglie, - lei disse.


Vidi a un tratto, come se si fosse squarciato un velo, quanto nobilmente sopportava quella calamità disumana, e quanto generosamente tollerava le mie rampogne.


- Dobbiamo tornare indietro, per informare mylord, - dissi.


- Non ho il coraggio di vederlo, - lei mormorò.


- Lo troverete meno turbato di tutti noi, - le risposi.


- Ma io non ho il coraggio di vederlo, - insisté.


- Ebbene, - aggiunsi, - voi potete tornare dal signor Henry, andrò io da mylord.


Mentre tornavamo indietro, io con i candelieri, lei con la spada (strano carico per una donna), la signora ebbe un'altra idea:

Dobbiamo dirlo a Henry? - mi chiese.


- Deciderà mylord, - risposi.


Quando rientrai nella sua camera, era quasi vestito. Mi ascoltò accigliandosi. - L'hanno portato via i contrabbandieri, disse.- Ma vivo o morto?

- Mi pareva... - cominciai, e non proseguii, per vergogna. Lo so, ma potete benissimo esservi ingannato. Perché l'avrebbero portato via, se non era vivo? - chiese. - Oh, si apre una gran porta alla speranza.


Bisogna spargere la voce che è partito, così com'è venuto, inaspettatamente. Dobbiamo evitare ogni scandalo.


Capii che lui pure, come ognuno di noi, pensava soprattutto all'onore della casata. Ora che tutti i superstiti della famiglia erano immersi in un lutto inconsolabile, per un fenomeno strano, non solo i Duries, ma lo stesso amministratore salariato, concentravano il pensiero nell'idea astratta della famiglia,cercando di preservare l'evanescente inconsistenza della sua reputazione.


- Dobbiamo dirlo al signor Henry? - gli chiesi.


- Vedremo, - mi rispose. - Andrò prima di tutto da lui; poi verrò con voi, per visitare la macchia e riflettere sul da farsi.


Scendemmo nel salone. Il signor Henry era seduto accanto alla tavola con la testa fra le mani, e pareva di sasso. Sua moglie stava un po' in disparte, dietro di lui, con una mano alla bocca; era evidente che lei non poteva smuoverlo dalla sua fissità. Il mio vecchio lord si diresse verso il figlio con passo fermo; era calmo anche in viso, ma forse un po' freddo. Quando gli fu vicino, gli tese tutte e due le mani, e disse: Figlio mio!

Con un gemito rotto e soffocato, il signor Henry balzò in piedi e si buttò al collo del padre, piangendo e singhiozzando: e fu lo spettacolo più angoscioso che si fosse mai visto sulla terra:- Oh, padre!- esclamava, - sapete che gli volevo bene; sapete che in principio gli volevo bene! Ero pronto a morire per lui, lo sapete! Per lui e per voi avrei dato la vita. Dite che lo sapete! Dite che mi perdonate. Oh, padre, padre, che ho fatto? Che ho fatto? Ed eravamo ragazzi insieme!- e così dicendo, lacrimava e sussultava e accarezzava il vecchio, e gli si stringeva al collo, con la frenesia di un fanciullo atterrito.


Poi si accorse di sua moglie (sembrò scorgerla solo allora), si avvide che lei stava ad ascoltarlo piangendo, e in un attimo fu ai piedi di lei. - Oh, bambina mia, - esclamò, - anche tu devi perdonarmi! Non un marito sono stato per te, sono stato soltanto la rovina della tua vita. Ma mi hai conosciuto, da ragazzo; non c'era nessun cattivo sentimento, allora, in Henry Durie; e lui voleva essere un amico per te. E' ancora lui, è il ragazzo che una volta giocava con te; oh, non potrai perdonarlo?

Durante tutta questa scena, mylord si contenne come un freddo, compito spettatore, senza perdere affatto la testa. Al primo urlo del signor Henry, che avrebbe potuto davvero richiamare tutta la servitù, si era rivolto verso di me, per dirmi di chiudere la porta. Ed ora annuì, tra sé.


- Possiamo lasciarlo alle cure di sua moglie, adesso, - mi fece. - Portate un lume, Mackellar.


Tornando fuori con mylord, mi accorsi di un fenomeno strano:

quantunque facesse ancora buio fitto, e la notte non fosse inoltrata, sembrava di sentire l'aroma del mattino. Intorno, i rami dei sempreverdi tremavano con un fruscio di mare appena increspato, e l'aria ci alitava in viso a sbuffi leggeri, facendo tremare la fiamma della nostra candela. Tanto più ci affrettammo, credo, circondati da quel rimescolio, visitammo la scena del duello, dove il mio lord guardò il sangue con stoicismo, e procedendo oltre, verso la cala, trovammo infine qualche indizio di verità. Poiché, anzitutto, là dove uno stagno attraversava il sentiero, risultava che il ghiaccio aveva ceduto, evidentemente sotto il peso di più uomini. Inoltre, un po' più in là, c'era un alberello schiantato, e giù presso l'approdo, dove solitamente venivano tirate in secco le imbarcazioni dei contrabbandieri, un'altra macchia di sangue segnava il luogo sul quale il corpo doveva essere stato deposto, per dare riposo ai portatori.


Ci mettemmo a lavare quella macchia con l'acqua di mare, raccogliendola nel cappello di mylord, e, mentre eravamo così occupati, una folata improvvisa ci investì mugolando, e ci lasciò al buio.


- Presto nevicherà, - disse mylord, - e sarà il meglio che potessimo sperare. Torniamo indietro adesso; non potremmo fare niente, così al buio.


Mentre ci dirigevamo verso casa, essendosi l'aria di nuovo acquetata, sentimmo intorno a noi, nella notte, il rumore di un forte picchiettìo e quando uscimmo fuori dal tetto degli alberi ci accorgemmo che pioveva a dirotto.


Durante tutti questi fatti, mylord non aveva smesso di fornire argomenti alla mia meraviglia, sia per la sua lucidità di mente, sia per l'alacrità dei suoi atti. Finì di stupirmi nel conciliabolo che tenemmo al ritorno. I contrabbandieri, di certo, si erano impadroniti del Master, vivo o morto che fosse, la pioggia avrebbe cancellato ogni traccia degli eventi notturni, ben prima che albeggiasse: bisognava approfittare di tali congiunture. Il Master era arrivato inaspettatamente dopo il tramonto, bisognava adesso far correre la voce che egli era partito all'improvviso prima dell'alba; e, per rendere credibile tale voce, non mi rimaneva che salire nella camera dello scomparso, per fare i suoi bagagli e nasconderli. Di certo rimanevamo alla mercé della discrezione dei contrabbandieri; ma a questo punto debole della nostra colpa non c'era rimedio.


Ascoltai le sue istruzioni, come ho detto, con meraviglia e mi affrettai a obbedire. Il signor Henry e la signora erano andati via dal salone; mylord, per riscaldarsi, tornò a letto; i servi non davano il minimo segno di essere svegli, e mi sentii l'animo oppresso da un'orribile solitudine, salendo le scale della torre ed entrando nella camera dello scomparso. Con mia estrema sorpresa, era tutta sottosopra in vista di una partenza. Di tre sacche da viaggio, due erano già chiuse a chiave, la terza era aperta, ma quasi piena. Mi balenò a un tratto qualche sospetto della verità. Costui stava dunque per andarsene, in fin dei conti; non aspettava che Crail, il quale, a sua volta, aspettava il vento; di prima sera, i marinai si erano accorti che il tempo stava per cambiare, l'imbarcazione era venuta a terra per segnalare il cambiamento e chiamare a bordo il passeggero, e l'equipaggio dell'imbarcazione aveva inciampato nel corpo immerso nel proprio sangue. Proprio così e c'era dell'altro ancora. Questa partenza, prevista e preparata, gettava qualche luce sull'incredibile insulto della sera avanti: esso era un colpo estremo, sfogo di un odio non più represso dalle convenienze. E, d'altra parte, la natura di quell'insulto e la condotta della signora suggerivano una conclusione che non ho mai verificato né mai potrò verificare fino al giorno del Giudizio, la conclusione che il Master avesse finalmente ecceduto, spingendo troppo oltre le sue galanterie, e che fosse stato respinto.


Questo, come ho detto, non si potrà mai verificare; tuttavia quando, nel rimestare quella mattina fra i bagagli, quell'idea mi balenò alla mente, essa mi riuscì dolce come il miele.


Prima di chiudere la sacca aperta, frugai un po' dentro. C'erano preziose trine e biancheria finissima, molti di quei vestiti eleganti e semplici che il Master si compiaceva d'indossare, nonché alcuni libri, tutti di prim'ordine: i "Commentari" di Cesare, un volume di Hobbes, l'"Henriade" del signor di Voltaire, un libro sulle Indie, un altro di matematica che superava di gran lunga la portata dei miei studi in materia, ed io notai tutto questo con sentimenti contraddittori. Ma nella sacca aperta non ritrovai nessun documento.


Mi misi a riflettere. Poteva darsi che egli fosse morto, ma poiché i contrabbandieri l'avevano portato via, quest'ipotesi non era probabile. Era possibile che egli morisse della sua ferita ma era possibile anche che si salvasse. E, in previsione di quest'ultima eventualità, ero deciso a procurarmi qualche mezzo di difesa.


Portai l'una dopo l'altra le sacche da viaggio in cima alla casa, in un solaio che tenevamo chiuso, andai in camera mia a prendere le mie chiavi e, tornato al solaio, ebbi il piacere di trovarne due che andavano abbastanza bene. In una sacca c'era un portafogli di zigrino, che aprii con il mio coltello; e, da quel momento, la reputazione dello scomparso fu in mia balia. Trovai una gran quantità di corrispondenza galante, specialmente dei tempi parigini; e, cosa che mi tornava più a proposito, le minute dei rapporti al segretario di Stato inglese, e gli originali delle risposte del segretario medesimo; una serie di prove capitali, che, a pubblicarle, sarebbero bastate per disonorare il Master e per far mettere a prezzo la sua testa.


Ridacchiavo tra di me, nello scorrere quei documenti; mi fregavo le mani, e canterellavo allegramente. Il giorno mi trovò ancora assorto in quella piacevole occupazione; né mi distolse dalla mia perquisizione, se non nell'intervallo in cui, avvicinatomi alla finestra, per guardare un po' fuori, vidi scomparsa la brinata, il paesaggio di nuovo scuro, la baia sferzata dall'acquazzone e dal vento, e potei assicurarmi che il trabaccolo aveva lasciato l'ancoraggio e che il Master (morto o vivo che fosse) sballottava ormai sul Mare d'Irlanda.


Converrà che io aggiunga, a questo punto, il poco che in seguito mi riuscì di raggranellare a proposito dei fatti di quella notte. Mi ci volle molto a raccogliere qualche informazione; sia perché non osavo interrogare apertamente, sia perché i contrabbandieri mi guardavano con inimicizia, se non addirittura con disprezzo. Passarono circa sei mesi, prima che ci fosse data per certa la sopravvivenza dello scomparso; e passarono degli anni prima che io venissi a sapere da uno degli uomini di Crail, diventato albergatore per mezzo dei guadagni fatti con le sue cattive azioni, alcuni particolari che mi sembravano veri. A quanto pare, i contrabbandieri trovarono il Master mentre tentava di sollevarsi sopra un gomito, ora girando attorno lo sguardo imbambolato ora fissando come un ebete la candela, oppure la sua mano sanguinante. Al loro arrivo, sembrò riprendere conoscenza, ordinò che lo trasportassero a bordo e che tacessero; e al capitano che gli chiedeva come si fosse ridotto in quello stato, rispose con un profluvio di furiose bestemmie, e subito perse i sensi. I contrabbandieri, all'inizio, erano discordi sul da farsi; ma, siccome non aspettavano che il vento per fare vela ed erano pagati enormemente per trasportare clandestinamente in Francia il Master, conveniva loro sbrigarsi. Inoltre, quegli sciagurati avevano per lui qualche simpatia: ritenevano che gli pendesse sulla testa una condanna a morte, non sapevano in che guaio si fosse beccato la sua ferita, e giudicavano opera buona toglierlo dal luogo del pericolo. Così egli fu portato a bordo, si riebbe durante la traversata e sbarcò all'Havre de Grace in stato di convalescenza. Cosa notevole davvero: egli non disse una parola a nessuno a proposito del duello, e, fino ad oggi, nessun contrabbandiere sa in quale lite, o per mano di quale avversario egli fosse caduto. In qualunque altro uomo avrei attribuito questa discrezione a un sentimento di pudore: in lui l'ascrivo ad orgoglio.


Il Master non poteva ridursi a confessare, nemmeno a se stesso, di essere stato sconfitto da una persona che egli aveva talmente insultato e che egli disprezzava in modo tanto atroce.




CAPITOLO SESTO


Riepilogo dei fatti successi durante la seconda assenza del Master


Posso ripensare con serenità alla tremenda malattia che si manifestò nel signor Henry la mattina successiva, in quanto fu l'ultima sciagura vera e propria che colpì il mio padrone. Forse si può perfino considerarla una grazia concessagli sotto mentite spoglie. Quale sofferenza fisica, infatti, poteva eguagliare l'infelicità del suo animo? La signora ed io accudimmo all'infermo. Mylord veniva ogni tanto a prendere notizie, ma, di solito, non varcava la porta. Ricordo che, una volta, quando ogni speranza sembrava perduta, egli si avvicinò al capezzale del figlio, guardò questi in viso e si allontanò con una mossa singolare del capo e delle braccia alzate, che mi è rimasta in mente come qualcosa di tragico, tanto era lo strazio, tanto il disprezzo per le vicende di questo basso mondo che essa esprimeva.


Ma, la maggior parte del tempo, la signora e io eravamo i soli custodi della stanza: ci avvicendavamo di notte, ci tenevamo compagnia di giorno, perché l'assistenza era un compito lugubre. Il signor Henry, con la testa rasata avvolta in un pannicello, si dibatteva senza soste percuotendo il letto con le palme. La sua lingua non aveva riposo, la sua voce fluiva continuamente come un fiume, in modo che il mio cuore non poteva più sopportarne il suono. Era notevole, e per me mortificante in modo indicibile, sentirlo parlare sempre di cose insulse: partenze e ritorni, cavalli che ordinava ogni tanto di sellare, pensando forse (povera creatura!) di cavalcare lontano dalla sua angoscia, lavori in giardino, reti per i salmoni, e (cosa che specialmente mi angustiava di sentire) affari sopra affari, cifre e dispute con i fittavoli. Mai una parola del padre o della moglie, né del Master, tranne per un giorno o due, in cui la sua mente si rivolse tutta al passato, e lui supponeva di essere tornato bambino e di attendere a qualche innocente gioco puerile con il fratello. Quel delirio era tanto più pietoso in quanto sembrava che il Master avesse corso allora pericolo di vita, poiché l'infermo gridò più di una volta con intensa passione: - Jamie affoga! Salvatelo!

Questo accesso, come dico, commosse tanto me che la signora; ma i deliri abituali del mio padrone non rendevano sufficiente giustizia al suo carattere. Sembrava che egli facesse di tutto per avvalorare le calunnie del fratello, per dimostrarsi uomo di arida tempra, intento unicamente a far soldi. Se fossi stato solo ad ascoltarlo, non me ne sarebbe importato niente, mi accorgevo invece dell'impressione ricevuta dalla moglie, e sentivo che egli cadeva, di giorno in giorno, sempre più in basso nel suo animo. Ero il solo sulla faccia della terra a capire l'infermo, e avevo il dovere di fare in modo che un'altra persona lo comprendesse. Sia che egli dovesse morire allora, estinguendo le proprie virtù in una tomba, sia che egli dovesse aver salva la vita e recuperare, con la retta memoria, il suo retaggio di dolore, avevo il dovere di fare in modo che egli fosse pianto teneramente in un caso, e sinceramente bene accolto nell'altro, dalla persona che gli era cara sopra ogni altra: cioè da sua moglie.


Non trovando l'opportunità di parlarle liberamente, pensai infine ad una specie di rivelazione documentaria; e, per alcune notti in cui non mi toccava di vegliare e avrei potuto riposarmi, dedicai il mio tempo alla preparazione di quello che potrei chiamare il mio bilancio. Ma era questa la parte più agevole del mio compito, mentre quella che restava (cioè la presentazione dei documenti alla signora) risultò quasi superiore al mio potere. Per parecchi giorni andai in giro con i miei fogli sotto il braccio, all'erta, per cogliere nella conversazione qualche appiglio che mi servisse come introduzione. Non nego che se ne presentassero, sennonché, al momento buono, la lingua mi si appiccicava al palato; e credo che andrei ancora in giro con il mio pacchetto, se un favorevole caso non mi avesse liberato da ogni esitazione. Era notte, e io, ancora una volta, uscivo dalla camera senza aver concluso nulla, tutto sconsolato della mia vigliaccheria.


- Che portate con voi, signor Mackellar? - mi chiese la signora. - Da qualche giorno vi vedo andare e venire, sempre con lo stesso involto sotto il braccio.


Ritornai sui miei passi, senza dire una parola, posai le carte davanti a lei sul tavolino, e la lasciai alla sua lettura. Mi converrà adesso dare qualche idea sul contenuto dei fogli; e il meglio, per me, sarà di riprodurre una mia lettera che era la prima nell'incartamento, e della quale (secondo un'ottima consuetudine) ho conservato la minuta.


Essa servirà, anche, a dimostrare la mia moderazione nel prendere parte agli eventi, cosa che qualcuno, sconsideratamente, ha messo in dubbio.


«Illustrissima signora, «non credo che oserei varcare senza motivo i limiti delle mie attribuzioni, ma so quanto male è scaturito in passato, su tutta la vostra nobile casata, da inopportune ed erronee reticenze; e i documenti sui quali oso richiamare la vostra attenzione sono documenti di famiglia, e tutti oltremodo meritevoli di essere a vostra conoscenza.


«Ne accludo una lista con qualche necessaria osservazione rimanendo, di Vossignoria illustrissima, il grato e devoto servitore EPHRAIM MACKELLAR».


«Lista dei Documenti.


A) Minuta di dieci lettere dirette da Ephraim Mackellar all'Onorevole James Durie, chiamato per riguardo Master di Ballantrae, durante la residenza di quest'ultimo a Parigi, in data ... (Seguono le date).


Nota: da leggere in connessione con B. e C.


B) Sette lettere originali del suddetto Master di Ballantrae al suddetto E. Mackellar, in data ... (Seguono le date).


C) Tre lettere originali del suddetto Master di Ballantrae all'Onorevole Henry Durie, in data ... (Seguono le date).


Nota: consegnate a me dal signor Henry, affinché vi rispondessi.


Vedansi le copie delle mie risposte ai fogli A. 4, A. 5 ed A. 9 di questo incartamento. Il tenore delle comunicazioni inviate dal signor Henry, delle quali non posso trovare nessuna minuta, può dedursi dal contesto di quelle del suo snaturato fratello.


D) Corrispondenza, in originale e minuta, durata per un periodo di tre anni fino al gennaio del corrente anno, fra il suddetto Master di Ballantrae e ..., sottosegretario di Stato, ventisette fogli in tutto.


Nota: trovati fra le carte del Master».


Esausto com'ero per le veglie e per l'ansia, mi fu impossibile dormire. Durante tutta la notte passeggiai su e giù per la camera, fantasticando sui possibili risultati del mio atto, e, a volte, rammaricandomi di essermi temerariamente intromesso in così intimi affari. Al primo chiarore dell'alba ero alla porta dell'infermo. La signora aveva spalancato le imposte e anche i vetri, perché la temperatura era mite. Guardava fisso al di fuori: dove, peraltro, niente c'era da contemplare, se non l'azzurro del mattino che si 'insinuava tra le boscaglie. Allo scalpiccio dei miei passi, non girò nemmeno la testa: circostanza che mi sembrò di malaugurio.


- Signora, - cominciai; e quindi ripetei: - signora, - ma non potei proseguire. Né la signora venne in mio soccorso con la minima parola.


In questo frangente, mi misi a radunare le carte che erano sparpagliate sul tavolino, e, per prima cosa, mi accorsi che il loro volume sembrava diminuito. Le scorsi una volta, due volte, ma la corrispondenza con il segretario di Stato, sulla quale contavo tanto per avvalermene in futuro, non si trovava in nessun posto. Guardai nel caminetto: tra le braci che si sfaldavano, nere ceneri di carta svolazzavano nella corrente. A quella vista, la mia timidezza svanì.


- Dio buono, signora, - esclamai, con voce per niente adatta a una camera d'ammalato. - Dio buono, signora, che avete fatto dei miei documenti?

- Li ho bruciati, - rispose la signora, girandosi. - Basta ed è anche troppo che li abbiamo visti voi ed io.


- Avete fatto un bel lavoro stanotte! - esclamai. - E tutto per salvare la reputazione di un uomo che viveva asciugando le vene di suo fratello, come io vivo asciugando il calamaio.


- Ho voluto salvare la reputazione della famiglia che voi servite, signor Mackellar, - lei ribatté, - e in favore della quale vi siete già tanto adoperato.


- E' una famiglia che non servirò per molto tempo ancora, esclamai, - perché finirò disperato. Voi mi avete infranto l'arma fra le mani; ci avete lasciati senza difesa. Mi restavano questi documenti da sventolare sulla sua testa e ora che fare? Siamo in una posizione così falsa che non oseremo metterlo alla porta; il paese farebbe fuoco e fiamme contro di noi; e io avevo quest'unico appiglio contro di lui, e ora non c'è più, ora egli può ritornare quando gli aggrada; e noi dovremo tutti sedere a tavola con lui, passeggiare con lui sulla terrazza, o farlo giocare a carte: studiarle tutte per dilettare i suoi ozi! No, signora! Dio vi perdoni, se può, perché il mio cuore non può perdonarvi.


- Mi meraviglio che siate così semplice, signor Mackellar, disse la signora. - Che conta la reputazione per quest'uomo? Ma lui sa quanto conta per noi, sa che moriremmo piuttosto che rendere queste lettere di pubblico dominio; e supponete che lui, sapendo questo, non speculerebbe su tale fatto? Quella che chiamate la vostra arma, signor Mackellar, e che sarebbe stata davvero un'arma contro un uomo provvisto di una sia pur minima traccia di decoro, sarebbe stata un'arma di carta contro di lui. Vi riderebbe in viso, per una minaccia simile. Egli si fonda sulla sua depravazione, se ne fa una forza; è vano lottare contro certa gente. - Lei pronunciò d'impeto queste ultime parole, quasi con disperazione; e poi, con più calma, riprese:

No, signor Mackellar; ci ho riflettuto tutta la notte: non c'è via di scampo. Documenti o non documenti, la porta di questa casa gli è aperta, è lui il vero erede, purtroppo! Se cercassimo di escluderlo, tutto ricadrebbe sul povero Henry che mi toccherebbe nuovamente di vedere preso a sassate per la strada. Ah, se Henry muore, il caso è diverso! Hanno rotto il fidecommisso per i loro fini, ora la tenuta spetta a mia figlia; vorrò vedere chi ci mette piede. Ma se Henry vive, mio povero signor Mackellar, e se quell'uomo ritorna, ci toccherà soffrire: soltanto, questa volta, soffriremo in due.


Tutto sommato, mi compiacqui delle disposizioni d'animo della signora, né potei negare che ci fosse qualche fondamento in quello che lei suggeriva riguardo ai documenti.


- Non parliamone più, - dissi. - A me non resta che rammaricarmi di aver affidato gli originali ad una signora; il che fu, perlomeno, un atto poco accorto. Se ho detto di lasciare il servizio di questa famiglia, credete che ho parlato soltanto con la bocca; e potete mettervi l'animo in pace. Io appartengo a Durrisdeer, signora, come se ci fossi nato.


La signora (devo dirlo a onor del vero) si mostrò intenerita dalle mie parole; così che quella mattina cominciammo a trattarci, come poi continuammo a fare per molti anni, su una conveniente base di mutua indulgenza e di mutuo rispetto.


Quello stesso giorno, che certo era predestinato alla consolazione, osservammo nel signor Henry i primi indizi di miglioramento; e, verso le tre del pomeriggio seguente, egli tornò in sé, chiamandomi per nome con i più chiari segni di affetto. Anche la signora era in camera, e stava ai piedi del letto; ma egli non sembrò accorgersi di lei.


D'altra parte, essendo caduta la febbre, egli era così debole che, dopo quello sforzo, ricadde nuovamente in uno stato di letargo. Il corso della sua guarigione fu lento, ma uniforme; il suo appetito cresceva di giorno in giorno; ogni settimana potevamo osservare in lui un aumento, sia di forze sia di floridezza, e prima della fine del mese, egli si alzava e poteva essere trasportato in terrazza, sulla poltrona.


Fu il periodo in cui la signora e io nutrimmo forse le maggiori inquietudini. Cessata l'apprensione per la vita dell'infermo, subentrava una paura più tremenda. Di giorno in giorno sentivamo venire il momento decisivo, ma il tempo passava e non succedeva niente. Il signor Henry riprendeva vigore e teneva con noi lunghi discorsi sugli argomenti più disparati, il padre veniva a tenergli compagnia e se ne andava, ma non si verificava nessun accenno alla tragedia recente o alle angustie di un tempo, che l'avevano provocata.


Egli ricordava e nascondeva la sua tremenda consapevolezza? oppure gli si era cancellato tutto dalla mente? Questo problema ci teneva vigili e tremanti tutto il giorno, in sua compagnia e svegli di notte nei nostri letti solitari. Non sapevamo nemmeno in quale dei due termini dell'alternativa riporre le nostre speranze, poiché tutti e due sembravano innaturali e suggerivano direttamente il sospetto della malattia mentale. Nata questa paura, tenni d'occhio con cura assidua il suo comportamento. Egli aveva un qualcosa del bambino: un'allegria del tutto estranea alla sua personalità precedente, un'attenzione prontamente sollecita e poi molto tenace per inezie disprezzate in precedenza. Ai tempi in cui si era trovato umiliato non aveva avuto altro confidente e, potrei dire, altro amico tranne me, e con la moglie era in termini di completo distacco; con la convalescenza tutto parve cambiato, dimenticato il passato, prima e persino unica nei suoi pensieri la moglie. Egli si rivolgeva a lei con tutte le sue facoltà emotive, come un bambino verso la mamma, fiducioso di trovare comprensione; la cercava per qualsiasi cosa avesse bisogno, un po' con quella querula familiarità che denota la certezza di essere accolto con indulgenza; e per giustizia verso la signora devo dire che non restava mai deluso. Anzi, per lei questo cambiamento di maniere era motivo di turbamento indicibile e credo che, segretamente, lo sentisse come un rimprovero, tanto che, nei primi tempi, la vidi più volte fuggire dalla stanza per poter dare libero sfogo alle lacrime. Ma a me la variazione non sembrava affatto naturale; e, considerandola insieme con tutto il resto, cominciai a chiedermi, con vero sgomento, se la ragione del povero malato fosse ancora perfettamente integra.


Siccome questo dubbio durò molti anni, e cioè fino alla morte del mio padrone, turbando tutti i nostri seguenti rapporti, mi sarà lecito trattarne più in esteso. Quando il signor Henry poté ricominciare a occuparsi dei suoi affari, ebbi varie opportunità di mettere alla prova la sua ragione. Non mancava di intelligenza, né di autorità; ma aveva del tutto perduto l'abituale perseveranza, si stancava presto e si metteva a sbadigliare, e poneva nelle questioni di denaro una faciloneria confinante con la trascuratezza, che è indubbiamente fuori luogo in un simile campo. E' vero che, da quando non c'era più da combattere con le estorsioni del Master, serviva meno far della parsimonia una regola e battagliare per il centesimo. Ed è pure vero che la rilassatezza in parola non aveva niente di eccessivo, altrimenti non avrei accettato di parteciparvi. Ma il complesso indicava un cambiamento molto netto, per quanto lieve, e anche se a nessuno sarebbe stato lecito dire che il mio padrone fosse minimamente uscito di senno, nessuno poteva negare che egli fosse stato trascinato fuori della sua personalità solita. Lo stesso può dirsi, da allora in poi, delle maniere e dell'aspetto. L'ardore della febbre gli aveva lasciato una traccia nelle vene; i suoi movimenti erano un po' precipitosi, i suoi discorsi un po' volubili, quando non addirittura sconnessi. Egli aveva l'animo aperto alle impressioni liete, le gradiva e ne godeva; ma si mostrava insofferente ad ogni noia o dispiacere, e vi si sottraeva a cuor leggero. Questa disposizione di spirito gli assicurò la tranquillità nell'avvenire, ma essa appunto costituiva, se mai, la sua insania. Gran parte della vita umana consiste nella contemplazione di mali ineluttabili, ma il signor Henry, quando non poteva domare con uno sforzo della mente la propria inquietudine, ne annullava ad ogni costo il motivo: faceva insomma, alternativamente, la parte dello struzzo e quella del toro. Devo attribuire alla sua incapacità di sopportare la sofferenza tutte le intemperanze e i passi falsi che egli commise in seguito. Essa lo indusse a percuotere MacManus, lo staffiere: azione, questa, del tutto aliena dalla sua precedente condotta e che suscitò, lì per lì, tanti commenti. Ad essa inoltre devo far carico della perdita totale di circa duecento sterline, oltre metà della quale somma avrei potuto salvare, se la sua impazienza non me l'avesse impedito. Ma egli preferiva perdere denaro, o ricorrere a qualsiasi disperato espediente, piuttosto che restare in uno stato d'ansia.


Queste considerazioni mi hanno allontanato dalla questione che sopra ogni altra ci angustiava: se, cioè, egli avesse dimenticato il proprio atto tremendo; o, in caso contrario, in quale luce lo vedesse. La verità balenò su di me all'improvviso, e fu una delle maggiori sorprese della mia vita. Egli era già uscito di casa varie volte e cominciava a camminare un po' a braccetto con qualcuno, quando mi capitò di restare solo con lui sulla terrazza. Si girò verso di me con il singolare, furtivo sorriso di uno scolaretto colto in fallo, e senza il minimo preambolo, mi bisbigliò: - Dove l'avete sepolto?

Non trovai fiato per rispondere.


- Dove l'avete seppellito? - egli ripeté. - Voglio vedere la sua tomba.


Mi sembrò opportuno prendere il bue per le corna. - Signor Henry, - risposi,- ho una notizia da darvi che vi consolerà oltremodo.


Secondo ogni umana probabilità le vostre mani sono monde di sangue! Mi baso su certi indizi secondo i quali vostro fratello non era morto, quella notte, e fu invece trasportato, svenuto, a bordo del trabaccolo. C'è il caso che, ormai, egli sia perfettamente guarito.


Non potei leggere niente sulla sua faccia. - James? - chiese.


- Vostro fratello James, - risposi. - Non vorrei alimentare una speranza vana, ma il cuore mi dice che egli vive ancora.


- Ah! - esclamò il signor Henry; e, alzandosi dal sedile di scatto, con un'alacrità superiore a quella mostrata in precedenza, mi puntò l'indice contro il petto e sibilò con una specie di gemito: - Mackellar, - sono le sue testuali parole, - niente può uccidere quell'uomo. Non è mortale. Peserà su me per tutta l'eternità, per tutta l'eternità di Dio! - e, tornando a sedere, si chiuse in un ostinato silenzio.


Un giorno o due dopo, con lo stesso furtivo sorriso, e guardandosi prima attorno, come per assicurarsi che eravamo soli: - Mackellar, - disse, - se caso mai sapeste qualcosa, badate bene d'informarmi.


Dobbiamo tenerlo d'occhio, altrimenti ci prenderà alla sprovvista.


- Non si farà rivedere più da queste parti, - dissi.


- Ma sì, - esclamò il signor Henry. - Dovunque sarò io, ci sarà sempre anche lui. - E si guardò intorno di nuovo.


- Non dovete fissarvi su quest'idea, signor Henry, - gli raccomandai.


- Avete ragione, - mi rispose. - Non ci penseremo più, se non quando saprete qualcosa. E poi, per ora non si sa, aggiunse, - può anche essere morto.


Il modo in cui me lo disse mi convinse appieno di quello che avevo appena osato sospettare: che, cioè, lungi dal soffrire rimorso per il proprio attentato, egli ne deplorava l'insuccesso. Tenni per me questa scoperta, temendo di pregiudicarlo presso sua moglie. Ma avrei potuto risparmiarmi questo scrupolo: lei aveva indovinato da sola il sentimento di suo marito, e lo considerava del tutto naturale. A dire il vero, dovrei confessare che eravamo in tre ad avere la stessa idea; né a Durrisdeer sarebbe potuta giungere notizia meglio accetta della partecipazione della morte del Master.


Ma devo parlare dell'eccezione, cioè del mio vecchio lord. Appena le mie angustie per il mio padrone cominciarono a calmarsi, percepii nel capofamiglia un cambiamento che sembrava foriero di conseguenze letali.


Il vecchio gentiluomo aveva la faccia pallida e gonfia; spesso, mentre stava a fianco del fuoco a leggere i suoi scritti latini, cadeva addormentato, lasciando ruzzolare il libro nella cenere; certi giorni trascinava il piede; certi altri incespicava nel parlare. Tuttavia non veniva meno alla solita cortesia, anzi l'accentuava all'estremo: si scusava per il minimo disturbo; si mostrava premuroso con tutti, e, verso di me, della più lusinghiera cerimoniosità. Un giorno che aveva mandato a chiamare il suo legale ed era rimasto per un pezzo a quattr'occhi con lui, avendomi incontrato mentre attraversava la sala con andatura stanca, mi prese gentilmente la mano. Signor Mackellar, - mi disse, - ho avuto più volte l'opportunità di apprezzare i vostri servigi; ed oggi, dando nuove disposizioni per il mio testamento, mi sono preso l'arbitrio di nominarvi fra i miei esecutori. Credo che voi amiate abbastanza la nostra famiglia per rendermi volentieri anche questo servigio. - In quel tempo egli passava la maggior parte del giorno in un torpore, dal quale era spesso difficile svegliarlo; sembrava aver perso il conto degli anni, e parecchie volte (specie nel risveglio) chiamava la moglie e un vecchio servo la cui lapide nel camposanto era ormai verde di borragine. Se mi avessero chiamato in giudizio, avrei dovuto dichiararlo incapace di fare testamento; eppure le sue estreme volontà parvero dettate dal massimo buon senso e dalla più chiara capacità di giudicare le persone e gli affari.


La sua dissoluzione, per quanto non molto lunga, procedette per gradi infinitesimali. Le sue facoltà decaddero uniformemente insieme: le sue membra si spossarono a un tratto, l'udito s'indurì, il discorso si ridusse a un borbottio; eppure, fino all'ultimo, egli riuscì a mostrare l'urbanità e la gentilezza antiche: stringeva la mano di chi lo aiutava; mi offrì uno dei suoi libri latini su cui aveva laboriosamente tracciato il mio nome, ci diede occasione, insomma, in mille modi, di valutare tutta la gravità della perdita che potevamo quasi dire di aver già subita. Fino all'ultimo il potere di articolare le sillabe gli tornò di quando in quando all'improvviso: sembrava aver solo dimenticato l'arte della parola, come un bambino la sua lezione, e riacquistarla, a tratti, per un improvviso risveglio della memoria.


L'ultima sera della sua vita, ruppe a un tratto l'abituale silenzio con questa citazione di Virgilio: "Gnatique patrisque, alma, precor, miserere" (1), proferita distintamente e con accento appropriato.


All'inatteso, chiaro suono di quelle parole, noi trasalimmo nelle nostre diverse occupazioni; ma ci volgemmo a lui invano: egli tacque e sembrò più cosciente. Poco dopo fu messo a letto con difficoltà maggiore del solito, e durante la notte, senza nessuna convulsione d'agonia, il suo spirito se ne partì.


Lungo tempo dopo, mi capitò di parlare di questi particolari con un dottore in medicina, uomo di così alta reputazione che mi faccio scrupolo di nominarlo. Secondo lui padre e figlio soffrivano entrambi dello stesso male: il padre, per la scossa della sua disumana sciagura, e il figlio forse nell'eccitamento della febbre, avevano subito la rottura di un vaso nel cervello; e probabilmente (aggiungeva il dottore) c'era nella famiglia qualche predisposizione ad accidenti di questo genere. Il padre cedette, il figlio recuperò tutta l'apparenza della salute; ma qualcosa doveva essersi distrutto nei delicati tessuti dove l'anima risiede per compiere i suoi uffici terrestri, e spero bene che simili infortuni materiali non possano esserle parimenti d'impedimento nei suoi fini celesti. Peraltro, a pensarci meglio, certe cose non contano niente, dato che Colui, il quale dovrà giudicare gli atti della nostra vita, è Quegli stesso che ci formò di fragile tempra.


La morte di mylord diede luogo a un nuovo motivo di sorpresa, per noi che sorvegliavamo il contegno del suo successore. A ben riflettere, erano stati i due figli, tra l'uno e l'altro, a uccidere il padre, e quello che aveva staccato le spade dalla parete poteva dire addirittura di averlo ucciso di sua mano; ma un simile pensiero non sembrò sfiorare il mio nuovo lord. Egli mostrò tutta la gravità voluta dalle circostanze; che fosse affranto, non direi, aveva tutt'al più un dolore garbato; parlò del morto con sereno rimpianto, rievocò vecchi tratti caratteristici della sua figura, sorridendone con tranquilla coscienza, e venuto il giorno delle esequie gli rese le estreme onoranze con meticoloso decoro. Potei inoltre accorgermi che egli provava un profondo compiacimento per il proprio accesso al titolo che esigeva puntigliosamente.


A questo punto, apparve sulla scena un personaggio nuovo e destinato, inoltre, a rappresentare anche lui una parte nella storia: voglio dire il lord attuale, Alexander, la cui nascita, avvenuto il 17 luglio 1757, colmò la coppa della contentezza per il mio povero padrone. A questi non restò più niente da desiderare: né tempo da dedicare a desideri. Non credo vi sia mai stato genitore tenero e sollecito come lui. Lontano dal figlio non trovava pace: se il bambino era fuori di casa, il padre sorvegliava se le nubi minacciassero pioggia; di notte si alzava dal letto per osservarlo nel sonno. Persino la sua conversazione diventò noiosa agli estranei, perché egli non sapeva parlare d'altro che del figlio. Nelle questioni riguardanti le proprietà, ogni progetto si formulava avendo in vista Alexander.- Occupiamocene subito, in modo che il bosco sia cresciuto quando Alexander sarà maggiorenne. - Oppure: Questo verrà a proposito per il matrimonio di Alexander. - Tale infatuazione diventò di giorno in giorno sempre più palese in manifestazioni a volte commoventi e, a volte, non poco biasimevoli. Appena il bambino imparò a camminare da sé, il mio lord dedicò la maggior parte del tempo a portarlo a spasso per la manina, prima sulla terrazza, e poi all'aperto nel parco. Il suono delle loro voci (che si sentiva a gran distanza, tanto essi parlavano forte) diventò familiare nei dintorni; e, al mio orecchio, suonava più delizioso che non il canto degli uccelli. Era un piacere vedere padre e figlio tornare a casa carichi di erica bianca, ugualmente accaldati e a volte ugualmente inzaccherati, perché si infervoravano nello stesso modo in ogni tipo di divertimenti fanciulleschi, sia scavando buche sulla spiaggia, sia costruendo dighe nei ruscelli, e così via; e a me capitò di vederli spiare le vacche attraverso uno steccato con lo stesso fanciullesco compiacimento.


Parlando di questi giochi, mi viene in mente una strana scena alla quale mi capitò di assistere. C'era un cammino che non potevo percorrere senza emozione, tanto spesso l'avevo seguito per tristi incombenze e tanto male ne era venuto alla casa di Durrisdeer. Ma il sentiero era accessibile da ogni punto della campagna oltre il Muckle Ross; ed io, sebbene assai malvolentieri, mi trovavo indotto a servirmene forse una volta ogni due mesi. Quando il signor Alexander avrà avuto sette o otto anni, si diede il caso che io, avendo avuto da sbrigare qualche faccenda in un podere fuori mano, passassi al ritorno dalla macchia verso le nove di una mattina piena di sole. Era la stagione in cui i boschi rinverdiscono, le siepi si riempiono di fiori e gli uccelli cantano a gara. In contrasto con tanta allegria, la macchia sembrava ancora più fosca, e io mi sentivo ancora più turbato dai ricordi che vi si associavano. In questo stato d'animo, mi fece un'impressione sgradevole sentire, poco più avanti, un suono di voci, e riconoscere quelle di mylord e del signor Alexander. Affrettai il passo, e ben presto potei vederli tutti e due. Si erano fermati nello spiazzo dove era avvenuto il duello, e mylord, tenendo la mano sulla spalla del figlioletto, gli parlava con una certa serietà. Ma quando lo scalpiccio dei miei passi gli fece sollevare la testa, mi sembrò di vedere il suo volto illuminarsi.


- Oh! - mi dice. - ecco il buon Mackellar. Stavo appunto raccontando a Sandie la storia di questo luogo: e cioè come qui, una volta, il demonio tentò di uccidere un uomo, e questi fu invece lì lì per uccidere il demonio.


Mi era sembrato abbastanza strano che egli avesse portato il ragazzo in quel posto; che egli parlasse addirittura del duello passava il segno. E il peggio venne dopo, poiché, rivolgendosi al figlio, egli aggiunse: - Puoi chiederlo a Mackellar; lui c'era e vide ogni cosa.


- E' vero, signor Mackellar? - chiese il bambino. - Avete visto il diavolo in persona?

- Non so di che parliate, - risposi, - e ho molta fretta. Dissi così un po' scontrosamente, per sottrarmi all'imbarazzo della posizione; e, subito, l'amarezza del passato e il terrore di quella scena al lume delle candele mi invasero il pensiero. Ricordai che sarebbe bastata una differenza di un attimo nella prontezza di una parata, perché il bambino che avevo davanti non vedesse mai la luce, e l'emozione che turbava sempre il mio cuore nella fosca macchia esplose in parole. - Ma è proprio vero, - esclamai, - che ho incontrato il demonio in questi boschi e che l'ho visto sconfiggere qui. Sia lode a Dio se l'abbiamo scampata, sia lode a Dio se le pietre stanno ancora una sull'altra nei muri di Durrisdeer! E voi, signor Alexander, se mai capitate in questo posto, fosse anche fra cent'anni e in compagnia dei più lieti e grandi personaggi del paese, credetemi, se fossi in voi, girerei al largo e direi mentalmente una preghiera!

Mylord annuì con serietà: - Oh! - esclamò, - dice sempre bene, il nostro Mackellar. Su, Alexander, togliti il berretto. Così dicendo, si scoprì il capo e alzò la mano al cielo.Signore, - pregò, - io Ti ringrazio e mio figlio Ti ringrazia per la Tua infinita misericordia.


Dacci un po' di pace. Difendici dall'uomo perverso. Colpisci, Signore, la sua bocca mendace! Le ultime parole proruppero in un grido e, a questo punto, sia che l'ira gli soffocasse la voce, sia che egli si accorgesse di pronunciare una singolare specie di preghiera, fatto sta che tacque all'improvviso e, un momento dopo, si rimise il cappello.


- Mi sembra che abbiate dimenticato una frase, mylord - dissi. - Rimetti i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori.


Perché Tuoi sono il regno, il potere e la gloria per i secoli dei secoli. Amen.


- Oh! dirlo è facile, - rispose mylord. - Dirlo è facile. Ma al posto mio, perdonare! Credo che farei una magra figura se tentassi di darmene l'aria!

- Il bambino, mylord! - dissi, con qualche severità perché mi sembrò che quegli sfoghi mal si addicessero agli orecchi di un fanciullo.


- Già, è vero,- rispose lui. - Questa è roba noiosa, per un ragazzo. Su, andiamo per nidi.


Non mi ricordo se fosse lo stesso giorno, ma certo poco tempo dopo, il mio lord, trovandomi solo, si aprì un po' di più sullo stesso argomento.


- Mackellar, - mi disse, - ora sono molto felice.


- Lo credo bene, mylord, - risposi, - ed è una vista che mi allarga il cuore.


- La felicità porta con sé dei doveri, non vi pare? - mi chiese con aria pensierosa.


- Di certo, - assentii - e anche il dolore ha dei doveri. Secondo il mio umile parere, se non stiamo qui per fare un po' di bene, più presto ce ne andiamo e meglio è.


- Già, ma voi, nei miei panni, gli perdonereste? - mi fa mylord.


Il repentino attacco mi sconcertò un po'. - Si tratta di uno stretto dovere, - risposi.


- Uhm! - fece lui. - Queste sono frasi! Avete forse perdonato, voi?

- Ebbene... no! - dissi. - Dio mi perdoni, no.


- Qua la mano! - esclamò mylord con una certa giovialità.


- Non sta bene, fra gente cristiana, stringersi la mano per suggellare un sentimento cattivo. Spero di darvi la mia in una circostanza più evangelica.


Dissi così, sorridendo un po', ma mylord uscì dalla stanza ridendo forte.


Quanto all'infatuazione di mylord per il figlio, non trovo parole adatte. In quel pensiero egli si smarriva e affari, amici, moglie sembravano ugualmente dimenticati, o ricordati solo a prezzo di uno sforzo penoso, come nello stordimento prodotto da un filtro. Lo si notava specialmente nel caso della moglie. Da quando avevo messo piede a Durrisdeer, lei aveva sempre occupato tutti i suoi pensieri, attratto i suoi occhi come una calamita, adesso era del tutto esclusa.


L'ho veduto farsi sulla soglia di una stanza, lanciare un'occhiata circolare e oltrepassare la mia signora come se fosse un cane accucciato vicino al fuoco. Egli cercava Alexander. E la mia signora lo sapeva perfettamente. Gli capitava di parlarle così ruvidamente, che mi sarei quasi sentito d'intervenire, e il motivo era sempre lo stesso, cioè che lei aveva contrariato in qualche modo Alexander.


Quella era senza dubbio, per la signora, una specie di punizione divina, era senza dubbio un capovolgimento di posizioni, quali solo la divina Provvidenza sa attuarne. Dopo essere rimasta insensibile, per tanti anni, a tutte le possibili manifestazioni di tenerezza, le toccava ora di essere trascurata; tanto più merita di essere lodata per il modo in cui vi si adattava.


Risultò una situazione strana: e cioè che nella casa vi furono ancora una volta due partiti e che, questa volta, io tenevo per la signora.


Non che il mio affetto per il mio padrone venisse meno, ma, per dirne una, egli non aveva più tanto bisogno della mia compagnia. E, in secondo luogo, io non potevo astenermi dall'osservare il modo diverso con cui erano trattati il signor Alexander e la signorina Katharine, per la quale mylord non aveva avuto mai la minima sollecitudine. In terzo luogo, mi sentivo ferito dal cambiamento di lui verso sua moglie, mutamento che mi faceva l'impressione di una specie d'infedeltà. Mi era impossibile, inoltre, non ammirare la costanza e la gentilezza che lei dimostrava. Forse, il sentimento di lei verso il mio padrone, essendo nato dalla pietà, era piuttosto di madre che di moglie; forse a lei piaceva vedere i suoi due ragazzi, se posso dir così, divertirsi tanto insieme, e tanto più se ne consolava, in quanto uno di essi, per il passato, aveva sofferto ingiustamente. Ma nonostante questo, e sebbene io non scoprissi in lei nessun segno di gelosia, sussisteva il fatto che alla signora non restava altra compagnia se non quella della povera e negletta signorina Katharine; e io, da parte mia, dedicavo sempre più il mio tempo libero alla madre e alla figlia. Sarebbe facile esagerare parlando di questa divisione, perché la famiglia, rispetto a tante altre, godeva una relativa tranquillità; pure la divisione esisteva: e che mylord se ne accorgesse o no, non saprei dirlo. Non credo che se ne rendesse conto, assorto come era nella sua tenerezza per il figlio; ma noi tre ne eravamo consapevoli e in certo qual modo, ne soffrivamo.


Peraltro, quello che più ci affliggeva era il pericolo grande e crescente che correva il bambino. Mylord ripeteva il caso di suo padre, e c'era da temere che il figlio riuscisse un secondo Master. Il tempo ha dimostrato che questi timori erano assurdi. Certo, non c'è oggi in tutta la Scozia gentiluomo più compito del settimo Lord Durrisdeer. Del mio esodo dalla sua casa non mi conviene parlare, meno che mai in un memoriale scritto al solo fine di giustificare suo padre...


["Nota del Curatore. Qui sono omesse cinque pagine del manoscritto del signor Mackellar. Esaminandole, ho avuto l'impressione che, invecchiando, il signor Mackellar fosse diventato un servitore piuttosto esigente. Niente di concreto è addebitato al settimo Lord Durrisdeer (la cui vita, ad ogni modo, non ci riguarda)". R.L.S.]... Ma la nostra paura a quel tempo era che egli dovesse produrre, nella persona del figlio, una seconda edizione del fratello. La signora aveva fatto in modo di intervenire con una salutare disciplina; si era poi rassegnata a veder fallire i suoi tentativi; e, ora, faceva la parte di spettatrice con angustia segreta: a volte le sfuggiva qualche accenno al suo stato d'animo, e quando qualche incredibile esempio della indulgenza di suo marito le era comunque palesato, lasciava scorgere il proprio sgomento con un gesto o magari con una esclamazione. Quanto a me, ero assillato giorno e notte da grave ansia, non tanto per il bambino, quanto per il padre. La consapevolezza di costui sembrava addormentata: egli viveva come in sogno, e un brusco risveglio gli sarebbe certo riuscito mortale. Che egli sopravvivesse al suo sogno era incredibile, e l'idea che egli potesse disonorarsi mi inorridiva.


Questa continua inquietudine mi strappò infine una rimostranza: fatto che occorre raccontare per esteso. Mylord e io sedevamo, un giorno, allo stesso scrittoio, per definire un noioso particolare d'affari; ho già detto che lui aveva perso l'antica sollecitudine per certi lavori; quel giorno fremeva dalla voglia di andarsene, e si mostrava stizzoso annoiato, e (mi sembrò) più vecchio di quanto di solito non sembrasse.


Probabilmente il suo viso sparuto mi spinse lì per lì ad un tentativo.


- Mylord, - dissi, a testa bassa e fingendo di continuare il mio lavoro, - o, piuttosto, lasciate che vi chiami di nuovo con il nome di signor Henry, perché io temo il vostro sdegno e vorrei intenerirvi con il ricordo dei tempi andati.


- Mio buon Mackellar! - mi rispose, in tono così benevolo che io fui lì lì per dimenticare il mio proposito. Ma ricordai che stavo parlando per il suo bene e tenni duro.


- Vi è mai venuto in mente che cosa state facendo? - gli chiesi.


- Che sto facendo? - ripeté, - non mi è riuscito mai di spiegare gli indovinelli.


- Che state facendo con vostro figlio? - chiesi.


- Come? - fa lui con un tono come di sfida. - Che sto facendo con mio figlio?

- Vostro padre era un'ottima persona, - dico io, girando intorno alla questione. - Ma credete voi che fosse un saggio padre?

Prima che lui rispondesse vi fu una pausa, e poi: - Non dico niente contro di lui, - replicò. - Ne avrei motivo forse, più di qualunque altro; ma non dico niente.


- Ebbene, questo è il punto, - dissi. - Voi avreste motivo di lagnarvi di vostro padre. Eppure egli era un'ottima persona; non ho mai conosciuto una persona migliore di lui; né, tranne che in un punto, più saggia di lui. E' possibilissimo che un altro uomo cada dove egli inciampò. Egli aveva due figlioli...


Mylord batté a un tratto, e con violenza, le nocche sulla tavola.


- Che insinuazioni sono queste? - esclamò. - Parlate chiaro!

- Vi obbedisco, - dissi con la voce quasi strangolata dal battito del mio cuore.- Se voi continuate ad essere così indulgente con il signor Alexander, seguirete le orme di vostro padre. Badate, mylord, che vostro figlio (quando sarà grande) non abbia a seguire le orme del Master.


Non avevo mai avuto intenzione di presentare le cose in maniera così cruda; ma, nell'estremo della paura, viene una specie di coraggio brutale, brutalissimo invero, e io bruciai i miei vascelli con quelle chiare parole. Non ebbi risposta. Quando alzai la testa, mylord si era alzato in piedi e, un attimo dopo, cadeva pesantemente sul pavimento.


L'accesso non durò a lungo; egli tornò in sé, come smemorato, si portò una mano alla testa, che io stavo sorreggendo e mormorò, con voce rotta: - Mi è venuto male, - e poco dopo: - Aiutatemi. - Lo tirai su, e sembrò riaversi, benché dovesse appoggiarsi allo scrittoio. Mi è venuto male, Mackellar, - disse un'altra volta. Qualcosa si è rotto, Mackellar, o stava per rompersi, e poi tutto s'è messo a girare. Ero molto arrabbiato, mi pare. Non importa, Mackellar, non importa. Non sarei capace di torcervi un capello. Troppe cose sono successe. Lo sappiamo bene tutti e due. Ma io voglio andare dalla signora, voglio andare dalla signora, disse, e uscì dalla stanza con passo abbastanza fermo, lasciandomi sopraffatto dal rimorso.


Ben presto la porta si spalancò, e la signora si precipitò dentro con occhi fiammeggianti. - Che è successo? - esclamò. Che avete fatto a mio marito? Non imparerete mai a stare al vostro posto in questa casa?

Non la smetterete mai di impicciarvi dei fatti altrui?

- Mylady, - dissi, - da quando sono in questa casa ho ricevuto male parole a sufficienza. Per qualche tempo sono state il mio cibo quotidiano, potete dirmi quel che vi pare; non troverete mai un termine abbastanza duro per definire il mio errore. Eppure, la mia intenzione era ottima.


Le raccontai tutto con sincerità, proprio come sta scritto qui; e, quando ebbi finito lei rimase soprappensiero, e io vidi cadere la sua animosità. - Già, - disse, - la vostra intenzione era buona davvero. Io pure ho avuto la stessa intenzione, o, per meglio dire, la stessa tentazione; e perciò vi perdono. Ma, Dio buono, non capite che lui non può sopportare altre scosse? Non può sopportare altre scosse!

- esclamò.- La corda è tesa tanto da spezzarsi. Che importa il futuro, purché lui goda, oggi, un po' di pace?

- Amen, - dissi io. - Non m'impiccerò più di niente. Mi consola abbastanza che voi abbiate riconosciuto la bontà delle mie intenzioni.


- Già, - disse la signora, - ma, al punto buono vi dev'essere venuto meno il coraggio, perché quello che diceste fu detto con rudezza crudele. - Si interruppe, e mi guardò, poi, a un tratto, sorrise lievemente, e disse una cosa singolare: Sapete voi che cosa siete, signor Mackellar? Siete una vecchia zitella.


Nessun altro incidente notevole capitò in famiglia, fino al ritorno di quell'uomo nato sotto cattiva stella che era il Master. Ma io devo collocare qui un secondo estratto delle memorie del cavalier Burke, interessante di per sé, e oltremodo necessario al mio intento. Queste pagine contengono le nostre uniche informazioni sui viaggi del Master nell'India e la prima menzione di Secundra Dass. Da esse, inoltre, risulta in maniera non dubbia un fatto, che, se conosciuto da noi vent'anni prima, avrebbe risparmiato chi sa quante calamità e quanti dolori, e cioè che Secundra Dass sapeva l'inglese.




NOTE:


1) Abbi pietà, ti prego, o divina, del padre e del figlio (VIRGILIO, "Eneide", Sesto Canto, verso 116).




CAPITOLO SETTIMO


Avventura del cavalier Burke in India (Estratto dalle memorie dello stesso)


... Mi trovavo, dunque, per le vie di quella città, il cui nome non ricordo e che allora conoscevo tanto poco da non sapere verso quale parte dirigermi. Al repentino allarme, ero scappato fuori senza scarpe, né calzini, il cappello mi era stato buttato giù dalla testa nel tafferuglio, la mia cassetta era nelle mani degli inglesi; non avevo altro compagno che il "cipaye" (1), altra arma che la mia spada, e neppure un quattrino in tasca. Insomma ero, in tutto e per tutto, simile a uno di quei dervisci che il signor Galland ci ha fatto conoscere nei suoi ben composti racconti. Quei signori, come ricorderete, s'imbattevano continuamente in peripezie fenomenali; anche per me ce n'era una in serbo, di lì a poco, così fenomenale che, lo dichiaro, ancora oggi non riesco a spiegarla.


Il cipaye era un onest'uomo, aveva servito molti anni sotto le bandiere francesi e si sarebbe fatto tagliare a pezzi per i valorosi compatrioti del signor Lally. Era la stessa persona (il suo nome mi è sfuggito del tutto) di cui ho già raccontato un sorprendente atto di cortesia (voglio dire di quando egli trovò sui bastioni il signor di Fessac e me, interamente sopraffatti dall'acquavite, e ci coprì di paglia al passaggio del comandante). Lo consultai, dunque, con perfetta libertà. Che cosa bisognasse fare era un bel problema; peraltro finimmo con il decidere di scalare il muro di un giardino, dove avremmo potuto dormire all'ombra degli alberi, e, forse, impadronirci di un paio di pantofole e di un turbante. In quella parte della città non si aveva che l'imbarazzo della scelta, perché il quartiere era interamente composto di giardini cintati da muri, e le viuzze che li separavano, a quell'ora della notte, erano deserte.


Aiutai il cipaye e in quattro e quattr'otto ci calammo in un largo recinto pieno di alberi. Il posto era intriso di guazza, che, in quel paese, è estremamente nociva specie ai bianchi; tuttavia la mia stanchezza era tale che fui sul punto di addormentarmi, quando il cipaye mi richiamò alla consapevolezza. In fondo al recinto, una vivida luce era apparsa all'improvviso, e continuava a splendere tra le foglie. Quella circostanza era del tutto insolita in quel posto e a tale ora, e, nella nostra situazione, ci conveniva procedere con qualche cautela. Il cipaye, mandato da me in ricognizione, ben presto ritornò con la notizia che eravamo capitati assai male, perché la casa apparteneva a un bianco, che con tutta probabilità era inglese.


- Cospetto! - dissi, - se c'è da vedere un bianco, voglio dargli un'occhiata, perché, grazie a Dio, i bianchi non sono tutti di una pasta!

Il cipaye, di conseguenza, mi fece strada verso un luogo dal quale si poteva vedere bene la casa. Questa era circondata da un'ampia veranda; un lume, accuratamente smoccolato, era sistemato sul pavimento in mezzo a due uomini, che stavano accosciati all'uso orientale. Entrambi erano avvolti in mussola come indigeni; tuttavia uno di essi era non solo un bianco, ma anche un uomo molto ben noto a me e al lettore:

cioè proprio quel tale Master di Ballantrae della cui prodezza e del cui genio ho avuto motivo di parlare tanto spesso. Mi era giunta voce della sua venuta in India, senza però che io lo incontrassi mai, né che io sapessi molto delle sue faccende. A ogni modo, non appena lo ebbi riconosciuto e mi sentii fra le braccia di un così vecchio commilitone, supposi di essere giunto alla fine delle mie traversie.


Non esitai a uscire sotto il lume della luna che splendeva smagliante; e, salutando per nome Ballantrae, gli resi nota, in poche parole, la mia penosa situazione. Dopo avere avuto, girandosi, appena un lievissimo trasalimento, rimase a guardarmi bene in faccia mentre parlavo, e quando ebbi terminato si rivolse al suo compagno nel barbaro idioma indigeno. L'altro, persona dall'aspetto estremamente gracile, con gambe simili a canne da passeggio, e dita come cannelli di pipa (2), si alzò in piedi.


- Il Sahib (3),- disse, - non capisce affatto l'inglese. Io capisco, e vedo che voi avete preso un piccolo abbaglio; oh! molto facile, del resto. Ma il Sahib gradirebbe sapere come entraste in giardino.


- Ballantrae, - esclamai, - avete dunque la diabolica impudenza di rinnegarmi al mio cospetto?

Ballantrae non mosse ciglio, guardandomi con la fissità di un simulacro in una pagoda.


- Il Sahib non capisce l'inglese, - insisté l'indigeno con immutata disinvoltura. - Egli gradirebbe sapere come entraste in giardino.


- Oh, che il diavolo se lo porti! - rispondo io. - Gradisce sapere come sono entrato in questo giardino? Ebbene, allora, mio caro, abbiate la cortesia di fare i miei saluti affettuosi al Sahib e dirgli che noi, qui presenti, siamo due soldati che egli non ha mai conosciuto, ma che il cipaye è uomo di sangue caldo e anch'io sono uomo di sangue caldo e che se voi non ci date un buon pranzo, e un turbante, e un paio di pantofole, e l'equivalente d'un "mohur" (4) d'oro, in moneta spicciola per meglio agevolarci, badate, amico, che io potrei indicarvi un giardino in cui stanno per nascere guai.


I due spinsero la commedia tanto avanti da parlare ancora un po' in indostano; poi l'indù col suo solito sorriso, ma sospirando, quasi che fosse stanco di ripetere, dice un'altra volta: - Il Sahib gradirebbe sapere come entraste in giardino.


- Non lo volete capire dunque! - faccio io, e, mettendo mano all'elsa della spada, ordino al cipaye di sguainare la sua.


L'indù, senza smettere di sorridere, tirò fuori dal seno una pistola, e sebbene Ballantrae non muovesse ciglio, io conoscendolo bene, non dubitai che fosse armato anche lui.


- Il Sahib crede che vi convenga andare via, - mi fa l'indù.


Ebbene, per dirla schietta, pensavo anch'io così perché lo sparo di una pistola sarebbe bastato (Dio ci guardi) a mandare sulla forca tanto me che il mio compagno.


- Dite al Sahib che io non lo considero un gentiluomo, - dico io, e giro le spalle con una mossa di disprezzo.


Non avevo fatto tre passi che la voce dell'indù mi richiama indietro.


- Il Sahib gradirebbe sapere se siete un certo maledetto e volgarissimo irlandese,- mi dice; e a queste parole, Ballantrae sorride e fa un inchino profondo.


- Che vuol dire questo? - chiedo io.


- Il Sahib dice che dovete chiederlo al vostro amico Mackellar,- risponde l'indù. - Il Sahib dichiara pari e patta la partita.


- Dite al Sahib che gli darò una cura per il prurito scozzese la prima volta che ci ritroveremo, - proruppi.


Quando me ne andai, quei due sorridevano ancora.


Non dubito che si possa riscontrare qualche pecca anche nella mia condotta e un uomo, per quanto valoroso, che fa appello ai posteri con un resoconto delle proprie gesta, deve aspettarsi, quasi con certezza, di condividere il destino di Cesare e di Alessandro, imbattendosi in qualche detrattore. Ma non si potrà mai far carico a Francis Burke di una cosa, e cioè di aver voltato le spalle a un amico...


(Qui segue un passo che il cavalier Burke ha avuto cura di cancellare, prima di mandarmi il manoscritto. Certo si trattava di qualche lagnanza, d'altra parte naturale, su quanto egli supponeva essere un'indiscrezione da parte mia; sebbene io non riesca, davvero, a ricordarne nessuna. Forse il signor Henry fu meno guardingo; o è vagamente possibile che il Master trovasse modo di esaminare la mia corrispondenza e di leggere la lettera che il signor Burke mi aveva scritto da Troyes, rivalendosi perciò su di lui, in un momento di grave bisogno, con quello scherzo crudele. Il Master, per quanto malvagio, non mancava di una certa capacità di affetti naturali, e credo che, nei primi tempi, avesse una sincera simpatia per il signor Burke; ma l'idea del tradimento inaridì le fonti della sua superficiale amicizia, mettendo a nudo il suo carattere maligno. E. McK).




NOTE:


1) Scrittura francese del vocabolo inglese, "sepoy", con il quale si definivano i soldati indiani al servizio dell'Impero Britannico.


2) "Nota del signor Mackellar". Era di certo Secundra Dass. (Nota dell'Autore).


3) Termine usato dai nativi dell'India sia per designare gli europei sia per qualificare persone ragguardevoli.


4) Moneta aurea anglo-indiana.




CAPITOLO OTTAVO


Il nemico in casa


E' strano che io non sappia precisare una data, la data, per di più, di un incidente che cambiò la natura stessa della mia vita, e ci bandì tutti quanti in paese straniero! Ma il fatto è che io fui strappato da ogni mia consuetudine, e trovo ora i miei diari scompigliati; senza data qua e là per una o due settimane di seguito, e vergati in uno stato di reale disperazione. Credo, comunque, che fossimo alla fine di marzo, o al principio di aprile del 1764. Io mi ero svegliato da un sonno pesante, con il presentimento di qualche imminente sventura.


Questo presentimento era così forte nel mio animo, che mi precipitai per le scale vestito solo della camicia e delle braghe, e la mia mano (lo ricordo bene) tremava sulla ringhiera. Era una mattina serena, ma faceva freddo e la campagna biancheggiava di brina. Intorno al palazzo di Durrisdeer i merli cantavano forte e con singolare dolcezza; e, per tutte le stanze, si sentiva il rombo del mare. Mentre mi avvicinavo alle porte del salone, mi fermò un altro suono di voci che parlavano.


Mi feci più vicino, e rimasi là trasecolato. Era certo una voce umana, in casa del mio padrone ma non la conoscevo; certo una lingua umana, nella mia patria, ma, per quanto tendessi l'orecchio, non ne afferravo una sola sillaba. Mi venne in mente la vecchia leggenda di una fata (o forse di una vagabonda straniera), che, giunta qualche generazione fa nel paese dei miei padri, vi si trattenne una settimana, parlando spesso una lingua che non aveva nessun senso per i suoi ascoltatori, e se ne andò come era venuta, nel cuore della notte, non lasciando dietro di sé neppure il proprio nome. Avevo un po' di paura e molta curiosità; aprii la porta del salone, ed entrai.


La tavola non era stata ancora sparecchiata dalla sera prima, la luce del giorno filtrava appena dallo spiraglio delle imposte, e lo stanzone era illuminato solo da una candela e da qualche fievole riverbero del fuoco. Due uomini sedevano vicino al camino. Uno di essi era avvolto in un mantello e calzava un paio di stivaloni, lo riconobbi subito: era l'uccello di malaugurio tornato ancora una volta. Dell'altro, che stava vicino alle braci rosseggianti, infagottato come una mummia, potei capire solo che era straniero, più scuro di carnagione di qualunque europeo, di complessione esile, con una fronte di singolare altezza e con uno sguardo furtivo. Sul pavimento c'erano alcuni fagotti, insieme con una piccola valigia; e, giudicando dall'esiguità di questo bagaglio e dalle condizioni degli stivali del Master, grossolanamente rattoppati da qualche poco diligente ciabattino di campagna, capii che la perversità non aveva fatto fortuna.


Come entrai egli si alzò, i nostri sguardi si incrociarono e, non so perché, il mio coraggio sorse come un'allodola in un mattino di maggio.


- Oh!- feci,- siete voi?- e mi compiacqui del mio tono indifferente.


- Sono proprio io, egregio Mackellar, - dice il Master.


- Questa volta vi siete portato il cane nero addirittura sulle spalle, - continuai.


- Parlate di Secundra Dass? - domandò il Master. - Ve lo presenterò.


E' un gentiluomo indiano.


- Uhm! - feci. - Non amo molto né voi né i vostri amici, signor Bally. Ma lascerò entrare la luce del giorno per darvi un'occhiata. - E così dicendo, dischiusi le imposte della finestra a oriente.


Mi sembrò cambiato, nel chiarore del mattino. In seguito, quando fummo tutti riuniti, rimasi colpito, piuttosto, nel vedere come lieve fosse stata l'opera del tempo su di lui; ma non così alla prima occhiata.


- State invecchiando, - gli dissi.


Si rabbuiò in viso. - Se vi vedeste,- disse lui,- forse evitereste un simile argomento.


- Uh!- ribattei. - La vecchiaia non m'importa. Credo di essere sempre stato vecchio e adesso, grazie a Dio, sono meglio conosciuto e più rispettato. Non tutti possono dire lo stesso, signor Bally! Sulla vostra fronte, le rughe sono una sciagura: la vita comincia a rinchiudersi su di voi come una prigione, la morte non tarderà a bussare all'uscio, e non vedo a quale fonte potrete attingere consolazione.


A questo punto il Master si rivolse a parlare in indostano con Secundra Dass, e ne dedussi (con gran piacere, non esito a confessarlo) che i miei commenti l'avessero irritato. Si capisce che intanto, nell'atto stesso in cui irridevo al nemico, la mia mente era affaccendata in tutt'altro, in primo luogo sul modo di comunicare al più presto e segretamente con mylord. A questo tesi il pensiero con tutte le forze nell'attimo di tregua di cui ora beneficiavo; sennonché, spostando ad un tratto lo sguardo, lo vidi in persona, dritto sulla porta e, secondo ogni apparenza, tranquillissimo. Non appena ebbe incontrato il mio sguardo, varcò la soglia. Il Master lo sentì e, da parte sua, gli si fece incontro. A poco più di un metro di distanza l'uno dall'altro, quei fratelli si fermarono e stettero a fissarsi a vicenda con sguardo fermo, poi mylord sorrise, fece un lieve inchino e si girò vivacemente.


- Mackellar,- mi fa, - dobbiamo provvedere alla colazione per questi viaggiatori.


Fu chiaro che il Master rimase un tantino sconcertato ma appunto perciò ostentò una maggiore impudenza di linguaggio e di maniere. - Sono affamato come un falco, - disse. - Ti prego, fammi preparare qualche cosa di buono, Henry.


Mylord si girò a lui con lo stesso sorriso duro. - Lord Durrisdeer, - corresse.


- Oh, in famiglia! Non sia mai detto! - ribatté il Master.


- Ognuno, in questa casa, mi si rivolge con il titolo che mi spetta, - disse mylord.- Se vi piace fare eccezione, lascio a voi di considerare l'impressione che ne potranno trarre gli estranei e se ciò non verrà interpretato come la conseguenza di un'invidia impotente.


Avrei avuto voglia di battere le mani, dalla gioia, tanto più che il mio signore non lasciò tempo per nessuna risposta, e invece, invitandomi con un cenno a seguirlo, uscì immediatamente dalla sala.


- Su presto, - mi fa, - dobbiamo spazzare via dalla casa un insetto nocivo. - E allungò il passo per i corridoi, con andatura così rapida che stentavo a tenergli dietro, dritto fino alla porta di John Paul, che egli aprì senza bussare, entrando subito nella stanza. John aveva tutta l'aria di dormire profondamente, ma mylord non si disturbò a fingere di svegliarlo.


- John Paul, - disse parlando con calma straordinaria - buon per voi che avete servito mio padre per tanto tempo, altrimenti vi caccerei di casa come un cane. Se fra un'ora non vi troverò più fra queste mura, continuerete a ricevere in Edimburgo il vostro salario. Ma se indugiate qui o in Saint Bride's, avrete un bell'essere vecchio, e un vecchio servo, e tutto quanto: troverò qualche mezzo molto sorprendente per farvi pentire della vostra slealtà. Alzatevi e fate fagotto. La porta da cui avete accolto quella gente servirà per la vostra partenza. Non voglio che mio figlio riveda la vostra faccia.


- Mi consolo, vedendo che sopportate questa prova con calma,dissi quando fummo di nuovo in movimento e soli.


- Con calma! - esclamò e, all'improvviso, afferrò la mia mano e se la mise sul cuore che gli batteva nel petto come un maglio.


Questa scoperta mi riempì di stupore e di spavento. Nessuna costituzione avrebbe retto a una tensione tanto violenta e meno di tutte la sua, che era già malandata; e io mi proposi di mettere fine a quel mostruoso stato di cose.


- Sarebbe bene, credo, che informassi mylady, - osservai. In verità egli stesso avrebbe dovuto preoccuparsene, ma io contai, non invano, sulla sua indifferenza.


- Sì - mi rispose, - fatelo. Io penserò ad affrettare la colazione:

dobbiamo comparire a tavola tutti, anche Alexander; dobbiamo mostrare di non essere turbati.


Corsi alla camera della signora, e le comunicai la notizia senza preamboli crudeli.


- Sono decisa da un pezzo, - mi rispose. - Bisogna che facciamo segretamente i bagagli durante la giornata e che partiamo segretamente stanotte. Grazie al cielo abbiamo un'altra casa! La prima nave in partenza ci porterà a New York.


- E lui? - chiesi.


- Gli lasceremo Durrisdeer, - esclamò lei. - Ne faccia quel che gli piace.


- No, con vostra licenza, - dissi io. - Alle sue calcagna resterà un cane che può tener duro. Avrà letto e cibo, e un cavallo da cavalcare, se si comporta bene; ma se siete d'accordo, mylady, le chiavi resteranno nelle mani di un certo Mackellar. Costui farà un'assidua vigilanza, potete starne certa.


- Signor Mackellar, - esclamò lei, - vi ringrazio per questa idea.


Tutto sarà lasciato in mano vostra. Se dobbiamo finire in terra selvaggia, vi do l'incarico di fare le nostre vendette. Mandate Macconochie a Saint Bride's, per far preparare in segreto i cavalli e per chiamare l'avvocato. Mylord deve lasciarvi procura.


In quel momento mylord comparve alla porta, e gli comunicammo il nostro piano.


- Non se ne parla nemmeno,- esclamò,- crederebbe di avermi impaurito. Resterò in casa mia, a Dio piacendo, fino alla morte. Non è ancora nato l'uomo che mi può sradicare da essa. Sia detto una volta per sempre, qui sono e qui resto, a dispetto di tutti i demoni dell'inferno. - Non posso dare idea della veemenza delle sue parole e del suo tono. Rimanemmo allibiti entrambi, io specialmente, che avevo avuto modo di conoscere appieno la sua consueta padronanza.


La signora mi rivolse uno sguardo supplichevole che mi arrivò al cuore e mi fece tornare in me. Le accennai furtivamente di uscire; rimasto solo con mylord, mi avvicinai a lui che passeggiava su e giù in fondo alla stanza come un mentecatto, e gli posi, con fermezza, una mano sulla spalla.


- Mylord, - gli dissi, - parlerò chiaro ancora una volta; e, se sarà l'ultima, tanto meglio, perché comincio ad essere stanco della mia parte.


- Niente mi farà cambiare proposito, - mi rispose. - Dio mi guardi dal rifiutare di ascoltarvi; ma niente mi farà cambiare proposito. - Disse questo con fermezza, senza traccia della precedente violenza, e ciò mi ridiede speranza.


- Ebbene,- risposi,- posso permettermi di sprecare il fiato.


Accennai a una sedia, e lui vi sedette guardandomi. - Mi ricordo del tempo in cui la signora vi trascurava molto, dissi.


- Non ne ho parlato mai allora, - replicò mylord avvampandosi in viso; - e ora tutto è cambiato.


- Sapete fino a che punto? - chiesi. - Sapete fino a che punto tutto sia cambiato? Le parti sono invertite, mylord! Tocca alla signora adesso sospirare da voi una parola, uno sguardo: e le tocca sospirare invano. Sapete con chi lei passa la giornata, mentre voi vi sollazzate nel parco? Mylord, lei si accontenta di passarla con un certo noioso vecchio amministratore, di nome Ephraim Mackellar, e credo che voi possiate intendere il significato di un fatto simile perché, se non m'inganno, voi stesso una volta foste ridotto alla stessa compagnia.


- Mackellar!- esclama mylord, balzando in piedi. - Oh Dio, Mackellar!

- Né il nome di Dio né quello di Mackellar possono cambiare la verità, - replicai, - e io vi racconto i fatti. E ora vi chiedo se sia cristiano, da parte vostra che avete sofferto tanto, infliggere ad altri le pene che avete patito. Ma voi siete così infatuato della vostra nuova tenerezza, che le antiche vi sono uscite dal cuore. Anzi le persone che ne erano oggetto vi sono perfino svanite dalla memoria.


Eppure le aveste a fianco nei momenti più foschi; e la signora non fu certo da meno delle altre. Vi viene forse in mente la signora? Vi viene, forse, in mente quello che dovette passare quella notte? Che specie di moglie è stata per voi fin da allora? In che posizione è oggi ridotta? No, mai. Il vostro orgoglio vuole che voi restiate a piè fermo contro il vostro nemico; e lei deve restare al vostro fianco.


Oh, l'orgoglio di mylord, ecco il punto! Eppure lei è donna e voi siete un uomo grande e grosso! Lei è la donna che giuraste di proteggere; e, cosa che conta ancora di più, la madre di vostro figlio!

- Voi parlate con grande asprezza, Mackellar, - mi rispose, ma lo sa Iddio se non temo che abbiate ragione! Non mi sono mostrato degno della mia felicità. Riportate qui la signora.


La signora aspettava lì vicino, ansiosa di conoscere il risultato.


Quando la riportai dentro, mylord ci prese entrambi per mano, e si pose le nostre palme sul cuore. - Ho avuto due amici nella vita, - disse. - Ogni mio bene è venuto dall'uno o dall'altro. Se siete dello stesso parere tutti e due, ritengo che sarei un ingrato... - Strinse la bocca in uno spasimo, e ci guardò coi lucciconi. - Fate di me quello che vi piace, continuò, - ma solo non pensate... - e tacque di nuovo.Fate di me ciò che vi piace; Dio sa se vi amo e vi rispetto. E, lasciando ricadere le nostre mani, ci girò le spalle e andò a guardare fuori dalla finestra. Ma la signora lo seguì, chiamandolo per nome, e gli si gettò al collo in uno scoppio di pianto.


Uscii, richiudendomi dietro la porta, e ringraziai Iddio dall'intimo del cuore.


A colazione ci riunimmo tutti, secondo il proposito di mylord. Nel frattempo il Master si era tolto gli stivali rattoppati e si era vestito in maniera conveniente; Secundra Dass non era più infagottato negli scialli, ma indossava un corretto abito nero, che non gli si addiceva affatto; e, quando la famiglia entrò nella sala, tutti e due stavano vicino al finestrone, guardando fuori. Si girarono e, mentre il negro (come già era chiamato in casa) si inchinava quasi fino a terra, il Master si fece avanti come persona di casa. La signora lo fermò, facendo una profonda riverenza dalla soglia e tenendosi dietro i suoi piccoli. Mylord la precedeva: così i tre cugini di Durrisdeer si trovarono a faccia a faccia. Portavano tutti le tracce del logorio del tempo e a me sembrò di leggere sul loro viso mutato un "memento mori"; ma ancora più mi turbò il vedere che il perverso portava gli anni meglio degli altri. La signora si era trasformata in una matrona adatta a stare a capo di una gran tavolata di figli e di dipendenti.


Mylord era infiacchito di membra, andava curvo; camminava come se corresse, quasi avesse imparato un'altra volta a camminare dal signor Alexander; sulla sua faccia, che si era emaciata e sembrava un po' più lunga che in passato, vagava a volte un singolare sorriso, che, ai miei occhi, sembrava amaro e patetico insieme. Ma il Master andava ancora impettito, sebbene, forse con sforzo; aveva la fronte sbarrata al centro da rughe imperiose e la bocca atteggiata al comando. Vi era in lui tutta la gravità e un che dello splendore di Satana nel Paradiso Perduto. Non potei fare a meno di contemplarlo con ammirazione; fui solo sorpreso di sentirne ben poca paura.


Ma in verità (per tutto il tempo che restammo a tavola) sembrò che la sua protervia fosse svanita e che egli avesse perduto i denti per mordere. L'avevamo visto simile a un mago capace di comandare gli elementi, ed eccolo trasformato in un gentiluomo come tanti altri, che conversava garbatamente con i suoi compagni di tavola. Ora che il padre era morto e che mylord aveva fatto pace con la signora, in quali orecchie egli avrebbe potuto insinuare le sue calunnie? Mi accorsi a un tratto quanto grandemente avessi esagerato la scaltrezza di quell'uomo. Egli aveva ancora la sua malizia; era falso come sempre; ma, una volta scomparsa la circostanza che formava la sua forza, rimaneva impotente; era ancora una vipera, ma consumava il suo veleno alla superficie. Altre due idee mi vennero, mentre eravamo ancora a colazione; la prima che egli fosse mortificato, anzi quasi sgomento, di sentirsi mancare l'appiglio alle sue arti, la seconda che mylord fosse nel vero, e che la signora e io avessimo torto volendo sfuggire al nemico in rotta. Ma mi venne in mente il cuore martellante del mio povero padrone, e ricordai che bisognava agire da vili per salvare la sua vita.


Quando il pasto finì, il Master mi seguì nella mia stanza, e là, prendendo una sedia (che io non gli avevo offerta), mi chiese come intendessimo comportarci con lui.


- Credo, signor Bally, - dissi, - che la casa vi sarà aperta ancora per qualche tempo.


- Per qualche tempo? - chiese lui. - Temo di non capire bene quel che dite.


- E' abbastanza chiaro, - risposi. - Noi vi riceviamo per rispetto umano; non appena vi sarete disonorato con qualcuna delle vostre ribalderie, vi spediremo altrove di nuovo.


- State diventando uno sfacciato briccone, - disse il Master, dandomi un'occhiata minacciosa.


- Ho imparato a una buona scuola, - replicai. - E voi dovete aver capito bene che, con la morte del vecchio lord, il vostro potere è del tutto scomparso. Ora non vi temo più signor Bally; credo perfino, Dio mi perdoni, di provare un certo piacere nella vostra compagnia.


Egli proruppe in uno scoppio di risa, che suonò del tutto ostentato.


- Sono tornato a tasche vuote, - disse dopo un pausa.


- Non credo che correrà denaro, - replicai. - Vi consiglierei di non fare affidamento su questo.


- In proposito, avrò pure da dire la mia, - ribatté.


- Davvero? - chiesi. - Non riesco a immaginarmelo.


- Oh, la vostra fiducia è affettata, - disse il Master. - La mia posizione è forte ancora per il fatto che voi avete paura dello scandalo, mentre io mi ci diverto.


- Scusate, signor Bally, - aggiungo io. - Noi non abbiamo la minima paura di uno scandalo che colpisca voi.


Egli rise di nuovo. - Avete imparato a rimbeccare, - disse. Ma discorrere è facile e, a volte, assai ingannevole. Vi parlo francamente: sarò come vetriolo in questa casa. Vi converrebbe darmi il denaro che mi serve e lasciarmi ripartire. - E, così dicendo, mi salutò con la mano e uscì dalla stanza.


Poco dopo, venne mylord con il legale di famiglia, il signor Carlyle; ci portarono una bottiglia di vino vecchio, e ne bevemmo un bicchiere prima di trattare gli affari. Furono quindi stesi e convalidati gli atti necessari per costituire il signor Carlyle e me procuratori per le tenute di Scozia.


- C'è un punto, signor Carlyle, sul quale desidero che voi ci rendiate giustizia,- disse mylord quando gli affari furono sistemati. - Questa partenza repentina, che coincide con il ritorno di mio fratello, susciterà certo dei commenti. Vorrei che voi sfataste qualsiasi collegamento tra i due atti.


- Me ne farò un dovere, mylord, - disse il signor Carlyle. Dunque il Ma... il signor Bally, non vi accompagna?

- Bisogna che io chiarisca anche questo punto, - disse mylord. - Il signor Bally resta a Durrisdeer sotto la vigilanza del signor Mackellar; e io voglio che egli non sappia niente di noi, neppure la nostra destinazione.


- La voce pubblica, però... - cominciò l'avvocato.


- Oh, signor Carlyle, il segreto deve restare fra noi, interruppe mylord. - Nessuno, tranne voi e Mackellar, deve essere a conoscenza dei miei movimenti.


- E il signor Bally resterà qui? Ho capito, - disse signor Carlyle.


- Il mandato che voi lasciate... - e s'interruppe di nuovo. - Signor Mackellar, avremo un peso piuttosto grave sulle spalle.


- Senza dubbio, signore, - dissi io.


- Senza dubbio, - ripeté. - Il signor Bally non avrà dunque alcuna voce in capitolo?

- Non avrà voce in capitolo, - rispose mylord, - e, spero, non avrà nemmeno alcun influsso. Il signor Bally non è un buon consigliere.


- Capisco, - disse il legale. - A proposito, ha mezzi?

- Mi risulta che non ha niente, - rispose mylord. - Io gli concedo candele, fuoco e tavola in questa casa.


- E quanto a un assegno? Se devo condividere le responsabilità (voi mi capite) è sommamente desiderabile che io comprenda bene il vostro modo di vedere, - disse il legale. - Quanto a un assegno, dunque?

- Non vi sarà nessun assegno, - disse mylord. - Desidero che il signor Bally conduca una vita ritiratissima. Non abbiamo avuto sempre motivo di compiacerci del suo contegno.


- E in materia di denaro, - aggiunsi io, - egli si è mostrato un amministratore infame. Date un'occhiata, signor Carlyle, a questo registro dove ho trascritto le differenti somme che costui ha spillato dal patrimonio in questi ultimi quindici o vent'anni. Il totale è considerevole.


Il signor Carlyle fece l'atto di mettersi a fischiare. - Non ne avevo idea, - disse. - Scusatemi ancora una volta, mylord, se sembro insistente; ma è realmente desiderabile che io penetri le vostre intenzioni. Il signor Mackellar potrebbe morire, nel qual caso resterei solo responsabile del mandato. Vossignoria non è forse alquanto incline a vedere il signor Bally, ehm, lasciare il paese?

Mylord guardò il signor Carlyle. - Perché mi fate questa domanda? - gli chiese.


- Credo di capire, mylord, che il signor Bally non sia di gran consolazione per la sua famiglia, - disse il legale con un sorriso.


La faccia di mylord si corrugò improvvisamente. - Io vorrei che fosse all'inferno! - esclamò e si riempì di nuovo il bicchiere, ma lo alzò con mano così tremante che se ne versò il contenuto sul petto. Questa era la seconda volta che la sua animosità prorompeva nel corso della più regolare e savia conversazione. Il signor Carlyle ne rimase stupito (e da quel momento in poi osservò mylord con furtiva curiosità); io ne trassi la rinnovata certezza che la decisione presa era salvaguardia indispensabile per la salute e il senno del mio padrone.


Eccezion fatta per questo sfogo, il colloquio si svolse in modo soddisfacente, anche se il signor Carlyle, naturalmente, non mancò di parlare a spizzico, com'è costume degli avvocati. Potemmo così confidare di aver gettato le basi di una pacificazione del paese con noi. Le sregolatezze del nostro nemico avrebbero compiuto l'opera da noi iniziata. Del resto, l'avvocato, prima di andarsene, ci fece capire che qualche sentore vero si era già diffuso in paese.


- E' forse mio dovere spiegarvi, mylord, - egli disse, indugiando con il cappello in mano, - che le disposizioni di Vossignoria riguardo al signor Bally non mi hanno troppo stupito. Qualcosa di questo genere trapelò al tempo del suo primo ritorno a Durrisdeer. Si parlò, allora, di una donna di Saint Bride's verso la quale voi eravate stato di una benignità estrema, e il signor Bally considerevolmente crudele. Vi fu poi la faccenda del fidecommisso, che fu assai discussa. Insomma, non mancarono le chiacchiere, di qua e di là; e i più saccenti del paese si dichiararono scandalizzati. Io, com'era naturale nei miei panni, non azzardai giudizi, ma il registro del signor Mackellar mi ha finalmente aperto gli occhi. Non credo, signor Mackellar, che voi e io daremo troppa corda al signor Bally.


Il resto di quella importante giornata passò senza disavventure. Fu nostra politica non perdere d'occhio il nemico, e anch'io feci i miei turni di guardia come gli altri. Credo che egli si rianimasse, vedendoci tanto vigili, e so che io, invece, mi persi d'animo insensibilmente. Quel che più mi sconcertava era l'accortezza di quell'uomo nell'indagare le nostre intime pene. Avrete sentito, forse, dopo una caduta da cavallo, la mano di un aggiusta-ossi separare con arte i muscoli ed esaminarli, per fissarsi quindi, abilmente, sul punto leso. Altrettanto faceva la lingua del Master, così scaltra nell'interrogare; altrettanto faceva il suo occhio, così pronto ad osservare. Sembrava che io non avessi detto niente, ma rivelato tutto.


Non mi ero ancora orientato che egli già si condoleva con me dell'indifferenza di mylord nei confronti miei e della signora, nonché della sconsigliata indulgenza verso suo figlio. Su questo punto lo sentii, con timor panico, tornare più volte. Il ragazzo aveva dimostrato una certa repulsione per lo zio, e mi ero messo in testa che suo padre fosse stato tanto sciocco da istruirlo su ciò che non doveva sapere; ma quando guardavo l'uomo che mi stava davanti, così bello ancora, così fine parlatore, esperto delle più svariate avventure, capivo che egli era il personaggio più adatto ad allettare la fantasia di un fanciullo. Per di più John Paul era andato via solo quella mattina; e non era supponibile che si fosse astenuto dal parlare del suo argomento preferito. C'era dunque il caso di vedere, un giorno o l'altro, il signor Alexander prestare ascolto, come una nuova Didone, con accesa curiosità, e il Master fare la parte di un diabolico Enea, raccontando le avventure più amene del mondo per un orecchio giovanile, e cioè battaglie, naufragi, fughe peregrinazioni dentro le foreste dell'Occidente, e, dopo l'ultima avventura, viaggi attraverso le antiche città dell'India. Era ovvio per me con quanta scaltrezza potessero essere usate simili esche e quale impero si potesse fondare, a poco a poco, con tali mezzi nella mente di qualunque fanciullo. Finché il nemico fosse in casa, nessuna inibizione sarebbe stata abbastanza forte per separare zio e nipote; perché tanto è arduo incantare i serpenti, quanto è facile stregare un piccolo d'uomo che ha messo da poco le braghette. Mi ricordai di un vecchio uomo di mare che abitava oltre le miniere di Figgate in una casa solitaria (mi sembra che lui la chiamasse Portobello) dove la domenica i ragazzi di Leith andavano a frotte, come corvi a una carogna, per ascoltare i suoi racconti infiorati di bestemmie: fatto questo da me osservato quando ero giovane studente, nel corso delle mie vacanze e dei miei diporti meditativi. Alcuni ragazzi andavano certo a Figgate trasgredendo a un espresso ordine; molti temevano e perfino odiavano il vecchio bruto di cui avevano fatto il loro eroe; e io li ho visti scappare davanti a lui quando era alticcio, e prenderlo a sassate quando era ubriaco. Eppure tornavano da lui ogni domenica!

Quanto più facilmente un ragazzo come il signor Alexander sarebbe caduto sotto l'influsso di un avventuriero gentiluomo, dal nobile aspetto e dalla parola ornata, al quale fosse venuto il capriccio di conquistarlo, e, una volta acquistato l'influsso, come sarebbe stato facile per costui valersene per pervertire il bambino!

Non credo che il nostro nemico avesse nominato il signor Alexander tre volte, prima che io mi accorgessi delle sue mire. Tutto questo concatenamento d'idee e di ricordi passò in una sola pulsazione attraverso il mio cervello, e ne rabbrividii, come se un baratro mi si fosse spalancato davanti durante una cavalcata. Il signor Alexander:

ecco il punto debole, ecco l'Eva del nostro perituro paradiso; e il serpente già sibilava sulle sue orme.


Vi assicuro che, scomparso ogni scrupolo, e letto in caratteri cubitali il pericolo del ritardo, attesi con maggior lena e più di buon animo ai preparativi della partenza. Non mi concessi riposo, non ripresi fiato. Ora montavo la guardia presso il Master e il suo indiano; ora chiudevo una valigia in soffitta, ora facevo uscire Macconochie dalla porticina laterale, sul sentiero del bosco, per portare la valigia al posto convenuto; e ora mi incontravo di sfuggita con la signora, per riceverne consiglio. Tali manovre costituirono quel giorno il verso della nostra vita a Durrisdeer; ma per il resto essa sembrò seguire il placido tenore di una famiglia radunata nella dimora avita, e, se trapelò qualche turbamento, il Master poté attribuirlo al subbuglio prodotto dal suo inauspicato ritorno e al timore che egli era abituato a ispirare.


La cena si svolse decorosamente; alla fine furono scambiati freddi saluti, e la compagnia si sciolse, ritirandosi ognuno nella propria camera. Io mi occupai fino all'ultimo del Master. L'avevamo alloggiato con l'indiano nell'ala settentrionale, perché questa era la più remota e perché, chiudendo alcune porte, poteva essere isolata dal blocco centrale della casa. Mi accorsi che lui era un cortese amico o un buon padrone (non so in quali rapporti i due convivessero) per Secundra Dass. Si preoccupò che fosse a suo agio e attizzò con le proprie mani il fuoco per l'indiano freddoloso, si informò in merito al riso di cui lo straniero si cibava, e parlò amabilmente con lui in indostano, mentre io reggevo la candela e fingevo di cascare dal sonno. A un certo punto il Master notò che davo segni di stanchezza. - Vedo, - mi disse, - che mantenete le vostre vecchie usanze: presto a letto e presto in piedi. Andate a sbadigliare altrove.


Rientrato in camera mia, eseguii, per calcolare bene il tempo, tutti i movimenti che ero solito fare nello spogliarmi; e, quando il ciclo ebbe termine, preparai la scatola dell'esca, e spensi la candela.


Trascorsa un'ora, riaccesi il lume, mi misi le scarpe di pezza, da me già usate al capezzale di mylord, e cominciai a girare per la casa, chiamando i viaggiatori. Erano tutti vestiti e in attesa: mylord, mylady, la signorina Katharine, il signor Alexander, Christie (la cameriera della signora), e io potei osservare il turbamento che un complotto produce, anche se innocente, poiché ogni spiraglio di porta mi mostrò una faccia bianca come la carta. Sgusciammo fuori della porticina laterale, in una notte di tenebre appena interrotte da qualche stella; e così, all'inizio, dovemmo procedere a tentoni inciampando e cadendo fra i cespugli. Qualche centinaio di metri più oltre, sul sentiero del bosco, Macconochie ci aspettava con una grande lanterna; in quel modo potemmo proseguire il cammino abbastanza agevolmente mantenendo tuttavia un silenzio penoso. Un po' oltre l'abbazia, il sentiero sboccava sulla via maestra; e, circa un quarto di miglio più in là, al posto chiamato Engles, dove comincia la landa, scorgemmo i lumi di due carrozze, che brillavano a fianco della strada. Al momento della separazione furono dette poche parole soltanto, ed esse riguardavano gli affari: una stretta di mano scambiata in silenzio, un volgere altrove la faccia commossa, e tutto finì lì; i cavalli presero il trotto, i fanali si allontanarono come fuochi fatui sul terreno ineguale, per sparire presto oltre Stony Brae; e Macconochie e io restammo soli sulla via con la nostra lanterna. Rimaneva da aspettare solo una cosa, e cioè la ricomparsa delle carrozze su Cartmore. Probabilmente i partenti sostarono sulla vetta per guardare indietro un'ultima volta e videro la nostra lanterna ancora sul posto della separazione, perché un fanale di carrozza fu tolto e agitato tre volte su e giù, in segno di addio. Poi i fuggiaschi se ne andarono per davvero, dopo aver guardato per l'ultima volta il fido tetto di Durrisdeer e rivolgendo la faccia verso una barbara terra. Sentii allora, per la prima volta, la grandezza di quella cupola notturna sotto la quale noi due, poveri servi, uno vecchio e l'altro attempato, restavamo derelitti; sentii per la prima volta che la mia vita era legata alla presenza di altri.


Il senso dell'isolamento mi morse le viscere come un fuoco. Mi sembrò che i veri esuli fossimo noi rimasti a casa, e che Durrisdeer e la costiera del Solway, e tutto ciò che rendeva familiare la mia terra, balsamiche le sue brezze, e gradevole il suo linguaggio, fosse partito e navigasse in alto mare con i miei antichi signori.


Durante il resto di quella notte, passeggiai su e giù per la liscia strada maestra, riflettendo sul futuro e sul passato. I miei pensieri, che dapprima indugiavano teneramente su coloro che erano partiti, presero un più virile avvio quando riflettei sul compito che mi restava. Il giorno spuntò sulle cime dei monti, gli uccelli cominciarono a cinguettare, e il fumo dei casolari si alzò dal bruno seno delle lande prima che io mi decidessi a tornare a casa e mi incamminassi giù per il viottolo calante verso il posto dove i tetti di Durrisdeer splendevano in riva al mare, nella luce del mattino.


All'ora solita, feci chiamare il Master e attesi con animo tranquillo la sua venuta nel salone. Egli fece girare lo sguardo nella sala deserta e sulla tavola apparecchiata per tre.


- Siamo in pochi, - osservò. - Come mai?

- A questo dovremo abituarci, - risposi.


Mi guardò con un improvviso cipiglio. - Che intendete dire? chiese.


- Dico che voi e io e il vostro amico, signor Dass, siamo rimasti qui soli, - risposi. - Mylord, mylady e i bambini sono partiti per un viaggio in mare.


- Perbacco! - esclamò. - E' mai possibile? Ho davvero sgomentato i vostri Volsci in Corioli. Ma questo non è un motivo per far raffreddare la colazione. Favorite sedervi, signor Mackellar, e, nel dire ciò, si mise a capotavola, nel posto che avevo pensato di prendere io stesso.- Potrete fornirmi i particolari di questa evasione mentre mangiamo.


Potei capire che egli era più turbato di quanto il suo linguaggio non facesse capire, e decisi di uguagliarlo in freddezza. - Stavo per invitarvi a sedere a capotavola, dissi,- perché, pur se ora mi è stata imposta la parte di padrone di casa, non potrei dimenticare che, in fin dei conti, avete fatto parte della famiglia.


Per un po', fece l'anfitrione, dando ordini a Macconochie che li riceveva con mala grazia, e occupandosi specialmente di Secundra. - E dove si è ritirata la mia buona famiglia?chiese con affettata noncuranza.


- Ah, signor Bally, questo è un altro discorso, - risposi. Non ho istruzioni di comunicare la sua destinazione.


- A me, - egli corresse.


- A nessuno, - affermai.


- Meno male, - disse il Master; - "c'est de bon ton": mio fratello con il tempo fa progressi. E io, caro signor Mackellar?

- Voi avrete alloggio e vitto, signor Bally, - risposi. - Mi è permesso di mettervi a disposizione la cantina, che è abbastanza ben fornita. Solo che vi comportiate bene con me, il che non è difficile, non vi mancherà il vino né il cavallo da sella.


Egli colse un pretesto per mandare Macconochie fuori della stanza.


- E i soldi? - chiese. - Devo comportarmi bene con il mio amico Mackellar, anche per rifornire il borsellino? E' un ritorno piacevole alle consuetudini della fanciullezza.


- Non vi è stato concesso nessun assegno, - risposi, - ma io prendo impegno di provvedervi con moderazione.


- Con moderazione? - ripeté. - E voi ne prendete impegno? Si alzò e guardò, in giro per il salone, la fosca fila dei ritratti. - Nel nome dei miei antenati, vi ringrazio, - disse, e poi, con una ripresa d'ironia,- ma ci sarà di certo un assegno per Secundra Dass, - aggiunse. - Impossibile che non ci abbiano pensato.


- Ne prenderò nota, e, scrivendo, chiederò istruzioni in proposito, - replicai.


E lui, con improvviso mutamento di maniere, e protendendosi con un gomito appoggiato sulla tavola: - Vi pare molto saggio, tutto ciò?

- Eseguo gli ordini ricevuti, signor Bally, - risposi.


- Profondamente modesto, - disse il Master, - forse non ugualmente ingegnoso. Mi diceste, ieri, che il mio potere era scomparso alla morte di mio padre. Perché, allora, un Pari del regno scappa nel cuore della notte da una casa in cui gli avi suoi hanno resistito a parecchi assedi? che egli cela il proprio indirizzo a rischio di dare da pensare a Sua Maestà e all'intero Stato? e che egli mi lascia in balia e sotto le paterne cure del suo impagabile Mackellar? Questo mi sa di non poca e genuina apprensione.


Provai a interromperlo con dinieghi insinceri; ma egli mi fece cenno di tacere, e continuò il suo discorso.


- Dico che sa di apprensione,- riprese,- ma aggiungo che l'apprensione è fondata. Sono venuto in questa casa con qualche riluttanza. Date le circostanze della mia ultima partenza, nient'altro che la necessità avrebbe potuto indurmi a tornare. Denaro mi serve, e denaro avrò. Voi non volete darmene con le buone? Ebbene, ho il potere di costringervi a darmene. Entro una settimana, senza uscire da Durrisdeer, scoprirò dove si sono rifugiati quegli stolti. Li raggiungerò e, quando sarò sul posto, calerò sui miei cari parenti un colpo che li metterà in convulsione ancora una volta. Vedremo, allora, se Lord Durrisdeer - e così dicendo la sua voce fremeva di disprezzo e furore indicibile, - vorrà o no comprare il mio allontanamento, e vedrete tutti se, allora, io mi deciderò per l'interesse o per la vendetta.


Sbigottii sentendo il nostro nemico parlare così apertamente. La verità è che si consumava dalla rabbia, per la ben riuscita fuga di mylord, sentiva di essere stato giocato e non era disposto a misurare le parole.


- E "questo", vi sembra molto saggio? - gli chiesi copiando le sue parole.


- Sono vent'anni che vivo su quel po' di saggezza che ho, rispose con un sorriso che sembrava quasi stolto, nella sua vanagloria.


- Per ritrovarvi alla fine come un mendicante, - osservai, se mendicante è parola sufficientemente espressiva.


- Vorrei che notaste, signor Mackellar, - esclamò con improvviso, impetuoso calore, che dovetti ammirare, - che sono scrupolosamente cortese; imitatemi e andremo più d'accordo.


Durante tutto questo dialogo la presenza di Secundra Dass mi aveva molto turbato. Fin dalla prima parola, nessuno di noi aveva pensato a far finta di mangiare: ci scrutavamo scambievolmente in faccia, ci scrutavamo anche, per così dire, nell'anima; e gli occhi dell'indiano mi turbavano, per un certo luccichio mutevole, come di comprensione.


Misi però da parte un'idea simile, ripetendo a me stesso che costui non capiva l'inglese e solo la serietà di tono che usavamo entrambi, e lo scherno o la collera, che affioravano ogni tanto nella voce del Master, gli facevano fiutare che c'era in aria qualcosa d'importante.


Continuammo a vivere insieme nella casa di Durrisdeer per circa tre settimane: esordio di quel capitolo singolarissimo della mia vita, il capitolo (non posso dire diversamente) della mia intimità con il Master. Dapprima egli tenne un contegno alquanto variabile, ora cortese, ora ritrovando l'antico costume di sbeffeggiarmi; ma in entrambi i casi mi trovò pronto a rendergli la pariglia. Grazie a Dio, ormai non avevo più da stare cauto, con lui, e i cipigli non mi hanno mai intimorito, anche se non posso dire lo stesso di una spada nuda.


Di modo che trovavo un certo diletto in quegli assalti di scortesia e non di rado avevo la risposta felice. Infine mi capitò una volta, a cena, di uscire in una buffa espressione che lo conquistò davvero. Ne rise ripetutamente e: - Chi l'avrebbe immaginato, - disse, che questa comare nascondesse dello spirito nelle gonnelle?

- Non è spirito, signor Bally - dissi io, - solo arido umorismo scozzese, e anzi dei più aridi. - Infatti non ho mai avuto la minima pretesa di essere considerato spiritoso.


Da quel momento egli non si mostrò mai più rude con me, e fra noi, invece, tutto si svolse su un piano di scherzo. Una delle circostanze principali per scherzare era quando egli voleva un cavallo, un'altra bottiglia, o dei soldi. Lui mi si presentava con l'aria di uno scolaretto, io gli tenevo bordone, ostentando un paterno sussiego, ed entrambi ne avevamo gran sollazzo. Non potei fare a meno di accorgermi che egli faceva maggior conto di me; la qual cosa mi solleticò in quel misero lato dell'uomo che è la vanità. Egli cominciò inoltre (inconsapevolmente, suppongo) a trattarmi in maniera non solo confidenziale, ma perfino amichevole; e questo, da parte di colui che mi aveva detestato per tanto tempo, mi sembrò sommamente insidioso.


Egli usciva poco: a volte perfino rifiutava gli inviti. - No, - diceva, che m'importa di questi ottusi signori di campagna? Resterò in casa, Mackellar, e berremo insieme una bottiglia, facendo una buona chiacchierata.- E, davvero, l'ora dei pasti a Durrisdeer sarebbe stata un piacere per chiunque, tanto la conversazione era brillante.


Il Master si dichiarava spesso meravigliato della propria antica noncuranza per la mia compagnia. - Ma, vedete, aggiungeva, - eravamo in campi avversi. Lo siamo anche oggi; ma non parliamo di questo. Vi stimerei molto meno, se non foste così ligio al vostro padrone. - Dovete aver presente che io lo ritenevo ormai nell'impossibilità di nuocere, e che è una forma di adulazione molto seducente, per un uomo, quella di veder rendere, dopo molti anni, tardiva giustizia alla sua persona e alle sue doti. Ma io non intendo affatto scusarmi. Ero degno di biasimo: mi lasciavo vezzeggiare, e credo che, in me, il cane da guardia stesse per addormentarsi profondamente,quando fu improvvisamente risvegliato.


Ho trascurato di dire che l'indiano si aggirava continuamente per la casa. Non parlava mai, se non nel proprio idioma e con il Master; camminava senza rumore; e, dove meno mi aspettavo di trovarlo, lì appariva con un'aria trasognata, da cui (alla mia venuta) si riscuoteva per beffarmi con un inchino di smaccato ossequio. Sembrava così mite, così gracile e così immerso nelle sue fantasie che a me capitò di passargli vicino senza troppo badargli, e perfino di compatirlo come esule inoffensivo. Eppure, di certo, quell'uomo non faceva che origliare; e di certo, proprio per il suo spionaggio e per il mio senso di sicurezza il nostro segreto venne a conoscenza del Master.


Il colpo mi piombò addosso in una serata di cattivo tempo, dopo una cena che era stata gradevole più del consueto.


- Tutto bellissimo,- mi fa il Master, - ma faremmo meglio a preparare le nostre valigie.


- Perché? - esclamai. - Partite?

- Partiamo tutti domattina, - mi rispose. - Prima per il porto di Glasgow, e di là per la provincia di New York.


Forse, non trattenni un gemito.


- Già, - riprese, - mi sono vantato a torto; dissi una settimana, e mi ci sono voluti venti giorni. Ma non importa, mi rifarò del tempo perduto, viaggerò più in fretta.


- Avete i denari per la traversata? - chiesi.


- Caro e ingenuo personaggio, ne ho di sicuro, - mi rispose.


Biasimatemi, se volete, per la mia duplicità; ma, mentre spillavo scellini dal babbo, tenevo da parte un gruzzolo per la mala annata.


Voi pagherete per la vostra traversata, se gradite accompagnarci nella nostra marcia di avvicinamento; io ho abbastanza per Secundra e per me, ma non altro; abbastanza per essere pericoloso, non abbastanza per essere generoso. C'è, d'altra parte, sulla vettura, un posto in serpa che vi farò avere a prezzo moderato; in modo che l'intero serraglio possa viaggiare insieme: cane da guardia, bertuccia e tigre.


- Verrò con voi, - dissi.


- Ci conto, - disse il Master. - Mi avete visto patire uno smacco, voglio che vediate la mia rivincita. E, pur di riuscirvi, mi azzarderò a farvi bagnare come una zuppa, con questo tempaccio.


- D'altra parte, - aggiunsi, - voi sapete bene che non potreste sbarazzarvi di me.


- Non sarebbe facile, - rispose. - Voi, con il vostro solito buon senso, mettete il dito sul punto debole. Io non combatto mai contro l'inevitabile.


- Suppongo che sia inutile fare appello alla vostra clemenza, dissi.


- Perfettamente inutile, credetemi, - confermò.


- Eppure, se mi deste tempo, potrei scrivere... - cominciai.


- E quale sarebbe la risposta di Lord Durrisdeer? - mi chiese.


- Già, - risposi, - questo è il punto.


- E a ogni modo, è più spiccio che vada io stesso, - disse. Ma non stiamo a sprecare il fiato. Alle sette di domattina una vettura sarà al portone. Perché io uscirò dal portone, Mackellar; non me ne andrò di soppiatto, attraverso i boschi, per prendere la vettura lungo la strada, ad Engles, per esempio.


Adesso avevo preso la mia decisione. - Potrete concedermi un quarto d'ora a Saint Bride's? - dissi. - Ho una faccenduola indispensabile da sbrigare con Carlyle.


- Anche un'ora, se volete, - rispose. - Non cerco di negare che miro al denaro per il vostro posto; e voi potreste sempre arrivare primo a Glasgow a dorso di cavallo.


- Ebbene, - dichiarai, - non avevo mai pensato di lasciare la vecchia Scozia.


- Vi farà bene allo spirito, - mi rispose.


- Questo viaggio porterà male a qualcuno, - ripresi. - E temo che porterà male a voi, signore. Una voce parla nel mio cuore, e dice chiaro che questo è un viaggio malaugurato.


- Se vi buttate alle profezie, - mi fa, - sentite questa.


Dal largo del Solway venne una violenta raffica, che fece scrosciare la pioggia contro le grandi invetriate.


- Sapete, stregone, quel che preannuncia, questo? - disse egli in dialetto scozzese: - che un certo Mackellar avrà un gran mal di mare.


Mi ritirai in camera, e vi rimasi in uno stato di agitazione penosa, ascoltando lo strepito della burrasca che infuriava contro il frontone della casa. Sia per l'apprensione dell'animo, sia per gli ululati del vento fra le torricelle, e il perpetuo fremito della casa, il sonno fuggì dalle mie palpebre. Rimasi seduto accanto alla candela, guardando i riquadri neri della vetrata, dai quali la tempesta sembrava continuamente sul punto d'irrompere; e in quel campo vuoto vidi una prospettiva di conseguenze tali da farmi rizzare i capelli sul capo. Il bambino viziato, il focolare domestico distrutto, il mio padrone morto o peggio che morto, la mia padrona immersa nella desolazione: tutto questo vidi davanti a me, dipinto a vivaci colori sulle tenebre; e l'urlo del vento sembrava irridere la mia inerzia.




CAPITOLO NONO


Il viaggio del signor Mackellar con il Master


La carrozza arrivò al portone in una fitta nebbia che penetrava nelle ossa. Ci allontanammo in silenzio dal palazzo di Durrisdeer, che, con le grondaie stillanti e le finestre chiuse, sembrava un luogo consacrato alla desolazione. Notai che il Master rimase affacciato al finestrino, intento a guardare i muri inzaccherati e i tetti luccicanti della casa paterna, finché non furono inghiottiti dalla nebbia; e devo supporre che una simile partenza lo rattristasse suo malgrado; se pure non gli ispirò addirittura un presentimento della fine. Certo è che, quando fummo su per l'erta, e dovemmo risalirla andando a piedi nel fango, egli si mise prima a fischiettare, e poi a cantare la più triste delle nostre arie popolari, quella che fa piangere perfino la gente delle taverne: l'«Errante Willie». Non ho mai sentito altrove le parole che egli vi adattò, e non mi riuscì mai di averne una copia; ma alcune di esse, grandemente appropriate alla nostra partenza, ancora mi echeggiano nella memoria. Una strofa cominciava:

"La casa un tempo cara, era davvero casa, piena di visi amati Era davvero, cara, lieta casa di bambini."E finiva su per giù in questo modo:

"Ed ora il giorno che nasce sull'orlo della brughiera vede solitaria la casa, fredda la pietra del focolare.


Solitaria rimanga, ora che se ne sono tutti andati gli abitanti, Cuori amici, cuori sinceri, che amavano l'antica dimora."Non ho potuto mai giudicare imparzialmente questi versi, ai quali l'aria malinconica dava un tono quasi religioso, e che sentii modulare con particolare dolcezza da un cantore provetto, in circostanze che sembravano illustrarli. Egli mi guardò in faccia, alla fine, e vide che avevo i lucciconi.


- Ah! Mackellar,- esclamò,- credete dunque che io non abbia rimpianti?

- Non credo che riuscireste ad essere tanto cattivo, - risposi,- se non aveste tutta la stoffa per essere buono.


- No, non tutta, - corresse, - non tutta. Siete in errore. Il male è che non voglio, mio caro evangelista. - Ciò nonostante mi sembra che, risalendo in vettura, sospirasse.


Viaggiammo per tutto il giorno con lo stesso brutto tempo: la nebbia ci avvolgeva, il cielo piangeva senza tregua sulle nostre teste. La strada correva per lande montane, dove non si sentiva che lo stridio delle pernici nell'erica bagnata, e lo scrosciare dei ruscelli ingrossati. Ogni tanto mi appisolavo, e allora piombavo di colpo in qualche incubo raccapricciante, dal quale mi svegliavo con un senso di soffocamento. A volte, quando le ruote rallentavano su per un'erta, mi arrivava dall'interno il suono delle voci che parlavano in quella lingua tropicale, indistinta, per me, come il pigolìo degli uccelli.


Se poi la salita era lunga, il Master scendeva dal veicolo e camminava al mio fianco, per lo più senza parlare. E continuamente, nel sonno o nella veglia, vedevo la stessa prospettiva di catastrofe imminente, e le stesse scene mi si ripresentavano agli occhi, con l'unica differenza che adesso parevano raffigurate sulla nebbia dei pendii.


Una ce n'era che si colorava di tinte veritiere. Essa mi mostrava mylord seduto a un tavolino, in una camera angusta; la sua testa, prima nascosta fra le palme, si alzava poi lenta lenta e si volgeva dalla mia parte con un'espressione disperata. Mi era apparsa la prima volta sul nero sfondo della mia finestra, l'ultima notte da me passata a Durrisdeer, mi riapparve con insistenza per buona parte del mio viaggio; e tuttavia non era effetto di pazzia; poiché sono arrivato a un'età molto avanzata senza per nulla smarrire la capacità di giudicare; e nemmeno fu (come ebbi la tentazione di supporre) un avviso del cielo; poiché durante le calamità di ogni tipo che sopravvennero, io vidi molti spettacoli di desolazione, ma mai quello.


Fu deciso che viaggiassimo tutta la notte; e, strano a dirsi, non appena calò il crepuscolo, cominciai a rinfrancarmi parecchio. Forse la viva luce dei fanali, spandendosi nella nebbia sui cavalli fumanti e sul postiglione traballante, mi offriva un quadro meno tetro di quello mostratomi dalla luce del giorno; o, forse, la mia mente era stanca di malinconie. Comunque passai alcune ore di veglia abbastanza tranquille per la mia mente, benché fossi stanco e inzuppato d'acqua.


Caddi infine in un sonno regolare e senza sogni. Peraltro, il mio spirito dovette agitarsi mentre ero profondamente addormentato, e agitarsi con qualche barlume d'intelligenza: poiché mi svegliai di soprassalto proprio nell'atto di esclamare fra me:

"Era davvero, cara, lieta casa di bambini"accorgendomi di colpo (cosa che non avevo rilevato il giorno prima) come questo si confacesse all'odioso proposito per cui il Master compiva quel viaggio.


Eravamo ormai in vista della città di Glasgow, dove ben presto facemmo colazione insieme in una locanda, e dove (per volere del diavolo) trovammo una nave in procinto di far vela. Prenotammo i posti nella camera di poppa (1) e, due giorni dopo, portammo a bordo i nostri bagagli. La nave, chiamata "Nonesuch" (2), era molto vecchia e meritava, a iosa, il suo nome. Era voce corrente che quello sarebbe stato il suo ultimo viaggio e più di uno sconosciuto, fermandomi per la strada, si fece premura di avvertirmi che era marcia come un formaggio, sovraccarica, e immancabilmente destinata a colare a picco se ci imbattevamo in una burrasca. Appunto per questi motivi ci trovammo a essere gli unici passeggeri e dato che il capitano, McMurtrie, era un individuo assorto e taciturno, che parlava, casomai, con l'accento gaelico di Glasgow, e gli ufficiali erano marinai rozzi e ignoranti, venuti dalla bassa forza, il Master e io fummo ridotti alla nostra reciproca compagnia.


La "Nonesuch" uscì dal Clyde con vento favorevole e per quasi una settimana si ebbe bel tempo e la piacevole impressione di essere in cammino. Con meraviglia mi scoprii marinaio nato, almeno nel senso che non soffrii mai del mal di mare; ma ero ben lontano dal godere, in quanto a stato fisico, del mio solito equilibrio. Non so se per colpa del movimento della nave sulle onde, o dello spazio limitato, o dei cibi salati, o di tutte queste cose insieme, soffrivo di umore nero e di perpetua angoscia. Forse la consapevolezza del motivo per cui ero a bordo contribuiva a determinare il mio stato d'animo; ma non credo che lo accrescesse: la mia inquietudine (quale che fosse) derivava dal mondo circostante; e, quando la nave non ne aveva colpa, ne aveva colpa il Master. L'odio e lo spavento sono cattivi compagni; e (sia detto a mia vergogna) li ho provati in altri posti, coricandomi e alzandomi insieme con loro, insieme con loro mangiando e bevendo, ma, né prima né dopo, non ne fui mai avvelenato così profondamente (e nell'anima e nel corpo) come a bordo della "Nonesuch". Devo confessare che il mio nemico mi dava un buon esempio di tolleranza; nei giorni per me più neri, dimostrava una paziente cordialità, intrattenendomi a parlare finché mostravo di averne voglia, e sdraiandosi sul ponte a leggere, non appena respingevo le sue cortesie. Il libro da lui portato a bordo era la famosa "Clarissa" del Richardson, e, fra le altre piccole premure, egli mi usava quella di leggermene ad alta voce qualche brano. Nessun dicitore avrebbe potuto conferire maggior risalto alle parti patetiche di quel romanzo. Io ribattevo con citazioni della Bibbia, che costituiva allora tutta la mia biblioteca, e anche un recente oggetto di studio; perché (mi duole confessarlo) sono stato sempre, fino ad oggi, piuttosto negligente nelle pratiche religiose. Egli gustava le bellezze del sacro testo da conoscitore come era; e a volte, togliendomelo di mano, lo sfogliava da uomo esperto e mi rendeva, con la sua fine declamazione, pan per focaccia.


Ma, strano, a dirsi, non traeva nessun vantaggio morale dalle proprie letture; esse passavano sulla sua testa come tuoni estivi: Lovelace e Clarissa, le storie della generosità di David e i salmi della sua penitenza, le solenni apostrofi del libro di Giobbe e le commoventi tirate liriche di Isaia erano per lui pure fonti di svago, simili al raschio di un violino alla taverna. L'intima durezza connaturata con la sua sensibilità esteriore mi mosse a sdegno: la giudicai tutt'una con l'impudente grossolanità che era sotto l'impiallacciatura delle sue belle maniere. A volte mi nauseava come un essere deforme, e talora m'ispirava ribrezzo come un fantasma. A volte pensavo a lui come a un fantoccio che, a bucarne bellamente la maschera, avrebbe rivelato di avere all'interno solo il vuoto. Questo orrore (che suppongo non infondato) accrebbe enormemente la mia repulsione per la sua vicinanza: cominciai a sentire in me un fremito, quando mi si avvicinava; a volte, la sua presenza mi faceva desiderare di urlare, e in certi giorni, credo, sarei stato capace di percuoterlo. Su questo stato d'animo influì di certo la vergogna di aver cominciato a tollerarlo negli ultimi giorni della nostra permanenza a Durrisdeer.


Se qualcuno, ora, mi avesse detto che lo avrei tollerato di nuovo avrei dovuto ridergli in faccia. E' possibile che egli non sospettasse l'esasperazione del mio risentimento, ma ciò appare inconciliabile con la sua sagacia e penso piuttosto che, nella lunga inattività di quella vita, lo avesse assalito un urgente bisogno di compagnia e che proprio per quel motivo egli si inducesse ad affrontare e sopportare la mia non dissimulata avversione. E' certo, comunque, che egli amava il suono della propria voce; così come, in verità, amava senza restrizione ogni parte e qualità di se stesso, per una specie di melensaggine che è quasi inerente alla perversità. L'ho visto, quando mi trovava più ostile, ridursi a fare lunghe chiacchiere con il capitano, sebbene questi manifestasse a chiare note la propria noia, tamburellando smaniosamente con le dita, battendo i piedi, e rispondendo solo con borbottii indistinti.


Dopo la prima settimana in mare trovammo venti contrari e tempo cattivo. Il mare era agitato. La "Nonesuch", veliero antiquato e con il carico mal stivato, rollava in modo incredibile, così che il capitano tremava per i suoi alberi, e io per la mia vita. Non ci si muoveva più. Il malumore si diffuse sulla nave: marinai, ufficiali e capitano passavano le giornate a litigare. Una parola ingiuriosa da una parte e un paio di pugni dall'altra erano incidenti quotidiani. Ci furono casi in cui l'intero equipaggio rifiutò di eseguire gli ordini, e, due volte, noi di guardia a poppa venimmo armati, cosa nuova per me, nel timore di un ammutinamento.


In mezzo a questi guai, si scatenò un uragano che sembrò doverci colare a picco. Io restai chiuso nella camera di poppa dal mezzogiorno di un giorno al tramonto del giorno successivo. Intanto il Master stava dritto (3) non so dove in coperta e Secundra, che aveva preso qualche droga, giaceva privo di sensi; cosicché posso dire di aver passato quelle ore in una solitudine assoluta. All'inizio lo spavento mi rese incapace di muovermi, e quasi incapace di pensare, come se la mente mi si fosse congelata. Ma, a poco a poco, un raggio di conforto si insinuò in me. Se la "Nonesuch" fosse colata a picco, avrebbe portato già con sé negli abissi di quel mare senza fondo l'essere che noi tutti temevamo e odiavamo tanto e non ci sarebbe più stato il Master di Ballantrae: tra le sue costole si sarebbero divertiti i pesci, le sue trame sarebbero finite in niente, i suoi inermi avversari avrebbero avuto pace. Dapprima, come ho detto, fu appena un raggio di conforto, ma non tardò a diventare una luce solare. L'idea che egli morisse, che fosse cancellato da questo mondo che egli amareggiava a tante persone, si impossessò della mia mente. Abbracciai quell'idea, ne sentii la dolcezza nelle viscere. Immaginai l'ultimo tuffo della nave, il mare che irrompeva da ogni lato nell'alloggio, la mia breve lotta con la morte, tutto solo, in quel luogo chiuso: tutti gli orrori elencai, potrei quasi dire con soddisfazione, e sentii che avrei sopportato quello ed altro, solo che la "Nonesuch" trascinasse con sé, nella propria rovina, il nemico della casa del mio povero padrone. Verso il mezzogiorno del secondo giorno l'ululato del vento si placò; la nave non sbandò più così orrendamente; e cominciò a sembrarmi chiaro che avevamo sorpassato il culmine della tempesta.


Com'è vero che spero nella Divina Misericordia, mi sentii deluso.


Nell'egoismo della vilissima e ossessionante passione dell'odio, avevo dimenticato gli innocenti compagni di traversata, pensando solo a me stesso e al mio nemico. Quanto a me, ero già vecchio; non ero mai stato giovane, non ero fatto per i piaceri del mondo e avevo pochi affetti: non importava un soldo che io annegassi, là per là nell'Atlantico o stentassi qualche anno ancora per morire, forse, in modo non meno terribile, di malattia, abbandonato da tutti. Mi inginocchiai tenendomi allo stipetto per non essere scaraventato contro le pareti della cabina in sussulto e, alzando la voce tra i clamori dell'uragano che si calmava, supplicai Dio con parole empie, affinché mi facesse morire. - O Signore! - esclamai. - Sarei più degno del nome di uomo se stroncassi questo bruto, ma Tu mi rendesti codardo fin da quando stavo nel seno di mia madre. O Signore, Tu mi facesti quale sono, Tu conosci la mia debolezza, Tu sai che qualunque aspetto di morte mi fa tremare le ginocchia. Ma ecco! il Tuo servo è pronto: egli ha messo da parte la sua debolezza funesta. Lasciami dare la vita affinché questo bruto la perda anch'esso; prendi le nostre due vite, Signore, prendile tutt'e due, e abbi pietà dell'innocente! - Con parole simili a queste, ma ancora più irriverenti, e con ancora più sacrileghi scongiuri, continuai a dare sfogo al mio affanno.


Iddio, forse per la sua misericordia, non mi diede ascolto e io ero assorto ancora nelle mie angosciose suppliche, quando qualcuno, togliendo la cappa d'incerata, lasciò entrare nella cabina la luce del tramonto. Mi rialzai pieno di vergogna, e mi accorsi con stupore di essere indolenzito e barcollante come un reduce dalla tortura.


Secundra Dass, che aveva smaltito nel sonno gli effetti della sua droga, mi guardava da un cantuccio non lontano con occhi stralunati e dall'osteriggio (4) aperto il capitano mi ringraziava per le mie preghiere.


- Avete salvato voi la nave, signor Mackellar, - dice. Nessun'arte marinaresca poteva mantenerla a galla: possiamo dire davvero che «se il Signore non guarda la città la scolta veglia invano»!

Mi sentii mortificato per l'abbaglio preso dal capitano; mortificato, anche, per lo stupore e per lo spavento con cui l'indiano mi guardava nonché per le ossequiose cortesie con cui, poi, cominciò ad assediarmi. Ora so che lui doveva aver sentito le mie preghiere, intendendone la speciale natura. Sono sicuro, inoltre, che si affrettò a riferirle al suo padrone; e, ripensando ad allora con maggiore conoscenza dei fatti, posso ora capire una cosa che, lì per lì, mi sembrò inesplicabile e cioè quei singolari sorrisi, potrei quasi dire di approvazione, dei quali il Master cominciò a gratificarmi. In modo simile, posso interpretare una frase che, ricordo, gli sfuggì dalle labbra quella sera stessa, durante una conversazione, in cui alzando la mano e sorridendo: - Ah! Mackellar, - mi disse, non tutti gli uomini sono codardi come credono, e neppure buoni cristiani come vorrebbero.- Non immaginava fino a che punto le sue parole fossero vere! Perché il fatto è che le idee venutemi in testa durante l'infuriare della burrasca continuarono a spadroneggiare nel mio spirito, e le parole che mi erano salite spontanee alle labbra nel fervore della preghiera continuarono a ronzarmi all'orecchio, con vergognose conseguenze che mi conviene riferire onestamente; poiché non potrei sostenere una parte sleale come quella di descrivere le colpe altrui, nascondendo le mie.


Cadde il vento, ma continuò ad esserci mare molto grosso. La "Nonesuch" rollò disperatamente per tutta la notte, poi venne l'alba di un altro giorno e di un altro ancora senza portare nessun cambiamento. L'attraversare la camera di poppa era impresa quasi impossibile, in coperta marinai di vecchia esperienza rotolavano e anzi uno uscì malconcio dalla botta, la vecchia nave gemeva in ogni sua tavola e in ogni suo bozzello, e vicino alle bitte dell'ancora la grande campana rintoccava continuamente con lugubre suono. Uno di quei giorni ci trovammo, il Master e io, seduti sull'estremità prodiera del casseretto (5). Devo precisare che la "Nonesuch" aveva un casseretto molto elevato, intorno al quale correva una murata considerevolmente alta, che riparava la nave e che, dall'uno e dall'altro lato, giunta in prossimità dell'interruzione del casseretto, scendeva a congiungersi con le murate della parte maestra della coperta, formando un'elegante e antiquata voluta scolpita. Per colpa di tale andamento concepito probabilmente più a fini ornamentali che per motivi di utilità, il riparo veniva a mancare a un certo punto, anzi in quello, all'estremità della parte sopraelevata, dove sarebbe stato maggiormente necessario. Eravamo seduti proprio là, con le gambe ciondoloni, il Master tra me e il fianco della nave, e io tenendomi con le due mani alla griglia dell'osteriggio della camera di poppa: la posizione mi sembrava infatti pericolosa, tanto più che avevo ininterrottamente davanti agli occhi un metro per valutare l'ampiezza delle nostre oscillazioni, costituito dal Master, che spiccava contro il sole nell'interruzione della murata. Ora il suo capo si trovava allo zenit e la sua ombra si proiettava dall'altra parte addirittura fuori della "Nonesuch", e ora egli calava giù tanto da trovarsi ai miei piedi, mentre la linea dell'orizzonte balzava su di lui, all'altezza di un soffitto di stanza. Questo spettacolo acquistò per me un fascino crescente, simile a quello delle serpi sugli uccelli.


Inoltre, la mia mente era turbata da una straordinaria varietà di rumori, perché nella vana speranza di riuscire a mettere la prua al mare avevamo ora spiegato tutte le vele, e la nave risuonava dei loro echi come un'officina. Parlammo all'inizio dell'ammutinamento che ci aveva minacciati; questo ci portò a ragionare di assassini, offrendo al Master una tentazione, alla quale fu incapace di resistere. Volle raccontarmi una storia e mostrarmi, contemporaneamente, quanto scaltro e perverso egli fosse. In vanterie simili egli poneva sempre il massimi impegno; e, generalmente, con buon effetto. Ma quella storia, raccontata ad alta voce, in mezzo a un così grande fragore, da una persona che ora mi guardava dall'alto dei cieli, ora mi adocchiava da sotto le suole delle scarpe, quella particolare storia, dico, attirò la mia attenzione in modo singolare.


- Il conte mio amico, - egli cominciò, - era nemico di un certo barone germanico, poco noto in Roma. Non starò a riferire il motivo di quell'inimicizia; vi dirò invece che, avendo il fermo proposito di vendicarsi di lui, senza rischio della propria persona, il conte si studiò di nascondere al barone il proprio malanimo. La segretezza è, d'altra parte, la base di ogni vendetta: e l'odio tradito è odio impotente. Il conte era un uomo dalla mente curiosa e indagatrice, aveva temperamento da artista; faceva qualunque cosa gli toccasse fare con estrema diligenza, non solo nell'esecuzione, ma perfino nella scelta dei mezzi e degli strumenti: senza di che l'opera gli sembrava imperfetta. Un giorno, cavalcando in un sobborgo fuori mano, capitò in una strada abbandonata che si perdeva nelle paludi della campagna intorno a Roma. Essa si inoltrava tra un'antica tomba romana e una casa deserta circondata di sempreverdi. Quella strada lo portò in una cerchia di rovine, in mezzo alle quali, non lontano da un giovane pino grande non più di un cespuglio di ribes, una porta si apriva su un declivio. Il luogo era deserto e nascosto: una voce nel cuore del conte diceva che lì egli poteva trovare il fatto suo. Legò il cavallo al pino, prese in mano esca e acciarino per farsi eventualmente luce, ed entrò nelle viscere del poggio. La porta si apriva su un corridoio di antica muratura romana, il quale, dopo un certo tratto, si biforcava. Il conte prese a destra e si inoltrò a tentoni, finché non s'imbatté in una specie di staccionata, alta forse quattro palmi, la quale attraversava il corridoio. Esplorando il terreno con il piede, trovò più avanti un bordo di pietra levigata e poi il vuoto. Tutta la sua curiosità fu risvegliata da quella scoperta. Raccogliendo dei fuscelli secchi che erano sparsi per terra egli ne fece un falò: così poté vedere, davanti a sé, un pozzo profondo. Probabilmente qualche villano, che se ne era servito per attingervi acqua, aveva innalzato la staccionata. Il conte vi restò appoggiato per un pezzo, guardando nella buca. Era di fondazione romana e, come tutte le cose alle quali mise mano il popolo di Roma, costruito per l'eternità; le sue pareti erano ancora a strapiombo e con le connessure compatte: per l'uomo che vi fosse caduto non c'era possibilità di scampo. «Un forte impulso», pensava il conte, «mi ha portato fin qui. A che scopo? per quale vantaggio? Perché il destino mi ha guidato a ficcare il naso in questo pozzo?» Ed ecco che il parapetto della staccionata cedette d'improvviso sotto il peso della sua persona; ed egli fu lì lì per cadere a capofitto nell'abisso. Balzando indietro per salvarsi, calpestò le ultime scintille del suo falò che non emise più luce, ma solo un fumo pungente. «Il destino mi ha forse portato a morire?» pensò, e fremette dalla testa ai piedi. Quindi un'idea gli balenò nella mente. Si trascinò carponi fino all'orlo del pozzo e annaspò in aria con la mano. Il parapetto della staccionata, in origine fissato a due pioli, si era scardinato da una parte, ma stava ancora saldo dall'altra. Il conte lo rimise nella posizione in cui l'aveva trovato, in modo che si rivelasse strumento di morte al primo che vi urtasse; quindi uscì dalla catacomba con la febbre nel cuore. Il giorno dopo, cavalcando per il Corso con il barone, ostentò un'immensa inquietudine. L'altro gliene chiese il motivo; e lui (che aveva previsto la domanda), dopo essersi schermito un po', ammise che il suo animo era turbato da uno strano sogno. Questo discorso era teso ad eccitare la curiosità del barone, uomo superstiziosissimo che affettava disprezzo per le superstizioni. Seguì un dibattito, e allora il conte, quasi in un impeto di stizza, avvertì il compagno di guardarsi, perché l'oggetto del suo sogno era lui. Voi, egregio Mackellar, conoscete abbastanza la natura umana per essere certo di una cosa, e cioè che il barone si dimostrò smanioso di conoscere il sogno. Il conte, certo che egli non avrebbe smesso dal sollecitarlo a dire tutto, lo tenne a bada, finché non ne ebbe esasperato la curiosità, e poi, con apparente riluttanza, acconsentì. «Vi avverto», incominciò, «che mal ne verrà; me lo dice il cuore. Ma, siccome non c'è più pace, né per voi né per me, se non a condizione che io parli, ne ricada la colpa sulla vostra testa. Il sogno fu questo: mi sembrava di vedervi cavalcare, non so dove, ma forse vicino a Roma, perché da una parte c'era una tomba antica e dall'altra un giardino di sempreverdi. Io vi gridavo ripetutamente, in uno spasimo di terrore, di tornare indietro; se voi mi sentiste o no, io non saprei dirlo; ma è certo che proseguiste ostinatamente. La strada vi portò in un luogo deserto, fra le rovine, dove una porta si apriva in un declivio; e, vicino alla porta, c'era un pino stento. Voi smontaste là, sebbene io continuassi ad ammonirvi a gran voce; e, legato al pino il vostro cavallo, varcaste deciso la porta. Dentro era buio; ma, nel sogno, potevo ancora vedervi, e ancora vi supplicavo di tornare indietro. Voi andaste a tentoni lungo il muro di destra, prendeste una diramazione nel corridoio sulla destra, e arrivaste a una piccola stanza, dove c'era un pozzo con una staccionata. A quel punto, non so perché, il mio spavento per voi crebbe a dismisura; diventai rauco a furia di urlare e di supplicarvi di andarvene subito da quell'androne. Così parlavo in sogno, e mi sembrava allora di saperne bene il perché, ma ora, da sveglio, confesso che l'ignoro. Voi non badaste affatto ai miei urli, ma vi spenzolaste dalla palizzata, guardando intensamente nell'acqua profonda. E allora giunse a voi una comunicazione, non credo di aver capito che cosa fosse, ma il terrore che ne ebbi mi strappò al sonno, e io mi svegliai in lacrime e in sussulto. E ora», continuò il conte, «vi ringrazio di tutto cuore per la vostra insistenza. Questo sogno gravava su di me come un peso, e adesso che ve l'ho raccontato, in chiari termini e alla luce del sole, non mi sembra che importi gran che». «Chi sa», fa il barone. «C'è qualcosa di strano. Una comunicazione, avete detto? Oh, che sogno strano! Ne tirerò fuori una storiella per divertire gli amici». «Non credo che ci si potranno divertire», osserva il conte. «A me fa sempre un certo ribrezzo. Sarà meglio non pensarci più». «Lo credo anch'io», dice il barone. E infatti nessuno dei due alluse più a quel sogno. Qualche giorno dopo, il conte propose una cavalcata fra i campi, che il barone (a lui legato, ormai, da grande amicizia) accettò prontamente. A un certo punto, il conte frenò il cavallo si coprì il viso (diventato intanto pallidissimo, poiché egli era un attore consumato), e guardò fisso il barone. «Che avete?» chiese questi. «Che vi sentite?» «Niente», esclama il conte. «Non è niente. Un accesso, non so di che.


Torniamo presto a Roma». Ma, intanto il barone aveva guardato in giro, vedendo, a sinistra della strada che li riportava a Roma, un viottolo polveroso, che s'inoltrava fra una tomba e un giardino di sempreverdi.


«Sì», disse con voce mutata. «Torniamo presto a Roma. Temo che non stiate bene di salute». «Oh, per amor di Dio!» esclama il conte rabbrividendo, «torniamo a Roma, perché voglio mettermi a letto».


Fecero la via del ritorno senza scambiare parola; e il conte, che avrebbe dovuto andare ad una riunione, si infilò a letto, dando a credere di avere un attacco di febbre palustre. Il giorno dopo, qualcuno trovò legato al pino il cavallo del barone; ma di costui, da quel momento in poi, non si seppe più niente. Ditemi, ora, vi sembra questo un assassinio? - chiese il Master interrompendosi bruscamente.


- Siete certo che si trattasse di un conte? - chiesi.


- Non sono certo del titolo, - rispose; - ma si trattava di un gentiluomo di buona razza; e Dio vi liberi, Mackellar, da un così astuto nemico!

Mi disse queste ultime parole, sorridendomi dall'alto; un minuto dopo, era sotto i miei piedi. Continuai a seguire, con puerile fissità, le sue evoluzioni: mi davano le vertigini, rendendomi quasi smemorato, e parlai come in sogno.


- Costui nutriva dunque un odio tremendo contro il barone? chiesi.


- Al solo vederlo si sentiva torcere le viscere, - rispose il Master.


- Provo anch'io sensazioni di questo tipo, - dissi.


- Davvero!- esclamò il Master.- Questa sì che è nuova! Mi chiedo... O forse presumo troppo? Non sarei io la causa di queste perturbazioni viscerali?

Egli era capacissimo di scegliere posizioni aggraziate, anche se a vederlo c'ero solo io, e specialmente se esse potevano riuscire pericolose. Ora, sedeva con le gambe accavallate e con le braccia conserte, assecondando il movimento della nave in un equilibrio delicatissimo, tanto che l'urto di una piuma avrebbe potuto turbarlo.


Ebbi a un tratto la visione del mio signore al tavolino, con la testa fra le mani; e questa volta, quando mi mostrò il viso, esso era aggrondato, in espressione di rimprovero. Al tempo stesso, mi balenarono per la mente le parole della mia preghiera: "Sarei più degno del nome di uomo, se stroncassi questo bruto". Chiamai le mie forze a raccolta, e, mentre la nave si inclinava dalla parte del mio nemico, gli diedi, all'improvviso, una pedata. Era scritto che io mi macchiassi di questo attentato senza nessun profitto. O per la mia incertezza, o per la sua incredibile prontezza, egli sfuggì al colpo, balzando in piedi e afferrandosi nello stesso tempo a uno straglio.


Non so quanto restammo, io disteso dov'ero sul ponte, sopraffatto dai terrore, dalla vergogna e dal rimorso, e lui in piedi con il pugno stretto sullo straglio, puntellando la schiena alla murata, e guardandomi con un viso stranamente perplesso. Infine parlò.


- Mackellar, - mi disse, - non vi muovo rimproveri, ma vi offro un patto. Non credo convenga a voi che la vostra prodezza sia resa di pubblica ragione; quanto a me, sinceramente vi confesso che non mi piace vivere nel perpetuo terrore di essere assassinato dall'uomo con il quale siedo a mensa. Promettetemi... ma no, - aggiunse interrompendosi,- voi non siete ancora nel pieno possesso delle vostre facoltà mentali; potreste credere che io voglia estorcere la promessa alla vostra debolezza, e non intendo lasciare una porta aperta alla casistica, questa disonestà delle persone coscienziose.


Prendete tempo a riflettere.


Detto questo, si allontanò sul ponte sdrucciolevole con la sveltezza di uno scoiattolo, e si calò nella cabina.


Circa mezz'ora dopo, tornò dov'ero rimasto a giacere.


- Ebbene, - chiese, - volete darmi la vostra parola di buon cristiano e di fedele servitore di mio fratello che io non dovrò più temere le vostre insidie?

- Ve la do, - risposi.


- Dovete porgermi, in pegno, la vostra mano, - aggiunse.


- Avete diritto di imporre condizioni, - dissi, e ci stringemmo la mano.


Si rimise subito a sedere nel posto di prima, e nello stesso pericoloso atteggiamento.


- Reggetevi a qualcosa! - esclamai, coprendomi gli occhi. Non sopporto di vedervi in questa posizione. Il minimo sbalzo della nave potrebbe farvi precipitare in mare.


- Siete sommamente illogico, - replicò sorridendo, ma eseguì quanto io gli chiedevo. - Nonostante tutto, Mackellar, desidero farvi sapere che siete salito di molto nella mia stima. Credete forse che io non apprezzi la fedeltà? Perché, dunque, supponete che io mi porti dietro per il mondo Secundra Dass? Perché egli è pronto a morire o ad uccidere per me, in ogni momento, e questo è il motivo per cui l'ho caro. Ebbene, vi sembrerà strano, ma voi mi piacete di più dopo quello che è successo oggi. Credevo che foste magnetizzato dai Dieci Comandamenti; e invece no, che io sia maledetto! - esclamò; - la vecchia comare ha sangue nelle vene, alla fine! Il che non cambia il fatto, - continuò, sorridendo ancora, - che è stato buon per voi impegnare la vostra parola; perché dubito che avreste mai brillato nel nuovo mestiere intrapreso.


- Suppongo, - dissi, - che dovrei chiedere perdono a voi e a Dio per il mio attentato. A ogni modo, ho fatto una promessa, alla quale mi atterrò fedelmente. Ma, quando penso a quelli che voi perseguitate...


- e m'interruppi.


- La vita è un fatto strano, - mi rispose, - e gli uomini sono strana gente. Voi supponete di amare mio fratello. Io vi assicuro che è semplicemente questione di consuetudine. Interrogate la vostra memoria, e ricorderete che, al vostro arrivo a Durrisdeer, lo consideraste un giovane comune e noioso. Anche adesso è comune e noioso, benché non più giovane. Se vi foste invece trovato a vivere con me, oggi sareste altrettanto ligio alla mia persona.


- Non potrei mai giudicarvi un uomo ordinario, signor Bally, replicai, - ma, in questo momento voi siete poco sagace. Avete mostrato prima di fidarvi della mia parola. Essa, in altri termini, può chiamarsi la mia coscienza; ebbene, essa appunto rifugge istintivamente da voi, come l'occhio da una luce violenta.


- Ah! - fece lui, - ma io considero un altro caso. Considero quello che sarebbe successo se vi avessi incontrato nella mia gioventù.


Dovete riflettere che non fui sempre come sono adesso, né che (se avessi mai incontrato un amico del vostro genere) sarei diventato così.


- Sst, signor Bally, - dico io, - vi sareste preso gioco di me; non avreste mai speso dieci parole garbate per un simile piedipiatti.


Ma egli aveva ormai preso l'abbrivio per una sequela di giustificazioni, con le quali mi annoiò durante tutto il resto della traversata. Non c'era dubbio che, in passato, egli si fosse compiaciuto di dipingere se stesso a tinte eccessivamente fosche, e si fosse vantato della propria perversità, ostentandola come un blasone.


Né era così poco coerente da rinnegare un paragrafo delle sue antiche confessioni.- Ma ora che so che voi siete una creatura umana, - diceva, - posso disturbarmi a spiegare il mio sentimento; perché vi assicuro che anch'io sono una creatura umana e possiedo virtù al pari dei miei simili. - Ben presto mi stancò, perché mi bastava una frase per rispondergli. Devo averla ripetuta una ventina di volte. - Se volete che vi creda, rinunciate al vostro proposito, e tornate con me a Durrisdeer.


Ma egli scuoteva la testa. - Ah, Mackellar, voi potreste vivere mille anni senza mai capire la mia natura, - diceva. - Questa battaglia è ormai impegnata, l'ora della riflessione è passata, e l'ora della misericordia deve ancora arrivare. La battaglia cominciò vent'anni or sono, quando facemmo a testa e croce nel salone di Durrisdeer; abbiamo subito tutti e due gli alti e bassi della sorte, ma né l'uno né l'altro sognò mai di cedere; e quanto a me, gettato il guanto, onore e vita sono anch'essi in gioco.


- Il vostro onore non vale un fico! - dicevo. - E, con vostra licenza, queste similitudini guerresche sono un po' troppo altisonanti per la faccenda che avete fra le mani. Voi volete dei sudici denari, ecco la base delle vostre querele; e, quanto ai mezzi che usate, quali sono? Suscitare dolori in una famiglia che non vi ha fatto nessun male, corrompere, potendo, il vostro nipotino, e straziare il cuore del vostro fratello carnale! Un ladrone che uccide una vecchia con uno sporco randello per uno scellino e un cartoccetto di tabacco da naso:

ecco l'eroe che siete voi.


Quando lo attaccavo in questi (o simili) termini, egli sorrideva, e sospirava come persona incompresa. Una volta, ricordo, si difese più a lungo, e combinò dei curiosi sofismi che riporterò per mettere meglio in luce il suo carattere.


- E' proprio borghese la vostra idea che la guerra consista nel rullo dei tamburi e nelle sbandierate,- osservò. - La guerra (come saggiamente dissero gli antichi) è "ultima ratio". Quando cerchiamo implacabilmente il nostro tornaconto, quella è guerra. Ah, Mackellar!

o voi siete un demonio di soldato nel vostro ufficio a Durrisdeer, o i fittavoli vi fanno gran torto!

- Poco m'importa in che consista, o non consista, la guerra, ribattei. - Ma voi mi annoiate, pretendendo il mio rispetto. Vostro fratello è un buon uomo, e voi siete un uomo pessimo, né più né meno.


- Se io fossi stato Alessandro... - riprese.


- Ecco in che modo inganniamo noi stessi, - esclamai. - Se io fossi nato San Paolo, mi sarebbe andata allo stesso modo. Al suo posto avrei fatto un guazzabuglio, come quello che faccio ora nel mio.


- Vi dico, - esclamò, tagliando corto la mia interruzione, che se fossi stato l'infimo capitanucolo delle Highlands, se fossi stato l'infimo fra i sovrani delle tribù negre e nude del deserto africano, la mia gente mi avrebbe adorato. Un uomo pessimo, io? Ma se sono nato per essere un tiranno benigno! Chiedetelo a Secundra Dass; vi dirà che lo tratto come un figlio. Condividete domani la mia sorte, diventate mio schiavo, mia proprietà, una creatura che io possa comandare come comando i poteri del mio corpo e della mia anima, e non vedrete più il fosco lato che mostro alla gente nella mia ira. Io devo aver tutto o niente. Ma se mi è dato tutto, lo rendo a usura. Ho natura regale: è la mia disgrazia!

- La vostra natura è stata fin qui una disgrazia per gli altri, - osservai, - il che mi sembra poco regale.


- E ancora! - esclamò.- Anche adesso, ve l'assicuro, vorrei risparmiare le persone che tanto vi premono; sì, anche oggi; domani le lascerei alle loro guerricciole e sparirei in quella foresta di ladroni e mariuoli che viene chiamata mondo. Lo farei domani!- disse. - Però... però...


- Però che cosa? - chiesi.


- Però dovrebbero supplicarmi in ginocchio, e in pubblico, anche, - aggiunse con un sorriso. - Davvero, Mackellar, temo che non ci sia un'aula grande abbastanza per servire al mio intento in un atto di riparazione.


- Vanità, vanità! - moraleggiai. - E pensare che il movente del vostro malefico volere è quello stesso che induce una ragazza a fare le moine davanti allo specchio!

- Oh, si possono dare due definizioni di ogni cosa: la definizione che magnifica e quella che immiserisce, non potete sconfiggermi con una frase!- affermò.- L'altro giorno diceste che confidavo nella vostra coscienza: se fossi di umore negativo, come voi, potrei dire che contavo sulla vostra vanità. La vostra consiste nella pretesa di essere un "homme de parole"; la mia nel non accettare una disfatta.


Chiamatela vanità, chiamatela virtù, chiamatela grandezza d'animo...


che importa il vocabolo? Ma riconoscete, in tutti e due noi, una tendenza simile: viviamo tutti e due per un'idea.


Da questi discorsi familiari e da tanta tolleranza da tutte e due le parti, sarà facile dedurre che ormai vivevamo insieme in ottimi rapporti. Questo fatto non era nuovo, e si ripeteva in forma più grave di prima. Eccezion fatta per le dispute che ho tentato di riferire, regnava fra di noi non soltanto il rispetto, ma (oserei dire) perfino la cortesia. Quando caddi ammalato (il che capitò dopo la grande tempesta), egli sedeva al mio capezzale per intrattenermi con la sua conversazione, e mi curava con ottimi rimedi che io accettavo con fiducia. Egli stesso commentò questa circostanza. - Vedete, - mi disse,cominciate a conoscermi meglio. Or non è molto, a bordo di questa nave isolata in cui, tranne me, nessuno ha la minima infarinatura di scienza, avreste dovuto ritenere di sicuro che io coltivassi progetti contro la vostra vita. E vorrete notare che, proprio da quando ho scoperto che voi ne coltivate contro la mia, vi ho mostrato maggior rispetto. Ditemi voi se questo indichi grettezza.


- Avevo ben poco da rispondergli. Ero certo che, per quanto mi riguardava, egli era animato da buoni sentimenti; può darsi che proprio in questo io mi sia lasciato ingannare grossolanamente dalla sua capacità di dissimulazione, ma ero certo, e ancora lo sono, che egli mi considerava con vera benevolenza. Strano e triste a dirsi!

Appena cominciò a prodursi un simile cambiamento la mia animosità cedette e quelle visioni ossessionanti a proposito di mylord si dileguarono completamente. Così che, forse, ci fu del vero nelle ultime parole di vanteria che egli mi disse, il 2 luglio, quasi alla fine della traversata, mentre eravamo in bonaccia all'ingresso della vasta rada di New York, con un'afa soffocante alla non tardò a seguire un incredibile rovescio di pioggia. Dal casseretto osservavo le coste verdeggianti più vicine e vedevo ogni tanto il fumo leggero della piccola città che era il nostro luogo di destinazione. Poiché in quel momento stesso stavo progettando il modo di prendermi un vantaggio su di lui, avvertii una sfumatura d'imbarazzo, quando mi si avvicinò a mano tesa.


- Devo ormai dirvi addio, - esclamò, - e per sempre. Perché adesso voi andate fra i miei nemici, dove tutti i vostri vecchi pregiudizi rivivranno. Sono sempre riuscito a trovar simpatia là dove l'ho cercata: perfino voi, mio buon amico (vi chiamerò così una volta tanto), perfino voi portate adesso nella memoria un mio ritratto del tutto diverso dal precedente, e un ritratto che non dimenticherete mai interamente. Se il viaggio fosse durato abbastanza, avrei inciso quel ritratto più a fondo in voi. Ma ora tutto è finito e noi siamo di nuovo in guerra. Giudicate, da questo breve interludio, quanto io sia pericoloso; e avvisate quegli stolti- e, nel dir così, puntò l'indice verso la città, - di pensarci due o tre volte prima di sfidare la mia collera.




NOTE:


1) Il locale unico di poppa, chiamato anche «cabina», in cui un tempo i pochi passeggeri dovevano adattarsi a dormire e mangiare, insieme con il capitano e con gli ufficiali.


2) «Senza pari».


3) Legato solidamente, per non essere sballottato dai movimenti.


4) Specie di lucernario, che, in questo caso, serve a dare aria e luce alla cabina di poppa della nave.


5) Ponte che dall'estrema poppa si estende fino a comprendere l'albero poppiero e che, alla sua estremità verso prua, si interrompe, risultando sopraelevato rispetto al ponte di coperta. I due personaggi del presente episodio sono seduti su questa «interruzione del casseretto», con le gambe nel vuoto verso il ponte di coperta, ma in un punto vicino al lato esterno della nave.




CAPITOLO DECIMO


Avvisaglie a New York


Ho accennato che ero deciso a precedere il Master, proposito che fu realizzato facilmente con l'aiuto del capitano McMurtrie, poiché, mentre da un lato della nave si caricava in parte una delle grandi imbarcazioni, nella quale s'imbarcava il Master, il battello di bordo scostava dall'altro lato, portando solo me. Penai poco a trovare chi mi indirizzasse alla casa del mio padrone, dove arrivai di gran carriera. Era una comoda abitazione, situata nel suburbio, in mezzo a un bel giardino, integrata da un complesso di eccezionale ampiezza comprendente granaio, stalla e scuderia. Qui il mio signore stava passeggiando, quando arrivai: era anzi il luogo che egli frequentava allora più di ogni altro, avendo preso gusto all'agricoltura. Gli piombai davanti tutto scalmanato e gli comunicai le notizie; che, peraltro, non erano più fresche, poiché parecchie navi avevano, nel frattempo, oltrepassato la "Nonesuch", arrivando a destinazione prima di essa.


- Vi aspettavamo da un pezzo, - disse mylord, - e, in questi ultimi giorni, avevamo proprio perso la speranza di vedervi. Sono lieto di stringervi nuovamente la mano, Mackellar. Credevo che ormai foste nel profondo del mare.


- Oh, mylord, volesse il cielo! - esclamai. - Sarebbe meglio per voi.


- Vi ingannate, - replicò egli con aria truce. - Sono soddisfattissimo della piega presa dagli eventi. Ho da mettere in pari un conto molto lungo, e ora, finalmente, posso cominciare a sistemarlo.


Protestai contro la sua fiducia.


- Oh!- mi fa,- qui non siamo a Durrisdeer, e ho preso le necessarie cautele. La reputazione di mio fratello è arrivata in questo paese prima di lui; e io gli ho preparato l'accoglienza che merita. La fortuna mi ha favorito davvero, perché ho trovato qui un mercante di Albany, che lo conobbe dopo il '45 e ha forti motivi per sospettarlo di omicidio: dell'assassinio di un certo Chew, un altro di Albany. Nessuno qui si meraviglierà se gli chiudo la porta in faccia; non gli sarà permesso di rivolgere la parola ai miei figli, e neppure di salutare mia moglie; quanto a me, come fratello, gli concederò di parlarmi. Mi priverei, altrimenti, di uno svago, - dice mylord, fregandosi le mani.


E subito mise in pratica i suoi piani, sguinzagliando servi con biglietti d'invito, per radunare i maggiorenti della provincia. Non posso ricordare di quali pretesti si valesse; ad ogni modo riuscì nell'intento; e quando il nostro antico avversario apparve sulla scena, trovò mylord che passeggiava davanti alla propria casa, sotto alberi ombrosi, avendo, alla sua destra, il governatore e, dall'altro lato, vari notabili della città. La signora, che stava seduta sulla veranda, si alzò con viso turbato, e rientrò in casa, portando con sé i bambini.


Il Master, ben vestito e cinto di una elegante spada da passeggio, si inchinò con bel garbo alla compagnia, e rivolse al mio padrone un familiare cenno del capo. Lord Durrisdeer non ricambiò il saluto, ma guardò suo fratello aggrottando le ciglia.


- Ebbene, signore,- disse quindi, - che mal vento vi porta da queste parti, dove (per nostra comune vergogna) la vostra reputazione vi ha preceduto?

- Vossignoria si compiace di mostrarsi scortese, - esclama trasalendo il Master.


- Mi compiaccio di parlare chiaro, - ribatté mylord, - perché occorre che voi capiate bene la vostra situazione. In patria, dove vi conoscevano molto poco, era ancora possibile salvare le apparenze; questo sarebbe del tutto vano in questa provincia; e devo dirvi che ho fermamente deciso di lavarmi le mani dei fatti vostri. Mi avete già ridotto quasi sul lastrico, dopo aver portato alla rovina mio padre al quale, per giunta, avete spezzato il cuore. I vostri delitti sfuggono alla legge; ma il governatore, amico mio, ha promesso alla mia famiglia la sua protezione. Badate, signore!- esclama mylord agitando la mazza contro il fratello: - Se vi azzardate a rivolgere la parola a qualsiasi persona della mia innocente famiglia, la legge saprà raggiungervi e farvi pagare cara la vostra impudenza.


- Ah! - dice lento lento il Master. - Ecco dunque il vantaggio di risiedere in paese straniero! Vedo bene che questi signori non sono a conoscenza della nostra storia. Non sanno che io sono Lord Durrisdeer, non sanno che voi siete mio fratello minore, investito dei miei diritti per un complotto domestico; non sanno (o altrimenti non mostrerebbero di essere con voi in tale intimità) che ogni acro di terra è mio, davanti a Dio Onnipotente, e che ogni quattrino che possedete l'avete carpito a me come ladro, come spergiuro e come fratello sleale!

- Generale Clinton, - esclamai, - non ascoltate queste menzogne.


Sono l'amministratore dei beni di Lord Durrisdeer. Non c'è una parola di vero in quello che dice costui. Egli è un ribelle amnistiato, che si è messo a fare la spia: ecco tutta la storia in due parole.


Così (nell'impeto del momento) mi lasciai sfuggire quella rivelazione infamante.


- Buon uomo,- disse il governatore, volgendo al Master un viso severo. - Ne so, su di voi, più che non vorreste. Ci sono noti certi brandelli di vostre avventure nelle province, sui quali vi converrà non costringermi a investigare, come la scomparsa del signor Jacob Chew con tutta la sua mercanzia e come il mistero della vostra presenza sulla costa, sbarcato chissà di dove, con tanto denaro e tanti gioielli, quando una goletta bermudiana di Albany vi raccolse.


Credetemi, se lascio dormire queste questioni, lo faccio per compassione verso la vostra famiglia e per rispetto verso il mio stimato amico Lord Durrisdeer.


Un mormorio di approvazione corse fra i provinciali.


- Avrei dovuto ricordare che, in un buco come questo, un titolo, anche se male acquistato, basta per abbagliare la gente, - dice il Master, bianco come un lenzuolo. - A me non resta, dunque, che morire alla porta di Sua Signoria, dove il mio cadavere formerà un ornamento assai gaio.


- Finitela con le vostre affettazioni! - esclama mylord. Sapete bene che ad altro non miro se non a difendere me stesso dalla calunnia e la mia casa dalla vostra intrusione. Vi offro una scelta. Io sono disposto a pagarvi il viaggio sulla prima nave in partenza, per tornare in patria a riprendere, magari, le vostre funzioni alle dipendenze del governo, sebbene Dio sa che preferirei sapervi ladro di strada. Ma se questo non vi piace, rimanete qui e buona notte! Mi sono informato circa la minima somma con cui corpo ed anima possono, decentemente, essere tenuti a New York: tanto avrete in rate settimanali; e se non sapete lavorare con le mani, per accrescere le vostre entrate, vi converrà imparare senza indugio. Dovrete osservare, ad ogni modo, la prescrizione di non rivolgere la parola a nessun membro della famiglia, tranne me, - aggiunse.


Non credo di aver mai visto un uomo pallido come diventò allora il Master; ma egli rimase impettito, con la bocca impassibile.


- Sono stato ricevuto qui,- disse,- con insulti del tutto immeritati, dai quali non ho certamente idea di scampare con la fuga.


Datemi la vostra elemosina: l'accetterò senza vergogna, perché già mi appartiene, come la camicia che portate sulle spalle; e scelgo di restare, affinché questi signori possano meglio capire chi sono.


Devono già intravedere dove sta il piede caprino, poiché, nonostante la vostra pretesa sollecitudine per l'onore della famiglia, vi compiacete di vilipendere quell'onore nella mia persona.


- Questi sono bei discorsi, - dice mylord, - ma per noi che vi conosciamo da un pezzo non contano nulla, potete esserne certo. Voi scegliete il partito che sperate di volgere meglio a vostro vantaggio.


Approfittatene in silenzio, se potete; ciò, credetemi, vi gioverà, a lungo andare, più di questa ostentazione d'ingratitudine.


- Oh, gratitudine, mylord! - esclama il Master alzando la voce e sollevando l'indice in modo espressivo.- Datevi pace: non vi mancherà. Per ora a me non resta che salutare questi gentiluomini che abbiamo annoiato con le nostre beghe di famiglia.


E si inchinò via via davanti ad ognuno, si riassettò la spada e si allontanò, lasciando tutti molto stupiti per il suo contegno, e me altrettanto attonito per quello di mylord.


Entrammo allora in una fase diversa di questa contesa familiare. Il Master era ben lontano dal trovarsi privo di ogni risorsa come il mio lord supponeva, avendo con sé, e interamente devoto al suo servizio, un artista eccellente in ogni specie di lavoro d'oreficeria. Con l'assegno di mylord, che non era magro come era stato detto, entrambi potevano provvedere alle necessità della vita mettendo da parte i guadagni di Secundra Dass per i bisogni futuri. Che questo avvenisse non ne dubito affatto. Con tutta probabilità, il progetto del Master era di raggranellare quel tanto che gli bastasse per andare alla ricerca del tesoro da lui sepolto tanti anni prima tra i monti. Se si fosse limitato a questo, avrebbe avuto una buona ispirazione. Per disgrazia sua e nostra, si lasciò consigliare dalla rabbia. La vergogna pubblicamente subita al suo arrivo, una vergogna alla quale a volte mi chiedo come facesse a sopravvivere, gli bruciava nelle vene generando quel furore per cui, come dice il proverbio, un uomo si taglierebbe il naso pur di fare dispetto alla propria faccia: e lui volle dare spettacolo di sé nella speranza che un po' di vergogna schizzasse anche sul mio lord.


Scelse in un quartiere povero della città una solitaria bicocca di legno ombreggiata di acacie. Questa aveva, sulla facciata, una specie di sportello simile a quello di un canile ma alto da terra all'incirca quanto una tavola, nel quale il pover'uomo che l'aveva costruita era solito riporre un po' di mercanzia. Appunto questo particolare attirò la fantasia del Master e forse gli suggerì la sua linea di condotta. A quanto pare, a bordo della nave dei pirati egli aveva acquistato qualche destrezza nei lavori d'ago, tanta, almeno, da bastargli per recitare la parte del sarto in pubblico; data la natura della sua vendetta, non serviva di più. Sullo sportello venne appesa un'insegna che, in una disposizione simile alla seguente, diceva così:


JAMES DURIE GIA' MASTER DI BALLANTRAE RAMMENDI ACCURATI SECUNDRA DASS GENTILUOMO INDIANO DECADUTO LAVORI FINI D'OREFICERIA.


Sotto quest'insegna quel mio bravo galantuomo, quando aveva lavoro, sedeva all'interno alla maniera dei sarti e faceva andare l'ago di lena. Dico quando aveva lavoro; ma i clienti arrivavano di solito per Secundra Dass, e il Master cuciva, per lo più, come Penelope. Dal suo mestiere non avrebbe potuto sperare nemmeno di guadagnare tanto da imburrarsi il pane; ma a lui bastava che l'insegna infangasse il nome dei Duries, e che il già erede di quell'altera famiglia sedesse in pubblico, a gambe incrociate, rimprovero vivente all'avarizia di suo fratello. E il suo stratagemma riuscì così bene, che in città si cominciò a mormorare e si formò un partito molto ostile a mylord.


Questi si trovava ancora più esposto ai commenti del pubblico per il favore stesso che godeva presso il governatore. La signora (non mai ben vista nella colonia) fu fatta segno ad allusioni malevole; nei ritrovi femminili, dove si è soliti parlare soprattutto di lavori d'ago, si trovò quasi interdetta dal nominarli; e molte volte ritornò a casa tutta rossa in viso e dichiarando di non volere più fare visite.


Intanto mylord dimorava nella sua decorosa abitazione, tutto assorto nell'agricoltura, molto caro agl'intimi, e incurante o inconsapevole del resto. Era ingrassato; aveva sul viso un'espressione di intelligente alacrità; perfino il clima caldo sembrava giovargli, e mylady, a dispetto dei propri fastidi, benediceva ogni giorno il cielo per aver ereditato dal padre un simile paradiso. Aveva assistito da una finestra all'umiliazione del Master, e, da quel momento, era sembrata tranquilla. Io, al contrario, mi sentivo turbato. Con il passare del tempo mi sembrò che ci fosse qualcosa di non troppo soddisfacente nelle condizioni di mylord. Si mostrava sempre allegro, però il motivo della sua letizia rimaneva occulto: anche in seno alla famiglia egli rimuginava, con manifesto piacere, su qualche idea segreta; e io finii per formulare il sospetto (del tutto indegno di entrambi) che mantenesse un'amante in qualche parte della città. Egli si allontanava raramente da casa, perché era tutto il giorno affaccendato, ma di prima mattina, mentre il signor Alexander studiava con me, usciva per un'ora senza un motivo chiaro. Bisogna tener presente, a difesa di quanto feci allora, che io continuavo a nutrire qualche timore sul fatto che il mio signore non avesse interamente la testa a posto; e sapendo il nostro nemico tanto quieto nella stessa città dove noi abitavamo facevo bene a stare in guardia. Di conseguenza, colto un pretesto per cambiare le ore in cui ero solito insegnare al signor Alexander i rudimenti della matematica e della contabilità, mi misi a pedinare il mio padrone.


Ogni mattina, bella o brutta che fosse, egli prendeva la sua mazza dall'impugnatura d'oro, si metteva il cappello all'indietro (un'abitudine recente, che mi sembrò indicare calore di testa) e s'incamminava per un certo giro. All'inizio prendeva tra piante ombrose lungo un cimitero e lì, se il tempo era buono, si sedeva a riflettere. Poco dopo, il suo cammino scendeva alla marina e tornava indietro passando lungo il porto e davanti alla baracca del Master.


Nell'intraprendere questa seconda parte del suo giro Lord Durrisdeer si metteva a muovere i passi più lentamente, come chi si gode l'aria buona e la bella vista, e davanti alla baracca, a metà strada tra quella e la riva, si soffermava un po', appoggiato alla mazza. Era l'ora in cui il Master sedeva sul suo palco a cucire. Così quei due fratelli stavano a fissarsi, a viso duro, e poi mylord si rimetteva in cammino sorridendo tra sé.


Solo due volte dovetti piegarmi a quella spiacevole necessità di far la spia, per acquistare la certezza su quale meta avessero le passeggiate del mio signore e quale fosse la fonte segreta della sua letizia. Eccola, la sua amante: l'odio, non l'amore, gli coloriva le guance. Qualche moralista si sarebbe riconsolato a una simile scoperta, io confesso che ne rimasi costernato. Tra due fratelli, una simile situazione mi sembrò non solo odiosa di per sé, ma gravida di possibili mali ulteriori; e ogni volta che le mie faccende me lo permettevano, correvo per una scorciatoia, ad assistere ai loro incontri. Un giorno, arrivato alla baracca un po' in ritardo, dopo esserne stato impedito per circa una settimana, rimasi attonito osservando un fatto nuovo. Ho trascurato di dire che contro il muro della casa del Master c'era una panca, dove i clienti potevano sedersi a contrattare con il bottegaio; là trovai seduto mylord, nell'atto di lisciare con la mano la sua mazza e di guardare con diletto la baia.


Seduto a meno di un metro da lui, il Master cuciva. Nessuno dei due parlava; né (in questa nuova situazione) mylord si degnava di posare lo sguardo sul suo nemico. Suppongo che, nell'immediata prossimità della sua persona, il mio padrone assaporasse in modo più diretto il gusto della sua presenza abbeverandosi più largamente ai piaceri dell'odio.


Quando venne via di là, mi avvicinai a lui apertamente.


- Mylord, mylord, - dissi, - questo non è il modo di comportarsi.


- C'ingrasso, - rispose, e rimasi scandalizzato, non solo da quelle parole (strane abbastanza), ma anche dal modo con cui furono dette.


- Vi supplico, mylord, di non abbandonarvi a sentimenti così cattivi, - replicai. - Non so se siano più dannosi all'anima o alla ragione; ma voi vi avviate a uccidere l'una e l'altra.


- Voi non potete capire, - disse. - Non avete mai avuto montagne di amarezza sul cuore.


- E, non foss'altro, - aggiunsi, - lo spingerete certo a qualche estremo.


- Al contrario: sto fiaccandone l'animo, - mi fa mylord.


Ogni mattina, per una settimana intera, egli prese lo stesso posto sopra la panca. Era un posto ameno, ombreggiato dalle acacie, in vista della baia solcata di vele e echeggiante delle canzoni con le quali i marinai accompagnavano, a qualche distanza, il loro lavoro. I due stavano a sedere, senza scambiare né una parola né un gesto. Intanto il Master cuciva, troncando con i denti le gugliate e mostrandosi assorto nella sua finta industriosità. Io non mancavo mai di unirmi a loro, stupito di me stesso e dei miei compagni. Se passava da quelle parti un amico del mio signore, questi gli mandava un'allegra voce di saluto e gli gridava che era là a dare buoni consigli al fratello, diventato ora, con sua somma gioia, molto laborioso. E anche allora il Master conservava una fisionomia impassibile; che cosa gli passasse per la testa, solo Iddio, o forse Satana, lo sa. All'improvviso, in un giorno sereno di quella stagione che viene chiamata Estate Indiana (1) e in cui le boscaglie si vestono d'oro, di vermiglio e di scarlatto, il Master posò l'ago e proruppe in una risata. Essa squillò in tono abbastanza naturale, perché probabilmente l'aveva studiata a lungo, mentre taceva; tuttavia, sentendola prorompere da un silenzio così assoluto e in circostanze così contrarie all'allegria, mi sembrò un suono di malaugurio.


- Henry, - disse, - una volta tanto ho fatto un passo falso e una volta tanto avete avuto l'intelligenza di approfittarne. La farsa del rattoppatore finisce oggi, e io vi confesso (congratulandomi con voi) che ve la siete cavata a meraviglia. Il sangue non mente, e voi sapete scegliere benissimo il modo più opportuno per rendervi spiacevole.


Il mio signore non disse una parola, proprio come se il Master non avesse rotto il silenzio.


- Orsù,- riprese il Master, - non siate scontroso, sciupereste l'atteggiamento preso. Adesso, credetemi, potete permettervi di essere un po' amabile, perché non ho soltanto da riconoscermi battuto. Era mia intenzione continuare la commedia fino ad avere raggranellato abbastanza denaro per un certo scopo; ma confesso candidamente che non mi basta l'animo. Voi avete il naturale desiderio che io scompaia da questa città; per via diversa, io sono giunto alla stessa idea. E ho una proposta da fare; o, se Vossignoria così preferisce, un favore da chiedere.


- Chiedetelo, - fa mylord.


- Forse avrete sentito dire che una volta io possedevo in questo paese un tesoro considerevole, - riprese il Master. - Che lo sappiate o no, del resto, importa poco. Il fatto sta che io fui costretto a seppellire il tesoro in un posto del quale ho sufficienti ragguagli.


La mia ambizione è ora scesa al recupero di questo tesoro; e, dato che esso è mio, voi non vorrete contendermelo.


- Andate a prenderlo, - fa mylord. - Io non mi oppongo.


- Va bene, - ribatté il Master, - ma, per andarci, mi serve trovare uomini e mezzi di trasporto. La strada è aspra e lunga, e il paese è infestato da indiani selvaggi. Anticipatemi appena quanto è necessario; o a titolo di saldo, invece del mio assegno; o, se più vi aggrada, come prestito che restituirò al mio ritorno. E allora, se questo sarà il vostro piacere, potrete dire di avermi visto per l'ultima volta.


Mylord lo guardò fisso negli occhi, avendo sul viso un freddo sorriso, ma non disse una parola.


- Henry, - aggiunse il Master con una calma formidabile, e, al tempo stesso, tirandosi un po' indietro. - Henry, ho l'onore di parlare con voi.


- Incamminiamoci verso casa, - fa mylord rivolto a me che lo tiravo per la manica, e, con queste parole, si alzò da sedere, si impettì, si aggiustò il cappello sulla testa, e, ancora senza una sillaba di risposta, si avviò con passo fermo lungo.


Io esitai un momento fra i due fratelli, tanto seria mi sembrava la crisi alla quale si era arrivati. Ma il Master aveva ripreso la sua occupazione con gli occhi bassi e le mani alacri, in apparenza, quanto prima; e io decisi di seguire il mio padrone.


- Siete impazzito?- esclamai, appena l'ebbi raggiunto. Volete dunque perdere una così buona occasione?

- E' possibile che voi gli crediate ancora? - chiese mylord, quasi con un ghigno.


- Vorrei che se ne andasse di qui, - esclamai. - Vorrei che fosse dovunque e a qualsiasi condizione, piuttosto che vederlo qui.


- Io ho detto la mia, - ribatté mylord, - e voi avete detto la vostra. Ora basta.


Ma io ero propenso a far sloggiare il Master. L'immagine di lui che si rimetteva pazientemente al suo cucito non mi andava assolutamente giù.


Non vide mai la luce un uomo, meno di tutti il Master, in grado di tollerare una così lunga serie d'insulti. Fiutavo sangue nell'aria. E feci giuramento di non tralasciare niente (se uno spiraglio fosse ancora aperto a un utile intervento) per sventare un delitto. Quello stesso giorno, perciò, andai a trovare mylord nello studio, dove egli attendeva a qualche banale occupazione.


- Mylord, - dissi, - ho trovato un investimento proficuo per le mie piccole economie. Ma queste, sfortunatamente, sono in Scozia; ci vorrà del tempo per riscuoterle, e l'affare non può essere ritardato.


Potrebbe Vossignoria procurare di anticiparmi la somma, contro mia obbligazione?

Egli mi lesse nell'anima con occhio penetrante. - Non mi sono mai intromesso nei vostri affari, Mackellar,- dice.- Ma oltre l'ammontare della vostra cauzione, non dovete possedere un quattrino, per quel che ne so io.


- Nei molti anni da me passati al vostro servizio, non vi ho detto mai una menzogna, né mai, prima d'ora, vi ho chiesto un favore per me stesso, - risposi.


- Questo è un favore per il Master - replicò egli a bassa voce. - Mi prendete per uno sciocco, Mackellar? Convincetevi una volta per tutte che io voglio trattare questa bestia a modo mio; né timore né pietà possono smuovermi; e, perché io sia raggirato, occorrerà qualcuno che intrighi meno allo scoperto di voi. Io chiedo di essere servito, lealmente servito, non che voi brighiate e complottiate dietro le mie spalle e tentiate di sottrarmi il denaro per aiutare i miei nemici.


- Mylord, - dissi, - queste parole sono imperdonabili.


- Ripensateci, Mackellar, - replicò - e vedrete che si attengono ai fatti. Il vostro sotterfugio è imperdonabile. Negate (se potete) di aver destinato questa somma a frustrare i miei voleri, e io vi chiederò scusa francamente. Ma, se non potete, dovete avere la fermezza di sentir chiamare con il suo nome la vostra condotta.


- Se credete che io avessi altro disegno tranne quello di salvarvi...


- cominciai.


- Oh! mio vecchio amico, - disse, - voi sapete bene che cosa penso!

Ecco la mia mano: ve la do con tutto il cuore, ma denaro, nemmeno un quattrino.


Sconfitto da questo lato, andai subito nella mia stanza, scrissi una lettera e corsi con essa al porto, sapendo che una nave stava per fare vela. Poco prima di sera, ero alla porta del Master. Entrando, senza nemmeno bussare, trovai il nostro nemico seduto a condividere con il suo indù una cena frugale di farinata gialla e latte. La casa, all'interno, era pulita ma povera; soltanto alcuni libri, una scansia e (in un angolo) il sedile di Secundra Dass le davano una certa impronta di signorilità.


- Signor Bally, - dissi, - ho quasi cinquecento sterline messe da parte in Scozia, le economie di una vita di lavoro indefesso. Ho spedito su quella nave una lettera per farle riscuotere. Abbiate pazienza di aspettare che arrivi il postale di ritorno, e tutto sarà vostro, alle stesse condizioni da voi offerte stamani a mylord.


Si alzò da tavola, si fece avanti, mi prese per le spalle e mi guardò in faccia sorridendo.


- Eppure siete attaccato al denaro! - disse. - Eppure amate il denaro sopra ogni cosa, tranne mio fratello!

- Temo la vecchiaia e la povertà, - risposi, - il che è diverso.


- Non voglio bisticciare per una parola. Dite come volete, replicò.


- Ah! Mackellar, Mackellar se la vostra offerta nascesse da affetto per me, come l'accetterei volentieri!

- Eppure, - aggiunsi con foga, - sia detto a mia vergogna, a sapervi in questa catapecchia mi si stringe il cuore. Ho altre e più gravi angustie; ma anche le vostre mi pesano! Sarei contento di vedervene liberato. Non vi faccio la mia offerta per amore, l'amore non c'entra; ma, com'è vero che Dio mi giudica - e con mia grande meraviglia - ve la faccio proprio senza ripugnanza.


- Ah! - disse lui, continuando a tenermi per le spalle, e scotendomi scherzosamente, - voi fate di me più conto di quanto non supponiate.


E con mia grande meraviglia, - aggiunse, imitando la mia frase, e (mi sembrò) l'inflessione della mia voce, - voi siete un onest'uomo, e per questo motivo vi risparmio.


- Mi risparmiate? - esclamai.


- Vi risparmio, - ripeté, lasciandomi andare e girandomi le spalle. E poi, affrontandomi di nuovo: - Voi non immaginate che potrei fare, Mackellar! Credete forse sul serio che io abbia ingoiato la mia disfatta? Ascoltate: la mia vita è stata un seguito di insuccessi immeritati. Quel balordo del principe Charlie mandò a male un'impresa promettentissima: così ebbi il mio primo tracollo. A Parigi avevo messo di nuovo il piede in cima alla scala; questa volta ebbi contro il caso: una lettera non fu recapitata a dovere, e mi ritrovai sul lastrico. Mi tirai su una terza volta: con infinita pazienza mi feci un nido in India; e allora venne Clive (2), si fece un solo boccone del mio rajah e io scampai dallo sconvolgimento, come un nuovo Enea, portando in spalla Secundra Dass. Sono arrivato alle posizioni più elevate; e non ho ancora quarantatré anni. Conosco il mondo come pochi uomini lo conoscono al momento di morire, la corte e il campo, l'Oriente e l'Occidente; so dove andare, e vedo mille espedienti. Sono adesso all'apice delle mie possibilità personali, vigoroso di salute e smodato nell'ambizione. Ebbene, rinuncio a tutto; non m'importa di morire, e che nessuno senta più parlare di me; m'importa di una cosa sola, e l'avrò. Guardatevi: affinché, quando il tetto crollerà, non restiate schiacciato anche voi sotto le macerie.


Uscivo dalla sua casa, estinta ormai ogni speranza d'intervento, quando sentii, dal lato del porto, un certo trambusto e, alzando gli occhi, vidi una grande nave che aveva appena gettato l'ancora. Sembra strano che io abbia potuto guardarla con tanta indifferenza, poiché portò morte ai fratelli di Durrisdeer. Dopo che nella contesa si erano avuti tutti quegli episodi estremi, gli insulti, i contrasti d'interesse, il duello tra fratelli nella macchia, doveva toccare a un morto di fame di uno scribacchino di Grub Street, che oltre tutto scribacchiava a vanvera, di gettare un sortilegio attraverso quattromila miglia di acqua salata, spedendo i due fratelli a morire in deserti gelidi e selvaggi. Ma un simile pensiero era lontanissimo dalla mia mente e nel tornare a casa passai tra i provinciali, eccitati per l'insolita animazione del loro porto, completamente assorto a ripensare alla mia visita e al discorso del Master.


Quella sera stessa dalla nave ci giunse un pacco d'opuscoli. Il giorno dopo, mylord si era impegnato ad andare con il governatore ad un trattenimento; era per lui quasi arrivata l'ora di uscire, quando lo lasciai un momento solo nella sua stanza, intento a scorrere gli opuscoli. Ritornando, lo trovai con la testa abbattuta sulla tavola e le braccia distese tra i fogli spiegazzati.


- Mylord, mylord!- esclamai, lanciandomi verso di lui, nella convinzione che fosse stato colto da malore.


Balzò in piedi, come per lo scatto di una molla, e con il viso sfigurato dal furore tanto che, se l'avessi visto in quel modo fuori di casa, avrei faticato a riconoscerlo. Contemporaneamente, alzò le braccia come se volesse percuotermi. - Lasciatemi solo! - strillò, e io corsi (più presto che mi fosse permesso dalle mie gambe tremanti) a cercare la signora. Anche lei non perse tempo; ma, quando tornai con lei alla porta del mio padrone, si era chiuso dentro a chiave e ci gridò di lasciarlo in pace. La signora e io ci guardammo in faccia, impallidendo entrambi, nella certezza che la sciagura da noi temuta ci avesse infine colpiti.


- Scriverò al governatore di scusarlo, - lei disse. - Dobbiamo conservarci i nostri potenti amici. - Ma, quando prese in mano la penna, questa le sfuggì dalle dita. - Non posso scrivere, disse. - Potete voi?

- Ci proverò, signora, - risposi.


Seguì con gli occhi la mia mano, mentre scrivevo. - Va bene così, - disse quand'ebbi finito. - Grazie a Dio, Mackellar, posso contare su di voi! Ma che cosa è successo, ora? Che cosa, che cosa è successo?

Dentro di me pensavo che non ci fosse spiegazione possibile, né spiegazione necessaria, avevo paura che la demenza del mio padrone fosse scoppiata, come le fiamme di un vulcano lungamente soffocate; ma non osavo esprimere quest'ansia per pietà della signora.


- Torna più a proposito considerare che cosa dobbiamo fare noi, - dissi. - Dobbiamo lasciarlo solo là dentro?

- Non oso disturbarlo, - lei riprese. - La natura provvederà, forse la natura invoca la solitudine; e noi brancoliamo nel buio. Oh sì, io lo lascerei stare.


- Allora io spedirò questa lettera, signora, e tornerò qui, se non vi dispiace, per rimanere al vostro fianco, - aggiunsi.


- Oh sì, - esclamò la signora.


Passammo il pomeriggio insieme, parlando raramente e vigilando la porta di mylord. La mia mente rifletteva sulla scena che era appena successa e sulla singolare somiglianza con la mia visione. Devo qui spiegarmi meglio, perché la storia di questa coincidenza si è diffusa con grandi esagerazioni e fu anche stampata (come ho potuto vedere) dando il mio nome per chi richiedesse particolari. La somiglianza tra la fantasia e la realtà consisteva nel fatto che mylord era chiuso in una stanza con la testa sulla tavola, dalla quale poi lo sollevava, mostrandomi il viso con un'espressione che mi stringeva il cuore. Ma nella realtà, la stanza non era quella immaginata, l'atteggiamento di mylord al tavolo non era lo stesso, e la faccia, quando lui la scoprì, esprimeva un penoso furore, invece di quello sgomento disperato che sempre, tranne una volta (già citata), caratterizzò la mia visione.


Ecco finalmente esposta al pubblico l'intera verità. Questa differiva moltissimo dai miei presagi, ma pure vi corrispondeva per certi versi, in modo da riempirmi d'inquietudine. Per tutto il pomeriggio, come dico, riflettei su questo fatto senza parlarne, perché la signora aveva le proprie ansie, e non mi venne neppure in mente di tormentarla con le mie fantasticherie. La nostra attesa già durava da un pezzo, quando lei ideò uno stratagemma ingegnoso: mandò a chiamare il signor Alexander e gli disse di bussare alla porta di suo padre. Mylord mandò il ragazzo per i fatti suoi, ma senza la minima violenza, sia di maniere sia di parole; cosicché cominciai a sperare che l'accesso fosse finito.


Finalmente, al cadere della notte, mentre io accendevo una lampada preparata su un mobile, la porta si aprì e mylord apparve sulla soglia. Non c'era luce sufficiente per poter vedere l'espressione del suo viso. Quando parlò, mi sembrò che la sua voce fosse un po' alterata, ma perfettamente ferma.


- Mackellar,- mi disse,- portate con le vostre mani questo biglietto a destinazione. E' segretissimo. Badate che nessuno vi veda consegnarlo.


- Henry, - disse la signora, - spero che non vi sentiate male.


- No, no, - rispose lui, in tono querulo. - Ho da fare. Non ho niente, ho soltanto da fare. E' proprio strano credere che un uomo si senta male, quando è occupato in qualche faccenda! Mandatemi la cena qui dentro, e anche un cestello di vino: aspetto la visita di un amico. Ma non mi disturbate per nessun altro motivo.


E, con queste parole, tornò a chiudersi dentro.


Il biglietto era indirizzato a un certo capitano Harris, presso una taverna del porto. Conoscevo Harris (per sentito dire) come un pericoloso avventuriero, assai sospettato, in passato, di pirateria, e ora occupato nel difficoltoso commercio con gl'indiani. La mia immaginazione non bastava a indovinare che cosa mylord avesse da dirgli, o quello dovesse comunicare a mylord, né come il mio padrone avesse sentito parlare di lui, se non in occasione di un vergognoso processo dal quale quell'uomo era di recente scampato. Ad ogni modo portai il messaggio con riluttanza e i pochi minuti passati con il capitano bastarono per farmi rincasare più angustiato che mai. Trovai quell'uomo in una lurida stanza, seduto presso una candela gocciolante e una bottiglia vuota. Egli conservava un portamento militaresco: ma forse si trattava di una affettazione, perché le sue maniere erano volgarissime.


- Riferite a Sua Signoria che l'ossequio e che mi riterrò onorato di comparire in sua presenza entro una mezz'ora - disse dopo aver letto il biglietto, e poi ebbe l'impudenza di indicarmi la sua bottiglia vuota, proponendomi di comprargli del liquore.


Sebbene io ritornassi con la massima velocità, il capitano arrivò poco dopo di me, e si trattenne fino a tarda notte. Il gallo cantava per la seconda volta, quando vidi (dalla finestra della mia camera) mylord fargli luce fino al cancello. Entrambi erano molto alterati dal bere, e ogni tanto si appoggiavano l'uno all'altro per confabulare. Però la mattina seguente mylord uscì molto presto, portando con sé cento sterline in contanti. Non ho mai supposto che egli le avesse ancora addosso, quando tornò a casa, eppure ero sicurissimo che quel denaro non era andato a finire nelle mani del Master, perché mi ero aggirato tutta la mattina in posti dove mi era stato possibile tenere d'occhio la baracca. Fu questa l'ultima volta che Lord Durrisdeer varcò il cancello della sua casa, prima di lasciare New York; continuò come al solito a passeggiare nella masseria o intrattenersi con i familiari, ma la città non lo vide più e le sue visite quotidiane al Master parvero dimenticate. Né Harris riapparve; o, almeno, non prima della fine.


Mi sentivo oppresso, ormai, dalla sensazione dei misteri in mezzo ai quali avevamo cominciato a brancolare. Era evidente, se non altro per le mutate abitudini di mylord, che questi rimuginava nella testa pensieri di grave natura; ma quali fossero e da dove provenissero questi pensieri, o perché egli non si allontanasse più dalla casa e dal giardino, io non potevo affatto immaginarlo. Era evidente, quasi comprovabile, che gli opuscoli avevano un ruolo in tale cambiamento.


Lessi tutti quelli che potei avere tra le mani: erano proprio insignificanti, e pieni di facezie di parte del tutto usuali; né vi potei rintracciare niente che potesse offendere non dico mylord, piuttosto indifferente alle questioni politiche, ma il più insigne uomo di Stato. La verità è che l'opuscolo, origine di tanto scompiglio, mylord se lo teneva nascosto sul petto. Qui lo trovai, infine, dopo la sua morte nelle lande deserte del nord: in tali luoghi e in tali funeste circostanze, mi toccò leggere per la prima volta queste oziose, menzognere parole di un libellista Whig (3) che declamava contro l'indulgenza concessa ai giacobiti: «Un altro ribelle notorio, il M...r di B...e, sta per essere reintegrato nel suo titolo», diceva l'articolo. «Questa faccenda si dibatte da tempo, e cioè da quando costui prestò servigi oltremodo disonorevoli in Scozia e in Francia. Com'è noto, suo fratello, L...d D...r, gli è uguale nelle inclinazioni; e il presunto erede, che sarà ben presto messo da parte, è stato educato alle idee più riprovevoli. Secondo l'antica frase, ha sei parti dell'uno e mezza dozzina dell'altro. Ma tale reintegrazione è un favore troppo eccessivo da passare sotto silenzio». Una persona di senno non avrebbe dato nessuna importanza a una storiella tanto assurda. Che il governo avesse certe intenzioni, poteva, forse, essere venuto in mente allo stolto autore dell'opuscolo, ma non era credibile alla luce della ragione. Pertanto, se mylord, uomo provvisto di notevole buon senso (se non di straordinaria levatura), poté prestar fede a una simile rodomontata, portando l'opuscolo sul petto e in cuore la fandonia che vi stava scritta, è giusto dedurre che egli era impazzito. Di sicuro il solo accenno al signor Alexander e l'esplicita minaccia ai suoi diritti di successione precipitarono la sciagura che pendeva da un pezzo su di noi. Bisognerebbe pensare altrimenti che il mio padrone fosse demente già da molto tempo e che noi, troppo ottusi d'intelligenza, o troppo assuefatti alle sue maniere, non avessimo misurato l'estensione della sua infermità.


Un giorno, circa una settimana dopo il fatto degli opuscoli, avendo aspettato fino a tardi nelle vicinanze del porto, mi diressi, come usavo spesso, verso l'abitazione del Master. La porta si aprì, un torrente di luce si riversò sulla strada e io vidi un uomo licenziarsi, salutando confidenzialmente. Mi turbai al massimo nel riconoscere l'avventuriero Harris. Non potei fare a meno di dedurne che la mano di mylord lo avesse portato là; e prolungai la mia passeggiata con la mente in subbuglio. Quando, a ora inoltrata, rientrai in casa, trovai il mio lord che preparava la sua sacca per un viaggio.


- Perché tornate così tardi?- esclamò. - Partiamo domani per Albany, voi e io insieme, e è tempo che provvediate a prepararvi.


- Per Albany, mylord? - esclamai. - E a quale scopo?

- Per cambiare aria, - disse lui.


E la signora, che portava sul viso tracce di recenti lacrime, mi fece cenno di obbedire senza altre obiezioni. Qualche ora dopo (essendosi presentata l'opportunità di scambiarci qualche parola) lei mi disse che le aveva annunciato improvvisamente la propria intenzione, in seguito a una visita del capitano Harris; e che ogni suo sforzo, sia per dissuaderlo dal viaggio, sia per sollecitare qualche chiarimento sui suoi motivi, era risultato inutile.




NOTE:


1) Denominazione inglese di quella stagione che in Italia viene chiamata «estate di San Martino».


2) Robert Clive (1725-1774), famoso avventuriero inglese, che riuscì, per mezzo di azioni fortunate, a impossessarsi del Bengala, del Bibar e dell'Orissa.


3) I Tories e i Whigs (i due grandi partiti che si costituirono intorno al 1670 e dai quali derivano, rispettivamente, i conservatori e i liberali di oggi) tennero posizioni molto diverse a proposito di tolleranza religiosa, quando, restaurata la monarchia, re Carlo Secondo emanò, nel 1672, la sua «dichiarazione di indulgenza». Mentre i Tories appoggiavano l'atteggiamento tollerante del re e della Chiesa anglicana verso i cattolici e i protestanti dissenzienti, i Whigs, sostenitori della supremazia parlamentare, votarono rigorose repressioni, specie contro i cattolici. La libellistica dell'epoca, abbondantissima, dibatté per lo più argomenti religiosi anche se rivolta a favorire precisi interessi di classe o di singoli individui.




CAPITOLO UNDICESIMO


Il viaggio nelle solitudini


Nel risalire l'ameno corso dell'Hudson facemmo un felice viaggio, con tempo clemente, tra alture adorne dei colori autunnali. Ad Albany ci fermammo in una locanda, dove né io fui abbastanza cieco, né Lord Durrisdeer fu abbastanza astuto, perché potesse sfuggirmi la sua intenzione di tenermi prigioniero. Il lavoro che egli mi diede da fare non era urgente tanto che dovessimo sbrigarlo, senza i documenti necessari, dentro la camera di una locanda: né di tale importanza da richiedere che io eseguissi quattro o cinque copie dello stesso documento. In apparenza obbedii diligentemente, ma presi, per conto mio, segrete misure; e mi servii della cortesia dell'oste per essere informato, giorno per giorno, di ciò che succedeva in città. In questo modo, ricevetti infine una notizia che, per così dire, mi aspettavo.


Mi venne riferito che il capitano Harris, in compagnia del «commerciante signor Mountain», era passato sul fiume con un'imbarcazione, diretto a monte. Non osavo incontrare lo sguardo dell'oste, tanto mi opprimeva il sospetto di una complicità da parte del mio padrone. Ma feci in modo di spiegare che, se il signor Mountain mi era del tutto sconosciuto, sapevo qualcosa del capitano, e feci in modo d'indagare chi altri facesse parte della comitiva. Il mio informatore lo ignorava; il signor Mountain era sbarcato per acquistare qualcosa di prima necessità; aveva girato per le strade, comprando, bevendo e cianciando; e sembrava che la comitiva muovesse a un'avventura di probabile buon successo, perché quell'uomo aveva parlato molto di grandi cose che avrebbe fatto al ritorno. Non si sapeva altro, perché nessun altro era sbarcato, e la spedizione sembrava che avesse urgenza di arrivare in un certo posto, prima che la neve cominciasse a cadere.


E certo, il giorno dopo ne cadde anche ad Albany; ma non durò e fu solo un avvertimento di quel che ci sarebbe toccato. Io, lì per lì, non vi badai sapendo ben poco dell'inclemenza della stagione in quella provincia; ci ripenso ora, con animo diverso; e mi chiedo, a volte, se l'orrore degli eventi che adesso sono costretto a descrivere non sia in parte derivato dai torvi cieli e dai venti furiosi ai quali fummo esposti, e dalle torture del freddo che dovemmo soffrire.


Poiché l'imbarcazione era passata, pensai in un primo momento che dovessimo partire dalla città. Niente affatto. Mylord rimase ad Albany, dove, che si sapesse, nessun affare lo tratteneva, e mi tenne con sé, lontano dalle mie dovute occupazioni, occupato per finta.


Proprio su questo mi aspetto, e forse merito, un biasimo. Non ero tanto ottuso da non avere le mie idee. Mi sembrava impossibile vedere il Master affidarsi alle mani di Harris senza pensare a qualche losco affare. Harris, individuo malfamato, era stato segretamente subornato da mylord; secondo le informazioni che mi procurai, il mercante Mountain risultava della stessa pasta; la loro spedizione, avendo per oggetto il recupero di un tesoro male acquistato, offriva forte incentivo a cattive azioni, e la natura del paese dove essi viaggiavano prometteva l'impunità ai delitti di sangue. Ebbene: è vero che io avevo tutte queste idee spaventose e che prevedevo il destino del Master. Ma voi dovete considerare che io ero quello stesso uomo che aveva tentato di buttarlo fuori della murata d una nave in alto mare, dopo aver, poco prima, empiamente, ma schiettamente, contrattato con Dio, cercando di assoldare Dio stesso a farmi da sicario. E' vero, altresì, che avevo incominciato a intenerirmi per il nostro nemico. Ma io considerai sempre questo come una debolezza (se non addirittura come una colpa) della carne; e la mia mente rimase ferma nell'ostilità contro di lui. E bisogna considerare, d'altra parte, che una cosa era prendere sulle mie spalle la colpa e il pericolo di un attentato delittuoso, e un'altra stare a vedere il mio padrone mettere a repentaglio il proprio onore. Solo questo fu il motivo della mia inattività. Infatti, se in quell'affare mi fossi appena mosso, non sarei probabilmente riuscito a salvare il Master ma avrei di certo messo in piazza mylord.


Così andò che non feci niente; e, per i motivi esposti, ho ancora la possibilità di giustificare la mia condotta. Il mio padrone e io abitavamo, intanto, ad Albany, ma, sebbene vivessimo soli insieme in un paese straniero, avevamo pochissimi rapporti, oltre alla cerimonia del saluto. Mylord aveva portato con sé presentazioni per tutti i notabili della città e dei dintorni; e aveva già conosciuto molta gente in New York. Di conseguenza, andava molto in giro e, mi spiace dirlo, si era dato alle gozzoviglie. Quando rientrava, io ero spesso a letto, ma mai addormentato, e non ci fu notte in cui egli non tradisse gli effetti del bere. Durante il giorno continuava a caricarmi di compiti interminabili che escogitava con notevole ingegnosità e rinnovava come la tela di Penelope. Essendo stipendiato per obbedirlo, non mi opposi mai ai suoi ordini; ma non mi curai di nascondere la mia avvedutezza e, a volte gli sorrisi in faccia.


- Io devo essere il diavolo e voi Michael Scott (1), - gli dissi un giorno. - Ho già varcato il Tweed e spaccato l'Eildons e ora mi date da fare la fune di sabbia.


Mi guardò con occhi lucenti; poi distolse da me lo sguardo, muovendo le mascelle, ma senza dire una parola.


- Ebbene, ebbene, mylord, - dissi, - la vostra volontà è legge per me. Copierò questo conto per la terza volta; ma vorrei chiedervi di inventare un altro lavoro per domani, perché sono stanco di fare sempre lo stesso.


- Voi non sapete quello che dite, - replicò mylord mettendosi il cappello e girandomi le spalle. - E' strano che vi divertiate tanto ad annoiarmi. Un amico... ma questo è un altro affare. E' una cosa strana. Io sono un uomo che ha avuto sfortuna per tutta la vita. Sono circondato ancora da macchinazioni. Cammino sempre tra le congiure, - proruppe. Il mondo intero è alleato contro di me.


- Se fossi in voi, non farei questi discorsi stolti e cattivi, - replicai.- Vi dirò io che farei: metterei la testa nell'acqua fredda, perché ieri sera avete ingoiato più di quanto siete capace di sopportare.


- Credete così? - disse lui, con interesse prontamente risvegliato.


- Credete che mi farebbe bene? E' una cosa che non ho mai provato.


- Penso al tempo in cui non avevate bisogno di fare certe prove, e vorrei che potesse tornare, - aggiunsi. - Ma la verità è che, se continuate a eccedere, vi rovinerete.


- Già, non sopporto più il bere come una volta, - disse mylord. - Mi dà alla testa, Mackellar. Ma starò più in guardia.


- Questo è appunto quello che volevo chiedervi, - replicai. Dovete tenere in mente che siete il padre del signor Alexander: date al ragazzo il modo di portare il suo nome con dignità.


- Già, già,- mi rispose. - Siete un uomo di buon senso, voi, Mackellar, e siete al mio servizio da molto tempo. Ma, se non avete altro da dirmi, andrò a fare due passi. Avete altro da dirmi? - ripeté con quell'impeto fanciullesco e fervido che era diventato in lui così abituale.


- No, mylord, non ho altro da dirvi,- ribattei abbastanza seccamente.


- Allora andrò a fare due passi, - ripeté mylord, e indugiava a guardarmi, giocherellando col cappello che si era tolto per la seconda volta. - Avete forse qualche commissione? No? Devo incontrarmi con Sir William Johnson, ma starò più in guardia. Rimase silenzioso per qualche minuto; e poi, sorridendo: - Vi ricordate un posto, Mackellar (è un po' sotto Engles) dove il torrente è fondo lungo il bosco di frassini? Mi ricordo di essere andato là quand'ero ragazzo. Che bellezza! Me ne ricordo come di una canzone antica. Ero andato a pescare e feci una buona presa. Oh, com'ero felice! Mi chiedo, Mackellar, perché non sono mai felice, adesso?

- Mylord,- osservai,- se beveste con più moderazione, vi sentireste meglio. Un vecchio proverbio dice che la bottiglia è un falso consolatore.


- Di certo, - disse lui, - di certo. Ebbene, ora uscirò.


- Buon giorno, mylord, - dissi.


- Buon giorno, buon giorno, - mi rispose, e con queste parole se ne andò finalmente dall'appartamento.


Racconto tutto questo per dare un'idea dello stato di mylord al mattino; e, se il lettore non si accorge di quanto egli fosse decaduto, io devo aver descritto molto male il mio padrone. Vederlo così abbrutito, saperlo considerato dai suoi compagni come un povero stolto ubriacone, e da loro ben accolto (se pur lo era) per semplice riguardo al suo titolo; e poi ricordare le virtù da lui dimostrate in passato, fra tanti rovesci di fortuna; non erano queste cose da muovere l'ira e da umiliare al tempo stesso?

Quando aveva bevuto, perdeva ogni ritegno. Citerò una sola scena, avvenuta verso la fine, che è rimasta profondamente impressa nella mia memoria, e che, lì per lì, mi fece quasi terrore.


Ero a letto sveglio, quando lo sentii cantare inciampando per le scale. Mylord non aveva nessuna disposizione per la musica (suo fratello possedeva tutte le abilità della famiglia) di modo che, quando dico cantare, voi dovete intendere una specie di stridula nenia che non era né discorso né canto. Qualcosa di simile si sente sulle labbra dei bambini, prima che imparino a vergognarsi; sulle labbra di un uomo attempato, faceva un effetto strano. Aprì la porta con rumorosa cautela, spiò dentro, facendo schermo alla candela con la mano, mi credette addormentato, entrò, mise il lume su una tavola, e si tolse il cappello. Lo vidi bene: un'esultanza febbrile sembrava fervere nelle sue vene, e sorrideva e ghignava illuminato dalla candela. Poi alzò le braccia, schioccò le dita, e si mise a spogliarsi. Intanto, avendo dimenticato ancora una volta la mia presenza, si rimise a cantare, e allora potei sentire le parole, che erano quelle dell'antica canzone dei «Due Corvi» ripetute infinite volte:

"E sulle sue ossa spolpate il vento Si metterà a soffiare per sempre!"Ho detto che non aveva disposizione per la musica. Non c'era un legame logico tra le sue arie, eccetto una certa tendenza generale al tono minore; ma esercitavano un rude potere sul sentimento, e accompagnavano le parole, ed esprimevano le passioni del cantore con barbarica aderenza. Dapprima prese tempo e tono declamatorio, poi questa sguaiata allegria si calmò: egli cominciò a commuoversi e poi scese a una lamentosità da ubriacone che mi era quasi intollerabile.


Di pari passo, la iniziale vivacità dei suoi detti declinò; e, una volta in mutande, sedette sulla sponda del letto e si mise a piagnucolare. Niente mi sembrò così spregevole come le lacrime dell'ubriachezza; così girai le spalle con irritazione a quella vista miserevole.


Ma egli si era messo (a quanto suppongo) su quella sdrucciolevole discesa della pietà di sé, sulla quale un uomo, sfibrato da antichi dolori e da recenti libagioni, non si ferma se non per spossatezza. Le sue lacrime continuavano a fluire mentre egli restava seduto lì, nudo per tre quarti, nell'aria fredda della camera. Io mi accusavo alternativamente di inumanità e di debolezza sentimentale, ora alzandomi a metà sul letto per intervenire, ora facendo a me stesso un fervorino in favore dell'indifferenza e cercando di prendere sonno; finché, a un tratto, il "quantum mutatus ab illo" mi balenò per la mente, e, ricordando la saggezza, la costanza e la pazienza antiche del mio padrone, fui sopraffatto da una pietà quasi appassionata, non solo per lui, ma per tutte le umane creature.


Allora balzai dal letto, andai al suo fianco e misi una mano sulla sua spalla nuda, che era fredda come pietra. Egli si tolse le mani dal viso, che mi apparve gonfio e chiazzato di lacrime, e si rianimò alquanto alla vista della mia irritazione.


- Non vi vergognate? - gli dissi. - Queste sono maniere da ragazzi.


Piagnucolerei anch'io, se mi fosse saltato il grillo di risciacquarmi le budella con il vino. Ma, invece, sono andato a letto da uomo sobrio. Su, tornate in voi, e finitela con queste scene tanto indecorose.


- Oh, Mackellar, - esclamò, - ho il cuore oppresso!

- Oppresso?- ripetei. - Per un buon motivo, credo. Che parole cantavate mai, quando siete rientrato? Abbiate compassione degli altri, e allora parleremo di compassione per voi. Voi potete essere una cosa o l'altra, ma alle mezze misure non ci sto. Se siete un lottatore, colpite, e se siete una pecora, belate!

- Piangere! - prorompe lui, con impeto, - ecco... picchiare! questo va bene! Amico, io sopporto da troppo tempo. Ma ora che hanno preso di mira il bambino, ora che il bambino è minacciato (il suo momentaneo vigore si estinse) - il mio bambino, il mio Alexander! - e scoppiò di nuovo in lacrime.


Lo presi per le spalle, e lo scossi. - Alexander! - esclamai. - Ci pensate, forse, voi? No davvero! Scrutate con coraggio la vostra faccia, e vi accorgerete di essere un uomo che inganna se stesso. La moglie, l'amico, il bambino vi sono passati di mente allo stesso modo, e voi siete diventato una statua di egoismo.


- Mackellar, - rispose lui, con una strana ripresa delle sue antiche maniere e del suo aspetto antico, - potete accusarmi di tutti i difetti, tranne che di uno: e cioè di essere egoista.


- Vi aprirò gli occhi, vostro malgrado, - aggiunsi. - Da quanto tempo siete qui? e quante volte avete scritto a casa? Mi sembra che questa sia la prima volta che vi siete separato dalla moglie e dal figliuolo. Avete scritto mai a loro? Sanno loro se siete vivo o morto?

Queste parole lo punsero sul vivo, e ritemprarono le sue buone qualità; non pianse più, mi ringraziò con aria contrita, andò a letto e ben presto si addormentò. La mattina dopo, per prima cosa, si mise a scrivere una lettera alla signora; era una lettera molto tenera; ma, disgraziatamente, non fu mai finita. In verità, ogni comunicazione con New York ebbe luogo per mezzo mio; e è facile immaginare che un simile compito fu per me sommamente ingrato. Che dire alla signora e con quali parole esprimermi, fino a che punto essere falso, fino a che punto essere crudele, erano problemi che spesso, di notte, mi impedivano di dormire.


Intanto, il mio padrone aspettava, con crescente impazienza, notizie dei suoi complici. Secondo ogni probabilità, Harris aveva promesso di fare le cose con la massima speditezza; era ormai passato il tempo in cui doveva arrivare una sua parola; e l'incertezza era un cattivo consigliere per un'intelligenza ottenebrata. In quel periodo i pensieri di mylord si aggiravano sempre nelle solitudini, seguendo la comitiva le cui imprese gli davano tanta ansia. Egli evocava continuamente le soste e le marce, la configurazione del suolo, la perpetrazione (in mille diverse maniere) dello stesso orrendo delitto, e il conseguente spettacolo delle ossa del Master sparse al vento.


Simili idee peccaminose facevano capolino continuamente nei discorsi del mio padrone, come conigli da un declivio. E non c'è da meravigliarsi se la scena delle sue fantasticherie cominciò ad attrarre la sua persona.


Si sa bene quale pretesto egli prese per mettersi in viaggio. Sir William Johnson aveva, da quelle parti, un'azione diplomatica; mylord ed io ci accompagnammo a lui con il pretesto della curiosità. Sir William era ben scortato e liberalmente approvvigionato. I cacciatori ci portavano la selvaggina, il pesce veniva pescato ogni giorno per noi nel fiume, e l'acquavite scorreva come acqua. Procedevamo di giorno, e ci accampavamo di notte secondo l'uso militare; le sentinelle montavano la guardia a turno, ognuno aveva un dovere preciso; e Sir William era la molla che determinava ogni nostro atto.


In questa spedizione avrei potuto spesso divertirmi; ma, per nostra sfortuna, il tempo era rigidissimo, e anche se dapprima le giornate furono serene, di notte gelò fin dall'inizio del viaggio. Per la maggior parte del tempo soffiava un vento tagliente, penosissimo, che nell'imbarcazione ci illividiva le dita e, di notte, mentre ci scottavamo la faccia accanto al fuoco, faceva sembrare di carta i vestiti sulle nostre schiene. Una solitudine spaventosa circondava i nostri passi, il paese era completamente spopolato, non si vedeva fumo di fuochi e, tranne un'unica imbarcazione di mercanti che vedemmo il secondo giorno, non incontrammo altri viaggiatori. E' vero che la stagione era già inoltrata, ma lo stesso Sir William rimase impressionato da questa diserzione delle vie d'acqua e, più di una volta, lo sentii esprimere una certa preoccupazione.- Temo di essermi messo in viaggio troppo tardi, - diceva, - devono avere già dissotterrato la scure. - Il futuro provò quanta ragione avesse.


In viaggio fui di umore così tetro da non poterlo descrivere. Io non sono di quelli che amano l'insolito. Il fatto di vedere sopraggiungere l'inverno, trovandomi così lontano da qualsiasi abitazione, mi opprimeva come un incubo, sembrava anzi come un'orrenda sfida alla potenza di Dio, e questa impressione, che servirà certo a farmi classificare tra i codardi, era ancora rafforzata dalla mia segreta consapevolezza dello scopo che perseguivamo. Ero, inoltre, gravato di doveri verso Sir William, che mi toccava intrattenere, poiché mylord, immerso in uno stato confinante col "pervigilium", contemplava i boschi con occhio estatico, non dormiva quasi per niente, e non diceva, a volte, venti parole in un giorno. I suoi discorsi si mantenevano coerenti, ma volgevano continuamente sulla comitiva della quale egli stava in folle vedetta. Diceva spesso a Sir William, ogni volta con l'aria di dirgli una cosa nuova, che aveva «un fratello chi sa dove, nei boschi», e chiedeva che si desse alle sentinelle la consegna di «informarsi sul suo conto».- Sono ansioso di avere notizie di mio fratello,- diceva. A volte, quando eravamo in viaggio, immaginava di avvistare una canoa sull'acqua o un accampamento sulla sponda, manifestando una penosa agitazione. Era impossibile che Sir William non osservasse simili stranezze; egli, infatti, finì per condurmi in disparte e accennarmi alla propria inquietudine. Mi toccai la fronte con il dito e scossi il capo; contentissimo di preparare una piccola testimonianza in caso di possibili rivelazioni.


- Ma allora, - esclama Sir William, - vi sembra saggio lasciarlo andare in giro?

- Coloro che lo conoscono bene, - risposi, - sono convinti che egli abbia bisogno di svago.


- Di certo, - replicò Sir William, - questo non è affare mio. Ma, se avessi avuto sentore d'un fatto simile, non vi avrei permesso di venire con me.


La nostra avanzata nelle zone deserte aveva proceduto per circa una settimana senza avvenimenti importanti, quando ci accampammo per una notte in un posto dove il fiume scorreva fra monti di considerevole altezza, rivestiti di foreste. I fuochi furono accesi in uno spiazzo sulla sponda; e, dopo aver cenato, ci coricammo per dormire nel modo solito. La notte portò un freddo assassino; il morso del gelo mi afferrò e mi punse fin sotto le coperte, impedendomi di dormire, di modo che fui in piedi prima che il giorno spuntasse, andandomi ad accoccolare vicino al fuoco o trottando avanti e indietro in riva al fiume, per sciogliere l'intirizzimento delle membra. Finalmente l'alba cominciò a spuntare sui boschi e i monti coperti di bianco, sui dormienti avvolti nei mantelli e sul fiume tumultuoso che scorreva precipitoso tra i ghiaccioli. Io, tutto imbacuccato nel mio rigido cappotto di pelle di bufalo, ed esalando un fiato umido dalle narici screpolate, mi guardavo intorno, quando, a un tratto, un urlo strano, veemente proruppe dal bosco. Le sentinelle risposero; i dormienti balzarono in piedi; qualcuno accennò con il dito; gli altri seguirono con gli occhi la sua indicazione; e là sul limitare della foresta, fra due alberi, scorgemmo tutti la forma di un uomo che tendeva le braccia in atteggiamento estatico. Un momento dopo, egli si slanciava in avanti, cadeva in ginocchio vicino all'accampamento, e scoppiava in singhiozzi.


Era John Mountain, il mercante, sfuggito ai più orrendi pericoli. La sua prima parola, quando riacquistò la favella, fu per chiedere se avessimo visto Secundra Dass.


- Visto che cosa? - esclama Sir William.


- No, - risposi a Mountain, - non l'abbiamo visto. Perché?

- No? - domandò Mountain. - Allora avevo ragione. - E così dicendo, si batté la palma sulla fronte. - Ma che cosa lo richiama indietro?

- esclamò. - Che cosa lo richiama fra i cadaveri? Questo è un mistero infernale.


Quelle parole stimolarono la nostra curiosità; ma io sarò più esauriente se racconterò gli incidenti nell'ordine con cui si svolsero. Faccio seguire, dunque, una narrazione da me compilata su tre fonti, non sempre coerenti fra di loro.


Prima: una dichiarazione scritta da Mountain, in cui ogni atto delittuoso è abilmente travisato; Seconda: due conversazioni con Secundra Dass; Terza: molte conversazioni con Mountain stesso, nelle quali egli si compiacque di essere assolutamente franco; perché, se devo dire tutto, egli mi considerava suo complice.


"Resoconto di Mountain, il mercante".


L'equipaggio che risalì il fiume sotto il congiunto comando del capitano Harris e del Master era composto di nove persone, fra le quali (eccezion fatta per Secundra Dass) non ce n'era una che non meritasse il capestro. Nella colonia quei viaggiatori, da Harris in giù, avevano taccia di malfattori pericolosi e sanguinari. Alcuni erano ritenuti dei pirati, i più venditori ambulanti di rum, tutti beoni e litigiosi, degni compari per imbarcarsi insieme, senza rimorsi, in quell'impresa proditoria e omicida. Non mi risulta che nella banda ci fosse molta disciplina o un vero capitano; ma Harris e cinque altri, cioè Mountain stesso, due scozzesi che si chiamavano Pinkerton e Hastie, e un tale di nome Hicks, calzolaio e beone, tenevano conciliabolo per decidere sul da farsi. In senso materiale, erano tutti ben provvisti; e il Master godeva lo speciale privilegio di portare con sé una tenda, dove ricoverarsi e godere una certa libertà.


Questa piccola distinzione contribuì ad aizzare contro di lui le menti dei suoi compagni. Ma, in verità, egli era in una posizione tanto falsa (e anche tanto ridicola) che ogni sua abitudine di comando, ogni sua arte di piacere furono, con loro, gettate al vento. Agli occhi di tutti, escluso Secundra Dass, egli figurava come un gonzo qualunque e come una vittima designata, diretta inconsapevolmente verso la morte.


Nondimeno, egli non poteva supporre di non essere l'organizzatore e il condottiero della spedizione; né poteva fare a meno di comportarsi come tale, e al minimo atto di autorità o di condiscendenza da parte sua, i suoi ingannatori se la ridevano sotto i baffi. Io ero tanto abituato a vederlo e ad immaginarlo in atteggiamento altero e autoritario, che appena mi raffigurai la sua posizione in quel viaggio me ne afflissi e fui sul punto di arrossirne. Quando egli abbia concepito il primo sospetto, non sappiamo; ma quello accadde tardi, e la comitiva si era inoltrata nel cuore delle solitudini fuori dalla portata di qualsiasi aiuto, prima che in lui si svegliasse la consapevolezza del vero.


Avvenne così. Harris e alcuni altri, essendosi appartati a conciliabolo nel bosco, sentirono a un tratto un fruscio nelle frasche. Conoscevano bene, costoro, le arti di guerra degli indiani e Mountain con quei selvaggi non aveva solo vissuto e cacciato, ma anche combattuto, acquistandosi una certa fama tra di loro. Sapeva muoversi nei boschi senza rumore e seguire una pista come un bracco; e, in occasione di questo allarme, fu designato dagli altri a internarsi nel folto per indagare. Presto si convinse che, nelle immediate vicinanze, c'era un uomo, che procedeva con precauzione, ma senz'arte, tra il fogliame e i rami; e arrivando in breve a un buon punto d'osservazione, poté osservare Secundra Dass, che sgattaiolava agilmente via, girandosi spesso a guardare indietro. Mountain non seppe se ridere o piangere di questo fatto, e i suoi complici, quando, tornato presso di loro, riferì ad essi la sua scoperta, rimasero nella stessa perplessità. Era eliminato il timore di un imminente massacro degli indiani; ma, d'altra parte, visto che Secundra Dass si dava da fare a spiarli, era sommamente probabile che egli sapesse un po' d'inglese e, se egli sapeva un po' d'inglese, di certo l'intero complotto era a conoscenza del Master. La situazione presentava un punto singolare. Così come Secundra Dass sapeva l'inglese e ne nascondeva la conoscenza, Harris era esperto di parecchie lingue dell'India, e poiché la sua condotta, in quella parte del mondo, era stata assai peggio che sregolata, egli aveva creduto opportuno non far parola di quella circostanza. Ognuno dei due partiti aveva, perciò, uno spioncino aperto sulle trame dell'altro. I cospiratori, appena avuta conoscenza di questo vantaggio, tornarono all'accampamento; Harris, sentendo che l'indù si era di nuovo ritirato con il suo padrone, strisciò cautamente verso la tenda; e gli altri, seduti a fumare intorno al fuoco, aspettarono con impazienza il suo rapporto.


Quando infine egli tornò, era molto scuro in viso. Aveva sentito tanto da confermare i suoi peggiori sospetti. Secundra Dass era un ottimo conoscitore della lingua inglese e già da parecchi giorni strisciava e origliava; il Master era ormai pienamente informato della congiura; e tutti e due si proponevano di rompere le righe il giorno dopo, durante un trasporto via terra, e di gettarsi alla ventura nelle foreste, decisi ad affrontare la fame, le bestie feroci e i selvaggi, piuttosto che rimanere in mezzo a una banda di traditori.


Che cosa bisognava fare, dunque? Alcuni furono del parere di ammazzare il Master immediatamente, ma Harris li convinse che un simile delitto sarebbe rimasto infruttuoso, dato che avrebbe fatto perire, insieme con chi aveva sepolto il tesoro, il segreto del luogo dove questo giaceva. Altri erano propensi a desistere addirittura dall'impresa e tornare a New York: ma la cupidigia del tesoro e l'idea della lunga strada già percorsa dissuasero i più. Suppongo che, per la maggiorparte, quei malviventi fossero gente di scarsa levatura.


Harris, è vero, aveva qualche capacità; Mountain non era uno sciocco, e Hastie era un uomo istruito, ma anch'essi avevano fallito nella vita e gli altri erano la feccia del canagliume coloniale. Ad ogni modo, la conclusione alla quale giunsero fu determinata piuttosto da ingordigia e da speranza, che da ragione. Essa consisteva nel temporeggiare, sorvegliare diligentemente il Master, tacere, non fornire ulteriore alimento ai suoi sospetti affidandosi, se non mi inganno, all'eventualità che la vittima fosse ingorda, ottimista e irragionevole quanto loro e in fin dei conti si tradisse da sola, perdendo la vita e il tesoro.


Due volte, nel corso del giorno successivo, Secundra e il Master devono essersi illusi di averla fatta franca, e due volte furono raggiunti. Il Master, a parte il fatto che la seconda volta si fece un po' pallido, non diede nessun segno d'irritazione; si scusò per la stupidità con la quale aveva perso il contatto con la compagnia; ringraziò i suoi catturatori, come per un servizio; e raggiunse la carovana ostentando il brio e la giovialità di aspetto e di maniere che gli erano consueti. Ma non c'era dubbio che egli avesse fiutato la verità, perché, da allora in poi, Secundra e lui si parlarono soltanto all'orecchio, e Harris origliò inutilmente presso la tenda. Durante la notte fu annunciato che bisognava lasciare le barche e procedere a piedi: una circostanza che, mettendo fine alla confusione del trasporto via terra delle imbarcazioni, diminuiva di molto le opportunità di fuga.


Così cominciò tra le due parti una lotta silenziosa per la vita, da un lato, e per la ricchezza dall'altro. La carovana era ormai giunta vicino a quella località nella quale il Master doveva assumere la parte di guida; e Harris con i suoi uomini prese a pretesto questo fatto per circondarlo, ogni sera, vicino al fuoco, studiandosi di carpirgli qualche rivelazione. Egli sapeva bene che lasciarsi sfuggire il proprio segreto equivaleva, per lui, a una sentenza di morte; d'altra parte non osava respingere le domande dei suoi nemici: anzi, per non palesare la propria diffidenza, fingeva di assecondarle il più possibile. Mountain mi assicura che la sua fronte non si corrugò mai.


Pur sapendo che la propria vita era attaccata a un filo, egli sedeva in mezzo a quegli sciacalli come un disinvolto e arguto padrone di casa presso il camino domestico: aveva sempre una risposta pronta e, il più delle volte, scherzosa, evitava le minacce, sfuggiva gli insulti, parlava, rideva e ascoltava con viso aperto, insomma, si comportava in modo da disarmare il sospetto, e quasi da scuotere la certezza. Mountain arrivò a confessarmi che, se la banda non aveva finito con il credere falsa la storia del capitano, e con il supporre la designata vittima ancora ignara del complotto, questo era avvenuto soltanto perché questa continuava (sia pure copertamente) a eludere le domande, e a fornire ancora più grave conferma con i suoi ripetuti tentativi di fuga. Comincio ora a raccontare l'ultimo di questi tentativi, che volse la vicenda verso la sua fine. Devo dire, innanzitutto, che ormai la pazienza dei compagni di Harris era completamente esaurita; si era abbandonata ogni finzione di cortesia; e, prendendo a pretesto un'occasione futile, si erano disarmati il Master e Secundra Dass. Ciò nonostante, la coppia minacciata sosteneva brillantemente la finzione dell'amicizia; Secundra era tutto inchini, il Master tutto sorrisi, e, l'ultima sera della tregua, arrivò al punto di cantare per divertire la compagnia. Si osservò che aveva anche mangiato con insolito gusto, e bevuto in abbondanza, certo a bella posta.


Verso le tre del mattino egli uscì all'aria aperta, gemendo e lagnandosi, come una persona che avesse esagerato nel mangiare.


Secundra prestò sollecite cure al suo padrone; questi, un po' per volta, sembrò migliorare e quindi si addormentò sulla brina dietro la tenda, mentre l'indù rientrava al coperto. Qualche tempo dopo, la sentinella ebbe il cambio; il Master, che giaceva avvolto in una coperta di pelle di bufalo, venne indicato all'uomo che montò allora di guardia; e costui (come ebbe poi a dichiarare) lo tenne d'occhio senza interruzione. Allo spuntar dell'alba, una folata improvvisa rovesciò un lembo della coperta, e, per lo stesso sbuffo di vento, il cappello del Master roteò per aria e cadde a qualche metro di distanza. La sentinella, stupita che il dormiente non si svegliasse, gli si avvicinò; e, un momento dopo, con grandi urla, informò l'accampamento che il prigioniero era fuggito. Questi aveva lasciato dietro di sé il suo indù, che (nel subbuglio che seguì alla sorpresa) fu lì lì per pagare con la vita il fio della propria complicità, e, comunque, venne barbaramente maltrattato. Ma Secundra, con straordinaria lealtà, sostenne, pur tra le minacce e i tormenti, di ignorare completamente i piani del suo padrone (il che poteva anche essere vero) e il sistema adottato per la fuga (il che, indubbiamente era falso). Ai cospiratori, perciò, non rimase altro che affidarsi all'abilità di Mountain. Durante la notte era gelato, il suolo era durissimo, e, non appena si alzò il sole, il ghiaccio cominciò a sciogliersi. Mountain si vantò che in simili condizioni pochi uomini avrebbero potuto seguire una pista, e tanto meno (anche se indigeni) avrebbero potuto rintracciarla. Il Master ebbe così varie ore di vantaggio prima che i suoi inseguitori si mettessero in caccia, e dovette camminare con alacrità sorprendente in un uomo non abituato, poiché era quasi mezzogiorno, prima che Mountain lo avvistasse. In questa congiuntura il mercante era solo, poiché i compagni, per suo espresso volere, lo seguivano parecchie centinaia di metri più indietro. Egli era accaldato per la corsa, nonché per la bramosia di far preda; e, vedendo il fuggiasco, che egli sapeva inerme, tanto vicino e, in apparenza, spossato, vanagloriosamente decise di eseguire la cattura da solo. Un passo o due lo portarono sul margine di una piccola radura, all'altro estremo della quale, con le braccia conserte e con le spalle appoggiate a un masso, sedeva il Master. E' possibile che Mountain abbia provocato un fruscio, è certo, in ogni modo, che il Master alzò la testa e guardò proprio dalla parte della macchia dove era appostato il suo inseguitore. - Non ero sicuro che mi vedesse, - mi riferiva Mountain;- guardò dalla mia parte con l'aria di aver preso una decisione, e tutto il coraggio scolò dalle mie vene, come acquavite da una bottiglia. - Non appena il Master distolse lo sguardo e sembrò ritornare alle meditazioni in cui era immerso prima della venuta del mercante, Mountain strisciò furtivamente via e tornò a cercare aiuto presso i compagni.


A questo punto, comincia il capitolo delle sorprese; perché l'esploratore aveva appena informato gli altri della sua scoperta, e gli altri stavano ancora preparando le armi per assalire il fuggiasco, quando questi apparve in persona tra di loro, camminando a lenti passi e tenendo le mani dietro la schiena.


- Ah, che incontro fortunato! - disse, girando lo sguardo sui suoi persecutori. - Torniamo all'accampamento.


Mountain, per non rivelare di essere stato debole, non aveva parlato neppure dello sguardo sconcertante che il Master aveva puntato sulla vegetazione; di conseguenza, insieme con tutti gli altri motivi, il suo ritorno sembrò spontaneo. Nonostante questo, si scatenò un tafferuglio: volarono delle bestemmie, si alzarono dei pugni e furono puntati dei fucili.


- Torniamo all'accampamento,- ripeté il Master.- Ho una spiegazione da dare: ma deve essere esposta davanti a voi tutti. E, intanto, io alzerei la canna di tutte queste armi, una delle quali potrebbe benissimo sparare, distruggendo le vostre speranze di ricchezza. Se fossi in voi, - aggiunse ridendo, non ucciderei la gallina dalle uova d'oro.


L'incanto della sua superiorità trionfò ancora una volta e la comitiva riprese alla spicciolata la via del ritorno. Lungo la strada, egli trovò modo di dire qualcosa in segreto a Mountain.


- Voi siete un uomo intelligente e ardito, - gli dichiarò, ma non sono sicuro che rendiate giustizia a voi stesso. Vorrei che consideraste se non vi converrebbe di più, anche sotto l'aspetto della sicurezza, servire me, invece che un volgare briccone come è Harris.


Rifletteteci senza fretta, - aggiunse, dando al mercante un colpetto sulla spalla. - Morto o vivo che io sia, mi troverete un osso duro da rodere.


Quando tornarono all'accampamento, dove Harris e Pinkerton erano rimasti a fare la guardia a Secundra, questi due briganti si precipitarono come indemoniati addosso al Master e rimasero stupiti oltremodo ricevendo dai loro compagni l'ordine di tenersi indietro e di ascoltare quello che il gentiluomo voleva dire. Il Master non aveva battuto ciglio davanti al loro assalto, né tradì il minimo compiacimento a questa prova del vantaggio che egli aveva acquistato.


- Calma, calma, - disse. - Prima la cena, poi il discorso.


Fecero, dunque, un pasto frettoloso; e, appena questo fu finito, il Master appoggiato su un gomito, cominciò il suo discorso. Parlò a lungo, rivolgendosi a tutti, tranne che a Harris, e trovando per ognuno (con la stessa eccezione) qualche speciale lusinga. Chiamò quei ribaldi «fedeli e audaci spade»; dichiarò di non aver mai visto una compagnia più gioviale, un lavoro meglio eseguito, o una maggiore resistenza ai patimenti. Ebbene, allora, - continuò, - qualcuno mi chiederà: «Perché mai siete scappato?». Credo che non valga la pena rispondere, dato che tutti conoscete abbastanza bene il perché. Ma voi lo conoscete solo abbastanza bene: questo è quanto vi dimostrerò subito. State attenti alle mie parole. C'è un traditore fra di voi: un doppio traditore; vi dirò il suo nome prima di aver finito, e ciò basti per ora. Ma qualche altro signore può chiedermi: «Perché mai siete tornato?». Ebbene, prima di rispondere a questa domanda, ne ho una da fare a voi. Questa carogna, questo Harris è forse l'uomo che, tra voi, parla indostano? - esclamò, alzandosi sopra un ginocchio e indicando costui in pieno viso, con un gesto d'indescrivibile minaccia. Quando gli fu risposto in senso affermativo:- Ah!- esclamò, allora i miei sospetti si avverano, e io ho fatto bene a tornare. E ora, gente, sentite la verità per la prima volta. E a questo punto, si lanciò in una lunga storia, raccontando, con straordinaria abilità, come avesse sempre sospettato di Harris, come avesse avuto la conferma dei propri timori, e come Harris dovesse aver travisato quello che passava tra Secundra e lui. A questo punto egli tentò, con ottimo effetto, un colpo ardito. - Di certo, - disse, - voi contate di esser messi da Harris a parte del bottino; di certo contate di regolare voi stessi la spartizione, e, naturalmente, non supponete che un così grossolano furfante possa ingannarvi. Ma badate!

Anche i balordi hanno la loro scaltrezza, come la moffetta ha il suo puzzo, e forse vi tornerà nuovo che Harris ha già provveduto a se stesso. Sì, per lui il tesoro è un sovrappiù. Voi potete morire di fame, se non lo trovate. Ma lui è stato pagato in anticipo, mio fratello l'ha pagato per uccidermi. Guardatelo, se ne dubitate, guardatelo: ghigna e inghiotte amaro, da vero ladro preso con le mani nel sacco! - Quindi, sentendo di avere conquistato l'animo dei suoi ascoltatori, spiegò come, dopo essere fuggito, avesse riflettuto meglio, venendo alla conclusione che gli conveniva ritornare, dire la verità ai compagni e tentare ancora una volta la sorte con loro, certo com'era che essi avrebbero deposto immediatamente Harris per eleggere un altro capo. - Ecco l'intera verità, - egli disse; - ed eccomi pronto a mettermi nelle vostre mani, a una sola condizione. Qual è questa condizione? Ecco là, - esclamò, puntando ancora una volta l'indice verso Harris,- un uomo che deve morire! Non faccio questione di armi; mettetemi a faccia a faccia con lui, e datemi soltanto un bastone: in cinque minuti vi presenterò una poltiglia di sporca carnaccia, buona per far azzuffare i cani.


Quando tacque era notte fonda; quei briganti avevano ascoltato in un silenzio quasi assoluto; ma la luce del falò impediva a chiunque di giudicare sul volto dei vicini quale effetto di persuasione o di diffidenza l'oratore avesse conseguito. Il Master si era messo nel punto meglio illuminato e vi aveva tenuto apposta la faccia, affinché quella diventasse centro di tutti gli sguardi. Seguì una breve pausa, dopo la quale l'intera comitiva si impegnò in una disputa, mentre il Master se ne stava coricato, tenendo le mani intrecciate dietro la nuca e un ginocchio accavallato sull'altro, come una persona incurante di quanto potesse accadere. E, forse, questo fu un eccesso di spavalderia che lo pregiudicò. Comunque, dopo qualche incertezza, l'opinione della banda si determinò contro di lui. Forse, egli sperava di ripetere il giuoco riuscitogli sulla nave dei pirati e di farsi eleggere, a qualunque costo, capo della spedizione; e le cose arrivarono al punto che Mountain fece apertamente una proposta in questo senso. Ma il Master aveva fatto i conti senza Hastie. Costui non era ben visto, essendo scontroso e pigro, di umore tetro e arcigno; ma, per qualche tempo, prima che la cattiva reputazione da lui acquistata frustrasse i suoi piani, aveva studiato teologia; e, in quella congiuntura, poté ricordare e applicare l'arte dialettica imparata all'università di Edimburgo. Di conseguenza, egli non aveva ancora detto molto che il Master si girò con noncuranza su un fianco, probabilmente, secondo Mountain, per nascondere la disperazione che cominciava ad apparirgli sul viso. Hastie scartò come inconsistente la maggior parte di quanto avevano sentito. Scopo della loro spedizione era il tesoro. Quello che era stato detto per Harris poteva essere vero, e ci si sarebbe potuto pensare a suo tempo. Ma che aveva a vedere con il tesoro? Avevano sentito un fiume di parole, ma la verità era questa: che il signor Durie aveva una paura matta, e che ne aveva dato prova tentando ripetutamente di scappare. Ora era lì con loro. Se vi si trovasse per essere stato catturato o per esser ritornato spontaneamente, a Hastie non importava. Circa la questione di deporre o eleggere capi, egli voleva credere che tutti loro fossero uomini liberi e capaci di badare da sé ai fatti propri. Il signor Durie chiacchierava di deposizioni e di nomine per gettare loro la polvere negli occhi. E la sua proposta di combattere con Harris era un'altra bravata.- Egli non combatterà con nessuno in questo accampamento, glielo dico io, - esclamò Hastie. - Abbiamo avuto abbastanza da fare per togliergli le armi, e saremmo proprio sciocchi se gliele dessimo di nuovo. Ma nel caso che questo gentiluomo abbia bisogno di svago, posso dargliene, forse, più che non desideri, perché non intendo passare il resto della mia vita fra queste montagne. Ci sono stato già troppo; e propongo che egli scelga delle due l'una: o dirci, senz'altro, dov'è il tesoro o farsi ammazzare. Ed ecco, - aggiunse, mostrando la sua arma, - ecco la pistola che mi accingo a usare.


- Perbacco, meritate veramente che io vi chiami un uomo, - esclamò il Master mettendosi a sedere e guardando l'oratore con ammirazione.


- Io non vi ho chiesto di chiamarmi in nessun modo! - rimbeccò Hastie. - Che scegliete?

- Questa è una domanda oziosa, - rispose il Master. - C'è poco da discutere con chi ha il diavolo dalla sua. La verità è che siamo in prossimità del nascondiglio; e io sono disposto a mostrarvelo domani.


Così dicendo, come se tutto fosse sistemato, e sistemato secondo le sue intenzioni, si ritirò nella tenda, dove Secundra l'aveva preceduto.


Non posso pensare senza ammirazione a queste ultime schermaglie del mio vecchio nemico; e la mia ammirazione è persino soffusa di pietà, tanto vigorosamente egli sopportò, tanto arditamente egli affrontò le proprie disavventure. Perfino in quell'ora, in cui si vide del tutto perduto, in cui capì di aver ottenuto soltanto uno scambio di nemici, e debellato Harris per aizzare Hastie, il suo contegno non diede nessun segno di debolezza, e si diresse alla propria tenda, già deciso (a quanto suppongo) ad affrontare il tremendo rischio del suo estremo espediente, con lo stesso viso, con lo stesso portamento (disinvolti, spavaldi, signorili) con i quali avrebbe potuto lasciare un teatro per andare a una cena di begli spiriti. Ma certo, nell'intimo, per chi avesse potuto gettarvi lo sguardo, la sua anima tremava.


Nelle prime ore della notte si diffuse per l'accampamento la voce che egli era malato; e la mattina dopo, Hastie fu chiamato per tempo al capezzale di lui, che gli chiese con grande ansia se si intendesse di medicina. Appunto di tale scienza si professava esperto quel teologo fallito, al quale si era sagacemente rivolto. Hastie lo esaminò, ed essendo vanesio, ignorante e sospettosissimo, non riuscì a comprendere se il gentiluomo fosse malato per davvero o si desse malato per guadagnare tempo. In questa incertezza, tornò dai compagni; e (scegliendo il responso che gli avrebbe dato credito in qualsiasi esito del male) annunciò che il paziente era in pericolo di vita.


- Nonostante questo, - aggiunse con una bestemmia, - dovesse anche scoppiare lungo la via, ci dovrà, stamani, guidare al nascondiglio del tesoro.


Ma nell'accampamento parecchi (fra i quali c'era Mountain) furono disgustati da una simile brutalità. Avrebbero potuto assistere all'assassinio del Master, o prendere essi stessi a pistolettate quel gentiluomo, senza provare verso di lui alcuna pietà; ma si erano commossi, la sera prima, per il suo ardire nel difendersi e per la sua franchezza nel riconoscere la propria sconfitta; forse anche, cominciavano a provare avversione per il loro nuovo capo; comunque, dichiararono che se il signor Durie era malato, doveva essergli concesso un giorno di riposo, magari a dispetto di Hastie.


La mattina dopo il Master era chiaramente peggiorato, e Hastie stesso cominciò a mostrare un interesse più umano: tanto è facile, stando intorno ai malati (anche solo facendo finta di curarli), provare sentimenti di compassione. Il terzo giorno Mountain e Hastie furono chiamati nella tenda del Master, il quale annunciò loro di stare per morire, diede loro minuti particolari circa la posizione del nascondiglio; e li pregò di mettersi alla ricerca senza indugio, così che potessero verificare se li ingannava o no, e per poter correggere il loro sbaglio se in un primo momento non fossero riusciti a trovare il punto.


Ma qui sorse una difficoltà, sulla quale egli contava di certo.


Nessuno di questi malfattori si fidava dell'altro, nessuno acconsentiva a restare indietro. D'altronde, sebbene il Master sembrasse sfinito, parlasse con un filo di voce, e avesse lunghi periodi d'insensibilità, si poteva tuttavia sospettare che la sua malattia non fosse vera; e, nel caso che tutti muovessero alla caccia del tesoro, poteva darsi che si accorgessero di essere andati alla ricerca di un montone di cinque piedi, e che al ritorno, il prigioniero non ci fosse più. Pertanto, essi decisero di restare nei pressi dell'accampamento, con la scusa dell'ansia per l'infermo; e, certo (tanto sono commisti i sentimenti umani) parecchi provarono una sincera, se non profonda, compassione per l'uomo che si erano proposti di assassinare barbaramente. Nel pomeriggio, Hastie fu chiamato nella tenda a pregare, il che egli fece (per quanto questo possa sembrare incredibile) con perfetta compunzione; verso le otto di sera i lamenti di Secundra annunciarono che tutto era finito; e, prima delle dieci, l'indù, al lume di una torcia infissa nel terreno, scavava la fossa per il suo padrone. L'alba del giorno dopo vide il seppellimento del Master, al quale tutti i superstiti assistettero compunti; e il corpo fu deposto sottoterra, avvolto in una pelliccia, ma con la faccia scoperta, che appariva di cereo pallore e con le narici tamponate, secondo una consuetudine orientale, seguita da Secundra. Non appena la fossa fu piena di terra, i lamenti dell'indù commossero di nuovo tutti i cuori; e sembra che quella banda di assassini, lungi dal mostrare risentimento per quegli urli lugubri e (in quel paese) pericolosi per la comune sicurezza, tentasse burberamente, ma gentilmente, di consolare il fedele servitore.


Però l'umana natura, se pure ha dei lampi di benignità persino nei peggiori uomini, è anche, e soprattutto cupida; e così quei malviventi distolsero ben presto la propria attenzione dall'afflitto indù, rivolgendola alle proprie faccende. Siccome il nascondiglio del tesoro era, per quanto non ancora identificato, molto vicino, fu deciso di non togliere l'accampamento; e il giorno passò, per i malandrini, in esplorazioni infruttuose nei boschi, per Secundra, in pianti sulla tomba del suo padrone. Quella notte nessuna sentinella montò la guardia, ma tutti si coricarono intorno al fuoco, secondo il costume dei boscaioli, e cioè nella disposizione dei raggi di una ruota e con le teste verso l'esterno della cerchia. L'alba li trovò nella stessa posizione; se non che Pinkerton, che giaceva a destra di Mountain, tra questi e Hastie, nelle ore della notte era stato segretamente massacrato, e giaceva ancora avvolto nel suo mantello, ma offrendo, fuori di esso, il terrificante spettacolo della testa scotennata. La banda, quella mattina, era pallida come una compagnia di fantasmi, perché la pertinacia bellica o, per parlare più correttamente, la pertinacia assassina degli indiani era conosciuta a tutti. Ma tutti diedero la colpa principale alla mancata vigilanza notturna; e, accesi dall'idea di essere ormai prossimi al tesoro, decisero di non cambiare bivacco. Pinkerton fu sepolto accanto al Master, i superstiti passarono di nuovo la giornata in esplorazioni, e ritornarono con l'animo agitato da un misto d'ansia e di speranza; perché, mentre erano certi di star per trovare ciò che cercavano, erano anche dominati dallo spavento di quello che gli indiani potevano perpetrare di notte. Mountain montò di sentinella per primo: egli dichiarò, poi, di non aver mai preso sonno, di non essersi neppure messo a sedere e di aver fatto la guardia con una vigilanza assidua e instancabile.


Quando, dalla posizione delle stelle, egli capì di aver finito il proprio turno, si avvicinò al fuoco, senza nessuna ansia, per svegliare il suo successore. Costui (era Hicks, il calzolaio) dormiva dalla parte del circolo posta sottovento, un po' più in là di quelli che dormivano dalla parte di sopravvento, che era offuscata dal fumo spinto là dalla brezza. Mountain si chinò a toccare il compagno sulla spalla; sentì immediatamente la mano intrisa di un umidore appiccicoso, e (a un improvviso cambiare del vento) la luce del falò batté sul dormiente, mostrandolo, come Pinkerton, morto e scotennato.


Evidentemente la banda era ormai alla mercé di uno di quei famosi bravacci indiani, che a volte, inseguono una carovana per giorni e giorni, e, né per fatica di marce, né per stanchezza di veglie, smettono di tenerla d'occhio e di carpire una cotenna umana a ogni tappa. A questa scoperta, i cercatori del tesoro, già ridotti a una misera mezza dozzina, furono presi dal panico: afferrarono pochi oggetti di prima necessità e, abbandonando il resto delle loro masserizie, scapparono nell'interno della foresta. Lasciarono il loro fuoco ancora acceso e il loro defunto compagno insepolto. Per tutta la giornata non interruppero la fuga, mangiando durante il cammino come potevano; e, poiché avevano terrore del sonno, continuarono ad avanzare a caso perfino nelle ore dell'oscurità. Ma il limite della resistenza umana è presto raggiunto: quando infine si fermarono, quegli avventurieri si addormentarono profondamente; e si svegliarono, poi, per scoprire che il nemico era ancora alle loro calcagna e che la morte e la mutilazione, ancora una volta, avevano sfregiato e assottigliato la loro comitiva.


Lo spavento cominciava a ottenebrare loro la mente; essi avevano smarrito la via attraverso le terre deserte, e le loro provviste stavano ormai per finire. Sarebbe superfluo che io dilungassi con il resoconto degli orrori che seguirono questa narrazione già troppo lunga. Basti dire che quando, infine, una notte passò senza che nessuno fosse trucidato e poté risorgere la speranza che l'assassino avesse desistito dalla persecuzione, Mountain e Secundra erano rimasti soli. Il mercante è fermamente convinto che il loro invisibile nemico fosse qualche guerriero di sua conoscenza, che l'avesse misericordia, si sarebbe estesa a Secundra per il fatto che questi era creduto demente, sia perché, attraverso tutti gli orrori della fuga, e mentre gli altri gettavano perfino armi e vettovaglie, aveva continuato a trotterellare con un piccone in spalla sia perché, negli ultimi giorni, aveva parlato senza posa fra sé con fervore e irruenza. Ma l'indù era abbastanza sano di mente, quando si mise a parlare in inglese. - Credete che quello si sia allontanato sul serio?- chiese, dopo il primo benedetto risveglio in sicurezza.


- Prego Iddio di sì, credo di sì, oso credere di sì, - aveva ripetuto Mountain quasi con incoerenza, secondo quanto egli mi disse nel descrivermi la scena.


E, in verità, egli era così sconvolto che, fino al momento in cui ci incontrò la mattina dopo, non riusciva a capacitarsi se fosse sogno o realtà che, a questo punto, Secundra aveva fatto un netto dietrofront tornando sui loro passi, rivolto a quelle solitudini brulle e ghiacciate, per un cammino segnato ad ogni tappa dalla pietra miliare di un cadavere mutilato.




NOTE:


1) Matematico e astrologo scozzese (1175?-1232) famoso come mago e ricordato da Walter Scott nei "Lamenti dell'ultimo menestrello.




CAPITOLO DODICESIMO


Il viaggio nelle solitudini (Continuazione)


La storia di Mountain, nella versione esposta a Sir William e al al mio lord, risultò naturalmente sfrondata di particolari concernenti la prima fase, facendo sembrare che la spedizione si fosse svolta senza incidenti fino al momento in cui si era ammalato il Master. Ma la parte finale fu raccontata con forza, il narratore stesso fremeva ancora nel rievocarla, e la situazione in cui noi ci trovavamo, sull'orlo di quello stesso deserto e ognuno con interessi particolari, gli fornì un uditorio pronto a condividere il suo turbamento. Infatti, le informazioni di Mountain non solo cambiavano per il mio Lord Durrisdeer la faccia del mondo, ma influivano sui progetti di Sir William Johnson.


Sento di dover esporre questi ultimi più in esteso al lettore. Ad Albany erano giunte voci d'incerta attendibilità che parlavano di imminente inizio di certe ostilità; l'esperto in rapporti diplomatici con gli indiani si era affrettato a spingersi nelle solitudini, nonostante l'avvicinarsi dell'inverno, per troncare il male sul nascere. Ora, alle frontiere, veniva a sapere di essere arrivato troppo tardi e una scelta difficile si prospettava a un uomo in cui, tutto sommato, l'ardire non era maggiore della prudenza. La sua autorità, fra i guerrieri dipinti, può paragonarsi a quella del lord presidente Culloden fra i capi dei nostri Highlanders nel '45, vale a dire che per quegli uomini egli era l'unica voce della ragione, e i consigli di pace e moderazione potevano prevalere, se mai, solo grazie ai suoi buoni uffici. Perciò, tornando indietro, avrebbe lasciato campo aperto, nella provincia, a tutti gli orrori della guerra indiana: case incendiate, viandanti catturati e uomini dei boschi in cerca della solita orrenda preda di cotenne umane. D'altronde, procedere ancora verso il nord, arrischiarsi con una comitiva tanto esigua più oltre nella zona deserta, portare parole di pace tra selvaggi bellicosi già rallegrati dal rinnovarsi della guerra, erano partiti estremi dai quali la sua mente, in modo visibile, si ritraeva.


- Sono venuto troppo tardi,- disse varie volte; poi cadde in profonda meditazione, reclinando la testa fra e mani e battendo la punta del piede sul suolo.


Sollevò infine la testa, e guardò noi tutti, cioè mylord, Mountain e me, seduti intorno a un piccolo fuoco, acceso in un angolo dell'accampamento per consentirci di stare appostati.


- Mylord, a parlar franco, mi sento perplesso, - dichiarò. - Credo che sia veramente necessario andare avanti, ma per niente conveniente godere oltre il piacere della vostra compagnia. Siamo ancora sulla sponda del fiume, e credo che il rischio, andando a sud, sia minimo.


Non vi sembra opportuno che voi e il signor Mackellar, con l'equipaggio di una sola imbarcazione, facciate ritorno ad Albany?

Devo dire che mylord aveva ascoltato il racconto di Mountain guardando sempre costui con occhio intento e sbigottito, e che, alla fine del racconto, era rimasto assorto in una specie di fantasticheria. Nel suo aspetto c'era qualcosa di spaventoso, qualcosa che, ai miei occhi, non era del tutto umano: la faccia magra e bruna sembrava invecchiata, la bocca era melanconica, la dentatura scoperta in un "rictus" perpetuo, l'iride dilatata in un campo bianco iniettato di sangue. Non potevo osservare il mio padrone senza quella specie di ribrezzo che, io credo, è troppo frequentemente il sentimento fondamentale ispirato dalla malattia delle persone care. Non potei fare a meno di accorgermi che gli altri sopportavano a malapena la sua vicinanza: Sir William evitava di trovarglisi vicino, Mountain sfuggiva il suo sguardo e, quando lo incontrava, tentennava e si interrompeva nel suo racconto.


Peraltro, all'appello sopra riferito, mylord sembrò ricuperare il dominio di sé.


- Ad Albany? - chiese con voce chiara.


- In quei pressi, almeno, - rispose Sir William. - Non vedo, per voi più sicura via di salvezza.


- Sono contrarissimo al fatto di tornare indietro, - dichiarò mylord.


- Non ho paura degli indiani, - aggiunse con una scrollata di spalle.


- Vorrei poter dire altrettanto, - replicò sorridendo Sir William, - se c'è qualcuno che possa dirlo, dovrei essere io. Ma dovete tener presente la mia responsabilità, - egli aggiunse, - e il fatto che, siccome il viaggio è diventato rischiosissimo e il vostro compito, se mai ne aveste, è concluso dalla domestica sciagura che vi hanno comunicata, io non sarei per niente scusabile se vi permettessi di procedere e correrei il rischio di essere denigrato se mai accadesse qualcosa di spiacevole.


Mylord si volse a Mountain. - Di che ha finto di morire?- gli chiese.


- Temo di non aver capito Vostro Onore, - disse il mercante smettendo di fasciarsi i dolorosi congelamenti, come interdetto.


Per un attimo, il mio padrone parve sconcertato, e poi con una certa irritazione, insisté: - Vi ho chiesto di che cosa sia morto. Mi sembra una domanda abbastanza chiara.


- Oh non so, - disse Mountain. - Anche Hastie non lo sapeva affatto.


E' sembrato ammalarsi e morire di morte naturale.


- Ecco, avete visto? - fa mylord, in tono conclusivo rivolgendosi a Sir William.


- Il pensiero di Vossignoria mi resta oscuro, - replicò Sir William.


- Ma come! - riprese mylord, - qui si tratta di una successione, può venir contestato il diritto di mio figlio al titolo, e supponendo morto costui di non si sa che, nascerebbero naturalmente molti sospetti.


- Ma, perdio! L'hanno sepolto! - esclamò Sir William.


- Non lo crederò mai!, - ribatté mylord, tremando in modo da far pena. - Non lo crederò mai! - esclamò di nuovo, balzando in piedi.


- Aveva l'aspetto di un morto? - chiese a Mountain.


- Se ne aveva l'aspetto? - ripeté il mercante. - Sembrava cereo. Ma insomma, quale scopo avrebbe avuto? Vi dico che l'ho coperto di terra con le mie mani.


Il mio lord agguantò Sir William per la giubba con mano contratta. - Quell'uomo è, di nome, mio fratello, - fa, - ma si sa bene che non fu mai reale.


- Reale? - fa Sir William. - Che andate dicendo?

- Non è di questo mondo, - bisbigliò mylord. - Non lo è lui, né quel nero demonio che lo serve. Gli ho infisso la mia spada nelle viscere, - esclamò, - ho sentito l'elsa risonargli contro lo sterno, e il suo sangue sprizzarmi caldo in faccia, tante tante volte! - ripeté con un gesto indescrivibile. - Ma lui non ne è morto, - aggiunse (e io sospirai forte). - Perché dovrei crederlo morto adesso? No, non ci crederò, finché non lo vedo marcire, - asserì.


Sir William mi guardò con il viso rabbuiato. Mountain, dimentico delle sue piaghe, spalancava gli occhi, allibito.


- Mio signore, - dissi. - cercate di tornare in voi. - Ma la mia gola era così arida, e il mio spirito così sconvolto che non potei aggiungere altro.


- No, - dichiara mylord, - non è pensabile che egli possa capirmi.


Mackellar mi capisce, perché sa tutto, e l'ha visto seppellire un'altra volta. Questo Mackellar è un ottimo servo per me, Sir William; l'ha sepolto con le sue mani, l'ha sepolto lui stesso, con l'aiuto di mio padre, al lume di due candelieri d'argento. Quell'altro servo è uno spirito familiare: quello l'ha portato con sé dal Coromandel. Così da tempo vi avrei detto queste cose, Sir Willlam, ma era un segreto di famiglia. - Fece queste ultime osservazioni, con una specie di compostezza malinconica, in cui la sua momentanea aberrazione sembrò dileguarsi.- Dovreste chiedervi cosa possa significare, tutto ciò, - proseguì. - Mio fratello si ammala, muore, e è sepolto: si dice così; e tutto sembra molto semplice. Ma perché lo spirito familiare è tornato indietro? Credo che dobbiate capire anche voi che è un punto da chiarire.


- Sarò a vostra disposizione fra mezzo minuto, mylord, - disse Sir William alzandosi.- Signor Mackellar, ho bisogno di dirvi due parole, - e mi portò fuori dell'accampamento. La brina scricchiolava sotto i nostri passi e gli alberi che ci circondavano erano bianchi di brina: proprio come quella notte nella macchia. - Naturalmente questo farnetica, - disse Sir William, appena fummo dove non potevamo essere sentiti.


- Ma certo, - risposi. - Il mio povero padrone è pazzo. Mi sembra chiaro.


- Devo farlo legare? - chiese Sir William. - Mi rimetto al vostro arbitrio. Se questi sono vaneggiamenti, mi sembra l'unica decisione da prendere.


Abbassai gli occhi a terra, li volsi indietro verso l'accampamento, contemplando i fuochi accesi e le persone che ci osservavano, li girai intorno a me sui boschi e sulle montagne, da un'unica parte non potei girarli, cioè per guardare in faccia Sir William.


- Sir William, - dissi infine, - non credo che mylord sia sano di mente e non lo credo da molto tempo. Ma ci sono vari gradi di pazzia; e se egli debba o no essere vigilato, Sir William, non è cosa che io possa giudicare.


- Giudicherò io, - dichiarò. - Mi baserò sui fatti. C'era in tutte le sue ciarle qualche parola vera o assennata? Esitate? - chiese. - Devo credere che voi abbiate già seppellito, prima d'ora, quel gentiluomo?

- Non l'ho mai seppellito, - risposi, e poi, facendomi coraggio: - Sir William, - dissi, - a meno che io non vi racconti una lunga storia, che riguarda principalmente una nobile famiglia (e, in certo modo, anche la mia persona), mi sarà impossibile chiarirvi questa faccenda. Datemi ordine di parlare, e obbedirò, senza discutere se sia giusto o no. Ad ogni modo, vi dirò questo: che mylord non è demente quanto sembra. Voi, per vostra disavventura, siete coinvolto nello strascico di strani fatti.


- Non voglio immischiarmi nei vostri segreti, - riprese Sir William; - però sarò franco, a rischio di riuscire scortese: vi confesso che la compagnia toccatami non mi garba per niente.


- Non posso biasimarvi per quanto voi dite, - risposi.


- Non vi ho chiesto né censure né elogi, signore- scattò Sir William. - Desidero unicamente liberarmi di voi e, a tal fine, metto un'imbarcazione equipaggiata a vostra disposizione.


- Vi sono grato per la vostra offerta, - dissi dopo aver riflettuto.


- Ma voi dovete permettermi di fare una piccola obiezione. C'è in noi una curiosità legittima di conoscere la verità sui fatti recenti; io stesso provo un po' questa curiosità; il mio padrone (è chiaro) ne prova anche troppa. Il ritorno indietro dell'indù è enigmatico.


- Sembra enigmatico anche a me, - interruppe Sir William,- e, siccome vado da quelle parti, mi propongo di mettere in chiaro questa questione. Quel servo, tornando alla tomba del suo padrone, sia per morirvi su come un cane, sia per altro motivo, si espone, comunque, a un grave pericolo, e io mi propongo di salvarlo, se posso. C'è forse qualcosa da ridire sul suo conto?

- No, Sir William. - risposi.


- E sul conto dell'altro? - egli aggiunse. - Ho sentito (s'intende) quanto ne racconta Lord Durrisdeer, ma la circostanza della fedeltà dell'indù m'induce a supporre che il suo padrone fosse dotato di nobili qualità.


- Non dovete chiedere a me certe cose! - esclamai. - Anche l'inferno può avere nobili ardori. Conosco quell'uomo da una ventina d'anni, e l'ho sempre odiato, sempre ammirato, e sempre temuto con animo di schiavo.


- Non credetemi indiscreto,- disse Sir William.- Mi sono intromesso nei vostri segreti sventatamente. Mi basterà vedere la tomba e, se mi è possibile, salvare l'indù. A queste condizioni, potete voi convincere il vostro padrone a ritornare ad Albany?

- Sir William, - risposi, - vi dirò come stanno le cose. Voi non vedete mylord in luce favorevole; vi deve sembrare perfino strano che io possa amarlo; eppure non sono il solo ad amarlo. Soltanto la forza potrà indurlo a tornare ad Albany, e questo sarebbe una sentenza di morte per la sua ragione e, forse, per la sua vita. Questa è la mia sincera opinione; ma sono nelle vostre mani, e pronto a ubbidirvi, se volete assumere la responsabilità di comandare.


- Non voglio neppure l'ombra della responsabilità; tutti i miei sforzi sono diretti a liberarmene, - esclamo Sir William. - Voi insistete nel voler continuare questo viaggio Fate pure. Io me ne lavo le mani.


E così dicendo, girò i tacchi e diede ordine di levare il campo.


Mylord, che aspettava a poca distanza, fu subito al mio fianco.


- Qual è la decisione? - mi chiese. - Farete a modo vostro, risposi.


- Vedrete la tomba.


Il sito della tomba del Master fu agevolmente determinato, tra le guide; era infatti nei pressi di un punto di riferimento molto cospicuo, in quelle solitudini: una serie di picchi, riconoscibili per forma e altezza, là dove nascevano molti tumultuosi tributari di quel mare interno che è il lago Champlain. Pertanto fu possibile arrivarvi seguendo un tragitto rettilineo, invece che le orme insanguinate dei fuggitivi, e percorrendo in circa sedici ore di cammino una distanza per varcare la quale quei meschini avevano camminato più di sessanta ore. Lasciammo le imbarcazioni sotto buona guardia nel fiume; ma era probabile che, al ritorno, le trovassimo imprigionate dal ghiaccio; e, pur volendo ridurre al minimo il nostro corredo per la spedizione, dovemmo includervi non solo un'infinità di pellicce, destinate a ripararci dal freddo, ma anche un arsenale di racchette da neve, senza le quali ci sarebbe stato impossibile continuare il viaggio al sopraggiungere delle imminenti nevicate. Ci mettemmo in cammino con un certo sgomento; la marcia fu condotta con cautele militari; e la tappa notturna fu scelta e vigilata con somma diligenza. Appunto perché scendeva la notte ed eravamo capitati in un posto che offriva ricovero sicuro ad una comitiva del nostro numero, ci fermammo, il secondo giorno, a poca distanza dalla meta, per decisione repentina di Sir William.


Davanti a noi si stendeva l'alta catena dei monti, alla quale ci eravamo obliquamente avvicinati durante l'intero giorno. Fin dallo schiarire dell'alba i suoi picchi argentei erano stati il nostro punto di mira attraverso una sconvolta foresta, solcata da spumosi torrenti e cosparsa di massi enormi. Le vette (come dico) erano argentee, perché sulle cime più alte la neve cadeva ogni notte; ma i boschi, a valle avevano appena una velatura di brina. Per tutto il giorno il cielo era sembrato carico di tetri vapori, attraverso i quali il sole fluttuava, rilucendo non più di uno scellino; per tutto il giorno il vento aveva soffiato contro la nostra guancia sinistra, crudamente gelido, ma purissimo da respirare. Però verso sera, il vento si calmò; le nuvole, non essendo più sospinte, si dispersero e si dileguarono; il sole calò dietro di noi con freddo splendore, e la bianca fronte dei monti partecipò al suo bagliore morente.


Prima che cenassimo era già buio; mangiammo in silenzio, e il pasto non era ancora finito che mylord si allontanò furtivamente dal fuoco, dirigendosi verso il margine del campo. Lo raggiunsi immediatamente.


Il campo era su un pianoro che dominava un lago gelato, che misurava forse un miglio di lunghezza; tutt'intorno a noi, la foresta si estendeva giù per le forre e sopra i declivi, più in alto si ergevano i monti imbiancati e più su ancora la luna veleggiava nel cielo sereno. Non spirava un alito di vento; non c'era fruscio tra le frasche; e i rumori del nostro accampamento erano attutiti o inghiottiti dalla quiete intorno. Ormai che il sole e il vento erano entrambi scomparsi, sembrava quasi caldo, e si aveva l'impressione di una notte di luglio: singolare illusione dei sensi, mentre la terra, l'acqua e l'aria erano intirizzite dal gelo.


Mylord, o meglio, quel che io continuo a chiamare con il titolo che gli era tanto caro, reggeva un gomito su una mano e affondava il mento nell'altra, contemplando, davanti a sé, la distesa dei boschi. I miei occhi seguirono i suoi, e si posarono, quasi con piacere, sul brinoso intrico dei pini, che salivano per le alture imbiancate dalla luna, o calavano nell'ombra delle forre. Vicinissima a noi, mi dissi, c'era la tomba del nostro nemico, ormai disceso dove i maligni cessano di molestare, e nascosto da un cumulo di zolle gravanti sulle sue membra un giorno così alacri. Non potei fare a meno di considerarlo in certo modo felice, per essere libero, infine, dalle ansie e dalla stanchezza umane, dalla quotidiana fatica dello spirito, dall'obbligo di varcare il fiume degli eventi, pena il disonore o la morte, a qualsiasi costo.


Non potei fare a meno di giudicare desiderabile la fine di quel lungo viaggio; e, a questo punto, la mia mente si rivolse al mio padrone.


Non era forse quasi morto lui stesso? o simile a un soldato mutilato che invano attenda il congedo, e resti inutile e deriso sul campo di battaglia? Mi ricordai di quando era un cortese e prudente signore, ornato di decorosa alterigia; un figlio fin troppo devoto, un marito fin troppo amoroso; un uomo capace di soffrire in silenzio, e la cui mano io mi compiacevo di stringere. A quel ricordo la pietà mi contrasse la gola in un singhiozzo: fui sul punto di piangere forte confrontando le sue antiche virtù con la sua presente miseria. Rimasi al suo fianco; e, sotto la luna piena, pregai Dio con fervore, affinché egli fosse liberato, o io avessi la forza di persistere nel mio affetto per lui.


«O Signore», dissi, «per me e per se stesso costui era il migliore degli uomini e ora ne sento ribrezzo. Egli non ha fatto nessun male, almeno finché non è stato oppresso dalle sventure; le ferite delle quali cominciamo ad aver raccapriccio sono ferite onorande. Oh, ricoprile; oh, prendilo con Te, prima che noi arriviamo a odiarlo!».


Ero ancora assorto in questa muta preghiera, quando un rumore risuonò improvviso nella notte: non era molto forte, né molto vicino, eppure, dopo quel silenzio prolungato e profondo, scompigliò il campo come un allarme di trombe. Prima che io avessi ripreso fiato, Sir William era al mio fianco, e la maggior parte dei viaggiatori si accalcava dietro di lui, tendendo l'orecchio. Forse, quando mi girai a guardarli, c'era sulle loro guance un pallore diverso da quello della luna, e lo scintillio riflesso dai raggi dell'astro notturno negli occhi di alcuni, e l'ombra che si addensava sulla fronte di altri (secondo che essi alzavano o abbassavano la fronte per ascoltare) davano al gruppo un'aria strana d'animazione e d'ansia. Mylord stava in prima fila, protendendosi un po' e alzando le mani per imporre silenzio: sembrava pietrificato. E il suono continuò, rinnovato senza posa, a ritmo crescente.


A un tratto Mountain bisbigliò, ansimando, ma in tono di sollievo: - Ora capisco; - e, mentre ci giravamo tutti per ascoltarlo, aggiunse:

- L'indù conosceva il nascondiglio. E' lui, sta scavando il tesoro.


- Ma certo! - esclamò Sir William. - Siamo stati sciocchi a non immaginare una cosa simile.


- Però,- riprese Mountain, - è strano che il rumore sia tanto vicino al nostro vecchio accampamento. E poi non capisco come mai lui ci sia arrivato prima di noi; a meno che non avesse le ali! - La cupidigia e lo spavento sono ali, - osservò Sir William. - Ma questo malandrino ci ha fatto paura, e ho idea di ricambiargli il complimento. Che ne dite, signori? Vogliamo fare una battuta di caccia al chiaro di luna?

Gli altri acconsentirono, e furono prese misure per accerchiare Secundra intento all'opera; alcuni indiani al servizio di Sir William si affrettarono a precederci. Quanto a noi, lasciata una buona guardia al nostro quartier generale, li seguimmo per gli accidentati meandri della foresta. La brina scricchiolava; ogni tanto il ghiaccio si screpolava rumorosamente sotto i nostri passi; e sulle nostre teste pendeva l'oscurità dei pini interrotta dallo splendore della luna. Il nostro tragitto ci portò in una cavità del terreno, e mentre vi discendevamo, il rumore del piccone si attenuò e quasi tacque. L'altro declivio della forra era più aperto, cosparso appena appena di pini radi e di massi che proiettavano sotto la luna ombre nere come inchiostro. Qui i rumori ci giunsero più distinti: potevamo ormai percepire lo squillo del ferro, e calcolare con maggiore precisione la furia con la quale lo scavatore usava il suo strumento. Mentre ci avvicinavamo alla sommità dell'erta, alcuni uccelli si alzarono in volo e rimasero librati nel chiarore lunare come macchie scure. Un momento dopo contemplavamo, attraverso una cortina d'alberi, un quadro singolare.


Sotto l'intenso lume del plenilunio, si stendeva un angusto pianoro spoglio di alberi, vigilato dalle bianche cime e recintato da folti macchioni. Rozzi equipaggiamenti, simili a quelli che fanno la ricchezza del boscaiolo, erano sparsi, disordinatamente, sul suolo.


Verso il centro c'era una tenda, inargentata dalla brina, e con la porta spalancata sull'interno buio. A una estremità di quel piccolo palcoscenico, giaceva qualcosa di simile ai resti di un corpo umano.


Senza nessun dubbio eravamo arrivati sul luogo dove si era accampato Harris, c'erano gli oggetti sparsi nel panico della fuga, c'era la tenda dove il Master aveva esalato l'ultimo respiro, e la carogna congelata che giaceva davanti a noi era certo il cadavere del calzolaio beone. Giungere sulla scena di un tragico avvenimento fa sempre stringere il cuore, arrivarvi dopo tanti giorni, e trovarla (nei recessi di un deserto) del tutto immutata, dovette turbare l'animo dei più indifferenti. Eppure la causa che ci impietrì fu diversa; fu cioè la vista (in un certo modo presagita) di Secundra con i piedi affondati nella tomba del suo defunto padrone. Aveva gettato via gran parte dei suoi indumenti; tuttavia le sue braccia e le sue spalle gracili luccicavano di sudore copioso; la sua faccia era contratta dall'ansia e dall'aspettativa; i suoi colpi risonavano sulla tomba fitti come singhiozzi; e dietro di lui, stranamente deformata e nera come inchiostro sul terreno gelato, l'ombra ripeteva e parodiava il suo veloce gesticolare. Al nostro arrivo, qualche uccello notturno si alzò dai cespugli e quindi vi fece ritorno, ma Secundra, assorto nella sua fatica, non si avvide o non si curò di noi.


Sentii Mountain bisbigliare a Sir William: - Buon Dio! è la tomba! Lo vuole disseppellire! - Tutti avevamo avuto la stessa idea, eppure sentirla manifestare in parole mi fece fremere. Sir William trasalì violentemente.


- Dannato cane sacrilego! - esclamò. - Che state facendo?

Secundra diede un balzo, si lasciò sfuggire un tenue grido soffocato, lasciò cadere l'attrezzo e rimase un attimo attonito davanti a chi gli parlava. Un momento dopo, si slanciava con la rapidità di una freccia verso i boschi della parte opposta; e quindi, alzate le braccia in un violento gesto di risolutezza, tornava sui suoi passi.


- Su, dunque, presto, aiutatemi. - cominciò a dire. Ma a questo punto, mylord si fece avanti, a fianco di Sir William; la luna rischiarò in pieno il suo viso e Secundra, riconoscendo il nemico del proprio signore, perdette la favella. - Lui! - strillò, e, giunte le mani, si rannicchiò su se stesso.


- Via, via! - disse Sir William. - Nessuno vuole farvi del male, se siete innocente; e, se siete colpevole, non c'è via di scampo per voi.


Parlate! Che facevate qui, fra e tombe dei morti e i cadaveri degli insepolti?

- Voi non assassino? - chiese Secundra. - Voi uomo sincero? Voi proteggermi?

- Vi proteggerò, se siete innocente, - replicò Sir William. - L'ho già detto, e non capisco perché possiate dubitarne.


- Là tutti assassini,- esclamò Secundra, - ecco perché! Lui assassino - e indicò Mountain; - là due pagatori di assassini, e indicò mylord e me, - tutti assassini da capestro! Ora salverò il Sahib. Ah! vi vedrà tutti appesi a una forca. Il Sahib, - continuò indicando la fossa, - lui non morto. Lui sepolto, non morto.


Mylord emise un lieve gemito, si avvicinò alla tomba e rimase a guardarvi dentro fissamente.


- Sepolto e non morto? - esclamò Sir William. - Che ciarle sono queste?

- Vedete, Sahib,- disse Secundra.- Il Sahib e io soli con assassini; lui tenta ogni mezzo scappare, nessuno buono. Poi tenta questo mezzo; buono in clima caldo, buono in India; qui, in luogo freddo, chi sa? Vi dico, abbastanza fretta; aiutate, voi; accendete fuoco, voi aiutate strofinare.


- Di che parla quest'animale? - esclamò Sir William. - La testa mi gira.


- Vi dico, io seppellito lui vivo,- aggiunse Secundra.- Io insegnato lui ingoiare lingua. Quando tirato fuori abbastanza presto, lui non molto peggiorato. Accendete fuoco voi.


Sir William si girò verso il più vicino dei suoi uomini. - Accendete un po' di fuoco, - gli disse. - Sembro proprio destinato a stare fra i pazzi.


- Voi buon uomo, - replicò Secundra. - Ora io tiro fuori Sahib.


Mentre parlava tornò alla fossa e riprese il lavoro interrotto. Mylord sembrava radicato nel terreno e io non mi muovevo dal suo fianco, temendo, neanch'io sapevo che cosa.


Il gelo non era ancora penetrato molto in profondità nel terreno, ben presto, l'indù poté gettare da parte il piccone e mettersi a raccogliere la terra a manciate. Poi liberò un lembo di pelle di bufalo; vidi quindi le sue dita impigliarsi in una ciocca di capelli; qualche momento ancora, e la luna rischiarò qualcosa di bianco.


Secundra si accovacciò, raspando delicatamente con le dita e soffiando a piene gote; quando si tirò da parte, il volto del Master mi apparve interamente scoperto. Era mortalmente pallido, con gli occhi chiusi, le orecchie e le narici tamponate, le gote cadenti, il naso affilato come nei cadaveri; ma, sebbene fosse stato sotterra tanti giorni, non presentava nessun segno di corruzione e (cosa che parve stranissima a noi tutti) aveva le labbra e il mento ricoperti di una peluria bruna.


- Dio mio, - esclamò Mountain, - aveva il viso liscio come un bambino, quando l'abbiamo sepolto!

- Dicono che il pelo cresca ai morti, - osservò Sir William; però la sua voce era impacciata e spenta.


Secundra non badava affatto ai nostri discorsi, ma scavava con la sveltezza di un bassotto, nel terreno molle. Di momento in momento, la forma del Master, avvolta nella pelle di bufalo, diventava più netta nel fondo della fossa poco profonda; e, sotto la chiarissima luce di luna, le ombre degli astanti, così come questi si sporgevano a osservare e si ritraevano, guizzavano sul suo viso che emergeva.


Quella vista ci ispirava un orrore mai provato. Io non osavo guardare in faccia mylord ma lo tenevo d'occhio e non lo vidi, neppure una volta, riprendere fiato. Un po' indietro, uno degli uomini (non so quale) scoppiò in una specie di singulto.


- Ora, - disse Secundra, - voi aiutate me sollevare lui.


Non ho idea del tempo passato poi; le ore durante le quali l'indù si affannò a rianimare il corpo del suo padrone possono essere state tre, e possono essere state cinque. Io so una cosa sola, e cioè che era ancora notte e che la luna non era ancora tramontata (sebbene fosse già bassa sull'orizzonte e sbarrasse il pianoro con lunghe ombre) quando Secundra gettò un piccolo grido di soddisfazione; e io, protendendomi, credetti di scorgere un mutamento sul gelido viso del dissepolto. Un momento dopo vidi fremere le sue palpebre; quindi esse si sollevarono interamente, e il cadavere di sette giorni mi guardò, per un attimo, in faccia.


Posso giurare io stesso su questi segni di vita. Ho sentito da altri che il Master tentò, visibilmente, di parlare; che i suoi denti apparvero fra la barba; e che la sua fronte si contrasse come in uno spasimo o in uno sforzo. E questo può essere vero ma io non lo so; io ero altrimenti occupato. Poiché, al primo schiudersi degli occhi del morto, il mio Lord Durrisdeer cadde in terra e, quando lo sollevai, era cadavere.


Spuntò il giorno, e Secundra non volle ancora desistere dai suoi inutili sforzi. Sir William, lasciando sotto il mio comando un piccolo gruppo di uomini, proseguì nella sua missione alle prime luci dell'alba, e l'indù ancora strofinava le membra del morto e gli alitava in bocca. Mi pareva che tali fatiche dovessero dar vita a un sasso; ma tranne per quell'attimo (che decretò la morte di mylord) il nero spirito del Master non ridiscese più nella sua derelitta creta; e, verso il pomeriggio, anche il servo fedele si convinse. Vi si rassegnò con imperturbabile calma.


- Troppo freddo, - disse, - buon mezzo in India, inutile qui. E, chiedendo del cibo che divorò avidamente non appena gli fu messo davanti, si avvicinò al fuoco e vi prese posto al mio fianco. Quando ebbe finito di mangiare, si distese lì dov'era, e cadde in un sonno infantile, dal quale dovetti svegliarlo, qualche ora dopo, per farlo partecipare alle duplici esequie. Non si mostrò mai turbato: sembrava aver superato di colpo, e con lo stesso sforzo, il rimpianto per il suo padrone e la paura di me e di Mountain.


Uno degli uomini rimasti con me era esperto nell'incidere la pietra, e, prima che Sir William ci tornasse a prendere, feci intagliare su un masso l'iscrizione seguente, con la quale posso porre fine al mio racconto:

J. D.


EREDE DI UN TITOLO SCOZZESE SIGNORE DELLE ARTI E DELLE GRAZIE AMMIRATO IN EUROPA, IN ASIA, IN AMERICA IN GUERRA E IN PACE NELLE TENDE DEI CACCIATORI SELVAGGI E NELLE CITTADELLE DEI RE NONOSTANTE I GRAN MERITI LE MOLTE IMPRESE E LE DURE PROVE QUI GIACE OBLIATO.


H. D.


FRATELLO DI LUI DOPO UNA VITA D IMMERITATI AFFANNI CORAGGIOSAMENTE SOPPORTATI MORI' QUASI AL TEMPO STESSO E DORME NELLA STESSA TOMBA INSIEME CON IL SUO FRATELLO AVVERSARIO.


LA PIETA' DELLA MOGLIE E DI UN VECCHIO SERVITORE ERESSE QUESTA LAPIDE AD ENTRAMBI.