William Shakespeare
IL MERCANTE DI VENEZIA
PERSONAGGI
Il Doge di Venezia
Il Principe e il Principe di Aragona, pretendenti di Porzia
Antonio, mercante di Venezia
Bassanio, suo amico, pretendente di Porzia
Graziano, Solanio e Salerio, amici di Antonio e di Bassanio
Lorenzo, amante di Gessica
Shylock, ricco ebreo
Lancillotto gobbo, buffone, servo di Shylock
Leonardo, servo di Bassanio
Baldassarre e Stefano, servi di Porzia
Porzia, ricca ereditiera
Nerissa, sua cameriera
Gessica, figlia di Shylock
Magnati di Venezia, Ufficiali della Corte di Giustizia, un carceriere, servi di Porzia e latri domestici
Scena: parte a Venezia e parte a Belmonte, la dimora di Porzia, sulla terraferma
SCENA PRIMA - Venezia. Una strada
(Entrano ANTONIO, SALERIO e SOLANIO)
ANTONIO: Non so davvero il perché della mia tristezza. Essa mi stanca e, a quel che dite, stanca pure voi, ma ho ancora da sapere come l'ho presa o trovata, o come me la sono procurata, di che sostanza sia è donde sia nata. E' una tristezza che mi rende tanto stupido che stento a riconoscermi.
SALERIO: Il vostro pensiero ondeggia sull'oceano dove le vostre ragusee dalle vele maestose, simili a signori e a ricchi borghesi dei flutti, o in certo modo, simili a ricchi carri trionfali del mare, guardano dall'alto i piccoli trafficanti che ad esse s'inchinano e fanno reverenza quando filano loro da presso con le ali intessute.
SOLANIO: Credetemi, messere, se io avessi avventurate sul mare tante mercanzie, la miglior parte dei miei sentimenti errerebbe lontano di qua insieme con le mie speranze. Sarei continuamente a strappar dei fili di erba per conoscere da che parte spira il vento e a consultar sulle carte i porti, i moli, gli ancoraggi; e tutto ciò che mi potesse far temere una disgrazia per le mie mercanzie mi renderebbe indubbiamente triste.
SALERIO: Il mio soffio per raffreddarmi il brodo mi darebbe i brividi della febbre quando pensassi alla rovina che un vento troppo forte può produrre in mare. Non potrei vedere scorrere la rena in un orologio a polvere senza pensare a bassifondi e a banchi di sabbia, e senza vedere il mio "Andrea" dal ricco carico incagliato nell'arena, con l'albero maestro inclinato più basso delle sue costole, per baciare la sua tomba. Come potrei recarmi alla chiesa e veder le pietre del sacro edificio senza pensar subito a rocce pericolose che, toccando appena il fianco della mia leggiadra nave, ne disperdessero tutte le spezie sulle acque e rivestissero delle mie sete le mugghianti onde? senza pensare, in una parola sola, che essa poco prima vale tanto e poi, subito dopo più nulla? Potrei stare in pensiero e pensare a tutto ciò e non avere il pensiero che l'avverarsi di un simile fatto mi renderebbe triste? No, non mi dite altro: io so che Antonio è triste perché pensa alle sue mercanzie.
ANTONIO: No, ve l'assicuro, e ne ringrazio la mia sorte, le mie merci non sono affidate a una sola nave, né destinate a un sol luogo, e tutta la mia ricchezza non dipende dalla fortuna di quest'anno. Non sono dunque le mie mercanzie che mi rendono triste.
SALERIO: Ebbene, allora siete innamorato.
ANTONIO: Eh via!
SALERIO: Neppure innamorato? Allora diciamo che siete triste perché non siete allegro e vi sarebbe ugualmente facile ridere e saltare e dire che siete allegro perché non siete triste. Ebbene, per Giano bifronte, la natura, da che esiste, ha formato dei curiosi esseri:
alcuni che possono, guardando attraverso i loro occhi socchiusi, ridere sempre come i pappagalli alla vista di un suonatore di zampogna, ed altri di così inacidito aspetto che non mostrerebbero i loro denti in sogghigno, neppure se Nestore giurasse che la facezia era da ridere.
(Entrano BASSANIO, LORENZO e GRAZIANO)
SOLANIO: Ecco viene a questa volta Bassanio, il vostro nobile congiunto, insieme con Graziano e Lorenzo. A rivederci: vi lasciamo in miglior compagnia.
SALERIO: Sarei rimasto finché vi avessi fatto diventare di buon umore, se amici più degni non mi avessero prevenuto.
ANTONIO: Apprezzo grandemente i vostri meriti, ma, capisco: vi reclamano i vostri affari e voi cogliete quest'occasione per andarvene.
SALERIO: Buon giorno, miei cari signori.
BASSANIO: Cari signori tutti e due, quando staremo un po' insieme allegramente? Rispondete, quando? Voi diventate troppo degli estranei.
Dovete proprio andarvene?
SALERIO: Faremo in modo che il nostro tempo libero si metta a disposizione del vostro.
(Escono Salerio e Solanio)
LORENZO: Caro signor Bassanio, dacché avete trovato Antonio, noi due vi lasceremo; ma all'ora del pranzo, ricordatevi, vi prego, dove dobbiamo ritrovarci.
BASSANIO: Non mancherò.
GRAZIANO: Avete cattiva cera, signor Antonio; date troppa importanza alle cose del mondo. Chi le compra con troppa cura le perde.
Credetemi, siete straordinariamente cambiato.
ANTONIO: Io considero il mondo per quello che il mondo è, Graziano: un teatro dove ognuno deve rappresentare una parte, e la mia è una parte seria.
GRAZIANO: Lasciate che io vi rappresenti invece quella del buffone!
Che le rughe della vecchiaia arrivino in compagnia dell'allegria e del riso, e che il mio fegato si riscaldi col vino piuttosto che il mio cuore si agghiacci con gemiti che danno la morte. Perché un uomo, nelle cui vene il sangue bolle, dovrebbe starsene, come suo nonno, scolpito nell'alabastro? dormire quando è sveglio e cadere nell'itterizia a furia di essere bisbetico? Ti assicuro, Antonio (ti amo, ed è l'amore che mi fa parlare), che c'è una specie di uomini il cui volto fa il panno e si vela come un'acqua stagnante, e che si mantengono in un ostinato silenzio col proposito di acquistarsi una fama di saggezza, di gravità e di profondità di pensiero, come se dicessero: "Io sono il signor Oracolo, e quando apro la bocca, guardate che nessun cane abbai". Ne conosco, Antonio, di quelli che sono reputati savi soltanto perché non dicono nulla, mentre sono sicuro che se parlassero farebbero quasi dannare i loro ascoltatori che, udendoli, chiamerebbero stupidi questi loro fratelli. Ma intorno a ciò parlerò a lungo un'altra volta. Tu non pescare con l'amo della malinconia lo stupido ghiozzo di una stima così fatta. Andiamo mio buon Lorenzo. Addio, per ora. Finirò la mia predica dopo pranzo.
LORENZO: Bene, vi lasceremo dunque sino all'ora del pranzo. Io sono costretto a diventare uno di questi tali muti sapienti, perché Graziano non mi lascia mai parlare.
GRAZIANO: Sicuro! Resta in mia compagnia ancora per due anni e tu non conoscerai più il suono della tua voce.
ANTONIO: A rivederci. Diventerò un chiacchierone per la circostanza.
GRAZIANO: Ve ne sarò grato davvero, perché il silenzio è commendevole soltanto in una lingua di bue seccata e in una ragazza che non si vende. (Escono Graziano e Lorenzo)
ANTONIO: C'è un qualche senso in tutto ciò?
BASSANIO: Graziano dice un'enorme quantità di inezie, più che qualsiasi uomo in tutta Venezia. Le sue idee sono come due chicchi di grano nascosti in due staia di pula. Si deve cercare un'intiera giornata prima di trovarle e quando si sono trovate, non valeva la pena che fossero cercate.
ANTONIO: Dunque, ditemi ora chi è la signora a cui avete fatto giuramento di un segreto pellegrinaggio, quella di cui m'avete promesso di parlarmi oggi.
BASSANIO: Voi sapete bene, Antonio, quanto io abbia dissestato il mio patrimonio ostentando un tenore di vita più fastoso di quanto i miei deboli mezzi non potessero a lungo consentire. E non mi lamento ora di essere costretto a troncare un così grandioso stile, ma la mia cura principale è di trarmi fuori onorevolmente dai debiti nei quali la mia gioventù soverchiamente prodiga mi ha impigliato. A voi, Antonio, debbo assai di danaro e di affetto, e dal vostro affetto mi viene la fiducia di rivelarvi le mie intenzioni e i disegni del come mi voglio liberare di tutti i debiti che ho contratti.
ANTONIO: Ve ne prego, caro Bassanio, mettetemi al corrente di tutto, e se la cosa resta nei limiti dell'onore, come vi restate sempre voi stesso, siate sicuro che la mia borsa, la mia persona e i miei estremi mezzi sono tutti a disposizione delle vostre richieste.
BASSANIO: Nel tempo in cui andavo a scuola, allorché perdevo una freccia, ne scoccavo una seconda della stessa portata nella medesima direzione, con più circospetta attenzione, per ritrovare la prima, e, arrischiandone due, spesso le ritrovavo entrambe. Ricordo questa esperienza della mia fanciullezza perché ciò che viene ora è anch'esso pura fanciullaggine. Io vi devo molto; ma, come un ragazzo caparbio, ho perduto tutto ciò che vi devo. Ora se vi piacesse scoccare un'altra freccia nella medesima direzione in cui scoccaste la prima, sono sicuro che, stando bene attento al punto di arrivo o le ritroverò tutte e due, o vi riporterò quella che avete arrischiata da ultimo, e vi resterò grato debitore della prima.
ANTONIO: Voi mi conoscete bene e perdete soltanto del tempo nel rivolgervi al mio affetto con queste circonlocuzioni. Certamente mi fate più torto a dubitare che io non voglia fare per voi tutto ciò che posso, che se aveste scialacquato tutto il mio avere. Ditemi soltanto che cosa dovrei fare che voi crediate che da me si possa, e sono subito a vostra disposizione. Parlate dunque.
BASSANIO: A Belmonte vive una dama, ricca ereditiera. Essa è bella, e, ciò che è più bello ancora, di meravigliosa virtù. In passato ho ricevuto dai suoi occhi dolci e muti messaggi. Il suo nome è Porzia, per nulla inferiore alla figlia di Catone, la Porzia di Bruto. Il vasto mondo non ignora i meriti di lei, poiché i quattro venti spingono colà, col loro soffio, da ogni spiaggia illustri corteggiatori. I suoi riccioli color di sole le cadono sulle tempie come un vello d'oro; il che fa della sua residenza di Belmonte un lido di Colco, e molti Giasoni vanno alla conquista di lei. O mio Antonio, se potessi avere i mezzi di prendere una posizione di rivale di fronte a uno di essi l'animo mi presagisce un tale successo che io potrei essere senza dubbio fortunato.
ANTONIO: Tu sai che tutte le mie ricchezze sono in mare, e io non ho né danaro né mercanzia per approntare subito una somma. Perciò mettiti in giro e prova quel che il mio credito può ottenere in Venezia. Esso sarà forzato sino all'estremo per fornirti i mezzi d'andare a Belmonte dalla bella Porzia. Va', informati subito, come farò anch'io, dove c'è del danaro, e io non dubito di ottenerlo o in forza del mio credito o per riguardo alla mia persona. (Escono)
SCENA SECONDA - Belmonte. Una stanza nella casa di Porzia
(Entrano PORZIA e NERISSA)
PORZIA: Parola d'onore, Nerissa, il mio piccolo corpo è stanco di questo gran mondo.
NERISSA: Dovreste essere stanca, buona signora, se le vostre disgrazie fossero nella stessa misura delle vostre fortune. Tuttavia a quanto vedo, coloro che sono sazi del troppo si ammalano al pari di quelli che non possono riempirsi di nulla. Perciò non è mediocre felicità essere in una mediocre posizione. La superfluità fa più presto i capelli bianchi, mentre la mera sufficienza vive più a lungo.
PORZIA: Buone massime e ben dette.
NERISSA: Sarebbero migliori se fossero ben seguite.
PORZIA: Se l'opera fosse così facile come il conoscere ciò che è bene di fare, le cappelle sarebbero diventate delle chiese e le abitazioni dei poveri dei palazzi principeschi. E' un buon sacerdote colui che segue i propri precetti. Io potrei più facilmente insegnare a venti persone ciò che sarebbe bene fare, anziché essere io una di quelle venti e seguire i precetti miei. Il cervello può formulare delle leggi per il sangue, ma un carattere ardente balza al di là di un freddo decreto, e quella pazzia che si chiama giovinezza è come una lepre che spicca un salto al di sopra delle reti di quello zoppo che è il buon consiglio. Ma questi discorsi non sono il mezzo adatto per scegliermi un marito. Ahimè! questa parola "scegliere"! Io non posso né scegliere colui che vorrei, né rifiutare colui che mi dispiace: tale è la volontà di una figlia viva, imbrigliata dall'ultima volontà di un padre morto. Non è forse duro, Nerissa, che io non possa né scegliere né rifiutare alcuno?
NERISSA: Vostro padre fu sempre virtuoso; e gli uomini pii hanno, sul punto di morte, delle buone ispirazioni; e da esse gli è venuta l'idea della lotteria di questi tre scrigni, d'oro, d'argento e di piombo, fra i quali chi sceglie secondo le sue intenzioni sceglie voi: senza dubbio voi non sarete mai giustamente scelta se non da uno che sa veramente amare. Ma c'è nel vostro animo qualche simpatia per alcuno di questi principeschi pretendenti che sono già arrivati?
PORZIA: Ti prego, ripetimi i loro nomi. Via via che tu li enumeri te li descriverò, e, a seconda della mia descrizione, indovina la mia simpatia.
NERISSA: Prima c'è il principe napoletano.
PORZIA: Già, quello si che è come un puledro non scozzonato, perché non fa altro che parlare del suo cavallo, e considera una grande aggiunta agli altri suoi meriti quello di saperlo ferrare da sé. Ho paura che la signora sua madre abbia trescato con un maniscalco.
NERISSA: Poi c'è il conte Palatino.
PORZIA: Egli non fa che aggrottare le ciglia come uno che dica: "se non mi volete, fate il piacer vostro". Ascolta delle storielle allegre e non ride mai. Temo che invecchiando diventerà il filosofo che piange, se in gioventù è pieno di così grossolana gravità. Vorrei piuttosto essere la moglie di una testa di morto con un osso in bocca, anziché quella dell'uno o dell'altro. Dio mi protegga da questi due!
NERISSA: Che cosa dite del signore francese, monsieur Le Bon?
PORZIA: Dio l'ha creato, e perciò consideriamolo pure come un uomo.
Veramente so che il motteggiare è un peccato. Ma lui! Ha un cavallo migliore di quello del Napoletano e la cattiva abitudine di aggrottare le ciglia è in lui migliore di quella del conte Palatino. E il signor tutti senza essere nessuno Se un tordo fischia si mette a far le capriole e sarebbe capace di battersi con la propria ombra. Sposando lui sposerei venti mariti. Se egli mi trattasse con disprezzo gli perdonerei, ché se mi amasse alla follia non potrei mai ripagarlo di egual moneta.
NERISSA: E per Falconbridge, il giovane barone d'Inghilterra, che cosa dite?
PORZIA: Sai che non gli dico nulla, perché egli non capisce me e io non capisco lui. Non parla né latino, né francese, né italiano, e tu potresti venire a giurare in tribunale che io possiedo appena un misero soldo d'inglese. E' un bel ritratto di un uomo; ma, ahimè, chi può conversare con un personaggio da pantomima? Come è vestito buffo!
Credo che abbia comprato il giustacuore in Italia, le brache a sboffo in Francia, il cappello in Germania e le maniere un po' da per tutto.
NERISSA: Che pensate del signore scozzese, suo prossimo vicino?
PORZIA: Che egli è pieno di carità del prossimo: perché ha preso in prestito un ceffone dall'Inglese e ha giurato di renderglielo quando potrà. Credo che il Francese abbia data sicurtà per lui, e gli abbia garantita la restituzione.
NERISSA: E come vi piace il giovane tedesco, il nipote del duca di Sassonia?
PORZIA: Detestabile al mattino quando è in sé, detestabilissimo nel pomeriggio quando ha bevuto. Quando è nei suoi momenti migliori è un po' peggio di un uomo, quando è nei peggiori è poco meglio di una bestia. Se mi capitasse il peggior caso che mai possa capitare, spero di trovare il modo di liberarmi di lui.
NERISSA: Se egli si offrisse di tentar la scelta e scegliesse lo scrigno giusto, voi, rifiutando di accettarlo, rifiutereste di adempiere alla volontà di vostro padre.
PORZIA: E' perciò che, per paura del peggio, ti prego di mettere un bicchiere colmo di vino del Reno sullo scrigno non giusto; perché se dentro di esso fosse il diavolo e, fuori, quella tentazione, sono sicura che egli sceglierebbe quello. Farò di tutto, Nerissa, prima di dover sposare una spugna.
NERISSA: Non c'è bisogno che temiate, madonna, di dover prendere alcuno di questi signori. Essi mi hanno avvertita della loro decisione, che è proprio quella di tornarsene alle loro case e di non importunarvi più con la loro corte, a meno che non vi si possa guadagnare con qualche altro mezzo che non sia la condizione imposta da vostro padre in dipendenza degli scrigni.
PORZIA: Dovessi vivere sino a diventar vecchia come la Sibilla, morirò casta come Diana, se non sarò conquistata nel modo indicato dal testamento di mio padre. Sono contenta che questa mandata di pretendenti sia così ragionevole, perché non ce n'è uno fra essi che io non mi strugga di saper lontano, e prego Dio che conceda loro un buon viaggio.
NERISSA: Non vi ricordate, signora, a tempo di vostro padre, di un Veneziano, uomo di lettere e soldato, che venne qui in compagnia del marchese del Monferrato?
PORZIA: Certamente; era Bassanio.... Così mi pare che si chiamasse.
NERISSA: Precisamente, signora. Egli era di tutti gli uomini su cui si posassero i miei umili sguardi quello che più d'ogni altro era degno di una bella signora.
PORZIA: Me lo ricordo bene, e mi ricordo che è degno della tua lode.
(Entra un Servo)
Ebbene, che notizie?
SERVO: I quattro forestieri chiedono di voi per prendere congedo; e v'è un corriere che viene da parte di un quinto, il principe del Marocco, il quale annunzia che il principe, suo signore, sarà qui questa sera.
PORZIA: Se potessi al quinto dare il benvenuto di così buon animo come do agli altri l'addio, sarei contenta del suo arrivo. Avesse egli l'indole di un santo, ma l'aspetto di un diavolo, preferirei averlo per pio conforto anziché per mio consorte. Vieni, Nerissa, e voi, giovanotto, precedeteci. Mentre chiudiamo l'uscio dietro un pretendente eccone un altro che picchia alla porta. (Escono)
SHYLOCK: Tremila ducati.... Sta bene.
BASSANIO: Per l'appunto, signore; per tre mesi.
SHYLOCK: Per tre mesi.... Sta bene.
BASSANIO: Per i quali, come vi dicevo, Antonio resterà garante.
SHYLOCK: Antonio resterà garante. Sta bene.
BASSANIO: Potete aiutarmi? Volete farmi questo piacere? E' possibile sapere la vostra risposta?
SHYLOCK: Tremila ducati per tre mesi e la garanzia di Antonio.
BASSANIO: Vi chiedo una risposta.
SHYLOCK: Antonio è buono.
BASSANIO: Avete udito qualche voce in contrario?
SHYLOCK: Ah no, no, no, no! La mia intenzione nel dire che egli è buono è di farvi comprendere che egli è benestante. Tuttavia la sua fortuna è alquanto ipotetica. Egli ha una ragusea in rotta per Tripoli, un'altra per le Indie. Ho saputo inoltre a Rialto che ne ha una terza al Messico e una quarta diretta in Inghilterra: e altre mercanzie alla ventura sparse qua e là per il mondo. Ora le navi non sono che tavole e i marinai non altro che uomini. Vi sono topi di terra e topi d'acqua, ladri d'acqua e ladri di terra, voglio dire pirati, e poi c'è il pericolo delle onde, dei venti, degli scogli. La persona è, ad onta di tutto ciò, benestante. Tremila ducati.... Credo di poter accettare la sua garanzia.
BASSANIO: State certo che potete.
SHYLOCK: Voglio esser sicuro di potere, e, per assicurarmene meglio, voglio pensarci su. Posso parlare ad Antonio?
BASSANIO: Se vi piacesse di venire a pranzo con noi.
SHYLOCK: Già; per sentire l'odore del porco e mangiare di quel ricettacolo nel quale il vostro profeta, il Nazareno, fece con esorcismi entrare il diavolo! Io voglio, sì, fare con voi operazioni di compra e di vendita, parlare con voi, passeggiare con voi, e via di seguito; ma non voglio né mangiare con voi, né bere con voi, né pregare con voi.. Che notizie ci sono a Rialto? Chi viene da queste parti?
(Entra ANTONIO)
BASSANIO: E' il signor Antonio.
SHYLOCK (a parte): Come somiglia tutto a uno strisciante pubblicano!
Io l'odio perché è un cristiano, ma assai più perché nella sua sciocca umiltà presta il danaro gratis e fa diminuire, da noi in Venezia, il saggio dell'interesse. Ma se posso una volta o l'altra mettermelo sotto, voglio saziare il vecchio rancore che gli porto. Egli odia il nostro santo popolo e parla, proprio là, dove è il maggior convegno dei mercanti, ingiuriosamente di me, dei miei affari e dei miei guadagni fatti lecitamente, che egli chiama usura. Sia maledetta la mia razza se gli perdono.
BASSANIO: Shylock, mi state a sentire?
SHYLOCK: Sto facendo il conto di quanto tengo in cassa e, da un calcolo approssimativo che faccio a memoria, non posso subito mettere insieme tutta la somma di tremila ducati. Ma che importa? Tubal, un ricco ebreo della mia tribù, me li procurerà. Ma adagio.... Quanti mesi desiderate? (Ad Antonio:) Dio vi prosperi, mio buon signore.
L'ultima persona che avevamo sulle labbra era Vossignoria.
ANTONIO: Shylock, quantunque io non presti né contragga prestiti, prendendo o dando a interesse, tuttavia per sopperire agli urgenti bisogni del mio amico, farò uno strappo alla mia abitudine. (A Bassanio:) E' già informato di quanto desiderate?
SHYLOCK: Sì, sì: tremila ducati.
ANTONIO: E per tre mesi.
SHYLOCK: Non me ne ricordavo più. Tre mesi... Così mi avete detto.
Bene!... E con la vostra garanzia. Vediamo un po'... Ma ascoltatemi.
Mi pare che abbiate detto che voi non prendete e non date a prestito con interesse.
ANTONIO: Non ho mai avuto quest'abitudine.
SHYLOCK: Quando Giacobbe conduceva al pascolo il gregge di suo zio Labano... Questo Giacobbe, a cominciare dal nostro santo Abramo, in grazia di ciò che sua madre fece per avvantaggiarlo, fu il terzo proprietario... Sicuro, fu il terzo.
ANTONIO: E che c'entra lui? Prestava a interesse?
SHYLOCK: No, non prestava a interesse; non precisamente a interesse, come direste voi. Ecco ciò che faceva Giacobbe. Dopo che egli e Labano convennero insieme che tutti gli agnellini vergati e vaiolati andrebbero come salario a Giacobbe, alla fine dell'autunno, le pecore, essendo in caldo, furono menate ai montoni. Mentre si compiva l'atto della generazione fra quei lanosi genitori, l'avveduto pastore prese delle verghe verdi e le scorzò e, nell'istante che si compiva l'atto di natura, le piantò ritte dinanzi alle pecore in calore le quali, concependo in quel punto, quando venne il tempo di figliare, partorirono agnelli vergati, e questi erano di Giacobbe. Questo era un modo di crescere in facoltà, ed egli fu benedetto: e il guadagno è una benedizione quando gli uomini non lo rubano.
ANTONIO: Ma ciò per cui Giacobbe prestava il suo servizio era, signor mio, un rischio, una cosa che non era in suo potere di far succedere, ma governata e regolata dalla mano del cielo. E ciò è stato inserito nella Sacra Scrittura per rendere onesta l'usura? oppure il vostro oro e il vostro argento sono e pecore e montoni?
SHYLOCK: Non saprei dire. Io li faccio prolificare altrettanto. Ma ascoltatemi, signore.
ANTONIO: Fa' bene attenzione, Bassanio: il diavolo può citare la Sacra Scrittura per i suoi fini. Un'anima malvagia che adduce una sacra testimonianza è simile a un ribaldo con un viso sorridente o a una bella mela tutta fradicia dentro. Oh, che bella apparenza ha la falsità!
SHYLOCK: Tremila ducati! E' una bella somma tonda. Tre mesi su dodici... Vediamo allora... L'interesse...
ANTONIO: Insomma, Shylock, vi possiamo essere obbligati sì o no?
SHYLOCK: Signor Antonio, più e più volte a Rialto mi avete biasimato per i miei danari e per i miei interessi; e io ho sopportato tutto con una paziente alzata di spalle, perché la sopportazione è il distintivo di tutta la nostra razza Mi avete chiamato miscredente, un cane di strozzino, e avete sputato sul mio gabbano di ebreo; e tutto ciò per l'uso che faccio di quel che è mia proprietà. Ebbene ora pare che abbiate bisogno del mio aiuto. Avanti, dunque! Voi venite da me e mi dite: Shylock, vorremmo avere del danaro. Così voi dite, voi che avete schizzato il vostro moccio sulla mia barba e mi avete allungata una pedata, come quando scacciate un cagnaccio randagio dalla soglia della vostra casa. E mi chiedete del danaro! Che cosa dovrei rispondervi?
Non dovrei forse rispondervi: "Ha forse danaro un cane? è mai possibile che un cagnaccio possa prestare tremila ducati?". Oppure dovrei inchinarmi sino a terra e col tono di uno schiavo, col fiato mozzo, con umili mormorazioni dirvi: "Caro signore, mercoledì scorso mi avete sputato addosso, il tal giorno mi avete preso a pedate, un'altra volta mi avete chiamato cane... e per queste cortesie vi presterò una così grande somma?".
ANTONIO: Sono pronto a chiamarti così di nuovo, a sputarti addosso di nuovo e anche a prenderti a pedate. Se vuoi prestar questa somma, prestala, ma non come ad amici tuoi, perché quando mai l'amicizia ha preso dall'amico un frutto dello sterile metallo? Prestala piuttosto al tuo nemico, dal quale, se egli manca all'impegno, tu potrai a viso più aperto esigere la penale.
SHYLOCK: Via; guardate come vi irritate! Io vorrei che voi ed io fossimo amici, vorrei acquistarmi il vostro affetto, dimenticare gli affronti onde m'avete insozzato, soccorrere ai vostri presenti bisogni, non prendere neppure un centesimo di interesse per il mio danaro, e voi non volete ascoltarmi. E' una cortese offerta questa.
BASSANIO: Sarebbe la cortesia stessa.
SHYLOCK: E di questa cortesia voglio darvi prova. Venite con me da un notaio; firmatemi, soltanto voi, l'obbligazione; e, per puro scherzo, se voi non mi rimborserete per tal giorno in tal luogo, quella somma o quelle somme, come sarà dichiarato nel contratto l'ammontare della penale, sarà rappresentato da un'esatta libbra della vostra bella carne da tagliarsi e da prendersi in quella parte del vostro corpo che a me piacerà.
ANTONIO: D'accordo, in fede mia firmerò una tale obbligazione e dirò che c'è nell'ebreo molta cortesia.
BASSANIO: No, voi non firmerete per me un contratto simile. Preferisco rimanere nel mio imbarazzo.
ANTONIO: Via, non abbiate paura, amico. Non incorrerò nella penale.
Entro i due prossimi mesi, ossia un mese prima che scada l'obbligazione, aspetto un provento nove volte maggiore della valuta di essa.
SHYLOCK: O padre Abramo, come sono questi cristiani! Il loro duro modo di procedere insegna loro a sospettare delle intenzioni degli altri.
(A Bassanio:) Ditemi, per piacere, se egli mancasse al giorno stabilito, che guadagno avrei a esigere la penale? Una libbra di carne umana tolta a un uomo, non ha né il valore né l'utilità di quella dei montoni, dei buoi o delle capre. Se gli faccio questa profferta di amicizia, santo cielo, è per guadagnarmi le sue buone grazie. Se egli l'accetta, bene, se no, addio. E per questa prova di amicizia, vi prego di non trattarmi male.
ANTONIO: Sì, Shylock; sottoscriverò questa obbligazione.
SHYLOCK: Allora aspettatemi fra poco dal notaio e dategli le istruzioni per questo allegro contratto. Io vado subito a mettere i ducati nella borsa e a dare un'occhiata alla mia casa che è rimasta nella malsicura custodia di uno spensierato furfante. Vi raggiungerò subito.
ANTONIO: Spicciati, amabile giudeo. (Esce Shylock) L'ebreo sta per farsi cristiano: diventa cortese.
BASSANIO: A me non piacciono delle belle condizioni e un animo perverso.
ANTONIO: Venite, in questo non ci può essere ragione di temere. Le mie navi saranno di ritorno un mese prima del giorno fissato. (Escono)
ATTO SECONDO
PRINCIPE DEL MAROCCO: Non vi ripugni il mio colore, scura divisa dell'ardente sole, al quale io sono vicino e prossimo parente.
Portatemi qui l'essere più bello nato nel nord, dove la fiamma di Febo a mala pena scioglie i ghiaccioli, e lasciateci, per amor vostro, fare un taglio, per mostrare quale sangue è più rosso, il suo o il mio. Io ti posso assicurare, o Signora, che questo mio aspetto ha fatto paura ai più coraggiosi. Ti giuro, sul mio amore, che le più illustri fanciulle del nostro paese se ne sono anche invaghite. E non cambierei questo mio colore se non per rapire i vostri pensieri, mia graziosa regina.
PORZIA: In quanto a scegliere io non posso lasciarmi condurre unicamente dalla scrupolosa guida dei miei occhi di fanciulla; inoltre l'essere il mio destino rimesso alla sorte mi sbarra il diritto a una scelta volontaria. Ma se mio padre non mi avesse, con la sua saggezza, imposto tali legami e limiti, da darmi in moglie a colui che mi guadagna con quei modi che v'ho detto anche voi, illustre principe, sareste di fronte alla mia inclinazione così immacolato come tutti gli altri visitatori che ho finora visti.
PRINCIPE DEL MAROCCO: Anche per questo vi ringrazio. Vi prego quindi di condurmi agli scrigni, per tentar la mia fortuna. Per questa scimitarra che ha ucciso il Sofì e un principe di Persia, che ha vinto tre battaglie sul sultano Solimano, io potrei far abbassare gli occhi che si levassero più arditamente, sfidare il più audace coraggio della terra, strappare all'orsa i piccoli mentre poppano e, anche di più prendermi gioco del leone quando ruggisce in cerca di preda, per conquistare te, o signora. Ma ahimè! Se Ercole e Lica giocassero a dadi per vedere chi dei due è più forte, il miglior tiro potrebbe essere fatto per avventura dalla mano più debole. Così Alcide si lascerebbe vincere dal suo paggio, e così potrei anch'io, guidandomi la cieca fortuna, mancare ciò che può ottenere uno meno degno, e morir di dolore.
PORZIA: Voi dovete correre il vostro rischio e non tentare affatto la scelta, o prima di scegliere, giurare, se scegliete male, di non rivolgere in avvenire profferte di matrimonio ad alcuna signora.
Perciò riflettete bene.
PRINCIPE DEL MAROCCO: No non ne rivolgerò. Orsù, conducetemi al mio rischio.
PORZIA: Prima rechiamoci al tempio. Dopo pranzo sarà decisa la vostra sorte.
PRINCIPE DEL MAROCCO: A te dunque, o buona fortuna, di rendermi il più beato o il più disgraziato fra gli uomini! (Squilli di cornette)
(Escono)
SCENA SECONDA - Venezia. Una strada
(Entra LANCILLOTTO)
LANCILLOTTO: Certamente la mia coscienza finirà per consentirmi di scappare da questo mio padrone ebreo... Il diavolo mi sta alle costole e mi tenta dicendomi: "Gobbo, Lancillotto Gobbo, buon Lancillotto o buon Gobbo, fa' uso delle tue gambe, prendi il volo, scappa via". La mia coscienza dice: "No, bada bene, onesto Lancillotto, bada bene, onesto Gobbo, o, come ho detto prima, onesto Lancillotto Gobbo: non scappare, da' un calcio a quest'idea di dartela a gambe". Ma ecco che il coraggiosissimo diavolo mi ordina di far fagotto. "Via! - dice il diavolo. - Va' via! - dice il diavolo. - In nome del cielo, prendi risolutamente una decisione e scappa". Allora la mia coscienza, attaccandosi al collo del mio cuore, mi dice assai saggiamente: "Mio onesto amico Lancillotto, poiché tu sei il figlio di un onest'uomo, o meglio, il figlio di un'onesta donna...", perché mio padre sapeva un po', un po' d'attaccaticcio, aveva un certo gusto... Basta, la mia coscienza mi dice: "Lancillotto, non ti muovere". "Muoviti", dice il diavolo. "Non ti muovere", replica la mia coscienza. Coscienza rispondo io, tu mi consigli bene. Tu mi consigli bene, diavolo, rispondo io. A dar retta alla mia coscienza, dovrei rimanere con l'ebreo mio padrone che, salvo mi sia, è una specie di diavolo, e se scappassi dall'ebreo darei retta al diavolo, che, col dovuto rispetto, è il diavolo in persona. Certamente l'ebreo è proprio un diavolo incarnato, e, in coscienza, la mia coscienza è una specie di coscienza insensibile per darmi il consiglio di rimanere con l'ebreo. Il diavolo mi dà un consiglio più amichevole. Scapperò, diavolo: le mie calcagna sono ai tuoi ordini; scapperò.
(Entra il vecchio GOBBO, con un paniere)
GOBBO: O giovinotto, per piacere, qual è la strada per andare dal padrone ebreo?
LANCILLOTTO: (a parte) O cielo, questi è il mio padre legittimamente generato, il quale avendo mangiato cicerchie, anzi addirittura veccioni, non mi riconosce. Voglio farlo confondere un poco.
GOBBO: Giovinotto, per piacere, qual è la strada per andare dal padrone ebreo?
LANCILLOTTO: Prendete a destra alla prima svoltata, e poi alla prima di tutte le svoltate prendete a sinistra; ma per carità, proprio alla primissima svoltata, non prendete da nessuna parte, ma andate giù indirettamente alla casa dell'ebreo.
GOBBO: Per i santi del Signore, sarà una strada difficile a imbroccare. Sapete dirmi se un certo Lancillotto che abita con lui, ci sta o no?
LANCILLOTTO: Volete dire il signorino Lancillotto? (a parte) Attenti ora; ora faccio gonfiar le acque. Volete dire il signorino Lancillotto?
GOBBO: Non un signore, signor mio; ma il figlio di un pover'uomo. Suo padre, benché lo dica io, è un poverissimo onest'uomo e, grazie a Dio, vivo e vegeto.
LANCILLOTTO: Bene, che suo padre sia ciò che egli vuole; noi parlavamo del signorino Lancillotto.
GOBBO: Servo devoto di Vossignoria, ma semplicemente Lancillotto, signore.
LANCILLOTTO: Ma vi prego, "ergo", buon vecchio, "ergo", ve ne supplico; dite il signorino Lancillotto.
GOBBO: Lancillotto se piace a Vossignoria.
LANCILLOTTO: "Ergo", il signor Lancillotto. Oh non rammentate il signor Lancillotto, buon uomo: poiché il giovane gentiluomo, per volere dei Fati, dei Destini e di altri simili strani modi di dire, come le Tre Sorelle e siffatti rami del sapere, è in verità trapassato o, come direste voi con semplici parole è volato al cielo.
GOBBO: Santa Vergine! Dio non voglia! Il ragazzo era proprio il bastone della mia vecchiaia, proprio il mio sostegno.
LANCILLOTTO: (a parte) Somiglio io a un randello, a un puntello, a un bastone o a un sostegno? Mi riconoscete, babbino?
GOBBO: Oh poverini! Non vi riconosco, signorino mio. Ma di grazia, ditemi: il mio ragazzo - Dio abbia in pace l'anima sua S vivo o morto?
LANCILLOTTO: Non mi riconoscete, babbino?
GOBBO: Ah! signore, sono mezzo cieco; non vi riconosco.
LANCILLOTTO: Eh!... anche se aveste la vostra vista, potreste forse non riconoscermi; è bravo quel padre che riconosce il proprio figlio.
Ebbene, buon vecchio, vi darò notizie del vostro figliolo. Datemi la vostra benedizione. (Si inginocchia) La verità verrà a galla. Un omicidio non può rimaner nascosto a lungo mentre il figlio di un uomo, sì; ma alla lunga la verità viene fuori .
GOBBO: Vi prego, signore, alzatevi. Son sicuro che non siete Lancillotto, il ragazzo mio.
LANCILLOTTO: Vi prego, non facciamo più scherzi su quest'argomento, ma datemi la vostra benedizione. Io sono Lancillotto, quello che fu il vostro ragazzo, che è il vostro figliolo e che sarà il vostro rampollo.
GOBBO: Non posso credere che voi siate mio figlio.
LANCILLOTTO: Non so che cosa debbo pensare di ciò ma io sono Lancillotto, il servo dell'ebreo, e sono sicuro che la Ghita vostra moglie è mia madre.
GOBBO: Il suo nome è infatti Ghita. E se tu sei Lancillotto, posso giurare che sei carne mia e sangue mio. Dio sia benedetto! Che barba hai messo su! Hai più peli tu sul mento che non ne ha sulla coda Dobbin, il cavallo del mio barroccio.
LANCILLOTTO (alzandosi): Parrebbe che la coda di Dobbin cresca alla rovescia. Sono sicuro che l'ultima volta che lo vidi aveva più peli sulla coda che non ne ho io sul viso.
GOBBO: Dio, come sei cambiato! Come andate d'accordo tu e il tuo padrone? Gli ho portato un regalo. Come andate d'accordo, dunque?
LANCILLOTTO: Bene, bene, ma per parte mia, siccome ho preso la ferma decisione di scapparmene, così non mi fermerò finché non ho corso un buon tratto di strada. Il mio padrone è un vero ebreo. Dargli un regalo! Un capestro piuttosto. Muoio di fame al suo servizio. Voi potete contare con le mie costole ogni dito che ho. Babbo, sono contento che siate venuto. Date il vostro regalo a un signor Bassanio che dà davvero delle splendide livree nuove. Se io non entro al suo servizio voglio correre tanto lontano quanta terra c'è sotto il cielo.
Ma che rara combinazione! La persona viene da questa parte. Andiamo incontro a lui, babbo, perché sono un ebreo, se sto più a lungo a servizio dell'ebreo.
(Entrano BASSANIO con LEONARDO e altri Servi)
BASSANIO: Fate pur così; ma spicciatevi, in modo che la cena sia pronta al più tardi per le cinque. Guardate che queste lettere siano consegnate; date a fare le livree, e pregate Graziano di venire immediatamente a casa mia. (Esce un Servo)
LANCILLOTTO: Parlategli, babbo.
GOBBO: Dio benedica Vossignoria.
BASSANIO: Mille grazie! Vuoi qualche cosa da me?
GOBBO: C'è qui mio figlio, signore, un povero ragazzo...
LANCILLOTTO: Non un povero ragazzo, signore; ma il servo del ricco ebreo, che vorrebbe signore, come mio padre specificherà...
GOBBO: Egli è, signore, come si direbbe, assai declinato a servire...
LANCILLOTTO: A farla lunga e breve, io sto al servizio dell'ebreo e desidero, come mio padre specificherà...
GOBBO: Il suo padrone e lui, salvo il rispetto a Vossignoria, sono un po' come cane e gatto...
LANCILLOTTO: A farla breve, la verità vera è che l'ebreo avendomi trattato male, è stato causa che io, come mio padre, che è, spero bene, un uomo vecchio, vi fruttificherà....
GOBBO: Ho qui una tegliata di piccioni che vorrei offrire a Vossignoria, e la mia preghiera è...
LANCILLOTTO: In pochissime parole, la preghiera è impertinente a me stesso, come Vossignoria apprenderà da questo onesto vecchio, e, nonostante che lo dica io, quantunque vecchio, povero: mio padre.
BASSANIO: Parli uno per tutti e due. Che cosa volete?
LANCILLOTTO: Entrare al vostro servizio, signore GOBBO: Questa è la vera "assenza" della questione, signore.
BASSANIO: Ti conosco bene: hai ottenuto ciò che chiedi. Il tuo padrone Shylock, che ha discorso oggi con me, ti diceva degno di una promozione: se si può dire esser promosso il lasciare il servizio di un ricco ebreo e diventare il domestico di un povero gentiluomo come me.
LANCILLOTTO: Il vecchio proverbio si può dividere bene in due parti fra il mio padrone Shylock e voi, signore: voi avete la grazia di Dio ed egli ha la ricchezza sufficiente.
BASSANIO: Hai detto bene. Va' babbo, col tuo figliolo. Licenziati dal tuo vecchio padrone e fatti insegnare dov'è la mia casa. (Ai Servi:) Dategli una livrea con più guarnizioni che quelle dei suoi compagni.
Guardate che ciò sia fatto.
LANCILLOTTO: Venite, babbo. Io non posso procurarmi un servizio, no.
Lascio sempre la lingua a casa. (Si guarda la palma della mano) Eppure se c'è in Italia qualcuno che abbia una palma più bella della mia da stenderla sulla Bibbia per giurare che io avrò buona fortuna... Ecco:
qui c'è una semplicissima linea di vita! qui una sciocchezzuola di mogli. Oh! quindici mogli sono un nonnulla. Undici vedove e nove ragazze sono una misera rendita per un uomo solo. E poi c'è il segno di scampare tre volte dall'annegare e quello di trovarsi in pericolo di vita sulla sponda di un letto di piume: questi sono scampi da ridere! Orbene, se la Fortuna è femmina, essa è una buona ragazza per questa volta. Venite, babbo; mi licenzierò dall'ebreo in un batter d'occhio.
(Escono Lancillotto e il vecchio Gobbo)
BASSANIO: Ti prego, buon Leonardo, prenditi cura dl questo: dopo aver comprato e messo debitamente in ordine le cose che t'ho detto, ritorna subito, perché ho invitato stasera a cena le più ragguardevoli mie conoscenze. Va' e sbrigati.
LEONARDO: Metterò tutto il mio impegno.
(Entra GRAZIANO)
GRAZIANO: Dov'è il vostro padrone?
LEONARDO: E' là, signore, che passeggia. (Esce)
GRAZIANO: Signor Bassanio!
BASSANIO: Graziano!
GRAZIANO: Ho da chiedervi un favore.
BASSANIO: L'avete già ottenuto.
GRAZIANO: Non dovete dirmi di no: ho bisogno di venire con voi a Belmonte.
BASSANIO: Eh... dal momento che ne avete bisogno! Ma prestami bene attenzione, Graziano. Tu sei troppo imprudente, troppo spiccio, troppo ardito di lingua: qualità che a te si adattano abbastanza bene e che ad occhi come i nostri non appaiono difetti, ma dove non sei conosciuto, ebbene là esse rivelano qualche cosa di troppo licenzioso.
Abbi cura, ti prego, di temperare con qualche fredda goccia di moderazione il tuo animo impetuoso, se no, per la tua imprudente condotta, io potrei esser mal giudicato nella casa dove vado, e perdere le mie speranze.
GRAZIANO: Ascoltatemi, signor Bassanio. Se non assumerò un contegno serio, se non parlerò decentemente, se non sacrerò solo di tanto in tanto, se non porterò in tasca il mio libro delle orazioni, se non prenderò un'aria compunta, se mentre è detto il "Benedicite" non mi tirerò sugli occhi il cappello, così, se non sospirerò nel dire "Amen", se non metterò in pratica tutte le regole della buona creanza, come uno che s'è studiato di acquistar gravi maniere per piacere a sua nonna, non vi fidate più di me.
BASSANIO: Bene, vedremo i vostri portamenti.
GRAZIANO: Faccio però un'eccezione per questa sera: non mi dovete giudicare da quel che faremo questa sera.
BASSANIO: No; sarebbe peccato. Vorrei anzi esortarvi a prender l'aria della più spensierata gioia perché avremo degli amici che hanno voglia di divertirsi. Ma a rivederci. Ho qualche cosa da fare.
GRAZIANO: E io devo vedere Lorenzo e gli altri; ma saremo da voi all'ora della cena. (Escono)
GESSICA: Mi dispiace che tu voglia lasciare mio padre così. La nostra casa è un inferno e tu, un allegro diavolo, le toglievi un po' del suo senso di noia. Ma, addio; ecco un ducato per te, e, Lancillotto appena vedrai a cena Lorenzo, che è ospite del tuo nuovo padrone, dagli questa lettera, ma in gran segretezza. Addio dunque. Non vorrei che mio padre mi vedesse a discorrere con te.
LANCILLOTTO: Le lacrime mi esibiscono le parole. Bellissima pagana, dolcissima ebrea! Se un cristiano non diventa un briccone per ottenerti, vuol dire che non capisco più nulla. Queste stupide lacrime affogano un po' il mio coraggio virile. Addio.
GESSICA: Addio, buon Lancillotto. (Esce Lancillotto) Ahimè, quale odioso peccato è il mio a vergognarmi di essere la figlia di mio padre! Ma quantunque gli sia figlia per sangue, non gli sono tale per il carattere. O Lorenzo, se mantieni la tua promessa, io porrò fine a questa lotta, diventerò cristiana e tua moglie amorosa. (Esce)
SCENA QUARTA - Venezia. Una strada
(Entrano GRAZIANO, LORENZO, SALERIO e SOLANIO)
LORENZO: Sì; noi ce ne andremo alla chetichella durante la cena; ci maschereremo a casa mia e poi ritorneremo. Tutto in un'ora.
GRAZIANO: Ma non abbiamo fatto sufficienti preparativi.
SALERIO: Non abbiamo neppure parlato dei portatori di torce.
SOLANIO: Se non è preparata galantemente la cosa riuscirà meschina, e, a mio parere, è meglio non arrischiarvisi.
LORENZO: Non sono, ora, che le quattro. Abbiamo due ore per prepararci.
(Entra LANCILLOTTO con una lettera)
Che c'è di nuovo, amico Lancillotto?
LANCILLOTTO: Se vi compiacerete di dissuggellar questa, probabilmente essa ve lo dirà.
LORENZO: Conosco la mano: in verità, è una bella mano. E più bianca della carta su cui c'è scritto è la bella mano che scrisse.
GRAZIANO: Notizie amorose senza dubbio.
LANCILLOTTO: Col vostro permesso, signore.
LORENZO: Dove vai?
LANCILLOTTO: Eh! signore, a invitare il mio vecchio padrone, l'ebreo, a venire a cena dal mio nuovo padrone, il cristiano.
LORENZO: Aspetta, prendi questo. (Gli dà del danaro) Di' alla gentile Gessica che non mancherò, ma diglielo in segreto. Va'. (Esce Lancillotto) Signori, volete prepararvi per la mascherata di questa sera? Io mi sono provvisto di un portatore di torcia.
SALERIO: Certamente; ci vado subito.
SOLANIO: E io pure.
LORENZO: Veniteci a prendere, me e Graziano, a casa di Graziano fra un'ora.
SALERIO: Sta bene: faremo così.
(Escono Salerio e Solanio)
GRAZIANO: Quella lettera non era della bella Gessica?
LORENZO: Bisogna che ti dica tutto a ogni modo. Essa mi informa in che maniera la potrò portar via dalla casa di suo padre, di quanto oro e di quanti gioielli si è provvista e qual vestito da paggio ha pronto.
Se un giorno o l'altro l'ebreo suo padre andrà in paradiso sarà per causa della sua gentile figliola. La sventura non oserà mai attraversarle il cammino, a meno che non lo faccia sotto il pretesto che essa è nata da un miscredente ebreo. Orsù, vieni con me. Leggi mentre cammini. La bella Gessica sarà la mia portatrice di torcia.
(Escono)
SCENA QUINTA - Venezia. Davanti alla casa di Shylock
(Entrano SHYLOCK e LANCILLOTTO)
SHYLOCK: Bene, tu vedrai (e saranno giudici i tuoi occhi) la differenza fra il vecchio Shylock e Bassanio... Ehi, Gessica!... Tu non potrai più mangiare a quattro palmenti come hai fatto da me...
Ehi, Gessica!... E dormire e russare e strapparti i vestiti... Ehi, Gessica, dico!
LANCILLOTTO: Ehi, Gessica!
SHYLOCK: Chi t'ha dato l'ordine di chiamare? Io non t'ordino di farlo.
LANCILLOTTO: Vossignoria era sempre solito di dirmi che io non sapevo far nulla senza ordini.
(Entra GESSICA)
GESSICA: Mi chiamate? che cosa volete?
SHYLOCK: Sono invitato a cena, Gessica. Ecco le mie chiavi... Ma perché dovrei andarvi? Non sono invitato per affetto. Essi vogliono lisciarmi. Pur tuttavia ci andrò per odio, per divorare alle spalle del prodigo cristiano. Gessica, figlia mia, badate alla mia casa. Mi ripugna proprio di andare. C'è qualche sciagura che bolle in pentola contro la mia tranquillità, perché stanotte ho sognato sacchi di danaro.
LANCILLOTTO: Vi scongiuro, signore, andate. Il mio padroncino è in attesa dei vostri "rimprocci".
SHYLOCK: E io pure dei suoi.
LANCILLOTTO: E tutti hanno complottato insieme. Non vi dirò che voi vedrete una mascherata, ma se la vedrete vuol dire che non per nulla mi uscì il sangue dal naso lo scorso lunedì di Pasqua, alle sei del mattino, capitando quattro anni fa il mercoledì delle ceneri dopo pranzo.
SHYLOCK: Come! Vi sono delle mascherate? Ascoltatemi Gessica: state attenta alle mie porte, e quando sentite il tamburo o il volgare stridìo del piffero dal ritorto collo, non vi arrampicate alle finestre e non sporgete fuori la testa sulla strada per stare a vedere dei pazzi cristiani col viso impiastricciato, ma chiudete le orecchie della mia casa, ossia le mie finestre, e non fate entrare il suono della vana scipitaggine nella mia austera casa. Per il bastone di Giacobbe, giuro che non ho voglia di banchettare fuori di casa questa sera... Ma voglio andare. Avviatevi briccone, e dite che verrò.
LANCILLOTTO: Mi avvierò, signore. Padrona, guardate dalla finestra a dispetto di tutto:
Un cristian ci deve passare che un'ebrea gradirà guardare.
(Esce)
SHYLOCK: Che dice quello sciocco della progenie di Agar? Eh?
GESSICA: Non diceva altro che queste parole: Addio, padrona!
SHYLOCK: Il buffone è abbastanza gentile, ma un mangiatore formidabile, lento come una lumaca nel rendersi utile, e dorme di giorno più di un gatto selvatico. I fuchi non stanno bene nel mio alveare; perciò mi separo da lui, e me ne separo cedendolo a uno che vorrei egli aiutasse a scialacquare il danaro preso a prestito. Orsù, Gessica, ritiratevi. Forse tornerò fra poco. Fate come vi ho raccomandato: chiudetevi dietro le porte. Chi ben chiude ben ritrova; un proverbio che non invecchia mai in uno spirito economo. (Esce)
GESSICA: Addio; e se la mia fortuna non è attraversata, io ho perduto un padre e voi una figlia. (Esce)
GRAZIANO: Ecco la tettoia sotto cui Lorenzo ci pregò di starlo ad aspettare.
SALERIO: L'ora fissata è quasi trascorsa.
GRAZIANO: E' strano che egli sia in ritardo, perché gli amanti sono sempre in anticipo sull'orologio.
SALERIO: Oh, le colombe di Venere volano dieci volte più presto per suggellare i patti di un amore nato di fresco che non sogliano fare per mantenere salda la fede giurata!
GRAZIANO: Accade sempre invariabilmente così. Chi si leva da una sontuosa tavola con quello stesso appetito con cui vi si è seduto?
Dov'è il cavallo che fa a ritroso i suoi tediosi passi con l'indomita foga con cui dapprima si mosse? Tutte le cose di questo mondo si ricercano con maggiore ardore di quello con cui se ne gode. Come salpa dal suo nativo porto, simile ad un giovane inesperto o a un figliol prodigo, la nave tutta pavesata e stretta fra gli abbracci del vento allettatore! E come essa ritorna, simile al figliol prodigo, coi fianchi squassati dalla tempesta e le vele squarciate, spogliata, rotta e ridotta alla miseria da quel vento allettatore!
SALERIO: Ecco Lorenzo. Discorreremo più a lungo di ciò dopo.
(Entra LORENZO)
LORENZO: Buoni amici, siatemi indulgenti per il mio lungo ritardo. Non sono io che vi ho fatto aspettare, ma le mie faccende. Quando avrete voglia di fare i ladri per ammogliarvi, vi aspetterò allora altrettanto. Avviciniamoci. Qui abita mio padre l'ebreo. Ehi di casa!
(Si affaccia GESSICA, vestita da giovinetto)
GESSICA: Chi siete? Ditemelo per maggior sicurezza, quantunque potrei giurare di conoscere la vostra voce.
LORENZO: Lorenzo, il tuo amore.
GESSICA: Lorenzo di sicuro, e l'amor mio certamente. Perché chi amo io tanto? E ora, Lorenzo, chi se non voi può dirmi se io sono l'amor vostro?
LORENZO: Il cielo e il tuo sentimento son testimoni che lo sei.
GESSICA: Ecco, prendete questo scrigno; ne vale la pena. Son contenta che sia scuro; così non mi vedete; perché mi vergogno di questo mio travestimento. Ma l'amore è cieco e gli amanti non possono vedere le piacevoli follie che essi commettono, perché altrimenti Cupido stesso arrossirebbe a vedermi trasformata in un ragazzo.
LORENZO: Scendete perché dovete essere il mio portatore di torcia.
GESSICA: Come! Devo reggere il lume alla mia vergogna? Veramente essa è già troppo chiara di per se stessa. Ma questo, amor mio, è un ufficio che mette in vista, e io dovrei star nell'ombra.
LORENZO: Voi ci siete, cara, appunto nel grazioso costume di un ragazzo. Ma venite subito, perché la notte segreta prende il volo, e noi siamo attesi al banchetto di Bassanio.
GESSICA: Chiudo le porte, mi indoro di un altro po' di ducati e sono subito con voi. (Si ritira)
GRAZIANO: Ah, per il mio cappuccio! quella è una gentile e non un'ebrea.
LORENZO: Che io sia dannato se non l'amo con tutto il cuore, perché essa è saggia, se io so giudicar di lei, e bella, se questi miei occhi son veritieri, e sincera quale si è dimostrata; e perciò saggia, bella e sincera com'è, avrà sempre il suo posto nel mio costante cuore.
(Entra GESSICA, in strada)
Oh, sei già qui! Orsù, signori, partiamo. I nostri compagni di mascherata a quest'ora ci aspettano. (Esce con Gessica e Salerio)
(Entra ANTONIO)
ANTONIO: Chi è là?
GRAZIANO: Signor Antonio!
ANTONIO: Via, via, Graziano! Dove sono tutti gli altri? Sono le nove, e i nostri amici vi aspettano. Nessuna mascherata stasera; il vento s'è levato e Bassanio deve andare subito a bordo. Ho mandato una ventina di persone a cercarvi.
GRAZIANO: Ne son lieto, e il mio maggior piacere è quello di spiegar le vele e partire questa sera.
(Escono)
PORZIA: Suvvia, tirate la tenda e mostrate i vari scrigni a questo nobile principe. E ora fate la vostra scelta.
PRINCIPE DEL MAROCCO: Il primo, quello d'oro, porta questa iscrizione:
"Chi sceglie me guadagnerà ciò che molti uomini desiderano"; il secondo, d'argento, annunzia questa promessa: "Chi sceglie me otterrà quanto egli si merita"; questo terzo di opaco piombo ha un'iscrizione grossolana come lui: "Chi sceglie me deve dare e arrischiare tutto ciò che ha". Come posso sapere se scelgo quello giusto?
PORZIA: Uno di essi contiene il mio ritratto, principe. Se voi scegliete quello, sono vostra anch'io.
PRINCIPE DEL MAROCCO: Che un qualche iddio guidi il mio giudizio!
Vediamo. Voglio riesaminare di nuovo le iscrizioni. Che cosa dice lo scrigno di piombo? "Chi sceglie me deve dare e arrischiare tutto ciò che ha". Deve dare... Per che cosa? Per un po' di piombo? Arrischiare per un po' di piombo? E' uno scrigno che fa delle minacce. Gli uomini che arrischiano tutto, arrischiano con la speranza di un bel guadagno:
un aureo spirito non si abbassa a quel che è manifestamente scoria. Io non darò e non arrischierò nulla per un no' di piombo! Che cosa dice l'argento col suo colore virginale? "Chi sceglie me otterrà quanto egli si merita". Quanto egli si merita! Soffermati qui, Marocco, e pesa con giusta mano quel che tu vali. Se tu ti valuti dalla stima che fai di te, meriti abbastanza; tuttavia questo "abbastanza" potrebbe non estendersi fino alla signora: e d'altra parte dubitare del mio merito non sarebbe che una inconsiderata disistima di me stesso.
Quanto io mi merito! Ebbene, è la signora. Io me la merito per i miei natali, per le mie ricchezze, per le mie attrattive e per la compitezza della mia educazione; ma più di tutto, me la merito per l'amore. Che cosa avverrebbe se io non esitassi più a lungo e fermassi qui la mia scelta? Leggiamo ancora una volta queste parole incise nell'oro: "Chi sceglie me guadagnerà ciò che molti uomini desiderano".
Ebbene, è la signora. La desiderano tutti. Vengono dai quattro angoli della terra per poter baciare questo santuario, questa santa dotata di un respiro mortale. I deserti dell'Ircania, le vaste solitudini della immensa Arabia sono ora per i principi come vie maestre per venire a conoscere la bella Porzia. Il regno del mare, il cui capo ambizioso sputa in viso al cielo, non è un ostacolo che arresti gli stranieri spiriti, ma essi vengono quasi come se attraversassero un ruscello, a vedere la bella Porzia. Uno di questi tre racchiude il suo celestiale ritratto. E' possibile che la racchiuda il piombo? Sarebbe un peccato mortale concepire un così basso pensiero! Il piombo sarebbe troppo rozzo anche per rinchiudere nella oscura tomba le sue bende funebri. O dovrò credere che essa è racchiusa nell'argento che vale dieci volte meno del puro oro? Oh colpevole pensiero! Una gemma preziosa come questa non fu mai incastonata in un metallo inferiore all'oro. In Inghilterra c'è una moneta che porta la figura di un angelo effigiata nell'oro, ma impressa sulla superficie. Qui invece un angelo giace completamente nell'interno, in un letto d'oro. Datemi la chiave. Qui si ferma la mia scelta, e possa io aver fortuna!
PORZIA: Eccola, prendetela, principe, e se la mia immagine è là, io sono vostra.
PRINCIPE DEL MAROCCO (aprendo lo scrigno d'oro): O demonio! Che cosa c'è qui? Un teschio corrotto nelle cui vuote occhiaie c'è un cartiglio scritto. Voglio leggere lo scritto.
(Legge) "Non è oro tutto ciò che splende l'hai sentito dir sovente, più d'un uom la sua vita vende per vedermi di fuor solamente:
nell'auree tombe il verme scende.
Se eri saggio, come ardente, giovin corpo, e vecchia mente, tal risposta non avresti da apprendere:
vano è a nozze qui pretendere".
Vano invero, pena sprecata:
Addio, fiamma; vieni, brinata!
Porzia, addio. Ho il cuore troppo afflitto per prendere da voi un modesto congedo. Così se ne va chi perde.
(Esce col Seguito)
PORZIA: Una piacevole liberazione! Suvvia, richiudete la tenda. Che tutti quelli del suo colore mi possano scegliere così! (Escono)
SALERIO: Sì, amico, ho visto Bassanio spiegar le vele, e con lui è partito anche Graziano; ma sono sicuro che nella loro nave non è Lorenzo.
SOLANIO: Quel furfante dell'ebreo ha con le sue strida fatto levare il doge, che è andato con lui per perquisire la nave di Bassanio.
SALERIO: Arrivò troppo tardi; la nave era già salpata. Ma là il doge fu informato che Lorenzo e la sua amante Gessica erano stati visti insieme in una gondola; e d'altra parte Antonio assicurò il doge che essi non erano con Bassanio sulla sua nave.
SOLANIO: Non ho mai udito uno scoppio di furore così incomposto, così strano, così violento e così variabile come quello in cui quel cane di ebreo prorompeva per le vie: "La figlia mia! Oh i miei ducati! Oh la mia figlia! Fuggita con un cristiano! Oh i miei ducati cristiani!
Giustizia! La legge! I miei ducati e la mia figliola! Un sacchetto pieno zeppo, due sacchetti pieni zeppi di doppi ducati rubatimi dalla mia figliola! E gioielli, e due pietre, due pietre preziose di gran valore, rubatemi dalla mia figliola! Giustizia! Trovate la ragazza.
Essa ha addosso le pietre e i ducati".
SALERIO: E tutti i monelli di Venezia gli vanno dietro gridandogli le sue pietre, la sua figliola, i suoi ducati.
SOLANIO: Stia attento il buon Antonio a esser puntuale il giorno fissato, altrimenti pagherà lui per questo fatto.
SALERIO: Giusta considerazione, davvero! Parlavo ieri con un Francese, il quale mi raccontava che nello stretto che separa la Francia dall'Inghilterra s'era perduta una nave del nostro paese col suo ricco carico. Quando egli mi parlava io pensavo ad Antonio e facevo voti nel mio cuore che quella nave non fosse la sua.
SOLANIO: Il meglio sarebbe che riferiste ad Antonio ciò che avete udito; ma non all'improvviso, perché potrebbe riceverne un colpo troppo forte.
SALERIO: Non c'è uomo al mondo che abbia miglior cuore di lui. Io vidi quando Antonio e Bassanio si dissero addio. Bassanio gli diceva che avrebbe affrettato quanto più poteva il suo ritorno, ed egli rispondeva: "Non fate così, non abborracciate il vostro affare per causa mia, Bassanio, ma aspettate che si maturi l'occasione. E in quanto alla mia obbligazione che l'ebreo ha in mano, essa non s'intrometta nei vostri progetti amorosi. State allegro e rivolgete principalmente i vostri pensieri a far la corte e ad altre simili manifestazioni di amore, come là sarà meglio opportuno per voi". E in quel punto con gli occhi pieni di lacrime stornando il viso gli tese la mano volgendogli le spalle, e con la più evidente commozione strinse la mano di Bassanio. E così si separarono.
SOLANIO: Io credo che egli non ami il mondo se non per l'amico. Ti prego, andiamo in cerca di lui a rallegrare la melanconia a cui s'è dato in braccio, con uno o un altro svago.
SALERIO: Andiamo pure. (Escono)
SCENA NONA - Belmonte. Una stanza nella casa di Porzia
(Entra NERISSA con un Servo)
NERISSA: Presto, presto, per carità. Tira subito la tenda. Il principe d'Aragona ha prestato il suo giuramento, e viene a momenti a far la sua scelta.
(Squilli di cornette. Entrano il PRINCIPE DI ARAGONA, PORZIA e i loro Seguiti)
PORZIA: Guardate. Là sono gli scrigni, nobile principe. Se voi scegliete quello dentro il quale sono racchiusa io, saranno subito celebrate le nostre nozze, ma se sbagliate, senza altri discorsi, voi dovete, mio nobile signore, partire di qui immediatamente.
PRINCIPE DI ARAGONA: Io mi sono impegnato con un giuramento a osservare tre cose: primo, a non rivelare ad alcuno quale fu lo scrigno che scelsi; secondo, se sbaglio lo scrigno giusto, a non corteggiar mai in vita mia una fanciulla con propositi di matrimonio; e finalmente, se non ho buona fortuna nella scelta, a prendere immediatamente congedo da voi, e partire.
PORZIA: A questi obblighi s'impegna con giuramento chi viene al cimento per la mia indegna persona.
PRINCIPE DI ARAGONA: E a ciò son preparato. E ora buona fortuna alla speranza del mio cuore! Oro, argento e vile piombo. "Chi sceglie me deve dare e arrischiare tutto ciò che ha". Dovresti avere un più bell'aspetto prima che io dia e arrischi. Che cosa dice la cassetta d'oro? Oh! Lasciatemi leggere: "Chi sceglie me guadagnerà ciò che molti uomini desiderano". Ciò che molti uomini desiderano! Per questo "molti" si può intendere la sciocca folla, che fa la sua scelta guidata dall'apparenza e non apprende più di quello che le insegna un occhio sconsiderato che non scruta addentro, ma fa come la rondine che edifica il suo nido all'aria aperta all'esterno dei muri, proprio in balìa e sulla strada del pericolo. Non voglio scegliere ciò che molti uomini desiderano perché non mi piace di esser d'accordo con spiriti volgari e mettermi allo stesso livello della folla ignorante. E allora a te dunque, o argentea casa di un tesoro. Ripetimi ancora una volta l'iscrizione che porti: "Chi sceglie me otterrà quanto egli si merita". E ben detto anche! Perché chi vorrà cercare di giuntare la fortuna ed essere onorato senza il suggello del merito? Nessuno pretenda di rivestirsi di una non meritata dignità. Oh se le dignità, i gradi, gli uffici non derivassero dalla corruzione, e l'immacolato onore fosse conquistato dal merito di chi ne è rivestito, quanti che ora si scoprono il capo resterebbero col capo coperto! Quanti che ora comandano sarebbero comandati! Quanta bassa gente sarebbe sceverata dal vero seme dell'onore! E quanto onore sarebbe da raccogliere di tra la paglia e i rifiuti del mondo per essere lustrato a nuovo! Ma basta.
Passiamo alla mia scelta. "Chi sceglie me otterrà quanto egli si merita". Voglio prendere quel che mi merito! Datemi la chiave di questo scrigno, e subito io disserro qua la mia fortuna. (Apre lo scrigno d'argento)
PORZIA: La pausa è troppo lunga per quello che trovate là dentro.
PRINCIPE DI ARAGONA: Che c'è? Il ritratto di uno stupido che strizza l'occhio e mi presenta una striscia di carta. Voglio leggerla. Quanto sei diverso da Porzia! Quanto diverso dalle mie speranze e dai miei meriti! "Chi sceglie me otterrà quanto egli si merita"! E' questa la mia ricompensa? E non mi merito di meglio?
PORZIA: Offendere e giudicare sono due distinte operazioni e di natura opposta. PRINCIPE DI ARAGONA: Che c'è scritto? (Legge) "Sette volte al fuoco fui già, del par provato il senno sarà che scegliendo error non fa.
V'è chi all'ombre baci dà, ombra è a lui la felicità:
ci son sciocchi al mondo, si sa, inargentati come questo qua.
Qualunque donna tua moglie sia, la tua testa sarà la mia:
or buon viaggio, vattene via".
Sempre più sembrerò stolto, se qui resto ancora molto:
qui venimmo col capo scemo, e con due via ce ne andremo.
Addio, bella. Il giuro osservo di soffrir il destin protervo. (Esce col Seguito)
PORZIA: Così la candela ha bruciacchiato il tarlo. Oh questi sciocchi riflessivi! Quando essi scelgono, hanno la saggezza di perdere con il loro acume.
NERISSA: Non è un'eresia l'antico adagio: forca e matrimonio dipendono dal destino.
PORZIA: Vieni, chiudi la tenda, Nerissa.
(Entra un Servo)
SERVO: Dov'è la mia nobile signora?
PORZIA: Son qua. Che vuoi, nobil uomo?
SERVO: Signora, è smontato alla vostra porta un giovane Veneziano, uno che viene in precedenza per annunziare il prossimo arrivo del suo padrone, da parte del quale porta dei saluti tangibili, cioè, oltre a ossequi e cortesi parole, doni di grande valore. Non ho mai visto sin qui un ambasciatore d'amore così promettente. Non venne mai giornata di aprile così deliziosa ad annunziare l'avvicinarsi della splendida estate, come questo araldo precede il suo signore.
PORZIA: Basta, ti prego. Ho quasi paura che tu sia per dirmi che egli è qualche tuo parente, tale eloquenza da grandi occasioni spendi per lodarlo. Vieni, Nerissa, perché sono impaziente di vedere questo messaggero di Cupido che arriva con così cortesi maniere.
NERISSA: Possa tu volere, sire Amore, che sia Bassanio! (Escono)
ATTO TERZO
SCENA PRIMA - Venezia. Una strada
(Entrano SOLANIO e SALERIO)
SOLANIO: Ebbene, che notizie a Rialto?
SALERIO: Ma! Corre la voce, non smentita finora, che una nave d'Antonio con un ricco carico sia naufragata nello stretto. Credo che il punto si chiami Goodwins, un bassofondo pericoloso e fatale, dove giacciono sepolte a quel che si dice, le carcasse di molte grosse navi, se quella pettegola della Fama è un'onesta donna in ciò che asserisce.
SOLANIO: Vorrei che in questo caso fosse una pettegola tanto bugiarda quant'altra mai che rosicchiò dello zenzero o dette a intendere ai suoi vicini di aver pianto per la morte del suo terzo marito. Ma senza sdrucciolare nella prolissità, senza uscire dal seminato, è purtroppo vero che il buon Antonio, l'onesto Antonio... Oh se trovassi un appellativo abbastanza degno da accoppiare al suo nome!...
SALERIO: Orsù, arriva al punto fermo.
SOLANIO: Eh! Che cosa dici? Ebbene, la conclusione è che egli ha perduto una nave.
SALERIO: Vorrei che ciò segnasse anche la conclusione delle sue perdite.
SOLANIO: Lasciami dire "Amen" a tempo, per paura che il diavolo non disturbi la mia preghiera; perché egli viene da questa parte sotto la sembianza di un ebreo.
(Entra SHYLOCK)
Ebbene Shylock, che notizie ci sono fra i mercanti?
SHYLOCK: Voi eravate a conoscenza - e nessuno così bene, nessuno così bene come voi - della fuga di mia figlia.
SALERIO: Certo. Io conoscevo, per parte mia, il sarto che le ha fatto le ali con le quali è volata via.
SOLANIO: E Shylock, da parte sua, era a conoscenza che l'uccellino aveva messo le ali e che è quindi nella natura di essi tutti di abbandonare la mamma.
SHYLOCK: Essa è dannata per questo.
SALERIO: Certamente, se il diavolo può essere il suo giudice.
SHYLOCK: La mia carne, il sangue mio, insorgere così !
SOLANIO: Ma via, vecchia carogna, un'insurrezione della carne a questa età?
SHYLOCK: Io dico che mia figlia è carne e sangue mio!
SALERIO: C'è più differenza tra la tua carne e la sua che fra il giaietto e l'avorio, ce n'è più fra i vostri due sangui che non ce ne sia tra il vino nero e quello del Reno. Ma, dicci, hai sentito dire o no, se Antonio abbia avuto qualche perdita in mare?
SHYLOCK: Ecco per me un altro cattivo affare! Un fallito, uno scialacquatore, uno che ora osa appena mostrare la faccia a Rialto, uno straccione che era solito venire sulla piazza del mercato tutto agghindato! Pensi alla sua obbligazione! Aveva l'abitudine di chiamarmi usuraio. Pensi alla sua obbligazione! Aveva l'abitudine di prestar danaro per cristiana compiacenza. Pensi alla sua obbligazione!
SALERIO: Ebbene, son sicuro che se egli manca all'impegno tu non vorrai prenderti la sua carne. A che ti servirebbe?
SHYLOCK: A farne esca per i pesci. Se essa non potrà alimentare altro, alimenterà per lo meno la mia vendetta. Egli mi ha vituperato, mi ha impedito di guadagnar mezzo milione, ha riso delle mie perdite, si è burlato dei miei guadagni, ha insultato il mio popolo, osteggiato i miei affari, ha raffreddato i miei amici, riscaldato i miei nemici. E per qual motivo? Sono un ebreo. Ma non ha occhi un ebreo? Non ha un ebreo mani, organi, membra, sensi, affetti, passioni? Non si nutre degli stessi cibi, non è ferito dalle stesse armi, non è soggetto alle stesse malattie, non si cura con gli stessi rimedi, non è riscaldato e agghiacciato dallo stesso inverno e dalla stessa estate come lo è un cristiano? Se ci pungete, non facciamo sangue? Se ci fate il solletico, non ridiamo? Se ci avvelenate, non moriamo? E se ci oltraggiate, non dobbiamo vendicarci? Se siamo simili a voi in tutto il rimanente, vogliamo rassomigliarvi anche in questo. Se un cristiano è oltraggiato da un ebreo, qual è la sua mansuetudine? La vendetta! Se un ebreo è oltraggiato da un cristiano, quale può essere, sull'esempio cristiano, la sua tolleranza? Ebbene, la vendetta! La malvagità che mi insegnate la metterò in opera e sarà difficile che io non abbia a superare i maestri.
(Entra un Servo)
SERVO: Signori, il mio padrone Antonio è a casa e desidera parlarvi a tutti e due.
SALERIO: Siamo stati a cercarlo su e giù.
(Entra TUBAL)
SOLANIO: Ecco, arriva un altro della tribù. Non è possibile trovare il terzo da associare ad essi, a meno che il diavolo stesso non si faccia ebreo.
(Escono Solanio, Salerio e il Servo)
SHYLOCK: Ebbene, Tubal, che notizie porti da Genova? Hai trovato la mia figliola?
TUBAL: Mi sono recato spesso dove sentivo parlare di lei, ma non ho potuto trovarla.
SHYLOCK: Ah ecco, ecco, ecco, ecco! Perduto un diamante che mi costò duemila ducati a Francoforte! La maledizione non era mai finora caduta sul nostro popolo! Non l'avevo mai sentita fino ad ora! Duemila ducati solo per quello, e poi altri preziosi, preziosi gioielli! Vorrei avere mia figlia morta qui ai miei piedi, ma con i gioielli agli orecchi! Oh vorrei che giacesse ai miei piedi nella sua bara, ma che in questa fossero i miei ducati! Nessuna notizia di loro? Ah, proprio così! E non so quanto ho speso nelle ricerche. E così una seconda perdita si aggiunge alla prima! Il ladro scappato con tanto, e tanto per trovare il ladro! E nessuna soddisfazione, nessuna vendetta; nessun'altra disgrazia in giro se non quella che mi è piombata sulle spalle, non altri sospiri se non quelli che escono dal mio petto, non altre lacrime se non quelle che io verso!
TUBAL: Sì, ma anche altri uomini hanno delle disgrazie. Antonio, come ho sentito dire a Genova...
SHYLOCK: Che cosa, che cosa? Una disgrazia, una disgrazia?...
TUBAL: Ha perduto una ragusea che ritornava da Tripoli.
SHYLOCK: Dio, ti ringrazio, Dio, ti ringrazio! E' proprio vero? E' proprio vero?
TUBAL: Ho parlato con alcuni dei marinai scampati al naufragio.
SHYLOCK: Ti ringrazio, buon Tubal. Buone notizie, buone notizie! Ah, ah! dove? a Genova?
TUBAL: E a Genova vostra figlia ha speso, a quel che mi hanno detto, in una sola notte ottanta ducati.
SHYLOCK:. Tu mi pianti un coltello nel cuore! Non rivedrò più il mio oro! Ottanta ducati in una volta! Ottanta ducati!
TUBAL: Venivano con me a Venezia vari creditori di Antonio, e assicurano che non gli resta altro se non dichiarare fallimento.
SHYLOCK: Ne sono contentissimo. Voglio tormentarlo; voglio torturarlo!
Ne sono contento.
TUBAL: Uno di essi mi fece vedere un anello che aveva avuto da vostra figlia in cambio di una scimmia.
SHYLOCK: Il malanno su lei! Tu mi metti alla tortura Tubal. Era la mia turchese. La ebbi da Lia, quando ero scapolo. Non l'avrei data per una moltitudine di scimmie!
TUBAL: Ma Antonio è certamente rovinato.
SHYLOCK: Ah sì, questo è vero, questo è verissimo! Va', Tubal.
Accaparrami un ufficiale di polizia; impegnalo quindici giorni prima.
Voglio avere il suo cuore, se non è puntuale, perché se non ci fosse lui a Venezia, potrei fare tutto il commercio che voglio. Va', va', Tubal, e aspettami alla nostra Sinagoga. Va' buon Tubal, alla nostra Sinagoga, Tubal. (Escono)
SCENA SECONDA - Belmonte. Una stanza nella casa di Porzia
(Entrano BASSANIO, PORZIA, GRAZIANO, NERISSA e Domestici)
PORZIA: Indugiate, vi prego. Lasciate passare un giorno o due prima di mettervi al cimento, perché se scegliete male io perdo la vostra compagnia. Pazientate quindi ancora un po'. C'è qualche cosa che mi dice (ma non è amore) che non vorrei perdervi; e voi sapete da voi stesso che l'odio non dà avvertimenti di tal sorta. Ma per paura che non mi possiate comprendere bene - e d'altronde una fanciulla non ha altro linguaggio che il proprio pensiero - vorrei trattenervi un mese o due prima che tentaste la fortuna per me. Potrei indicarvi come scegliere bene, ma allora sarei una spergiura, e io non sarò mai tale.
Mi potreste perdere: ma se mi perdete mi farete desiderare il peccato di essere stata spergiura. Ah, quei vostri occhi assassini che mi hanno tutta stregata e divisa in due! Una metà di me è vostra, l'altra metà è vostra... volevo dire mia; ma se è mia è vostra; e così tutto è vostro. Oh, questi tristi tempi mettono delle barriere fra il possessore e ciò che a lui spetta! Così, quantunque vostra, non sono vostra. Se ciò dovesse avverarsi, vada a farsi dannare la Fortuna, non io. Parlo troppo; ma è per rallentare il tempo, per aumentarlo, per tirarlo in lungo e così trattenervi dal far la scelta.
BASSANIO: Lasciatemi scegliere; perché così come sto, sono alla tortura.
PORZIA: Alla tortura, Bassanio! Allora confessate quale tradimento si mescola al vostro amore.
BASSANIO: Nessuno, fuori che l'orribile tradimento del dubbio che mi fa temere di non poter forse godere del mio amore. Possono tanto vivere in amicizia il tradimento e il mio amore quanto la neve e il fuoco.
PORZIA: Già! Ma ho paura che voi parliate sotto l'azione della tortura, quando gli uomini sotto le strette dicono quel che si vuole.
BASSANIO: Promettetemi la vita, e io confesserò la verità.
PORZIA: Allora confessate e vivete.
BASSANIO: "Confessate e amate" sarebbe stato il succo della mia confessione. O felice tormento, quando chi mi tortura mi insegna le risposte per la mia liberazione. Ma lasciatemi andare verso la mia fortuna e gli scrigni.
PORZIA: Allora, avanti! Io sono serrata in uno di essi. Se voi mi amate mi ci scoprirete. Tu, Nerissa, e voi altri, state in disparte.
Che la musica suoni mentre egli fa la scelta. Così, se egli perde, fa una fine simile a quella del cigno che vien meno in mezzo all'armonia.
Perché il paragone sia più appropriato, il mio occhio sarà il fiume e il suo liquido letto di morte. Ma egli può vincere: e allora che cosa è la musica? Allora la musica è proprio come uno squillo di trombe, quando i fedeli sudditi si inchinano a un monarca allora allora coronato; essa è tale, quali sono allo spuntar del giorno quei carezzevoli suoni che si insinuano negli orecchi del sognante fidanzato e lo chiamano alle nozze. Ora egli va con non meno maestà ma con molto più amore che il giovane Alcide quando liberò la vergine offerta dalla gemente Troia come tributo al mostro marino. Io rappresento la vittima, quelle là in disparte sono le donne dardanie coi lacrimosi volti, venute fuori per assistere all'esito dell'impresa. Va', Ercole! Se tu vivi, io vivo. Io assisto al cimento con maggiore apprensione di te che dai battaglia.
(E' intonata una canzone mentre BASSANIO considera in silenzio gli scrigni)
Dimmi, dove siede amore?
Nella testa ovver nel cuore?
Come nasce, e ha vigore?
Rispondete, rispondete.
Nasce dentro gli occhi e pasce sé di sguardi, e si disface nella culla dove giace.
Suoni a morto a tal novella:
su: din don, la campanella.
TUTTI:. Din don, la campanella.
BASSANIO: Sì, le cose possono non essere affatto quel che appaiono all'esterno: il mondo si farà sempre ingannare dall'ornamento. Nei tribunali, qual causa c'è così guasta e corrotta che condita da una graziosa voce arrivi a mascherare l'apparenza del male? In religione quale eresia c'è che un grave aspetto non santifichi e legittimi con qualche sacra citazione, nascondendo la sua enormezza con un bell'ornamento? Non c'è vizio tanto pretto che non assuma qualche apparenza di virtù, esteriormente. Quanti codardi, i cui animi sono così ingannevoli come dei gradini di sabbia, portano sul mento la barba di un Ercole e di un accigliato Marte, e frugati nelle viscere hanno fegati bianchi come il latte! E costoro non assumono che le escrescenze del valore per rendersi temibili. Considerate la bellezza e vedrete che essa si compera a peso e che compie un miracolo nella natura rendendo più leggero chi ne è più carico. Così quei riccioli d'oro che, attortigliati come serpi, fanno al vento tante pazze capriole sopra una speciosa bellezza, spesso si trova che son la proprietà di un'altra testa, essendo nel sepolcro il cranio che li nutrì. Così l'ornamento non è altro che la spiaggia malfida di un assai pericoloso mare, una bellissima sciarpa che occulta una bellezza indiana: in una parola è una parvenza di verità di cui si riveste l'astuto secolo per intrappolare i più saggi. Perciò io non so che farmi di te, oro fastoso, che fosti un così duro cibo per Mida, e neppure di te, o pallido e volgare mezzano fra uomo e uomo: ma, o meschino piombo, che minacci piuttosto che promettere qualche cosa, la tua semplicità mi commuove più che l'eloquenza. Qui fermo la mia scelta, e la gioia ne sia la conseguenza!
PORZIA (a parte): Come si dissolve nell'aria ogni altro sentimento:
pensieri dubitosi, disperazioni troppo precipitosamente abbracciate, trepidante timore, e gelosia dagli occhi verdi! O amore, sii calmo, frena le tue estasi, fa' sentire il morso alla gioia, modera questo eccesso! Sento troppo la tua felicità. Attenuala, che io non ne scoppi.
BASSANIO: (aprendo lo scrigno di piombo) Che cosa trovo qui? Il ritratto della bella Porzia! Quale semidio si avvicina tanto al divino modello? Si muovono questi occhi oppure sembrano muoversi perché si muovono con le mie pupille? Ecco le labbra semiaperte, divise solo da un soave respiro. Solo una così dolce barriera poteva separare tali dolci amiche. Qui nei suoi capelli il pittore imita il ragno e ha tessuto una trama d'oro perché i cuori degli uomini vi restino impigliati più presto che i moscerini alle ragnatele. Ma gli occhi di lei... Come poté egli vedere per ritrarli? Quando ne ebbe dipinto uno, quello doveva aver la forza di rapirgli tutti e due i suoi e di rimanere esso stesso sprovvisto di compagno. Eppure, guardate: quanto più la sostanza delle mie lodi fa torto a questa ombra nel non apprezzarla al suo giusto valore, altrettanto questa ombra corre zoppicando dietro la sua sostanza. Qui c'è il cartiglio che contiene e compendia la mia buona ventura. (Legge)
"Tu che scegli non l'aspetto, abbi ognor senno sì schietto!
Sei del fato prediletto non cercar migliore oggetto.
Se di questo sei appagato, di tal sorte ormai beato, alla donna tua va allato, perché un bacio ti sia dato".
Un cortese cartiglio! Bella signora, col vostro permesso, io vengo, per la scritta, a dare e a ricevere. Come uno dei due contendenti in una gara, che crede di aver fatto buona prova di sé sotto gli sguardi degli spettatori, udendo gli applausi e le acclamazioni generali, con la testa stordita fissa lo sguardo intorno, dubbioso se quelle esplosioni di lode siano per lui o no, così o signora tre volte bella, rimango io dubbioso se quel che vedo è vero, finché esso non sia da voi confermato, sottoscritto e ratificato.
PORZIA: Voi mi vedete qui, nobile Bassanio, tale e quale io sono.
Quantunque, per mio conto, non avrei alcun ambizioso desiderio di volermi molto migliore, tuttavia per voi vorrei triplicare venti volte me stessa, essere mille volte più bella, diecimila volte più ricca e, soltanto per essere più alta nella vostra stima, vorrei in virtù, in bellezza, in averi, in amici poter sorpassare ogni stima: ma la somma totale di me è una somma... di poco; quella, per dirla all'ingrosso, di una fanciulla senza istruzione, senza cultura, senza esperienza, fortunata in ciò, che essa non è ancora tanto vecchia da non aver possibilità di istruirsi, più fortunata ancora perché non è nata così sciocca da non poter imparare, e fortunatissima soprattutto, perché il suo docile spirito si affida al vostro per essere guidato, come dal suo signore, dal suo tutore e dal suo re. (Si baciano) Io stessa e ciò che è mio passiamo a voi e a ciò che è vostro. Fino a questo momento sono stata la signora di questa bella dimora, padrona dei miei servi, regina di me stessa e ora, a cominciare da questo momento, questa casa, questi servi e questa mia stessa persona sono vostri o mio signore. Ve li do con questo anello. Separarvi da esso, perderlo o darlo via - sia il presagio della rovina del vostro amore e mi dia il diritto di rammaricarmi con voi.
BASSANIO: Signora voi mi avete privato di ogni parola. Soltanto il sangue parla a voi nelle mie vene, e v'è tale confusione nelle mie facoltà quale è quella che si manifesta dopo un bel discorso pronunciato da un amato sovrano, tra la folla che mormora contenta.
Ivi tante singole particelle mescolandosi fra loro formano un caos di null'altro composto che di gioia espressa e non espressa. Ma quando quest'anello si separerà da questo dito, oh, allora dite pure sicuramente che Bassanio è morto!
NERISSA: Mio signore e mia signora, ora è il momento per noi, che siamo stati spettatori e abbiamo visto compiersi i vostri desideri, di inneggiare alla piena letizia. Piena letizia, mio signore e mia signora!
GRAZIANO: Signor Bassanio, e voi, gentile signora, vi auguro tutta la gioia che potete desiderare, perché son sicuro che non potete desiderare di sottrarne a me. Quando le Eccellenze Vostre intendono di celebrare il contratto della loro fede, le supplico che in quella medesima occasione possa sposarmi anch'io.
BASSANIO: Con tutto il cuore, se puoi trovarti una moglie!
GRAZIANO: Ringrazio Vossignoria: voi me ne avete trovata una. I miei occhi, mio signore, sanno guardare prontamente come i vostri. Voi guardaste la padrona, io adocchiai la cameriera; voi amaste, io amai; poiché il trastullarmi non va più a gusto a me, signore, che a voi. La vostra fortuna dipendeva tutta da quegli scrigni, e così pure la mia, come i fatti hanno provato, perché, facendo la corte fino a sudarne, e ripetendo giuramenti d'amore sino ad averne asciutta la gola, alla fine, se una promessa può durare sino alla fine, ebbi la promessa da questa bella qui che avrei ottenuto il suo amore purché la vostra fortuna vi concedesse la sua signora.
PORZIA: E' vero, Nerissa?
NERISSA: E' vero, signora, se siete contenta.
BASSANIO: E voi, Graziano, dite per davvero?
GRAZIANO: Sì, per davvero.
BASSANIO: Le nostre nozze saranno molto onorate dal vostro matrimonio.
GRAZIANO: Noi scommetteremo con loro mille ducati a chi avrà il primo figlio maschio.
NERISSA: E dovremo metter giù la posta?
GRAZIANO: Noi non potremo mai vincere a questo gioco se la posta è giù. Ma chi viene? Lorenzo e la sua miscredente? Oh! E anche il mio vecchio amico di Venezia, Salerio?
(Entrano LORENZO, GESSICA e SALERIO)
BASSANIO: Lorenzo e Salerio, siate qui i benvenuti, se la mia nuova posizione, assai recente in questa casa, mi permette di darvi il benvenuto. Col vostro permesso, mia dolce Porzia, do il benvenuto a questi miei buoni amici e compaesani PORZIA: Così faccio anch'io, mio signore: essi sono proprio i benvenuti.
LORENZO: Ringrazio l'Eccellenza Vostra. Per parte mia, signore, non era mia intenzione di venirvi a trovare: ma Salerio, col quale mi sono incontrato in cammino, mi ha insistentemente pregato, ad onta di tutti i miei rifiuti, di accompagnarlo qui.
SALERIO: L'ho pregato io, mio signore, e avevo a ciò una ragione. Il signor Antonio vi manda i suoi saluti.
(Dà a Bassanio una lettera)
BASSANIO: Prima che io apra la sua lettera, ditemi, vi prego, come sta il mio buon amico.
SALERIO: Non è ammalato, signor mio, se non di spirito, e non sta bene se non di spirito. Questa sua lettera vi dimostrerà come egli stia.
(Bassanio apre la lettera)
GRAZIANO: Nerissa, fate buona accoglienza a quella forestiera, datele il benvenuto. Datemi la mano, Salerio. Che notizie portate da Venezia?
Come sta quel mercante magnifico, il buon Antonio? Son sicuro che egli sarà contento del nostro successo. Noi siamo i Giasoni che abbiamo conquistato il vello.
SALERIO: Vorrei che aveste conquistato il vello che egli ha perduto.
PORZIA: C'è sicuramente in quella lettera qualche cattiva notizia che fa scolorire le gote di Bassanio. Forse la morte di qualche amico:
niente di meno al mondo potrebbe alterare lo stato d'animo di un uomo equilibrato. Come, ancora peggio! Permettete, Bassanio. Io sono una metà di voi stesso e debbo liberamente avere la metà di ogni cosa che questa lettera vi apporta.
BASSANIO: O dolce Porzia, qui sono alcune parole delle più sgradite che mai abbiano macchiato della carta. Dolce signora, quando per la prima volta vi palesai il mio amore, vi dissi francamente che tutta la fortuna che io avevo era quella che scorreva nelle mie vene: ero un gentiluomo; e vi dissi la verità. Tuttavia, dolce signora, pur riducendo a nulla la mia stima, vedrete quanto io mi vantassi. Quando vi dissi che la mia fortuna era niente, avrei dovuto dirvi che io ero meno che niente; poiché, per la verità, ho contratto un obbligo con un caro amico, e ho fatto obbligare questo mio amico al suo peggior nemico, per provvedere ai miei mezzi. Ecco qui una lettera, signora:
la carta è come il corpo dell'amico mio, e ogni parola in essa è una dischiusa ferita da cui scorre il sangue vitale. Ma è proprio vero, Salerio? Tutte le sue spedizioni sono andate male? Come! Neppure una è riuscita? Quella di Tripoli, quella del Messico, dell'Inghilterra, di Lisbona, della Barberia e dell'India? E neppure una nave ha evitato il terribile urto delle rocce che mandano in rovina i mercanti?
SALERIO: Neppure una, signore. Del resto, a quel che sembra, anche se egli avesse pronto il danaro per soddisfare l'ebreo, questi non l'accetterebbe. Non conobbi mai un essere, che avesse l'apparenza di uomo, così smanioso e avido di rovinare un uomo. Molesta il doge giorno e notte e denigra la libertà dello Stato se gli negano giustizia. Venti mercanti, il doge stesso e i nobili della più alta condizione hanno cercato di persuaderlo; ma nessuno può farlo recedere dall'accampare le odiose ragioni della mancata parola della giustizia e del suo contratto.
GESSICA: Quando ero con lui l'ho udito giurare a Tubal e a Chus, suoi connazionali, che egli avrebbe preso la carne di Antonio piuttosto che venti volte il valore della somma che da costui gli era dovuta, e sono sicura, mio signore, che se la legge, l'autorità e il governo non si oppongono, la cosa andrà a finir male per il povero Antonio.
PORZIA: Ed è il vostro caro amico che si trova in quest'imbarazzo?
BASSANIO: L'amico mio più caro, l'uomo più gentile, l'animo più nobile e più instancabile nel render servigi, e uno nel quale l'onore romano si rivela più che in qualsiasi altro che respiri in Italia.
PORZIA: Quale somma deve egli all'ebreo?
BASSANIO: Per conto mio, tremila ducati.
PORZIA: Come, non di più ? Dategliene seimila e annullate l'obbligazione: raddoppiate i seimila e poi triplicateli, prima che un amico simile debba perdere un capello per colpa di Bassanio. Ma prima venite con me in chiesa e chiamatemi vostra moglie, e poi, via a Venezia dal vostro amico, perché non potrete mai stare a fianco di Porzia con un animo inquieto. Avrete tanto danaro da pagar venti volte quel piccolo debito e quando esso sarà pagato, conducete qui con voi il vostro fedele amico. Nel frattempo la mia cameriera Nerissa e io medesima vivremo come nubili e vedove. Or via venite, perché dovete partire questo giorno stesso delle vostre nozze. Date ai vostri amici il benvenuto e mostrate un'allegra cera. Dal momento che siete comprato a caro prezzo, vi amerò caramente. Ma fatemi sentire la lettera del vostro amico.
BASSANIO: (legge) "Diletto Bassanio, tutte le mie navi sono perdute; i miei creditori diventano crudeli; la mia fortuna è molto in basso; la mia obbligazione con l'ebreo è protestata; e poiché, pagandola, è impossibile che io possa vivere, tutti i debiti fra voi e me sono cancellati, solo che io possa vedervi al momento della mia morte.
Tuttavia fate il piacer vostro. Se il vostro affetto non vi consiglia a venire, non ve lo consigli questa mia lettera".
PORZIA: O amor mio, sbriga tutte le faccende e parti.
BASSANIO: Poiché ho il vostro grazioso permesso di andar via, mi affretterò; ma nessun letto sarà colpevole del mio indugio a ritornare e nessun riposo s'interporrà fra noi due. (Escono)
SCENA TERZA - Venezia. Una strada
(Entrano SHYLOCK, SALERIO, ANTONIO e un Carceriere)
SHYLOCK: Carceriere, stagli attento. Non mi parlare di pietà. Costui è quell'imbecille che prestava gratis il danaro. Stagli attento, carceriere.
ANTONIO: Ascoltami tuttavia, buon Shylock.
SHYLOCK: Io voglio l'esecuzione del mio contratto: non dir nulla contro il mio contratto. Ho fatto il giuramento di volerne l'esecuzione. Tu mi chiamavi cane senza che ne avessi alcuna ragione.
Ebbene, dal momento che sono un cane, guardati dalle mie zanne. Il doge mi renderà giustizia. Mi meraviglio che tu, balordo carceriere, sia così tenero da andare in giro con lui a suo piacere.
ANTONIO: Ti prego, ascolta una parola.
SHYLOCK: Voglio l'esecuzione del mio contratto. Non voglio ascoltare i tuoi discorsi. Voglio l'esecuzione del contratto: perciò non mi dire niente. Non si farà di me un di quei minchioni dagli occhi tonti che scuotono il capo, s'inteneriscono, sospirano, e cedono a intercessioni di cristiani. Non mi venir dietro; non voglio discorsi. Voglio l'esecuzione del contratto. (Esce)
SALERIO: E' il cane più spietato che sia mai vissuto fra gli uomini.
ANTONIO: Lasciatelo andare: non lo perseguirò più con preghiere inutili. Egli vuole la mia vita e ne so la ragione. Spesso ho liberato dalle sue penalità molti che più volte vennero da me a raccomandarsi piangendo. E' per questo che mi odia.
SALERIO: Son sicuro che il doge non permetterà mai che si prenda una simile penalità.
ANTONIO: Il doge non può negar corso alla giustizia; perché se non fossero riconosciuti i privilegi che i forestieri hanno qui da noi in Venezia, il fatto screditerebbe la giustizia dello Stato, dal momento che il commercio e Ia floridezza della città dipendono da tutte le nazioni. Andiamo dunque. Questi dispiaceri e queste perdite mi hanno ridotto in tale stato che a mala pena potrò mettere insieme domani una libbra di carne per il mio sanguinario creditore. Suvvia! Andiamo, carceriere. Dio voglia che possa giungere Bassanio per vedermi pagare il suo debito; e poi non m'importa di nulla! (Escono)
LORENZO: Signora, non perché io parli in presenza vostra, ma voi avete un nobile e vero concetto della divina amicizia, che si manifesta saldamente nel sopportare in tal modo l'assenza del vostro signore. Ma se voi sapeste a chi fate una tale dimostrazione di onore, a quale vero gentiluomo voi mandate un soccorso, e a quale caro amico del marito vostro, mio signore, son sicuro che sareste più superba di quest'opera che non potrebbe darvi cagione d'esserlo un'ordinaria liberalità.
PORZIA: Non mi sono mai pentita di avere operato il bene, né me ne pentirò ora; perché fra compagni che son sempre a discorrere e a spendere insieme il loro tempo, e le cui anime sono sotto uno stesso giogo d'affetto, ci deve essere una corrispondente conformità di tratti, di maniere e di spirito; il che mi fa pensare che quest'Antonio, essendo l'amico del cuore del mio signore, deve assai somigliare al mio signore. Se così è, come è piccola la somma che ho impiegata nel sottrarre a un tormento infernale chi somiglia in tutto all'anima mia! Ma ciò ha troppo l'aria di una lode a me stessa; perciò non parliamone più. E ora a un altro argomento. Lorenzo, io affido alle vostre mani la direzione e il governo della mia casa sino al ritorno del mio signore. Per quel che riguarda me, ho fatto al cielo un voto segreto di vivere in preghiera e in meditazioni, in compagnia qui della sola Nerissa, sino a che non siano di ritorno suo marito e il mio signore. C'è un monastero a due miglia di qui, ed ivi noi soggiorneremo. Vi chiedo di non rifiutarvi a questa incombenza che vi assegnano la mia amicizia e la necessità.
LORENZO: Obbedirò, signora, con tutto il cuore a ogni vostro amabile ordine.
PORZIA: Le persone di casa conoscono già la mia volontà, e riconosceranno voi e Gessica in rappresentanza del signor Bassanio e mia. Dunque addio, fino a che non saremo di ritorno.
LORENZO: Vi accompagnino sereni pensieri e ore felici.
GESSICA: Auguro a Vostra Signoria ogni gioia del cuore.
PORZIA: Vi ringrazio dei vostri auguri e sono veramente lieta di contraccambiarli. Addio, Gessica. (Escono Gessica e Lorenzo) Ora a noi, Baldassarre. Poiché ti ho sempre riscontrato fedele e onesto, fa' che io ti riscontri tale ancora. Prendi questa lettera e impiega tutto lo zelo possibile per volare a Padova. Guarda di consegnarla nelle mani di mio cugino, il dottor Bellario, e fa' bene attenzione, ti prego, di portare con tutta la celerità del pensiero le carte e gli abiti che egli ti darà, al traghetto, al battello pubblico che fa il servizio per Venezia. Non perdere tempo in discorsi. Parti subito. Io ci sarò prima di te.
BALDASSARRE: Vado, signora, con tutta la fretta che Ci vuole. (Esce)
PORZIA: Vieni, Nerissa; ho preparato un piano di cui non sai nulla ancora. Noi rivedremo i nostri mariti prima che se lo immaginino.
NERISSA: Ed essi ci vedranno?
PORZIA: Sì, Nerissa, ma sotto tali abiti che essi penseranno che noi siamo fornite di ciò che ci manca. Faccio con te qualsiasi scommessa, che quando saremo tutte e due vestite da giovanotti, io apparirò il più attraente dei due, porterò il mio stocco con più ardita grazia, parlerò con quella zufolante voce del ragazzo che sta per cambiarsi in uomo, convertirò due affettati passettini in un gran passo d'uomo, parlerò di risse come un bel giovane spaccone, dirò delle spiritose bugie: che delle rispettabili signore mi richiesero d'amore, che esse per il mio rifiuto caddero ammalate e morirono. Ma non ci potei far nulla. Poi farò atto di pentirmi e dirò che, ad onta di tutto, avrei desiderato di non averle fatte morire, e dirò un'infinità di altre bugiole, in maniera che tutti giureranno che io abbia abbandonata la scuola da più di una dozzina di mesi. E poi ho in testa mille altre ingenue burle di questi odierni sciocchi spacconi, che io metterò in atto.
NERISSA: Come! Ci volgeremo all'altro sesso?
PORZIA: Via! Che domanda è questa? Se fosse qui a sentirti un interprete licenzioso! Ma vieni, ti spiegherò tutto il mio disegno quando saremo nella carrozza che ci aspetta all'ingresso del parco.
Facciamo presto, dunque, perché oggi dovremo percorrere venti miglia.
(Escono)
LANCILLOTTO: Sì, in verità; perché, badate, i peccati del padre devono ricadere sui figli. Perciò vi assicuro che temo per voi. Sono stato con voi sempre sincero e ora vi espongo le mie convulsioni sull'argomento. State dunque di buon animo, perché io credo realmente che voi siate dannata. Non c'è in tutto ciò che una sola speranza che possa esservi un po' utile, ma non è, tuttavia, che una specie di speranza bastarda.
GESSICA: E che speranza è, di grazia?
LANCILLOTTO: Santo Iddio! Potete in qualche modo sperare che non vi abbia generato vostro padre, che non siate la figlia dell'ebreo.
GESSICA: Sarebbe davvero una specie di speranza bastarda. Così i peccati di mia madre dovrebbero essere puniti in me.
LANCILLOTTO: Allora temo proprio che siate dannata tanto per parte di padre quanto per parte di madre; così quando evito Scilla, vostro padre, intoppo in Cariddi, vostra madre. Eh, sì; o per un verso o per l'altro siete perduta.
GESSICA: Sarò salvata da mio marito. Egli mi ha fatta cristiana.
LANCILLOTTO: Ed egli è, certamente, tanto più da biasimarsi. Noi cristiani eravamo finora già abbastanza, proprio quanti potevamo vivere bene l'uno accanto all'altro. Queste conversioni al cristianesimo faranno rialzare il prezzo del maiale. Se tiriamo tutti a diventare mangiatori di maiale non potremo avere, fra poco, una carbonata per tutto l'oro del mondo.
(Entra LORENZO)
GESSICA: Ripeterò a mio marito quello che mi dite, Lancillotto. Eccolo che viene.
LORENZO: Diventerò presto geloso di voi, Lancillotto, se conducete così mia moglie nei cantucci.
GESSICA: No, Lorenzo, non avete da temere di noi. Lancillotto e io ci siam bisticciati. Egli mi dice chiaro e tondo che non c'è misericordia per me in cielo, perché sono la figlia di un ebreo, e aggiunge che voi non siete un buon membro della comunità, perché convertendo gli ebrei al cristianesimo fate rialzare il prezzo del maiale.
LORENZO: Risponderò di ciò alla comunità meglio che non possiate far voi di aver fatto alzare la pancia della mora: l'africana è incinta di voi, Lancillotto.
LANCILLOTTO: E che volete che faccia un'africana se non lasciarsi affricare?
LORENZO: Come ogni sciocco è abile a far giochi di parole! Io credo che la miglior grazia dello spirito sarà d'ora innanzi il silenzio, e che l'arte del parlare non sarà da lodarsi che nei pappagalli soltanto. Andate in casa, furfante, e dite che si preparino per il pranzo.
LANCILLOTTO: E' già fatto, signore: tutti hanno appetito.
LORENZO: Benedetto Iddio! Che infilzatore di facezie che siete! Allora dite loro che preparino il pranzo.
LANCILLOTTO: Anche questo è fatto; non resta altro che coprire la tavola.
LORENZO: Si copra dunque, messere.
LANCILLOTTO: Io coprirmi? No, signore, a nessun patto. Conosco il mio dovere!
LORENZO: E sempre coi bisticci a ogni occasione! Vuoi mostrare tutta la dovizia del tuo spirito in una volta sola? Ti prego, comprendi un uomo semplice nelle sue semplici espressioni. Va' dai tuoi compagni, dì loro di apparecchiare la tavola, di servire le pietanze, e noi verremo dentro a pranzare.
LANCILLOTTO: In quanto alla tavola, essa sarà servita, in quanto alle pietanze, saranno apparecchiate, e in quanto al vostro venir dentro a pranzo, signore... ebbene lasciatevi guidare dal vostro capriccio e dalla vostra fantasia. (Esce)
LORENZO: O raro discernimento, come sono azzeccate le sue parole!
Questo sciocco ha piantato nella sua memoria un esercito di belle parole; e io conosco parecchi sciocchi i quali occupano una posizione migliore della sua, provvisti come lui, che per una parola ricercata sfidano il senso comune... Come va, Gessica? Ora, mia cara, di' la tua impressione. Come ti piace la moglie del signor Bassanio?
GESSICA: Al di là di ogni espressione. E ben si conviene che il signor Bassanio meni una vita irreprensibile, perché avendo una così grande benedizione nella sua signora, egli trova qui sulla terra le gioie celesti, e se sulla terra egli non le merita, per giustizia non dovrebbe mai andare in cielo. Davvero che se due numi dovessero giocare una partita celeste, e, come posta, fossero messe due donne mortali e Porzia fosse l'una, bisognerebbe insieme con l'altra arrischiare qualche altra cosa, perché questo povero grossolano mondo non ha la sua eguale.
LORENZO: E anche tu hai in me un tale marito, quale essa è come moglie.
GESSICA: Già! Ma intorno a ciò chiedete anche la mia opinione.
LORENZO: La chiederò subito; ma prima andiamo a pranzo.
GESSICA: Fatemi dire le vostre lodi finché ho appetito.
LORENZO: No, ti prego; serbiamo tutto ciò come argomento di conversazione a tavola. Allora, in qualsivoglia modo tu parli, io digerirò tutto, insieme con le altre cose.
GESSICA: Bene, vi metterò tutto in tavola. (Escono)
ATTO QUARTO
DOGE: Ebbene, c'è Antonio?
ANTONIO: Presente, agli ordini di Vostra Serenità .
DOGE: Mi dispiace per te. Tu vieni a rispondere a un avversario duro come un macigno, a un essere disumano, incapace di pietà, completamente privo del più piccolo senso di compassione.
ANTONIO: Ho saputo che Vostra Serenità si è data la più grande premura per moderare la sua rigida azione giudiziaria, ma dal momento che egli rimane ostinato, e per nessun mezzo legale io posso uscir fuori della cerchia del suo malvolere, opporrò la mia pazienza alla sua rabbia, e sono armato a sopportare con la tranquillità del mio spirito la crudeltà e la ferocia del suo.
DOGE: Qualcuno vada a dire all'ebreo di presentarsi dinanzi alla Corte.
SOLANIO: E' qui pronto alla porta. Ecco che viene, mio signore.
(Entra SHYLOCK)
DOGE: Fategli posto e stia dinanzi alla nostra persona. Shylock, tutti credono, e così credo anch'io, che tu voglia sostenere codesta tua parte di spietato soltanto sino all'ultimo momento del dramma; allora si pensa che vorrai far mostra della tua compassione e di una pietà più strana che non sia la tua strana crudeltà apparente; e mentre esigi ora la penale che consiste in una libbra di carne di questo disgraziato mercante, vorrai non solo rinunciare a codesto tuo diritto ma, tocco da gentilezza e simpatia umana, condonargli anche una parte della somma, gettando uno sguardo di pietà sulle perdite che ultimamente si sono accumulate sulle sue spalle, tali che bastano ad abbattere un mercante reale e a strappare commiserazione per il suo stato a petti di bronzo, a rudi cuori di macigno, a inflessibili Turchi e Tartari, non abituati mai ad atti di dolce cortesia. Noi tutti aspettiamo, ebreo, una gentile risposta.
SHYLOCK: Io ho informato Vostra Serenità delle mie intenzioni. E per il nostro santo Sabato ho giurato che avrò ciò che mi è dovuto in esecuzione del mio contratto. Se voi me lo negate, ne ricada il pericolo sulla vostra carta e sulle franchigie della vostra città. Mi chiedete perché io preferisca di ricevere una libbra di carne guasta anziché tremila ducati? Non risponderò. Fate conto che sia un mio capriccio. Non è questa una risposta? Che cosa avrei da rispondere se la mia casa fosse molestata da un topo e a me piacesse spendere diecimila ducati per farlo avvelenare? Ebbene, non vi basta questa risposta? Vi sono uomini a cui non piace vedere sulla mensa un maiale col limone in bocca, altri che danno in smanie se vedono un gatto, ed altri che, quando una zampogna manda il suo suono nasale, non possono contenere l'orina; perché la sensibilità, signora delle reazioni corporali, le governa ad arbitrio di ciò che a lei piace o ripugna.
Ora, per tornare alla risposta che mi chiedete, come non c'è nessuna solida ragione del perché uno non può soffrire un porco col grugno spalancato e un altro un gatto innocuo e utile e un altro una lanosa zampogna, ma deve forzatamente sottomettersi a un inevitabile biasimo di offendere, ricevendo egli stesso offesa, così io non posso e non voglio dare alcuna ragione, all'infuori di un odio inveterato, e di una ferma ripugnanza che ho per Antonio, del motivo perché io sostengo contro di lui una causa che è per me tanto rovinosa. Vi basta questa risposta?
BASSANIO: Questa non è, uomo insensibile, una risposta tale da giustificare l'impeto della tua crudeltà.
SHYLOCK: Non sono obbligato a farti piacere con le mie risposte.
BASSANIO: Forse che tutti gli uomini uccidono gli esseri che non amano?
SHYLOCK: C'è forse qualche uomo che odi un essere che egli non vorrebbe uccidere?
BASSANIO: Ma non ogni risentimento porta con sé, fin dal principio, anche l'odio.
SHYLOCK: Come! Vorresti che un serpente ti mordesse due volte?
ANTONIO: Vi prego, pensate che voi discutete con un ebreo. Tanto varrebbe stare sulla spiaggia e dire all'oceano di abbassare il suo abituale livello. Tanto varrebbe disputare col lupo perché ha fatto belare la pecora per l'agnello. Tanto varrebbe ancora impedire ai pini della montagna di agitare le loro alte cime e di non far rumore quando sono tormentati dalle raffiche dei cieli. Tanto varrebbe compiere l'impresa più dura, quanto cercar di ammollire - e che cosa è più dura di questa? - il suo cuore di ebreo. Vi scongiuro perciò di non fare altre offerte, di non impiegare altri mezzi, ma lasciate che, con tutta la brevità e semplicità consentite, io mi abbia la mia sentenza, e l'ebreo ciò che richiede.
BASSANIO: Per i tuoi tremila ducati eccone sei.
SHYLOCK: Se ciascuno dei seimila ducati fosse diviso in sei parti, e ciascuna parte fosse un ducato, non li prenderei; io voglio l'adempimento del mio contratto.
DOGE: Quale pietà puoi tu sperare quando non ne usi alcuna?
SHYLOCK: E quale giudizio devo temere quando non faccio nulla di male?
Voi avete fra voi molti schiavi che avete comprati e adoperati, come i vostri asini, i vostri cani e i vostri muli, in bassi, abbietti servigi, perché li avete comprati. Posso io dirvi: "Lasciateli liberi, ammogliateli con le vostre eredi? Perché devono andare sotto il carico? Lasciate che si facciano i loro letti soffici come i vostri e che i loro palati siano stuzzicati da vivande come le vostre". Voi mi risponderete: "Gli schiavi sono nostri". Così rispondo io a voi: "La libbra di carne che io pretendo da lui è stata comprata a caro prezzo:
è mia e voglio averla. Se voi me la negate, onta alla vostra legge! Le leggi di Venezia non hanno più forza. Io sto qui per attendere la vostra sentenza. Rispondetemi: l'avrò?".
DOGE: Per i miei poteri io posso aggiornare la Corte, a meno che non arrivi oggi Bellario, un valente dottore che ho mandato cercare per risolvere il caso.
SOLANIO: Signore, è qui fuori, venuto da Padova, un messo, con lettere da parte del dottore.
DOGE: Portate le lettere e fate entrare il messo.
BASSANIO: Sta' di buon animo, Antonio! Coraggio ancora, amico! L'ebreo avrà la mia carne, il mio sangue, le mie ossa, tutto, prima che tu debba perdere per me una stilla di sangue.
ANTONIO: Io sono la pecora infetta del gregge, la più adatta alla morte. Il frutto più debole cade per il primo al suolo, e così lasciate che sia di me. Voi non potete meglio essere impiegato, Bassanio, che a vivere ancora e a scrivere il mio epitaffio.
(Entra NERISSA, vestita da Scrivano di avvocato)
DOGE: Venite da Padova, da parte di Bellario?
NERISSA: Da Padova e da parte di Bellario, mio signore. Bellario riverisce Vostra Serenità. (Presenta una lettera)
BASSANIO: Perché affili il coltello sulla tua suola con tanta lena?
SHYLOCK: Per tagliare su questo fallito la penale che mi è dovuta.
BASSANIO: Non sul mo cuoio, ma sul tuo cuore, o duro ebreo, dovresti affilare il tuo coltello. Ma nessun metallo, no, neppure la mannaia del boia potrebbe avere la metà dell'affilatura del tuo tagliente odio. Nessuna preghiera può dunque toccarti?
SHYLOCK: No, nessuna che ti basti l'immaginazione di fare.
GRAZIANO: Possa tu esser dannato, cane inesorabile! Si dovrebbe accusare la giustizia di lasciarti vivere. Tu mi fai tanto vacillare nella mia fede da accogliere quasi l'opinione di Pitagora che le anime degli animali si trasfondano nei corpi degli uomini. Il tuo spirito ringhioso animò già un lupo che, impiccato per una strage umana, esalò dalla forca la sua scellerata anima, e questa mentre tu stavi nel grembo dell'empia tua madre, si trasfuse in te; perché i tuoi desideri sono quelli di un lupo, sanguinari, voraci, insaziabili.
SHYLOCK: Fino a che non potrai cancellare con le tue ingiurie la firma dal mio contratto, non fai che danneggiare i tuoi polmoni a gridare così forte. Cura il tuo spirito, mio caro giovane, se no andrai incontro a una rovina irreparabile. Io sto qui per attendere giustizia.
DOGE: Questa lettera di Bellario raccomanda alla nostra Corte un giovane e illustre dottore. Dov'è?
NERISSA: Egli è qui vicino che aspetta di conoscere la vostra risposta se volete ammetterlo all'udienza.
DOGE: Con tutto il cuore. Vadano tre o quattro di voi e lo introducano cortesemente in quest'aula. Nel frattempo la Corte udrà la lettera di Bellario. (Legge) "Sappia Vostra Serenità che nel momento in cui ricevo la vostra lettera mi trovo assai indisposto: ma nello stesso tempo in cui è venuto il vostro messo era qui con me, per una gradita visita, un giovane dottore di Roma. Il suo nome è Baldassarre. L'ho informato della causa tra l'ebreo e il mercante Antonio, e abbiamo sfogliato insieme parecchi libri. Egli conosce perfettamente la mia opinione, la quale, rafforzata dalla sua personale dottrina, della cui larghezza non posso fare abbastanza lodi, vi giunge insieme con lui, che, per le mie sollecitazioni, risponderà, in vece mia, all'invito di Vostra Serenità. La sua mancanza d'anni, vi supplico, non sia un motivo per cui debba mancargli una rispettosa stima; perché non ho mai conosciuto una persona così giovane con un cervello così maturo. Lo affido quindi alla vostra graziosa accoglienza, e la prova che ne farete renderà più chiara la sua lode". Avete udito ciò che scrive il dottor Bellario.
(Entra PORZIA, vestita come un dottore in legge)
Ed ecco, m'immagino, il dottore che giunge. Datemi la mano. Venite da parte del vecchio Bellario?
PORZIA: Sì, mio signore.
DOGE: Siate il benvenuto. Prendete il vostro posto. Siete informato della contesa che forma la materia della presente discussione alla Corte?
PORZIA: Sono perfettamente informato della causa. Quale di essi è il mercante e quale l'ebreo?
DOGE: Che Antonio e il vecchio Shylock si avvicinino.
PORZIA: Siete voi che vi chiamate Shylock?
SHYLOCK: Sì, il mio nome è Shylock.
PORZIA: La causa che sostenete è di una strana natura, ma è così regolare che la legge veneta non può opporsi alla prosecuzione dei vostri atti. (Ad Antonio:) Siete nelle sue mani, non è vero?
ANTONIO: Sì, cosi dice lui.
PORZIA: Riconoscete l'obbligazione?
ANTONIO: La riconosco.
PORZIA: Allora l'ebreo deve essere clemente.
SHYLOCK: E per quale costrizione dovrei essere clemente? Ditemelo.
PORZIA: La natura della clemenza è di non esser forzata. Essa scende dolcemente come la soave pioggia dal cielo sul terreno sottostante ed è due volte benefica. Fa felice colui che la dispensa e colui che la riceve; presso i potenti, è più potente; adorna il monarca sul trono meglio che la sua corona. Lo scettro di lui è l'emblema della forza del potere terreno, degli attributi della reverenza e della maestà, e in esso risiede il terrore e la paura che ispirano i re, ma la clemenza è al di sopra del potere scettrato. Essa ha il suo trono nel cuore dei re ed è un attributo di Dio stesso. Il potere terreno appare allora più simile a quello divino quando la clemenza addolcisce la giustizia. Tu, quindi, ebreo, benché ciò che domandi dia la giustizia, pensa a questo che, a rigor di sola giustizia, nessuno di noi potrebbe vedere la propria salvezza. Noi invochiamo la clemenza, e questa invocazione ci insegna a tutti che dobbiamo far atti di clemenza.
Tutto questo io t'ho detto per rendere meno severa la giustizia della tua richiesta; ma se tu insisti in essa, questa rigida Corte di Venezia deve necessariamente dare la sua sentenza sfavorevole a questo mercante.
SHYLOCK: Le mie azioni ricadano sul mio capo! Io chiedo giustizia, chiedo la penale in adempimento del mio contratto.
PORZIA: Non è egli in grado di pagar la somma?
BASSANIO: Sì, la offro io per lui, dinanzi alla Corte: anzi offro due volte la somma. E se non basterà, mi obbligherò a pagarla moltiplicata per dieci, dando in pegno le mie mani, la mia testa, il mio cuore. Se ciò non basterà, vorrà dire che la malizia schiaccia l'onestà.
(S'inginocchia alzando le mani) Per una sola volta, ve ne scongiuro, la legge ceda alla vostra autorità. Per fare un atto di grande giustizia commettete un piccolo torto e piegate così la volontà di questo crudele demonio.
PORZIA: Non è possibile. Non c'è nessuna autorità in Venezia che possa modificare una legge in vigore. Ciò sarebbe invocato come un precedente e, per quell'esempio, molti abusi s'infiltrerebbero nello Stato. Non è possibile.
SHYLOCK: Un Daniele venuto a render giustizia! Sì, un Daniele! O giovane giudice sapiente, come ti onoro!
PORZIA: Ve ne prego, fatemi vedere il contratto.
SHYLOCK: Eccolo qua, veneratissimo dottore, eccolo qua.
PORZIA: Shylock, ti si offre una somma tre volte maggiore.
SHYLOCK: Un giuramento, un giuramento: ho fatto un giuramento al cielo. Dovrò gravarmi l'anima di uno spergiuro? No, no, per tutta Venezia.
PORZIA: Ebbene, questa obbligazione è scaduta, e in forza di essa l'ebreo può legalmente reclamare una libbra di carne, da tagliarsi da lui proprio vicino al cuore del mercante. Sii clemente: prendi il triplo del danaro e lasciami stracciare l'obbligazione.
SHYLOCK: Sì, quando essa sia stata pagata secondo il suo tenore. Voi siete manifestamente un degno giudice: conoscete la legge e la vostra interpretazione è stata assai profonda. Vi scongiuro, in nome della legge di cui siete una degna colonna, di procedere alla sentenza.
Giuro per l'anima mia che non c'è nella lingua di un uomo potere alcuno che valga a cambiarmi. Io mi attengo al mio contratto.
ANTONIO: Prego con tutto il cuore la Corte di dare la sentenza.
PORZIA: Ebbene, allora la sentenza è questa: dovete preparare il vostro petto per il suo coltello.
SHYLOCK: O nobile giudice! O eccellente giovane!
PORZIA: Perché il senso e lo spirito della legge giustificano completamente la penale che qui appare dovuta in forza dell'obbligazione.
SHYLOCK: E' verissimo. O sapiente e retto giudice! quanto sembri più anziano di quel che dimostri!
PORZIA: Or dunque mettete a nudo il vostro petto.
SHYLOCK: Sì, il suo petto; così dice il contratto. Non è vero, nobile giudice? "Vicinissimo al suo cuore"; sono le precise parole.
PORZIA: Proprio così. C'è una bilancia per pesare la carne?
SHYLOCK: L'ho qui pronta.
PORZIA: Abbiate vicino un chirurgo, Shylock, a vostre spese, per ristagnare le sue ferite, perché egli non perda sangue sino a morirne.
SHYLOCK: Ma è stabilito così nell'obbligazione?
PORZIA: Non se ne fa parola. Ma che importa? Sarebbe bene che voi faceste anche questo per carità.
SHYLOCK: Non riesco a trovare questa clausola: non c'è nell'obbligazione.
PORZIA: Voi, mercante, avete qualche cosa da dire?
ANTONIO: Solo poche parole. Sono agguerrito e ben preparato. Datemi la mano, Bassanio, e addio! Non vi addolorate se sono giunto a questo per voi, perché in ciò la Fortuna si mostra più gentile che non soglia. E' sua costante abitudine di lasciare l'uomo infelice vivere più a lungo della sua ricchezza perché contempli con gli occhi infossati e la fronte piena di rughe una vecchiaia di povertà. Essa mi libera dal lento martirio di tale miseria. Ricordatemi alla vostra nobile sposa.
Raccontatele i particolari della fine di Antonio; ditele quanto io vi ho amato e parlate bene di me quando sarò morto. E quando il racconto sarà finito, pregatela che sia giudice lei se Bassanio ebbe un giorno un amico. Voi siate solo dolente di aver perduto un amico, mentre egli non si duole di pagare il vostro debito: perché, se l'ebreo va giù col coltello solo quanto basta, io la pagherò immediatamente con tutto il mio cuore.
BASSANIO: Antonio, io sono sposato a una donna che m'è cara quanto la vita stessa; ma la mia vita stessa, mia moglie e ogni altra cosa nel mondo non sono da me pregiate al di sopra della tua vita. Vorrei perderle tutte, sacrificarle tutte a questo demonio per liberarvi.
PORZIA: Vostra moglie non vi sarebbe molto grata, se fosse qui a udire l'offerta che fate .
GRAZIANO: Io ho una moglie che dichiaro solennemente di amare. Vorrei che fosse in paradiso in modo da poter scongiurare qualche celeste potestà perché facesse cambiare quest'ebreo ringhioso.
NERISSA: E' bene che facciate questa offerta dietro le sue spalle. Il vostro voto potrebbe forse rendere poco tranquilla la casa.
SHYLOCK: (a parte) E questi sono i mariti cristiani! Io ho una figliola... Oh avesse potuto essere suo marito uno della razza di Barabba, anziché un cristiano! (Ad alfa voce) Noi perdiamo tempo. Ti prego, procedi alla sentenza.
PORZIA: Una libbra della carne di questo mercante è tua. La Corte te l'aggiudica e la legge te la concede.
SHYLOCK: Giustissimo giudice!
PORZIA: E voi dovete tagliar questa carne dal suo petto. La legge ve la concede e la Corte ve l'aggiudica.
SHYLOCK: Dottissimo giudice! Che sentenza! Vieni, preparati!
PORZIA: Aspetta un momento; c'è qualcos'altro. Questa obbligazione non ti dà neppure una stilla di sangue. Le precise parole sono: "una libbra di carne". Attieniti dunque a essa e prenditi la tua libbra di carne, ma se nel tagliarla tu versi una sola goccia di sangue cristiano, le tue terre e i tuoi beni sono, in forza delle leggi di Venezia, confiscati a favore dello Stato di Venezia.
GRAZIANO: O giustissimo giudice! Vedi, ebreo, che dotto giudice!
SHYLOCK: E' questa la legge?
PORZIA: Tu stesso puoi vederne il testo: poiché dal momento che insisti sulla giustizia, sta' pur sicuro che avrai giustizia, più di quanto desideri.
GRAZIANO: O dotto giudice! Vedi, ebreo, che dotto giudice !
SHYLOCK: Allora accetto l'offerta. Mi si paghi tre volte la somma dell'obbligazione e il cristiano sia libero.
BASSANIO: Ecco il danaro.
PORZIA: Un momento. L'ebreo deve aver intera giustizia. Un momento!
Senza fretta! Egli non deve avere altro che la penale.
GRAZIANO: O ebreo! Un giustissimo giudice, un dotto giudice!
PORZIA: Perciò preparati a tagliar la carne. Non versare sangue e non tagliare né più né meno di un'esatta libbra di carne. Se ne tagli più o meno di una libbra esatta tanto solo che la renda, nel suo peso totale, più leggera o più pesante di una frazione che sia la ventesima parte di un solo grano, o, meglio, se il piatto sgarra solo per la differenza di un capello, tu muori e i tuoi beni sono confiscati.
GRAZIANO: Un secondo Daniele! Un Daniele, o ebreo! Ora, o miscredente, ti tengo sotto.
PORZIA: Perché esita l'ebreo? Prenditi la tua penale.
SHYLOCK: Datemi soltanto il mio capitale e lasciatemi andare.
BASSANIO: L'ho qui pronto per te: eccolo.
PORZIA: L'ha rifiutato in piena Corte. Egli deve ottenere semplicemente giustizia, e l'esecuzione del contratto.
GRAZIANO: Un Daniele torno a dire, un secondo Daniele! Ti ringrazio, ebreo, d'avermi insegnata questa parola.
SHYLOCK: Non avrò neppure semplicemente il capitale mio?
PORZIA: Tu non devi aver altro che la penalità, da prendersi a tuo rischio, o ebreo.
SHYLOCK: Ebbene, che il diavolo gliene faccia far buon pro! Non voglio rimanere qui più a lungo a discutere.
PORZIA: Aspetta, ebreo. La legge ha un'altra presa su di te. E' stabilito nelle leggi di Venezia che se si può provare contro uno straniero che egli con attentati diretti o indiretti insidia la vita di qualche cittadino, la persona contro cui ha tramato può impadronirsi di una metà dei suoi beni, mentre l'altra metà va nella cassetta privata dello Stato e la vita del reo è alla mercé del doge unicamente, contro ogni appello. Io affermo che tu cadi sotto questa disposizione di legge, perché dal tuo modo di agire appare manifesto che indirettamente e anche direttamente hai tramato proprio contro la vita del querelato e sei incorso nella pena da me sopra ricordata.
Inginocchiati dunque e invoca la clemenza del doge.
GRAZIANO: Chiedi che ti possa esser consentito di impiccarti da te. Se non che, essendo la tua fortuna devoluta allo Stato, non ti resta neppure di che comprarti una corda, e devi perciò essere impiccato a spese dello Stato.
DOGE: Affinché tu possa vedere la differenza dei nostri animi, ti faccio grazia della vita, prima che tu me ne faccia domanda. In quanto a una metà delle tue ricchezze essa è d'Antonio, l'altra metà va direttamente allo Stato, ma la tua sottomissione può ridurla a una semplice ammenda.
PORZIA: Sì per ciò che spetta allo Stato, non ad Antonio.
SHYLOCK: Ma allora prendetevi la mia vita e tutto il resto; non mi fate grazia di essa. Voi mi portate via la casa quando mi portate via proprio il sostegno che la regge: mi togliete la vita, quando mi togliete i mezzi coi quali vivo.
PORZIA: Che concessione gli potete fare, Antonio?
GRAZIANO: Una corda gratis; nient'altro, per amor di Dio!
ANTONIO: Se piacesse al doge, mio signore, e a tutta la Corte di rimettergli l'ammenda che gli si prende in luogo di una metà dei suoi beni, io sarei contento, purché egli m'affidi in deposito l'altra metà, per restituirla, alla sua morte, nelle mani del gentiluomo che gli ha recentemente rapita la figliola; ma a questo indulto siano poste due condizioni: l'una, che egli si faccia subito cristiano, l'altra, che firmi qui davanti alla Corte un atto di donazione di tutto ciò che possederà alla sua morte a favore del suo genero Lorenzo e della sua figliola.
DOGE: Egli farà questo; diversamente revoco la grazia che ho testé concessa.
PORZIA: Ti contenti così, ebreo? Che rispondi?
SHYLOCK: Mi contento...
PORZIA: Scrivano, stendete un atto di donazione.
SHYLOCK: Vi prego, permettetemi di andar via di qua. Non mi sento bene. Mandatemi a casa l'atto, e lo firmerò.
DOGE: Va' pure, ma firmalo.
GRAZIANO: Al battesimo avrai due padrini, ma se fossi stato io il giudice ne avresti dovuto avere dieci di più per condurti alla forca e non al fonte. (Esce Shylock)
DOGE: Signore, vi prego di venire a pranzo a casa mia.
PORZIA: Chiedo umilmente perdono a Vostra Serenità; ma bisogna che io sia di ritorno a Padova questa sera, e mi conviene partir subito.
DOGE: Sono dolente che non abbiate a vostra disposizione un po' di tempo libero. Antonio, ricompensate questo gentiluomo, perché, a parer mio, gli siete assai obbligato. (Escono il Doge e il Seguito)
BASSANIO: Degnissimo gentiluomo, io e il mio amico siamo stati oggi sottratti a dolorose condanne per la vostra dottrina. In contraccambio di ciò vorremmo di tutto cuore ricompensare con questi tremila ducati, che erano dovuti all'ebreo, la vostra cortese opera.
ANTONIO: E vi restiamo, oltre a tutto, sempre in obbligo di affetto e di servitù.
PORZIA: E' ben ricompensato chi è ben soddisfatto, e io son soddisfatto di avervi liberato; quindi ritengo di essere ben ricompensato. Il mio animo non è mai stato finora più mercenario di così. Se ci incontreremo un'altra volta, vi prego, vogliate riconoscermi. Vi auguro ogni bene e mi congedo da voi.
BASSANIO: Caro signore, io mi sento costretto a insistere ancora.
Accettate qualche ricordo da noi come un omaggio, non come un compenso. Concedetemi, vi prego, due cose: non dirmi di no e perdonarmi.
PORZIA: Poiché insistete tanto, cederò... Datemi i vostri guanti, li porterò per ricordo di voi; e per amor vostro accetterò da voi quest'anello... Non ritirate la mano; non prenderò niente di più, e voi, per cortesia, non mi negherete codesto.
BASSANIO: Ahimè, signor mio, quest'anello è cosa da nulla. Mi vergognerei a darvelo.
PORZIA: Non accetterò altro all'infuori di esso. E' proprio come se me ne fosse venuta una gran fantasia.
BASSANIO: Non è il suo valore che conta, è l'oggetto stesso. Vi offrirò il più prezioso anello che sia in Venezia, e lo troverò per mezzo di un pubblico bando; ma in quanto a questo, vogliate scusarmi, vi prego.
PORZIA: Vedo, signore, che nell'offrire siete liberale. Prima mi avete insegnato a mendicare e ora, a quel che pare, mi insegnate che risposta si deve dare a un mendico.
BASSANIO: Caro signore, quest'anello mi fu dato da mia moglie, e quando essa me lo mise in dito mi fece giurare che non l'avrei né venduto, né regalato, né perduto.
PORZIA: Questa scusa serve a molti uomini per risparmiarsi i regali:
ma quando vostra moglie non sia un'insensata e sappia quanto bene io mi sia meritato l'anello, non potrà serbarvi un eterno rancore per avermelo dato. Ebbene, la pace sia con voi ! (Escono Porzia e Nerissa)
ANTONIO: Signor Bassanio, consentite che egli abbia l'anello e che i suoi meriti uniti con il mio affetto contino qualche cosa contro il divieto di vostra moglie.
BASSANIO: Va', Graziano; corri e raggiungilo. Dagli l'anello e conducilo, se puoi, a casa di Antonio. Via, fa' presto! (Esce Graziano) Venite; voi e io ci andremo subito, e domattina presto voleremo tutti e due a Belmonte. Andiamo, Antonio. (Escono)
SCENA SECONDA - Venezia. Una strada
(Entrano PORZIA e NERISSA, sempre travestite)
PORZIA: Cerca la casa dell'ebreo, dagli quest'atto e faglielo firmare.
Partiremo questa sera e saremo a casa un giorno prima dei nostri mariti. Questa donazione sarà ben gradita a Lorenzo.
(Entra GRAZIANO)
GRAZIANO: (a Porzia) Caro signore, vi ho fortunatamente raggiunto. Il signor Bassanio, dopo aver meglio considerato, vi manda qui quest'anello e vi prega di tenergli compagnia a pranzo.
PORZIA: Questo non è possibile. Quanto all'anello, l'accetto con animo assai grato e così vi prego di dirgli. Vi prego inoltre di indicare a questo giovane dove è la casa del vecchio Shylock.
GRAZIANO: Gliela indicherò.
NERISSA: Signore, vorrei dirvi una parola. (Piano a Porzia:) Voglio vedere se riesco a ottenere l'anello di mio marito, che gli feci giurare di conservare sempre.
PORZIA: (piano a Nerissa) L'otterrai, te lo garantisco. E udremo di gran giuramenti, che essi hanno dato gli anelli a uomini, ma noi li sfideremo e giureremo più di loro. (Ad alta voce:) Via, fa' presto. Tu sai dove mi fermerò ad alloggiare.
NERISSA: Andiamo, caro signore. Volete indicarmi per dove si va a questa casa? (Escono)
LORENZO: La luna splende di tutto il suo lume. In una notte come questa, quando il dolce vento baciava leggermente gli alberi ed essi non facevano il più piccolo rumore, in una notte come questa, Troilo, io credo, salì sulle mura di Troia ed esalò in sospiri la sua anima volto verso le tende dei Greci, dove quella notte giaceva Cressida.
GESSICA: In una notte come questa, Tisbe sfiorò timidamente col piede la rugiada e vide, prima dello stesso leone, l'ombra di lui e fuggì atterrita.
LORENZO: In una notte come questa Didone con in mano un ramo di salcio, s'arrestò sul selvaggio lido, e faceva cenni al suo amore di ritornare a Cartagine.
GESSICA: ln una notte come questa, Medea colse le erbe incantate che dovevano ringiovanire il vecchio Esone.
LORENZO: In una notte come questa Gessica fuggì come una ladra dalla casa del ricco ebreo e con un amante sprovveduto, corse da Venezia sino a Belmonte.
GESSICA: In una notte come questa, il giovane Lorenzo le giurò di amarla immensamente e le rubò il cuore con molte proteste di verace amore, e nessuna di esse sincera.
LORENZO: In una notte come questa, la leggiadra Gessica come una piccola bisbetica calunniò il suo amante, ed egli le perdonò.
GESSICA: Io vi batterei nel ricordare notti famose, se nessuno ci disturbasse. Ma zitto! Odo il calpestìo di qualcuno.
(Entra STEFANO)
LORENZO: Chi viene così in fretta nel silenzio della notte?
STEFANO: Un amico.
LORENZO: Un amico! Che amico? Come vi chiamate, per piacere, o amico?
STEFANO: Mi chiamo Stefano, e reco la notizia che la mia signora sarà qui a Belmonte prima dell'alba. Essa si indugia or qua or là presso alle sante croci dove s'inginocchia e prega a sé felici giorni di matrimonio .
LORENZO: Chi viene con lei?
STEFANO: Nessuno, fuori che un santo eremita e la sua cameriera. Ma ditemi, per piacere, il mio padrone è già tornato?
LORENZO: No e non abbiamo sue notizie. Ma entriamo, ti prego, Gessica, e prepariamoci dare un benvenuto coi fiocchi alla padrona di casa.
(Entra LANCILLOTTO)
LANCILLOTTO: "Pepè pepè perepè pepè pepè!" LORENZO: Chi chiama?
LANCILLOTTO: "Pepè"! Avete visto il signor Lorenzo? Signor Lorenzo!
"Pepè pepè!" LORENZO: Smetti di vociare, amico. Egli è qua.
LANCILLOTTO: "Pepè!" Dove? Dove?
LORENZO: Qua.
LANCILLOTTO: Ditegli che c'è un corriere da parte del mio padrone con il suo corno pieno di buone notizie. Il mio padrone sarà qui prima dell'alba. (Esce)
LORENZO: Dolce anima mia, entriamo e aspettiamo in casa il loro arrivo... Ma no, non importa. Perché dovremmo entrare? Amico Stefano, andate a dire, vi prego, a quei di casa che la vostra padrona è qui vicino, e fate venire i vostri suonatori qua all'aperto. (Esce Stefano) Come dorme dolcemente il lume della luna su questa proda! Ci metteremo qui a sedere e lasceremo che le note della musica s'insinuino nelle nostre orecchie. Il placido silenzio e la notte s'accordano con le note di una dolce armonia. Siediti Gessica. Guarda come il pavimento del cielo è fittamente intarsiato di patène d'oro splendente. Non c'è la più piccola stella che tu contempli, la quale non canti nel suo moto come un angelo e non s'intoni coi cherubini dagli occhi sempre giovani. Tale armonia è nelle anime immortali! ma finché le nostre sono rinchiuse in questo corruttibile involucro di argilla noi non la possiamo udire.
(Entrano i Suonatori)
Orsù, venite e svegliate Diana con un inno. Con le più dolci note penetrate negli orecchi della nostra padrona e attiratela a casa con la musica. (Musica)
GESSICA: Non sono mai allegra quando odo una dolce musica.
LORENZO: La ragione è che la vostra anima è sempre intenta. Ma osservate un poco una mandria selvaggia e ruzzante, o un branco di giovani e non domati puledri che fanno pazzi salti, che mugliano e nitriscono alto, poiché tale è la calda tempra della loro natura: se essi odono per caso il suono di una tromba o se qualche aria musicale colpisce i loro orecchi, vedrete che si fermano tutti insieme e i loro selvaggi occhi assumono un mansueto sguardo per il dolce potere della musica. Perciò il poeta immaginò che Orfeo smuovesse gli alberi, le piene e i fiumi, poiché non c'è nulla di così insensibile, duro, rabbioso di cui la musica non cambi l'indole, mentre che dura. L'uomo che non ha alcuna musica dentro di sé, che non si sente commuovere dall'armonia di dolci suoni, è nato per il tradimento, per gli inganni, per le rapine. I moti del suo animo sono foschi come la notte, i suoi appetiti neri come l'Erebo. Non vi fidate di un uomo siffatto. Ascoltate la musica.
(Entrano PORZIA e NERISSA)
PORZIA: Quella luce che vediamo arde nella mia sala. Come manda lungi i suoi raggi quel piccolo lume! Allo stesso modo brilla una buona azione in questo tristo mondo.
NERISSA: Ma quando splendeva la luna, quel lume non si vedeva.
PORZIA: Così uno splendore più grande ne offusca uno minore. Un reggente brilla di gran luce finché non sia tornato il re, allora tutta la sua magnificenza si dilegua, come fa un ruscello che viene dai monti nella gran massa del mare. La musica! Taci!
NERISSA: E' la vostra musica di casa, signora.
PORZIA: Niente ha valore, io credo, se non si tien conto delle circostanze. Mi pare che essa suoni assai più dolcemente che di giorno.
NERISSA: E' il silenzio che le conferisce questa virtù, signora.
PORZIA: Il corvo canta dolcemente come l'allodola quando non c'è chi ascolta l'uno e l'altra. Se un usignolo cantasse di giorno, quando ogni oca strilla, non sarebbe stimato, io credo, miglior cantore dello scricciolo. Quante cose acquistano per le circostanze il loro giusto valore e la loro vera perfezione! Olà, silenzio! la luna dorme con Endimione e non vuole essere destata! (La musica tace)
LORENZO: Questa, o io m'inganno a partito, è la voce di Porzia.
PORZIA: Egli mi riconosce, come il cieco riconosce il cuculo alla sua brutta voce.
LORENZO: Cara signora, ben ritornata alla vostra casa.
PORZIA: Siamo state a pregare per la prosperità dei nostri mariti, e speriamo che essi abbiano avuto, per le nostre preghiere, la miglior fortuna. Sono tornati?
LORENZO: Non ancora; ma è venuto poco fa un messo ad annunziare il loro arrivo.
PORZIA: Va' dentro, Nerissa, e da' ordini ai servi di non far parola che noi siamo state assenti da casa. Non ne parlate neppure voi, Lorenzo; neppure voi, Gessica. (Squilla una tromba)
LORENZO: Vostro marito sta per giungere: odo la sua tromba. Non siamo chiacchieroni, signora, non abbiate timore.
PORZIA: Questa notte, a mio credere, non è che una languida luce diurna; sembra solo un po' più pallida. E' giorno, ma come è il giorno quando il sole è nascosto.
(Entrano BASSANIO, ANTONIO, GRAZIANO e i loro Domestici)
BASSANIO: Noi avremmo il giorno contemporaneamente agli antipodi se voi passeggiaste sempre nell'assenza del sole.
PORZIA: Sia mia legge di emanare luce, ma che io non sia leggera.
Perché la moglie leggera fa pesare il cuore al marito, e ciò non accada mai a Bassanio per causa mia. Ma Dio disponga tutto! Siate il ben tornato a casa, signor mio.
BASSANIO: Vi ringrazio, signora. Date il benvenuto al mio amico. Egli è Antonio, egli è l'uomo a cui sono infinitamente obbligato.
PORZIA: E dovete per ogni verso essergli molto obbligato, perché, a quel che so, egli si era molto obbligato per voi.
ANTONIO: Non più di quanto io sia stato ben ricompensato.
PORZIA: Signore, voi siete veramente il benvenuto nella nostra casa, ma poiché ciò deve manifestarsi in altro modo che a parole, non continuo in queste verbose cortesie.
GRAZIANO: (a Nerissa) Per quella luna lassù, vi giuro che mi fate torto. Sul mio onore l'ho dato al giovane del giudice. Possa per conto mio essere castrato chi l'ha avuto, dal momento che, amor mio, vi prendete la cosa tanto a cuore.
PORZIA: Ahi! Già una lite! A che proposito?
GRAZIANO: Per un cerchietto d'oro, un misero anello che essa mi diede, il cui motto in tutto e per tutto somigliava ai versi da arrotino che si leggono sui coltelli: "Amami sempre e non lasciarmi mai".
NERISSA: Che mi venite a parlate di motto e di valore? Voi mi giuraste, quando ve lo diedi, che l'avreste portato sino all'ora della vostra morte, e che esso sarebbe stato sepolto con voi nella vostra tomba. Se non a me, avreste dovuto almeno aver riguardo ai vostri fervidi giuramenti e conservarlo. L'ha dato al giovane di un giudice!
No! mi sia giudice Iddio: il giovane che l'ebbe non avrà mai peli sul viso.
GRAZIANO: Li avrà, se può vivere tanto da diventare un uomo.
NERISSA: Già, se una donna può vivere tanto da diventare un uomo.
GRAZIANO: No, per questa mia mano, l'ho dato a un giovane, una specie di ragazzo, un ragazzetto mingherlino, non più alto di te, allo scrivano del giudice: un ragazzo chiacchierino che me lo chiese come ricompensa. Non potei in coscienza negarglielo.
PORZIA: Devo essere sincera con voi; faceste assai male a separarvi così leggermente dal primo regalo di vostra moglie: un oggetto fissato sul vostro dito con un giuramento e ribadito con la fede sulla vostra carne. Anch'io detti al mio amato un anello e gli feci giurare di non separarsene, ed egli è qui presente. Ebbene, oso giurare per lui che egli non lo lascerebbe né se lo toglierebbe dal dito per tutte le ricchezze del mondo. Ah, Graziano, voi date in verità a vostra moglie un troppo crudele motivo di dispiacere! Se ciò accadesse a me, ne impazzirei.
BASSANIO: (a parte) Ahimè! Farei meglio a tagliarmi la mano sinistra e a giurare che ho perduto l'anello per difenderlo.
GRAZIANO: Anche il signor Bassanio dette il suo anello al giudice che glielo chiese, e in verità se lo meritava anche troppo. Allora il ragazzo, il suo scrivano, il quale s'era dato da fare a scrivere gli atti, mi chiese il mio. E tanto il principale quanto il suo uomo non vollero accettare altro, ad eccezione dei due anelli.
PORZIA: Che anello avete regalato, mio signore? Non quello, spero, che riceveste da me!
BASSANIO: Se a una colpa fossi capace di aggiungere una bugia, direi di no: ma voi vedete che nel mio dito non c'è più l'anello. E' sparito.
PORZIA: E così anche dal vostro falso cuore è sparita la fedeltà. Per il cielo, non entrerò mai nel vostro letto finché non riveda l'anello.
NERISSA: E io non entrerò nel vostro finché non riveda il mio.
BASSANIO: Diletta Porzia, se sapeste a chi diedi l'anello, se sapeste per chi diedi l'anello, se poteste immaginare per che cosa diedi l'anello, e come a malincuore mi separai dall'anello dal momento che non si volle accettar altro che l'anello, mitighereste la vivezza del vostro dispiacere.
PORZIA: Se aveste conosciuto la virtù dell'anello o la metà del valore di colei che vi diede l'anello e qual debito d'onore era per voi di conservare l'anello, non vi sareste staccato dall'anello. Chi sarebbe stato così poco ragionevole, quando vi fosse piaciuto di difenderlo con qualche zelo, da mancare di ogni senso di discrezione nel sollecitare il dono di un oggetto tenuto come una reliquia? Nerissa mi insegna ciò che devo credere. Vorrei morire se non è qualche donna che ha avuto l'anello.
BASSANIO: No; sul mio onore, signora, per l'anima mia, non l'ha avuto nessuna donna, ma un dottore in diritto civile che ricusò tremila ducati che io gli offrivo e mi chiese invece l'anello: il che io gli rifiutai, e mi rassegnai a vederlo partirsene contrariato, lui che aveva salvato nientemeno che la vita del mio caro amico. Che cosa potrei dirvi, dolce signora? Mi sentii costretto a mandarglielo per qualcuno che lo rincorresse, poiché mi facevano forza la vergogna e la buona creanza. Il mio onore non voleva macchiarsi di tanta ingratitudine. Perdonatemi, cara signora, perché, per queste sacre luci della notte, se voi vi foste trovata là, mi avreste, io credo, voi stessa chiesto l'anello per darlo al degno dottore.
PORZIA: Fate che il dottore non s'avvicini mai alla mia casa. Dal momento che egli ha avuto il gioiello che mi era caro e che voi giuraste di conservare per amor mio, io diventerò liberale come voi.
Non gli negherò alcuna cosa mia, no: né il mio corpo né il letto di mio marito. Lo conoscerò un giorno o l'altro, ne son sicura: Non dormite fuori di casa una sola notte. Guardatemi come Argo. Se non farete così, se sarò lasciata sola, sul mio onore, che è ancora proprietà mia, io avrò, sì, quel dottore come mio compagno di letto.
NERISSA: E io il suo scrivano. State bene attento perciò fino a che punto mi lascerete in custodia di me stessa.
GRAZIANO: Sta bene, fate pure così; ma allora badate che io non lo sorprenda, perché altrimenti guasto la penna al giovane scrivano.
ANTONIO: Sono io la disgraziata causa di queste liti.
PORZIA: Non vi affliggete, signore; voi siete nullameno il benvenuto.
BASSANIO: Porzia, perdonami questo torto forzato, e in presenza di tutti questi amici ti giuro, per questi tuoi begli occhi, nei quali vedo me stesso...
PORZIA: Ma sentite anche questa! In tutti e due i miei occhi egli non può vedersi che doppio: uno in ciascun occhio. Giurate allora per la vostra doppia persona e sarà un giuramento degno di fede.
BASSANIO: No, ma ascoltami. Perdonami questa colpa, e per l'anima mia ti giuro che non romperò mai più un giuramento che io ti faccia.
ANTONIO: Una volta, per la sua felicità, io detti in pegno il mio corpo che, senza colui che ebbe l'anello del vostro sposo, sarebbe miseramente perito. Oso impegnarmi un'altra volta, e do in garanzia la mia anima che il vostro signore non verrà mai meno deliberatamente alla sua parola.
PORZIA: Allora resterete garante per lui. Dategli questo e raccomandategli di custodirlo meglio dell'altro.
ANTONIO: Ecco, signor Bassanio: giurate di conservare quest'anello.
BASSANIO: Per il cielo, è quello stesso che diedi al dottore!
PORZIA: Lo ebbi da lui. Perdonatemi, Bassanio; perché in grazia di quest'anello il dottore dormì con me.
NERISSA: E perdonate anche a me, mio caro Graziano; perché quel ragazzo mingherlino, lo scrivano del dottore, in cambio di questo dormì con me la scorsa notte.
GRAZIANO: Ahimè! Tutto ciò somiglia a quando si riparano le vie maestre nell'estate quando le strade sono ancora abbastanza buone.
Dunque siamo cornuti prima di essercelo meritato?
PORZIA: Non parlate così volgarmente. Siete tutti quanti sbalorditi.
(A Bassanio:) Eccovi una lettera: leggetela a vostro comodo. Viene da Padova, da parte di Bellario. Troverete in essa che Porzia era il dottore e Nerissa lo scrivano. Lorenzo, qui, potrà far testimonianza che io partii subito al pari di voi e che sono tornata proprio ora:
non sono ancora entrata in casa. Antonio, voi siete il benvenuto; e io ho in serbo per voi delle notizie più belle di quelle che v'aspettate.
Aprite subito questa lettera. Vi troverete che tre delle vostre ragusee sono inaspettatamente arrivate in porto con ricchi carichi.
Non potrete mai sapere per quale strana combinazione il caso mi ha dato in mano questa lettera.
ANTONIO: Non so che dire.
BASSANIO: Eravate voi il dottore, e io non vi ho riconosciuta?
GRAZIANO: Eravate voi lo scrivano che mi deve mettere le corna?
NERISSA: Sì, ma lo scrivano che non ha alcuna intenzione di far ciò, a meno che non viva tanto da diventare un uomo.
BASSANIO: Caro dottore, voi sarete il mio compagno di letto, e quando sarò assente, dormite pure con mia moglie.
ANTONIO: Gentile signora, voi mi avete dato la vita e i mezzi di vivere, perché io leggo qua la notizia sicura che le mie navi sono giunte in salvo al porto.
PORZIA: E ora, a voi, Lorenzo. Il mio giovane ha qualche buona notizia anche per voi.
NERISSA: Sì, e gliela darò gratuitamente. Ecco, do a voi e a Gessica da parte del ricco ebreo, uno speciale atto di donazione da valer dopo la sua morte, di tutto ciò che egli alla sua morte possederà.
LORENZO: Belle signore, voi fate piovere la manna sui passi della gente affamata.
PORZIA: E' quasi l'alba, e tuttavia sono sicura che non siete ancora completamente soddisfatti dei particolari di questi avvenimenti.
Entriamo in casa e lì sottoponeteci agli interrogatori. Risponderemo a ogni cosa, giurando di dire tutta la verità.
GRAZIANO: Facciamo pur così. Il primo interrogatorio su cui Nerissa presterà giuramento è questo: se essa preferisce di stare alzata sino alla prossima notte o andare a letto ora che mancano due ore a giorno.
Ma fosse anche apparso il giorno, vorrei che fosse buio per poter andare a letto col giovane del dottore. E finché vivrò, di nient'altro mi darò tanta pena quanto di custodire gelosamente l'anello di Nerissa.
(Escono)