William Shakespeare
LE ALLEGRE COMARI
DI WINDSOR
GIOVANNI FALSTAFF
FENTON, giovane signore
ROBERTO SOMMARIO, giudice di pace
ABRAMO MINGHERLINO, nipote di Sommario
FRANCO FORD, GIORGIO PAGE: borghesi di Windsor
GUGLIELMO PAGE, ragazzo, figliuolo di Page
DON UGO EVANS, curato gallese
DOTTOR CAIO, medico francese
BARDOLFO, PISTOLA, NYM: al seguito di Falstaff
L'Oste della Locanda della Giarrettiera
ROBIN, paggio di Falstaff
SIMPLICIO, servo di Mingherlino
GIOVANNINO, servo del Dottor Caio
GIANNI, ROBERTO: servi di Ford
LA SIGNORA FORD, LA SIGNORA PAGE: le allegre comari
ANNA PAGE, sua figlia
MONNA FAPRESTO, governante del Dottor Caio
Folletti, Fate, Satiri e altre persone che fanno parte della mascherata
Scena: a Windsor e nei dintorni
ATTO PRIMO
SOMMARIO (con calore): E' inutile, reverendo. Non cercate di persuadermi. Ne farò un caso da Camera Stellata. Se egli fosse non uno, ma venti Giovanni Falstaff, non riuscirebbe lo stesso a raggirare il cavaliere Roberto Sommario.
MINGHERLINO (approvando): Roberto Sommario, giudice di pace della contea di Gloucester, uno dei "quorum".
SOMMARIO: Già, nipote Mingherlino, e "Custalorum".
MINGHERLINO: Già, e "Rotulorum" eziandio; un gentiluomo nato, messer parroco, che firma col titolo di "Armigero" su ogni polizza, mano, quietanza o obbligazione: "Armigero"!
SOMMARIO: E' quello che facciamo. E lo facciamo senza interruzione, da trecento anni a questa parte.
MINGHERLINO: Così fecero tutti i suoi successori, che lo precedettero; e così faranno tutti i suoi antenati, che lo seguiranno. E per questo, hanno come blasone dodici lucci d'argento.
SOMMARIO (con orgoglio): E' il nostro antico stemma, dodici lucci.
EVANS: Totici pulci? in un fecchio stemma totici pulci passanti, ci stanno penone. La pulce è animale amico tell'uomo, e un simpolo t'affetto!
SOMMARIO (sostenuto): Le pulci ce le avete voi negli orecchi!
MINGHERLINO: Io posso inquartare, zio.
SOMMARIO: Sicuro, se vi sarete sposato.
EVANS: Sarà taffero spostato, se lo inquarta.
SOMMARIO: Nient'affatto!
EVANS: Ma sì! per la Matonna! S'egli ha un quarto tel fostro plasone, a foi non restano che tre falte, seconto il mio semplice moto ti fetere; ma lasciamo correre. Se messer Giofanni Falstaff fi ha offeso, io sono uomo ti chiesa e pen folentieri mi farò metiatore fra foi tue, per trofare una pace... un compromesso.
SOMMARIO: E' il Consiglio che deve giudicare. C'è reato di sedizione!
EVANS: Il Consiglio! Ma il Sacro Consiglio non giutica ti ropa setiziosa. Nelle setizioni il timor t'Ittio non c'entra. E il Sacro Consiglio, patate, preferisce sentir parlare ti timor ti Tio; non ti setizioni. Mettetefelo pene in mente.
SOMMARIO: Fossi ancora giovane, la risolverei con la spada.
EVANS: E' meglio che ta spata fi facciano gli amici, e risolfano loro la questione. Eppoi io ho in testa un'altra itea, che potrebbe tare puoni frutti... Conoscete Anna Page, figliuola ti mastro Giorgio Page?
Una graziosa ferginella.
MINGHERLINO: Anna Page? Ha i capelli scuri; e una vocetta, una di quelle vocette di donna...
EVANS: E' proprio cotesta persona; in tutto il monto, non ne potrete trofare una meglio. Suo nonno, morento (che Tio l'assista a una felice Resurrezione) le lasciò, per quanto ella appia ticiassette anni, settecento sterline in oro et argento. Sareppe una puona ispirazione ti mettere ta parte tutte queste nostre chiacchiere e pattipecchi, e pensare a un pel matrimonio fra il nostro mastro Apramo e la signorina Anna Page...
SOMMARIO: Le ha lasciato settecento sterline, il nonno?
EVANS: E suo patre le tarà anche un più pel gruzzolo.
SOMMARIO: Conosco la signorina. Effettivamente ha moltissime doti.
EVANS: Settecento sterline, e speranze; fuol tire esser totata taffero.
SOMMARIO: Andiamo dunque a far visita a mastro Page... Ma non ci sarà mica Falstaff?
EVANS: Non forrei tire pugia. Io tisprezzo i pugiarti, come tisprezzo la gente falsa e tutti quelli che non ticono il fero. Il cafalier Falstaff è là, ma fi prego ti lasciarfi conturre ta chi fi fuol pene.
Tomanterò io se Page è in casa. (Si avvicina alla porta di casa Page e bussa chiamando) Ehi ti casa! Che il cielo fi tia pene.
PAGE (di dentro): Chi è?
(Entra PAGE)
EVANS: La penetizione ti Tio, e il fostro amico col giutice Sommario e col giofane Mingherlino, che può tarsi che teppa parlarfi ti una certa faccenta, se la cosa fi garpa.
PAGE: Lieto di vedervi in buona salute, rispettabilissimi signori. E vi ringrazio della selvaggina, mastro Sommario.
SOMMARIO: Sono felice di vedervi, signor Page! Buon pro vi faccia!
Avrei voluto che la selvaggina fosse meglio, ma che volete? Fu uccisa così malamente... Come sta la signora Page? Sempre più bene vi voglio; e di tutto cuore! proprio di tutto cuore!
PAGA: Grazie, signor mio SOMMARIO: Sono io, signore, che debbo ringraziarvi .
PAGE: Piacere di vedervi, caro Mingherlino.
MINGHERLINO: Come va il vostro levriero fulvo? Ho sentito che alle corse di Cotsall s'è lasciato battere.
PAGE: Chi lo sa come è andata.
MINGHERLINO: Non lo volete confessare, via; non lo volete confessare SOMMARIO: Sicuro che non vuol confessarlo... Sarà stato il solito fiuto ostacolato... Quel cane è ottimo.
PAGE: Una carogna, signor mio!
SOMMARIO: Un ottimo cane e altrettanto bello. Bello e bravo... Che si può dire di più? Bravo e bello... E... il cavalier Falstaff è da voi?
PAGE: Sì, è qui in casa. Sarei contento se potessi mettere i miei buoni uffici fra voi due.
EVANS: Questo è parlare ta cristiano!
SOMMARIO: Mi ha offeso, signor Page.
PAGE: E, in certo modo, egli lo riconosce.
SOMMARIO: Riconoscerlo, non vuol dire aver rimediato non vi pare? Mi ha offeso; veramente, vi assicuro. Il gentiluomo Roberto Sommario si dichiara offeso.
PAGE: Ecco messer Giovanni.
(FALSTAFF, seguito da BARDOLFO, NYM e PISTOLA, esce da casa Page)
FALSTAFF: Dunque, signor Sommario, volete fare ricorso contro di me a Sua Maestà?
SOMMARIO: Cavaliere, voi avete bastonato i miei servi, m'avete ucciso un daino, e sforzato una porta in casa mia.
FALSTAFF: E non baciai la figlia del portiere?
SOMMARIO: Cose da nulla! Risponderete di tutto questo.
FALSTAFF: E rispondo subito. Ho fatto tutto quello che dite. Ecco risposto.
SOMMARIO: Sentiremo cosa ne pensano in Consiglio.
FALSTAFF: Vi consiglio di parlarne il meno possibile. Vi riderebbero dietro!
EVANS: "Pauca ferpa", cafaliere.... Poche e puone parole.
FALSTAFF: Buone parole un corno. Mingherlino! Io vi ho rotto la testa!
Che umore vi salta in testa contro di me?
MINGHERLINO: Che umore? Un vero tumore ci ho in testa contro di voi e questi tre vostri gabbamondo: (indicandoli a uno a uno) Bardolfo, Nym e Pistola. Furono loro a portarmi all'osteria, a farmi bere e vuotarmi le tasche
BARDOLFO (sguainando la spada): Ah! Pezzo di cacio bacato!
MINGHERLINO: Ma non ho detto niente, non ho detto niente.
PISTOLA (sguainando la spada anche lui): Come, come, Mefistofele?
MINGHERLINO (timidamente): Ma niente...
NYM (stuzzicandolo con la spada): Voglio farmelo a fette. A fette! E' il mio stile.
MINGHERLINO (disperato): Ma dov'è andato il mio servo Simplicio? Lo sapete, zio, dov'è andato?
EVANS (mettendosi fra Mingherlino e i tre giovinastri): State un po' puoni. (Pistola, Bardolfo e Nym indietreggiano) E procetiamo per ortine. (Tira fuori un taccuino) Se ho pen capito ci sono tre arpitri in questa faccenta: (scrivendo) primo, mastro Page, "fitelicet" mastro Page; seconto, me stesso; terzo, ultimo e tefinitifo: l'Oste tella Giarrettiera.
PAGE: Sta a noi tre d'ascoltare e giudicare.
EVANS: Perfettamente. Stenterò un esposto tella causa nel mio taccuino; eppoi la taglieremo con la più gran tiscrezione.
FALSTAFF: Pistola!
PISTOLA: Son tutt'orecchi.
EVANS: Pel tiavolo e la fersiera! Che maniera di esprimersi! Son tutt'orecchi! Che affettazione!
FALSTAFF: Sei tu, Pistola, che hai rubato la borsa al signor Mingherlino?
MINGHERLINO: Quant'è vero che ci sono questi guanti! E ch'io possa non rimettere più piede in casa mia. Mi ha rubato sette pezzi da sei denari l'uno, due scellini grossi di Edoardo, che m'eran costati due scellini e due denari ciascuno da Edoardo Miller... Per i miei guanti!
FALSTAFF: E' vero, Pistola?
EVANS: No, è falso, se è un tagliaporse.
PISTOLA: Ah zotico montanaro! (A Falstaff) Messer Giovanni e padrone mio! Raccolgo la sfida di questa sciaboletta di latta. Io ti do la mentita per la gola! Io ti do la mentita. Bava e schiuma, tu menti!
MINGHERLINO (indicando Nym): E dunque è stato lui. Per questi guanti!
NYM: Attento, signorino. Voi scherzate col fuoco. Resterete preso dalla vostra trappola se volete fare lo sbirro con me. Questo è quanto.
MINGHERLINO (indicando Bardolfo): Per questo cappello! Allora non può essere che il giovanotto dalla faccia rossa! Non riesco a ricordarmi quel che feci e non feci quando mi ubriacaste, ma non sono neanche del tutto rimbecillito.
FALSTAFF: Faccia rossa, che rispondi?
BARDOLFO: Rispondo che il signore aveva tanto bevuto da perdere le sue cinque sentenze...
EVANS: I cinque sensi, per Pacco. Che razza t'ignoranza!
BARDOLFO: E briaco com'era fu, come dicono, pelato; e le cose seguirono il loro curricolo.
MINGHERLINO: Già: anche allora parlavi latino... Ma non fa niente. Mai più, finché vivo, voglio ubriacarmi, fuorché in compagnia di gente onesta e perbene. M'ubriacherò con gente timorata d'Iddio, e non più con ribaldi ubriaconi.
EVANS: Tio fi ascolti. E' un proposito tegno.
FALSTAFF: Così avete sentito che tutte le accuse sono state smentite.
Signori, l'avete sentito voi stessi!
(Durante l'ultima parte di questo colloquio, da casa Page esce ANNA, portando vino e bicchieri. La seguono la signora PAGE e la signora FORD)
PAGE: Riporta pure dentro il vino, figliuola. Verremo a bere in casa.
(Anna rientra in casa)
MINGHERLINO: Cielo!... E' Anna Page!
FALSTAFF: Signora Ford, benvenuta, in parola d'onore! Permettete, signora. (L'abbraccia)
PAGE (alla moglie): Moglie mia, fai buona accoglienza a questi signori. Passate. C'è in tavola un pasticcio caldo di cacciagione.
Passate, signori. E spero che ogni malumore l'affogheremo nel vino.
(Tutti, eccetto Mingherlino, entrano in casa Page)
MINGHERLINO: Darei quaranta scellini per avere qui il mio libro di sonetti e canzoni. (Si avvicina Simplicio) Ehi, Simplicio, dove sei stato? Devo farmi il servitore da me, a quanto pare. Non hai almeno con te il mio libro degli indovinelli?
SIMPLICIO: Il libro degli indovinelli? Ma lo prestaste alla signorina Alice Shortcake, lo scorso Ognissanti, una quindicina di giorni avanti San Michele.
(SOMMARIO ed EVANS vengono a chiamare MINGHERLINO)
SOMMARIO: Andiamo, nipote: andiamo, nipote: siam tutti ad aspettarti.
(Prendendolo per un braccio) E senti prima, nipote caro... C'è in aria una proposta... una specie di proposta lanciata da don Ugo. M'intendi?
MINGHERLINO: Sì, zio. E sarò ragionevole. Se è una cosa da farsi, farò tutto quello ch'è ragionevole fare.
SOMMARIO: Stai dunque a sentire.
MINGHERLINO: E quello che faccio.
EVANS (prendendogli l'altro braccio): Prestate orecchio alla sua proposta, mastro Mingherlino! Et anche io fi tescriverò la cosa, se foi offrite capacità.
MINGHERLINO: No, no. Io farò tutto ciò che dice lo zio. Vi prego di scusarmi. Ma lui è giudice di pace al suo paese, per quanto io sia uno che non conta niente.
EVANS: Non sta qui la questione: la questione è tel fostro matrimonio.
SOMMARIO: Ecco il punto...
EVANS: Propriamente. Ecco proprio il punto... e con Anna Page!
MINGHERLINO: Se si tratta di questo, io son pronto a sposarla... a condizioni ragionevoli.
EVANS: Ma potete affezionare la ragazza? Lo forremmo sapere talla fostra pocca, o almeno talle fostre lappra...; fisto che fari filosofi sostengono che le lappra non sono che una parte tella pocca. Insomma, per parlar chiaro, cretete che potreste riporre in lei il fostro affetto?
SOMMARIO: Abramo Mingherlino, nipote mio, ti senti di volerle bene?
MINGHERLINO: Spero, messere, di fare come si conviene ad uno disposto ad ogni cosa che sia ragionevole.
EVANS: Ma no! Tio signore e santissima Matonna! tofete tirci, positifamente, se potete fissare la fostra propensione su ti lei.
SOMMARIO: Questo devi dirci... La sposeresti con una buona dote?
MINGHERLINO: Sono pronto a fare anche di più, a una vostra ragionevole richiesta, caro zio.
SOMMARIO: Cerca d'intendere! Cerca d'intendere, nipotino. Quello che faccio, è solamente per compiacerti... Puoi sentire amore per la ragazza?
MINGHERLINO: Sono pronto a sposarla, a vostra richiesta. E se da principio non ci sarà un grande amore, il cielo potrà anche farlo decrescere, quando ci saremo conosciuti meglio, quando ci saremo sposati ed avremo più occasione di conoscerci. Vorrei sperare che dalla maggiore intimità si accresca sempre più la repulsione. Ma se mi ordinate di sposarla, io la sposo. Sono liberamente dissoluto, e dissolutamente...
EVANS: Mi pare una risposta piena ti tiscernimento, a parte il fallo tel "tissolutamente". Pisognafa tire "risolutamente". Ma l'intenzione era puona.
SOMMARIO: Sì, io credo che mio nipote parlasse con buona intenzione.
MINGHERLINO: E come no? Diversamente che mi possano impiccare.
(Rientra ANNA PAGE)
SOMMARIO: Ecco la bella signorina Anna! (S'inchina) Vorrei esser giovane per amor vostro, signorina!
ANNA (inchinandosi anche lei): E' in tavola, signori. Mio padre desidera la vostra riverita compagnia.
SOMMARIO: Sono ai suoi ordini, bella signorina Anna.
EVANS (precipitandosi in casa Page): Tio sia penetetto... Non foglio certo mancare al "peneticite".
(Sommario lo segue)
ANNA (a Mingherlino): Volete passare, signore, in cortesia?
MINGHERLINO (sorridendo scioccamente): Vi ringrazio, e di cuore. Sto benissimo.
ANNA: La cena vi aspetta, messere.
MINGHERLINO: Non ho fame. Grazie, e di cuore. (Simplicio entra in casa Page) Anche a un giudice di pace può talvolta essere utile il servo d'un amico. Finché non sarà morta mia madre, io non posso tenere che tre servitori ed un paggio. Che volete farci? Fino allora dovrò vivere come un povero gentiluomo nato.
ANNA: Se non entrate voi, non posso entrare nemmeno io. Vi aspettano per sedersi a tavola...
MINGHERLINO: In verità, non voglio mangiare. Ma vi ringrazio, come se avessi mangiato.
ANNA (perdendo la pazienza): Vi supplico, signore, passate dentro.
MINGHERLINO: Grazie. Preferisco far due passi qui. L'altro giorno mi sono fatto male a uno stinco, tirando con il mio maestro di scherma.
La posta era di tre stoccate contro un piatto di susine cotte...
Paravo un colpo alla testa, e lui mi tira allo stinco... Vi giuro che, da allora, l'odore delle vivande calde mi nausea. Ma che cosa hanno i vostri cani che non fanno che abbaiare? C'è qualche orso, qui nelle vicinanze?
ANNA: E' possibile, signore. Ne ho sentito accennare.
MINGHERLINO: Mi piace assai la giostra degli orsi, ma protesterò contro di essa con non meno ardore di chiunque in Inghilterra.
Scommetto che avreste paura, se vedeste un orso sciolto, non credete?
ANNA: Eh, credo di sì.
MINGHERLINO: Ormai, per me, è come mangiare e bere. Quel famoso orso, Sackerson, l'avrò incontrato libero almeno venti volte, e l'ho anche afferrato per la catena. Vi garantisco che le donne urlavano e strillavano da non credersi, ma le donne, è vero, non possono tollerarli: sono delle gran brutte bestiacce.
(PAGE si fa sulla porta di casa)
PAGE: Volete entrare, caro mastro Mingherlino? Stiamo ad aspettare voi.
MINGHERLINO: Io non mangio. Tante grazie, signore.
PAGE: Per tutti i diavoli! Non voglio mica darvela vinta! Avanti, avanti! (Spalanca la porta, si fa da un lato per lasciarlo passare)
MINGHERLINO: Non sia mai... Prima voi.
PAGE (entrando): Venite!
MINGHERLINO (s'incammina, ma dopo un passo si ferma. e si volta):
Signorina Anna! Prima dovete passare voi...
ANNA: No, signore. Entrate, vi prego.
MINGHERLINO: No davvero, che non entrerò prima! Ci mancherebbe altro!
Non vi farò mai questo sgarbo!
ANNA (sempre dietro a lui): Per piacere, signore...
MINGHERLINO: Preferirò esser villano, piuttosto che insistente e noioso. Ma vi fate torto, credetelo...
(Entra in casa seguito da Anna)
SCENA SECONDA - La stessa
(Don UGO EVANS e SIMPLICIO escono da casa Page)
EVANS: Fai, e cerca tel Tottor Caio tofe sia la casa. Colà timora una certa Monna Fapresto, che è, a così tire, la sua gofernante, la sua palia asciutta o la sua cuoca, lafantaia, stiratrice...
SIMPLICIO: Bene, messere.
EVANS: Un momento... manca il meglio! Talle questa lettera. E' una tonna che conosce intimamente la signora Anna Page: e la lettera è per pregarla e richieterle ti patrocinare i tesiteri tel tuo patrone presso la signora Anna Page. Ti prego, fa'; io foglio antare a finir ti pranzare; teppon fenire mele renette e cacio.
(Simplicio parte. Evans torna dentro)
SCENA TERZA - Una stanza nella Locanda della Giarrettiera
(FALSTAFF seduto a un favolo a bere; l'Oste affaccendato con coppe e boccali; PISTOLA, NYM, BARDOLFO e ROBIN)
FALSTAFF (passando la sua coppa): Mio oste della Giarrettiera!
OSTE (voltandosi): Che dice il mio briccone sopraffino? Parla dottamente e saggiamente.
FALSTAFF: In verità, oste mio, devo allontanare alcuni dei miei seguaci.
OSTE: E licenziali pure, Ercole possente! Discacciali. Che se ne vadano; a galoppo, a galoppo.
FALSTAFF: Qui, spendo dieci sterline a settimana...
OSTE: Ma sei un imperatore! Sei un Cesare, un Kaiser, e un Visir.
Prenderò Bardolfo al mio servizio. Spillerà il vino, metterà la cannella. Ti va bene, grande Ettore?
FALSTAFF: Benissimo, oste caro.
OSTE: Inteso. Dammelo pure. (A Bardolfo) T'insegnerò a metter la calce nel vino e a servire la birra con molta schiuma. Sono un uomo di parola. Vieni con me.
FALSTAFF: Vai, Bardolfo! E un buon mestiere quello di tavernaio. Da un mantello vecchio si può ricavare una giacchetta nuova; e da un servitore usato, un taverniere fresco. Vai vai, Bardolfo. Addio!
BARDOLFO: E' un mestiere che ho sempre sognato. Farò quattrini.
PISTOLA: Vile Ungaro!. Vuoi tu maneggiare lo zipolo?
(Bardolfo esce)
NYM: Fu concepito in una sbornia. Non ha l'anima eroica. Non l'ho detta da bell'umore?
FALSTAFF: Finalmente mi sono liberato di questa scatola di zolfanelli.
I suoi furti erano troppo palesi. Truffava come un cattivo cantante.
Sempre fuori tempo.
NYM: L'umore corrente sta nel saper rubare nella pausa d'una minima.
PISTOLA: Rubare! Che razza d'espressione! La gente istruita direbbe:
trasferire.
FALSTAFF: Ebbene, signori, io sono scalcagnato.
PISTOLA: Allora, attento a non sbucciarvi i piedi!
FALSTAFF: Non c'è rimedio. Bisogna che inventi qualcosa, bisogna che mi ingegni.
PISTOLA: I corvi giovani vogliono beccare.
FALSTAFF: Chi di voi conosce un tale Ford, qui a Windsor?
PISTOLA: Conosco il personaggio: è un tipo sostanzioso.
FALSTAFF: Attenzione, ragazzi! Vi ho esposta la tragica situazione, ora vi dirò le misure da prendere.
PISTOLA (accennando la pancia di Falstaff): Circonferenza, oltre quattro braccia.
FALSTAFF: Meno spirito, Pistola! E' verissimo che di vita sono circa quattro braccia. Ma non mi propongo di far vita più ascetica: mi propongo di crescere. In breve: voglio conquistare la moglie di Ford.
Ho scoperto che s'interessa a me; chiacchiera, parla in punta di forchetta, lancia sguardi invitanti... So leggere benissimo nel suo stile; e le sue più severe espressioni, tradotte in volgare, non significano che questo: "Io appartengo a messer Giovanni Falstaff".
PISTOLA: L'ha studiata bene, si vede, e ha tradotto la sua onestà in volgarità.
NYM: L'àncora s'è aggrappata al fondo. Vi dà nell'umore questa trovata?
FALSTAFF: Corre voce che è la signora che comanda sui quattrini del marito; (fa l'atto di chi conta moneta) egli è circondato da un'intera legione di angelotti d'oro.
PISTOLA: E voi da una legione di diavoli! dateci sotto, forza!
NYM: L'umore si rinfranca. Tenetemi di buon umore gli angeli.
FALSTAFF: Le ho scritto questa lettera. Ed un'altra ne ho scritta alla moglie di Page, che pure mi fa l'occhiolino dopo avermi studiato per tutti i versi, da conoscitrice... Ora il suo sguardo si posava sui miei piedi come un raggio di sole, ora indorava la mia pancia torreggiante...
PISTOLA: Era proprio il sole sopra il letamaio.
NYM (a Pistola): Ma bene! Che bell'umore!
FALSTAFF (continuando): Il suo sguardo percorreva il mio esteriore con sì avida intenzione, che dall'ardore di quegli occhi mi sentivo abbrustolire come da uno specchio ustorio. Questa è la lettera per lei, perché anche lei tiene i cordoni della borsa: è come un territorio della Guiana... tutt'oro e tesori. Diventerò il loro cassiere, e saranno le mie banche. Saranno le mie Indie, orientali e occidentali, dove io estenderò grandi commerci... (A Pistola) A te, fila: porta questa lettera alla signora Page. (A Nym) E tu, quest'altra alla signora Ford. Ci arricchiremo, ragazzi, faremo quattrini.
PISTOLA: E io dovrei diventare ser Pandaro di Troia, io che cingo al mio fianco l'acciaro? Ma che Lucifero ci porti tutti quanti!
NYM: E io non son d'umore di prestarmi a tali porcherie. Meglio che vi ripigliate questa sporca lettera. Io, la mia dignità la tengo alta.
(Buttano sul tavolo le due lettere)
FALSTAFF (alzandosi, a Robin): A te, giovanotto, porta questa lettera sana e salva a destinazione. Voga, scialuppa mia, a quei lidi dorati!
Quanto a voi, ribaldi, toglietevi dal mio sguardo! Struggetevi come chicchi di grandine! Trascinate pel mondo i vostri zoccoli! Cercatevi un altro covile! Via di qui! Ormai Falstaff vivrà nello spirito dei tempi. Economicamente, alla francese. Ribaldi ! A me, basta un paggettino con le falde.
(Esce seguito da Robin)
PISTOLA: Che gli avvoltoi ti mangino la trippa. Ma ci sono ancora dadi piombati per buscherare ricchi e poveri. Bezzi avrò in tasca allorché tu ne mancherai, vil Turco frigio!
NYM: Ho dei progetti in testa, che sono umori di vendetta.
PISTOLA: Ti vuoi vendicare?
NYM: Sì; pel firmamento e le sue stelle.
PISTOLA: Col senno o con l'acciaro?
NYM: Con tutt'e due codesti umori. Svelerò a Page l'umore di quest'amore.
PISTOLA: E a Ford io narrerò come Falstaff, vassallo abietto, vuol fare immonda la sua colomba, vuol stender la mano sul suo denaro, e insozzargli il dolce letto.
NYM: Il mio umore non si raffredderà di certo. Inciterò Page a servirsi del veleno... Gl'infonderò l'itterizia, che periglioso è il mio adiramento. Ecco il mio vero umore.
PISTOLA: Va' là: tu sei proprio il Dio Marte dei malcontenti. Al lavoro!
(Escono)
(Entrano MONNA FAPRESTO e SIMPLICIO)
FAPRESTO (chiamando): Giovannino! Giovannino!
(Entra GIOVANNINO)
Fammi il piacere. Va' alla finestra, e guarda se arriva il padrone, il dottor Caio. Perché se viene, e trova qui degli estranei, metterà a dura prova la pazienza di Dio e il vocabolario della nostra lingua.
GIOVANNINO: Vo a osservare.
FAPRESTO: Bravo! Poi stasera, prima che si spenga il fuoco, ci beviamo insieme un bel bicchierino di vino caldo! (Esce Giovannino) E' un buonissimo figliuolo, gentile, premuroso; la miglior persona da tenere per casa. E vi giuro che non è punto pettegolo né litighino. Il suo peggior difetto è la mania di pregare. In questo è un po' fissato. Ma chi non ha difetti? Passiamoci sopra. Dunque vi chiamate Simplicio?
SIMPLICIO: In mancanza di meglio...
FAPRESTO: E mastro Mingherlino è il vostro padrone?
SIMPLICIO: Precisamente.
FAPRESTO: Ma chi è? Quello con la barbona tonda, a forma di lunetta da guantaio?
SIMPLICIO: Ma no, per Bacco. Ha un visuccio che par di siero, con una barbettina giallastra, color della faina.
FAPRESTO: E' mansueto di carattere?
SIMPLICIO: Come no? Ma all'occasione sa anche muovere le mani quant'altri mai. Ultimamente, s'è perfino picchiato con un guardiacaccia.
FAPRESTO: Sì... sì... Ora mi par di ricordarmi. Uno che va sempre a testa alta, tutto impettito?
SIMPLICIO: E' lui, è lui.
FAPRESTO: Be', che il cielo non mandi ad Anna Page peggior fortuna!
Dite a don Ugo che farò quel che posso pel vostro padrone... Anna è una buona ragazza, e speriamo...
GIOVANNINO (dalla finestra): Via, per carità! C'è il padrone!
FAPRESTO: Ora tu senti la musica! Giovanotto, alla svelta dentro a questo stanzino. (Chiude Simplicio nello stanzino) Tanto non si tratterrà che un minuto. (Chiamando) Giovannino! O Giovannino!
(Entra CAIO. MONNA FAPRESTO finge di non accorgersene)
Giovannino, corri in città e cerca il padrone! Che non gli sia successo qualcosa. Non si vede ancora tornare. (Canta) "E giù, e giù, e giù, e giù...".
CAIO (sospettoso): Che cantate? Non voglio queste sciansciafruscole!
Andate nello stanzino e piliatemi una "boîte verte"... una scatola, dico... una scatola verde. Avete capito che scatola? La scatola verde.
(Caio è indaffarato intorno a certe carte sulla tavola)
FAPRESTO: Ve la porto subito... (A parte) Meno male che non è andato da sé. Se avesse trovato quello dentro, s'inferociva come un toro.
(Entra nello stanzino)
CAIO (asciugandosi la fronte): "Fe, fe, fe, fe! Ma foi, il fait fort chaud! Je m'en vais à la cour... la grande affaire".
FAPRESTO (rientra con la scatola verde): E' questa, dottore?
CAIO: "Oui", mettetela nella mia tasca. "Dépechez-vous". Svelta! E dov'è quel discolo di Giovannino?
FAPRESTO: Giovannino! Giovannino!
GIOVANNINO (avanzando): Pronto, signore.
CAIO: Giovannino, sei un vero zanni. Pilia la tua spada, e seguimi al tribunale.
GIOVANNINO (aprendo la porta): La spada è all'ordine; l'ho lì fuori.
CAIO (s'avvia dietro Giovannino): Ho finito per far tardi! (Fermandosi di colpo) Ascidenti! "Qu'ai-je oublié?" (Corre verso lo stanzino) Sci sono dei semplisci, nello stanzino, che non volio dimenticare per tutto l'oro del mondo.
FAPRESTO: Povera me! Ora trova il giovanotto, e va in bestia.
CAIO (scopre Simplicio): "Oh! diable! diable!" Chi sc'è nello stanzino? Furfante! "Larron"! (Spingendo Simplicio fuori dello stanzino) Portami la spada, Giovannino!
FAPRESTO: Padrone mio, statevi contento.
CAIO: Di che cosa mai, debbo esser contento?
FAPRESTO: Che il giovanotto è una persona perbene.
CAIO: Cosa sta a fare una persona perbene, dentro il mio stanzino? Le persone perbene non vanno a nascondersi negli stanzini degli altri.
FAPRESTO: Vi supplico di non esser così flemmatico, e saprete subito tutto. Il ragazzo è venuto a parlarmi per conto di don Ugo.
CAIO: E scioè?
SIMPLICIO: E' vero, lo giuro. Per pregar costei...
FAPRESTO (a Simplicio): Ma state un po' zitto.
CAIO (a Monna Fapresto): State un po' zitta voi, piuttosto! (A Simplicio) Sentiamo questa storia.
SIMPLICIO: Vorrebbe, diceva, che la signora, vostra governante, mettesse una parolina buona con la signorina Anna Page, per il mio padrone che ha intenzione di chiederla in moglie.
FAPRESTO: E questo è tutto. Si capisce che io non ho voglia d'impicciarmene: non ho proprio voglia.
CAIO: E così, è don Ugo che ti manda! Giovannino, alla svelta, "baillez-moi" carta e penna... (A Simplicio) Tu, aspetta un momento.
(Caio si siede a un tavolo e scrive)
FAPRESTO (tira Simplicio in disparte): Meno male ch'è calmo. Se la pigliava alla rovescia, avreste sentito gli urli di colica! Si capisce, caro amico, che per il vostro padrone farò quel che posso. Ma il più comico è che anche il dottore, il padron mio... Posso ben chiamarlo padrone, sapete: io gli tengo la casa, io lavo, stiro, fabbrico la birra, cuocio, fo le pulizie, fo il pane, preparo da bere e da mangiare, rifò i letti... tutto da me.
SIMPLICIO: E' un bel carico sulla schiena d'una sola persona.
FAPRESTO: Lo capite anche voi. E' davvero un bel carico, e alzarsi presto la mattina; e la sera andare a letto tardi. Non ne parliamo. Vi dirò dunque, ma in un orecchio, che non ne trapeli nulla, che anche il mio padrone è innamorato della signora Anna Page. Ma io so bene, Anna, quello che ha in testa; e non è né questo né l'altro.
CAIO (si avvicina e porge a Simplicio una lettera): Olà, babbuino, porta questa lettera a don Ugo... E' una sfida... per Dio!... A quel babbuasso di prete, volio taliarli la gola, là nel parco. Volio insegnarli a impicciarsi, a intrufolarsi! (A Simplicio) Puoi andartene. Qui non è aria per te. (Esce Simplicio) Li volio taliare, a quel prete, tutt'e due i granelli, per Dio; che non li resterà un granello da seminar nell'orto.
FAPRESTO: Via, dopo tutto, parlava per conto di un amico!
CAIO (furioso): Che significa! Non mi avete sempre detto che Anna Page me la sposo io? L'ammazzerò, il prete intrigante!... A misurare le nostre armi, ho nominato l'oste della Giarrettiera. E Anna Page, per Dio, la volio per me.
FAPRESTO: Signore mio, la ragazza è a voi che vuol bene, e così tutto andrà per filo e per segno. Ma lasciate un po' che anche la gente si sfoghi a chiacchierare. (Caio le tira un orecchio) Ahi! Per tutti i diavoli!...
(Si divincola e si scioglie)
CAIO: Andiamo, Giovannino. Al tribunale. (A Monna Fapresto) Per Dio, se non ho la ragaza, vi caccio di casa... Andiamo, mettiti alle mie calcagna, Giovannino. (Escono, Caio porta la scatola verde e le sue carte)
FAPRESTO: Vedrete, vedrete come Anna vi farà dannare, vedrete! Tanto lo so come la pensa Anna. Nessuno, in tutta Windsor, sa meglio di me come Anna la pensa. Come, grazie a Dio, non c'è altri che abbia su di lei l'influenza che ho io.
FENTON (da fuori): C'è nessuno?
FAPRESTO: Chi è? (Affacciandosi alla finestra) Accostatevi un po', di grazia.
(Entra FENTON)
FENTON: Eccomi qua. Come andiamo, buona donna?
FAPRESTO: Sempre meglio, se è Vossignoria che si degna domandarlo.
FENTON: Novità? Come sta la graziosissima Anna?
FAPRESTO: Per graziosa, è graziosa davvero. E così sincera, così buona. E' amica vostra; posso ben dirvelo, giacché ci siete.
Ringraziamone Iddio.
FENTON: Ci riuscirò a farmi voler bene? Non sarà fatica sprecata?
FAPRESTO: Tutto è nelle mani di quello lassù. Ma per conto mio, signor Fenton, giurerei sulla Bibbia che vi ama. Vossignoria non ha mica una verruca, qui, alla palpebra?
FENTON: Proprio io. E che vuol dire?
FAPRESTO: Nulla, nulla. Una storia troppo lunga. Ma se vi dico... che non c'è un'altra Annina come lei: la ragazza più onesta che abbia mai spezzato questo pane, ne detesto il cielo. S'è avuto una discussione d'un'ora su quella verruca. Non mi diverto mai, come con questa figliuola... Benché sia un po' troppo portata alla melagonia, all'immaginazione... Ma se si tratta di voi...
FENTON: Oggi dovrei rivederla. Eccovi qualcosa. E parlatele di me, mi raccomando... Se avete occasione d'incontrarla prima di me, parlatele in mio favore...
FAPRESTO: Sicuro che lo faccio. E la prossima volta che ci vediamo a tu per tu, racconterò a Vostro Onore la storia della verruca e vi darò notizia di tutti gli altri che le ronzano intorno.
FENTON: Benissimo! Arrivederci! Ora ho fretta.
FAPRESTO: Ossequi a Vossignoria. (Esce Fenton) E' una così brava persona. Ma Anna non lo ama... Io lo so, Annina, che cosa ha per la testa. Mi sono dimenticata di qualcosa. Accidenti! Ma di che cosa mi sarò dimenticata?
(Esce in fretta)
ATTO SECONDO
SIGNORA PAGE: Come!... Non ho mai ricevuto lettere d'amore ai bei tempi della mia gioventù; e mi trovo a riceverne adesso! Ma vediamo un po': (legge) "Non domandatemi perché vi amo. E' pur vero che l'amore si lascia ammonire dalla ragione, ma non la ricerca come propria confidente. Voi non siete più tanto giovane, né io lo sono; ecco un primo punto in comune. Siete gaia come me; questo fa già un secondo punto. Vi piace il buon vino, e a me lo stesso. Come immaginare simpatia più completa? Se l'amore d'un soldato possa bastarvi, io v'amo, signora Page. E non vi diro: abbiate pietà di me. Non sarebbe un'espressione da soldato. Vi dirò: amatemi. E mi firmo:
Giovanni Falstaff, vostro servitore, sempre di giorno e notte, a tutte l'ore, pronto a pugnare per il vostro amore".
Che vero Erode di Giudea! E che mondo! Che mondaccio schifoso! Uno ch'è quasi ridotto a pezzi dalla decrepitudine, e fa il galletto a questa maniera. Vorrei sapere, in nome del diavolo, gli indizi di leggerezza che la mia conversazione può avergli offerto a questo ubriaco di fiammingo, perché egli abbia l'audacia d'affrontarmi così... Ma se, in tutto, l'avrò visto tre volte... E moderai sempre la mia vivacità: Dio m'è testimone. Verrebbe voglia di chiedere una legge al parlamento, per fare abbassar la cresta agli uomini. Come vendicarmi?... Perché bisogna pur che mi vendichi! Questo è sicuro, com'è sicuro che la sua pancia non è che pasta frolla.
(Entra la signora FORD, dirigendosi verso casa Page)
SIGNORA FORD: Oh, signora Page! Stavo proprio per venirvi a trovare.
SIGNORA PAGE: Ed io stavo venendo da voi!... Ma non vi sentite bene?
SIGNORA FORD: Tutt'altro. E potrei dimostrarvelo.
SIGNORA PAGE: Eppure! Sarà una mia idea.
SIGNORA FORD: Avrete forse ragione; per quanto, ripeto, vi potrei provare il contrario. Ho bisogno d'un consiglio, signora Page.
SIGNORA PAGE: Cosa vi succede, signora bella?
SIGNORA FORD: Oh, cara mia, se non fosse per un briciolo di rispetto umano, che onore potrei ottenere!
SIGNORA PAGE: Infischiatevi di quel briciolo, mia cara! E prendetevi l'onore. Di che si tratta? Non vi date pensiero delle quisquilie. Di che si tratta?
SIGNORA FORD: Succede che se volessi discendere un minuto d'eternità all'inferno, mi potrei insignire d'un bel titolo cavalleresco.
SIGNORA PAGE: Non fate scherzi! La cavalieressa Alice Ford!
Cavalierati che vanno pei trivi. Meglio sarà che restiate così come siete.
SIGNORA FORD: Ma non perdiamo tempo. (Porgendole una lettera) Leggete questa... leggete. Così saprete subito come io potrei passare nei ranghi della cavalleria. (Cambiando tono) Diffiderò dei pancioni, finché abbia occhi da distinguere un uomo dall'altro!... E pensare che questo non diceva mai parolacce. E lodava la modestia delle donne; e se biasimava un difetto, lo faceva così garbatamente, in termini sì onesti, da non dover dubitare che i suoi sentimenti fossero una sola cosa con le sue parole, mentre essi vanno d'accordo proprio come il diavolo con l'acqua santa. Che tempesta, mi chiedo, ha buttato sulle rive di Windsor questa enorme balena piena di olio? Come mi vendicherò di lui? Mi pare che il miglior mezzo sia di nutrirlo di speranze, finché il perverso fuoco della lussuria non l'abbia fatto fondere nel suo stesso grasso. V'è capitato mai nulla di simile?
SIGNORA PAGE (confrontando le due lettere una dopo l'altra): Sono uguali... Non è cambiato che il nome: Ford invece di Page! Consolatevi che non siete la sola con una reputazione così pessima. La mia lettera e la vostra son gemelle. Ma che la tua si prenda pure l'eredità: ché la mia, giuro, non lo farà mai. Scommetterei che ne ha un migliaio, forse più, di codeste lettere, con lo spazio in bianco per il nome! E non sono neppure della prima edizione. Le tira a stampa, non c'è nessun dubbio, ché non gl'importa quello che mette sotto il torchio, dal momento che vorrebbe metterci noi due. Vorrei essere piuttosto una gigantessa, sepolta sotto il monte Pelio. Ebbene, lo sapete quel che vi dico?... E' più facile trovare venti tortore viziose, che un uomo, un unico uomo, un po' decente.
SIGNORA FORD (prendendo la lettera della signora Page): Sono proprio uguali!... Stessa calligrafia... Stesse parole... Ma per chi ci prende?
SIGNORA PAGE: Non lo so davvero. Quasi quasi, comincio a bisticciarmi con la mia onestà! Vorrei mettermi ad esaminare me medesima, come esaminerei una donna che non conosco affatto. Perché se egli in me non avesse notato qualche inclinazione che io stessa ignoro, non m'avrebbe certo abbordato con tale violenza.
SIGNORA FORD: Abbordare? State sicura che a bordo mio non sale di certo.
SIGNORA PAGE: E non parliamo di me. Se fa tanto di penetrare sotto il mio boccaporto, non prenderà più il mare. Orsù: vendichiamoci; diamogli un appuntamento. Figuriamo d'incoraggiarlo, e meniamolo per le lunghe, con bei pretesti, da costringerlo a impegnare i suoi cavalli all'oste della Giarrettiera.
SIGNORA FORD: Intendiamoci, però. Son con voi nel fargliene patire di tutti i colori, purché non ne vada di mezzo la nostra reputazione. Se mio marito vedesse questa lettera, non la finirebbe più, con la sua gelosia.
SIGNORA PAGE: Ecco vostro marito insieme al mio. Il mio è così infinitamente lontano dall'esser geloso, quanto son io dal dargliene il motivo più piccolo; e codesta, spero, è distanza incommensurabile.
SIGNORA FORD: Siete una donna fortunata.
SIGNORA PAGE: Studiamo un po' insieme che cosa si può fargli a questo grassone... Venite...
(Non viste vanno a sedersi su una panchina tra gli alberi, abbastanza vicino per udire i seguenti colloqui. Entrano FORD e PISTOLA, PAGE e NYM a coppie. FORD parla con PISTOLA)
FORD: Voglio sperare che non sia vero!
PISTOLA: A volte la speranza è un cane scodato. A Falstaff gli piace vostra moglie!
FORD: Che storie, signor mio! Mia moglie non è una ragazzetta.
PISTOLA: Ma quello se la fa con tutte: grandi e piccole, ricche e povere, vecchie e bambine. Senza eccezione, caro Ford. E' il miscuglio, l'insalata che gli piace.
FORD: Fa la corte a mia moglie!
PISTOLA: E con che ardore! Attenzione, o finirete come Atteone con Melampo alle calcagna! Che parola brutta!
FORD: Quale parola?
PISTOLA: Le corna! Arrivederci! Attenzione. Occhi aperti. I ladri camminano la notte. Attenzione, prima che venga l'estate e i cuculi comincino a cantare. Caporale Nym, andiamo. (A Page) Dategli retta, signor Page; Nym sa bene quello che dice. (Esce Pistola)
FORD (a parte): Cercherò di pazientare. Ma in questa faccenda ci voglio veder chiaro.
NYM: Proprio così. La menzogna non mi dà nell'umore. Egli mi ha scombussolato gli umori. Voleva che portassi a vostra moglie una delle sue solite lettere di bell'umore! Ma io ho una spada al mio fianco e se occorre la so adoperare. Per farla breve: gli piace vostra moglie.
Sono il caporale Nym; e dichiaro che quanto ho detto è nello spirito della più pura verità. Mi chiamo Nym. A Falstaff gli piace vostra moglie. Adieu. E a me non piace l'umore del pan di cuculo; e codesto e proprio l'umore. Adieu.
(Segue Pistola. Page e Ford parlano fra loro)
PAGE: "E codesto è proprio l'umore", dice costui! Ecco uno che dallo spavento fa uscir di senno il linguaggio.
FORD: Voglio tenerlo d'occhio, Falstaff!
PAGE: Non avevo sentito mai un furfante così ciarliero e pieno d'affettazione.
FORD: Se fo tanto di scoprire che è vero...
PAGE: Per me, a quell'abitante del Catai non ci credo nemmeno se fosse il parroco a garantire che è una brava persona.
FORD (a parte): A me pare un ragazzo di giudizio.
(La signora PAGE e la signora FORD si avvicinano. Hanno sentito tutto)
PAGE: Sei tu, Meg?
SIGNORA PAGE: Oh, Giorgio, dove vai? Senti un po' una cosa...
(Parlano a parte)
SIGNORA FORD (con aria di santarellina): Come stai, Francolino mio?
Così malinconico?
FORD (un po' bruscamente): Malinconico io? Non sono affatto malinconico... Vai a casa... vai...
(Le volta le spalle)
SIGNORA FORD: Eppure hai qualche grillo per la testa...
M'accompagnate, signora Page?
SIGNORA PAGE: Di certo. E tu, Giorgio, torni a casa per cena? (Piano alla signora Ford) Ma guardate chi viene? E' lei che ci servirà da ambasciatrice con quel cavaliere da strapazzo.
(Si avvicina MONNA FAPRESTO)
SIGNORA FORD: Parola d'onore, che anch'io ci avevo pensato. E' la persona più adatta.
SIGNORA PAGE (a Monna Fapresto): Andate da mia figlia?
FAPRESTO: Ci andavo davvero. Come sta la nostra Annina?
SIGNORA PAGE: Allora venite con noi e la vedrete. Abbiamo da fare con voi una chiacchierata d'un'ora.
(Le tre donne si recano in casa Page)
PAGE: E dunque, mastro Ford?
FORD (si riscuote): Avete sentito quel mariuolo, che cosa mi diceva?
PAGE: E voi avete sentito cosa mi diceva quell'altro?
FORD: Li credete veraci?
PAGE: Che il diavolo li porti quei manigoldi! Per me, il cavalier Falstaff non è capace d'una cosa simile. E i due che lo accusano di aver delle mire sulle nostre mogli sono servi licenziati... Canaglie bell'e buone, ora che sono senza impiego.
FORD: Erano suoi servitori?
PAGE: Come, non lo sapete?
FORD: La faccenda non mi piace di più per questo. Dove abita Falstaff?
Alla locanda della Giarrettiera?
PAGE: Sì... E vi dirò un'altra cosa... Ammesso che Falstaff corteggi mia moglie, io lo lascerò fare. E sul mio capo porterò tutte le conseguenze, se da mia moglie egli ottenga qualcosa più che delle rispostacce.
FORD: Intendiamoci. Di mia moglie non dubito. Ma mi ripugna lasciar correre le cose. E non bisogna fidarsi poi troppo. Non mi piacerebbe di portare nessuna conseguenza sul capo. Non posso star tranquillo, così.
(L'Oste si avvicina in gran fretta; SOMMARIO lo segue un po' a distanza)
PAGE: Ecco che viene schiamazzando l'oste della Giarrettiera. Per essere così allegro, o bisogna abbia il vino al cervello, o la borsa piena di quattrini. Come andiamo, oste?
OSTE: E tu, briccone sopraffino? Sei un vero signorone! (Voltandosi, chiama ad alta voce) Forza, cavalier giudice! Forza!
SOMMARIO (trafelato): Sto arrivando, oste mio, sto arrivando. Buon giorno e salute, buon mastro Page! Mastro Page, non volete seguirci?
Credo che ci si prepari un bel divertimento.
OSTE: Diglielo tu, cavalier giudice, diglielo, briccone sopraffino.
SOMMARIO: Messere, c'è un duello tra don Ugo, il reverendo gallese, e Caio, il medico francese...
FORD: Bravo oste, vi vorrei dire una parola...
OSTE: Che c'è, briccone sopraffino? dimmi pure.
(Parlano a parte)
SOMMARIO (a Page): E così, volete venire con noi a vedere? Quel burlone dell'oste ha da misurare le loro spade, e credo abbia spedito i duellanti in due opposte direzioni. Sapete bene che don Ugo è uno che non scherza. Vi spiego in che consiste la burla...
(Parlano a parte)
OSTE (a Ford): Dimmi un po', non avresti mica qualche ruggine contro Falstaff, il mio onorato cliente?
FORD: Per nulla, vi assicuro. Non si tratta che d'uno scherzo. Vi darò mezzo gallone di vino cotto spagnuolo, se mi lasciate accedere a lui, dicendogli che mi chiamo Brook.
OSTE: Qua la mano, sopraffino. Avrai ingresso libero, e avrai libera uscita. Dico bene? ll tuo nome sarà Brook. E tu vedrai che cavaliere simpaticone! (Avviandosi) Ma vogliamo andarcene, amici?
SOMMARIO: Son con voi, oste.
PAGE: Sento dire che il francese è un ottimo spadaccino.
SOMMARIO: Non esageriamo. Ai miei giorni avrei potuto mostrarvi di meglio. Oggidì fanno tante storie... E la guardia a distanza... e la passata... la stoccata... e che so io! Fegato, signor Page, è questione di fegato. Un tempo, con il mio spadone, avrei fatto scappare come topi quattro pezzi d'uomini
OSTE (chiamando): Avanti, ragazzi, vi volete muovere?
PAGE: Siamo pronti! E, tutto sommato, preferirei sentirli bisticciare che vederli battersi. (Sommario e Page seguono l'Oste)
FORD: E' un bello scemo questo Page, a fidarsi così della fragilità della moglie. Per me, io non metto l'animo in pace tanto facilmente...
Cominciamo, che mia moglie Falstaff lo conobbe in casa Page. E quello che là avranno fatto, chi lo può sapere? Indagare, bisogna. E intanto ho trovato modo di presentarmi a Falstaff sotto falso nome. Tanto meglio se su mia moglie non ci sarà da dir niente. In caso contrario, non sarà fatica sprecata.
(Esce)
SCENA SECONDA - Una stanza alla Locanda della Giarrettiera
(Entrano FALSTAFF e PISTOLA)
PISTOLA: Ve li renderò un po' per settimana.
FALSTAFF: Non ti presto neanche un baiocco.
PISTOLA: Ed allora farò del mondo un'ostrica, che aprirò con la punta della spada.
FALSTAFF: Neanche un baiocco. T'ho già fatto abbastanza da mallevadore. Tre volte ho messo in croce i miei migliori amici, per sospendere qualche condanna a te e al tuo compare Nym. E se così non facevo, vi avrei visti tutt'e due dietro ai ferri della gabbia come due bertucce. Me ne andrò diritto all'inferno, per aver giurato a degni gentiluomini miei amici che siete due bravi soldati, due giovanotti di vero coraggio. E quando sparì il manico del ventaglio della signora Bridget, detti io la parola d'onore che non te l'eri preso tu...
PISTOLA: Ma si divise l'incasso. Non aveste di parte quindici denari?
FALSTAFF: Ma rifletti, furfante, rifletti! Che pretenderesti? Che arrischiassi l'anima gratis? Concludendo: via dai piedi. Non sono io la forca dove tu possa impiccarti. Vattene! Un coltellino e la marmaglia, ecco quel che ti ci vuole! Tornatene al tuo maniero di Pickthatch!. Vai! Non hai voluto consegnare quella lettera, briccone.
Ne andava del tuo onore! Ma come, abisso d'ignominia: se stento io a osservare a puntino le leggi del mio onore! Sicuro, io, io stesso, a volte, lasciando da parte il timor d'Iddio, e nascondendo l'onore dietro alla necessità, mi adatto ad arrabattarmi, a scantonare, ad arrangiarmi. E tu, tu, furfante, vuoi mettere i tuoi cenci, i tuoi sguardi di gatto selvatico, il tuo linguaggio da bettola, le tue bestemmie da ribotta, vorresti metterli al riparo del tuo onore! Ti ribelli, tu!
PISTOLA: Me ne pento. Da un uomo, che potete pretendere di più?
(Entra ROBIN)
ROBIN: Signore, una donna desidera parlarvi.
FALSTAFF: Entri pure.
(Entra MONNA FAPRESTO tutta sorridente. ROBIN e PISTOLA parlano in disparte)
FAPRESTO: Signore, buon giorno.
FALSTAFF: Buon giorno a voi, brava sposa.
FAPRESTO: Non sposa, se non vi dispiace.
FALSTAFF: E allora, brava ragazza FAPRESTO: Proprio così, posso giurarlo... Ragazza come mamma mia, il giorno che mi partorì .
FALSTAFF: Ci credo sulla parola! Desiderate?
FAPRESTO: Con licenza vostra, vi vorrei concedere una parola o due.
FALSTAFF: Ma duemila, bellezza; ed io vi concederò la mia attenzione.
FAPRESTO: C'è una certa signora Ford. (Accennando Pistola e Robin) Per piacere, signore, fatevi un po' più vicino, da questo lato... Sapete:
io abito presso il dottor Caio...
FALSTAFF: Va bene, avanti. E la signora Ford, voi dite...
FAPRESTO: Vostra Eccellenza dice proprio il vero... Prego Vostra Eccellenza di mettersi un po' vicino, qui da questa parte.
FALSTAFF: Ma non abbiate paura, nessuno ci sente. (accennando Pistola e Robin) Sono servitori miei, gente del mio seguito!
FAPRESTO: E allora, che Dio li benedica e li faccia servi suoi.
FALSTAFF: Veniamo al dunque. La signora Ford... Che cosa mi dite?
FAPRESTO: Gran brava signora, credetemi! Ma Dio mio, che seduttore che siete! Che il cielo perdoni a voi, e a noi tutti quanti.
FALSTAFF: La signora Ford! Procediamo... La signora Ford...
FAPRESTO: A farla breve, ecco di cosa si tratta. L'avete messa in tale titubanza che è un piacere. Il cavaliere più bello di quanti si veggono quando la corte è qui a Windsor, non sarebbe riuscito a farla titubanzare a quel modo. E sì che ne vengono, e cavalieri, e signori, e gentiluomini con le loro carrozze; una carrozza dietro l'altra, e biglietti su biglietti, e regali uno appresso all'altro. Cavalieri, tutti profumati di muschio: in un fruscìo di seta e d'oro. E con quelle maniere, quelle maniere alleganti che hanno di parlare! E con i vini zuccherosi, dei più squisiti e sopraffini che ci siano per conquistare il cuore d'una donna! Parola d'onore che nessuno riuscì ad ottenere un'occhiata. Stamattina stessa, vedete: qualcuno m'ha dato venti angelotti, ma io rinuncio a tutti gli angeli di questa specie, se ci deve essere sotto qualcosa di poco pulito. Non sono riusciti, dicevo, neanche fra tutti il più magnifico, a far accostare le sue labbra alla coppa. E sì che ce n'erano di conti, anzi, meglio ancora, delle guardie del corpo. Ma tant'è. Con lei, non attacca.
FALSTAFF: Si può sapere che cosa vi manda a dirmi? Siate breve, o mio buon Mercurio in gonnella!
FAPRESTO: Avete ragione. Ha ricevuto la vostra lettera, ve ne ringrazia mille volte; e vi fa sapere che suo marito stasera sarà fuori di casa tra le dieci e le undici.
FALSTAFF: Fra le dieci e le undici.
FAPRESTO: Esatto. Dice dunque la signora, che potrete venire a vedere il quadro che sapete. Il signor Ford - il marito - sarà fuori di casa.
Con lui quella buona signora fa una vita d'inferno. E' talmente geloso! Una vitaccia, poverina.
FALSTAFF: Dunque fra le dieci e le undici. I miei omaggi, e ditele che non mancherò.
FAPRESTO: Eh, come correte. Ma ho un altro messaggio per Vostra Eccellenza. Anche la signora Page vi manda i saluti più cordiali. Vi dirò, in un orecchio, che quella è una donna ben educata, modesta e virtuosa, che, quant'altra mai qui a Windsor, non tralascia le sue preghiere mattina e sera. La signora Page m'incarica di dir a Vostra Eccellenza che suo marito difficilmente s'assenta da casa; ma ella spera che verrà un'occasione... verrà... Non ho mai visto nessuna donna più infanatichita per un uomo. Ma che cosa ci avete? Ci avete l'incantesimo?
FALSTAFF: Nessun incantesimo, garantisco; se si eccettua qualche piccolo dono naturale.
FAPRESTO Dio ve li benedica!
FALSTAFF: Ma ditemi un po' una cosa, per favore. La moglie di Ford e la moglie dl Page, non si saranno mica confidate l'una con l'altra quest'amore per me?
FALSTAFF: Ci mancherebbe altro! Non sono tanto sciocche, mi figuro.
Quello sarebbe un bel tiro! Piuttosto: la signora Page griderebbe che le mandaste, in nome di tutti gli amori, il vostro paggetto. Suo marito ha una meravigliosa infezione pel paggetto, e bisogna riconoscere che il signor Page è pure una brava persona. In tutta Windsor, non c'è donna sposata che faccia più bella vita della signora Page! Fa quel che le pare, dice quello che vuole, compra tutto ciò che desidera, e paga subito; va a letto quando le piace, si leva quando ne ha voglia; insomma, fa tutto il suo comodo. E del resto, lo merita, perché se a Windsor c'è una donna simpatica, è lei. Bisognerà che le mandiate il paggetto: non c'è rimedio.
FALSTAFF: Glielo manderò.
FAPRESTO: Mandateglielo dunque, e così potreste fare anche in modo che il paggetto vi servisse un po' come da ambasciatore fra voi due; ma cercate, per le varie circostanze, di aver qualche parola convenuta da intendervi senza bisogno che il ragazzino capisca... E' meglio che i ragazzi certe cose non le sappiano: per noialtri grandi è diverso: ché abbiamo discrezione, perché abbiamo esperienza.
FALSTAFF: Arrivederci. I miei ossequi alle signore. E qui c'è qualcosa per voi... ma s'intende che vi resto debitore... Ragazzo, va' con questa donna. (Monna Fapresto esce con Robin) Tutte queste notizie mi fanno girare il capo. (A se stesso) Che ne dici, vecchio mio? Coraggio e avanti! Da questo tuo corpaccio, finirò col trarre più vantaggio ora che di quando era giovane. A quanto pare, non si stancano di guardarti. Può darsi che dopo avermi sciupati tanti soldi, tu ora me ne cominci a guadagnare. Ti ringrazio, corpaccio. Lasciali dire che sei enorme e deforme. Che importa, se tu piaci?
(Entra BARDOLFO, recando un bicchiere di vino)
BARDOLFO: Signor Falstaff, c'è un certo messer Brook, che vorrebbe conoscervi e parlarvi E intanto vi ha mandato, per bere di mattina, un caratello di questo vino di Spagna.
FALSTAFF: Brook, si chiama?
BARDOLFO: Sì, signore.
FALSTAFF: Che passi il bruco! (Esce Bardolfo e Falstaff beve) Sempre benvenuti i bruchi che portano tanta abbondanza. (Sgocciola il bicchiere) Ah, cara signora Ford, cara signora Ford! V'ho afferrato per la vita, eh?
(Rientra BARDOLFO, seguito da FORD travestito. FORD porta una grossa borsa di denaro)
FORD: Salve, mio signore.
FALSTAFF: Salve. Desiderate parlarmi?
FORD: Sono un bello sfacciato a presentarmi così senza cerimonie.
FALSTAFF: Ma siete benvenuto! In che cosa vi posso servire? Vai pure, tavernaio!
(Esce Bardolfo)
FORD: Io sono uno, signore, che ha sperperato un'immensità di denaro.
Mi chiamo Brook.
FALSTAFF: Caro signor Brook, non desidero di meglio che approfondire la nostra conoscenza.
FORD: Ed è pure il mio gran desiderio. Io non vengo per chiedervi quattrini: ve lo dico subito. E, di noi due, forse son io che mi trovo in migliori condizioni di poterne dare. Ciò, in qualche modo, mi ha incoraggiato a presentarmi, magari in una maniera inopportuna. Ma, come suol dirsi, quando il denaro va avanti si spalancano tutte le porte.
FALSTAFF: Il danaro, signor mio, è e sarà sempre la più forte avanguardia.
FORD: Giustissimo. Intanto, ecco qui dei soldi che mi pesano!
Aiutatemi voi, signor Falstaff. Prendeteli tutti... prendetene mezzi; ma alleggeritemi di questo fardello!
FALSTAFF: Signore, non so proprio come io abbia meritato di diventare, diciamo così, il vostro facchino.
FORD: Ve lo dico subito, se vorrete ascoltarmi.
FALSTAFF: Parlate, mastro Brook. E sarò ben lieto di mettermi ai vostri ordini.
FORD: So che siete una persona molto istruita - sarò breve - e già da tempo vi conoscevo per fama; sebbene non avessi tanto agio quanto desiderio d'esservi presentato convenientemente. Bisogna, ora, che io vi confessi una cosa, anche se essa debba darvi una meschina opinione di me. Ma vi prego, messer Giovanni: ascoltando tutte le follie che vi sto per raccontare, non perdete d'occhio le vostre. E ricordando come sia facile cadere in certi peccati, forse sarà più facile che mi diate il vostro perdono.
FALSTAFF: Benissimo. Andate avanti FORD: In questa città c'è una gentildonna: il cognome di suo marito è Ford...
FALSTAFF: E va bene.
FORD: Questa gentildonna, sono anni che io l'amo. E per lei, vi assicuro, ne ho fatte di tutte. L'ho seguita con un'assiduità piena di fervore; ho cercato a ogni prezzo qualsiasi occasione d'incontrarmi con lei, ma che dico? di intravederla, non fosse che un attimo. Le ho comprato un'immensa quantità di regali; e non a lei soltanto, ma a tutti quelli che sapessero consigliarmi intorno ai suoi gusti e ai suoi desideri. In breve, l'ho assediata... come l'amore assediava me... senza tregua. Per il mio amore, o non fosse altro, per la mia prodigalità, qualche ricompensa potevo meritarla. Nulla ne ho ricavato fuorché l'esperienza. Dicono che l'esperienza è un gioiello. Un gioiello che ho pagato un prezzo favoloso... Ho imparato che:
L'amore com'ombra fugge, se amor sostanza insegue; insegue quel che fugge, e fugge quel che insegue.
FALSTAFF: Promise mai, la signora, di ricompensare le vostre attenzioni?
FORD: Mai!
FALSTAFF: E la sollecitaste voi a tal proposito?
FORD: Mai!
FALSTAFF: Ma che razza di amore era il vostro?
FORD: Era come una bella casa costruita sul terreno di un altro. Ed io ho perduto la mia casa, per avere sbagliato il luogo dove la costrussi.
FALSTAFF: A quale scopo venite a raccontare a me questa storia?
FORD: Quando ve l'avrò detto, vi avrò detto tutto. Ho sentito che, mentre con me ella si mostrava così severa, in altre occasioni s'è lasciata trasportare in un modo da far nascere sul suo conto una quantità di pettegolezzi. Ed eccoci al nocciolo della questione, sir Giovanni. Voi siete un gentiluomo di eccellente lignaggio, d'ammirevole eloquio, di grande entratura: v'imponete col vostro rango e la vostra persona. Tutti vi ricercano per le vostre benemerenze di guerriero e uomo di corte, per la vostra dottrina...
FALSTAFF: Ma vi prego...
FORD: E' così, e voi lo sapete. (Posa sul tavolo la borsa di denaro) Questi sono denari. Spendetene, spendeteli tutti; spendetene anche di più, spendete tutto quello che ho... Io, in cambio, non voglio che un po' del vostro tempo... quanto vi basti per un assedio galante all'onestà della signora Ford. Metteteci la vostra migliore arte di corteggiatore. Conquistatela. Se è possibile, a voi deve riuscire più facile che ad ogni altro.
FALSTAFF: Come può giovare alla vostra grande passione, che io conquisti per me ciò che desiderate per voi! Il metodo con il quale pretendete curarvi è piuttosto curioso!
FORD: Cercate di capire le mie intenzioni. Ella si appoggia con tal sicurezza sull'eccellenza della sua virtù, che la follia della mia anima non osa presentarsi a lei. Ella è come una luce troppo vivida, e che non si può guardare. Ma se potessi farmi dinanzi a lei con in mano qualche prova sicura della sua frivolezza, il mio desiderio troverebbe un precedente e un argomento per farsi valere. E potrei snidarla da quei baluardi della purezza, del buon nome, della fedeltà coniugale, e di mille altri schermi dietro ai quali ora si difende contro ogni mio assalto. Che ve ne pare, sir Giovanni?
FALSTAFF (soppesando la borsa): Signor Brook: per prima cosa, piglio senza complimenti i vostri soldi. Ed ora, eccovi la mano... Se è questo che desiderate, parola di gentiluomo che voi avrete la moglie di Ford.
FORD: Oh, signore!
FALSTAFF: Ho promesso.
FORD: Non badate a spese, cavaliere; denaro ne avrete a bizzeffe.
FALSTAFF: E la moglie di Ford, l'avrete: l'avrete a bizzeffe. Vi dirò che debbo vederla ad un appuntamento fissatomi proprio da lei. Un minuto avanti che arrivaste, usciva di qui una sua cameriera... o mezzana che vogliamo chiamarla. Debbo trovarmi con la signora Ford questa sera, fra le dieci e le undici; visto che allora quel gelosaccio birbone del marito non è in casa. Dopo, venite a trovarmi, e saprete com'è andata.
FORD (inchinandosi): E' una vera fortuna che mi sia messo in mano vostra... Ma Ford, lo conoscete?
FALSTAFF: Al diavolo quel povero cornuto! Non lo conosco. Ed ho anche torto a chiamarlo povero... Perché dicono che il becco gelosaccio abbia quattrini a palate. E soprattutto per questo che m'interessa sua moglie. Mi servirò di lei come chiave alla cassaforte di quel beccaccione: sarà il mio granaio.
FORD: Era meglio che Ford l'aveste conosciuto; non fosse che per evitarlo se per caso lo incontrate.
FALSTAFF: Al diavolo quell'abbietto mercante di burro salato! Lo incenerirò con un'occhiata. Tremerà quando vedrà il mio bastone ruotar come una meteora sopra alle sue corna. Mastro Brook: io domerò quel villano; e voi andrete a letto con la moglie. Venite presto, stasera... Ford è uno scimunito ed io l'eleverò di grado; avrete a considerarlo, mastro Brook, uno scimunito ed un becco. E stasera, fatevi vedere presto.
(Prende la borsa ed esce)
FORD: Che maledetto cialtrone d'epicureo è costui! Mi si schianta il cuore dalla rabbia. Eppoi vengano a dirmi che la mia gelosia era infondata... Mia moglie l'ha mandato a chiamare, hanno fissato l'ora:
si sono accoppiati. Chi l'avrebbe creduto?... Guarda che inferno è una moglie disonesta! Il mio letto insozzato, la cassaforte vuotata, e lacerata la mia reputazione. E non solo dovrò subire quest'infame smacco, ma sentirmi appioppare quei titoli obbrobriosi dalla persona medesima che mi fa torto... Che nomi, che parolacce!... Lucifero, per esempio, può andare. Ciriatto, Barbariccia possono andare. Sono appellativi infernali, sono nomi di diavoli. Ma cornuto!... Becco cornuto!... neanche il diavolo ha un nome come questo. Che asino quel Page! Che asino credulone! Lui ha fiducia in sua moglie; lui non è geloso... Stai fresco! Vorrei affidare il mio burro a un Fiammingo, il mio formaggio al reverendo Ugo, o la mia acquavite a un Irlandese; vorrei far portare a spasso la mia chinea da un ladro, piuttosto che lasciare mia moglie in balìa di se stessa... Perché allora una donna rimugina, complotta, tesse imbrogli... E ciò che una donna ha macchinato, lo porterà in fondo, a costo di spezzarsi il cuore.
Ringrazio il cielo della mia gelosia!... Alle undici. Ci metterò riparo io. Sorprenderò mia moglie, mi vendicherò di Falstaff, e riderò di Page! Svelto, all'opera! Meglio arrivare tre ore prima che un minuto dopo. Ma che nomi! Cornuto, cornuto, becco cornuto!...
(Esce in gran fretta)
SCENA TERZA - Un campo nelle vicinanze di Windsor
(CAIO e GIOVANNINO passeggiano su e giù)
CAIO (fermandosi): Giovannino!
GIOVANNINO: Signore!
CAIO: Che ore sono?
GIOVANNINO: E' passata l'ora che don Ugo aveva promesso d'esser qui.
CAIO: Per Dio. Col non venire è riuscito a salvare la pellascia. Chi sa quanto è stato a pregare sulla sua Bibbia! Ché se veniva qui, per Dio, a quest'ora era spasciato!
GIOVANNINO: Ha avuto giudizio. Se lo sentiva che Vossignoria l'avrebbe ucciso, se veniva.
CAIO: Perdinci, un'aringa in salamoia non è tanto morta com'io usciderò lui. Prendi la spada. Giovannino. E ti fo vedere io come si fa a usciderlo.
GIOVANNINO: Mi dispiace, signore, ma non so tirare.
CAIO: Prendi la spada, marmotta. (Cominciano a battersi)
GIOVANNINO: Fermo, fermo: c'è gente!
(Si avvicinano l'Oste, SOMMARIO, MINGHERLINO e PAGE)
OSTE: Ti protegga Iddio, o dottore sopraffino!
SOMMARIO: Salve, dottor Caio!
PAGE: Eccoci qua.
MINGHERLINO: Signore, buon giorno.
CAIO: Uno, due, tre quattro: che cosa sci venite a fare?
OSTE: A vederti duellare... a vederti combattere... a vederti in azione sul terreno... Te qui, te là, te di sopra e te di sotto. In guardia! Finta! Parata! Cavazione! A fondo! E' morto, il mio Etiope?
E' morto il mio Francesco? ah, sopraffino! Che mi racconti, Esculapio?
Che mi racconti, Galeno? Mio midollo di sambuco? E' morto, piscio sopraffino? L'hai ammazzato?
CAIO: Perdinci: quello è il prete più viliacco del mondo! Non ha neanche osato farsi vedere.
OSTE: E' che tu sei il re degli orinali di Castiglia. Sei Ettore di Grecia, figlio mio!
CAIO: Testimoniate, vi prego, che sono stato qui, sei o sette, due o tre ore ad aspettarlo, e lui non è venuto.
SOMMARIO: Non poteva far meglio, caro dottore. Egli è medico di anime:
e voi medico di corpi. A combattervi fra voi è un andar contropelo della vostra professione! Non vi sembra, mastro Page?
PAGE: Eppure, mastro Sommario, un tempo foste gran spadaccino, sebbene oggi siate giudice di pace...
SOMMARIO: Corpo di Bacco, mastro Page: anche ora che son vecchio, e della pace, anche ora, se vedo sguainare una spada... mi pizzicano le mani... Si ha un bell'essere giudici di pace, sacerdoti, dottori, mastro Page, a tutti c'è rimasto addosso un po' di fuoco della gioventù... Siamo figli di donna, caro Page.
PAGE: Verissimo, mastro Sommario.
SOMMARIO: E sempre sarà così. Dottor Caio, sono venuto a prendervi per riaccompagnarvi a casa. Perché il mio ufficio è di pace. E voi siete medico esimio; come don Ugo s'è mostrato un sacerdote prudente e paziente. Venite con me, caro dottor Caio.
OSTE: Un momento, amico mio giudice. (A Caio) E tu, signor Letame...
CAIO: Letame? E che cosa significa?
OSTE: In buon volgare, Letame significa valore, o sopraffino!
CAIO: Allora, scerto, io non ho meno Letame di qualsiasi inglese! ma a quel can malfusso di prete, parola che li talio li orecchi.
OSTE: E lui farà di te una polpetta, sopraffino mio!
CAIO: Una polpetta? Che cosa vuol dire?
OSTE: Vuol dire, che ti darà piena soddisfazione!
CAIO: Scerto che dovrà farmi polpetta. Per Dio, se dovrà farlo!
OSTE: Penserò io, stai sicuro, a farglielo fare, o che vada in malora!
CAIO: Vi ringrazio.
OSTE: Inoltre, sopraffino mio... (a parte agli altri tre) Tu giudice, e anche tu Page, e tu caballero Mingherlino, andate presto a Frogmore per la strada attraverso la città.
PAGE (a parte): Don Ugo è laggiù?
OSTE: Sì. E vedete un po' di che umore. Intanto io vengo col dottor Caio, dalla parte dei campi. Va bene?
SOMMARIO: Così faremo.
SOMMARIO e MINGHERLINO: Arrivederci, dottore!
(Escono)
CAIO: Lo usciderò quel pretascio, che vuol parlare ad Anna Page per conto d'uno scimunito.
OSTE: E tu ammazzalo! Ma per il momento rinfodera la tua impazienza.
Butta un po' d'acqua fresca sui tuoi bollori. E vieni a Frogmore con me. Passiamo per i campi. Ti conduco a una festa in una fattoria dove c'è Anna Page, e le farai la corte. Dagli alla volpe!. Sei contento?
CAIO: Vi ringrazio, per Dio, vi volio proprio bene. Manderò avventori alla vostra locanda: signoroni, cavalieri, gentiluomini; tutta la mia clientela.
OSTE: Ed io, in compenso, ostacolerò in qualsiasi modo le tue faccende con Anna Page. Ho detto bene?
CAIO: Benissimo! Per Dio, sono contento!
OSTE: Andiamo, allora.
CAIO: Vienmi alle calcagna, Giovannino.
(Si allontanano)
ATTO TERZO
(Don UGO EVANS, in panni di gamba e farsetto, sta in mezzo alla scena con la spada sfoderata in una mano, un libro aperto nell'altra. SIMPLICIO è di vedetta, arrampicato su un albero)
EVANS: Titemi un po', serfo tel puon mastro Mingherlino e amico Simplicio ti nome; ma ta che parte siete stato a cercare mastro Caio, l'uomo che appella se stesso: tottore in meticina?
SIMPLICIO: Sono andato giù per la via della chiesa, e pel viale del parco; ho fatto anche la strada che va a Windsor vecchia: dappertutto sono stato. Non mi resta che guardare dalla parte di città.
EVANS: Ti prego e ti supplico ferfentemente: fetete un po' anche ta quella parte.
SIMPLICIO: Volentieri signore.
EVANS: Santo cielo! Son talmente gonfio ti collera, che ho la mente tutta agitata. Come forrei che fosse una purla! Ma intanto, che malinconia! Certo, alla prima occasione, gli spaccherò tutti i suoi orinali su quella testaccia. (Canta) Presso alle cascatelle e ai ruscelletti, cantan gli uccelli i loro matrigali.
Là ti rose faremo i nostri letti, e ghirlante ti fiori profumati!...
Presso alle cascatelle...
(S'interrompe e dice) Santo Signore! Che foglia afrei ti piangere!
(Canta) Cantan gli uccelli i loro matrigali quant'io setuto stafo in Papilonia...
e ghirlante ti fiori profumati.
Presso alle cascatelle...
SIMPLICIO (scendendo dall'albero): Eccolo che arriva, don Ugo, da quella parte.
EVANS: Penfenuto. (Canta) Presso alle cascatelle e ai ruscelletti...
E che il ciel protegga il giusto. Che armi ha?
SIMPLICIO: Non vedo armi, signore. E vengono anche il mio padrone e mastro Sommario, insieme con un altro gentiluomo, dalla parte di Frogmore: scavalcano la staccionata nella nostra direzione.
EVANS: Per piacere, tammi la mia sottana. O meglio no, tienla tu in praccio. (Simplicio raccoglie di terra la sottana)
(Dalla staccionata più vicina, entrano PAGE e SOMMARIO, seguiti da MINGHERLINO. Contemporaneamente, si vedono l'Oste, CAIO e GIOVANNINO scavalcar la staccionata di fondo)
SOMMARIO: Come mai da queste parti? Buongiorno, reverendo. Un giocatore lontano dai dadi, e uno studioso lontano dai suoi libri, che miracoli!
MINGHERLINO (sospirando): Oh, dolce Anna Page!
PAGE: Salve, don Ugo!
EVANS: Il cielo fi penetica nella sua misericortia.
SOMMARIO: Veggo il libro e la spada. Ve li state studiando tutti e due, reverendo?
PAGE: E così vestito come un giovincello; in farsetto e panni di gamba, con questo tempaccio da reumatismi.
EVANS: Ci sono cause e motifi, se sto questa maniera.
PAGE: Reverendo, siamo venuti a cercarvi per un'opera buona.
EVANS: Si tratta?
PAGE: C'è laggiù un signore di riguardo, che evidentemente è stato offeso da qualcuno, e che s'accapiglia con la sua gravità e la sua pazienza in un modo mai visto.
SOMMARIO: Io ho ottant'anni suonati: ma non ho mai sentito persona del suo rango, della sua serietà e della sua dottrina, che perdesse così ogni rispetto di se stessa.
EVANS: E chi è?
(L'Oste CAIO e GIOVANNINO stanno avvicinandosi)
PAGE: Credo lo conosciate... (Evans si volta) E' il dottor Caio, il celebre medico francese...
EVANS: Fifa Ittio e la mia rappia! che preferirei mi parlaste t'una scotella ti pappa.
PAGE: Perché?
EVANS: Ma quello non sa niente ti niente; né t'Ippocrate, né ti Galeno. (Alzando la voce) E per ti più, è un priccone, il più pel priccone e figliacco che si posso trofare.
(CAIO si avvicina con un pugnale e la spada sguainata)
PAGE: Ve lo dicevo che è lui che doveva battersi col prete.
MINGHERLINO (sospirando): Oh, dolce Anna Page!
SOMMARIO: Infatti, si vede dalle armi. Vanno tenuti divisi. Ecco il dottor Caio.
(si mette dinanzi a Caio e lo trattiene)
PAGE (a Evans): Calma, reverendo: giù la spada.
SOMMARIO: E lo stesso voi, bravo dottore...
OSTE: Disarmateli, e che poi litighino quanto vogliono. Purché non si facciano buchi, che strazino pure la nostra lingua.
(Evans e Caio vengono disarmati)
CAIO: Vi prego, una parolina in un orecchio: perché non vi volete battere?
EVANS (a parte, a Caio): Un po' ti pazienza: a suo tempo.
CAIO: Siete un viliacco per Dio... un cagnazzo... e uno scimmiotto.
EVANS (a parte, a Caio): Ma non facciamo ritere questa gente alle nostre spalle! Alla fostra amicizia ci tengo; e prima o poi fi tarò sottisfazione. (Forte) Ti spatterò tutti i tuoi orinali sul muso, per insegnarti a tenere gli appuntamenti!
CAIO: "Diable!" Giovannino! Oste della Giarrettiera! Ditelielo voi quanto l'ho aspettato per farli la pelle! All'appuntamento, sc'ero o non sc'ero?
EVANS: Quant'è fero che sono cristiano, è questo il luogo ch'era stapilito. Me ne appello qui all'oste.
OSTE: Pace, vi dico gallo e gallese, franco e celta, dottore d'anime e dottore dei corpi.
CAIO: Quest'è buona, è stupenda!
OSTE: Pace: e state a sentire cosa vi dice l'oste della Giarrettiera.
Non sono io un buon politico? Un volpone? Un Machiavelli? E dovrei guastarmi col mio dottore? Giammai: ch'egli mi procura pozioni ed evacuazioni. Dovrei perdere il mio pastore, il mio parroco, il mio don Ugo? Giammai: ch'egli m'insegna il Verbo e il proverbio. Dammi la tua mano terrestre, e tu la tua mano celeste. (Unisce le loro mani) Così!... Professoroni, sono stato io a giocarvi, mandandovi in luoghi sbagliati. Generosi sono i vostri cuori, intatte sono le vostre pance.
Chiudiamo la partita nel vino cotto. (A Page e Sommario) Via, le loro spade, mettetele in pegno. Seguitemi, pacifici ragazzi! Andiamo.
(S'arrampica sulla staccionata)
SOMMARIO: Che bel matto d'un oste. Venite, amici, seguiamolo!
MINGHERLINO (a parte): Oh, dolce Anna Page!
(Sommario, Page e Mingherlino seguono l'oste)
CAIO: Se ho capito bene, vi siete burlato di noi, eh?
EVANS: Appunto. Ci ha preso per i suoi zimpelli. Ma tifentiamo amici, tottore, e mettiamo insieme i nostri cerfelli per fenticarci ti questo oste tignoso, rognoso e improglione.
CAIO: Di tutto cuore, per Dio. E pensare che aveva promesso di portarmi da Anna Page. Me l'ha fatta!
EVANS: Ci penso io a schiacciargli la zucca. Antiamo.
(Scavalcano la staccionata e si allontanano)
SIGNORA PAGE: Avanti, avanti, gallettino, prima il mestiere tuo era di seguire, ora è di fare il battistrada. Che ti piace di più: guidare i miei passi o trottare alle calcagna del tuo padrone?
ROBIN: A dire il vero, preferisco andare avanti a voi, come un vero uomo, che stare dietro al padrone come un nano.
SIGNORA PAGE: Che adulatore di ragazzo! Vedo bene che diverrai un cortigiano.
(FORD viene loro incontro)
FORD: Piacere d'incontrarvi, signora. Si può chiedervi dove andate?
SIGNORA PAGE: Andavo proprio da vostra moglie. Sarà in casa?
FORD: Certo. E' tanto affaccendata quanto le basta per reggersi ritta, per mancanza di compagnia. Credo che se noialtri mariti si dovesse morire, voi due vi sposereste subito...
SIGNORA PAGE: Potete esser certo: ma ci sposeremmo subito con altri due mariti!
FORD: O dove l'avete trovato questo bel misirizzi?
SIGNORA PAGE: Non mi ricordo come si chiami il signore che l'ha dato a mio marito. Ragazzo, come si chiama il cavaliere?
ROBIN: Sir Giovanni Falstaff!
FORD: Giovanni Falstaff!
SIGNORA PAGE: Proprio lui. Non riesco mai a tenere a mente il suo nome. Hanno fatto un'amicizia, fra lui e mio marito... Allora è in casa vostra moglie?
FORD: Ma sì.
SIGNORA PAGE (s'inchina): Con permesso. Muoio dalla voglia di vederla!
(La signora Page esce frettolosamente preceduta da Robin)
FORD: Ma cos'ha Page nella testa? Non vede proprio nulla? Non capisce nulla? Dorme della grossa? C'è quel ragazzino che porterebbe una lettera lontano venti miglia, con la precisione che un cannone coglierebbe nel segno a duecento passi! E Page è lì che aiuta gli intrighi della moglie, e la incoraggia alle pazzie. Quella, ora va dalla moglie mia, e si porta dietro il paggio di Falstaff. Ci vuol poco a sentire che in aria c'è burrasca... Con il paggio di Falstaff... Bell'imbroglio!... Le mogli si ribellano e vanno insieme a perdizione! Ma bene! Io lo coglierò sul fatto, poi metterò mia moglie alla tortura, e strapperò il velo dell'ipocrisia dal visetto della signora Page. Mostrerò a tutti che Page è un becco beato: e i vicini m'approveranno di non aver fatto complimenti. (Suonano le ore all'orologio di Windsor) L'orologio mi dà il via! E' la mia stessa certezza che m'impone di agire. In casa troverò Falstaff; ed invece di criticarmi, la gente mi loderà per la mia risoluzione. Com'è vero che la terra sta ferma, Falstaff è in casa mia. Ci vo subito.
(Voltandosi, si incontra a faccia a faccia con Page, Sommario, Mingherlino, l'Oste, Caio e Giovannino, che vengono per la via)
TUTTI: Ben trovato, mastro Ford!
FORD: Bella brigata, vivaddio! Ci ho a casa una quantità di roba buona; venite tutti da me.
SOMMARIO: Scusatemi, ma non posso, mastro Ford.
MINGHERLINO: Neanche io. Siamo invitati dalla signorina Anna, né vorrei mancare per tutto l'oro del mondo.
SOMMARIO: Sapete che si sta combinando il fidanzamento di Anna Page con mio nipote Mingherlino. Oggi si dovrebbe aver la risposta.
MINGHERLINO: Papà Page, spero nel vostro consenso.
PAGE: E lo avete. Io son tutto per voi. Invece, mia moglie (rivolgendosi a Caio) sta per il dottore.
CAIO: Per Dio... E la ragascia vuol bene a me. Me l'ha garantito Monna Fapresto.
OSTE: Ma del giovane Fenton, che dite? Quello danza, volteggia, e gli occhi gli brillano di gioventù; scrive poesie; ci ha una chiacchiera, ed olezza di primavera. Vince lui, vince lui. Ce l'ha in pugno! Vince lui!
PAGE: Il mio consenso, però, non glielo do davvero. E' un giovanotto che non ha un soldo, è stato della brigata di quel pazzo del principe e di Poins. Eppoi viene di troppo alto... la sa troppo lunga. Niente, niente. Con i soldi miei, non rifà la sua fortuna di certo. Se vuole Anna, la pigli; ma così com'è, senza soldi. Per i soldi ci vuole il mio consenso; e questo va in tutt'altra direzione.
FORD: Insisto, proprio di cuore; venite, qualcuno, a casa mia. Oltre a una buona cena, c'è da divertirsi. Ci ho perfino un mostro, da farvi vedere. Su, dottore, venite; e così voi Padre, don Ugo...
SOMMARIO: Allora vi salutiamo. Faremo con più libertà la nostra corte, a casa Page.
(Escono Sommario e Mingherlino)
CAIO: Giovannino, vai pure a casa. Vengo fra poco.
(Esce Giovannino)
OSTE: Arrivederci, cuoricini mici. Io vo dal mio bravo cavalier Falstaff, a bere con lui vino delle Canarie.
(Esce l'Oste)
FORD (a parte): Ho paura che lo farò bere prima io. E lo farò anche ballare! (forte) Moviamoci!
PAGE, CAIO, EVANS: Siamo con voi: andiamo a veder questo mostro.
(Escono con Ford)
SCENA TERZA - L'atrio di casa Ford.
(Arazzi alle pareti. Scala interna che conduce a un ballatoio. Un gran caminetto. Tre porte, delle quali una fiancheggiata da due finestre, che si apre sulla via) (La signora FORD e la signora PAGE affaccendate)
SIGNORA FORD: Gianni, Roberto alla svelta...
SIGNORA PAGE: Sbrighiamoci, sbrighiamoci. La cesta del bucato!
SIGNORA FORD: Ma è pronta... E' Robin che non si vede!
(Entrano due Servitori che portano un gran cesto)
SIGNORA PAGE (con impazienza): Più avanti: ancora, ancora...
SIGNORA FORD: Mettetelo lì.
(I Servitori eseguiscono)
SIGNORA PAGE: Date agli uomini tutte le istruzioni, ma facciamo presto.
SIGNORA FORD: Come vi ho già detto, Roberto, Gianni: voi due tenetevi pronti, qui accosto, nel celliere; e quando chiamerò, venite subito.
Senza perdere un attimo, prendete il cesto in in spalla, e portatelo a Datchet, di corsa, dov'è il prato delle lavandaie. Laggiù, rovesciatelo in quel fosso tutto fangoso ch'è presso al Tamigi.
SIGNORA PAGE: Ma avranno inteso bene?
SIGNORA FORD: Gliel'ho detto e ridetto. Sanno per filo e per segno cosa devon fare. Andate; e correte qui appena chiamo!
(Escono i Servitori)
SIGNORA PAGE: Ecco il piccolo Robin.
(Entra ROBIN)
SIGNORA FORD: Allora, civettino, che notizie?
ROBIN: Il mio padrone, cavalier Falstaff, è alla porta qui dietro casa, signora Ford; e chiede di vedervi.
SIGNORA PAGE: Senti un po', pupazzo: sei sicuro di non averci tradite?
ROBIN (alla signora Page): Posso giurare. Il mio padrone non sa che ci siete qui voi; e mi ha minacciato di eterna libertà, se vi dico qualcosa; che significa mi licenzierebbe su due piedi.
SIGNORA PAGE: Bravo ragazzo. La tua discrezione ti servirà da sarto; avrai farsetto e panni di gamba nuovi. Ora vado a nascondermi.
SIGNORA FORD (a Robin): Tu vai dal tuo padrone; e digli che sono qui sola... (Esce Robin) Signora Page, mi raccomando la parte.
SIGNORA PAGE: State tranquilla. E se recito male fischiatemi.
SIGNORA FORD: Siamo pronti. Lo conceremo per le feste questo gocciolone! Questa zucca acquatica... Imparerà a distinguere le tortore dalle gazze!
(La signora Page esce da una delle porte, lasciandola socchiusa; da un'altra entra Falstaff)
FALSTAFF: "Ti ho colto alfine, o mio divin gioiello?". Ed ora potrei anche morire: ho vissuto abbastanza. Ho toccato il vertice di tutte le mie ambizioni. Istante di paradiso!
SIGNORA FORD: Mio dolce cavaliere!
(Si abbracciano)
FALSTAFF: Signora Ford, io non ti so mentire. Non ti so far chiacchiere, signora. Ti confesso un desiderio colposo: io vorrei che tuo marito fosse morto! Son pronto a ripeterlo all'Onnipossente: per fare di te la mia signora.
SIGNORA FORD: Io, vostra signora? Ahimè, cavaliere; sarei una signora dappoco.
FALSTAFF: Che la corte di Francia me ne mostri una eguale! I tuoi occhi gareggiano con i diamanti! La tua fronte ha quell'arcuata bellezza che tanto si addice alle più superbe pettinature alla moda veneziana.
SIGNORA FORD: Un semplice fazzoletto, signore. Ecco che cosa mi sta bene; e forse neppur quello.
FALSTAFF: Sei una scherana a parlare così! Saresti Una dama di corte perfetta. La bellezza del tuo passo darebbe al semicerchio del guardinfante l'ondulazione più armonica. Mi par di vedere come tu saresti se Fortuna non ti fosse stata nemica, come amica t'è stata la natura. Non fingere, via, di non saperlo.
SIGNORA FORD: Credetemi, non ho nessuna di queste doti.
FALSTAFF: Cos'è, allora, che m'ha fatto innamorare di te? Questo solo dovrebbe dirti ch'è in te qualcosa di straordinario! Io non so lusingarti: non ti so dire che sei questo e quest'altro, come farebbero tanti mocciosetti che sembrano donne vestite da uomo, e che puzzano come botteghe di semplicisti e droghieri. A me non mi riesce.
Ma ti amo! Amo te sola! Tu sola lo meriti.
SIGNORA FORD: Non ingannatemi, cavaliere. Ho gran paura che vi piaccia la signora Page...
FALSTAFF: Sarebbe come dire che mi piace la prigione per debiti, ch'è più odiosa del fumo di calcina.
SIGNORA FORD: Sa il cielo quanto vi amo... (con sottinteso) e un giorno ne avrete la prova!
FALSTAFF: Serbatemi cotesto animo: ne sarò degno.
SIGNORA FORD: Degno ne siete, posso dirlo; o non avrei per voi questa inclinazione.
(Rientra ROBIN di corsa)
ROBIN: Signora Ford! Signora Ford! C'è qua all'uscio la Signora Page, trafelata e stravolta, e dice che ha bisogno di parlarvi subito, all'istante!
FALSTAFF: Sarà bene che io non ci sia. Mi nasconderò dietro un arazzo.
SIGNORA FORD: E' meglio! Quella lì, è una tale pettegola... (Falstaff si nasconde dietro un arazzo)
(Rientra la signora PAGE, dalla porta dietro alla quale stava nascosta)
SIGNORA FORD: Ebbene? Che succede?
SIGNORA PAGE (fingendosi tutta affannata): Signora Ford! Che cosa avete fatto! Vi siete svergognata e rovinata per sempre!
SIGNORA FORD: Ma che vi piglia, signora cara?
SIGNORA PAGE: Con un galantuomo di marito come il vostro, andate a dargli questi sospetti!
SIGNORA FORD: Che sospetti?
SIGNORA PAGE: Che sospetti! Eh via: me lo chiedete? Ahimè, io vi credevo tutt'altra.
SIGNORA FORD: Insomma, si può sapere che c'è?
SIGNORA PAGE: C'è che vostro marito sta venendo qui, insieme a tutti i magistrati di Windsor, a cercar qualcuno che, come egli dice, si è nascosto in casa, per profittare, con la vostra complicità, della sua assenza. Siete rovinata!
SIGNORA FORD: Così spero non sia.
SIGNORA PAGE: Pregate il cielo che non sia, che qui non si trovi quello che cercano. Certo è che vostro marito sta arrivando, con mezza Windsor alle calcagna. Sono corsa avanti ad avvertirvi. Se vi sentite la coscienza tranquilla, nessuno più felice di me; ma se il vostro amico è qui, fatelo scappare: vi dico, fatelo scappare. Non state lì intontita! Un po' di presenza di spirito! Difendete la vostra reputazione; o addio per sempre alla vostra vita serena e onorata.
SIGNORA FORD: Che posso fare? C'è qui un signore, mio amico carissimo.
E più che per l'onor mio, tremo per il pericolo che lo minaccia...
Vorrei perdere mille sterline, purché fosse lontano...
SIGNORA PAGE: Eh, via: cominciate a perder tempo col "vorrei" e il "non vorrei". Vostro marito è qui che arriva. Trovate qualche stratagemma: in casa non potete nasconderlo... Ma non avrei mai creduto!... C'è questa cesta. Se è di corporatura normale, potrebbe nascondersi dentro; e si coprirebbe con la biancheria sudicia, come se fosse roba da lavare. Anzi, siccome son giorni di bucato, chiamate un paio di uomini, e lo portino al prato di Datchet!
SIGNORA FORD: e' troppo grosso per entrarci... come posso fare?...
(Falstaff esce di dietro l'arazzo e si precipita verso il cesto)
FALSTAFF: Fatemi provare! Fatemi provare! Oh, fatemi provare!... Ma c'entro... ma c'entro... Seguite il consiglio della vostra amica...
C'entro di sicuro.
(Butta fuori dal cesto la biancheria)
SIGNORA PAGE: Come! Il Signor Falstaff! (Piano a Falstaff) Sincere le vostre lettere, cavaliere!...
FALSTAFF (arrampicandosi nel cesto, piano, alla signora Page): Amo te sola! Ma aiutami. Se riesco a infilarmi qua dentro, mai più...
(Si sentono voci da fuori; Falstaff si rannicchia nel cesto. Lo ricoprono con biancheria sporca)
SIGNORA PAGE (a Robin): Ragazzo, aiuta a nascondere il tuo padrone!
Signora Ford, chiamate gli uomini. (A Falstaff) Ipocrita d'un cavaliere!...
SIGNORA FORD: Gianni! Roberto! Gianni!
(Robin butta nel cesto la biancheria restata fuori, e se ne va di corsa. Entrano i due Servitori)
Via questi panni, ma svelti. E dov'è la pertica? Piacciconi! (I Servitori passano la pertica nei manici, e sollevano il cesto con grandissimo sforzo) Portateli a Datchet, alla lavandaia. Ma svelti!
(Si spalanca la porta che dà sulla strada; ed entrano FORD, PAGE, CAIO e Don UGO EVANS)
FORD: Avanti, vi prego. Se il mio sospetto non ha fondamento, ridete pure di me, sarò il vostro zimbello. L'avrò meritato. (Vede gli uomini col cesto) E quest'affare, ora? Dove lo portate?
PRIMO SERVITORE: Per Bacco: dalla lavandaia.
SIGNORA FORD: Ma che interessa a te, dove lo portano e dove non lo portano? Ci mancherebbe altro che tu dovessi metter bocca anche nel bucato...
FORD: Bucato!. Vorrei poter lavare il mio onore con un bel bucato! Il bucato: il bucato! Ci vorrebbe davvero un bucato: un bucato di quelli... (Escono i Servitori con il cesto) Amici, stanotte ho fatto un sogno; e ve lo racconto. Prendete, prendete: ecco tutte le chiavi.
Salite all'altre stanze: cercate, frugate, trovate: garantisco che staneremo la volpe. Ma prima, chiudiamo qui. (Chiude a chiave la porta che comunica con l'esterno) Via: sguinzagliate i furetti!
PAGE: Caro Ford, calmatevi: così vi fate troppo torto.
FORD: E' vero, mastro Page. Su, su signori: ci divertiremo. (Sale alcuni scalini) Seguitemi.
(Gli altri esitano)
EVANS: Che stranezza t'umori e ti gelosie!
CAIO: In Francia, per Dio, questo non suscede. Noi, in Francia, non siamo gelosi.
PAGE: Signori, andiamo su con lui. Vediamo come finisce questa faccenda.
(Salgono Evans, Page e Caio)
SIGNORA PAGE: Così, è riuscita doppiamente bene!
SIGNORA FORD: Non so che cosa mi diverta di più, se la delusione di mio marito o quella del cavaliere.
SIGNORA PAGE: Chi sa la paura che ha avuto, quando vostro marito chiedeva cosa c'era nel cesto!
SIGNORA FORD: Ho idea che abbia bisogno d'un bagno; e così a buttarlo in acqua non gli può far che bene.
SIGNORA PAGE: Ma che vada al diavolo, questo impostore... Vorrei che a tutti i suoi simili si potesse fargli lo stesso.
SIGNORA FORD: Mio marito doveva avere una speciale ragione di sospettare che Falstaff fosse qui; fino ad oggi, non l'avevo mai visto talmente accecato dalla gelosia.
SIGNORA PAGE: Cercherò di saperlo; ed a Falstaff, intanto, gli faremo altri scherzi; la sua morbosa fregola non guarirebbe con questa medicina soltanto.
SIGNORA FORD: E se mandassimo a lui quella befana della Fapresto a fargli le scuse per il bagno forzato?... Gli si fanno balenare nuove speranze; si attira in un nuovo tranello, e gli si dà un'altra lezione.
SIGNORA PAGE: Facciamo così, ed invitiamolo per domattina alle otto, per offrirgli un po' di ricompensa.
(Ford, Page, Caio e Don Ugo Evans scendono)
FORD: Non si trova! E' anche possibile che il cialtrone si vantasse di ciò che non aveva potuto ottenere.
SIGNORA PAGE (a parte alla signora Ford): Sentite?
SIGNORA FORD: Mi avete trattata proprio bene, signor Ford; che vi pare?
FORD: Bene davvero.
SIGNORA FORD: Il cielo vi renda migliore dei vostri pensieri!
FORD: Amen.
SIGNORA PAGE: Voi nuocete a voi stesso, e di molto, caro signor Ford.
FORD: E' così, e ne porto la pena.
EVANS: Se in questa casa c'è qualcuno nascosto nelle camere, nei cassoni o tentro gli armati, mi siano rimessi i miei peccati, il giorno tel giutizio unifersale!
CAIO: E neppure io ho trovato nulla. Qui non sc'è nessuno!
PAGE: Bella figura, mastro Ford! Non vi vergognate? E' il demonio, il maligno, che vi mette queste ubbie per la testa! Non vorrei avere una malattia come la vostra per tutto il tesoro di Windsor.
FORD: Page, è la mia disgrazia: e una disgrazia che mi fa soffrire.
EVANS: E' la cattifa coscienza! Fostra moglie è una tonna perpene. Ce ne fosse una come lei su cinquemila! Anzi, su cinquecento!
CAIO: Per Dio! Mi pare anche a me una donna perbene.
FORD: Vi avevo invitati a desinare. Mentre preparano, facciamo quattro passi nel parco. Scusatemi, vi prego. Poi vi dirò perché ho agito a questa maniera. Su, moglie; e voi, signora Page: (prende loro la mano) perdonatemi. Ve lo chiedo di cuore.
(La signora Ford e la signora Page vanno a preparare la mensa)
PAGE (agli altri): Andiamo, signori; ma datemi retta: dobbiamo seguitare a pigliarlo un po' in giro... Domattina presto, venite a colazione da me. E andremo a uccellare tutti insieme. Ho un falco da brughiera, bravissimo. Siamo d'accordo?
FORD: Come volete.
EVANS: Se c'è già il primo, io sarò il seconto.
CAIO: E se sci sono il primo e il secondo, il terzo sono io.
FORD: Passate, Page.
EVANS: Fi prego, ricortatefi tomani quel pitocchioso furfante tell'oste.
CAIO: Scertamente! per Dio, con tutto il cuore!
EVANS: Pitocchioso furfante, permettersi ti tali scherzi, ti tali peffe!
(Tutti escono dietro a Page e Ford)
SCENA QUARTA - Davanti a casa Page
(FENTON ed ANNA, seduti sotto gli alberi)
FENTON: E' inutile: a tuo padre non gli riesco simpatico. Annina mia dolce, non mi mandare da lui un'altra volta.
ANNA: E allora?
FENTON: Decidi tu stessa. Tuo padre dice che io son di nascita troppo elevata, e che siccome scialacquando ho dissestato il mio patrimonio, ora cerco di rifarlo coi suoi soldi. Ha tirato fuori altre storie: le mie passate sregolatezze, i miei amici dissoluti... E dice ch'è impossibile che io t'ami fuorché per i quattrini.
ANNA: Chi sa che non abbia ragione.
FENTON: No; te lo giuro, sulla felicità che aspetto dal destino. Fu, in realtà, la ricchezza di tuo padre, il motivo che dapprima mi spinse a corteggiarti. Ma non appena t'ebbi conosciuta, m'accorsi che valevi più di tutto l'oro coniato, più di tutti i sacchetti di monete; e sei tu sola il tesoro che voglio conquistare.
ANNA: Caro Fenton! Tentate ancora di convincere il babbo! Tentate ancora! E se poi, scegliendo i momenti buoni e con gli sforzi più umili, non ci riusciremo, allora... Sentite...
(Parlano piano, a parte)
(S'apre la porta, improvvisamente: ed escono di casa PAGE, SOMMARIO, MINGHERLINO e MONNA FAPRESTO)
SOMMARIO: Interrompeteli, Monna Fapresto. Ora deve parlare mio nipote.
(Monna Fapresto si avvicina a Fenton ed Anna)
MINGHERLINO (spaurito): Voglio tirare un colpo o due. Tanto per provare.
SOMMARIO: Non lasciarti intimidire!
MINGHERLINO: Ma lei non mi intimidisce affatto. Non è per questo. E' questione che ho paura!
FAPRESTO (ad Anna): C'è il signor Mingherlino che ha qualcosa da dirvi.
ANNA: Eccomi subito. (A parte, a Fenton) E' il candidato del babbo.
Guardate un po' che fastello di difetti ridicoli può apparire bello, se dispone d'una rendita di trecento sterline.
FAPRESTO: Come va, signor Fenton? (Traendolo in disparte) Ho da dirvi una parola.
(Anna si avvicina a Sommario e Mingherlino)
SOMMARIO: Coraggio, ragazzo. Fosse qui tuo padre!
MINGHERLINO: Ebbi un padre, signorina Anna. E mio zio può raccontarvi su di lui un sacco di storielle divertenti. Via, zio, per piacere, raccontate alla signorina quello scherzo del babbo, quando rubò le due oche dal pollaio...
SOMMARIO: Signorina Anna, mio nipote è innamorato di voi.
MINGHERLINO: E' così: quanto io amo donna nella contea di Gloucester.
SOMMARIO: Vi farà una vita da signora.
MINGHERLINO: Sicuro, venga chi voglia, che non sia di grado superiore a scudiere.
SOMMARIO: Vi farà un assegno di cento cinquanta sterline.
ANNA: Ottimo signor Sommario, lasciate che parli un po' lui, con la sua bocca.
SOMMARIO: Grazie! Grazie delle buone parole! Vuol parlarti, nipote. Vi lascio...
(Si mette un po' in disparte)
ANNA: E allora, signor Mingherlino?
MINGHERLINO (tirandosi la barba): Allora, signorina?
ANNA: Quali sono le vostre volontà?
MINGHERLINO: Le mie volontà! Questa mi piace! Le mie volontà! Grazie a Dio non ho fatto ancora testamento. Grazie a Dio, non sono mica tanto malato.
ANNA: Intendevo chiedervi, signor Mingherlino: cosa volete da me?
MINGHERLINO (a occhi bassi): In verità, per parte mia, non voglio niente, o quasi niente. E' vostro padre e mio zio, che hanno preso le mosse... Se va, tanto meglio; se no, buona fortuna a chi riesce. Del resto, loro due vi diranno meglio di me come stanno le cose.
Domandatelo a vostro padre. Eccolo qui.
(Entrano PAGE e la signora PAGE, di ritorno da casa FORD)
PAGE: Carissimo Mingherlino... Vogligli bene, figlietta mia. Ma cos'è questa storia? Cosa fa qui il signor Fenton? Signore, la vostra presenza qui non mi piace. Vi ho già detto, signore, che mia figlia è impegnata...
FENTON: Non arrabbiatevi, signor Page!
SIGNORA PAGE: Sul serio, signor Fenton, non state così appresso alla bambina mia.
PAGE: Non è roba per voi.
FENTON: Mi lasciate parlare un momento?
PAGE: Perfettamente inutile. Venite, signor Sommario. Andiamo, Mingherlino, figlio mio. (A Fenton) Voi conoscete le mie idee, e la vostra insistenza m'offende.
(Page, Sommario e Mingherlino entrano in casa)
FAPRESTO (a parte, a Fenton): Provate con la signora Page.
FENTON: Mia buona signora, amo vostra figlia d'un amore così onesto, che malgrado gli ostacoli, i rifiuti e le mossacce, io tengo alto lo stendardo del mio amore: io non indietreggerò mai... Concedetemi il vostro aiuto...
ANNA: Mammina mia, non mi far sposare quel cretino laggiù.
SIGNORA PAGE: Non lo voglio affatto. Ho in mente per te molto meglio.
FAPRESTO: Allude al mio padrone, il dottore.
ANNA: Preferirei mi lapidassero con le rape, e mi seppellissero viva.
SIGNORA PAGE: Non v'affliggete, signor Fenton, non vi sarò alleata, ma nemmeno avversaria. Voglio scandagliare mia figlia a vostro riguardo, e piglierò dopo le mie decisioni. Per il momento arrivederci. Bisogna che Anna rientri subito, suo padre s'inquieta.
(La signora Page entra in casa. Anna la segue, e sulla porta si ferma e si volta a salutare)
FENTON: Arrivederci, gentil signora. Addio, Annetta.
(Si chiude la porta)
FAPRESTO: Tutto merito mio. "Eh - le ho detto - ma volete buttare ai cani la figliolina vostra, dandola a quell'imbecille o al dottore? Non c'è qui il signor Fenton?". Merito mio.
FENTON: Vi ringrazio. E, vi prego, stasera date questo anello alla mia Annetta. E questo, per il vostro disturbo.
(Le dà del denaro, ed esce)
FAPRESTO (seguendolo con lo sguardo): Che il cielo ti dia fortuna! Ha un così buon cuore! Una donna dovrebbe buttarsi nel fuoco o in acqua, per un cuore simile... (Mette in tasca il denaro) Eppure vorrei che la signorina Anna l'avesse il mio padrone, o che l'avesse il signor Mingherlino... o, in fede mia, che l'avesse il signor Fenton. Io farò del mio meglio per ciascuno dei tre. Così ho promesso, e terrò la parola; ma in special modo per il signor Fenton... E pensiamo ora a quest'altra commissione per il cavalier Falstaff da parte delle due signore! Io, bestia, che sto qui a perder tempo!...
(Esce in fretta)
SCENA QUINTA - Sala nella Locanda della Giarrettiera. Mattina presto
(Scende FALSTAFF dalla sua camera)
FALSTAFF (chiamando): Bardolfo! Presto!
BARDOLFO (entra di corsa): Eccomi, signore.
FALSTAFF: Subito una mezzetta di vino, e un crostino. (Bardolfo esce; Falstaff si siede) E avrei vissuto fino ad oggi, per esser messo in un cesto come una carretta di rifiuti di macelleria e scagliato nel Tamigi! Accidenti! Se ricasco mai più in queste trappole, voglio farmi cavare il cervello, e cuocerlo nel burro e darlo ai cani, per regalo di Capodanno... Quei due manigoldi mi buttarono a fiume con una disinvoltura... nemmeno si trattasse di una covata di quindici cagnolini ciechi. Capirete dalle mie proporzioni, che ho facilità a colare a picco; e se il fondo fosse stato più giù dell'inferno, ci sarei arrivato... Affogavo, per Dio, se l'acqua non era così bassa.
Affogavo!... Una morte che detesto, perché l'acqua fa gonfiare i cadaveri. E io sembrerei una montagna di gelatina, se dovessi gonfiare un altro poco.
(Rientra BARDOLFO con due bicchieri)
BARDOLFO: C'è qui Monna Fapresto che vorrebbe parlarvi.
(Posa sul tavolo i due bicchieri)
FALSTAFF (prende un bicchiere): Fammi prima mescolare un po' di vino all'acqua del Tamigi. Ho un freddo in pancia, come avessi inghiottito delle palle di neve per rinfrescar la vescica. (Beve) Avanti, falla passare.
BARDOLFO: Entrate, signora.
(Entra MONNA FAPRESTO)
FAPRESTO: Con permesso... Scusate il disturbo, e buon giorno a Vostra Signoria.
FALSTAFF (vuota il secondo bicchiere di vino. A Bardolfo): Porta via questi calici; e preparami un beverone caldo.
BARDOLFO (prendendo i bicchieri): Ci sbatto dentro qualche uovo?
FALSTAFF: Vino solo, vino solo: non ci voglio sperma di pollo nelle mie bevande. (Esce Bardolfo) E dunque, che c'è?
FAPRESTO: Vengo da parte della signora Ford...
FALSTAFF: Della signora Ford? Ma ne ho avuto abbastanza! Per lei, son finito in un fiordo! E l'acqua del fiordo m'ha riempito la pancia.
FAPRESTO: Non è stata colpa sua, poverella! Sapeste la sua collera con i servitori! Son loro che hanno capito male le distruzioni!
FALSTAFF: E così ho sbagliato io, fidandomi della promessa di una pazza!
FAPRESTO: Signore mio, se vedeste come è afflitta, vi si stringerebbe il cuore! Stamani il marito va a caccia, e la signora vorrebbe che tornaste da lei, fra le otto e le nove. Debbo portarle la risposta subito. Garantisco che vi compenserà di quanto avete sofferto.
FALSTAFF: Va bene! Anderò a trovarla. Diteglielo. E che intanto rifletta sulla natura dell'uomo e sull'umana fralezza, per sapere meglio apprezzare il mio merito.
FAPRESTO: Glielo dirò.
FALSTAFF: Allora, fra le nove e le dieci.
FAPRESTO: Fra le otto e le nove, signore.
FALSTAFF: Andate. Non mancherò.
FAPRESTO: Dio v'accompagni.
(Esce)
FALSTAFF: Strano che il signor Brook non si faccia vedere. Mi ha mandato a dire che lo aspettassi. Eh, i suoi quattrini mi interessano!... Ma eccolo che arriva.
(Entra FORD, travestito da Brook, come nel Secondo Atto)
FORD: Salute, cavaliere!
FALSTAFF: Mastro Brook, sarete venuto di certo per sapere com'è andata con la signora Ford!
FORD: Appunto.
FALSTAFF: Mastro Brook, non vi dirò bugie. Giunsi a casa sua all'ora stabilita...
FORD: E andò bene?
FALSTAFF: Andò male, caro signore.
FORD: E come mai? Forse madama aveva cambiato pensiero?
FALSTAFF: Affatto. Ma non c'eravamo quasi nemmeno abbracciati e sbaciucchiati, scambiando amorose proteste, che quel ficcanaso di cornuto, il quale vive in continuo allarme di gelosia, viene e ci guasta tutto l'incantesimo. Insomma, s'era appena finito di recitare il prologo della nostra commedia. Ed ecco Ford, con una canca di amici, che richiamati ed aizzati dal suo furore, accorrevano a rovistare da cima a fondo la casa, per trovare l'amante della moglie!
FORD: Mentre eravate là?
FALSTAFF: Mentre ero là.
FORD: E v'hanno cercato, senza potervi trovare?
FALSTAFF: Sentite. Per fortuna, arrivò in tempo una certa signora Page, ad avvertirci che Ford si accostava a gran passi; e fu lei che ebbe idea (la signora Ford non capiva più nulla) di farmi portar via nella cesta del bucato.
FORD: Nella cesta del bucato?
FALSTAFF: Nella cesta del bucato. Fra camicie e grembiuli sporchi, calze e calzini fetidi, tovaglie piene d'unto. Signor Brook mio, era il più infame miscuglio di puzzi che mai abbiano offeso narici.
FORD: Quanto siete stato là dentro?
FALSTAFF: Ora saprete ciò che ho sofferto, cercando di portare al male quella donna, per il bene vostro. Ero aggomitolato nel cesto; e, chiamati dalla padrona, vennero un paio di servi di Ford, due furfanti. La signora dice che portino a lavare quella biancheria sudicia. Si caricano il cesto in ispalla; ed ecco che sulla porta s'incontra quel birbante geloso del loro padrone, e domanda una volta o due che cosa hanno nel cesto. Io tremavo di paura che quel matto volesse guardare. Ma il fato lo trattenne, perché si vede che lo vuol becco a ogni costo. Lui, continua la sua perquisizione; e me, mi portano via come panni sporchi. Ma sentite il seguito, mastro Brook; sentite. Io pativo le pene di tre morti tutte differenti. Primo: la paura d'esser trovato da quel putrido caprone furioso. Secondo: la paura di rimaner curvato nella circonferenza d'una botte, in quella posizione che mi toccavo la testa con i piedi, come quando si prova la lama d'un fioretto, punta contro elsa. Terzo: la paura d'essere impregnato, come una forte essenza, dai panni luridi, che fermentavano nel loro grasso. Pensate a tutto questo: uno della mia complessione.
Io che patisco il caldo più che se fossi di burro, e che sono sempre in punto di liquefare. E' un miracolo se non son morto soffocato.
Quando il bagno di sudore era al colmo ed io ero mezzo cotto nel mio intinto, come uno stufato olandese, mi buttano a fiume. Arroventato come ero, mi scaraventano in acqua, che friggevo come un ferro di cavallo. Ve ne fate idea?
FORD: Mi dispiace, signore, molto sinceramente, che per mia cagione abbiate passato tanti guai! Il mio caso diventa disperato; perché capisco che non vorrete mai più ritentare.
FALSTAFF: Signor Brook, piuttosto che arrendermi. mi farò buttare nell'Etna come mi hanno buttato nel Tamigi. Il marito stamani va a caccia, e la signora ha mandato a dirmi che mi aspetta tra le otto e le nove.
FORD: Le otto son già.
FALSTAFF: Corro subito, dunque. Tornate più tardi, quando vi comoda, e vi racconterò che successo ho avuto. L'opera sarà coronata, quando l'avrete. Arrivederci. L'avrete, mastro Brook. E Ford, lo farete becco.
(Esce)
FORD: Ma è un sogno? un'allucinazione? Forse io dormo. Svegliati, svegliati, Ford! Stanno guastandoti ciò che hai di più caro, Ford mio:
ecco che cosa vuol dire aver moglie, e casa, e biancheria, e ceste del bucato!... Per me, mi riconosco quello che sono. Ma lo coglierò sul fatto, questo sporcaccione. E' in casa mia, e non mi scappa.
Impossibile. Vada pure a ficcarsi nel borsellino più piccolo, nello scatolino del pepe... Per paura che sia il diavolo che lo consiglia, io frugherò nei posti più inverosimili. Non posso evitare d'essere quello che sono; ma non per questo voglio rassegnarmi. Se ho tante corna da diventar matto, almeno, come dice il proverbio, voglio essere feroce come un toro.
(Esce)
ATTO QUARTO
SIGNORA PAGE: Credi che sia di già da mastro Ford?
FAPRESTO: Certo che c'è di già, o ci sarà tra un momento, ma è fuor dei cancheri per essere stato buttato nell'acqua. La signora Ford vi prega di venire subito.
SIGNORA PAGE: Sarò da lei in un attimo, devo prima condurre a scuola questo giovanottino... Ecco che viene il suo maestro, è giorno di vacanza a quel che pare.
(S'avvicina Don UGO EVANS)
Ebbene, don Ugo, niente scuola, oggi?
EVANS: No, mastro Mingherlino ha tetto ti lasciar giocare i ragazzi.
FAPRESTO: Sia benedetto!
SIGNORA PAGE: Don Ugo, mio marito dice che mio figlio non fa nessun profitto nei suoi studi. Vi prego, fategli qualche domanda di grammatica.
EVANS: Fieni qua, Guglielmo, su, alza la testa.
SIGNORA PAGE: Su, bambino, alza la testa; rispondi al tuo maestro, non aver paura.
EVANS: Guglielmo, quanti numeri ha il nome?
GUGLIELMO: Due.
FAPRESTO: Davvero credevo che ce ne fosse uno di più, perché si dice:
"Al nome di Dio" cioè della Santissima Trinità.
EVANS: Zitta con le fostre chiacchiere! Come si tice pello, Guglielmo?
GUGLIELMO: "Pulcher".
FAPRESTO: Pulci!. C'è di meglio che le pulci, di sicuro!
EVANS: Siete una tonna proprio semplice! Zitta, fi prego... Che cosa fuol tire "lapis", Guglielmo?
GUGLIELMO: Pietra.
EVANS: E che cos'è pietra, Guglielmo?
GUGLIELMO: Un sasso.
EVANS: No, è "lapis". Ti prego, cacciatelo in testa!
GUGLIELMO: "Lapis".
EVANS: Prafo Guglielmo... E ta tofe fengono gli articoli, Guglielmo?
GUGLIELMO: Gli articoli vengono dai pronomi e si declinano così:
nominativo singolare, "hic, haec, hoc".
EVANS: Nominativo, "hig, haeg, hog". Attento, ti prego: genitifo, "hujus"... Eppene, qual è l'accusatifo?
GUGLIELMO: Accusativo, "hinc".
EVANS: Fia, ricortati pene, ragazzo: accusatifo, "hung, hang, hog".
FAPRESTO: Gog e Magog: scommetto che in latino vuol dire il paese di vattelapesca.
EVANS: Smettetela con le fostre ciarle, quella tonna... Qual è il focatifo, Guglielmo?
GUGLIELMO (si gratta il capo): O... il vocativo comincia con O...
EVANS: Ricortati, Guglielmo, il focatifo "caret"...
FAPRESTO: Carota: è una buona radice.
EVANS: Tacete, puona tonna.
SIGNORA PAGE: Zitta.
EVANS: Qual è il genitifo plurale, Guglielmo?
GUGLIELMO: Il caso genitivo?
EVANS: Già!
GUGLIELMO: Il caso genitivo è: "horurn, harum, horum".
FAPRESTO: Oh, che malumore! Non ne parlar mai, bambino, di questo caso generativo!
EVANS: Fergognatefi, quella tonna!
FAPRESTO: Fate male a insegnare al bambino queste parolacce:
gl'insegna le chicche e le cacche, cose che sanno da sé anche troppo presto, e a esser di malumore. Vergognatevi!
EVANS: Tonna, sei pazza? non ne capisci niente tei casi, tei numeri, tei generi? Seiproprio la più sciocca cristiana che immaginar si possa!
SIGNORA PAGE (a Monna Fapresto): Fammi il favore, sta' zitta.
EVANS: E ora, Guglielmo, fammi esempi tella teclinazione tei pronomi.
GUGLIELMO: Me ne son proprio scordato.
EVANS: E': "qui, quae, quot": se scorti i tuoi "qui", i tuoi "quae", e i tuoi "quot", sarai sculacciato... E ora fattene pure a giocare!
SIGNORA PAGE: Ne sa più di quanto credevo.
EVANS: Ha una memoria sfeglia... Arrifeterci, signora Page.
(Se ne va per la sua strada)
SIGNORA PAGE: Addio, caro don Ugo. Vattene a casa, ragazzo. Via, si fa troppo tardi.
(Esce con Monna Fapresto)
FALSTAFF: Signora Ford, il vostro rammarico ha cancellato ogni traccia di quanto soffersi. Vedo che il vostro amore è sentito veramente, e lo ricambio in tutto e per tutto, a capello. E non solo per ciò che riguarda i semplici offici d'amore; ma in ogni accompagnamento, complemento e cerimonia... Ditemi però: siete voi ben sicura, circa il vostro marito, ora?
SIGNORA FORD: E' a uccellare, mio dolce signore.
SIGNORA PAGE (chiamando da fuori): Comare Ford! Comare!
SIGNORA FORD (aprendo una porta a Falstaff): Presto, passate in quella stanza.
(Falstaff va nella stanza attigua, ma lasciando socchiusa la porta)
(Entra la signora PAGE)
SIGNORA PAGE: Dite un poco, carina, chi è in casa con voi?
SIGNORA FORD: La servitù, e nessun altro.
SIGNORA PAGE: Assolutamente?
SIGNORA FORD: Assolutamente! (sottovoce) Ma parlate più forte.
SIGNORA PAGE: Sono proprio contenta che non ci sia nessun altro.
SIGNORA FORD: E perché?
SIGNORA PAGE: Perché vostro marito è stato ripreso dai soliti furori.
Ed è laggiù che dà in escandescenze col marito mio: bestemmia contro tutta la gente sposata, e maledice tutte le figlie di Eva, senza eccezione. Si picchia in fronte le mani strillando: "Spuntate, spuntate!". Le cose più pazze che io abbia mai visto, diventano rose e viole in confronto alla sua frenesia. Sono proprio contenta che non sia qui, quel grasso signore.
SIGNORA FORD: Ma perché? Parla forse di lui?
SIGNORA PAGE: Parla soltanto di lui! E protesta che l'altra volta glielo fecero scappare dentro una cesta. Dice che il cavaliere è qui; ed ha fatto interrompere la caccia a mio marito ed agli altri, per verificare di nuovo il suo sospetto. Sono ben lieta che non ci sia il vostro cavaliere e vostro marito ora dovrà convincersi della propria follia...
SIGNORA FORD: Signora Page, quanto è ancora lontano?
SIGNORA PAGE: Qui in fondo alla strada. Starà pochi minuti.
SIGNORA FORD: Sono rovinata! Il cavaliere è qui!
SIGNORA PAGE: Allora siete rovinata davvero, e lui è un uomo morto...
Ma che razza di donna!... Mandatelo via, mandatelo via: meglio uno scandalo che un assassinio.
(Falstaff fa capolino alla porta)
SIGNORA FORD: Di dove può scappare? Dove posso cacciarlo? Rimetterlo nella cesta un'altra volta?
FALSTAFF (entrando precipitosamente): Ah, no davvero! In cesta, io non ci torno. Non posso uscire avanti che arrivi?
SIGNORA PAGE: Ahimè! Tre fratelli di mastro Ford, con le loro pistole, stanno di guardia alle porte perché non esca nessuno. Se non ci fosse stato questo... Ma, insomma, cosa ci fate qui?
FALSTAFF: Che volete che faccia!... Mi arrampicherò su per la cappa del camino.
SIGNORA PAGE: Vanno sempre lì a scaricare gli schioppi. Piuttosto, nascondetevi nel forno.
FALSTAFF: E dov'è?
SIGNORA FORD: Inutile; va a guardarci di certo. Non c'è armadio, cassone, canterano, baule, pozzo o cantina, di cui egli non abbia un memoriale, e che non vada a ispezionare con l'elenco alla mano. In casa mia non c'è dove nascondervi.
FALSTAFF (esasperato): Allora esco!
SIGNORA PAGE: Se andate fuori così come siete, vi fanno la pelle!
L'unica sarebbe travestirsi!
SIGNORA FORD: Ma come si fa a travestirlo?
SIGNORA PAGE: Questo non lo so davvero. Non esiste un vestito da donna così ampio; altrimenti, con una scuffia, una sciarpa e un fisciù, poteva passare.
FALSTAFF: Da brave: inventate qualcosa! Qualsiasi espediente, purché non succeda un macello.
SIGNORA FORD: La zia della cameriera, quella grassona di Brainford, ha lasciato su (accennando al piano di sopra) un vestito.
SIGNORA PAGE: Credo che gli starà: è grassa come lui.
SIGNORA FORD: E c'è anche il cappello con le gale, e una sciarpa.
Correte, su, cavaliere! Intanto, con la signora Page, cercheremo qualcosa da nascondervi il viso.
SIGNORA PAGE: Presto, presto... veniamo su subito. Cominciate a infilarvi la veste.
(Falstaff corre al piano di sopra)
SIGNORA FORD: Non so cosa darei perché mio marito lo incontrasse così mascherato. Non la può soffrire, quella vecchia di Brainford: giura e spergiura ch'è una strega; le ha proibito di farsi vedere, e ha persino minacciato di picchiarla.
SIGNORA PAGE: Che il cielo lo guidi sotto il bastone di vostro marito... e che poi il diavolo s'incarichi lui di guidare il bastone.
SIGNORA FORD: Ma sta arrivando sul serio?
SIGNORA PAGE: Purtroppo. E discorre, discorre della cesta: chi sa mai da chi l'ha risaputo.
SIGNORA FORD: Cercheremo di scoprirlo: ora chiamo i miei uomini che la riportino via, facendo in modo d'incontrarsi sull'uscio con mio marito come ieri.
SIGNORA PAGE: Ormai sarà qui! Andiamo a vestire quell'altro da strega.
SIGNORA FORD: Ma prima voglio spiegare ai miei servi che cosa debbono fare con la cesta. Salite, e porterò subito il fisciù per camuffargli la testa.
SIGNORA PAGE: Mascalzone! Non lo potremo mai beffare abbastanza.
(Esce la signora Ford. Mentre la signora Page sale le scale dice:) Qui si dimostra che le buone mogli concilian l'onestà con l'esser liete.
Come sta scritto negli antichi fogli:
i ponti li rovinan le acque chete.
(Rientra la Signora FORD, seguita da due Servitori)
SIGNORA FORD: Avanti... caricatevi il cesto in ispalla. Il padrone è quasi alla porta. Se vuol vedere cosa c'è nel cesto, obbeditegli.
Presto! andate.
(La signora Ford prende roba da un armadio, e sale al piano superiore)
PRIMO SERVITORE:. Su, oh, forza!
SECONDO SERVITORE: Preghiamo il cielo che, anche questa volta, non sia pieno di cavaliere!
PRIMO SERVITORE: Speriamo. Preferirei fosse piombo! (Sollevano il cesto)
(Si apre la porta che dà sulla strada, ed entrano FORD, PAGE, SOMMARIO, CAIO e Don UGO EVANS)
FORD: Se poi la cosa si dimostra vera, mastro Page, come vi rimangerete le vostre canzonature? (Vede i Servitori col cesto) Giù quel cesto, furfante! E si chiami subito mia moglie! Amore nel cesto!.
Ruffiani! E' una vera congiura contro di me; un complotto, una combriccola, una cospirazione. (Soffoca dalla collera) Ma ora il diavolo sarà smascherato. E mia moglie? Avanti... fatti avanti! Guarda i bei panni che mandi a lavare!
PAGE: Questo passa ogni limite. Ma Ford! Non vi si può lasciare così scatenato. Bisognerà legarvi.
EVANS: E' pazzo. E' peggio t'un cane con la rappia!
SOMMARIO: Cosi non va, mastro Ford... non va davvero.
FORD: Lo dico anch'io, che non va. (La signora è in cima alle scale; Ford l'indica col dito) Avanti, avanti, signora Ford: donna onesta, moglie modesta, creatura di virtù, vittima del marito geloso. (La signora Ford è scesa, e si è messa davanti al marito) E' dunque vero:
tutti i miei sospetti sono sballati!
SIGNORA FORD (calmissima): Se è della mia onestà che tu sospetti, sa il cielo che sospetti il falso.
FORD: Detto bene, faccia di bronzo! Continua così! Esci fuori, briccone!
(Comincia a buttare i panni dal cesto)
PAGE: E' troppo!
SIGNORA FORD: Non ti vergogni? Lascia stare quei panni.
FORD: Ora ti faccio vedere!
EVANS: Tutto questo è tissennato! Cosa state costì a prancicare i festiti ti fostra moglie? (Agli altri) Fenite via, antiamocene!
FORD (ai Servitori): Vuotate il cesto, vi ho detto!
SIGNORA FORD: Ma perché, via? Cos'hai?
FORD: Mastro Page, quant'è vero che io sono io, ieri qualcuno fu fatto uscire dentro a questa cesta. Perché non può esserci anche oggi? So che è qui in casa, lo so di sicuro; le mie informazioni sono esatte, la mia gelosia ha buone ragioni; e dunque vuotiamo senz'altro questi panni.
(Page aiuta a vuotare il cesto)
SIGNORA FORD: Se c'è un uomo lì dentro schiacciatelo come una pulce!
PAGE: Qui non c'è nessuno.
(Rovescia la cesta vuota)
SOMMARIO: In fede, signor Ford, ciò non è bello! Vi fate gran torto.
EVANS: Mastro Fort, fareste meglio a pregare, e a non tar retta alle fostre immaginazioni: ciò è gelosia.
FORD: Non è qui quello che cerco.
PAGE: Sfido! Egli non esiste che nel vostro cervello!
FORD: Aiutatemi ancora a cercare per casa; e se non lo troviamo, non abbiate riguardi pel mio eccesso: ch'io diventi la vostra facezia per sempre. Dican pure: "E' geloso come Ford che cercava in un guscio di noce l'amante della moglie!". Datemi questa soddisfazione. Cercate con me un'ultima volta.
SIGNORA FORD: Signora Page! Scendete, voi e la vecchia, mio marito vuol salire in camera.
FORD: La vecchia? Che vecchia?
SIGNORA FORD: La zia della cameriera; quella donna di Brainford.
FORD: Quella strega!... quella cialtrona, quella vecchia impostora! Ma io le avevo proibito di mettere più piede in casa mia. Verrà a portare ambasciate, mi figuro! Come siamo ingenui, noialtri uomini! Chi sa che ti combina, con la scusa di venire a dir la ventura! Armeggia con le magìe, gli incantesimi, le figure astrologiche ed altri artifici dello stesso genere al di là della nostra capacità; e che cosa ne sappiamo di quello che c'è sotto? (Prende un bastone, appeso a una parete) Vieni giù, strega, megera. Vieni giù t'ho detto...
SIGNORA FORD: Calmati, mio buon marito; e voi, signori, cercate che non faccia del male a quella disgraziata.
(Condotto dalla signora PAGE, appare FALSTAFF, in vesti femminili; esita, quando si trova in fondo alle scale)
SIGNORA PAGE: Venite, mammina, venite; datemi la mano...
FORD: Gliela do io, la mano! (Falstaff scappa, Ford lo rincorre bastonandolo) Via di qui, strega, megera, stracciona... carogna rognosa... Via di qui... Te le do io le arti magiche! Te la do io la fortuna!
(Falstaff fugge nella via)
SIGNORA PAGE: Ma non vi vergognate? Credo che l'avete mezza ammazzata, quella poverina!
SIGNORA FORD: L'ammazzerà davvero! Bella prodezza!
FORD: Quella strega, alla forca!
(Sale le scale)
EVANS: Eppure, creto anch'io che teppa essere taffero una strega. Non mi piacciono le tonne parpute; e sotto la sciarpa, ho fisto che questa afefa un parpone!...
FORD (dal ballatoio): Amici, salite? Ve lo chiedo per piacere!...
Veniamo alle conclusioni della mia gelosia! Se anche questa volta ho gettato l'allarme inutilmente, non datemi ascolto mai più, quando abbaio di nuovo.
PAGE: Facciamo anche questo; andiamo.
(Salgono le scale per seguire Ford)
SIGNORA PAGE: Dio mio, l'ha picchiato in modo pietoso!
SIGNORA FORD: Non direi pietoso, perdiana! Spietato, piuttosto.
SIGNORA PAGE: Vorrei che quel bastone fosse benedetto e appeso all'altare: ha reso un servigio sacrosanto!
SIGNORA FORD: Che ne dite? Col privilegio del nostro sesso, e con l'appoggio della buona coscienza, non potremmo perseguitarlo con qualche altra vendetta?
SIGNORA PAGE: La libidine, ormai, dovrebbe essergli passata dallo spavento! E a meno che il demonio non lo tenga addirittura pei capelli, credo che non vorrà più molestarci.
SIGNORA FORD: Ma ai nostri sposi si deve raccontare il trattamento che gli abbiamo fatto?
SIGNORA PAGE: Di certo; non fosse che a dissipare ogni ubbia dalla mente di vostro marito... E se poi giudicassero che quel povero galante dl grassone debba essere tormentato ancora un po', ce ne incaricheremo di nuovo noi due.
SIGNORA FORD: Vorranno, scommetto, che sia pubblicamente svergognato.
Credo anch'io che la farsa non sarebbe completa, finché non lo svergogneremo pubblicamente.
SIGNORA PAGE: E allora pensiamo che cosa si potrebbe fare! Battiamo il ferro finché è caldo!
BARDOLFO: Messere, i tedeschi desiderano tre dei vostri cavalli: il duca in persona verrà domani a corte, ed essi gli vanno incontro.
OSTE: Chi sarà mai questo duca che arriva così segretamente? Non ho sentito dir nulla a corte. Vorrei parlare con quei signori; parlano la nostra lingua?
BARDOLFO: Sì, signore, ve li vado a chiamare.
OSTE: Avranno i miei cavalli; ma li farò pagare, e salato! Hanno avuto la mia casa ai loro ordini per una settimana; ho mandato via gli altri miei clienti; dovranno sborsare: li condirò io. Venite.
(Escono)
SCENA QUARTA - L'atrio di casa Ford
(PAGE, FORD, le signore PAGE e FORD e don UGO EVANS stanno conversando)
EVANS: Ecco una delle tonne più sagge che io appia mai conosciuto.
PAGE: E così vi mandò queste due lettere al medesimo tempo!
SIGNORA PAGE: A distanza d'un quarto d'ora.
FORD (inginocchiandosi): Perdonami, moglie. D'ora innanzi fa' quello che vuoi: potrò sospettare che il sole sia gelido, ma non sospetterò più te di leggerezza. D'ora innanzi, quest'eretico avrà fede assoluta nel tuo onore.
PAGE: Bene... bene... ma basta! Non esagerate nell'umiliarvi, come prima nell'accusare. Cerchiamo invece di prolungare questa beffa. Che le nostre mogli, per darci un pubblico divertimento, fissino un appuntamento al vecchio grassone, in luogo ove noi possiamo sorprenderlo, e dargli il suo avere.
FORD: La cosa migliore è di fare come esse han proposto.
PAGE: Di mandargli a dire che lo aspettano a mezzanotte nel Parco?...
Figuratevi! Si guarderà bene dall'andarci.
EVANS: M'afete tetto che fu già puttato nel fiume. E quanto era festito ta fecchia, l'afete pastonato ti santa ragione. Ritengo che ormai appia paura, e non ci fata. La sua carne è stata punita, e i tesiteri saranno spenti.
PAGE: Lo credo anch'io.
SIGNORA PAGE: Stabilite voi cosa gli dovete fare, quando sarà nel Parco. A portarcelo ci pensiamo noialtre!
SIGNORA FORD: E' antica leggenda che Herne il cacciatore, un tempo guardiacaccia nella selva di Windsor, quand'è inverno, sulla mezzanotte, con due enormi corna in testa, si aggira intorno a una quercia. La sua apparizione fa disseccare le piante, porta infermità al bestiame, e tramuta in sangue il latte delle vacche... Camminando, il fantasma trascina una catena, con fragore tetro ed orrendo...
Avrete certo sentito parlare di questo fantasma, e sapete bene che, ingenui e superstiziosi com'erano, i nostri vecchi ci credettero sempre, e dettero sempre per vera la storia di Herne.
PAGE: Ancora oggi sono molti che, nel cuore della notte, non passano senza sgomento presso la quercia di Herne il cacciatore. Ma con tutto ciò?
SIGNORA FORD: Ecco la nostra idea. Falstaff travestito da Herne, con gran corna sul capo, dovrà aspettarci alla quercia...
PAGE: Ammettiamo pure che ci venga, e così camuffato. E quando è lì, che ne fate? Qual è il vostro disegno?
SIGNORA PAGE: Ci abbiamo già pensato. Appena noi due e Falstaff ci saremo incontrati, Annina, mia figliuola, mio figlio e tre o quattro giovinetti come loro, vestiti di bianco e di verde, chi da folletto, chi da fata e chi da diavolino, con corone di candelini in testa e sonagli in mano, salteranno fuori tutt'a un tratto da uno di quei fossi di taglialegna, e correranno verso di noi, gridando e cantando.
Noi due fuggiremo impaurite, mentre essi circondano lui. E, come si dice che facciano le fate, daranno pizzicotti a quel sozzo cavaliere.
Gli domanderanno perché e come si trovi in quel luogo, nell'ora del convegno delle fate; e come ardisca, su quei sentieri consacrati, presentarsi in un costume tanto profano.
SIGNORA FORD: Finché non dica la verità, i finti folletti lo punzecchieranno e lo bruciacchieranno con le loro fiaccole.
SIGNORA PAGE: E quando infine egli avrà confessato, ci faremo tutti conoscere, gli toglieremo le corna, e sempre sbeffeggiandolo lo scorteremo fino a Windsor.
FORD: Bisognerà che i ragazzi sappiano bene la parte; se no va tutto all'aria.
EVANS: Quanto ai ragazzi, lasciate fare a me. Io mi foglio mascherare ta satiro, per arrostire un po' il cafaliere con la mia torcia.
FORD: Eccellente! Corro subito a comprare le maschere!
SIGNORA PAGE: La mia Anna sarà regina delle fate, con un bell'abito tutto bianco.
PAGE: Compro io la seta per il suo vestito! (A parte) E così travestita, Mingherlino se la porterà via, e andranno a sposarsi alla chiesa di Eton... (Forte) Senz'altro: mandate a Falstaff la vostra ambasciata.
FORD (a Page): Io vo a fargli visita in persona di Brook, e mi fo raccontare i suoi progetti. Vedrete che ci viene.
SIGNORA PAGE: Non temete di questo. Su, svelti. Via a comprare gli ornamenti e tutto il necessario per le nostre fatine.
EVANS: Antiamo. Sarà tifertentissimo; e alla fine si tratta ti scherzo a fin ti pene.
(Escono Page, Ford ed Evans)
SIGNORA PAGE: Signora Ford, voi spedite la Fapresto dal cavalier Falstaff, a fargli l'ambasciata. (Esce la signora Ford) Io andrò dal dottor Caio. Lui solo ha il mio consenso per sposare Annina Page. Quel Mingherlino, sarà un riccone quanto vuole, ma è un tale imbecille! E mio marito che va a fissarsi proprio su lui!... Ma anche il dottore ha quattrini. E a corte, ha amicizie potenti. La sposerà lui, venissero pure a chiederla ventimila partiti migliori.
(Esce)
SCENA QUINTA - Stanza alla Locanda della Giarrettiera
(SIMPLICIO da una parte aspetta in piedi. Entra l'Oste)
OSTE: Zoticone, che vai tu cercando? Pellaccia! Parla, bofonchia, ragiona... Sii breve, conciso, svelto, spiccio.
SIMPLICIO: Signorsì! Vengo da parte del signor Mingherlino, per parlare col cavalier Falstaff.
OSTE (indicando una delle porte che si aprono sul ballatoio): Quella lassù è la sua camera, la sua casa, la sua magione, il castello, con letto di parata e lettuccio da campo. Torno torno, v'è la storia del Figliol Prodigo, pitturata ora di fresco. Sali su, bussa, chiama. Ti risponderà come un antropofago! Vai su, bussa, t'ho detto!
SIMPLICIO: E' salita in camera una vecchia... una grassa... Se permettete, aspetto che scenda; perché, ad esser sincero, sono venuto qui per parlare con lei.
OSTE: Una grassa? Che, per carità, il cavaliere non venga svaligiato!
Meglio chiamarlo. Cavaliere, mio sopraffino cavaliere. Dai fiato ai tuoi militari polmoni. Rispondi! Sei in camera? Il tuo oste, il tuo Pilade t'appella.
FALSTAFF (appare sull'uscio di camera): Che volete, oste mio?
OSTE: C'è questo tartaro boemo, e aspetta che scenda la tua grassa damigella. Mandala giù, cavaliere sopraffino, mandala giù. Le mie camere sono illibate. Delle tresche da me? O non ti vergogni?
FALSTAFF (scendendo): Un minuto fa, c'era infatti una certa grassona; ma ormai è andata via.
SIMPLICIO: E non era per caso l'indovina di Brainford?
FALSTAFF: Proprio lei, in carne e ossa. Che te ne volevi fare, nicchio d'ostrica vuoto?
SIMPLICIO: Il mio padrone, il signor Mingherlino, l'ha vista passare per istrada, e mi ha detto di correrle appresso, a domandarle se un tale Nym, che gli rubò una catena d'oro, ha questa catena, o se invece...
FALSTAFF: Con la vecchia, se n'è parlato ora.
SIMPLICIO: E che ha detto, per piacere?
FALSTAFF: Ha detto che quello che rubò la catena al signor Mingherlino, è la stessa identica persona che glie l'ha furata.
SIMPLICIO: Mi dispiace di non aver discorso con lei in persona. Avevo altre cose da chiederle, sempre da parte del signor Mingherlino.
FALSTAFF: E che cose? Butta fuori.
OSTE: Su, forza!
SIMPLICIO (riservato): Non posso, non posso farne mistero!
OSTE (minaccioso): Fanne mistero, per Dio, o sei un uomo morto!
SIMPLICIO: E perché, mio signore? Non si tratta che della signorina Anna Page, e di sapere se fortuna vuole che il mio padrone l'abbia o non l'abbia.
FALSTAFF: E' la sua fortuna.
SIMPLICIO: Ma quale?
FALSTAFF: D'averla o non averla. Vai pure. Digli che la donna m'ha risposto così.
SIMPLICIO: Posso prendermi licenza di riferir tutto?
FALSTAFF: Ma sì, tincone, licenziati!
SIMPLICIO: Vi ringrazio di cuore. Farò felice il mio padrone, con queste informazioni.
(Esce)
OSTE: Sei un gran sapientone, caro messer Falstaff! E c'è stata davvero l'indovina?
FALSTAFF: Ma sì che c'è stata, oste mio! Mi ha insegnato più cose di quante ne avessi imparate in vita mia. E non ho nemmeno pagato un centesimo; anzi, sono stato pagato io per la lezione!
(Entra BARDOLFO, inzaccherato e affannato)
BARDOLFO: Misericordia, messere! Truffa, truffa, bella e buona!
OSTE: Dove sono i miei cavalli? Dammene buone notizie, vassallo.
BARDOLFO: Scappati coi truffatori... perché avevo appena oltrepassato Eton, che mi buttaron giù dalla groppa d'uno di essi in un pantano, dettero di sprone, e via... come tre diavoli di tedeschi, tre dottori Faust.
OSTE: Sono semplicemente andati incontro al duca, marrano. Non dire che sono scappati; i tedeschi son gente onesta.
(Don UGO EVANS apre la porta e guarda intorno)
EVANS: Tof'è il mio oste?
OSTE: Che c'è, messere?
EVANS: Tenete t'occhio le fostre poste: un amico mio fenuto in città mi tice che ci son tre falsi teteschi che han truffato ti cafalli e ti tenaro tutti i locantieri ti Reating, ti Maitenheat, ti Coleprook...
Fe lo tico pel fostro pene, fetete! Foi siete saggio, pieno ti frizzi e ti arguzie... e non sta pene che siate truffato! Attio!
(Chiude la porta. Il dottor CAIO apre la porta e guarda)
CAIO: Dov'è il mio oste della Giarrettiera?
OSTE: Qui, signor dottore, in perplessità e in dubbioso dilemma.
CAIO: Non so quel che succede; ma mi si disce che state fascendo grandi preparativi per un duca di Germania; in fede mia, non sc'è nessun duca che la corte stia aspettando, ve lo dico pel vostro bene.
Addio!
(Chiude la porta)
OSTE: Al ladro, al ladro, furfante! corri... Soccorretemi, cavaliere.
Son rovinato... Fuggi, corri... Al ladro, al ladro! Son rovinato!
(Esce correndo, seguito da Bardolfo)
FALSTAFF: Vorrei che il mondo intero fosse imbecherato, perché io sono stato imbecherato e picchiato per giunta... Se arriva agli orecchi della corte la storia: come sono stato metamorfosato, e come, nelle mie metamorfosi, sono stato inzuppato e bastonato, mi faranno struggere il sego a goccia a goccia, per dare la sugna agli stivaloni da pescatori. Mi perseguiteranno coi loro lazzi, da ridurmi peggio d'una pera risecchita per l'umiliazione... Non me n'è andata una bene da quando barai alla primiera. E mi restasse un filo di fiato da poter pregare, quasi quasi mi darei alla penitenza...
(Entra MONNA FAPRESTO)
E voi da che parte venite?
FAPRESTO: Dalle due parti, c'è bisogno di dirlo?
FALSTAFF: Che il diavolo se ne prenda una, e la versiera si prenda quell'altra; e così sono accomodate tutt'e due. M'hanno procurato più guai, che non possa sopportare la infame fragilità della natura umana.
FAPRESTO: Come se loro non avessero sofferto! Posso garantirlo io; una specialmente, la signora Ford, poverella! Ne ha toccate tante, ch'è tutta lividure nere e paonazze. Non le è rimasto un pezzettino di bianco in tutta la pelle.
FALSTAFF: Proprio a me vieni a parlare di neri e di paonazzi? A forza di bastonate, m'hanno fatto diventare dei colori dell'arcobaleno! E miracolo che poi non sono stato arrestato come la strega di Brainford.
Se la mia straordinaria presenza di spirito, e la mia perfezione nel contraffare l'andatura di una vecchierella, non mi avessero scampato, quel furfante di sbirro mi avrebbe ficcato nei ceppi, nei volgari ceppi, come strega.
FAPRESTO: Signore mio, ho da parlarvi: andiamo su, in camera vostra.
Vi dirò come stanno le cose, e sono sicura che sarete contento. Eccovi intanto, una lettera dalla quale potrete cominciare ad intendere.
Poveri cuori innamorati: quanta fatica per mettervi insieme! Certo che uno di voi deve avere sull'anima dei peccatacci, per essere perseguitati a questa maniera.
FALSTAFF: Andiamo, venite su in camera.
(Salgono insieme)
SCENA SESTA - La stessa
(L'Oste entra con FENTON)
OSTE: Lasciatemi in pace, signor Fenton; ne ho già tante pel capo:
voglio piantar tutto.
FENTON: Invece, dovete ascoltarmi ed aiutarmi. Parola di gentiluomo, che vi darò cento sterline d'oro per voi, più quello che avete perso.
OSTE: E sentiamo! Voi sapete che, almeno, so tenere un segreto.
FENTON: Più volte vi parlai del mio tenero amore per la bella Anna Page. Amore corrisposto, quanto è possibile a me di desiderare e a lei di dimostrare. Ho qui una sua lettera che vi stupirà. E la burla di cui lì si dice, è così strettamente legata a quanto ho da proporvi, che è impossibile parlare d'una cosa senza l'altra. Il grosso Falstaff v'ha una gran parte; l'idea della beffa ve la esporrò per disteso.
State bene a sentire, caro oste. (Parla scorrendo la lettera) Stanotte, tra mezzanotte e l'una, la mia Anna diletta si troverà vestita da regina delle fate, presso la quercia di Herne. A qual fine, lo sentirete qui. In codesto travestimento, mentre ci sarà un gran tramestìo per altre burle, il padre le ha ordinato di fuggire con Mingherlino, e andare a Eton immediatamente a sposarsi con lui. Annina ha finto di accettare... D'altro canto la madre, che, avversa a tale matrimonio, ha sempre favorito il dottor Caio, ha parimenti disposto di far compiere il ratto al dottore, che mentre altri spassi occupano l'attenzione di tutti, dovrebbe correre con Anna alla parrocchia, dove si troverà un prete per sposarli subito. Annina, fingendosi docile al disegno della madre, ha dato la sua promessa anche al dottore. E veniamo al dunque. Il padre ha disposto che Annina si vesta di bianco.
Mingherlino la riconoscerà al colore del vestito e al momento buono le si accosterà, la piglierà per mano e la porterà via. Ma la madre, per meglio indicarla al dottore - poiché tutti devono essere mascherati - ha deciso che la ragazza indossi una elegante veste verde non attillata, con nastri svolazzanti intorno al capo. Quando sarà il momento, il dottor Caio le darà un pizzico alla mano; e, a questo segnale, la ragazza ha promesso di seguirlo.
OSTE: Ma insomma, Annina, chi vuole ingannare: il padre o la madre?
FENTON: Tutti e due, mio caro oste, e fuggire con me. Manca soltanto che voi impegnate il vicario ad aspettarci in chiesa, fra mezzanotte e l'una, per unirci nel sacro vincolo del matrimonio.
OSTE: Voi fate la parte vostra; ed io corro dal vicario. Pensate a portare la ragazza; e preti non ve ne mancherà.
FENTON: Ve ne avrò gratitudine eterna: ma voglio che ne abbiate un segno fin d'ora.
(Fenton dà all'Oste una borsa piena di denaro; ed escono insieme parlando)
ATTO QUINTO
FALSTAFF: Vi prego: basta con le chiacchiere, andate... Sarò di parola. E' questa la terza volta, ed io spero che il dispari mi porti bene. Ma svelta! Dicono che i numeri dispari hanno un influsso soprannaturale sulla nascita, la morte, e la fortuna... andate.
FAPRESTO: Vi procurerò la catena, e farò il possibile per trovarvi un bel paio di corna.
FALSTAFF: Via, via; che il tempo passa... Testa alta e gamba leggera.
(Esce MONNA FAPRESTO ed entra FORD travestito da Brook, come nel Secondo Atto)
Giusto voi! Caro Brook: o l'affare riesce questa sera, o non riesce più. Trovatevi nel Parco verso mezzanotte, alla quercia di Herne. Ne vedrete delle belle.
FORD: Ma non andaste ieri all'appuntamento del quale mi avevate parlato?
FALSTAFF: Ci andai, così come ora mi vedete: come un povero vecchio; e venni via ch'ero trasformato in una vecchierella. Quel vigliacco di Ford, suo marito, ha in corpo il peggior diavolo di gelosia che abbia mai posseduto un furioso... Vi confesso che mi bastonò quanto volle:
intendiamoci, sotto quelle mie spoglie di donna. Perché come uomo, caro Brook, non ho paura neanche di Golia armato d'un subbio da tessitore. Che so, la vita è una spola... Ora ho fretta:
accompagnatemi, e vi racconto ogni cosa. (Mettendosi il mantello) Dal tempo che strappavo alle oche le penne e facevo forca a scuola e giocavo a trottola, non sapevo più cosa volesse dire toccarne a questa maniera. (Vicino alla porta) Passate. Di quel Ford dovrei dirvi cose incredibili. Ma stanotte mi vendico e consegno sua moglie nelle mani vostre. (Esce) Venite. Si preparano, caro Brook, cose grandi. (Ford lo segue sorridendo) Venite.
PAGE: Avanti avanti. Ci nasconderemo nel fosso del castello, e lì resteremo, finché non appaiono le luci delle fate. Mingherlino, figliuolo mio, vi raccomando la mia bambina.
MINGHERLINO: Per Bacco! Abbiamo parlato, ci siamo combinati una parola d'ordine. Io vo da quella ch'è vestita di bianco, e dirò: "Zitti!".
Lei risponde: "Buci!". Così siamo sicuri di non sbagliarci.
SOMMARIO: Benissimo: ma che bisogno c'era di "zitti" e di "buci"? La riconoscerai bene dal vestito bianco. Sono sonate le dieci.
PAGE: Che notte scura! Le luci e i folletti ci staranno a pennello...
Che il cielo dia buon esito a questa burla. Fuorché il diavolo, nessuno di noi ha intenzioni cattive; e il diavolo lo riconosceremo dalle sue corna. Andiamo: seguitemi.
(Vanno al Parco)
SIGNORA PAGE: Siamo intesi, dottore: la mia figliuola è vestita di verde. Quando sarà il momento giusto, la pigliate per mano e correte con lei alla parrocchia; ma fate più svelti che è possibile. Voi, precedeteci nel Parco; noi due dobbiamo venirci insieme.
CAIO: So quel che debbo fare: "Adieu".
(Si avvia al Parco)
SIGNORA PAGE: Buona fortuna! il divertimento di mio marito a vedere Falstaff beffato non compenserà la sua collera per il matrimonio di Anna col dottor Caio. Pazienza! Meglio un po' d'arrabbiatura che un lungo crepacuore!
SIGNORA FORD: Ed ora dove saranno Annina con le fate? E don Ugo travestito da satiro?
SIGNORA PAGE: Son tutti rimpiattati in un fosso, vicino alla quercia di Herne, con le torce schermate. Le agiteranno nella notte al momento preciso che noi ci incontreremo con Falstaff.
SIGNORA FORD: Chi sa la paura che gli piglia!
SIGNORA PAGE: O con la paura o senza paura, dovrà sempre restare beffato.
SIGNORA FORD: Certo che glie ne stiamo facendo una grossa.
SIGNORA PAGE: Non c'è scrupolo a ingannare tali esseri abietti e la loro libidine.
SIGNORA FORD: E' quasi l'ora. Alla quercia, alla quercia!
(Entrano nel Parco)
EVANS: Sfelte, sfelte, fatine! E non fi scortate la parte.
Soprattutto, mi raccomanto, niente paura. Nascontiamoci nel fosso, e al segnale che tarò io, fate come f'ho tetto... Trottate, trottate...
(Entrano nel Parco)
SCENA QUINTA - Sotto una enorme quercia nel Parco di Windsor
(FALSTAFF è travestito da Herne il cacciatore, con una pelle di cervo e relative corna)
FALSTAFF: L'orologio del castello ha battuto la mezzanotte. Il momento si avvicina... Mi assistano gli dèi dal sangue focoso. Tu, Giove, non dimenticare che per la tua Europa diventasti toro..., così amore t'impose le corna... Potenza d'amore che or muti gli uomini in bestie, or le bestie in uomini. E tu fosti, o gran Giove, anche un cigno, per amore di Leda. Onnipotenza d'amore! quanto poco c'è mancato che un dio prendesse le fattezze d'un'oca! Una prima volta peccasti in aspetto di quadrupede: peccato, o mio Giove, davvero bestiale. L'altra volta in sembianza di volatile; e fu un peccato volubile. Se gli dèi hanno i lombi pruriginosi, che cosa dovremo fare noi, miseri mortali? Quanto a me: eccomi cervo di Windsor! Il più grasso, scommetto, di tutta la foresta. O Giove, raffresca la mia fregola; o finirà che mi si strugge addosso tutto il sego. Ma chi è? La mia cerbiatta?
(Entra la signora FORD seguita a qualche passo dalla signora PAGE)
SIGNORA FORD: Sir Giovanni!... Sei qui, cervo mio? Mio cervo maschio?
FALSTAFF: O cerbiattina dalla coda nera! Ora il cielo può piovere tartufi, può tuonare canzonette lascive, può grandinare confetti profumati, nevicare eringi, può rovesciare tutta una tempesta d'amorose provocazioni. Io mi rifugio qui!
(L'abbraccia)
SIGNORA FORD: Caro, è con me la signora Page!
FALSTAFF: Dividetemi fra voi come un capretto di frodo: a ciascuna una coscia. Per me terrò il costato. Serbo la schiena al guardiano dl questo parco, e lascio le corna in eredità ai vostri mariti. Non sono io un vero capocaccia? Non parlo come Herne il cacciatore? Amore, finalmente, si comporta da ragazzo onesto, e comincia a darmi qualche soddisfazione... Quant'è vero che sono uno spirito leale, siate le benvenute.
(Si sente un suono di corni)
SIGNORA PAGE: Misericordia! Cos'è questo rumore?
SIGNORA FORD: Che il cielo ci perdoni i nostri peccati!
FALSTAFF: Cosa può essere?
SIGNORA PAGE e SIGNORA FORD: Fuggiamo, fuggiamo.
(Le due donne scappano)
FALSTAFF: Sembra che il diavolo non voglia ch'io pecchi e mi danni, per paura che il mio lardo struggendosi gli mandi a fuoco tutto l'inferno. Altrimenti non si metterebbe sempre di mezzo a questa maniera!
(Un improvviso sfavillare di luci. Guidate dal satiro EVANS, che reca una torcia accesa, cantando e danzando appaiono le fate, e si accostano a FALSTAFF, portando in testa corone luminose ed agitando raganelle)
REGINA DELLE FATE:
O fate verdi e candide, nere e grige, che a frotte danzate al chiar di luna e all'ombra della notte, voi eredi orfanelle d'un'immutabil sorte, il vostro ufficio e il vostro dovere ecco vi chiama...
Tu, araldo Folletto, intona il tuo proclama.
PISTOLA:
Elfi, ascoltate i vostri nomi; il vostro concento, aerei gingilli, tralasciate un momento.
(Tutti tacciono)
Avanti, Grillo; in gamba. Perlustra i focolari, e dove trovi i tizzi scoperti sugli alari, e di cenere e untume le pietre ingombre e sordide, pinza serve e massaie, finché divengan livide, color dell'uva orsina. La nostra bella fata, non vuole veder gente oziosa e sfaticata.
FALSTAFF: Sono fate. A parlarci è pericolo di morte. Io serro gli occhi, e giù mi raggomitolo. Nessun uomo deve spiar quello che fanno.
EVANS:
E tu, Tonchio! Se trofi qualche puona fanciulla che torma tolcemente, come quant'era in culla, perché le sue preghiere tre folte ha recitato, la fantasia rallegrale con un sogno incantato.
Ma quelle che assopentosi non pensano alle colpe, pinza lor praccia, gampe, spalle, anche, schiena e polpe.
REGINA DELLE FATE:
All'opra, miei folletti!
Frugate dentro e fuori il Parco e il gran Castello.
D'ogni buona ventura, d'ogni auspicio più bello, spargete i penetrali della dimora eccelsa.
Fino al dì del Giudizio da niun sia manomessa, degna del castellano, e il castellano d'essa.
Ogni seggio dell'Ordine per voi tutto s'irrori di balsamici succhi e preziosi fiori:
ogni stallo, ogni stemma, ogni cimiero eletto sia di leal blasone per sempre benedetto!
E voi, fate dei prati, canterete la sera danzando un cerchio come quel della Giarrettiera.
E ne resti un'impronta dal verde più spiccato che sia più fresca e folta di tutto quanto il prato; e "honni soit qui mal y pense" in smeraldini ciuffi scrivete, e in fiori rossi, bianchi e turchini; come zaffiri, perle, e ricami affibbiati sotto al curvo ginocchio dei cavalieri armati:
ché dalle fate i fiori son per lettere usati.
Ed ora disperdetevi! Ma la danza solenne fino all'una eseguite sotto la quercia d'Herne.
EVANS:
Su, per mano. Ogni tinta all'altra pen s'alterna.
(Le Fate circondano la quercia)
E fenti grosse lucciole, facendoci lanterna, guitano il nostro pallo festoso. Ma un momento!
Qui sento puzzo d'uomo. Che puzzo d'uomo sento!
FALSTAFF:
Che il cielo m'allontani questo capron selvaggio; or mi fa diventare un pezzo di formaggio.
PISTOLA:
Vil verme! che il malocchio colpì fin dalle fasce!
REGINA DELLE FATE:
Folletti, ognun di voi accorra con la face.
Provategli col fuoco la punta delle dita; s'egli è casto, la fiamma non gli darà ferita, ma s'ei trasale, l'anima dentro la carne è guasta.
PISTOLA:
Alla prova del fuoco!
FALSTAFF:
Ma basta, basta, basta!
EVANS (avvicinando la torcia accesa alle corna di Falstaff):
Profiamo un po' se il fuoco s'attacca a queste rame.
(Falstaff grida e mugola di dolore)
REGINA DELLE FATE:
E' corrotto, è corrotto, sozzo nelle sue brame!
Circondatelo, fate, cantate il vostro scherno, pinzatelo in cadenza, movendo il piede alterno.
(A girotondo intorno a Falstaff, le Fate cantano)
Alla gogna i turpi ardori, alla gogna la lussuria:
la lussuria, triste fuoco che s'annida dentro il cuore.
Salgon alte le sue fiamme, alte, altissime le fiamme:
e il pensiero le rattizza, torturando il peccatore.
Per la sua scelleratezza, o folletti, v'ingegnate a chi meglio lo punzecchia, saltellando intorno, intorno.
Punzecchiatelo, bruciatelo:
finché il lume delle faci e il pallore della luna non si spengano nel giorno.
(Mentre cantano e danzano, le fate pungono FALSTAFF. Intanto, entra il dottor CAIO e rapisce una fata vestita di verde. MINGHERLINO, entrando dalla parte opposta, rapisce una fata vestita di bianco. Infine, arriva FENTON, che rapisce ANNA PAGE. Si sentono echeggiare corni da caccia. Le fate fuggono. FALSTAFF s'alza, sfila la testiera da cervo, e tenta di fuggire, ma si incontra' a faccia a faccia con PAGE, FORD, la signora PAGE e la signora FORD)
PAGE: Non scappate... non scappate... Tanto siete preso. (Falstaff cerca di rinfilarsi la maschera) O volete seguitare a far la parte di Herne il cacciatore?
SIGNORA PAGE (a parte): Vi prego... Non spingiamo più oltre lo scherzo. (Falstaff butta la maschera) Ditemi un po', sir Giovanni: che ne pensate delle comari di Windsor? E a te, marito, non sembra che queste ramificazioni (indica le corna) stiano meglio in un bosco che a casa?
FORD: Signor mio, chi è il cornuto, adesso? Signor Brook: Falstaff è un imbroglione. Imbroglione e cornuto! E son queste le sue corna, signor Brook. Di Ford non ha potuto godersi che la cesta del bucato, il bastone, signor Brook, e venti sterline che dovrà restituire al signor Brook, perché i suoi cavalli sono già sotto sequestro per garanzia, signor Brook.
SIGNORA FORD: Messer Giovanni, non abbiamo avuto fortuna. Non siamo riusciti ad avere un solo convegno! Rinuncio ad avervi per amante, ma resterete sempre il mio cervo!
FALSTAFF: Comincio ad accorgermi di aver fatto la figura del somaro.
FORD: Del somaro e anche del bue; e le prove non mancano.
FALSTAFF: Pensare che non erano fate!... Due o tre volte ho avuto il sospetto che non fossero fate; ma il senso della mia colpevolezza e la violenza della sorpresa mi fecero prender per vero un inganno volgare... A dispetto d'ogni evidenza e d'ogni ragione, le ho credute fate sul serio. Vedi un po' come una testa può smarrirsi, quando è volta al male.
EVANS (rientra, ma senza maschera da satiro): Cafalier Falstaff, serfite il puon Tio, lasciate il peccato, e le fate non fi punzecchieranno più!
FORD: Ben detto. Ugo il satiro!
EVANS (a Ford): Ma anche foi, fate il piacere: smettetela con le fostre gelosie!
FORD: Non sospetterò più mia moglie, fino al giorno che saprete farle bene la corte pronunziando bene la nostra lingua.
FALSTAFF: Come ho lasciato che il cervello mi si risecchisse tanto al sole, da cadere in un tranello così grossolano? Mi son fatto menare pel naso anche da un caprone gallese? Mi metterò in capo un berretto a sonagli di frisato? Ora non ci manca altro che mi vada a traverso un pezzetto di formaggio abbrustolito, e mi strozzi.
EVANS: Il formaggio non è puono a far purro; e la fostra pancia è tutto purro.
FALSTAFF (caricaturando la pronuncia di Evans): Purro e formaggio! Ho campato fino ad oggi, per essere lo zimbello di uno che cucina così la nostra lingua?. Basterebbe questo, per mortificare in tutto il regno i libertini e i nottambuli.
SIGNORA PAGE: Ma andiamo, signor Falstaff! Dato pure che avessimo cacciato la virtù sotto ai piedi, e volessimo buttarci a capofitto sulla via dell'inferno, vi par possibile che il diavolo scegliesse proprio voi per farci cadere?
FORD: Proprio una mortadella! Un sacco di stoppa!
SIGNORA PAGE: Un uomo gonfiato col mantice!
PAGE: Un trippone decrepito e ingrinzito!
FORD: Più maligno di Satana!
PAGE: Povero come Giobbe!
FORD: E perfido come la moglie di Giobbe!
EVANS: Tetito alle fornicazioni e alle taferne, al fin ti Spagna e a ogni altro tino, e all'itromele, e alle ripotte, e alle pestemmie, e alle smargiassate, e alle ciarle e alle ciance?
FALSTAFF: Sono il vostro bersaglio... Non ce la posso... Mi arrendo...
Non so neanche rispondere a questa flanella gallese. Perfino l'ignoranza mi scardassa. Fate di me cosa vi pare.
FORD: Non dubitate. Vi porteremo a Windsor, da un certo Brook, al quale avete scroccato quattrini, e del quale dovevate essere il ruffiano. Fra tutte le mortificazioni che ora soffrite, questa di rendere i quattrini credo sia per voi la più atroce.
PAGE: Cavaliere, non disperatevi. Verrete a casa mia, e berremo insieme qualcosa di caldo. Dovrete ridere alle spalle di mia moglie, come lei ora ride alle spalle vostre. Ditele un po' che il signor Mingherlino ha sposato sua figlia!...
SIGNORA PAGE: C'è chi n dubita! (A parte) E se Anna Page è figliuola mia, a quest'ora s'è già sposata col dottor Caio!
(Si sente MINGHERLINO che chiama da fuori scena)
MINGHERLINO: Ohé! ohé! papà Page!
PAGE: Che succede, figlio mio? Avete fatto?
MINGHERLINO: (entrando in scena): Abbiamo fatto! Neanche l'uomo più furbo del mondo ci capirebbe nulla. Giuoco la testa!
PAGE: Che e successo?
MINGHERLINO: Arrivo a Eton per sposare Anna, e mi trovo fra mano un gran tanghero di ragazzo. Se non si fosse stati in chiesa, l'avrei cazzottato; o lui avrebbe cazzottato me. Che non possa più muovermi se non credevo che fosse Anna. Ed invece era un postiglione.
PAGE: Per l'anima mia! Ma allora ti sei sbagliato!
MINGHERLINO: E me lo venite a dir voi! So ben che mi son sbagliato, se ho preso un giovinotto per una ragazza! Ma se anche ci fossimo sposati, benché fosse vestito da donna, non l'avrei voluto di certo.
PAGE: Colpa tua! te l'avevo spiegato così bene come riconoscere Anna al vestito!
MINGHERLINO: Mi avvicino alla ragazza vestita di bianco e grido:
"Zitti!", lei risponde: "Buci!" come s'era d'accordo con Anna. E, invece di Anna, era un postiglione.
SIGNORA PAGE: Giorgio caro, non inquietarti. Avevo saputo del vostro progetto, e ho fatto vestire Anna di verde. Ora è in parrocchia col dottor Caio; e l'ha sposato.
(Si sente urlare CAIO, pieno di collera)
CAIO: Signora Page! Dov'è la signora Page? (Entrando in scena) Ah, per Dio, me l'avete fatta! Ho sposato un ragazzo!... un "garçon"... un "paysan"... dico, un ragazzo invece di Anna! Per Dio, m'avete beffato.
SIGNORA PAGE: Che dite? Ma non era vestita di verde?
CAIO: Proprio quella! E' un ragazzo. Butto all'aria tutta Windsor, per Dio.
(Esce di corsa scotendo i pugni)
FORD: Questa è bella! E allora, chi s'è preso l'Anna vera?
PAGE: Ho un cattivo presentimento. Ecco Fenton...
(Entrano FENTON e ANNA a braccetto)
Ebbene, mastro Fenton?
ANNA (inginocchiandosi): Perdono, padre mio; e anche tu, mammina, perdono.
PAGE: Dite un po', signorina: come mai non siete andata con Mingherlino?
SIGNORA PAGE: Come mai, pettegola, non sei andata col dottore?
FENTON: Non la tormentate... Ascoltatemi. Entrambi, per Anna, avevate progettato un cattivo matrimonio, dove l'amore non c'entrava per niente. Noi, da gran tempo, ci eravamo promessi. Ora siamo legati da un vincolo che nulla può spezzare. La sua disobbedienza è benedetta.
Questo inganno perde il nome d'astuzia, di disobbedienza o d'irriverenza; perché soltanto così ella poteva evitare mille ore empie ed esecrande, che le sarebbero capitate addosso per un matrimonio forzato.
FORD: Non rimanete così di sasso. Non c'è rimedio! Nelle cose d'amore, è il cielo che comanda! I campi possono comprarsi col denaro, ma le mogli ce le dà il destino.
FALSTAFF: Come son contento! V'eravate bene appostato per colpirmi, e la vostra freccia ha scantonato.
PAGE: Non c'è nulla da fare! Fenton, che Dio ti dia gioia. Ciò che non possiamo evitare, accettiamolo amorevolmente.
FALSTAFF: O diremo che quando i cani vanno a caccia di notte, ogni selvaggina è buona.
SIGNORA PAGE:
Ma neppur io vuo' più lagnarmi, amici, Fenton, che il ciel ti dia giorni felici!
Tutti insieme, seduti ad un bel fuoco, a casa finiremo questo giuoco, queste strane avventure esilaranti.
Andiamo, tutti; (a Falstaff) e il cavaliere, avanti.
FORD: Andiamo. Io aggiungo un'altra cosa sola.
Falstaff a Brook mantenne la parola:
della moglie di Ford ogni diletto promise. E Brook or se la porta a letto.
(Escono)