Walter Scott
IL RACCONTO
DELLO
SPECCHIO MISTERIOSO
Introduzione
Quel genere di pubblicazione che va normalmente sotto il nome di "Annuario", una miscellanea di prose e versi corredata da numerose incisioni e che viene pubblicata ogni anno nel periodo natalizio, prosperò a lungo in Germania, prima di essere poi imitato nel nostro Paese da un intraprendente libraio, tedesco di nascita, di nome Ackermann. Il rapido successo riscosso dalla sua iniziativa provocò il fiorire, come succede di solito ai nostri giorni, di una miriade di pubblicazioni rivali e, fra le altre, di un annuario intitolato "The Keepsake", il cui primo numero uscì nel 1828 suscitando grande scalpore soprattutto a causa della sontuosità del tutto insolita delle illustrazioni di cui era corredato. E' stato calcolato che la somma di denaro spesa in questa grandiosa pubblicazione dai suoi dinamici editori si aggirasse intorno a una cifra non inferiore alle dieci, dodicimila sterline!
Prima che venisse richiesta la mia collaborazione era già risaputo che diversi gentiluomini, la cui fama in campo letterario era tale che chiunque si sarebbe ritenuto onorato di essere associato al loro nome, avevano collaborato al suddetto annuario; fu quindi con grande piacere che misi a disposizione dell'editore alcuni brani originariamente destinati a essere inseriti nelle "Cronache del Canongate", oltre al manoscritto di un dramma, un'opera dei miei anni giovanili abbandonata ormai da tempo in un cassetto, "La casa di Aspen".
"The Keepsake" dell'anno 1828 conteneva, tuttavia, solo tre di questi brevi racconti in prosa, il primo dei quali era, nell'ordine, quello intitolato "Lo specchio della zia Margaret". Come di introduzione alla storia, dal momento che è stata inserita in una raccolta completa delle mie elucubrazioni letterarie, mi limiterò a dire che si tratta di una semplice trascrizione, con l'aggiunta al massimo di modestissime correzioni, di un racconto che ricordavo mi aveva colpito da bambino, quando mi fu narrato vicino al fuoco da una dama dotata di insigni virtù e di notevole talento, appartenente all'antica e nobile casa degli Swinton. Si trattava di una mia affabile parente, che trovò una morte così sconvolgente - uccisa, in un accesso di follia, da una domestica addetta per una cinquantina di anni alla sua persona - che ancora adesso non riesco a ricordarla, piccolo com'ero quando capitò la disgrazia, senza sentire in me il doloroso risveglio di quelle che rappresentano forse le prime immagini di orrore che i vari eventi della vita reale hanno impresso nella mia mente.
Questa brava zitella vantava, fra gli altri lati del carattere, una notevole dose di superstizione e le piaceva, tra le sue varie bizzarrie, starsene da sola in camera, a leggere alla debole luce di una candela infilata in un candeliere che lei stessa aveva ricavato da un teschio umano. Una notte questo strano oggetto d'arredamento acquistò di colpo la capacità di muoversi e, dopo aver eseguito alcuni strani cerchi sul caminetto della brava donna, spiccò un salto leggero sul pavimento e continuò a rotolare per tutta la stanza.
Senza perdere la calma, la signora Swinton andò nella camera vicina per prendere un altro lume, ed ebbe la soddisfazione di svelare il mistero lì su due piedi. L'antico edificio in cui lei viveva pullulava di topi e uno di questi era riuscito a trovare rifugio nel suo "memento mori" preferito. Pur essendo dotata di un saldo sistema nervoso per niente femminile, nutriva una profonda fede nei fenomeni soprannaturali, il che a quei tempi non era giudicato un atteggiamento poco adatto alla sua condizione di persona matura e austera; e la storia dello specchio magico era una di quelle rispetto alle quali era particolarmente convinta, perché sosteneva che un membro della sua famiglia era stato testimone oculare degli avvenimenti in essa raccontati.
Racconto la storia così come è stata narrata a me.
Racconti press'a poco dello stesso tenore sono soliti riaffacciarsi alla mente di così tanti fra i miei lettori, che io stesso ho finito con l'immergermi in questo genere di storie tradizionali al quale, in un certo periodo della mia vita, ho dedicato senza dubbio un numero di ore superiore alla reputazione che mi guadagnerei ammettendo un simile fatto.
W.S.
Agosto 1831
"Ci sono volte in cui la Fantasia gioca i suoi tiri birboni, anche a dispetto dei nostri sensi vigili, in cui in una sostanza reale, si affaccia un'ombra, e l'ombra pare reale, in cui l'ampia, palpabile e netta separazione 'tra ciò che è e che non è', sembra svanita, come se l'occhio della mente acquistasse il potere di scrutare oltre i confini del mondo esistente. Queste ore di sogni irreali io amo più di ogni rozza realtà della vita." Anonimo.
Mia zia Margaret era una di quelle degne sorelle alle quali delegare tutti i problemi e le preoccupazioni legati alla condizione di genitori, con l'unica eccezione di quello che si accompagnava all'ingresso dei figli in società. La nostra era una famiglia numerosa, un insieme di temperamenti e caratteri quanto mai diversi tra loro. Alcuni erano dei tipi cupi e scontrosi: questi venivano spediti dalla zia Margaret perché si svagassero; altri erano maleducati, vivaci e turbolenti: venivano dirottati dalla zia Margaret perché se ne restassero tranquilli, o meglio, perché ci si potesse togliere dalle orecchie il baccano che facevano; le si mandava chi era indisposto con la prospettiva di ricevere le cure appropriate, e i riottosi, nella speranza che il loro carattere fosse tenuto a freno dalla garbata, ma ferma disciplina della zia Margaret; in breve, su di lei pesavano tutte le incombenze di una madre, senza che godesse però dell'autorità e della dignità proprie dell'essere madre. L'affollato teatro dei suoi svariati compiti è ormai vuoto; dei bimbi malati e di quelli robusti, dei gentili e dei turbolenti, degli scontrosi e dei gioiosi che affollavano il suo salottino dalla mattina alla sera, ora non è rimasto vivo nessuno eccetto me; e io che, afflitto da un'infermità precoce, ero uno dei più delicati tra i cuccioli a lei affidati, pure, tuttavia, sono sopravvissuto a tutti.
Ho ancora l'abitudine, e sarà così fino a che avrò l'uso delle gambe, di andare a trovare questa mia degna congiunta almeno tre volte alla settimana. La sua casa si trova a circa mezzo miglio dalla città nella quale vivo; e vi si arriva non solo attraverso la strada maestra, da cui non è molto lontana, ma anche per mezzo di un sentiero erboso che si snoda lungo un grazioso prato. Sono talmente poche le cose che ancora turbano la mia vita, che costituisce per me uno dei crucci maggiori il sapere che alcuni di questi campi, una volta confiscati, sono stati destinati ad aree edificabili. In quello più vicino alla città, per diverse settimane c'è stato un viavai di carriole così frenetico che, parola mia, tutta la sua superficie, per una profondità di almeno quarantacinque metri, è stata caricata su queste carrette in una sola volta, per venire smistata da un posto all'altro. Inoltre, in varie parti della diletta casa padronale sono state erette enormi cataste di assi di forma triangolare; e una piccola macchia di alberi che ancora ne adorna l'estremità orientale, la quale si innalza su un lieve pendio, ha appena ricevuto l'intimazione a sloggiare di lì sotto forma di una pennellata di vernice bianca, e dovrà cedere il posto a un singolare boschetto di camini.
Altri, forse, nella mia situazione si addolorerebbero al pensiero che questa piccola distesa di pascoli un tempo apparteneva a mio padre (la cui famiglia godeva di una certa considerazione tra la gente) e che venne venduta a lotti per far fronte ai pignoramenti in cui era incappato nel tentativo di recuperare il patrimonio diminuito per via di speculazioni commerciali sbagliate. Mentre questo progetto edilizio era in pieno svolgimento, la circostanza mi venne fatta notare spesso da quel genere di amici che si preoccupano che neppure una briciola delle tue disgrazie possa sfuggire alla tua attenzione. "Pascoli simili - posti proprio al limite della città coltivati a rape e a patate: i campi ne avrebbero prodotte venti libbre ad acro, e, se affittati per costruire delle abitazioni, oh!, allora sarebbe stata una miniera d'oro! E tutto venduto per quattro soldi, strappato al vecchio proprietario!". Questi miei consolatori non possono indurmi ad addolorarmi granché di tutto questo. Se mi fosse consentito di tornare indietro, come d'incanto rinuncerei di buon grado al godimento delle attuali rendite, e alla speranza dei profitti futuri, a favore di chi ha acquistato quello che mio padre ha liquidato. Rimpiango la trasformazione subita da quei terreni soltanto perché essa distrugge i rapporti d'amicizia, e sarei più propenso, credo, a veder finire Earl's Closes nelle mani di forestieri, purché conservino il suo aspetto boscoso, piuttosto che saperla tutta mia, ma strappata all'agricoltura, oppure disseminata di case. Provo le stesse sensazioni del povero Logan:
"L'orrido aratro ha cancellato il verde, là dove ancora bambino io vagavo; la scure ha abbattuto il muro di biancospino, nell'estate rifugio dello scolaro."
Mi auguro, comunque, che questa minacciata devastazione non venga attuata finché io sarò in vita. Anche se lo spirito avventuroso dei tempi già poco dopo la sua approvazione ha messo mano all'operazione, ho qualche buon motivo per ritenere che i cambiamenti verificatisi abbiano in larga misura attenuato le velleità speculative, tanto che il resto del sentiero boscoso che porta al rifugio della zia Margaret sarà lasciato così com'è per tutto il resto della nostra vita. E' una cosa che mi sta a cuore, perché ogni passo di questa strada, quando attraverso il prato di cui parlavo prima, risveglia in me degli antichi ricordi. C'è la scaletta per scavalcare le siepi vicino alla quale, per quanto mi ricordo, una governante bisbetica mi rimproverò per la mia debolezza mentre mi alzava, rude e sbadata, sui gradini di pietra che i miei fratelli superavano saltando e strillando. Ricordo l'amarezza repressa di quell'episodio e, consapevole della mia inferiorità, il senso di invidia con il quale spiavo i movimenti agili e i passi elastici di quei fratelli venuti su meglio di me. Ahimè!
Questi splendidi velieri si sono tutti smarriti nel vasto oceano della vita, e solo quello che pareva così poco adatto alla navigazione, per usare un'espressione marinara, ha raggiunto il porto quando la tempesta è passata. Poi c'è lo stagno in cui, manovrando la nostra piccola flotta, fabbricata con le grandi foglie delle piante acquatiche, il mio fratello maggiore cadde e fu salvato a fatica, scampando a una morte per annegamento sotto il vessillo di Nelson. C'è anche il boschetto di noccioli, nel quale mio fratello Henry era solito raccogliere noci, senza pensare che avrebbe dovuto morire poi in una giungla dell'India andando in cerca di rupie.
Ci sono talmente tanti altri ricordi legati a quel breve tragitto che - quando mi fermo e mi appoggio al bastone dall'impugnatura a stampella, e volgo lo sguardo intorno facendo una specie di confronto tra ciò che ero e ciò che sono adesso arrivo quasi a dubitare della mia stessa identità; ma poi mi trovo davanti il portico ricoperto di caprifoglio della casa di zia Margaret, con la sua facciata irregolare, e le curiose finestre a grate sporgenti, dove sembra che gli artigiani abbiano appositamente fatto sì che nessuna fosse uguale all'altra per forma, per dimensioni, o per l'antiquata trabeazione e i cornicioni di pietra che le adornano. Su questa casa, un tempo casa padronale di Earl's Closes, conserviamo ancora una parvenza di autorità; essa infatti, in base a certi accordi familiari, era stata concessa alla zia Margaret vita natural durante. In questo tenue diritto di possesso si concretizza, in larga misura, l'ultima traccia lasciata dalla famiglia Bothwell di Earl's Closes, e il suo ultimo legame con il patrimonio paterno. L'unico suo rappresentante ha finito con l'essere dunque un vecchio infermo, avviato senza cruccio verso la tomba, che ha dilapidato tutto quello che gli era più caro.
Dopo aver indugiato in pensieri simili per un paio di minuti, entro nella casa che, a quanto si dice, costituiva semplicemente la portineria della costruzione originaria, e trovo una persona sulla quale il tempo sembra non aver quasi lasciato segni; la zia Margaret di oggi mostra, rispetto alla zia Margaret della mia infanzia, la stessa differenza di età che c'è tra quel fanciullo di dieci anni e (in nome di nostra Signora!) quest'uomo di quasi cinquantasei anni. Il vestito sempre uguale indossato dall'anziana dama contribuisce senza dubbio a rafforzare la convinzione che per zia Margaret il tempo si sia fermato.
L'abito di seta marrone o color cioccolato, con ai gomiti gale dello stesso tessuto, dalle quali ne spuntano altre di pizzo di Malines; i guanti, o i mezzi guanti di seta nera, i capelli bianchi raccolti all'indietro in una crocchia, e la cuffia immacolata di batista che incornicia il volto venerando, non fanno pensare a un abbigliamento del 1780, ma nemmeno a uno del 1826; sono elementi che concorrono a formare lo stile tutto particolare e personale della zia Margaret. Lei siede ancora là, come trent'anni fa, con l'arcolaio o con la calza ai quali lavora stando vicino al fuoco durante l'inverno, e vicino alla finestra d'estate; o, magari, spingendosi fino al portico se si tratta di una serata estiva particolarmente serena. Il suo corpo, come un ingranaggio ben costruito, continua a svolgere le operazioni alle quali sembrava essere destinato, girando con una intensità via via minore, ma che però non rivela la minima probabilità che ben presto finirà con il fermarsi.
La premura e l'affetto che avevano fatto della zia Margaret la schiava sollecita alle grane di un intero asilo infantile, hanno adesso come oggetto la salute e il benessere di un uomo vecchio e malato, l'ultimo membro superstite della sua famiglia, e l'unico che possa ancora provare interesse per il patrimonio di tradizioni che lei va ammassando, come un avaro nasconde l'oro del quale non vuole che nessuno possa godere dopo la sua morte.
Di solito le mie conversazioni con zia Margaret hanno poco a che vedere con il presente o con il futuro: per i giorni attuali possediamo tutto quello di cui abbiamo bisogno, e nessuno dei due desidera altro; e per quelli a venire, già con un piede nella fossa come siamo, non nutriamo speranze, né paure, né ansia. E così ci viene spontaneo ripensare al passato; e dimentichiamo l'attuale tracollo del nostro patrimonio e il declino dell'autorità della nostra famiglia, per ricordare il tempo in cui essa era facoltosa e prospera.
Dopo questa breve premessa il lettore conoscerà, sulla zia Margaret e su suo nipote, tutto ciò che è necessario per comprendere quello che sto per dire e raccontare.
La scorsa settimana, quando, sul finire di una serata estiva, andai a far visita all'anziana dama che ho per l'appunto presentato ai miei lettori, fui accolto da lei con l'affetto e la benevolenza soliti; al tempo stesso, però, mi sembrò assorta e un po' taciturna. Gliene chiesi il motivo. "Stanno ripulendo la vecchia cappella"; disse; "a quanto pare John Clayhudgeons ha scoperto che il materiale che contiene - e cioè, penso, i resti dei nostri antenati si è rivelato eccellente come concime per i campi".
A questo punto saltai in piedi con una vivacità maggiore di quanta ne avessi mai mostrata nel corso di diversi anni; ma ricaddi a sedere quando mia zia aggiunse, posandomi la mano sulla manica: "Mio caro, per molto tempo la cappella è stata considerata una proprietà comune e utilizzata come recinto per gli animali, e quale obiezione possiamo muovere a quell'uomo se impiega a proprio vantaggio una cosa che gli appartiene? Inoltre, gli ho anche parlato e lui con grande sollecitudine e cortesia mi ha promesso che, se avesse rinvenuto delle ossa o dei monumenti funebri, li avrebbe tenuti da conto e restaurati con molta cura; e cos'altro potevo chiedere? così la prima lapide che hanno trovato portava inciso il nome di Margaret Bothwell, 1585, e io l'ho fatta mettere accuratamente da parte poiché ritengo che quella data stia a indicare l'anno della morte; ed essendo servita alla mia omonima per duecento anni, è capitata giusto in tempo per rendere lo stesso buon servizio anche a me. Da tempo, ormai, la mia casa è stata sistemata per quanto riguarda le piccole questioni terrene, ma chi può dire se il loro rapporto con il Cielo sia quello giusto?".
"Dopo quello che mi avete detto, zia", replicai io, "forse dovrei prendere il cappello e andarmene, anzi, lo dovrei fare senz'altro se non fosse che stavolta nel nostro legame si è insinuato un piccolo neo. Pensare costantemente alla morte è un dovere; supporre che questa sia prossima perché si è ritrovata una vecchia lapide è superstizione; e voi, con il vostro spiccato e solido buonsenso che per tanto tempo ha rappresentato il sostegno di una famiglia decaduta, siete l'ultima persona che avrei mai sospettato di una simile debolezza".
"Né io meriterei le tue insinuazioni, figliolo", rispose la zia Margaret, "se stessimo parlando di un qualunque episodio verificatosi nel corso di vicende concrete relative all'umana esistenza. Ma per tutte queste cose provo un sentimento di superstizione al quale non desidero rinunciare. E' una sensazione che mi separa da questo tempo e mi lega a quello verso il quale mi sto incamminando a grandi passi; e anche quando, come ora, pare condurmi sul ciglio della tomba e mi invita a guardarci dentro, non amo essere costretta a scacciarlo. Esso placa la mia fantasia, senza influenzare la mia ragione o le mie azioni".
"Parola mia, cara signora", ribattei, "se chiunque altro avesse affermato una cosa simile l'avrei giudicato un capriccio come quello del prete che, senza una vera giustificazione per la scelta dell'interpretazione errata, preferiva per forza d'abitudine il suo vecchio Mumpsimus al moderno Sumpsimus".
"Beh", rispose la zia, "nel caso in questione devo spiegare il motivo della mia illogicità ricorrendo a un paragone. Come ben sai, sono un membro di quell'antiquata congrega che accomuna nel suo nome i Giacobiti, ma lo sono solo per mentalità e sentimenti; perché mai persona più devota si unì alle preghiere per impetrare la salute e il benessere di Giorgio quarto, che Dio lo conservi! Ho l'ardire di affermare che quest'indulgente sovrano non penserebbe certo che una vecchia gli potrebbe procurare un gran danno, se si appoggiasse allo schienale della sua poltrona proprio in un tramonto come questo e si mettesse a pensare a quegli uomini dall'impavido coraggio che il senso del dovere chiamò a combattere contro suo nonno; e a come, in una causa che essi ritenevano fosse quella del loro legittimo principe e del proprio Paese,
"lottarono fino a che la loro mano rimase incollata allo spadone, lottarono contro il destino coi cuori indomiti."
Non venire in un momento simile, quando la mia testa è piena di plaids, della musica delle cornamuse e di spadoni, a chiedere alla mia ragione di riconoscere quello che, temo, non può negare, che cioè la pubblica convenienza richiedeva imperiosamente che simili cose dovessero smettere di esistere. Non posso certo rifiutarmi di riconoscere la legittimità del tuo ragionamento; tuttavia, dovendomi convincere mio malgrado, otterrai ben poco dalla tua istanza. Potresti benissimo leggere a un innamorato appassionato l'elenco dei difetti della sua amante; quando pure fosse costretto ad ascoltarne l'enumerazione, avrai come unica risposta che "la ama di più.".
Non mi dispiaceva di aver interrotto la malinconica sequela dei pensieri di zia Margaret, e replicai nello stesso tono: "Beh, non posso fare a meno di essere convinto che il nostro buon sovrano sia ancora più sicuro della leale devozione della signora Bothwell che non di essere uno Stuart per diritto di nascita, come pure che l'Atto di Successione sia a suo favore".
"Il mio attaccamento, ammesso che la causa di esso abbia una qualche importanza, risulta forse più appassionato per l'insieme dei diritti ai quali hai accennato", disse la zia Margaret; "ma, parola mia, sarebbe ugualmente sincero se il diritto del re si fondasse soltanto sulla volontà della nazione, come si dichiara nella Rivoluzione. Io non sono una tua parente 'jure divino'".
"E ciò nonostante siete una Giacobita".
"E ciò nonostante sono una Giacobita; o meglio, voglio che tu mi annoveri fra coloro che, all'epoca della regina Anna, venivano chiamati "Whimsicals"; essi, infatti, a volte erano mossi dai sentimenti, a volte dai loro principi. In fondo è assai crudele che tu non voglia permettere a una vecchia di essere irrazionale nei propri sentimenti politici, così come in genere si dimostrano gli uomini in tutte le varie vicende della vita; infatti non puoi evidenziare un solo caso in cui le passioni e i pregiudizi degli esseri umani non ci facciano deviare di volta in volta dalla strada che la nostra ragione ci indica".
"E' vero, zia, ma voi siete un'irriducibile vagabonda che andrebbe riportata con forza sulla retta via".
"Pietà, te ne supplico", replicò zia Margaret. "Ricorda il canto gaelico, anche se può darsi che ne pronunci male le parole:
""Hatil mohatil, nadowski mi", Sono addormentato, non mi svegliare."
Ti dirò, figliolo, che quelle fantasticherie che la mia immaginazione dipana in quello che il tuo diletto Wordsworth chiama "gli umori della mia mente", valgono tutto il resto dei miei giorni più attivi. Ebbene, invece di guardare avanti come facevo da giovane e di costruirmi palazzi incantati sull'orlo della fossa, rivolgo lo sguardo all'indietro ai giorni e alle abitudini di un tempo migliore; e i ricordi tristi eppure consolanti, diventano così nitidi e affascinanti che ritengo quasi sacrilego mostrarsi più saggi, o più razionali, o meno prevenuti di coloro che ammiravo nei miei anni più verdi".
"Penso di capire quello che intendete dire", risposi, "e posso comprendere perché a volte siate indotta a preferire la vaghezza dell'illusione alla luce ferma della ragione".
"Dove non c'è nessun lavoro da svolgere", lei replicò, "possiamo sedere al buio, se ci va; ma se andiamo a lavorare, dobbiamo suonare per farci portare delle candele". "E in mezzo a questa luce vaga e incerta", continuai io, "la fantasia elabora le sue visioni incantate e incantevoli, e a volte le trasmette ai sensi come fossero reali".
"Sì", convenne la zia Margaret, che è una donna colta, "per coloro che assomigliano al traduttore di Tasso,
"poeta efficace, la cui mente credeva fermamente nei magici prodigi che cantava."
In questo caso non ti si chiede di mostrarti sensibile ai penosi orrori che impone il credere fermamente in simili prodigi: una fede simile, ai nostri giorni, si addice solo agli sciocchi e ai bambini.
Non è necessario che le orecchie ti debbano formicolare e il tuo viso debba scolorire come quello di Theodore all'avvicinarsi del cacciatore spettrale. Tutto quello che è essenziale per godere della più lieve sensazione di paura soprannaturale è che tu sia sensibile al sottile brivido che percorre il corpo quando ascolti una storia di terrore, un racconto corroborato da testimonianze che il narratore, pur avendo manifestato all'inizio la propria generica incredulità nei confronti di tutte queste leggende mitiche, sceglie e propone come se racchiudesse qualcosa che è stato sempre costretto a considerare inspiegabile. Un altro sintomo è una temporanea esitazione nel guardarti intorno quando l'interesse della storia raggiunge il culmine; e il terzo è il desiderio di evitare di guardare in uno specchio quando ti ritiri da solo in camera alla sera. Voglio dire che questi segni stanno a indicare l'arrivo del momento culminante, quando la fantasia femminile raggiunge la temperatura giusta per godere di una storia di spettri. Non ho però la pretesa di descrivere le sensazioni che esprimono lo stesso stato d'animo nell'uomo".
"Quell'ultimo sintomo, cara zia, il rifuggire dallo specchio, è probabile che rappresenti un evento alquanto raro nel gentil sesso".
"Sei un novellino per quanto riguarda i modi di far toeletta, caro figliolo. Tutte le donne consultano con ansia lo specchio prima di andare in mezzo alla gente; ma quando ritornano a casa lo specchio non ha più lo stesso fascino. Il dado è stato tratto, il ricevimento ha avuto successo oppure no, per quel che riguarda l'impressione che la dama voleva suscitare. Ma, senza addentrarci nei misteri della toeletta, ti dirò che anche a me, così come a tanta altra brava gente, non piace vedere la superficie nera e opaca di un grande specchio in una stanza poco illuminata, quando il riflesso della candela sembra più perdersi nell'oscurità profonda del vetro, che non esser nuovamente diretto verso la camera. Quello spazio occupato dal buio assoluto sembra il posto ideale per lasciar sbizzarrire la fantasia.
Questa può evocare altre fattezze che ci si fanno incontro al posto della nostra immagine riflessa; oppure, come negli incantesimi di Halloween imparati da bambini, si può scorgere una forma sconosciuta intenta a spiarci da dietro le nostre spalle. Insomma, quando sono nello stato d'animo appropriato per vedere un fantasma, prima di entrare in camera faccio tirare alla domestica le tende verdi sullo specchio, così che magari sarà lei a subire per prima l'emozione dell'apparizione, se c'è qualcosa da vedere. Ma, a dire il vero, quest'avversione a guardare uno specchio in momenti e posti particolari, ha la sua origine, io credo, in un racconto popolare che mi fu narrato da mia nonna, che svolse una parte attiva nell'episodio che sto per riferirti".
- A te piacciono - disse mia zia - le storie dei bei tempi passati.
Potrei raccontarti di Sir Philip Forester, il "libertino patentato" della buona società scozzese della fine del secolo scorso. In realtà io non lo vidi mai, ma i ricordi di mia madre erano pieni della sua arguzia, della sua galanteria e dissolutezza. Questo brillante cavaliere visse all'incirca tra la fine del diciassettesimo e l'inizio del diciottesimo secolo. Fu il Sir Charles Easy e il Lovelace del suo tempo e del suo Paese; famoso per il gran numero di duelli che aveva sostenuto e per gli intrighi che aveva felicemente portato a termine.
Il primato da lui raggiunto nel bel mondo era assoluto e, se a tutto questo aggiungiamo un paio di episodi, per i quali, "se la legge fosse uguale per tutti", egli sarebbe stato sicuramente impiccato, la popolarità di un simile personaggio serve davvero a dimostrare o che i tempi attuali sono molto più decorosi, se non più virtuosi, di quelli passati, o che una raffinata educazione fosse allora più difficile da raggiungere di quella che oggi viene chiamata così e di conseguenza a colui che ne fosse stato il maestro riconosciuto si concedesse il diritto a un equo grado di privilegi e di plenarie indulgenze. Nessun damerino dei nostri giorni avrebbe potuto mettere in atto una storia così turpe come quella di Peggy Grindstone la Graziosa, la figlia del mugnaio di Sillermills: per poco non diventò un caso di competenza del Procuratore generale; ma non danneggiò Sir Philip Forester più di quanto la grandine danneggi la pietra pomice. Egli fu ricevuto in società come sempre e pranzò dal duca di A. il giorno in cui la povera ragazza fu sepolta. Era morta di crepacuore. Ma questo non ha niente a che vedere con la mia storia.
Ora devi ascoltare una o due parole sugli amici, parenti e congiunti.
Ti prometto che non sarò prolissa, ma per l'autenticità del mio racconto è necessario tu sappia che Sir Philip Forester, bello, elegante e raffinato, sposò la minore delle Falconer di King's Copland. Qualche tempo prima, la sorella maggiore di questa nobildonna era diventata moglie di mio nonno, Sir Geoffrey Bothwell, e aveva portato un'ottima dote in famiglia. Anche Miss Jemima, o Miss Jemmie Falconer, come di solito era chiamata, aveva circa diecimila sterline, considerate a quei tempi una fortuna molto ragguardevole.
Le due sorelle erano estremamente diverse, anche se ciascuna aveva avuto da ragazza i suoi corteggiatori. Scorreva nelle vene di Lady Bothwell un po' del sangue dell'antico lignaggio di King's Copland.
Era audace, ma non temeraria; ambiziosa e desiderosa di innalzare la sua casata e la sua famiglia. Fu, come è stato detto, un considerevole sprone per mio nonno che, d'altra parte, era un uomo pigro; il quale, però, a meno che non fossero calunnie, si trovò coinvolto a causa dei consigli di sua moglie in certe faccende politiche che sarebbe stato più saggio lasciar perdere. Era però una donna di alti principi e possedeva una saggezza virile, come testimoniano alcune delle sue lettere che ho ancora nel mio stipetto a muro.
Jemmie Falconer era l'opposto di sua sorella sotto ogni profilo. La sua intelligenza non superava il livello medio, ammesso che lo avesse mai raggiunto. La sua bellezza, finché durò, consisteva in gran parte in una delicatezza d'aspetto e in una regolarità di tratti, priva di qualsiasi intensità espressiva. E perfino queste attrattive appassirono per via delle sofferenze che seguirono a un matrimonio male assortito. Era appassionatamente legata al marito, che la trattava con quell'insensibile, benché educata indifferenza che per una persona dal cuore tanto tenero e dalla intelligenza altrettanto mediocre era forse più dolorosa di un vero maltrattamento.
Sir Philip era un libertino, cioè un perfetto egocentrico, il cui temperamento e la cui personalità assomigliavano allo spadino che indossava: lucente, affilato e scintillante, ma inflessibile e impietoso. Pur osservando scrupolosamente tutte le solite formalità nei confronti di sua moglie, egli era stato tanto abile da privarla perfino della compassione del mondo e, per quanto possa essere vano e senza nessun giovamento che la vittima abbia questo tipo di compassione, è tuttavia assai doloroso, per una mente come quella di Lady Forester, sapere di non averla.
I pettegolezzi della gente fecero del loro meglio per mettere il marito colpevole al disopra della moglie oltraggiata. Alcuni la giudicavano una povera insulsa creatura e dichiaravano che, se avesse avuto almeno un briciolo dell'energia di sua sorella, avrebbe potuto riportare alla ragione un qualsiasi Sir Philip, fosse stato anche il rissoso Falconbridge in persona. Ma la maggior parte dei conoscenti affettava imparzialità e vedeva le colpe da tutte e due le parti, sebbene nei fatti esistesse un solo oppressore e una sola oppressa. Il tono di simili critiche era: "Senza dubbio nessuno giustifica Sir Philip Forester, ma noi tutti conosciamo Sir Philip, e Jemmie Falconer avrebbe dovuto sapere a che cosa andava incontro fin dall'inizio. Che cosa l'ha indotta a cercare di accattivarsi le simpatie di Sir Philip?
Lui non l'avrebbe certo mai guardata se lei non gli si fosse buttata fra le braccia con le sue povere diecimila sterline. Sono sicuro che se era il denaro che lui voleva, lei gli ha rovinato l'affare. Io so dove Sir Philip avrebbe potuto farne di migliori. E poi, se lei lo volesse davvero, non potrebbe tentare di farlo sentire a suo agio in casa, di ricevere più spesso i suoi amici, di non tormentarlo con i bambini che schiamazzano, e di fare in modo che tutto sia bello e di buongusto in una casa? Io dico che Sir Philip sarebbe stato un uomo molto dedito alla vita familiare con una donna che avesse saputo prenderlo per il verso giusto".
Ora, queste belle critiche, nell'erigere il sommo edificio di felicità domestica, dimenticavano che la pietra angolare del loro ragionamento non c'era; e che, per ricevere con un buon pranzo una bella compagnia, i mezzi per il banchetto avrebbero dovuto essere forniti da Sir Philip, il cui reddito (dilapidato com'era), non era pari all'ostentazione di ospitalità richiesta, e - allo stesso tempo - all'approvvigionamento dei "menus plaisirs" del buon cavaliere. Così, nonostante tutti i saggi suggerimenti delle amiche, Sir Philip portava fuori di casa il suo buonumore ovunque, e si lasciava alle spalle una casa solitaria e una moglie che si struggeva.
Alla fine, infastidito dai suoi affari economici, e stanco perfino del poco tempo che passava nella sua deprimente casa, Sir Philip Forester decise di intraprendere un viaggio nel Continente, come di volontario dell'esercito. Era allora una scelta frequente tra gli uomini alla moda; e il nostro cavaliere era forse dell'idea che un tocco di carattere militare, quel tanto che bastasse a esaltare senza rendere pedanti le sue doti di "beau garçon", fosse necessario per rimanere in possesso del primato che egli deteneva nei ranghi dell'alta società.
La decisione di Sir Philip gettò sua moglie tra gli spasimi dell'angoscia; la qual cosa seccò tanto il degno baronetto che, contrariamente alle sue abitudini, si dette la pena di calmare le sue apprensioni; e, ancora una volta, la indusse a versare lacrime, nelle quali il dolore non era completamente distinto dal piacere. Lady Bothwell chiese a Sir Philip, come favore, il permesso di avere in casa sua sorella con tutta la famiglia durante la sua assenza nel Continente. Sir Philip acconsentì subito a una proposta che evitava spese, metteva a tacere la stupida gente che avrebbe trovato da ridire su una moglie e una famiglia abbandonate, e rendeva onore a Lady Bothwell, per la quale egli provava un certo rispetto, come per una persona che spesso gli parlava con molta libertà e a volte con severità, senza lasciarsi scoraggiare dai suoi motteggi, né dalla sua prestigiosa reputazione.
Un giorno o due prima della partenza di Sir Philip, Lady Bothwell si prese la libertà, in presenza di sua sorella, di fargli la domanda che la timida moglie aveva spesso desiderato, ma non aveva mai osato fare.
"Di grazia, Sir Philip, che strada prenderete quando avrete raggiunto il Continente?". "Andrò da Leith a Helvoet con una nave postale".
"Capisco benissimo", disse Lady Bothwell seccamente; "ma presumo che non intendiate restare a lungo a Helvoet e mi piacerebbe sapere quale sarà la vostra destinazione successiva".
"Voi mi ponete, cara signora", rispose Sir Philip, "una domanda che non ho osato porre a me stesso. La risposta dipende dalle sorti della guerra. Ovviamente mi presenterò ai quartieri generali dovunque capiterà che si trovino in quel periodo: consegnerò le mie lettere di presentazione, imparerò della nobile arte della guerra quanto basti a un dilettante che voglia immischiarsi in simili faccende e darò un'occhiata al tipo di cose di cui così spesso si legge nella "Gazzette"".
"E io confido, Sir Philip", disse Lady Bothwell, "che vi ricorderete di essere un marito e un padre; e che, sebbene riteniate conveniente indulgere in queste fantasie militaresche, eviterete che esse vi trascinino in quei pericoli che certamente i non professionisti non hanno necessità di affrontare".
"Lady Bothwell mi fa troppo onore", replicò l'avventuroso cavaliere, "nel considerare una simile circostanza così poco importante. Ma per tranquillizzare questa vostra ansia per me lusinghiera, sono certo che Vostra Signoria ricorderà che io non posso esporre a rischio il venerabile e benigno personaggio da voi così cortesemente raccomandato alla mia protezione, senza mettere in pericolo un onesto compagno chiamato Philip Forester, con il quale sto insieme da trent'anni e dal quale, anche se qualcuno lo considera un bellimbusto, non ho il minimo desiderio di separarmi".
"Bene, Sir Philip, voi siete il miglior giudice dei vostri affari; non ho diritto di interferire, non siete mio marito". "Dio non voglia!", disse Sir Philip precipitosamente, tuttavia aggiungendo subito:
"Dio non voglia che io debba privare il mio amico Sir Geoffrey di un così inestimabile tesoro". "Ma voi siete il marito di mia sorella", replicò la signora; "e suppongo che siate al corrente delle sue attuali preoccupazioni".
"Se il non ascoltare altro dalla mattina alla sera può mettermene al corrente", disse Sir Philip, "dovrei saperne qualcosa".
"Non desidero rispondere alla vostra arguzia, Sir Philip", ribadì Lady Bothwell; "ma voi dovete essere consapevole del fatto che tutte queste angustie sono causate dai timori per la vostra sicurezza personale".
"In questo caso, sono sorpreso che Lady Bothwell, almeno, si dia così tanta pena per una questione tanto insignificante".
"L'interesse per mia sorella può spiegare la mia ansia di venire a sapere qualcosa degli spostamenti di Sir Philip; dei quali, d'altra parte, so che egli vorrebbe che non mi preoccupassi. Ma a me sta a cuore anche la sicurezza di un fratello".
"Voi intendete il maggiore Falconer, vostro fratello per parte di madre. Che potrà mai avere a che fare costui con questa nostra piacevole conversazione?".
"Voi avete avuto delle discussioni con lui, Sir Philip", disse Lady Bothwell.
"Certamente; siamo parenti", replicò Sir Philip, "e come tali abbiamo sempre avuto normali rapporti".
"Voi eludete i fatti", rispose la signora; "quando dico che avete avuto delle discussioni intendo riferirmi al litigio sul modo in cui trattate vostra moglie".
"Se", replicò Sir Philip Forester, "voi ritenete il maggiore Falconer tanto ingenuo da intromettersi con i suoi consigli nelle mie faccende domestiche, Lady Bothwell, allora siete certamente autorizzata a credere che io possa essere stato tanto mortificato dal suo interferire da pregarlo di serbare per sé i suoi consigli fino a quando non gli fossero stati richiesti".
"E pur essendo in questi rapporti, voi vi unirete alla stessa armata nella quale mio fratello Falconer è ora in servizio?". "Nessuno conosce il sentiero dell'onore meglio del maggiore Falconer", disse Sir Philip; "uno che aspiri alla fama come me non può scegliere migliore guida per i suoi passi".
Lady Bothwell si alzò e andò alla finestra; le lacrime le sgorgarono dagli occhi.
"E questo insensibile motteggio", disse, "è tutta la considerazione data alle nostre preoccupazioni per una lite che potrebbe avere le più terribili conseguenze? Buon Dio! Di che cosa può essere fatto il cuore degli uomini che in un simile modo possono prendersi gioco del dolore altrui?".
Sir Philip Forester si commosse; lasciò da parte il tono beffardo con cui aveva parlato fino a quel momento.
"Cara Lady Bothwell", disse prendendo la sua mano riluttante, "abbiamo torto entrambi; voi siete troppo seria, io forse troppo poco. La disputa che c'era stata con il maggiore Falconer non ebbe nessun seguito. Se tra noi fosse successo qualcosa che si dovesse risolvere "par voie du fait", come si dice in Francia, nessuno di noi due è persona che avrebbe potuto rimandare un simile incontro. Permettetemi di dire che se fosse saputo da tutti che voi o la mia Lady Forester aveste timore di una catastrofe del genere, questo potrebbe essere l'unico modo per provocare quello che altrimenti non potrebbe accadere. Conosco il vostro buonsenso, Lady Bothwell, e so che mi capite quando dico che i miei affari richiedono che mi allontani per qualche mese. Questo, Jemima non può capirlo; è un continuo ripetersi di domande: perché non puoi fare questo o quello o quell'altro ancora; e quando le avete dimostrato che i suoi espedienti sono completamente inutili bisogna ricominciare daccapo. Ora, cara Lady Bothwell, ditele che voi siete convinta. Lei, dovete ammetterlo, è una di quelle persone con le quali l'autorità vale più del ragionamento. Concedetemi solo un po' di fiducia e vedrete quanto largamente saprò ricompensarla".
Lady Bothwell scosse la testa come chi è convinto solo a metà.
"Come è difficile accordare fiducia quando le basi su cui dovrebbe poggiare sono state tanto scosse! Ma farò del mio meglio per tranquillizzare Jemima; oltre a questo, posso dire solo che per l'ostinazione del vostro attuale proposito vi ritengo responsabile davanti a Dio e davanti agli uomini".
"Non temete che io vi inganni", disse Sir Philip; "il mezzo più sicuro per comunicare con me sarà l'ufficio postale pubblico, a Hellevoetsluis, dove avrò cura di lasciare disposizioni per il recapito delle lettere che arrivano. Riguardo a Falconer, il nostro solo modo di incontrarci sarà davanti a una bottiglia di Borgogna!
Rassicuratevi, dunque, sul suo conto".
Lady Bothwell non riuscì a tranquillizzarsi; tuttavia si rendeva perfettamente conto che sua sorella danneggiava la sua stessa causa prendendosela, come diceva la servitù, troppo calorosamente, e mostrando davanti a qualsiasi estraneo, nei modi e a volte anche nelle parole, una disapprovazione tale per il viaggio del marito che sicuramente sarebbe arrivata alle sue orecchie e altrettanto sicuramente lo avrebbe infastidito. Ma non c'era rimedio a questo dissidio familiare, che ebbe fine solo con il giorno della partenza.
Mi dispiace di non poter dire con precisione l'anno in cui Sir Philip Forester partì per le Fiandre, ma era uno di quegli anni in cui la campagna militare si aprì con una violenza straordinaria; e molte scaramucce sanguinose, anche se non decisive, furono combattute tra i francesi da una parte e gli alleati dall'altra. Fra tutti i vantaggi che il progresso moderno ha portato, nessuno, forse, è più importante dell'esattezza e della rapidità con cui le notizie sono trasmesse da ogni parte del fronte a quelli che, in questo Paese, possono essere interessati. Durante le campagne di Marlborough le angosce di tutti quelli che avevano parenti nell'esercito, o al suo seguito, erano enormemente accresciute dall'incertezza in cui si trovavano per intere settimane, dopo essere venuti a conoscenza di cruente battaglie in cui, con tutta probabilità, erano stati personalmente impegnati coloro per i quali palpitavano i loro cuori. Tra quelli che erano maggiormente tormentati da questo stato d'incertezza c'era la moglie, o piuttosto la moglie abbandonata, del brillante Sir Philip Forester.
Una sola lettera l'aveva informata del suo arrivo sul Continente; non ne ricevette altre. Sul giornale apparve un articolo nel quale si menzionava il volontario Sir Philip Forester, al quale era stata affidata una pericolosa ricognizione portata a termine con grande coraggio, destrezza e intelligenza, e per la quale aveva ricevuto i ringraziamenti dell'ufficiale comandante. Venire a sapere che suo marito aveva ottenuto una benemerenza conferì un momentaneo splendore alle pallide guance della donna, che subito si trasformò in un pallore terreo al pensiero del pericolo corso. Dopo di ciò non ebbero notizie di nessun genere, né da Sir Philip, né dal loro fratello Falconer. Il caso di Lady Forester non era in realtà diverso da quello di centinaia di persone nella stessa situazione; ma una mente debole è necessariamente una mente irritabile e l'incertezza che alcuni sopportavano con naturale indifferenza o con filosofica rassegnazione, e altri con l'inclinazione a credere e a sperare il meglio, era intollerabile per Lady Forester, solitaria e sensibile insieme, depressa e priva di forza d'animo, sia naturale che acquisita.
Visto che non riceveva ulteriori notizie di Sir Philip, sia direttamente sia indirettamente, la sfortunata moglie cominciò a provare una specie di consolazione perfino al ricordo di quella trascuratezza che così spesso le aveva procurato dolore. "E' così sconsiderato", ripeteva centinaia di volte al giorno a sua sorella:
"non scrive mai quando le cose gli vanno bene; è il suo modo di fare:
se gli fosse successo qualcosa ci avrebbe informato".
Lady Bothwell ascoltava sua sorella senza provare a consolarla.
Probabilmente era dell'opinione che perfino la peggiore notizia giunta dalle Fiandre non sarebbe stata priva di un qualche sollievo; e che la vedova Forester, se così era destinata a chiamarsi, avrebbe goduto di quella felicità sconosciuta alla moglie del più brillante e raffinato gentiluomo di Scozia. Questa convinzione si fece più forte quando seppero, da ricerche compiute al quartier generale, che Sir Philip non era più nell'esercito; tuttavia, nessuno dei suoi commilitoni, nel campo degli alleati, riuscì a fare una sola ipotesi sul fatto che fosse stato catturato o ucciso in una di quelle schermaglie tanto frequenti, nelle quali a lui piaceva distinguersi, o che avesse lasciato il servizio di sua iniziativa per qualche ignota ragione o per un capriccioso cambiamento d'idee. Intanto i suoi creditori in patria cominciarono a farsi sentire: entrarono in possesso delle sue proprietà e minacciarono la sua stessa persona, se fosse stato tanto temerario da tornare in Scozia. Queste ulteriori condizioni sfavorevoli aggravarono il malcontento di Lady Bothwell verso il marito fuggiasco; mentre sua sorella non si rendeva conto di quanto succedeva, se non per il fatto che tutto questo accresceva il suo dolore per l'assenza di colui che, nella sua immaginazione, le sembrava, ora come prima del matrimonio, galante, vivace e affettuoso.
In quel periodo fece la sua comparsa a Edimburgo un uomo dall'apparenza quanto mai singolare e pretenziosa. Era comunemente chiamato il dottore di Padova, poiché aveva studiato presso quella famosa università. Lo si credeva in possesso di alcune rare ricette mediche con le quali- si affermavaaveva operato guarigioni sorprendenti. Sebbene i medici di Edimburgo lo definissero un ciarlatano, c'erano parecchie persone, e tra loro anche membri del clero, che, pur ammettendo la veridicità delle guarigioni e la potenza dei suoi medicamenti, sostenevano che il dottor Battista Damiotti facesse uso di incantesimi e di arti illecite per ottenere il successo nella sua professione. Il ricorrere a lui fu perfino solennemente condannato dal pulpito come un cercare la guarigione per mezzo dell'idolatria, e aver fede in un aiuto proveniente dall'Egitto. Ma la protezione che il dottore di Padova riceveva da alcuni amici importanti e interessati gli consentiva di sfidare quelle accuse e di svolgere, perfino nella stessa città di Edimburgo, famosa per la sua avversione a fattucchiere e negromanti, il pericoloso ruolo di colui che predice il futuro. Corse a lungo voce che, in cambio di un certo compenso, sicuramente non trascurabile, il dottor Battista Damiotti sapesse svelare il destino degli amici lontani, e mostrare ai suoi clienti l'immagine dei loro amici e l'azione in cui essi erano in quel momento impegnati. Queste voci erano arrivate all'orecchio di Lady Forester, che aveva raggiunto il culmine dell'agonia spirituale, nel quale chi soffre farebbe o sopporterebbe qualunque cosa pur di poter trasformare l'ansia in certezza.
Timida e mite nella maggior parte dei casi, il suo stato d'animo la rendeva altrettanto ostinata e temeraria, e fu non senza sorpresa e allarme che sua sorella, Lady Bothwell, sentì esprimere la decisione di visitare quell'uomo dalle doti magiche, per sapere da lui la sorte di suo marito. Lady Bothwell obiettò sulla improbabilità che le pretese di quel forestiero potessero essere fondate su altro che sull'impostura.
"Non mi importa del ridicolo al quale potrei espormi", disse la moglie abbandonata; "se c'è una sola possibilità che io possa ottenere una qualche certezza sul destino di mio marito, non vorrei perdere questa possibilità per nessun'altra cosa al mondo".
Lady Bothwell insistette poi sulla illegalità del ricorso a simili fonti di conoscenza proibita.
"Sorella", replicò l'infelice, "colui che sta morendo di sete non può fare a meno di bere perfino l'acqua avvelenata. Colui che soffre a causa di un'incertezza deve trovare notizie, perfino se le potenze che gliele offrono sono empie e infernali. Andrò da sola a conoscere la mia sorte, e la saprò questa sera stessa: il sole che sorgerà domani mi troverà, se non più felice, almeno più rassegnata".
"Sorella", disse Lady Bothwell, "se siete decisa a questo passo avventato, non vi lascerò andare da sola. Se quell'uomo fosse un impostore, potreste essere troppo turbata nei vostri sentimenti per smascherare la sua infamia. Se, e questo io non lo credo, ci dovesse essere qualche verità in quello di cui egli si vanta, non sarete sola ad assistere a un contatto di così straordinaria natura. Verrò con voi, se siete davvero decisa ad andare. Riflettete però sul vostro progetto e rinunciate a indagini che non possono essere portate avanti senza peccato e, forse, senza pericolo".
Lady Forester si buttò nelle braccia della sorella e, stringendola al petto, la ringraziò cento volte per essersi offerta di accompagnarla, ma declinò con un gesto sconsolato l'amichevole consiglio che accompagnava la sua offerta.
Quando arrivò l'ora del tramonto, il momento convenuto nel quale il dottore padovano riceveva le visite di quelli che andavano da lui per consultarlo, le due donne lasciarono i loro appartamenti nel Canongate di Edimburgo, dopo essersi acconciate come donne del popolo ed essersi avvolte le sciarpe di lana intorno al viso, secondo l'uso di quella stessa classe. In quei tempi aristocratici, infatti, il modo di drappeggiare la sciarpa, così come la finezza della sua tessitura, indicava la posizione sociale di chi la indossava. Era stata Lady Bothwell a suggerire questa specie di travestimento; in parte per evitare di attirare l'attenzione mentre andavano alla casa di quell'evocatore di spiriti, e in parte per mettere alla prova la perspicacia di costui comparendogli davanti sotto mentite spoglie. Il servitore di Lady Forester, uomo di provata lealtà, era stato incaricato di propiziarsi il dottore con un'adeguata parcella e una storia che accennasse alla moglie di un soldato desiderosa di conoscere la sorte di suo marito; un argomento sul quale, con tutta probabilità, il saggio veniva consultato molto frequentemente.
Fino all'ultimo momento, quando l'orologio del palazzo batté le otto, Lady Bothwell osservò con ansia sua sorella, nella speranza che potesse desistere dalla sua temeraria impresa; ma, poiché la mansuetudine e la timidezza sono a volte capaci di ardenti e incrollabili propositi, trovò Lady Forester assolutamente irremovibile e determinata quando arrivò il momento della partenza. Poco convinta della spedizione, ma decisa a non abbandonare sua sorella in una situazione così critica, Lady Bothwell accompagnò Lady Forester attraverso molte strade e vicoli oscuri; il servitore camminava avanti e faceva loro da guida. Alla fine girò improvvisamente in un angusto cortile e bussò a un portone ad arco che sembrava appartenere a un edificio di una certa età. Si aprì il portone, senza che nessuno fosse apparso; e il servitore, facendosi da parte, invitò le signore a entrare. Avevano appena varcato la soglia che il portone si chiuse, lasciando fuori la guida. Le due donne si trovarono in un piccolo vestibolo, illuminato da una lampada fioca, e privo, una volta chiusa la porta, di qualsiasi accesso della luce di fuori. La porta di una stanza interna, aperta solo in parte, era all'estremità opposta del vestibolo.
"Non dobbiamo esitare ora, Jemima", disse Lady Bothwell, e passarono nella stanza interna dove, circondato da libri, mappe, strumenti filosofici, e altri apparecchi dalla forma e dall'aspetto bizzarro, trovarono l'uomo dalle arti magiche.
Non c'era niente di particolare nell'aspetto dell'italiano. Aveva la carnagione scura e i tratti marcate del suo Paese, pareva avere circa cinquant'anni ed era vestito in modo elegante ma semplice, con un abito di panno nero, in quel tempo costume universale della professione medica. Grosse candele su candelabri d'argento illuminavano la stanza adeguatamente arredata. Egli si alzò all'entrare delle due donne e, nonostante i loro modesti abiti, le ricevette con il grande rispetto dovuto alla loro posizione e reso con il solito scrupolo dagli stranieri a quelli ai quali simili onori sono dovuti.
Lady Bothwell si sforzò di mantenere l'incognito, come si era proposta; e mentre il dottore la precedeva verso il fondo della stanza, fece un gesto per rifiutare la sua cortesia, come non adatta alla loro condizione. "Siamo povera gente, signore", disse; "solo l'angoscia di mia sorella ci ha spinto a consultare Vostra Eccellenza, nel caso che..." L'altro sorrise e la interruppe: "Sono al corrente, signora, della preoccupazione di vostra sorella, e delle sue cause, così come sono al corrente di essere onorato della visita di due signore degne della massima considerazione: Lady Bothwell e Lady Forester. Se non sapessi distinguerle dalla classe sociale che il loro attuale abbigliamento denota, ci sarebbero ben poche possibilità per me di soddisfarle dando loro le informazioni che sono venute a cercare".
"Posso facilmente capire...", disse Lady Bothwell.
"Perdonate la mia audacia nell'interrompervi, Milady", disse l'italiano, "Vostra Signoria stava per dire che poteva facilmente capire che ero venuto a conoscenza dei vostri nomi per mezzo del vostro domestico. Ma, pensando così voi fate torto alla fedeltà del vostro servitore e, vorrei aggiungere, anche all'abilità di colui che non è minore di un vostro umile servo, Battista Damiotti".
"Non ho intenzione di far torto a nessuno dei due, signore", disse Lady Bothwell mantenendo un tono calmo, sebbene fosse piuttosto sorpresa, "ma questa situazione è un po' nuova per me. Se siete a conoscenza del nostro nome, saprete anche, signore, cosa ci ha spinte fin qui".
"Il desiderio di conoscere la sorte di un gentiluomo scozzese di rango, attualmente, o poco tempo fa, sul Continente", rispose il veggente; "egli è il cavaliere Filippo Forester; un gentiluomo che ha l'onore di essere marito di questa signora e, con il permesso di Vostra Signoria parlando chiaro, la sfortuna di non apprezzare a sufficienza questo inestimabile privilegio".
Lady Forester sospirò profondamente e Lady Bothwell replicò: "Poiché conoscete lo scopo della nostra visita senza che l'avessimo manifestato, l'unica domanda che rimane da fare è se siete in grado di alleviare l'ansia di mia sorella".
"Sì lo sono, signora", rispose lo studioso di Padova; "ma prima devo farvi una domanda. Avete voi il coraggio di assistere con i vostri occhi a quello che il cavaliere Filippo Forester sta facendo in questo momento? O ne riterrete responsabile la mia reputazione?".
"A questa domanda mia sorella deve rispondere da sé", disse Lady Bothwell.
"Con i miei stessi occhi sopporterò qualsiasi cosa sarete in grado di mostrarmi", disse Lady Forester con la stessa risolutezza che l'aveva spinta fin da quando la sua decisione in proposito era stata presa.
"Potrebbe essere pericoloso".
"Se l'oro può compensare il rischio", disse Lady Forester tirando fuori la borsa.
"Non faccio queste cose con un proposito di guadagno", rispose lo straniero. "Non oso volgere la mia arte verso un simile scopo. Se prendo il denaro dei ricchi non è che per darlo ai poveri; né accetterò altro al di fuori della somma che ho già ricevuto dal vostro servitore. Mettete via la vostra borsa, signora; un adepto non ha bisogno del vostro oro".
Lady Bothwell, considerando il rifiuto all'offerta di sua sorella il semplice espediente di un impostore per indurla a offrire una somma maggiore, e desiderosa di mettere fine alla scena, offrì a sua volta dell'oro, facendo osservare che era solo per permettergli di allargare la sua sfera di carità.
"Lady Bothwell pensi ad allargare la sfera della sua carità", disse il padovano, "non solo nel fare elemosine, la qual cosa so bene che lei non manca di fare, ma nel giudicare l'indole del prossimo; e lasci che l'indole stessa la induca a credere un onest'uomo Battista Damiotti, fino a che non si riveli una canaglia. Non siate sorpresa, signora, se parlo in risposta ai vostri pensieri piuttosto che alle vostre parole e ditemi, ancora una volta, se avete il coraggio di guardare quel che sono pronto a mostrarvi".
"Ammetto, signore", disse Lady Bothwell, "che le vostre parole mi infondono un qualche senso di timore; ma a qualsiasi cosa mia sorella desideri assistere, non mancherò di farlo insieme a lei".
"Il pericolo consiste solo nel rischio che venga meno la vostra determinazione. La visione può durare solo lo spazio di sette minuti e se doveste interromperla pronunciando una sola parola, non solo l'incantesimo sarebbe rotto, ma potrebbe derivarne pericolo per gli spettatori. Invece, se rimarrete assolutamente in silenzio per tutti i sette minuti, la vostra curiosità sarà soddisfatta senza il minimo rischio; in questo, impegno il mio onore".
Dentro di sé Lady Bothwell pensò che la garanzia fosse piuttosto mediocre; ma soffocò il sospetto, come se avesse creduto che l'iniziato, le cui brune fattezze si atteggiavano a un mezzo sorriso, potesse davvero leggere persino nei suoi più segreti pensieri. Seguì quindi una pausa solenne, finché Lady Forester non ebbe raccolto il coraggio necessario per rispondere al dottore - come egli stesso si definiva- che avrebbe aspettato con fermezza e in silenzio la visione che egli aveva promesso di mostrare. Dopo di ciò, egli fece un profondo inchino e lasciò la stanza, dicendo che sarebbe andato a preparare il necessario per esaudire il loro desiderio. Le due sorelle, mano nella mano, quasi cercassero in questa stretta unione di allontanare qualsiasi pericolo potesse minacciarle, sedettero su due sedie, una accanto all'altra: Jemima cercava sostegno nell'abituale e virile coraggio di Lady Bothwell, e quest'ultima, d'altra parte, più agitata di quanto si sarebbe aspettata, cercava di farsi coraggio considerando la disperata decisione che le circostanze avevano indotto sua sorella a prendere. Una, probabilmente, diceva a se stessa che sua sorella non aveva mai paura di niente; l'altra, forse, rifletteva sul fatto che ciò che non suscitava timore in una donna poco intelligente come Jemima, non poteva essere motivo di apprensione per una persona risoluta e di carattere come lei.
Ma dopo pochi minuti tutte e due furono distolte dai loro pensieri da una melodia così singolarmente dolce e solenne che sembrava calcolata per allontanare e dissipare qualsiasi sensazione non legata alle sue note e, allo stesso tempo, aumentava la solenne trepidazione che il precedente colloquio aveva fatto nascere. La musica era quella di uno strumento che non conoscevano, ma le circostanze che seguirono indussero la mia antenata a credere che si trattasse dell'armonica, strumento che lei ascoltò più tardi nella sua vita.
Quando quei rumori celestiali cessarono, si aprì una porta in fondo alla stanza e videro Damiotti che, in cima a due o tre scalini, faceva loro segno di venire avanti. Il suo vestito era così diverso da quello che indossava pochi minuti prima che a stento lo riconobbero; il mortale pallore del volto e una certa rigidità dei muscoli, come di chi si decide a una qualche straordinaria e rischiosa impresa, avevano completamente trasformato l'espressione un po' sarcastica con la quale prima aveva fissato entrambe, e in modo particolare Lady Bothwell. Era scalzo, tranne che per una specie di sandali di foggia antica; le gambe erano nude al disotto delle ginocchia; sopra indossava delle calze e una giubba di seta cremisi scuro, aderente al corpo, e su questa una toga ampia e ondeggiante; la gola e il collo erano scoperti e i capelli, lunghi e lisci, erano pettinati con cura in tutta la loro lunghezza.
Quando le signore, al suo invito, si avvicinarono, egli non mostrò nessun segno di quella cerimoniosa cortesia di cui era stato prodigo precedentemente. Al contrario, fece cenno di avanzare con aria di comando; e quando le sorelle gli si avvicinarono con passo incerto, tenendosi per mano, fu con viso arcigno che si premette il dito sulle labbra, come per ribadire la sua condizione di assoluto silenzio, mentre, con incedere solenne, le precedeva nella stanza accanto.
Si trattava di una grande sala, parata a lutto come per un funerale.
In fondo c'era un tavolo, o meglio una specie di altare rivestito dello stesso lugubre colore, sul quale erano posati diversi oggetti che assomigliavano ai soliti strumenti della stregoneria. In verità quegli oggetti non erano apparsi distintamente quando entrarono nella stanza, poiché la sola luce che li mostrava, data da due deboli lampade, era molto fioca. Il maestro- per usare l'espressione italiana riferita a persone simili- si avvicinò al fondo della stanza con una genuflessione simile a quella di un cattolico davanti al Crocifisso, e nello stesso tempo si fece il segno della croce. Le gentildonne seguivano in silenzio, tenendosi per mano. Due o tre scalini bassi e ampi portavano a una piattaforma di fronte all'altare, o comunque a quella cosa che gli assomigliava. Qui il saggio si fermò e mise le donne vicino a sé, ripetendo ancora una volta con i gesti la sua ingiunzione di tacere. L'italiano, poi, stendendo il braccio nudo dai paramenti di lino, indicò con l'indice cinque grandi fiaccole, o torce, poste su ogni lato dell'altare. Esse si accesero una dopo l'altra all'avvicinarsi della sua mano, o piuttosto del suo dito, e diffusero una luce abbagliante per tutta la sala. Fu così che le visitatrici furono in grado di notare che, sul preteso altare, erano poste due spade sguainate disposte a forma di croce; un grande libro aperto che esse immaginarono fosse una copia delle Sacre Scritture, scritto però in una lingua a loro sconosciuta; e vicino al misterioso volume un teschio umano. Ma quello che maggiormente colpì le sorelle fu un altissimo e ampio specchio, che occupava tutto lo spazio oltre l'altare e che, illuminato dalle torce accese, rifletteva i misteriosi oggetti posati su di esso.
Il maestro allora si mise tra le due donne e, indicando lo specchio, le prese per mano senza pronunciare una sillaba. Esse fissarono intensamente l'oscura e levigata parete sulla quale egli aveva indirizzato la loro attenzione. Improvvisamente la superficie assunse un aspetto nuovo e singolare. Non rispecchiava più gli oggetti posti davanti a essa, ma, come se contenesse un suo proprio scenario, cominciò a far apparire oggetti dal suo interno, dapprima in modo disordinato, indistinto ed eterogeneo, come delle forme che tentino di organizzarsi uscendo dal caos; alla fine, secondo un disegno e una simmetria distinti e definiti. Fu così che, dopo alcuni passaggi di luci e ombre, sulla faccia del meraviglioso vetro cominciò a organizzarsi ai lati una profonda prospettiva di archi e colonne, e nella parte superiore un soffitto a volta; finché, dopo molte esitazioni, l'intera visione acquistò una parvenza fissa e immobile, rappresentando l'interno di una chiesa straniera. I pilastri erano maestosi, decorati da scudi; gli archi erano alti e fastosi; sul pavimento erano incise iscrizioni funerarie. Ma non c'erano reliquiari, né immagini, né mostra di calice e di Crocifisso sull'altare. Dunque era una chiesa protestante del Continente. Un ecclesiastico, vestito con la baverina e la toga ginevrina, stava vicino all'altare tenendo davanti a sé la Bibbia aperta; e il suo chierico, in attesa nello sfondo, sembrava preparato a compiere una qualche funzione per la chiesa alla quale apparteneva.
Finalmente, attraverso la navata centrale dell'edificio, entrò una comitiva numerosa che sembrava far parte di uno sposalizio, perché una dama e un cavaliere camminavano per primi, mano nella mano, seguiti da una gran folla di persone di entrambi i sessi, abbigliate festosamente ma non riccamente. La sposa, di cui si potevano distinguere perfettamente le fattezze, non sembrava avere più di sedici anni ed era estremamente bella. Lo sposo, per alcuni secondi, si mosse volgendo loro le spalle, e nascose il viso, ma l'eleganza della figura e dell'incedere colpì immediatamente le due sorelle che provaronolo stesso timore. Quando, d'improvviso, egli girò la faccia, si resero conto con terrore che il felice sposo davanti a loro era Sir Philip Forester. Sua moglie accennò un'esclamazione, al cui suono l'intera scena si agitò e sembrò scomporsi.
"Non riesco a paragonarlo a nient'altro", diceva Lady Bothwell, quando raccontava la sua storia meravigliosa, "che alla dispersione del riflesso in uno specchio d'acqua calmo e profondo, sul quale, all'improvviso, si getti un sasso, e le immagini vengono infrante e si dissolvono". Il maestro premette severamente le mani di entrambe, come per ricordare loro la promessa e il pericolo nel quale potevano incorrere. L'esclamazione morì in gola a Lady Forester, senza potersi esprimere chiaramente, e la scena nel vetro, dopo la fluttuazione di un momento, assunse di nuovo il precedente aspetto di una scena reale, esistendo all'interno dello specchio come fosse rappresentata in un quadro, se non per il fatto che le figure erano mobili invece di essere statiche.
L'immagine di Sir Philip Forester, ora visibile distintamente nell'aspetto e nella fisionomia, fu vista guidare verso il pastore la bellissima ragazza, che procedeva mostrando insieme diffidenza e una specie di affettuoso orgoglio. Intanto, proprio mentre il pastore sistemava davanti a sé la comitiva nuziale e stava per dare inizio alla cerimonia, un altro gruppo di persone, due o tre delle quali erano ufficiali, entrò in chiesa. Dapprima si fecero avanti, come se fossero venuti per assistere alla cerimonia nuziale;ma improvvisamente uno degli ufficiali, che era di spalle rispetto ai presenti, si staccò dai suoi compagni e corse precipitosamente verso la comitiva nuziale, che si girò verso di lui, come attratta da una qualche esclamazione che aveva accompagnato il suo avanzare.
All'improvviso l'intruso estrasse la spada; lo sposo sfoderò la sua e gli andò incontro. Anche gli altri sguainarono le spade, sia quelli del gruppo nuziale che quelli appena entrati. Ci fu una grande confusione: il pastore e alcune persone anziane e dignitose, apparentemente, si adoperavano per ristabilire la calma, mentre gli spiriti più ardenti di entrambe le parti brandivano le armi. Ma era scaduto il breve spazio di tempo, durante il quale all'indovino era concesso - come egli pretendeva - di esibire la propria arte. I vapori si mescolarono di nuovo e si dissolsero gradualmente alla vista; le volte e le colonne della chiesa rotolarono a pezzi e scomparvero; la facciata dello specchio non rifletteva altro che le torce accese e il lugubre apparato posto sull'altare, o la tavola, davanti a esso.
Il dottore guidò le donne, che avevano un gran bisogno del suo sostegno, nella stanza da cui erano venuti, dove erano stati preparati, durante la sua assenza, vino, essenze e altri mezzi per riprendersi da eventuali mancamenti. Le portò verso le sedie, sulle quali sedettero in silenzio; Lady Forester, in particolare, si torceva le mani e alzava gli occhi al cielo, ma senza proferire parola, come se avesse ancora l'incantesimo davanti agli occhi.
"E quel che abbiamo visto si sta svolgendo tuttora?", chiese Lady Bothwell, raccogliendo con difficoltà le proprie forze.
"Questo", rispose Battista Damiotti, "non posso proprio dirlo con certezza. Ma, se non si sta svolgendo in questo momento, si è svolto in uno spazio di tempo di poco anteriore. E' questo l'ultimo avvenimento di una qualche importanza in cui sia stato coinvolto il cavaliere Forester".
Lady Bothwell, allora, manifestò preoccupazione per sua sorella, la cui espressione turbata, insieme all'apparente stato di incoscienza di ciò che le accadeva intorno, aumentavano la sua apprensione riguardo alla possibilità di riportarla a casa.
"Ho già disposto per questo", rispose l'adepto; "ho ordinato al vostro servitore di portare la carrozza il più vicino possibile a questo luogo, per quanto lo consente la strada stretta. Non temete per vostra sorella; ma una volta a casa, datele questa pozione calmante e domattina starà meglio. Pochi", aggiunse in tono melanconico, "lasciano questa casa in buona salute come vi sono entrati. E' questa la conseguenza della ricerca della conoscenza per vie misteriose; lascio giudicare a voi la condizione di coloro che hanno il potere di soddisfare tale illegittima curiosità. Addio, e non dimenticate la pozione".
"Non le darò niente che provenga da voi", disse Lady Bothwell; "ho già visto abbastanza della vostra arte. Forse vorreste avvelenarci entrambe per nascondere la vostra negromanzia. Ma noi siamo persone che non vogliono né rendere pubblici i torti subiti, né avere l'aiuto di amici che li riparino".
"Non avete subito nessun torto da me, signora", disse l'adepto; "voi avete cercato qualcuno che vi è poco grato di questo onore, che non va in cerca di nessuno e dà responsi solo a quelli che lo richiedono e l'invitano a farlo. Dopotutto, voi avete soltanto appreso con un po' di anticipo la disgrazia che siete in ogni caso destinate a sopportare. Sento i passi del vostro servitore alla porta e non tratterrò oltre Vostra Signoria e Lady Forester. Il prossimo postale dal Continente vi spiegherà quello al quale avete già in parte assistito. Se mi è permesso darvi un consiglio, non lasciate che il dispaccio arrivi troppo improvvisamente nelle mani di vostra sorella".
Così dicendo augurò a Lady Bothwell la buonanotte. Lei si diresse verso il vestibolo dove l'iniziato, che le faceva luce, si gettò frettolosamente un mantello nero sullo strano abito e, aprendo la porta, affidò le visitatrici alle cure del loro servitore. Fu con difficoltà che Lady Bothwell sostenne sua sorella fino alla carrozza, benché fosse distante solo venti passi. Quando arrivarono a casa, Lady Forester ebbe bisogno di assistenza medica. Si occupò di lei il medico di famiglia, che scosse la testa sentendole il polso.
"C'è stato un violento e improvviso collasso nervoso", disse. "Devo sapere che cosa è successo".
Lady Bothwell ammise che avevano fatto visita a quell'evocatore di spiriti e che Lady Forester aveva ricevuto delle brutte notizie riguardanti suo marito, Sir Philip.
"Quell'ignobile ciarlatano farebbe la mia fortuna se dovesse rimanere a Edimburgo", disse il dottore; "questo è il settimo caso di nervi che ha provocato, e tutti a causa dello spavento". Esaminò poi la pozione calmante che inconsciamente Lady Bothwell teneva ancora in mano, la assaggiò e ritenne che fosse molto adatta al caso e che avrebbe evitato di ricorrere al farmacista. Quindi tacque e, guardando Lady Bothwell in modo eloquente, finalmente aggiunse: "Suppongo che non mi sia permesso chiedere niente a Vostra Signoria sui procedimenti dello stregone italiano".
"In verità, dottore", rispose Lady Bothwell, "io considero confidenziale quello che è successo e, benché quell'uomo possa essere un furfante, tuttavia, essendo state abbastanza sciocche da consultarlo, penso che dovremmo essere leali verso di lui nel mantenere il suo segreto".
""Possa essere un furfante", suvvia!", disse il dottore. "Sono felice di sentire che Vostra Signoria ritiene possibile una simile eventualità per qualsiasi cosa che venga dall'Italia".
"Quello che viene dall'Italia può essere buono come quello che viene da Hannover, dottore. Ma voi e io rimarremo buoni amici e, affinché sia così, non parleremo di liberali e conservatori".
"Non io", disse il dottore ricevendo la sua parcella e prendendo il cappello; "un Carolus serve i miei scopi tanto bene quanto un Guglielmo. Ma mi piacerebbe sapere perché la vecchia signora di Saint Ringan e tutto il suo gruppo se ne vanno in giro sprecando i loro vecchi polmoni per gonfiare questo straniero".
"Eh sì fareste meglio a considerarlo un gesuita, come dice la gente".
E in questi termini si lasciarono.
La povera paziente, i cui nervi erano passati da un eccezionale stato di tensione a un altrettanto eccezionale stato di rilassatezza, continuava a lottare contro una specie di debolezza mentale, l'accrescersi di un terrore superstizioso, quando arrivarono dall'Olanda quelle sconvolgenti notizie, che corrisposero anche alle peggiori aspettative.
Erano state inviate dal celebre Earl of Stair e riguardavano il triste evento di un duello tra Sir Philip Forester e il fratellastro di sua moglie, il capitano Falconer, gli scozzesi-olandesi, come erano chiamati: duello in cui quest'ultimo era rimasto ucciso. La causa della lite rendeva l'incidente ancora più impressionante. Sembrava che Sir Philip avesse improvvisamente lasciato l'esercito non essendo in grado di pagare una considerevole somma persa al gioco con un altro volontario. Aveva cambiato nome e aveva preso domicilio a Rotterdam, dove era riuscito a introdursi nelle grazie di un vecchio e ricco borgomastro. Grazie alla sua bella persona e alle sue maniere cortesi, era riuscito ad accattivarsi le simpatie dell'unica figlia, una ragazza molto giovane, di grande bellezza ed erede di molte ricchezze.
Incantato dalle seducenti attrattive del futuro genero, il ricco mercante, la cui stima del carattere britannico era troppo alta per consentirgli di prendere precauzioni e di acquisire prove dello stato e delle condizioni finanziarie di costui, diede il consenso al matrimonio. Questo stava per essere celebrato nella chiesa principale della città, quando fu interrotto da un singolare avvenimento.
Il capitano Falconer era stato distaccato a Rotterdam per richiamare una parte della brigata di ausiliari scozzesi che si trovavano lì acquartierati; una persona di riguardo in città, che egli aveva precedentemente conosciuto, gli propose, per passatempo, di andare alla chiesa alta a vedere un suo connazionale che sposava la figlia di un ricco borgomastro. Il capitano Falconer vi andò, dunque, accompagnato dal suo conoscente olandese, con un gruppo di suoi amici e due o tre ufficiali della brigata scozzese. Si può immaginare il suo stupore quando vide suo cognato, un uomo sposato, sul punto di portare all'altare quella bella e innocente creatura, contro cui egli stava per compiere un inganno vile e indegno di un uomo. Rivelò immediatamente l'infamia e il matrimonio fu ovviamente interrotto. Ma, contro il parere di uomini più ragionevoli, che consideravano Sir Philip ormai al disotto del rango degli uomini d'onore, il capitano Falconer lo ammise ai privilegi di costoro, ne accettò la sfida e nello scontro ricevette una ferita mortale. Simili sono le vie del cielo, misteriose ai nostri occhi. Lady Forester non si riebbe mai dal colpo di quella triste notizia.
- E la tragedia - dissi io -, ci fu proprio nel momento in cui fu mostrata nello specchio?
- E' duro dover distorcere il racconto di un altro - rispose mia zia -, ma, a dire la verità, essa avvenne alcuni giorni prima dell'apparizione.
- E così - dissi io -, resta la possibilità che attraverso un qualche segreto e veloce mezzo di comunicazione il mago possa aver ricevuto prima degli altri la notizia di quell'incidente.
- Gli increduli sostennero questo - replicò mia zia.
- Cosa avvenne dell'iniziato? - chiesi.
- Ebbene, poco tempo dopo arrivò l'ordine di arrestarlo per alto tradimento, come agente del cavaliere di Saint George, e Lady Bothwell, ricordando gli accenni che il dottore- un ardente sostenitore del diritto di successione protestante - si era lasciato sfuggire, si ricordò che quell'uomo era "prôné" soprattutto fra le vecchie matrone dello stesso credo politico che anche lei professava.
Certo pareva probabile che le informazioni provenienti dal Continente, facilmente trasmesse da un attivo e potente agente, avessero messo costui in grado di preparare la fantasmagorica scena di cui lei stessa era stata testimone. C'erano però così tante difficoltà nell'attribuirle una spiegazione naturale, che, fino al giorno della sua morte, la gentildonna rimase sempre incerta su questo, e più disposta a tagliarne il nodo gordiano ammettendo l'esistenza di un intervento soprannaturale.
- Ma, mia cara zia - dissi io -, che ne fu di quell'uomo di così grande abilità?
- Ah, egli era un indovino troppo bravo per non prevedere che il proprio destino sarebbe stato tragico se avesse aspettato l'arrivo dell'uomo con il levriero d'argento sulla manica. Egli fuggì come si dice, al chiaro di luna, e non fu più visto da nessuna parte né se ne sentì più parlare. Ci fu un po' di rumore per delle carte, o lettere, trovate a casa sua, ma passò e del dottor Battista Damiotti ben presto si parlò ugualmente poco come di Galeno o di Ippocrate.
- E Sir Philip Forester - dissi io -, anche lui svanì per sempre dalla scena pubblica?
- No - replicò la mia gentile informatrice -, si sentì di lui ancora una volta e fu in un'occasione eccezionale. Si dice che noi scozzesi, quando esisteva ancora una nazione con questo nome, possedessimo nel nostro grande sacco pieno di virtù anche uno o due grandi difetti. In particolare, si porta come prova che raramente siamo disposti al perdono e non dimentichiamo mai un'offesa ricevuta; che siamo soliti fare un idolo del nostro rancore, così come la povera Lady Constance aveva fatto del suo dolore; che siamo dediti, come dice Bums, ad "alimentare la nostra collera per mantenerla in vita". Lady Bothwell non era immune da questo sentimento e io credo che nient'altro, tranne la restaurazione della dinastia degli Stuart, avrebbe potuto essere più piacevole per lei dell'opportunità di vendicarsi di Sir Philip Forester per la profonda, duplice offesa che l'aveva privata insieme di una sorella e di un fratello. Ma niente si seppe o si sentì di lui prima che molti anni fossero passati.
Finalmente a un ballo della vigilia di Quaresima (gli ultimi giorni di Carnevale) al quale era solita partecipare sempre tutta l'alta società di Edimburgo, e dove Lady Bothwell aveva il suo posto tra le patronesse, uno dei servitori le sussurrò all'orecchio che un gentiluomo desiderava parlarle in privato.
"In privato? In una sala da ballo? Deve essere pazzo. Ditegli di tornare da me domane mattina".
"Così ho fatto, Milady", rispose l'uomo, "ma ha voluto che vi consegnassi questo biglietto".
Aprì la lettera, che era curiosamente piegata e sigillata. Aveva le sole parole "questione di vita o di morte", scritte in una calligrafia che non aveva mai visto prima. Improvvisamente si ricordò che una simile questione poteva riguardare la salvezza di qualcuno dei suoi amici di partito; seguì il messaggero fino a una piccola stanza dove erano pronti i rinfreschi, e dalla quale la maggior parte della compagnia era esclusa. Vi trovò un vecchio che, al suo avvicinarsi, si alzò e si inchinò profondamente. Il suo aspetto indicava una salute malferma e il suo vestito, sebbene accuratamente adeguato all'etichetta di una sala da ballo, era consumato e macchiato, e ricadeva spiegazzato dalla sua persona emaciata. Lady Bothwell stava per mettere mano alla borsa pensando di liberarsi del mendicante con un po' di denaro, ma il timore di un equivoco fermò il suo proposito.
Diede quindi modo all'uomo di spiegarsi.
"Ho l'onore di parlare con Lady Bothwell?".
"Sono Lady Bothwell. Permettetemi di dire che questo non è né il momento né il posto per lunghi colloqui. Che cosa desiderate da me?".
"Vostra Signoria", disse il vecchio, "aveva una volta una sorella".
"E' vero; una sorella che amavo come la mia stessa anima".
"E un fratello".
"Il più coraggioso, il più gentile, il più affettuoso!", disse Lady Bothwell.
"Tutti e due questi amati parenti li perdeste per colpa di un uomo sfortunato", continuò lo sconosciuto.
"Per il crimine di un mostruoso e crudele assassino", disse la gentildonna.
"Ho avuto la mia risposta", replicò il vecchio inchinandosi come per ritirarsi.
"Fermatevi, signore, ve lo ordino", disse Lady Bothwell; "chi siete voi che, in una simile circostanza, venite a rievocare questi orribili ricordi? Insisto per saperlo".
"Sono uno che non vuole recare offesa a Lady Bothwell ma, al contrario, offrirle la possibilità di compiere un'azione di carità cristiana di cui il mondo si stupirebbe e che il cielo ricompenserebbe; ma io non trovo in lei la disposizione per il sacrificio che ero preparato a chiedere".
"Spiegatevi, signore, che cosa intendete?", disse Lady Bothwell.
"Il miserabile che vi ha così profondamente offesa", replicò lo sconosciuto, "è ora sul suo letto di morte. I suoi giorni sono stati giorni di miseria, le sue notti, insonni ore di angoscia; però lui non può morire senza il vostro perdono. La sua vita è stata una penitenza senza fine, e tuttavia egli non osa separarsi dal suo peso terreno finché le vostre maledizioni pesano sulla sua anima".
"Ditegli", disse Lady Bothwell severamente, "di chiedere perdono a quell'Essere che ha così grandemente offeso; non a un peccatore simile a lui. A che cosa gli potrebbe servire il mio perdono?".
"A molto", disse il vecchio. "Sarà un anticipo di quello che oserà chiedere al suo Creatore, signora, e al vostro. Ricordate, Lady Bothwell, che anche voi avete un letto di morte da temere; la vostra anima, come è necessario che succeda a tutte le anime umane, potrebbe aver timore nell'affrontare il seggio del Giudizio mostrando le piaghe di una coscienza impura e corrotta. Che pensiero sarebbe quello che mormorasse "Io non ho concesso misericordia, dunque, come oserò chiederne?"".
"Uomo, chiunque tu sia", replicò Lady Bothwell, "non insistere così crudelmente. Sarebbe ipocrisia blasfema che io pronunciassi con le mie labbra le parole contro le quali protesta ogni palpito del mio cuore.
Esse aprirebbero la terra e restituirebbero alla luce l'immagine di una sorella consumata dal dolore, l'immagine grondante sangue di un fratello assassinato. Perdonarlo... Mai, mai!".
"Buon Dio!", gridò il vecchio alzando le braccia al cielo, "è così che i vermi che Tu hai chiamato fuori dalla polvere obbediscono ai comandamenti del loro Creatore? Addio, donna superba e senza misericordia. Esulta, poiché a una morte nella povertà e nel dolore hai aggiunto le angosce della disperazione religiosa; ma non schernire mai più il cielo supplicando quel perdono che tu hai rifiutato di concedere".
Stava per girarsi quando:
"Fermatevi", ella esclamò; "proverò, sì proverò a perdonarlo".
"Benevola signora", disse il vecchio, "voi innalzerete un'anima che non osa separarsi dal suo peccaminoso compagno terreno prima di essere in pace con voi. Per quanto ne so, il vostro perdono forse potrà salvare con la penitenza la feccia di una vita disgraziata".
"Ah!", disse la nobildonna, folgorata da un'improvvisa intuizione. "E' il furfante in persona!". E prendendo per il bavero Sir Philip Forester, perché altri non era che lui, gridò: "Assassino, assassino!
Prendete l'assassino!".
A un'esclamazione così singolare, in un simile posto, la compagnia accorse affollando la sala, ma Sir Philip Forester non era più là.
Egli si era liberato con forza dalla presa di Lady Bothwell ed era corso fuori dalla stanza che si apriva sul pianerottolo delle scale.
Sembrava non esserci possibilità di fuga in quella direzione, perché c'erano diverse persone che venivano su per le scale e altre che scendevano. Ma lo sventurato uomo era disperato. Si gettò oltre la balaustra e atterrò senza incidenti nel corridoio, nonostante il salto di almeno quindici piedi; si precipitò quindi nella strada e scomparve nell'oscurità. Alcuni dei Bothwell tentarono di inseguirlo e, se fossero tornati con il fuggiasco, lo avrebbero probabilmente ammazzato, dato che in quei giorni agli uomini il sangue scorreva impetuoso nelle vene. Ma la polizia non intervenne, poiché il crimine era successo molto tempo prima e in terra straniera. In effetti si pensò sempre che questo fatto straordinario fosse stato concepito come un tentativo ipocrita tramite il quale Sir Philip desiderava accertarsi della possibilità di ritornare nella sua terra natale, senza incorrere nella vendetta di una famiglia che egli aveva così profondamente offeso. Poiché l'esito risultò contrario ai suoi desideri, si pensò che egli avesse fatto ritorno sul Continente e fosse morto lì in esilio.
Così si concludeva il racconto dello SPECCHIO MISTERIOSO.