William Shakespeare
RICCARDO TERZO
PERSONAGGI
EDOARDO QUARTO
EDOARDO, principe di Galles, poi Edoardo Quinto; RICCARDO, duca di York: figli del re
GIORGIO, duca di Clarence; RICCARDO, duca di Gloucester, poi Riccardo Terzo: fratelli del re
Un figlioletto di Clarence
ENRICO, conte di Richmond, poi re Enrico Settimo
IL CARDINALE BOURCHIER, arcivescovo di Canterbury
TOMMASO ROTHERHAM, arcivescovo di York
GIOVANNI MORTON, vescovo di Ely
IL DUCA DI BUCKINGHAM
IL DUCA DI NORFOLK
IL CONTE DI SURREY, suo figlio
IL CONTE RIVERS, fratello di Elisabetta
IL MARCHESE DI DORSET, LORD GREY: figli di Elisabetta
IL CONTE DI OXFORD
LORD HASTINGS
LORD STANLEY, chiamato anche conte di Derby
LORD LOVEL
SIR TOMMASO VAUGHAN
SIR RICCARDO RATCLIFF
SIR GUGLIELMO CATESBY
SIR GIACOMO TYRREL
SIR GIACOMO BLOUNT
SIR GUALTIERO HERBERT
SIR ROBERTO BRAKENBURY, luogotenente della Torre
SIR GUGLIELMO BRANDON
CRISTOFORO URSWICK, prete
Un altro prete
TRESSEL e BERKELEY, gentiluomini al seguito lady Anna
Il Lord Sindaco di Londra
Lo Sceriffo del Wiltshire
LA REGINA ELISABETTA, moglie di Edoardo Quarto
LA REGINA MARGHERITA, vedova di Enrico Sesto
LA DUCHESSA DI YORK, madre di re Edoardo Quarto
LADY ANNA, vedova di Edoardo principe di Galles, figlio di Enrico Sesto, poi sposata a Riccardo
Una figlioletta di Clarence
Spettri delle vittime di Riccardo; Signori ed altri Cortigiani; un Messaggero di Stato; uno Scrivano;Cittadini,Sicari, Messi, Soldati, eccetera
La scena è in Inghilterra
ATTO PRIMO
GLOUCESTER: Ora l'inverno del nostro travaglio è mutato in splendida estate grazie a questo sole di York; e tutte le nubi che aduggiavano la nostra casa son sepolte nel profondo seno dell'oceano. Ora le nostre tempie son cinte di ghirlande vittoriose; le nostre armi ammaccate sono appese in trofei; i nostri torvi allarmi cangiansi in gaie adunate, le nostre terribili marce in dilettose danze. La Guerra dal fiero cipiglio ha rasserenato la corrugata fronte, ed ora, invece di montar catafratti destrieri per incuter sgomento nell'anima di pavidi avversari, essa sgambetta agilmente in una camera femminile all'invito lascivo d'un liuto. Ma io, che non son tagliato per gli ameni spassi, né per corteggiare un amoroso specchio, io che, uscito da un rude stampo, manco della maestà dell'amore per pavoneggiarmi dinanzi a una molleggiante ninfa; io, che sono privato di questa bella simmetria, frustrato di sembianza dalla Natura che sì mi dispaia, deforme, incompiuto, anzi tempo inviato in questo spirante mondo, appena plasmato a mezzo, e pur questo in modo così monco e contraffatto che i cani latrano di me quand'io zoppico accanto a loro; ebbene, io, in questo imbelle e sufolante tempo di pace, non trovo altro diletto per passare il tempo se non di guatare l'ombra mia nel sole e intesser variazioni sulla mia deformità. E così, dacché io non posso far l'innamorato per intrattenere questi bei giorni soaveloquenti, son risoluto a dimostrarmi uno scellerato, ed a colpir col mio odio i frivoli piaceri di questi giorni. Trame ho ordito, perigliosi inizi, con profezie, calunnie e sogni d'ubriaco, per aizzare l'un contro l'altro in odio mortale mio fratello Clarence e il re: e se il re Edoardo è tanto leale e schietto quanto io son sottile, falso e traditore, quest'oggi Clarence dovrebb'essere rinserrato in una stretta muda, secondo una profezia, che dice che G sarà l'uccisore degli eredi d'Edoardo. Pensieri, inabissatevi giù nell'anima mia! Ecco che viene Clarence.
(Entra CLARENCE, tra le Guardie, e BRAKENBURY)
Buon dì, fratello: che significa questa guardia armata che accompagna Vostra Grazia?
CLARENCE: Sua Maestà, sollecito della salvezza della mia persona, ha disposto questa compagnia per condurmi alla Torre.
GLOUCESTER: Per qual motivo?
CLARENCE: Perché il mio nome è Giorgio.
GLOUCESTER: Ahimè, mio signore, questa non è colpa vostra, dovrebbe imprigionare per codesto i vostri padrini. Oh, verisimilmente Sua Maestà ha intenzione che voi siate ribattezzato nella Torre. Ma di che si tratta, Clarence? m'è lecito saperlo?
CLARENCE: Si, Riccardo, quand'io lo sappia; perché giuro che finora non lo so: ma, a quel che posso apprendere, egli porge orecchio a profezie e sogni, e dall'abbecedario strappa la lettera G, e dichiara che uno stregone gli ha detto che da un G la sua discendenza sarà diseredata: e siccome il mio nome di Giorgio comincia con un G ne segue nel suo pensiero che io son costui. Queste e simili bazzecole, com'io apprendo, han mosso Sua Altezza a farmi imprigionare.
GLOUCESTER: Già, codesto accade quando gli uomini si lascian governare dalle donne: non è il re che vi manda alla Torre; madonna Grey sua moglie, o Clarence, è essa che lo dispone a codesta estremità. Non fu costei, e quel venerabil galantuomo, Antonio Woodville, suo fratello, che fecero mandare lord Hastings alla Torre, dalla quale egli è liberato quest'oggi? Noi non siam sicuri, Clarence, non siam sicuri.
CLARENCE: Pel cielo, credo che nessuno sia sicuro fuori dei parenti della regina, e dei messi notturni che arrancano tra il re e madama Shore. Non avete udito che umile supplice è stato lord Hastings presso di lei per la sua liberazione?
GLOUCESTER: Umilmente dolendosi con Sua Divinità ha ottenuto la sua libertà il lord ciambellano. Vuo' dirvi il mio parere; io penso che se vogliamo conservare il favore del re, la via che ci resta è di esser servi di costei e di portare la sua livrea. La gelosa vedova decrepita e costei, dacché nostro fratello le ha create gentildonne, son potenti comari in questa monarchia.
BRAKENBURY: Supplico le Vostre Grazie entrambe di perdonarmi; Sua Maestà mi ha strettamente ordinato che nessun uomo, di qualsivoglia grado, debba avere privato abboccamento con suo fratello.
GLOUCESTER: Ah, così! Se piace a Vostra Reverenza, Brakenbury, voi potete essere a parte di qualunque cosa diciamo. Noi non teniam discorsi di tradimento, messere; noi diciamo che il re è saggio e virtuoso, e la sua nobile regina è ben stagionata, bella e non gelosa; diciamo che la moglie di Shore ha un piede leggiadro, un labbro di cerasa, un occhio vispo e una lingua oltrapiacente; e che i parenti della regina son diventati patrizi; che ne dite, signore? potete negar tutto questo?
BRAKENBURY: Con questo, mio signore, io non ho nulla a che fare.
GLOUCESTER: Nulla a che fare con madama Shore? Io ti dico, compare, che colui che avesse alcunché a fare con lei, tranne uno, farebbe meglio a farlo segretamente da solo.
BRAKENBURY: Qual è quest'uno, mio signore?
GLOUCESTER: Suo marito, furfante: vorresti tu tradirmi?
BRAKENBURY: Supplico Vostra Grazia di perdonarmi, e insieme di tralasciare la vostra conferenza col nobile duca.
CLARENCE: Sappiamo la tua incombenza, Brakenbury e obbediremo.
GLOUCESTER: Siamo i vassalli della regina, e dobbiamo obbedire.
Fratello, addio: vado dal re, e in qualunque cosa vogliate impiegarmi, foss'anche a chiamar sorella la vedova che è sposa di re Edoardo, lo farò per ottenere la vostra liberazione. Frattanto questo profondo affronto alla fraternità mi tocca più profondamente di quanto possiate immaginare.
CLARENCE: So che non lascia contento nessuno di noi due.
GLOUCESTER: Ebbene, la vostra prigionia non sarà lunga; io vi libererò o mi farò male, dico, per voi: frattanto abbiate pazienza.
CLARENCE: Per forza debbo: addio.
(Escono Clarence, Brakenbury, e le Guardie)
GLOUCESTER: Va', calca il sentiero pel quale non più tornerai, o semplice, ingenuo Clarence! Io ti amo tanto che fra breve manderò la tua anima in cielo, se il cielo vuol accettare il dono dalle nostre mani. Ma chi vien qua? il novellamente scarcerato Hastings?
(Entra LORD HASTINGS)
HASTINGS: Buon giorno mio grazioso signore!
GLOUCESTER: Altrettanto ai mio buon lord ciambellano! Oltremodo benvenuto siete a quest'aria aperta: come ha sopportato il carcere Vostra Signoria?
HASTINGS: Con pazienza, o nobil signore, come debbono i prigionieri, ma spero vivere, mio signore, per render grazie a coloro che sono stati causa del mio incarceramento.
GLOUCESTER: Senza dubbio, senza dubbio; e così spera anche Clarence; poiché coloro che sono stati vostri nemici sono i suoi, ed han prevalso contro di lui come contro di voi.
HASTINGS: Più dispiace che l'aquila debba esser chiusa nella muda quando i nibbi e i bozzaghi predano in libertà.
GLOUCESTER: Che notizie di fuori?
HASTINGS: Non così cattive notizie di fuori quanto queste di casa: il re è infermo, debole, e malinconico, e i suoi medici temono oltremodo per lui.
GLOUCESTER: Ecco, per San Paolo, questa è davvero una cattiva notizia!
Oh, egli ha seguito a lungo un pernicioso regime, e troppo ha logorato la sua regal persona: è molto angoscioso il pensarci. Come, è in letto?
HASTINGS: Sicuro.
GLOUCESTER: Andate voi innanzi, io vi seguirò. (Esce Hastings) Egli non può vivere, spero, e non deve morire finché Giorgio non sia stato spedito di tutta carriera in cielo. Andrò da lui per stimolare vieppiù il suo odio contro Clarence, con menzogne ben armate di possenti argomenti; e se non fallisco nel mio profondo intento, Clarence non ha un altro giorno da vivere; il che fatto, che Iddio riceva re Edoardo nella sua misericordia, e lasci a me il mondo per brigarvi! Ché allora sposerò la figlia più giovane di Warwick. Che fa se ho ucciso suo marito e suo padre? La via più spedita di fare ammenda con la donzella è diventare suo marito e suo padre: il che farò, non tanto per amore, quanto per un alto segreto riposto intento che debbo raggiungere sposandola. Ma io pur metto il carro dinanzi ai buoi: Clarence respira ancora, Edoardo ancora vive e regna; quando se ne siano iti, allora è il momento di contare i miei guadagni.
(Esce)
SCENA SECONDA - La stessa. Un'altra strada
(E' portato in scena il corpo di Re Enrico Sesto, scortato da Gentiluomini armati di alabarde; LADY ANNA lo segue in gramaglie)
ANNA: Ponete giù, ponete giù il vostro onorevole carico - se l'onore può esser composto in una bara - mentre io secondo il rito piango la precoce caduta del virtuoso Lancaster. Povera immagine d'un santo re, fredda come una chiave! Pallide ceneri della casa di Lancaster!
Esangui reliquie di quel sangue reale! Mi sia lecito d'invocare la tua ombra, perché essa oda le lamentazioni della misera Anna, moglie del tuo Edoardo, del tuo figlio assassinato, trafitto dalla stessa mano che ha aperto queste finestre! Ecco, su queste finestre che lasciaron fuggire la tua vita io verso l'inutile balsamo dei miei poveri occhi.
O maledetta sia la mano che fece questi fori! Maledetto il cuore che ebbe cuore a tanto! Maledetto il sangue che ha fatto colar di costì questo sangue! Più dura sorte incolga quell'odiato miserabile, che ci fa miserabili con la morte tua, che io non sappia augurare a vipere, ragni, rospi, o ad ogni velenosa creatura strisciante! Se mai egli abbia prole, che sia abortiva, prodigiosa e prematuramente venuta alla luce, il cui orrendo e innaturale aspetto spaventi con la sua vista la sperante madre, ed erediti la sua nocevolezza! Se mai egli abbia sposa, sia essa resa più afflitta dalla morte di lui che io non lo sia da quella del mio giovine signore e dalla tua! Avviatevi ora a Chertsey col vostro santo carico, che avete recato da San Paolo per esser colà sepolto; e ogniqualvolta sarete stanchi di questo peso, riposatevi mentre io piango sul corpo di re Enrico.
(Entra GLOUCESTER)
GLOUCESTER: Fermatevi, voi che portate il feretro, e ponetelo giù!
ANNA: Qual nero mago evoca questo demonio per impedire devoti atti di carità?
GLOUCESTER: Furfanti, ponete giù il cadavere, o, per San Paolo, farò un cadavere di colui che disobbedisce !
GENTILUOMO: Mio signore, fatevi indietro e lasciate passare il feretro.
GLOUCESTER: Cane screanzato, fermati quand'io comando! Alza la tua alabarda più su del mio petto, o, per San Paolo, ti stenderò ai miei piedi, e sentirai i miei calci, pezzente, per la tua audacia!
ANNA: Che, voi tremate? avete tutti paura? Ahimè, io non vi biasimo, poiché siete mortali ed occhi mortali non possono sostenere il demonio. Via, spaventoso ministro dell'inferno! Tu non avevi potere che sul suo corpo mortale, la sua anima non puoi avere; dunque vattene.
GLOUCESTER: Dolce santa, per carità, non essere così dispettosa.
ANNA: Sozzo demonio, in nome di Dio, via di qui e non ci disturbare!
ché tu hai fatto di questa felice terra il tuo inferno, l'hai empita d'imprecazioni e di profondi gemiti. Se ti diletti di contemplare le tue infami gesta, mira questo modello dei tuoi massacri. O signori, guardate guardate! le ferite del morto Enrico aprono le loro congelate bocche e sanguinano di nuovo. Arrossisci, arrossisci, cumulo di sozza deformità! poiché è la tua presenza che fa spicciare questo sangue da fredde e vuote vene dove sangue non resta. Il tuo misfatto, inumano e contro natura, provoca questo diluvio contro natura. O Dio, che hai creato questo sangue, vendica la sua morte! O terra, che bevi questo sangue, vendica la sua morte! O il cielo con la folgore stenda morto l'assassino, o tu, terra, spalancati, e ingoialo vivo, come tu inghiotti il sangue di questo buon re, che ha scannato il suo braccio diretto dall'inferno!
GLOUCESTER: Signora, voi non conoscete i precetti della carità, che rende bene per male, benedizioni per maledizioni.
ANNA: Scellerato, tu non conosci alcuna legge, né di Dio né degli uomini: non v'è belva tanto feroce che non abbia qualche senso di pietà.
GLOUCESTER: Ma io non ne ho alcuno, sicché non sono una belva.
ANNA: Oh, mirabile, quando i demoni dicono la verità!
GLOUCESTER: Più mirabile ancora, quando gli angeli son così adirati.
Degna, o divina perfezione di donna, di dammi licenza che di questi supposti misfatti io mi scagioni punto per punto.
ANNA: Degna, o difforme infezione d'uomo, per questi riconosciuti misfatti, di darmi licenza di maledire punto per punto la tua maledetta persona.
GLOUCESTER: O bella più che lingua non ti possa dire, che io abbia qualche riposato agio per iscusarmi.
ANNA: O sozzo più che cuore non ti possa pensare, tu non hai altra scusa accettabile se non d'impiccarti.
GLOUCESTER: Con tal atto disperato io verrei ad accusarmi.
ANNA: E, col disperare, tu rimarresti scusato, facendo degna vendetta su te stesso, che hai fatto indegna strage di altri.
GLOUCESTER: E se io non li avessi uccisi?
ANNA: Ebbene, allora essi non sono morti: ma morti essi sono, e, infernal manigoldo, per opera tua.
GLOUCESTER: Io non ho ucciso vostro marito.
ANNA: Ebbene, allora egli è vivo.
GLOUCESTER: No, è morto, assassinato per mano di Edoardo.
ANNA: Tu menti per la tua sozza gola: la regina Margherita ha veduto la tua micidial scimitarra fumante del suo sangue; e tu allora la rivolgevi contro il petto di lei, ma i tuoi fratelli te ne stornarono la punta.
GLOUCESTER: Fui provocato dalla sua lingua calunniosa, che faceva cader la loro colpa sulle mie spalle incolpevoli.
ANNA: Tu fosti provocato dalla tua anima sanguinaria, che non ha sognato mai altro che carneficine; non hai tu ucciso questo re?
GLOUCESTER: Lo concedo.
ANNA: Lo concedi, istrice? Allora Dio mi conceda pure che tu possa esser dannato per questo misfatto! Oh, egli era affabile, mite e virtuoso!
GLOUCESTER: Tanto meglio pel re del cielo, che l'ha seco.
ANNA: Egli è in cielo dove tu mai non andrai.
GLOUCESTER: Che lui mi ringrazi d'averlo aiutato a mandarlo lassù; poiché egli era più adatto a quel luogo che alla terra.
ANNA: E tu non sei adatto ad altro luogo che l'inferno.
GLOUCESTER: Sì, un altro ve n'è, se voi volete udirmi nominarlo.
ANNA: Qualche segreta.
GLOUCESTER: La vostra camera da letto
ANNA: Mal riposo tocchi alla camera dove tu giaci!
GLOUCESTER: Così accadrà, signora, finche io non giaccia con voi.
ANNA: Lo spero bene.
GLOUCESTER: Lo so bene. Ma, gentil madonna Anna, per abbandonare quest'arguta tenzone dei nostri ingegni, e discendere a un metodo più piano, non è il causatore delle immature morti di questi Plantageneti, Enrico ed Edoardo, tanto biasimevole quanto l'esecutore?
ANNA: Tu fosti la causa e il dannatissimo effetto.
GLOUCESTER: La vostra beltà è stata la causa di tale effetto; la vostra beltà che mi travagliava nel sonno perché intraprendessi di uccidere il mondo intero per poter vivere un'ora sola sul vostro dolce seno.
ANNA: Se io credessi ciò, ti dico, omicida, che queste unghie strapperebbero tale beltà dalle mie guance.
GLOUCESTER: Questi occhi non potrebbero sostenere lo scempio di tale beltà; voi non la sciupereste, se io vi fossi accanto: come tutto il mondo è allietato dal sole, così son io da essa; essa è il mio giorno, la mia vita.
ANNA: Nera notte offuschi il tuo giorno, e morte la tua vita!
GLOUCESTER: Non maledir te stessa, bella creatura; tu sei l'uno e l'altra.
ANNA: Lo fossi, per vendicarmi di te!
GLOUCESTER: E' una contesa quanto mai contro natura, vendicarsi di colui che ti ama.
ANNA: E' una contesa giusta e conforme a ragione, vendicarsi di colui che ha ucciso mio marito.
GLOUCESTER: Colui che ti ha privato, signora, del tuo marito, l'ha fatto per procurarti un miglior marito.
ANNA: Il miglior di lui non esiste sulla tetra.
GLOUCESTER: Vive chi ti ama meglio di quel ch'egli non sapesse.
ANNA: Nominalo.
GLOUCESTER: Plantageneto.
ANNA: Appunto, questo era lui.
GLOUCESTER: Lo stesso nome, ma uno di miglior natura.
ANNA: Dov'è?
GLOUCESTER: Qui. (Ella gli sputa addosso) Perché mi sputi addosso?
ANNA: Vorrei che fosse un veleno mortale per te!
GLOUCESTER: Mai non venne veleno da così dolce luogo.
ANNA: Mai non coprì veleno più più sozzo rospo. Via d'innanzi alla mia vista! tu ferisci i miei occhi.
GLOUCESTER: I tuoi occhi, dolce signora, hanno ferito i miei.
ANNA: Fossero basilischi per stenderti morto!
GLOUCESTER: Lo fossero, almeno io morrei subito; che essi mi uccidono ora con una morte vivente. Quegli occhi tuoi han tratto dai miei amare lacrime, han fatto vergognoso il loro sguardo con una piena di infantili gocciole... questi occhi, che non hanno mai sparso una lacrima di compassione, no, neppure quando mio padre York ed Edoardo piansero a udire il pietoso lamento di Rutland allorché il nero Clifford gli vibrò la spada contro; né quando il guerriero tuo padre come un fanciullo raccontò la triste storia della morte del padre mio e venti volte s'interrompeva per singhiozzare e piangere, che tutti i circostanti ne avevano molli le guance come alberi aspersi di pioggia:
in quel triste momento i miei maschi occhi sprezzarono una umile lacrima; ma ciò che le sventure non poterono esprimer da essi l'ha espresso la tua beltà, e li ha accecati di lacrime. Io non ho mai sollecitato amico né nemico; la mia lingua non ha mai saputo apprendere una dolce parola di lusinga: ma ora che la tua beltà mi è messa innanzi come guiderdone, il mio superbo cuore sollecita, e muove la mia lingua a parlare. (Essa lo guarda con disprezzo) Non insegnare al tuo labbro tanto disprezzo, perché fu fatto per baciare, signora, non per sdegnare così. Se il tuo cuore vendicativo non può perdonare, ecco, io ti presto quest'affilata spada, che se tu vorrai immergere in questo petto fedele, e farne uscire l'anima che t'adora, io lo denudo pel tuo colpo mortale, e umilmente a ginocchi ti chiedo la morte. (Si scopre il petto: essa fa l'atto di colpirlo con la spada) No, non indugiare: perché ho ucciso re Enrico; ma è stata la tua beltà a provocarmi. Via, spicciati, sono stato io a pugnalare il giovane Edoardo, ma fu il tuo celeste volto a istigarmi. (Qui essa lascia cadere la spada) Risolleva la spada, o risolleva me.
ANNA: Rialzati, simulatore: benché io desideri la tua morte, non voglio essere il tuo carnefice.
GLOUCESTER: Allora ordinami di uccidermi, e io lo farò.
ANNA: L'ho già detto.
GLOUCESTER: Fu nella tua collera. Dillo di nuovo; e alla sola tua parola questa mano che per amor tuo ha ucciso il tuo amore, ucciderà, per amor tuo, un ben più fido amore: tu sarai complice della morte di entrambi.
ANNA: Potessi conoscere il tuo cuore!
GLOUCESTER: E' effigiato nella mia lingua.
ANNA: L'uno e l'altra, io temo, son falsi.
GLOUCESTER: Allora non v'è mai stato uomo verace.
ANNA: Via, via, riponi quella spada.
GLOUCESTER: Di' allora che la mia pace è fatta.
ANNA: Questo saprai più tardi.
GLOUCESTER: Ma potrò vivere sperando?
ANNA: Tutti gli uomini, spero, vivono così.
GLOUCESTER: Degna di portare questo anello.
ANNA: Prendere non è dare.
GLOUCESTER: Guarda come il mio anello recinge il tuo dito: proprio così il tuo seno racchiude il mio povero cuore; portali entrambi, ché entrambi sono tuoi. E se il tuo povero devoto servo può solo implorare un favore dalla tua benignità, tu assicuri la sua felicità per sempre.
ANNA: Quale favore?
GLOUCESTER: Che vi piaccia di lasciar questi tristi apparati a colui che ha massima cagione di piangere a questo funerale e di riparare immediatamente a Casa Crosby; dove, dopo che avrò solennemente seppellito questo nobile re nel monastero di Chertsey, e bagnato la sua tomba colle mie lacrime di pentimento, verrò a rendervi tutti i doveri do circostanza. Per diverse non dichiarate ragioni io v'imploro di concedermi questa grazia.
ANNA: Con tutto il cuore, e molto mi rallegra di vedervi divenuto così penitente. Tressel e Berkeley, venite con me.
GLOUCESTER: Ditemi addio.
ANNA: E' più di quel che meritate: ma dal momento che m'insegnate ad adularvi, immaginatevi che io v'abbia detto addio di già.
(Escono lady Anna, Tressel e Berkeley)
GLOUCESTER: Messeri, risollevate il feretro.
GENTILUOMO: Per Chertsey, nobile signore?
GLOUCESTER: No, dai Carmelitani; colà attendete che io venga.
(Escono tutti eccetto Gloucester) Fu mai donna corteggiata in tale stato d'animo? Fu mai donna in tale stato d'animo conquistata? Io l'avrò, ma non la terrò a lungo. Come! io che ho ucciso suo marito e il padre di lui, prenderla mentre l'odio le colmava il cuore, con le maledizioni in bocca e le lacrime negli occhi accanto al sanguinoso testimonio del suo risentimento, avendo Iddio, la sua coscienza e quegli ostacoli contro di me, ed io, a sostenere la mia istanza, nessun altro amico che il diavolo a viso aperto e i miei sguardi simulatori: e ciò nonostante conquistarla: tutto il mondo contro nulla! Ah! Ha essa già dimenticato quel valoroso principe, Edoardo suo signore, che io, tre mesi or sono, pugnalai nella mia collera a Tewksbury? Più dolce e amabile gentiluomo, concepito dalla natura in vena di prodigalità, giovane, valente, saggio, e senza dubbio veramente regale, il mondo quant'è grande non può produrre di nuovo: e nondimeno ella consente ad abbassare i suoi occhi su di me, che mietei la dorata primavera di questo dolce principe, e ho reso lei vedova d'un doloroso letto; su di me che tutto intero valgo la metà d'Edoardo; su di me, che zoppico e son contraffatto così? Scommetterei il mio ducato contro un miserabil quattrino, che io mi sono ingannato sin qui circa la mia persona! Sulla mia vita, essa trova in me, benché io non ci riesca, un uomo meravigliosamente piacente. Vuo' far la spesaccia di uno specchio, e impiegare una ventina o due di sarti a studiar fogge che donino al mio corpo: dacché io mi sono insinuato nel favor di me stesso, mi ci conserverò con un po' di spesa. Ma innanzi tutto rivolterò quel compare nella sua tomba, e poi mi volterò in lacrime dalla mia amata. Risplendi, bel sole, finché io non mi sia comperato uno specchio, sicché io possa veder la mia ombra mentre cammino.
(Esce)
SCENA TERZA - Il Palazzo
(Entrano la REGINA ELISABETTA, LORD RIVERS e LORD GREY)
RIVERS: Abbiate pazienza, signora: non v'ha dubbio che Sua Maestà ricupererà tra breve la sua salute consueta.
GREY: Il vostro mal sopportarlo lo fa peggiorare: per cui, in nome di Dio, state di buon animo, e sollevate Sua Grazia con parole vive e gaie.
ELISABETTA: S'egli morisse, che accadrebbe a me?
RIVERS: Nessun altro male se non la perdita d'un tal signore.
ELISABETTA: La perdita d'un tal signore comprende tutti i mali.
GREY: Il cielo vi ha favorito con un ottimo figlio che sarà il vostro conforto quando lui è scomparso.
ELISABETTA: Ah! egli è giovane, e la sua minorità è posta sotto la tutela di Riccardo Gloucester, un uomo che non ama né me né alcuno di voi.
RIVERS: E' concluso che egli sia Protettore?
ELISABETTA: E' deciso, ma non ancora concluso; ma così dovrà essere, se il re viene a mancare.
(Entrano BUCKINGHAM e DERBY)
GREY: Vengono i signori di Buckingham e Derby.
BUCKINGHAM: Buon giorno a Vostra Real Grazia!
DERBY: Dio faccia Vostra Maestà felice come siete stata!
ELISABETTA: La contessa di Richmond, mio buon signore di Derby, a stento direbbe amen alla vostra buona preghiera. Eppure, Derby, benché ella sia vostra moglie e non mi ami, siate sicuro, buon signore, che io non detesto voi per la sua superba arroganza.
DERBY: Vi supplico, o non prestate fede alle invidiose calunnie dei suoi falsi accusatori, o, se ella è accusata in seguito a una voce veritiera, siate indulgente con la sua debolezza che, io penso, proviene da irritabile infermità, non da una fondata malevolenza.
RIVERS: Avete veduto oggi il re, mio signore di Derby?
DERBY: Or ora il duca di Buckingham ed io veniamo da una visita a Sua Maestà.
ELISABETTA: Che probabilità pel suo miglioramento, signori?
BUCKINGHAM: Signora, buona speranza; Sua Grazia parla di buon umore.
ELISABETTA: Iddio gli conceda salute! Avete conferito con lui?
BUCKINGHAM: Sì, signora: egli desidera di fare una riconciliazione tra il duca di Gloucester e i vostri fratelli, e tra essi e il lord ciambellano, e ha mandato a chiamarli alla sua regal presenza.
ELISABETTA: Possa tutto riuscir bene!... Ma questo non sarà mai. Temo che la nostra felicità sia al suo culmine.
(Entrano GLOUCESTER, HASTINGS e DORSET)
GLOUCESTER: Essi mi fan torto, ed io non lo soffrirò. Chi son coloro che si lamentano presso il re che io, proprio davvero, sono arcigno e non li amo? Per San Paolo, non aman che debolmente Sua Grazia quelli che gli riempion le orecchie di tali voci litigiose! Siccome io non so adulare e assumere un aspetto ameno, sorridere in faccia alla gente, lusingare, ingannare, e imbecherare, piegarmi con salamelecchi francesi e scimmiesche riverenze, debbo essere ritenuto un astioso nemico Un uomo sincero non può dunque vivere e non pensar male, senza che la sua candida franchezza debba esser così calunniata da striscianti, insinuanti furbacchioni?
GREY: A chi tra tutti questi astanti si rivolge Vostra Grazia?
GLOUCESTER: A te, che non hai né onestà né grazia: quando ho offeso te? quando ti ho fatto torto? o a te? o a te? o ad alcuno della vostra fazione? Peste a voi tutti! La sua regal persona che Iddio conservi meglio che voi non desideriate! - non può goder neppure un momento di respiro che voi non dobbiate disturbarlo colle vostre basse querimonie ELISABETTA: Fratello Gloucester, in ciò prendete abbaglio. Il re, di suo proprio regal moto, e non provocato da alcun postulante - congetturando verosimilmente il vostro interno odio che si dimostra nel vostro esterno agire contro i miei figli, i miei fratelli, e me stessa - è stato spinto a chiamarvi onde apprendere il motivo del vostro malanimo, e così rimuoverlo.
GLOUCESTER: Non saprei dire; il mondo è divenuto così malvagio, che gli scriccioli predano dove le aquile non osano appollaiarsi. Dacché ogni zanni è diventato un gentiluomo, v'è più d'un gentiluomo convertito in uno zanni.
ELISABETTA: Via, via, sappiamo a che accennate, fratello Gloucester; voi invidiate l'innalzamento mio e dei miei amici. Dio voglia che non dobbiamo mai aver bisogno di voi!
GLOUCESTER: Intanto Dio vuole che noi abbiamo bisogno di voi! Nostro fratello è imprigionato per opera vostra, io caduto in disgrazia, e la nobiltà tenuta in dispregio, mentre si fanno ogni giorno grandi promozioni per nobilitar coloro che, due giorni fa, valevan sì e no un nobile.
ELISABETTA: Per Colui che m'innalzò a questo ansioso fastigio dalla soddisfatta sorte che io godevo, io non ho mai incitato Sua Maestà contro il duca di Clarence, ma sono stata una zelante avvocata a perorar per lui! Mio signore, voi mi fate un'onta oltraggiosa trascinandomi perfidamente in questi vili sospetti.
GLOUCESTER: Voi non potete negare di essere stata la cagione del recente imprigionamento di lord Hastings.
RIVERS: Essa lo può, mio signore, perché...
GLOUCESTER: Essa lo può, lord Rivers! già, chi non lo sa? Essa può far di più, messere, che negar questo: essa può aiutarvi a farvi ottenere molte belle promozioni, e poi negare che la sua mano vi ci aiutasse, e attribuire quegli onori al vostro eminente merito. Che non può essa?
essa può, Maria Santa! essa può...
RIVERS: Che, Maria Santa, può ella?
GLOUCESTER: Che, Maria Santa, può ella? maritarsi con un re, un celibe che sia anche un bel giovinotto: di certo la vostra avola trovò un peggior partito.
ELISABETTA: Mio signore di Gloucester, troppo a lungo ho sopportato i vostri bruschi rimproveri e le vostre amare derisioni: pel cielo!
informerò Sua Maestà dei grossolani sarcasmi che ho sovente patito!
Vorrei esser piuttosto una serva di campagna che una grande regina a questa condizione, di esser così tormentata, vilipesa, tartassata:
poca gioia io traggo dall'esser regina d'Inghilterra.
(Entra la REGINA MARGHERITA, dal fondo)
MARGHERITA: E quel poco venga ancora scemato, ne supplico Iddio! I tuoi onori, il tuo rango, il tuo trono son dovuti a me.
GLOUCESTER: Che, mi minacciate di dirlo al re? Diteglielo, non abbiate ritegno: guardate, quel che ho detto, lo sosterrò alla presenza del re: oso arrischiare d'esser mandato alla Torre. E' tempo di parlare; le pene che mi son dato sono affatto dimenticate.
MARGHERITA: Via, demonio! Io le ricordo fin troppo bene: tu hai ucciso mio marito Enrico nella Torre, ed Edoardo, il mio povero figlio, a Tewksbury.
GLOUCESTER: Prima che voi foste regina, sicuro, o vostro marito re, io ero il caval da soma nelle sue gravi faccende, l'estirpatore dei suoi superbi avversari, il liberal rimuneratore dei suoi amici: per rendere regale il suo sangue, io ho versato il mio.
MARGHERITA: Già, e un sangue assai migliore del suo o del tuo.
GLOUCESTER: E in tutto quel tempo voi e il vostro sposo Grey parteggiavate per la casa di Lancaster, e voi pure, Rivers. Non fu vostro marito ucciso nelle file di Margherita a Sant'Albano? Lasciate che io vi rammemori, se voi dimenticate quel che siete stati prima d'ora e quel che siete, pure quello che io sono stato e quel che sono.
MARGHERITA: Un infame assassino, e seguiti ad esserlo.
GLOUCESTER: Il povero Clarence abbandonò suo padre, Warwick, sì, e si rese spergiuro, che Gesù glielo perdoni!...
MARGHERITA: Che Iddio ne faccia vendetta!
GLOUCESTER: ...per combattere col partito che voleva la corona per Edoardo, e per ricompensa, povero signore, è messo in muda. Piacesse a Dio che il mio cuore fosse pietra, come quel d'Edoardo, o quel d'Edoardo tenero e pietoso come il mio: io son troppo fanciullescamente sciocco per questo mondo.
MARGHERITA: Corri all'inferno dalla vergogna, e lascia questo mondo, demoniaccio! là è il tuo regno.
RIVERS: Mio signore di Gloucester, in quegli agitati giorni che qui portate innanzi per dimostrarci nemici, noi seguivamo l'allora nostro signore, il nostro re sovrano, e così seguiremo voi, se voi foste il nostro re.
GLOUCESTER: Se io lo fossi! Preferirci d'essere un cenciaiolo: lontano sia dal mio cuore codesto pensiero!
ELISABETTA: Tanto poca gioia, mio signore, quanta voi supponete che godreste se foste re di questo paese, tanto poca gioia potete nel caso mio supporre che io goda a esserne la regina.
MARGHERITA: Poca gioia davvero ne ha la regina; perché questa son io, e son del tutto senza gioia. Non so più contenermi. (Avanzandosi) Uditemi, voi rissosi pirati, che vi bisticciate nel dividervi ciò che avete predato a me! Chi di voi non trema che mi guarda? Se, come sudditi, non vi curvate dinanzi a me vostra regina, almeno perché, come ribelli, non tremate dinanzi a colei che avete deposta? Ah, nobile furfante, non volgerti da un'altra parte!
GLOUCESTER: Sozza strega avvizzita, che vieni a fare dinanzi ai miei occhi?
MARGHERITA: Nient'altro che la narrazione di ciò che tu hai distrutto, questo io farò prima di lasciarti andare.
GLOUCESTER: Non sei tu stata bandita sotto pena di morte?
MARGHERITA: Sì, ma trovo più tormento nel bando di quanto la morte non possa darmi se dimoro qui. Tu mi devi uno sposo e un figlio; e tu un regno; voi tutti obbedienza: questo dolore che soffro spetta a voi di diritto, e tutti i piaceri che usurpate sono miei.
GLOUCESTER: La maledizione che il mio nobile padre scagliò contro di te, quando tu incoronasti di carta la sua fronte marziale, e con le tue derisioni facesti sgorgar fiumi dai suoi occhi, e poi, per asciugarli, desti al duca un cencio intriso nel sangue incolpevole del vago Rutland: le sue maledizioni, proclamate allora contro di te dall'amarezza della sua anima, son tutte cadute su di te; e Iddio è stato, non già noi, a castigare il tuo atto sanguinario
ELISABETTA: Sì, giusto è Iddio a vendicar gl'innocenti.
HASTINGS: Oh, fu la più turpe azione uccidere quel fanciullo, e la più spietata di cui si udisse mai.
RIVERS: I tiranni stessi piansero allorché fu narrata loro.
DORSET: Non vi fu alcuno che non ne presagisse vendetta.
BUCKINGHAM: Northumberland, che era presente, pianse a vederlo.
MARGHERITA: Come! stavate tutti a ringhiare prima che io venissi, pronti ad azzannarvi l'un l'altro per la gola, ed ora volgete tutto il vostro odio contro di me? La tremenda maledizione di York prevalse tanto in cielo, che la morte d'Enrico, la morte del mio amabil Edoardo, la perdita del loro regno, il mio doloroso bando, non sarebbero che il fio per quel bizzoso marmocchio? Possono le maledizioni forar le nubi ed entrare in cielo? Oh, allora sgombrate la via, uggiose nubi, alle mie celeri maledizioni! Sebbene non per la guerra, ma per crapula muoia il vostro re, come il nostro è morto per assassinio, per far lui re! Edoardo tuo figlio, che ora è principe di Galles, per Edoardo mio figlio, che era principe di Galles, muoia nella sua gioventù di uguale intempestiva violenza! Tu stessa che sei regina, per me che fui una regina, possa tu sopravvivere alla tua gloria, come me infelice! A lungo possa tu vivere per piangere la perdita dei tuoi figli. e vedere un'altra, come io ora vedo te, rivestita delle tue insegne, come tu sei insediata nelle mie! A lungo prima della tua morte muoiano i tuoi giorni felici; e, dopo molte prolungate ore di pena, muori non più madre, né sposa, né regina d'Inghilterra. Rivers e Dorset, voi eravate astanti, e così eri tu, lord Hastings, quando mio figlio fu trafitto con sanguinosi pugnali...
Io prego Iddio che nessuno di voi possa vivere la sua età naturale, ma l'abbia tronca da qualche imprevisto accidente!
GLOUCESTER: Finiscila col tuo incantesimo, odiosa strega avvizzita!
MARGHERITA: E lascerei fuori te? resta, cane, ché tu devi udirmi! Se il cielo ha in serbo qualche atroce flagello che ecceda quelli che io posso desiderarti, oh! lo ritenga finché le tue colpe sian mature, e poi scagli la sua indignazione sopra di te, perturbatore della pace di questo povero mondo! Che il verme della coscienza ti roda per sempre l'anima! Possa tu sospettar come traditori i tuoi amici finché vivi, e prender tenebrosi traditori pei tuoi amici più cari! Che il sonno mai non chiuda quel tuo occhio letale, se non sia mentre qualche sogno tormentoso t'atterrisce con un inferno di orrendi demoni! tu grufolante verro contraffatto segnato dal diavolo; tu che al tuo nascere ricevesti il marchio di schiavo della natura e di figlio dell'inferno! Tu calunnia del ventre di tua madre gravida! tu aborrito rampollo dei lombi di tuo padre! tu straccio dell'onore! tu detestabile...
GLOUCESTER: Margherita!
RICCARDO: Riccardo!
GLOUCESTER: Che?
MARGHERITA: Io non ti chiamo.
GLOUCESTER: Allora ti chiedo venia; credevo che mi avessi chiamato con tutti quei crudeli nomi.
MARGHERITA: Sicuro, ma non mi aspettavo risposta. Oh! fammi condurre a fine la mia maledizione!
GLOUCESTER: L'ho fatto io; finisce con Margherita.
ELISABETTA: Così voi avete dato fiato alla vostra maledizione contro voi stessa.
MARGHERITA: Povera regina dipinta, vano orpello della mia fortuna!
perché spargi zucchero su questo tumido ragno, la cui tela mortale ti si stringe intorno? Stolta, stolta! tu arroti un coltello per uccidere te stessa. Giorno verrà che desidererai chiamarmi in soccorso per maledire quello scrignuto e velenoso rospo.
HASTINGS: Falsa profetessa, poni termine alla tua frenetica maledizione, o a tuo danno stancherai la nostra pazienza.
MARGHERITA: Obbrobrio su di voi! Voi tutti avete stancata la mia.
RIVERS: Sareste servita a modo, se v'insegnassero il vostro dovere.
MARGHERITA: Per servirmi a modo, voi tutti dovreste farmi i vostri doveri, insegnare a me ad essere la vostra regina, e a voi ad essere miei sudditi: oh, servitemi a modo, e insegnate a voi stessi quei doveri!
DORSET: Non argomentate con lei; è pazza.
MARGHERITA: Zitto, messer marchese, voi siete impudente: il vostro conio di nobiltà, nuovo di zecca, ha appena corso. Oh, se il vostro giovane patriziato potesse comprendere che cosa sia perderlo, ed essere infelice! Coloro che stanno in alto sono scossi da molte raffiche, e se cadono, vanno in frantumi.
GLOUCESTER: Un buon consiglio, perdio! apprendetelo, apprendetelo marchese.
DORSET: Riguarda voi, mio signore, tanto quanto me.
GLOUCESTER: Già, e molto di più; ma io son nato così in alto, che il nostro nido è edificato sulla sommità del cedro, e scherza con il vento e sprezza il sole.
MARGHERITA: E cambia il sole in ombra, ahimè, ahimè! Testimonio il figlio mio, ora nell'ombra della morte, i cui brillanti oltrasplendenti raggi la tua nuvolosa collera avviluppò in una tenebra eterna. Il vostro nido è edificato sul sito del nostro nido. O Dio, che vedi ciò, non soffrirlo! Come fu conquistato col sangue, così sia perduto!
BUCKINGHAM: Silenzio, silenzio, per la vergogna, se non per carità.
MARGHERITA: Non ingiungere né carità né vergogna a me! Senza carità voi avete agito verso di me, e vergognosamente voi avete fatto scempio delle mie speranze. La mia carità è l'oltraggio, la vita è la mia vergogna, e in quella vergogna possa sempre vivere la rabbia del mio dolore!
BUCKINGHAM: Finitela, finitela!
MARGHERITA: O principesco Buckingham, vuo' baciarti la mano in segno d'alleanza e di amicizia con te: lieta fortuna a te e alla tua nobile casa! Le tue vesti non sono macchiate del sangue nostro, né tu sei compreso nella mia maledizione.
BUCKINGHAM: E neppure alcuno dei presenti; poiché le maledizioni non passano mai oltre le labbra di coloro che le proferiscono.
MARGHERITA: Nulla mi convincerà che esse non salgano al cielo, e colà risveglino dal suo soave sonno la pace di Dio. O Buckingham, guardati da quel cane! Bada, quando fa le feste, morde; e quando morde il suo dente velenoso attossica da morirne. Non aver nulla a che fare con lui, non fidartene! Il peccato, la morte, l'inferno hanno impresso su di lui il loro marchio, e tutti i loro ministri gli fan corte.
GLOUCESTER: Che dice costei, signore di Buckingham?
BUCKINGHAM: Nulla di cui io faccia caso, mio grazioso signore.
MARGHERITA: Come? disprezzi me pel mio amorevole consiglio, e blandisci il demonio contro il quale ti metto in guardia? Oh, solo ricordati di questo un'altra volta, quando egli spezzerà d'angoscia il tuo cuore più profondo, e dirai che la povera Margherita era profetessa. Viva ognun di voi soggetto al suo odio, ed egli al vostro, e tutti voi a quello di Dio!
(Esce)
HASTINGS: Mi si rizzano i capelli a udire le sue maledizioni.
RIVERS: Anche a me; mi domando perché costei è in libertà.
GLOUCESTER: Non posso biasimarla; per la santa madre di Dio, le sono stati fatti tremendi torti, ed io mi pento per quella parte che gliene è stata fatta da me.
ELISABETTA: Io non gliene feci mai, che sappia io.
GLOUCESTER: Eppure voi godete tutti i vantaggi del torto che le è stato fatto. Io fui troppo ardente nel far del bene a qualcuno che è troppo freddo nel pensarci ora. Affé, quanto a Clarence, è ben ripagato; per le sue pene è messo a impinguare nel brago... Iddio perdoni coloro che ne son la cagione!
RIVERS: Virtuosa e cristiana conclusione pregare per quelli che ci han recato offesa.
GLOUCESTER: Così faccio sempre... (a parte) ché così vuole la prudenza; poiché se avessi maledetto ora, avrei maledetto me stesso.
(Entra CATESBY)
CATESBY: Signora, Sua Maestà vi desidera ed anche Vostra Grazia, e voi, miei nobili signori.
ELISABETTA: Catesby, veniamo. Signori, volete accompagnarci?
RIVERS: Seguiamo Vostra Grazia.
(Escono tutti eccetto Gloucester)
GLOUCESTER: Io faccio il male, e sono il primo a sbraitare: i segreti misfatti che io ordisco, ne gitto il grave peso sulle spalle altrui.
Clarence, che di fatto io ho messo all'ombra, lo compiango dinanzi a molti gonzi, quali sono Derby, Hastings, Buckingham, e dico loro che è la regina con la sua consorteria a eccitare il re contro il duca mio fratello. Ora essi lo credono e insieme mi stimolano a vendicarmi di Rivers, di Vaughan, di Grey: ma allora io sospiro, e con un passo del Vangelo dico loro che Dio ci comanda di fare il bene per il male, e così rivesto la mia ignuda perfidia con triste sentenziole rubacchiate ai sacri testi, e ho l'aria d'un santo, quando di più non potrei far la parte del diavolo.
(Entrano due Sicari)
Ma zitti! ecco che vengono i miei carnefici. Ebbene! miei audaci, energici, risoluti compari! Andate voi adesso a sistemare questa faccenda?
PRIMO SICARIO: Precisamente, signor mio, e siamo per avere l'autorizzazione per poter essere ammessi dove è lui.
GLOUCESTER: Ben pensato! L'ho qui su di me. (Dà l'autorizzazione) Quando avrete fatto riparate a Casa Crosby. Ma, messeri, siate solleciti nell'esecuzione, e insieme inesorabili: non ascoltate le sue preghiere; poiché Clarence è bel parlatore, e forse potrebbe muovere i vostri cuori a pietà se l'ascoltate.
PRIMO SICARIO: Via, via, signor mio, non ci fermeremo a chiacchierare.
I parlatori non sono buoni operatori, state certo che noi andiamo per adoperare le mani, e non la lingua.
GLOUCESTER: I vostri occhi versano pietre da macina, quando gli occhi degli stolti spargono lacrime; mi piacete, giovanotti: all'opera, subito! andate, andate, sbrigatevi!
PRIMO SICARIO: Sarete servito, mio nobile signore.
(Escono)
SCENA QUARTA - Londra. La Torre
(Entrano CLARENCE e BRAKENBURY)
BRAKENBURY: Perché Vostra Grazia ha l'aria così abbattuta quest'oggi?
CLARENCE: Oh, ho passato una nottataccia così piena di sogni spaventosi, di orribili visioni che, quanto è vero che sono un fedele cristiano, non vorrei trascorrere un'altra simile notte, foss'anche per comprare un mondo di giorni felici, sì pieno di cupo orrore è stato quel tempo!
BRAKENBURY: Qual è stato il vostro sogno, mio signore? Vi prego di dirmelo.
CLARENCE: Mi pareva d'essere evaso dalla Torre, e d'essermi imbarcato per passare in Borgogna, e in mia compagnia mio fratello Gloucester, che mi aveva attirato dalla mia cabina a camminar sulla coperta: di costì noi guardavamo verso l'Inghilterra, e andavamo rievocando mille penosi momenti che ci eran capitati addosso durante le guerre di York e di Lancaster. Mentre camminavamo sul tentennante tavolato della coperta, mi pareva che Gloucester incespicasse e, nel cadere, spingesse me, che cercavo di rattenerlo, al di là del parapetto, nei vorticosi cavalloni dell'oceano. Signore, Signore! che pena sembrava essere annegato ! Che tremendo croscio d'acque nelle mie orecchie! Che orribili visioni di morte nei miei occhi! Mi pareva di vedere migliaia di spaventosi relitti, migliaia d'uomini che i pesci divoravano, lingotti d'oro grandi àncore, mucchi di perle, pietre inestimabili, gioielli senza prezzo, tutti sparpagliati al fondo del mare. Alcuni giacevano nei crani dei morti; e nelle cavità una volta occupate dagli occhi si erano insinuate, quasi a scherno degli occhi, gemme specchianti, che corteggiavano il melmoso fondo dell'abisso, e irridevano alle morte ossa sparpagliate intorno.
BRAKENBURY: Avevate in punto di morte tale agio da contemplare i segreti dell'abisso?
CLARENCE: Così mi pareva: e sovente mi sforzai di render lo spirito; ma sempre il maligno flutto occludeva la mia anima, e non la lasciava uscire verso la vuota, vasta, vagante aria, ma la soffocava nel mio corpo anelante, che quasi scoppiava per eruttarla.
BRAKENBURY: E non vi svegliaste in questa straziante agonia?
CLARENCE: No, no, il mio sogno si prolungava oltre la vita: oh, allora cominciava la tempesta per l'anima mia, che, parevami, passava il melanconico fiume con quel torvo nocchiero di cui parlano i poeti, verso il regno della perpetua notte. Il primo a salutar così la mia anima straniera era il mio grande suocero, il famoso Warwick, che ad alta voce diceva: "Qual castigo per lo spergiuro può dar questa nera monarchia al perfido Clarence?". E così svaniva: allora errando s'appressava un'ombra simile ad un angelo, con splendenti chiome intrise di sangue; e costui strideva ad alta voce: "Clarence è giunto, l'infido, incostante, spergiuro Clarence, che mi pugnalò nel campo presso Tewksbury: afferratelo Furie, trascinatelo al tormento!". Al che mi sembrava che una legione di sozzi demoni m'attorniasse, e ululasse nei miei orecchi sì orrende grida, che dall'intenso rumore io mi sono svegliato tremando, e per un bel pezzo non riuscivo a convincermi di non essere in inferno, sì terribile impressione m'aveva fatto il mio sogno.
BRAKENBURY: Nessuna meraviglia, signor mio, che vi abbia atterrito: io provo spavento, mi sembra, a udirvelo narrare.
CLARENCE: Oh Brakenbury! tutte quelle cose che già depongono contro la mia anima io le ho compiute per Edoardo; e vedi come me ne ricompensa!
O Dio, se le mie fervide preghiere non possono placarti, ma vuoi far vendetta delle mie colpe, pur manda ad effetto la tua collera su me solo; oh, risparmia la mia moglie innocente e i miei poveri figli!...
Custode, ti prego, stammi vicino per un po'; il mio animo è affranto, e vorrei dormire.
BRAKENBURY: Così farò, signor mio: Iddio conceda buon riposo a Vostra Grazia! (Clarence dorme) il dolore sconquassa i tempi e le ore del riposo, fa della notte mattino e del meriggio notte. I principi non hanno che i loro titoli per loro glorie, un onore esterno per un interno tormento, e, in cambio di chimere inattingibili, essi attingono sovente un mondo d'incessanti affanni: sicché tra i loro titoli e un nome plebeo non v'è altra differenza che la fama esteriore.
(Entrano i due Sicari)
PRIMO SICARIO: Ehi, chi c'è qui?
BRAKENBURY: Che vuoi, compare, e come sei venuto qui?
PRIMO SICARIO Voglio parlare con Clarence, e son venuto colle mie gambe.
BRAKENBURY: Che! così sbrigativo?
SECONDO SICARIO: E' meglio, messere, che esser tediosi. Mostragli il nostro ordine, e non dir altro.
(Brakenbury lo legge)
BRAKENBURY: Mi si comanda qui di consegnare nelle vostre mani il nobile duca di Clarence. Non voglio discutere quel che ciò significhi, perché voglio essere senza colpa nel significato. Là il duca sta dormendo ed ecco le chiavi. Vado dal re, a dirgli che così ho rassegnato a voi il mio ufficio.
PRIMO SICARIO: Fatelo, messere, è una saggia mossa: state bene.
(Brakenbury esce)
SECONDO SICARIO: Come, lo pugnaleremo mentre dorme?
PRIMO SICARIO: No; dirà che abbiamo agito da codardi quando si desta.
SECONDO SICARIO: Via, non si desterà più fino al giorno del giudizio.
PRIMO SICARIO: Ebbene, allora dirà che lo abbiamo pugnalato mentre dormiva.
SECONDO SICARIO: Il richiamo a quella parola "giudizio" ha fatto nascere in me una specie di scrupolo di coscienza.
PRIMO SICARIO: Che? Hai paura?
SECONDO SICARIO: Non di ucciderlo, avendo un'autorizzazione; ma d'esser dannato per averlo ucciso, dal che nessuna autorizzazione può difendermi.
PRIMO SICARIO: Credevo che tu fossi risoluto.
SECONDO SICARIO: Lo sono, di lasciarlo vivere.
PRIMO SICARIO: Torno dal duca di Gloucester e glielo dico.
SECONDO SICARIO: No, ti prego, aspetta un poco: spero che questo mio umor compassionevole cambi; soleva dominarmi soltanto il tempo che uno ci mette a contare fino a venti.
PRIMO SICARIO: Come ti senti adesso?
SECONDO SICARIO: Certi rimasugli di coscienza mi rimuginano ancora dentro.
PRIMO SICARIO: Ricorda la nostra ricompensa quando l'azione è compiuta.
SECONDO SICARIO: Perdio, egli muore! m'ero dimenticato della ricompensa.
PRIMO SICARIO: Dov'è ora la tua coscienza?
SECONDO SICARIO: Oh, nella borsa del duca di Gloucester.
PRIMO SICARIO: Quando egli apre la sua borsa per darci la nostra ricompensa, la tua coscienza prende il volo.
SECONDO SICARIO: Non importa, se ne vada: pochi o nessuno le daranno asilo.
PRIMO SICARIO: E se tornasse di nuovo da te?
SECONDO SICARIO: Non vuo' impicciarmene: rende un uomo codardo: un uomo non può rubare, che essa lo accusa; un uomo non può bestemmiare, che essa lo raffrena; un uomo non può giacersi colla moglie del suo vicino, che essa lo denuncia. E' uno spirito verecondo, incline al rossore, che si ribella nel petto d'un uomo; assiepa un uomo d'ostacoli: mi fece una volta restituire una borsa d'oro che avevo trovato per caso; riduce alla mendicità chiunque la serba, è cacciata dai paesi e dalle città come una cosa pericolosa; ed ogni uomo che vuol viver bene cerca di fidarsi di se stesso e di vivere senza di lei.
PRIMO SICARIO: Perdio, eccola al mio gomito, che mi persuade a non uccidere il duca!
SECONDO SICARIO: Da' di piglio a quel diavolo della tua mente, e non credergli: esso vorrebbe insinuarsi presso di te soltanto per farti sospirare.
PRIMO SICARIO: Io son di tempra robusta: esso non ce la può con me.
SECONDO SICARIO: Detto da uomo di fegato che rispetta la sua riputazione. Via, ci mettiamo all'opera?
PRIMO SICARIO: Dagli un colpo sulla zucca col pomo della tua spada, e poi gittalo nella botte di malvasia nella camera accanto.
SECONDO SICARIO: Ottima idea! far di lui un pan molle.
PRIMO SICARIO: Piano, si desta!
SECONDO SICARIO: Colpisci!
PRIMO SICARIO: No, ragioniamo con lui.
CLARENCE (svegliandosi): Dove sei, custode? dammi una coppa di vino.
PRIMO SICARIO: Avrete vino a sazietà, mio signore, tra poco.
CLARENCE: In nome di Dio, chi sei tu?
PRIMO SICARIO: Un uomo come voi.
CLARENCE: Ma non, come me, reale.
PRIMO SICARIO: Né voi siete, come noi, leale.
CLARENCE: La tua voce è un tuono, ma i tuoi sguardi sono umili.
PRIMO SICARIO: La mia voce è ora quella del re, i miei sguardi sono i miei propri.
CLARENCE: In che modo oscuro e mortale tu parli! I vostri occhi mi minacciano: perché siete così pallidi? Chi vi ha mandati qui? Perché siete venuti?
PRIMO SICARIO: Per, per, per...
CLARENCE: Per assassinarmi ?
PRIMO SICARIO: Appunto, appunto.
CLARENCE: Voi avete appena il cuore di dirmelo, perciò non potete avere il cuore di farlo. In che, amici miei, vi ho io offesi?
PRIMO SICARIO: Non siamo noi che avete offesi ma il re.
CLARENCE: Mi riconcilierò con lui.
SECONDO SICARIO: Giammai, signor mio; sicché preparatevi a morire.
CLARENCE: Siete voi estratti di tra la moltitudine degli uomini per ammazzare l'innocente? Qual è il mio delitto? Dov'è la prova che mi accusa? Quale inchiesta legale ha consegnato il suo verdetto all'accigliato giudice? o chi ha pronunziato l'amara sentenza di morte contro il povero Clarence? Prima che io sia convinto con regolare giudizio, minacciarmi di morte è quanto mai illegale. Per la speranza che voi avete d'esser redenti dal prezioso sangue dl Cristo versato pei nostri gravi peccati io v'ingiungo di uscire e di non metter la mano su di me! L'azione che voi intraprendete è dannabile.
PRIMO SICARIO: Quello che stiamo per fare lo facciamo dietro un comando.
SECONDO SICARIO: E colui che ha comandato è il nostro re.
CLARENCE: Traviati vassalli! il gran Re dei re nella tavola della sua legge ha comandato: "tu non ucciderai". Calpesterete voi dunque il suo editto per eseguire quello d'un uomo? Badate; poiché Egli tien la vendetta nella sua mano, per scagliarla sulla testa di coloro che infrangono la sua legge.
SECONDO SICARIO: E codesta vendetta Egli scaglia su te come perfido spergiuro e anche omicida. Tu avevi ricevuto l'Ostia consacrata per combattere nella fazione della casa di Lancaster.
PRIMO SICARIO: E, come traditore al nome di Dio, tu rompesti quel voto, e con la tua proditoria lama squarciasti le viscere del figlio del tuo sovrano.
SECONDO SICARIO: Che tu avevi giurato di amare e di difendere.
PRIMO SICARIO: Come puoi tu richiamarci alla terribile legge di Dio quando tu stesso l'hai infranta in modo così cospicuo?
CLARENCE: Ahimè, per cagione di chi commisi lo quella mala azione? Per Edoardo, per mio fratello, per cagion di lui: egli non vi manda ad uccidermi per questo, poiché egli è ingolfato in quel delitto al pari di me. Se Iddio vuole vendetta per quell'azione, oh, sappiatelo pure!
Egli la fa pubblicamente. Non togliete la lite al suo braccio possente; Egli non abbisogna di procedimenti indiretti o illegali per toglier di mezzo coloro che l'hanno offeso.
PRIMO SICARIO: Chi dunque ti fece suo sanguinoso ministro quando l'aitante, prode Plantageneto, quel principesco novizio, fu colpito a morte da te?
CLARENCE: L'amore per mio fratello, il diavolo, e la mia rabbia.
PRIMO SICARIO: L'amore per tuo fratello, il nostro dovere, e le tue colpe ci spingon qui ora ad ammazzarti.
CLARENCE: Se amate mio fratello, non odiate me: io son suo fratello, e l'amo di cuore. Se siete ingaggiati per mercede, tornate indietro, ed io vi manderò da mio fratello Gloucester, che vi ricompenserà di più per la mia vita che non farebbe Edoardo per la notizia della mia morte.
SECONDO SICARIO: V'ingannate, vostro fratello Gloucester vi odia.
CLARENCE: Oh, no! egli mi ama e mi tien caro: andate da lui da parte mia.
PRIMO SICARIO: Sì, così faremo.
CLARENCE: Ditegli che quando il nostro principesco padre York benedisse i suoi tre figli col suo braccio vittorioso e ci raccomandò dal fondo dell'anima di amarci, era lontano dall'immaginarsi questa scissione d'affetto: dite a Gloucester di pensare a questo, ed egli piangerà.
PRIMO SICARIO: Già, pietre da macina, come insegnò a noi a piangere.
CLARENCE: Oh, non calunniatelo, poiché egli è buono.
PRIMO SICARIO: Proprio, come la neve durante il raccolto. Via, v'ingannate: è lui che ci ha mandati qui a distruggervi.
CLARENCE: Non può essere, poiché egli ha pianto la mia sorte, mi ha stretto fra le sue braccia, ed ha giurato singhiozzando che si sarebbe dato da fare per la mia liberazione.
PRIMO SICARIO: Ebbene, così fa quando vi libera dalla schiavitù di questa terra per mandarvi alle gioie del cielo.
SECONDO SICARIO: Fate la pace con Dio, poiché dovete morire, mio signore.
CLARENCE: Avete voi questo pio sentimento nell'anima, di consigliarmi di far la mia pace con Dio, e nondimeno siete così ciechi con le vostre anime da mettervi in guerra con Dio uccidendomi? Oh, messeri, considerate, coloro che vi han stimolati a compiere quest'azione, vi odieranno per l'azione.
SECONDO SICARIO: Che dobbiam fare?
CLARENCE: Inteneritevi e salvate le vostre anime.
PRIMO SICARIO: Intenerirci! no, è da vili e da femmine.
CLARENCE: Non intenerirsi è bestiale, barbaro, diabolico. Chi di voi, se fosse figlio d'un principe, e segregato dalla libertà, come son io adesso, e venissero a lui due assassini come voi, non implorerebbe per la vita? Amico mio, scorgo qualche pietà nei tuoi sguardi; oh, se il tuo occhio non è un adulatore, mettiti al mio fianco e implora per me, come tu imploreresti, se ti trovassi nel mio frangente! Un principe che mendica, quale mendico non ne ha pietà?
SECONDO SICARIO: Guardate dietro di voi, signor mio!
PRIMO SICARIO: Prendi questa, e questa! (Lo pugnala) Se tutto ciò non basta, vi annegherò nella botte di malvasia là dentro.
(Esce con il cadavere)
SECONDO SICARIO: Azione sanguinosa, e disperatamente sbrigata! Quanto volentieri, come Pilato, mi laverei le mani di questo atrocissimo assassinio...
(Rientra il Primo Sicario)
PRIMO SICARIO: Ebbene! che significa che non mi aiuti? Pel cielo, il duca saprà quanto sei stato neghittoso.
SECONDO SICARIO: Vorrei sapesse che gli ho salvato il fratello! Prendi tu il salario, e riferiscigli quello ch'io dico; poiché io mi pento che il duca sia stato ucciso.
PRIMO SICARIO: Io no davvero: vattene, codardo che sei ! Be', andrò a nascondere il cadavere in qualche cantone, finché il duca dia ordine per la sua sepoltura: e quando avrò avuta la mia mercede, me la svignerò, perché questo verrà in luce, e allora io non debbo esserci.
(Esce)
ATTO SECONDO
EDOARDO: E così! ecco che ho impiegato la giornata in una bell'opera.
Voi, pari, continuate questa lega così unita: io attendo ogni giorno un'ambasciata dal mio Redentore per redimermi di qui; ed ora l'anima mia partirà in pace verso il cielo poiché ho messa la pace tra i miei amici sulla terra. Rivers e Hastings, datevi la mano; non fingete di non odiarvi, giurate di amarvi.
RIVERS: Pel cielo, la mia anima è purgata da astioso odio, e con la mia mano io suggello l'amor sincero del mio cuore.
HASTINGS: Così possa io prosperare, come sinceramente giuro il medesimo.
EDOARDO: Badate di non scherzare dinanzi al vostro re, che Colui che è il supremo Re dei re non confonda la vostra celata falsità e non condanni ciascun di voi due ad esser la fine dell'altro.
HASTINGS: Così mi arrida il successo, com'io giuro perfetto amore!
RIVERS: E così a me, com'io amo di cuore Hastings!
EDOARDO: Signora, voi stessa non siete esente da questo, e neanche voi, figliol mio Dorset; e neanche voi, Buckingham: voi siete stati faziosi l'uno contro l'altro. Sposa, amate lord Hastings, lasciate che egli vi baci la mano; e quel che fate, fatelo senza infingimenti.
ELISABETTA: Ecco qua, Hastings; io non vuo' più ricordare il nostro odio di prima, così possiamo io e i miei prosperare!
EDOARDO: Dorset, abbracciatelo; Hastings, amate monsignore il marchese.
DORSET: Questa mutua promessa d'amore, io qui m'impegno per parte mia, sarà inviolabile.
HASTINGS: E così pure io giuro.
(Si abbracciano)
EDOARDO: Ora, principesco Buckingham, suggella tu questa lega abbracciando i parenti di mia moglie, e fammi felice con la vostra unione.
BUCKINGHAM (alla Regina): Se mai Buckingham rivolge il suo odio contro Vostra Grazia, se egli non ama voi e i vostri con tutto deferente amore, Iddio mi punisca con l'odio di coloro dai quali io attendo più amore! Allorché ho più bisogno dell'assistenza d'un amico, e son più sicuro che egli è un amico, sia egli con me subdolo, insincero, traditore, e pieno d'inganno! Questo io chiedo a Dio, quand'io sia freddo nell'amar voi e i vostri.
(Si abbracciano)
EDOARDO: Un grato cordiale, o principesco Buckingham, è questo tuo voto pel mio cuore infermo. Ci manca ora qui nostro fratello Gloucester per fare il felice coronamento di questa pace.
BUCKINGHAM: Ed ecco che in buon punto viene il nobile duca.
(Entra GLOUCESTER)
GLOUCESTER: Buon giorno al re mio sovrano e alla mia regina; e a voi, principeschi pari, felice dì!
EDOARDO: Felice davvero, pel modo in cui l'abbiamo speso. Gloucester, abbiamo fatto opere di carità, mutando l'inimicizia in pace, l'odio in leale amore, tra questi pari gonfi d'ira, sdegnati a torto.
GLOUCESTER: Una benedetta fatica, mio sovrano signore. In quest'accolta principesca se v'è alcuno che per una falsa informazione o un'errata supposizione mi ritenga un nemico; se a mia insaputa o nella mia collera io ho commesso cosa la quale sia mal tollerata da alcuno in questa adunata, io desidero di riconciliarmi in amichevol pace con lui: per me essere in discordia è come la morte; è cosa che detesto; desidero l'amore di tutti i buoni. In primo luogo, signora, imploro da voi una sincera pace che io proclamerò con una deferente servitù; e da voi, mio nobile cugino Buckingham, se mai alcun astio si frapponesse tra noi; e da voi, lord Rivers, e, lord Grey, da voi, che mi avete fatto il viso arcigno tutti senza che io lo meritassi; da voi tutti, insomma, duchi, conti, pari, gentiluomini: non conosco alcun inglese vivo col quale l'anima mia sia in discordia un briciolo più di quel che non lo sia col bambino che è nato stasera: io ringrazio Iddio della mia mansuetudine.
ELISABETTA: Questo giorno sarà osservato d'ora in poi come festivo:
volesse Iddio che tutte le contese fossero ben composte. Mio sovrano signore, io supplico Vostra Altezza di prendere nella sua grazia nostro fratello Clarence.
GLOUCESTER: Come, signora, ho io offerto l'amor mio per questo, per esser così schernito in questa regal presenza? Chi non sa che l'amabile duca è morto?
(Tutti trasaliscono) Voi gli fate offesa deridendo il suo cadavere.EDOARDO: Chi non sa che è morto! Chi sa che lo sia?
ELISABETTA: Onniveggente cielo, che mondo è questo!
BUCKINGHAM: Sono io così pallido, lord Dorset come gli altri?
DORSET: Sì, mio buon signore; e non v'è alcuno in questa adunata, a cui il rosso non abbia abbandonato le guance.
EDOARDO: E' morto Clarence? L'ordine fu revocato.
GLOUCESTER: Ma lui, poveretto, è morto pel vostro primo ordine, e codesto lo recò un alato Mercurio; qualche lento sciancato portò il contrordine, e troppo tardi giunse per vederlo seppellire. Dio voglia che qualcuno, meno nobile e men leale, più prossimo in sanguinari pensieri e meno in sangue, non meriti peggio dello sventurato Clarence, eppure vada franco da sospetto!
(Entra DERBY)
DERBY: Un favore, mio sovrano, pei servigi che ho reso!
EDOARDO: Te ne prego, taci: l'anima mia è piena di dolore.
DERBY: Non m'alzerò, a meno che Vostra Altezza non mi ascolti.
EDOARDO: Allora di' subito che cos'è che domandi.
DERBY: La grazia, sovrano, della vita d'un mio servo, che ha ucciso quest'oggi un gentiluomo turbolento che ultimamente era del seguito del duca di Norfolk.
EDOARDO: Ho io una lingua per condannare a morte mio fratello, e dovrà questa lingua perdonar la vita ad uno schiavo? Mio fratello non aveva ucciso nessuno: la sua colpa era il pensiero; e nondimeno il suo castigo è stato una morte crudele. Chi m'ha supplicato in suo favore?
Chi, nella mia collera, s'è inginocchiato ai miei piedi e mi ha ammonito di esser cauto? Chi ha parlato di fratellanza? Chi ha parlato di amore? Chi mi ha rammentato come il poveretto abbandonò il possente Warwick e combatté per me? Chi mi ha rammentato come, sul campo di Tewksbury, quando Oxford m'ebbe atterrato, egli mi soccorse e disse:
"Caro fratello, vivi e sii re"? Chi mi ha rammentato come, allorché entrambi eravamo stesi sul campo, mezzi morti dal gelo, egli mi ravvolse nelle sue proprie vesti, e si abbandonò, esile e ignudo alla fredda assiderante notte? Tutto questo è stato colpevolmente strappato dalla mia memoria dalla brutale collera, e nessuno di voi ha avuto tanta grazia da ricordarmelo. Ma quando i vostri barrocciai o i vostri servitori han commesso, ubriachi, un assassinio, e sfigurato la preziosa immagine del nostro amato Redentore, eccovi subito in ginocchio a supplicare perdono, perdono; ed io, pure ingiustamente, debbo accordarvelo: ma per mio fratello, nessuno ha voluto parlare, neanch'io, indurato, ho parlato a me stesso in favor di lui, poveretto! I più superbi di voi tutti son rimasti obbligati a lui durante la sua vita; eppure nessuno di voi ha una sola volta chiesto la grazia della sua vita. O Dio, io temo che la tua giustizia non colpisca me, e voi, e i miei, e i vostri per questo! Vieni Hastings, aiutami ad andar nel mio studio. Ah, povero Clarence!
(Escono alcuni con il Re e la Regina)
GLOUCESTER: Ecco il frutto dell'avventatezza. Non avete osservato come i colpevoli parenti della regina sono impalliditi udendo della morte di Clarence? Oh, essi non cessavano d'incitarvi il re: Iddio la vendicherà. Suvvia, signori, volete venire a confortare Edoardo con la nostra compagnia?
BUCKINGHAM: Seguiamo Vostra Grazia.
(Escono)
SCENA SECONDA - Il Palazzo
(Entra la DUCHESSA DI YORK, con i due bambini di Clarence)
IL BAMBINO: Buona nonna, dicci, è morto nostro padre?
DUCHESSA: No, fanciullo.
LA BAMBINA: Perché piangete così spesso, e vi battete il petto, e gridate: "Oh Clarence, misero figlio mio?".
IL BAMBINO: Perché ci guardate, e scuotete il capo e ci chiamate orfani, sciagurati derelitti, se il nostro nobile padre è vivo?
DUCHESSA: Miei graziosi nipoti, voi mi fraintendete entrambi. Io piango la malattia del re, che aborrisco di perdere, non la morte di vostro padre: sarebbe pena perduta lamentare chi è perduto.
IL BAMBINO: Dunque voi concludete, nonna, che egli è morto. Il re mio zio dev'essere biasimato: ne farà vendetta Iddio, che io importunerò con fervide preghiere, tutte con quell'intento.
LA BAMBINA: E così farò io.
DUCHESSA: Silenzio, bambini, silenzio! il re vi vuol bene. Ignari e semplici innocenti, voi non potete indovinare chi ha causato la morte di vostro padre.
IL BAMBINO: Lo possiamo, nonna, perché il mio buon zio Gloucester mi ha detto che il re, istigatovi dalla regina, aveva escogitato capi d'accusa per imprigionarlo, e quando mio zio m'ha detto questo, piangeva e mi commiserava, e teneramente mi ha baciato la guancia, m'ha detto di contar su di lui, come su mio padre, e che egli mi avrebbe amato caramente come un figliolo.
DUCHESSA: Ah, che la frode abbia da rubare forma così amabile, e celare profondo vizio sotto una maschera virtuosa! Costui è mio figlio, sicuro, e lì è la mia vergogna; eppure dalle mie mammelle egli non ha succhiato codesta perfidia.
IL BAMBINO: Credete che mio zio fingesse, nonna?
DUCHESSA: Sì, fanciullo.
IL BAMBINO: Non posso crederlo. Ascoltate! che strepito è questo?
(Entrano la REGINA ELISABETTA, scarmigliata; RIVERS e DORSET dietro di lei)
ELISABETTA: Ah! chi m'impedirà di gemere e di piangere, d'imprecare alla mia sorte e di tormentar me stessa? Vuo' unirmi colla nera disperazione contro la mia anima, e diventar nemica di me stessa.
DUCHESSA: A che mira questa scena di selvaggia insofferenza?
ELISABETTA: A completare un atto di violenza tragica. Edoardo, il mio signore, tuo figlio, il nostro re, è morto. Perché seguitano a crescere i rami quando la radice è andata? Perché non s'avvizziscono le foglie che mancano del loro umore? Se volete vivere, lamentatevi, se morire, siate brevi, affinché le nostre veloci pennute anime possan raggiungere quella del re, o, come obbedienti sudditi, seguirlo al suo nuovo regno d'immutabile notte.
DUCHESSA: Ah! tanto interesse io ho nel tuo dolore, quanti avevo titoli sul tuo nobile sposo. Io ho pianto la morte d'un degno sposo, e ho vissuto contemplando le sue immagini: ma ora due specchi della sua principesca sembianza sono infranti dalla maligna morte, e per conforto io non ho che un falso cristallo, che mi angustia quand'io vedo in esso la mia vergogna. Tu sei vedova, ma sei madre, e ti resta il conforto dei tuoi figli; ma la morte ha strappato dalle mie braccia il mio sposo e mi ha tolto dalle deboli mani due grucce, Clarence e Edoardo. Oh! quanta ragione ho - il tuo cordoglio non essendo che la metà del mio - di soverchiare i tuoi lamenti e di coprire i tuoi gemiti!
IL BAMBINO: Ah, zia! voi non avete pianto per la morte di nostro padre; come possiamo noi aiutarvi con le nostre lacrime di parenti?
LA BAMBINA: La nostra orfana angoscia rimase illacrimata; il vostro dolore di vedova sia ugualmente non compianto!
ELISABETTA: Non datemi alcun aiuto di lamentazione; io non sono sterile a partorir gemiti: tutte le sorgenti riportino i loro rivoli ai miei occhi, sicché io, sotto l'influsso dell'acquosa luna, possa effondere copiose lacrime da sommergere il mondo Oh, il mio sposo, il mio diletto signore Edoardo!
I DUE BAMBINI: Oh, il nostro padre, il nostro diletto signore Clarence!
DUCHESSA: Ahimè per entrambi, entrambi miei, Edoardo e Clarence!
ELISABETTA: Che sostegno avevo io se non Edoardo? Ed egli non è più.
I DUE BAMBINI: Che sostegno avevamo noi se non Clarence? Ed egli non è più.
DUCHESSA: Che sostegni avevo io se non loro due? Ed essi non sono più.
ELISABETTA: Mai vedova non ebbe una perdita così grave!
I DUE BAMBINI: Mai orfani non ebbero una perdita così grave!
DUCHESSA: Madre non ebbe mai una perdita così grave! Ahimè, io sono la madre di questi lutti: le loro afflizioni sono così parziali, la mia è generale. Costei piange un Edoardo, e così faccio io; io piango un Clarence, e così non fa lei, questi bambini piangono un Clarence, e così faccio io; io piango un Edoardo, e così non fanno essi. Ahimè!
voi tre versate tutte le vostre lacrime su di me, tre volte afflitta.
Io sono la nutrice del vostro dolore, e lo satollerò di lamentazioni.
DORSET: Confortatevi, cara madre: a Dio molto dispiace che voi accogliate con ingratitudine la sua opera. Nei comuni rapporti di questo mondo, si chiama essere ingrati ripagare con svogliata lentezza un debito che fu cortesemente concesso da una mano generosa; tanto più si merita quel nome quando si è così restii al cielo perché richiede quel regal prestito che ci fece.
RIVERS: Signora, pensate, da madre sollecita, al giovane principe vostro figlio: mandatelo subito a chiamare; fatelo incoronare; in lui vive il vostro conforto. Affogate il disperato dolore nella tomba del morto Edoardo, e piantate le vostre gioie nel trono dell'Edoardo vivo.
(Entrano GLOUCESTER, BUCKINGHAM, DERBY, HASTINGS e RATCLIFF)
GLOUCESTER: Sorella, confortatevi; noi tutti abbiam ragione di lamentare l'offuscarsi della nostra luminosa stella; ma nessuno può rimediare i nostri danni lamentandoli. Signora, mia madre, vi chiedo venia, io non avevo veduto Vostra Grazia: umilmente in ginocchio imploro la vostra benedizione.
DUCHESSA: Iddio ti benedica e ponga mansuetudine nel tuo petto, amore, carità, obbedienza, e leale devozione!
GLOUCESTER: Amen: (a parte) e mi faccia morire buon vecchio! Questo è il coronamento della benedizione d'una madre; mi meraviglia che Sua Grazia l'abbia omesso.
BUCKINGHAM: Voi, rannuvolati principi e afflitti pari, che portate questo grave peso comune d'affanno, ora consolatevi l'un l'altro con reciproco amore: benché noi abbiam consumato il raccolto di questo re, abbiam da mietere il raccolto di suo figlio. L'esploso rancore dei vostri tumefatti odi, or ora fasciato, saldato e unito assieme, dev'esser delicatamente così preservato, blandito e mantenuto. Sarebbe bene, mi sembra, che con una piccola scorta, il giovane principe venisse subito condotto da Ludlow qui a Londra, per essere incoronato nostro re.
RIVERS: Perché con una piccola scorta, monsignore di Buckingham?
BUCKINGHAM: Diamine, signor mio, perché, in una moltitudine, la ferita dell'astio, risanata appena, non si riapra, il che sarebbe tanto più pericoloso, in quanto lo Stato è nuovo e non ancor governato. Là dove ogni cavallo ha la briglia sul collo, e può dirigere il suo corso a suo talento, dovrebbe prevenirsi, a mio parere, il timore del danno non meno del danno manifesto.
GLOUCESTER: Spero che il re abbia fatto la pace tra noi tutti; e il patto è saldo e sincero per me.
RIVERS: E così per me; e così, io credo, per tutti: nondimeno, siccome è ancora fresco, non dovrebbe esser messo a nessun presumibile rischio di rottura, che forse potrebbe venir provocata da una numerosa compagnia: perciò io ritengo, col nobile Buckingham, che è opportuno che pochi vadano a prendere il principe.
HASTINGS: Così ritengo anch'io.
GLOUCESTER: Allora sia così; e andiamo a decidere chi dovranno esser coloro che immediatamente dovran correre a Ludlow. Signora, e voi, madre mia, volete andare a dar il vostro parere in questa faccenda?
ELISABETTA: Con tutto il cuore.
DUCHESSA: Con tutto il cuore.
(Escono tutti eccetto Buckingham e Gloucester)
BUCKINGHAM: Mio signore, chiunque sia a recarsi dal principe, per amor di Dio, noi due non rimaniamo addietro, che, per la strada, io troverò modo, qual preambolo alla storia di cui abbiamo parlato ultimamente, di separare dal principe i superbi parenti della regina.
GLOUCESTER: O altro me stesso, concistoro dei miei consigli, mio oracolo, mio profeta!... Mio caro cugino, io mi affiderò alla tua guida come un fanciullo. A Ludlow, dunque, ché noi non resteremo addietro.
(Escono)
SCENA TERZA - Londra. Una strada
(Entrano due Cittadini e s'incontrano)
PRIMO CITTADINO: Buongiorno, vicino: dove ve ne andate così in fretta?
SECONDO CITTADINO: Ve lo giuro che appena lo so io stesso: avete udito la notizia che corre?
PRIMO CITTADINO: Sì, che il re è morto.
SECONDO CITTADINO: Cattiva notizia, per la Madonna; di rado viene il meglio: ho una gran paura che ne barcolli il mondo.
(Entra un altro Cittadino)
TERZO CITTADINO: Vicini, Iddio v'assista!
PRIMO CITTADINO: Vi dia un buon mattino, messere.
TERZO CITTADINO: E' confermata la notizia della morte del buon re Edoardo?
SECONDO CITTADINO: Sì, messere, non è che troppo vera, che Dio ci aiuti intanto!
TERZO CITTADINO: Allora, signori, aspettatevi di vedere un mondo sottosopra.
PRIMO CITTADINO: No, no, per grazia di Dio, suo figlio regnerà.
TERZO CITTADINO: Guai al paese che è governato da un fanciullo!
SECONDO CITTADINO: In lui abbiamo la speranza d'un governo, che, nella sua minorità, un consiglio sotto di lui, e, nella pienezza e maturità dei suoi anni, lui stesso, senza dubbio ben reggerà e allora e fin allora.
PRIMO CITTADINO: In tal condizione si trovava lo Stato, quando Enrico Sesto fu incoronato a Parigi che non aveva più di nove mesi.
TERZO CITTADINO: Lo Stato si trovava in tal condizione? No, no, buoni amici, lo sa Iddio! Ché allora questo paese era magnificamente provvisto di grave consiglio politico; allora il re aveva zii virtuosi per proteggere Sua Grazia.
PRIMO CITTADINO: Ebbene, così ha questo pure, sia da parte di padre che di madre.
TERZO CITTADINO: Meglio sarebbe che tutti venissero dalla parte del padre, o che dalla parte del padre non ve ne fosse alcuno, poiché la loro emulazione a chi sarà più vicino al re, ci toccherà tutti fin troppo da vicino, se Iddio non vi mette riparo. Oh! pien di pericolo è il duca di Gloucester, e i figli e i fratelli della regina sono altezzosi e superbi, e dovessero costoro esser governati, invece di governare, quest'infermo paese potrebbe trovar sollievo come prima.
PRIMO CITTADINO: Via, via, noi temiamo il peggio; tutto andrà bene.
TERZO CITTADINO: Quando si vedono nuvole, gli uomini saggi si mettono il mantello; quando cadono le grandi foglie, allora l'inverno è vicino; quando tramonta il sole, chi non aspetta la notte? Le tempeste fuor di stagione fan che gli uomini si attendano una carestia. Tutto può andar bene; ma, se Iddio così dispone, è più di quanto meritiamo, od io aspetti.
SECONDO CITTADINO: In verità, i cuori degli uomini son pieni di spavento: quasi non potete ragionare con alcuno che non abbia l'aria abbattuta e piena di paura.
TERZO CITTADINO: E' sempre così prima delle giornate di rivolgimenti:
per un divino istinto gli animi degli uomini sospettano il pericolo che li incalza, come, per prova, vediamo l'acqua gonfiarsi in anticipo d'una violenta tempesta. Ma lasciamo tutto questo a Dio. Dove andate?
SECONDO CITTADINO: Affé, siamo stati chiamati dinanzi ai giudici.
TERZO CITTADINO: E così io pure vi terrò compagnia.
(Escono)
SCENA QUARTA - Londra. Il Palazzo
(Entrano l'ARCIVESCOVO DI YORK, il giovane DUCA DI YORK, la REGINA ELISABETTA e la DUCHESSA DI YORK)
ARCIVESCOVO: La notte scorsa, sento, essi riposarono a Northampton; saranno questa sera a Stony-Stratford: domani, o posdomani, saranno qui.
DUCHESSA: Anelo con tutto il cuore di vedere il principe: spero che sia molto cresciuto dall'ultima volta che l'ho visto.
ELISABETTA: Ma io ho inteso dire di no; dicono che mio figlio York l'ha quasi sorpassato nella sua crescita.
YORK: Sì, madre; ma io non vorrei che fosse così.
DUCHESSA: Come, nipotino mio! è bene crescere.
YORK: Nonna, una sera, mentre eravamo a cena, mio zio Rivers osservò che io crescevo più di mio fratello: "Già - disse lo zio Gloucester - l'erba piccina ha grazia, la gran malerba di crescer non si sazia", e da allora, mi sembra che non vorrei crescer così rapidamente, perché i fiori profumati son lenti, e le erbacce s'affrettano.
DUCHESSA: In fede, in fede, il proverbio non tenne in colui che te l'ha opposto. Da giovane egli era l'essere più stentato, così lento a crescere, e così tardivo, che, se fosse vera la sua regola, egli dovrebb'essere grazioso.
ARCIVESCOVO: E tale egli è senza dubbio, mia graziosa signora.
DUCHESSA: Spero che lo sia; ma pure lasciate che le madri abbiano i loro dubbi.
YORK: Ecco, in verità, se ci avessi pensato, avrei potuto dare a Sua Grazia mio zio una canzonatura tale da colpir la sua crescita più da vicino che egli non colpisse la mia.
DUCHESSA: Come, mio piccolo York? Ti prego, fammela sentire.
YORK: Già, dicono che mio zio crebbe così rapidamente, che all'età di due ore poteva rosicare una crosta; ci vollero due anni interi prima che io avessi un dente. Nonna, questo sarebbe stato un frizzo mordace.
DUCHESSA: Ti prego, vago York, chi t'ha detto questo?
YORK: La sua nutrice, nonna.
DUCHESSA: La sua nutrice! Ma se era morta prima che tu nascessi!
YORK: Se non era lei, non so dire chi me l'ha detto.
ELISABETTA: Che ragazzo terribile! andate, siete troppo furbo.
ARCIVESCOVO: Buona signora, non vi adirate col bambino.
ELISABETTA: Gli orciuoli hanno orecchie.
(Entra un Messo)
ARCIVESCOVO: Arriva un messaggero. Che notizie?
MESSO: Notizie tali, monsignore, che mi duole di riferirle.
ELISABETTA: Come sta il principe?
MESSO: Bene, signora, e in buona salute.
DUCHESSA: Quali sono le tue notizie?
MESSO: Lord Rivers e lord Grey son mandati a Pomfret, e insieme con loro sir Tommaso Vaughan, prigionieri.
DUCHESSA: Chi li ha fatti arrestare?
MESSO: I potenti duchi, Gloucester e Buckingham.
ARCIVESCOVO: Per qual delitto?
MESSO: La somma di tutto quel che io so l'ho rivelata: perché, o per qual motivo quei nobili siano stati arrestati, m'è del tutto ignoto, mio grazioso signore.
ELISABETTA: Ahimè! vedo la rovina della mia casa! La tigre ha ghermito ora la mite damma; l'insolente tirannia comincia a farla da padrona col trono innocente e non temuto: benvenuti, distruzione, eccidio, massacro! Io vedo, come su una carta, la fine di tutto.
DUCHESSA: Maledetti e turbolenti giorni di lotte, quanti di voi han visto i miei occhi! Mio marito perdette la vita per ottener la corona; e spesso i figli miei furon sbalzati in alto e in basso, sicché io mi rallegravo e mi dolevo ora dei loro guadagni, ora delle loro perdite; e una volta insediati, quando i domestici litigi sono stati spazzati via nettamente, essi stessi, i conquistatori, si fan guerra, fratello contro fratello, sangue contro sangue, ognuno contro di sé. O passione perversa e frenetica, cessa il tuo dannato furore, o che io possa morire, per non vedere più la morte.
ELISABETTA: Vieni, vieni, ragazzo mio; andiamo al sacrato. Signora, addio.
DUCHESSA: Aspettate, verrò con voi.
ELISABETTA: Voi non ne avete ragione.
ARCIVESCOVO: Mia graziosa signora, andate; e recate là il vostro tesoro e i vostri beni. Per parte mia, io rassegno a Vostra Grazia il suggello che custodisco: e tal sia di me secondo che avrò cura di voi e di tutti i vostri! Venite, vi accompagnerò al sacrato.
(Escono)
ATTO TERZO
BUCKINGHAM: Benvenuto, dolce principe, a Londra, vostra stanza!
GLOUCESTER: Benvenuto, caro nipote, sovrano dei miei pensieri. La faticosa via vi ha reso melanconico.
PRINCIPE: No, zio; ma le nostre croci lungo la via l'han resa tediosa, penosa, e opprimente: qui desidero più zii per augurarmi il benvenuto.
GLOUCESTER: Dolce principe, l'immacolata virtù dei vostri anni non ha ancora penetrato le frodi del mondo: né voi potete distinguere d'un uomo più della sua apparenza esteriore; la quale, lo sa Iddio, di rado o giammai coincide col cuore. Quegli zii che voi desiderate erano pericolosi: Vostra Grazia attendeva alle loro parole inzuccherate, ma non guardava il veleno dei loro cuori: Dio vi guardi da essi, e da tali falsi amici!
PRINCIPE: Dio mi guardi dai falsi amici! ma essi non lo erano.
GLOUCESTER: Mio signore, il sindaco di Londra viene a salutarvi.
(Entra il LORD SINDACO col suo Seguito)
SINDACO: Dio conceda a Vostra Grazia salute e giorni felici!
PRINCIPE: Vi ringrazio, mio buon lord, e ringrazio voi tutti. Io credevo che mia madre e mio fratello York mi sarebbero venuti incontro da un pezzo: ohibò, che infingardo è Hastings, che non viene a dirci se essi verranno o no!
(Entra LORD HASTINGS)
BUCKINGHAM: Ecco che in buon punto viene il sudato lord.
PRINCIPE: Benvenuto, signor mio! Ebbene verrà nostra madre?
HASTINGS: Per qual ragione Dio lo sa, non io, la regina vostra madre e vostro fratello York hanno preso asilo: il tenero principe sarebbe venuto volentieri con me a incontrare Vostra Grazia, ma ne è stato trattenuto per forza da sua madre.
BUCKINGHAM: Oibò! che obliquo e bizzoso modo d'agire è questo suo!
Lord cardinale, vuole Vostra Grazia persuader la regina a mandare il duca di York subito dal suo real fratello? Se essa rifiuta, lord Hastings, andate con lui, e strappatelo a forza dalle sue gelose braccia.
CARDINALE: Monsignore di Buckingham, se la mia debole eloquenza può ottenere da sua madre il duca di York, aspettatelo qui tra breve; ma se essa è irremovibile a miti preghiere; il Dio del cielo vieti che noi infrangiamo il santo privilegio del benedetto asilo! Non per tutto questo regno io vorrei esser colpevole di sì grave peccato.
BUCKINGHAM: Voi siete troppo insensatamente ostinato, monsignore, troppo cerimonioso e ligio alla tradizione. Sol che pesiate la cosa alla stregua della grossolanità di questi tempi, voi non infrangete il diritto di asilo impadronendovi del principe. Il quale diritto vien sempre accordato a coloro le cui azioni hanno meritato quel luogo, e a coloro che hanno abbastanza giudizio da reclamarlo: il principe non l'ha né reclamato né meritato, e perciò, a mio parere, non può averlo; sicché, togliendo di là lui che è come non fosse là, voi non violate là né privilegio né carta. Spesso ho sentito parlare di uomini aventi diritto d'asilo, ma non mai sinora di fanciulli che lo avessero.
CARDINALE: Mio signore, per una volta voi prevarrete sulla mia opinione. Andiamo, lord Hastings, volete venire con me?
HASTINGS: Vengo, monsignore.
PRINCIPE: Miei buoni signori, spiegate tutta la sollecita rapidità che potete. (Escono il Cardinale e Hastings) Ditemi, zio Gloucester, se viene nostro fratello, dove abiteremo noi fino alla nostra incoronazione?
GLOUCESTER: Dove meglio pare a Vostra Altezza reale. Se posso darvi un consiglio, per un giorno o due Vostra Altezza dovrebbe riposarsi alla Torre; poi dove a voi piace e dove si giudicherà più conveniente per la vostra salute e ricreazione.
PRINCIPE: La Torre è il luogo che mi piace meno d'ogni altro. Fu Giulio Cesare a costruir quel luogo, mio signore?
BUCKINGHAM: Egli, mio grazioso signore, ne cominciò la fabbrica; dipoi le successive età l'han riedificato.
PRINCIPE: E' ciò attestato da un documento oppure è stato tramandato successivamente di secolo in secolo che egli l'edificasse?
BUCKINGHAM: E' attestato, mio grazioso signore.
PRINCIPE: Ma ditemi, signor mio, se non fosse registrata, mi sembra che la verità dovrebbe vivere di secolo in secolo, come fosse riferita a tutta la posterità, fino al giorno finale per tutti.
GLOUCESTER (a parte): Così saggi e così giovani, dicono, mai non si vive a lungo.
PRINCIPE: Che dite, zio?
GLOUCESTER: Dico che anche senza l'aiuto dei caratteri, la fama vive a lungo. (A parte) Così, come la tradizionale allegoria del vizio, Iniquità, io moralizzo due significati in una stessa parola.
PRINCIPE: Quel Giulio Cesare era un uomo famoso; l'arricchimento che il suo valore conferì al suo spirito, il suo spirito lo dettò per far vivere il suo valore: la Morte non fa conquista di tal conquistatore, poiché ora egli vive nella fama, sebbene non più nella vita. Volete sapere una cosa, cugino Buckingham?...
BUCKINGHAM: Cosa, mio grazioso signore?
PRINCIPE: Se vivo fino ad essere un uomo fatto, riguadagnerò il nostro antico diritto sulla Francia, o morirò da soldato, come sarò vissuto da re.
GLOUCESTER (a parte): Brevi estati han facilmente una primavera precoce.
(Entrano il giovane YORK, HASTINGS e il CARDINALE)
BUCKINGHAM: Ecco che in buon punto qui giunge il duca di York.
PRINCIPE: Riccardo di York! come sta il nostro amato fratello?
YORK: Bene, mio temuto signore - che oramai così debbo chiamarvi.
PRINCIPE: Sì fratello, con nostro, come con vostro rammarico: troppo di recente è morto colui che avrebbe potuto conservare quel titolo che per la morte sua ha molto perduto della sua maestà.
GLOUCESTER: Come sta nostro nipote, il nobile signore di York?
YORK: Vi ringrazio, gentile zio. Oh, mio signore, voi diceste che le piante nocive crescono rapidamente: il principe mio fratello è cresciuto assai più di me.
GLOUCESTER: E' vero monsignore.
YORK: E dunque egli è nocivo?
GLOUCESTER: Oh, mio vago nipote, io non debbo dir questo.
YORK: Allora egli vi è più obbligato di me.
GLOUCESTER: Egli può comandarmi come mio sovrano; ma voi avete potere su di me come su di un parente.
YORK: Vi prego, zio, datemi questo pugnale.
GLOUCESTER: Il mio pugnale, nipotino? con tutto il cuore.
PRINCIPE: Accattate, fratello?
YORK: Dal mio gentile zio, che so che mi donerà; poiché non si tratta che di un balocco, che non rincresce donarlo.
GLOUCESTER: Vuo' dare a mio nipote un dono più grande di questo.
YORK: Un dono più grande? Oh, anche la spada?
GLOUCESTER: Certo, gentil nipote, se fosse abbastanza leggera.
YORK: Oh, allora vedo, voi non volete privarvi che di doni leggeri; per cose di maggior peso voi direte di no a un accattatore.
GLOUCESTER: E' troppo grave da portare per Vostra Grazia.
YORK: Per me è una cosa di poco peso, foss'anche più grave.
GLOUCESTER: Che, vorreste la mia arma, piccolo principe?
YORK: La vorrei, per potervi fare un ringraziamento come il nome che mi date.
GLOUCESTER: Come?
YORK: Piccolo.
PRINCIPE: Monsignore di York non smette mai di far giochi di parole:
zio, Vostra Grazia sa come sopportarlo.
YORK: Volete dire come portarmi, non come sopportarmi: zio, mio fratello canzona voi e me; perché io sono piccino come una scimmia, crede che voi dovreste far d'orso per portarmi.
BUCKINGHAM: Con che spirito affilato egli ragiona! Per mitigare lo scherno che egli fa allo zio, elegantemente e appropriatamente beffa se stesso: così giovane e così astuto! che meraviglia!
GLOUCESTER: Mio signore, volete riprendere il cammino? Io e il mio buon cugino Buckingham andremo da vostra madre per supplicarla di venirvi incontro alla Torre e di darvi il benvenuto.
YORK: Che, volete andare alla Torre signor mio?
PRINCIPE: Milord Protettore dice che bisogna.
YORK: Non dormirò tranquillo nella Torre.
GLOUCESTER: Perché, di che dovreste temere?
YORK: Ma del corrucciato fantasma di mio zio Clarence! Mia nonna mi ha detto che egli è stato ucciso là.
PRINCIPE: Io non ho paura degli zii morti.
GLOUCESTER: Né di quelli vivi, spero.
PRINCIPE: Se sono in vita, spero di non dover temere. Ma andiamo, mio signore, col cuore oppresso, pensando a loro, io mi reco alla Torre.
(Squillo di trombe. Escono tutti eccetto Gloucester, Buckingham e Catesby)
BUCKINGHAM: Credete voi, signor mio, che questo pettegolino di York non sia stato istigato dalla sua scaltra madre a beffarvi e schernirvi così obbrobriosamente?
GLOUCESTER: Senza dubbio, senza dubbio: oh, è un ragazzo terribile, ardito, pronto, ingegnoso, baldanzoso, capace: è tutto sua madre, da capo a piedi.
BUCKINGHAM: Bene, lasciamoli stare. Vieni qui, Catesby. Tu hai giurato tanto solennemente di mandare ad effetto quel che meditiamo quanto segretamente di celare quel che ti confidiamo: tu conosci le nostre ragioni che ti abbiamo esposte per via; che ne pensi? non è una cosa facile, di conquidere Guglielmo lord Hastings al nostro disegno d'insediare questo nobile duca nel trono reale di questa famosa isola?
CATESBY: Egli ama tanto il principe per via di suo padre, che non lo si potrà indurre a nulla contro di lui.
BUCKINGHAM: Che pensi allora di Stanley? Vorrà lui?
CATESBY: Egli farà in tutto e per tutto quello che fa Hastings.
BUCKINGHAM: Ebbene, allora, nient'altro che questo; va', gentile Catesby e, come alla lontana, scandaglia lord Hastings, come egli sia disposto nei riguardi del nostro disegno e convocalo per domani alla Torre per deliberare intorno all'incoronazione. Se tu lo trovi incline a noi, incoraggialo e digli tutte le nostre ragioni: se egli è inerte come piombo, freddo come ghiaccio, riluttante, siilo anche tu, e così tronca il colloquio, e informaci delle sue disposizioni: perché domani noi terremo consigli separati, in cui tu stesso avrai un'alta funzione.
GLOUCESTER: Raccomandatemi a lord Guglielmo; ditegli, Catesby, che l'antico gruppo dei suoi pericolosi avversari sarà salassato domani al castello di Pomfret, e dite al signor mio che per la gioia di questa buona notizia dia a madonna Shore un dolce bacio di più.
BUCKINGHAM: Buon Catesby, va', spedisci questo negozio irreprensibilmente.
CATESBY: Miei buoni signori, con tutta la diligenza che potrò.
GLOUCESTER: Avremo vostre notizie, Catesby, prima di andare a dormire?
CATESBY: Sì, mio signore.
GLOUCESTER: A Casa Crosby, là ci troverete ambedue.
(Esce Catesby)
BUCKINGHAM: Ora, signor mio, che faremo se ci accorgiamo che lord Hastings non si piega ai nostri complotti?
GLOUCESTER: Gli mozzeremo il capo: qualcosa disporremo: e guarda, quando sarò re, di reclamar la contea di Hereford e tutti i beni mobili che possedeva il re mio fratello.
BUCKINGHAM: Reclamerò da Vostra Grazia codesta promessa.
GLOUCESTER: E aspettati di vederla adempita con ogni cortesia. Vieni, ceniamo di buon'ora, sicché dipoi possiam digerire acconciamente i nostri complotti.
SCENA SECONDA - Dinanzi alla casa di Lord Hastings
(Entra un Messo)
MESSO: Signor mio, signor mio!
HASTINGS (di dentro): Chi bussa?
MESSO: Uno dalla parte di lord Stanley.
(Entra LORD HASTINGS)
HASTINGS: Che ora è?
MESSO: Stan per sonare le quattro.
HASTINGS: Non può dormire il tuo padrone in queste uggiose notti?
MESSO: Sembra che sia così da quello che ho da dirvi. Prima di tutto egli si raccomanda a Vostra Nobiltà.
HASTINGS: E poi?
MESSO: Poi fa sapere a Vostra Signoria che questa notte egli ha sognato che il cinghiale gli strappava via l'elmo. Inoltre dice che si tengono due consigli e che in uno potrebbe venir decisa cosa che potrebbe far che voi e lui vi doleste nell'altro. Perciò mi manda per sapere il gradimento di Vostra Signoria se voi volete subito montare a cavallo con lui e correre a spron battuto con lui verso il nord, per evitare il pericolo che la sua anima prevede.
HASTINGS: Va', compare, torna dal tuo signore: di' a lui di non temere i separati consigli; Suo Onore ed io siamo nell'uno, e nell'altro è il mio buon amico Catesby, dove nulla può seguire che ci tocchi di cui io non debba avere intelligenza. Digli che i suoi timori son superficiali, mancan di ragione; e quanto ai suoi sogni, stupisco che egli sia tanto semplice da prestar fede alla canzonatura degli irrequieti sonni. Fuggire il cinghiale prima che il cinghiale insegua sarebbe uno stimolare il cinghiale a venirci dietro e a perseguitarci, laddove egli non intendeva di dar la caccia. Va', di' al tuo padrone di alzarsi e di venir da me, e insieme andremo alla Torre, dove, lui vedrà, il cinghiale ci tratterà ammodo.
MESSO: Andrò, mio signore, e gli riferirò ciò che dite.
(Esce)
(Entra CATESBY)
CATESBY: Cento volte felice giorno al mio nobile signore!
HASTINGS: Felice giorno, Catesby; siete in faccende di buon'ora; che nuove, che nuove in questo nostro traballante stato?
CATESBY: E' davvero un mondo che tentenna, signor mio, ed io credo che non si reggerà ritto finché Riccardo non cinga il serto del reame.
HASTINGS: Cosa? Cingere il serto? Vuoi tu dire la corona?
CATESBY: Già, mio buon signore.
HASTINGS: Vuo' che questa mia corona venga prima staccata dalle mie spalle, che io veda la corona così malamente messa fuor di posto! Ma puoi tu supporre che egli vi aspiri?
CATESBY: Sì, sulla vita mia, e spera di trovarvi all'avanguardia del suo partito per l'acquisto di essa; e a tale effetto egli vi manda questa buona notizia, che questo giorno stesso i vostri nemici, i parenti della regina, debbono morire a Pomfret.
HASTINGS: Davvero non metto il lutto per questa notizia, perché essi son sempre stati miei avversari; ma che io dia il mio voto a Riccardo, per escludere gli eredi del mio signore in legittima discendenza, Dio sa che io non lo farò, dovessi morirne.
CATESBY: Iddio conservi Vostra Signoria in queste graziose disposizioni!
HASTINGS: Ma io starò ancora a ridere tra dodici mesi d'aver vissuto tanto da vedere la catastrofe di coloro che mi procurarono l'odio del mio signore. Ebbene, Catesby, prima che due settimane mi faccian più vecchio, avrò spedito alcuni che ancora non ci pensano.
CATESBY: E' una sciagurata cosa morire, mio grazioso signore, quando non si è preparati e non ci si aspetta.
HASTINGS: Oh, mostruosa, mostruosa! ed è quel che tocca a Rivers, a Vaughan, a Grey; e così accadrà ad alcuni altri che si ritengono sicuri quanto te e me, che, come sai, siam cari al principesco Riccardo e a Buckingham.
CATESBY: Entrambi i principi vi tengono in alto conto: (a parte) poiché essi contan già la sua testa tra quelle sul Ponte.
HASTINGS: Lo so; e l'ho ben meritato.
(Entra LORD STANLEY)
Avanti avanti, dov'è il vostro spiedo, giovanotto? Avete paura del cinghiale, e andate così sprovveduto?
STANLEY: Mio signore, buon giorno; buon giorno, Catesby: seguitate pure a scherzare; ma, per la santa Croce, a me non piacciono questi consigli separati, a me.
HASTINGS: Mio signore, io ho cara la mia vita come voi la vostra, e mai da che sono al mondo, ve lo garantisco, m'è stata tanto preziosa come adesso: credete voi che, se io non sapessi la nostra posizione sicura sarei così esultante come sono?
STANLEY: I signori che sono a Pomfret, quando cavalcarono da Londra erano allegri, e supponevano sicura la loro posizione e invero essi non avevano ragione di diffidare; eppure vedete quanto presto il cielo s'è coperto. Questa subitanea pugnalata di astio mi dà a temere:
voglia Iddio, dico, che questo mio paventare risulti non fondato!
Ebbene, vogliamo avviarci alla Torre? il giorno è finito.
HASTINGS: Via, via, andiamo; sapete cosa, signor mio? Oggi i lord di cui parlate son decapitati.
STANLEY: Essi, per la loro lealtà, potrebbero meglio portare il loro capo che non il loro cappello alcuni di quelli che li hanno accusati.
Ma venite, signor mio, andiamocene.
(Entra un Messo di Stato)
HASTINGS: Andate innanzi; io parlerò con questo brav'uomo.
(Escono Lord Stanley e Catesby) Ebbene, compare, come ti vanno le cose?
MESSO: Meglio, dacché Vostra Signoria si degna di chiederlo.
HASTINGS: Io ti dico, giovanotto, che a me le cose vanno meglio ora di quando tu m'incontrasti l'ultima volta dove ora c'incontriamo: allora io andavo prigioniero alla Torre per istigazione dei parenti della regina; ma ora io ti dico - e tientelo per te - che quest'oggi quei nemici son messi a morte, ed io sono in una miglior posizione che mai.
MESSO: Dio la mantenga, per la soddisfazione di Vostro Onore!
HASTINGS: Grazie, compare: tieni, bevi alla mia salute.
(Gli getta la sua borsa. Esce)
MESSO: Ringrazio Vostro Onore.
(Entra un Prete)
PRETE: Ben trovato, mio signore; son lieto di vedere Vostro Onore.
HASTINGS: Ti ringrazio, buon ser Giovanni, con tutto il cuore. Son vostro debitore per la vostra ultima omelia; venite la domenica prossima e vi farò contento.
(Gli sussurra all'orecchio)
PRETE: Sarò agli ordini di Vostra Signoria.
(Entra BUCKINGHAM)
BUCKINGHAM: Come, in conversazione con un prete, lord ciambellano? I vostri amici a Pomfret, loro han bisogno del prete! Vostro Onore non ha urgenza dell'opera d'un confessore.
HASTINGS: In fede mia; e, quand'ho incontrato questo santo uomo, mi son venute in mente le persone di cui parlate. Come, vi avviate alla Torre?
BUCKINGHAM: Sì, mio signore; ma non posso fermarmici a lungo; né ritornerò prima di Vostra Signoria.
HASTINGS: Già, è probabile, perché io ci resto per desinare.
BUCKINGHAM (a parte): E anche per cena, benché tu non lo sappia.
Andiamo, venite?
HASTINGS: Accompagnerò Vostra Signoria.
(Escono)
SCENA TERZA - Il Castello di Pomfret
(Entrano SIR RICCARDO RATCLIFF, con Alabardieri, che menano a morte RIVERS, GREY e VAUGHAN)
RATCLIFF: Via, menate innanzi i prigionieri.
RIVERS: Sir Riccardo Ratcliff, lascia che io ti dica questo: oggi vedrai morire un suddito per la verità, per il dovere, e per la lealtà.
GREY: Dio salvi il principe da tutta la vostra masnada! Una banda di maledetti succhiatori di sangue, ecco quel che voi siete.
VAUGHAN: Ce n'è di voi che avrà da rammaricarsi amaramente di questo in seguito.
RATCLIFF: Spicciatevi; il limite della vostra vita è oltrepassato.
RIVERS: O Pomfret, Pomfret! O sanguinoso luogo fatale e nefasto ai nobili pari! Entro la colpevole cerchia delle tue mura Riccardo Secondo fu qui tagliato a pezzi; e, maggior onta del tuo orrendo sito, noi ti diamo da bere il nostro sangue innocente.
GREY: Ora la maledizione di Margherita è caduta sulle nostre teste, quando essa imprecò contro Hastings, contro di voi e di me, per esser rimasti impassibili quando Riccardo pugnalò suo figlio.
RIVERS: Allora ella maledì Hastings, allora maledì Buckingham, allora maledì Riccardo. Oh ricordati, Dio, di esaudire la sua preghiera contro di essi, come ora quella contro di noi! E quanto a mia sorella e ai principi suoi figli, contentati, diletto Signore, del nostro sangue sincero che, come tu sai, dev'essere versato ingiustamente.
RATCLIFF: Affrettatevi; l'ora della vostra morte è scoccata.
RIVERS: Vieni, Grey, vieni, Vaughan, abbracciamoci qui. Addio, finché c'incontriamo di nuovo in cielo.
(Escono)
SCENA QUARTA - La Torre di Londra
(Entrano BUCKINGHAM, DERBY, HASTINGS, il VESCOVO DI ELY, RATCLIFF, LOVEL, con altri, e prendono posto a una tavola)
HASTINGS: Ora, nobili pari, la ragione per cui ci riuniamo è per decidere dell'incoronazione. In nome di Dio, parlate! quand'è il giorno regale?
BUCKINGHAM: E' tutto pronto per il regale evento?
DERBY: Tutto, non manca che la designazione.
ELY: Allora domani io giudico che sia un giorno fausto.
BUCKINGHAM: Chi sa il pensiero del lord Protettore in proposito? Chi è più intrinseco del nobile duca?
ELY: Vostra Grazia, crediamo, dovrebbe conoscere il suo pensiero meglio di tutti.
BUCKINGHAM: Chi? io, mio signore? Ci conosciamo in volto; quanto ai nostri cuori, egli non sa più del mio che io dei vostri, né io del suo, mio signore, più che voi del mio. Lord Hastings, voi e lui siete prossimi in affetto.
HASTINGS: Son riconoscente a Sua Grazia, so che egli mi vuol bene; ma, circa i suoi propositi per l'incoronazione, io non l'ho scandagliato, né egli in alcun modo mi ha manifestato il suo grazioso piacere su quel punto. Ma voi, miei nobili signori, potete fissare il giorno, ed in nome del duca io darò il mio voto, che, presumo, egli prenderà in buona parte.
(Entra GLOUCESTER)
ELY: In buon punto ecco qui il duca stesso.
GLOUCESTER: Miei nobili signori e cugini tutti, buon giorno. Ho dormito a lungo; ma confido che la mia assenza non abbia trascurato alcun gran progetto che avrebbe potuto concludersi con la mia presenza.
BUCKINGHAM: Se voi non foste venuto alla vostra imbeccata, mio signore, Guglielmo lord Hastings avrebbe pronunciato la vostra parte - voglio dire il vostro voto - per l'incoronazione del re.
GLOUCESTER: Nessuno meglio di lord Hastings avrebbe potuto ardirlo; Sua Signoria mi conosce bene, e mi vuol bene.
HASTINGS: Sono riconoscente a Vostra Grazia.
GLOUCESTER: Monsignor di Ely, l'ultima volta che io sono stato in Holborn, ho veduto delle belle fragole là nel vostro giardino: vi prego di mandarne a prendere un po'.
ELY: Diamine, lo farò, signor mio, di tutto cuore.
(Esce)
GLOUCESTER: Cugino Buckingham, una parola. (Lo prende in disparte) Catesby ha scandagliato Hastings sulla nostra faccenda, e trova quel bisbetico signore così scalmanato, che vuol perdere il capo prima di consentire che il figlio del suo signore, com'egli devotamente lo chiama, perda il suo diritto al trono d'Inghilterra.
BUCKINGHAM: Ritiratevi un momento; verrò con voi.
(Esce Gloucester, Buckingham lo segue)
DERBY: Non abbiamo ancora fissato questo giorno trionfale. Domani, a mio giudizio, è troppo immediato; perché io stesso non sono così ben pronto come altrimenti sarei, se si rimandasse il giorno.
(Rientra il VESCOVO DI ELY)
ELY: Dov'è monsignore il duca di Gloucester? Ho mandato per quelle fragole.
HASTINGS: Sua Grazia sembra allegra e affabile stamattina; c'è qualche idea che gli va a genio, quand'egli dà il buon giorno in codesto umore. Io non credo che ci sia un uomo in tutta la cristianità che possa meno di lui nascondere l'odio o l'amore; perché dal suo volto conoscerete subito il suo cuore.
DERBY: E cosa del suo cuore scorgete nel suo volto, da qualche vivo segno che ha mostrato quest'oggi?
HASTINGS: Diamine, che egli non è crucciato con alcuno qui; ché, se egli lo fosse, lo avrebbe mostrato dai suoi sguardi.
DERBY: Prego Iddio che egli non lo sia, dico!
(Rientrano GLOUCESTER e BUCKINGHAM)
GLOUCESTER: Prego tutti voi, ditemi, che cosa meritano coloro che complottano la mia morte con diaboliche trame di dannata stregoneria, ed hanno fatto violenza al mio corpo coi loro sortilegi infernali?
HASTINGS: Il tenero amore che io porto a Vostra Grazia, signor mio, mi fa vogliosissimo in questa principesca assemblea a condannar per primo i colpevoli, chiunque essi siano; io dico, mio signore, che essi han meritato la morte.
GLOUCESTER: Siano dunque i vostri occhi testimoni del male che mi han fatto! Vedete come sono stregato! guardate, il mio braccio è avvizzito come un arboscello malato: ed è la moglie di Edoardo, quella mostruosa strega associatasi con quella scanfarda e sgualdrina della Shore, che mi han così segnato coi loro malefizi.
HASTINGS: Se esse han commesso quest'azione mio nobile signore...
GLOUCESTER: Se! tu protettore di quella dannata sgualdrina, mi vieni a parlare di "se"? Tu sei un traditore. Gli si mozzi il capo! ora io lo giuro per San Paolo, io non desinerò finché io non lo veda mozzo!
Lovel e Ratcliff, guardate che ciò sia fatto: gli altri che mi amano, si alzino e mi seguano.
(Escono tutti eccetto Hastings, Ratcliff e Lovel)
HASTINGS: Ahimè, ahimè, per l'Inghilterra! nulla affatto per me; ché io, troppo sciocco, avrei potuto impedir questo. Stanley aveva sognato che il cinghiale gli strappava via l'elmo, ed io me ne burlai, e sdegnai di fuggire; tre volte quest'oggi il mio cavallo in gualdrappa ha incespicato e s'è inalberato guardando la Torre, come se ripugnasse a portarmi al macello. Oh, ora si che abbisogno del prete che mi parlò, ora mi pento di aver detto al messaggero, con tanta esultanza, come i miei nemici fossero oggi sanguinosamente scannati, a Pomfret, ed io stesso sicuro nella grazia e nel favore. Oh Margherita, Margherita! ora la tua pesante maledizione è caduta sullo sciagurato capo del povero Hastings.
RATCLIFF: Via, via, spicciatevi; il duca vorrebbe desinare: fate una confessione breve; egli anela di vedere la vostra testa.
HASTINGS: O effimera grazia dei mortali di cui noi siam più ghiotti che della grazia di Dio! Chi fonda la sua speranza nell'aria dei tuoi benigni sguardi vive come un marinaio ubriaco in cima a un albero, che a ogni tentennio è sul punto di precipitare nelle fatali viscere dell'abisso.
LOVEL: Via, via, spicciatevi; non serve a niente rammaricarsi.
HASTINGS: Oh, sanguinario Riccardo! disgraziata Inghilterra! io ti predico i più spaventosi giorni che sciagurato secolo abbia mai veduto Andiamo guidatemi al ceppo; portategli la mia testa: sorridano di me coloro che tra breve saranno morti.
(Escono)
SCENA QUINTA - Le mura della Torre
(Entrano GLOUCESTER e BUCKINGHAM in armature rugginose, con aspetto mirabilmente sinistro)
GLOUCESTER: Via, cugino, sai tu tremare e cangiar di colore, soffocare il respiro nel mezzo d'una parola, e poi cominciar daccapo, e daccapo fermarti, come se tu fossi uscito di senno e pazzo di terrore?
BUCKINGHAM: Bah! io so contraffare il grave attore tragico, parlare e guardare dietro di me, e spiare da ogni parte, tramare e trasalire al muoversi d'un fuscello, simulando profonda apprensione: una cera spettrale è al mio servizio al pari di sorrisi sforzati, e sia l'una che gli altri son pronti al loro ufficio, a favorire a qualunque momento i miei stratagemmi. Ma come, è partito Catesby?
GLOUCESTER: Sì, e vedi, egli mena seco il sindaco.
(Entrano il LORD SINDACO e CATESBY)
BUCKINGHAM: Lord Sindaco...
GLOUCESTER: Attenti al ponte levatoio costà!
BUCKINGHAM: Ascoltate! un tamburo.
GLOUCESTER: Catesby, guardate al di là delle mura.
BUCKINGHAM: Lord Sindaco, la ragione per la quale abbiamo mandato...
GLOUCESTER: Guardati alle spalle, difenditi, ci sono nemici.
BUCKINGHAM: Dio e la nostra innocenza ci difendano e ci proteggano!
GLOUCESTER: Sta' quieto, sono amici, Ratcliff e Lovel.
(Entrano LOVEL e RATCLIFF, con la testa di HASTINGS)
LOVEL: Ecco la testa di quell'ignobile traditore, il pericoloso e insospettato Hastings.
GLOUCESTER: Sì caramente amavo quest'uomo, che non posso non piangere.
Io l'avevo preso per la creatura più semplice e inoffensiva che tra i cristiani respirasse sulla terra; ne avevo fatto il mio libro dove la mia anima registrava la storia di tutti i suoi pensieri segreti. Così liscio liscio costui intonacava il vizio suo con una mostra di virtù che, se si omette la sua colpa aperta e palese - voglio dire la sua tresca con la moglie di Shore - egli viveva esente da ogni ombra di sospetti.
BUCKINGHAM: Be', egli era il traditore più coperto e celato che vivesse mai. Avreste potuto immaginare, o financo credere (non fosse che, per la divina protezione, noi siam vivi per raccontarlo), che quel sottile traditore aveva oggi complottato di assassinare nella sala del consiglio me e il mio buon signore di Gloucester?
SINDACO: Aveva egli fatto questo?
GLOUCESTER: Che, credete che noi siam turchi o infedeli? o che avremmo, contro le forme della legge, proceduto così precipitosamente alla morte del furfante, se l'estremo pericolo del caso, la pace d'Inghilterra e la sicurezza delle nostre persone non ci avessero forzati a questa esecuzione?
SINDACO: Ebbene, vi tocchi ogni prosperità! egli ha meritato la sua morte; e le Vostre Grazie hanno entrambe proceduto bene dando ai felloni traditori questo monito contro simili attentati.
BUCKINGHAM: Io non mi aspettavo nulla di bene da parte sua, dal momento che egli se la intese con madonna Shore. Tuttavia non avevamo deciso che morisse finché Vostra Signoria fosse venuto a veder la sua fine; il che ora è stato impedito dall'affettuosa sollecitudine di questi amici nostri, un po' contro la nostra intenzione: poiché, signor mio, avrei voluto che voi udiste il traditore parlare, e pavidamente confessare il modo e l'intento dei suoi tradimenti, sicché voi aveste potuto portarli a conoscenza dei cittadini, che forse potrebbero fraintendere il nostro agire nei suoi riguardi e lamentar la sua morte.
SINDACO: Ma, mio buon signore, le parole di Vostra Grazia varranno come se io lo avessi veduto e udito parlare; e non dubitate, nobilissimi principi, che io informerò i nostri obbedienti cittadini del vostro giusto modo di procedere in questa faccenda.
GLOUCESTER: E a questo scopo noi desideravamo qui Vostra Signoria, per evitare le censure della gente malèdica.
BUCKINGHAM: Ma poiché siete venuto troppo tardi pel nostro intento, testimoniate nondimeno quel che avete sentito che noi intendevamo: e così, mio buon lord sindaco, noi ci salutiamo.
(Esce il lord Sindaco)
GLOUCESTER: Andategli dietro, andategli dietro, cugino Buckingham! Il sindaco se ne va in fretta e furia alla Guildhall: colà, avvantaggiandovi del momento più opportuno, adducete l'illegittimità dei figli di Edoardo: dite loro come Edoardo mettesse a morte un cittadino soltanto per aver detto di voler fare suo figlio erede della corona intendendo, di fatto, la sua casa, che era così chiamata dalla sua insegna. Inoltre mostrate la sua odiosa lussuria e il bestiale appetito nella varietà di libidine, che si stendeva alle loro fantesche, alle figlie, alle mogli, dovunque il suo occhio furioso o il suo cuore selvaggio, senza freno, scegliessero di far preda. Poi al bisogno toccate così più d'appresso della mia persona: dite loro che quando mia madre divenne gravida di quell'insaziabile Edoardo, il nobile York, mio principesco padre, era allora in guerra in Francia, e, con un esatto computo del tempo, trovò che la prole non era generata da lui, il che ben appariva dai suoi lineamenti che in nulla rassomigliavano al nobile duca mio padre. Però toccate di ciò con parsimonia, e come di lontano, perché signor mio, sapete che mia madre è ancora viva.
BUCKINGHAM: Non dubitate, mio signore, farò le parti dell'oratore, come se l'aurea mercede per la quale io arringo dovesse esser per me; e così, mio signore, addio.
GLOUCESTER: Se le cose vi vanno pel verso, conduceteli al castello di Baynard dove mi troverete in buona compagnia di reverendi padri e di dotti vescovi.
BUCKINGHAM: Vado, e verso le tre o le quattro attendere le notizie che offrirà la Guildhall.
(Esce)
GLOUCESTER: Va', Lovel in tutta fretta dal dottor Shaw, (a Catesby) tu da frate Penker; dite a entrambi di trovarsi con me prima che sia passata quest'ora al castello di Baynard. (Escono tutti eccetto Gloucester) Ora andrò a dare una segreta disposizione di allontanare da ogni sguardo i marmocchi di Clarence, e a dar ordine che nessuna persona abbia in alcun tempo accesso ai principi.
SCRIVANO: Ecco l'atto d'accusa del buon lord Hastings, che è bellamente steso in caratteri calligrafici, affinché possa leggersi oggi a San Paolo. E notate come è ben congegnata la sequela: undici ore io ho speso a copiarlo, poiché iersera m'è stato inviato da Catesby; altrettanto ci volle a far la minuta; eppure non sono ancora cinque ore che Hastings viveva non sospettato, non interrogato, libero, a piede franco. Che bel mondo, frattanto! Chi è così ottuso che non possa vedere questo patente trucco? Eppure chi è così ardito da dire che lo vede? Malvagio è il mondo, e tutto andrà alla rovescia, quando sì tristo agire dev'esser veduto solo nel pensiero.
(Esce)
SCENA SETTIMA - Il Castello di Baynard
(Entrano GLOUCESTER e BUCKINGHAM da porte diverse)
GLOUCESTER: Ebbene, ebbene, che cosa dicono i cittadini?
BUCKINGHAM: Ebbene, per la santa madre di nostro Signore, i cittadini stan zitti, non dicono una parola!
GLOUCESTER: Avete toccato dell'illegittimità dei figli di Edoardo?
BUCKINGHAM: Sì, e insieme del suo fidanzamento con madonna Lucy, e del suo fidanzamento per procura in Francia; l'insaziabile ingordigia del suo appetito carnale, e il suo forzamento delle donne della città; la sua tirannia a proposito di quisquilie; la sua propria illegittimità, essendo stato concepito quando vostro padre era in Francia e le sue sembianze, per nulla simili a quelle del duca: al tempo stesso ho addotto i vostri lineamenti, esatta immagine di vostro padre sia per la vostra forma che per la nobiltà dell'animo, ho esposto tutte le vostre vittorie in Scozia, la vostra disciplina in guerra, la vostra saggezza in pace, la vostra generosità, la virtù, la bella modestia; invero nulla di quanto conveniva al vostro proposito io ho tralasciato o sorvolato nel mio discorso, e quando la mia orazione volgeva alla fine, io ho invitato quelli che amavano il bene del loro paese a gridare: "Dio salvi Riccardo, re d'Inghilterra!".
GLOUCESTER: E l'hanno fatto?
BUCKINGHAM: No, Iddio mi aiuti! essi non han detto parola, ma come mute statue o respiranti pietre, si son guardati attoniti, e si son coperti d'un pallore di morte. E come io ho veduto ciò, li ho rimproverati, e ho chiesto al sindaco che significasse tale ostinato silenzio. La sua risposta è stata, che il popolo non era avvezzo a sentirsi rivolger la parola altro che dal referendario. Allora costui è stato sollecitato a ripetere il mio discorso: "Così dice il duca, così il duca ha esposto"; ma nulla ha detto di propria responsabilità.
Finito che ebbe, alcuni dei miei seguaci, in fondo alla sala han gittato in aria i loro berretti, e una decina di voci ha gridato: "Dio salvi re Riccardo!". E così io ho approfittato di quei pochi. "Grazie, gentili cittadini e amici! - ho detto; - questi applausi, questi gridi di gioia generali mostrano la vostra saggezza e il vostro amore per Riccardo", e a questo punto ho tagliato corto, e mi sono allontanato.
GLOUCESTER: Che mute teste di legno sono stati! non volevano parlare?
BUCKINGHAM: No, in fede mia, mio signore.
GLOUCESTER: Non verrà dunque il sindaco coi suoi confratelli ?
BUCKINGHAM: Il sindaco è qui vicino; date a vedere qualche timore; non lasciate che vi si rivolga la parola se non dietro veementi istanze: e guardate di tener fra le mani un libro di preghiere, e di presentarvi tra due ecclesiastici, mio buon signore; ché su tal tema io farò devota variazione; e non lasciatevi agevolmente guadagnare alle nostre richieste; recitate la parte della pulzella, rispondete sempre di no, e prendete.
GLOUCESTER: Vado; e se tu intercedi per loro così bene come io saprò dirti di no per parte mia, senza dubbio condurremo la cosa a un felice fine.
BUCKINGHAM: Andate, andate sull'altana! il lord sindaco bussa.
Benvenuto, monsignore! Io sto qui a fare anticamera; credo che il duca non vuole che gli si parli.
(Entra CATESBY)
Ebbene, Catesby che dice il vostro signore alla mia richiesta?
CATESBY: Egli supplica Vostra Grazia, mio nobile signore, di visitarlo domani o il giorno seguente: egli è dentro con due molto reverendi padri, santamente assorto in meditazione, e non vorrebbe che alcuna istanza mondana lo movesse a uscire dal suo pio esercizio.
BUCKINGHAM: Ritorna, buon Catesby dal grazioso duca; digli che io, il sindaco, e gli anziani siam venuti per ottenere un colloquio con Sua Grazia su gravi disegni, su cose di gran momento, che interessano niente meno che il nostro bene generale.
CATESBY: Tanto gli significherò immediatamente.
(Esce)
BUCKINGHAM: Ah, ah, signor mio questo principe non è un Edoardo: egli non sta adagiato su un libidinoso letto d'amore, ma in ginocchio, in meditazione; non se la spassa con un paio di cortigiane, ma medita con due profondi teologi; non dorme per impinguare il suo corpo neghittoso, ma prega per arricchire la sua anima vigilante: fortunata sarebbe l'Inghilterra, se questo virtuoso principe volesse prenderne la sovranità sulla sua grazia! Ma certo, io temo, non lo convinceremo a tanto.
SINDACO: Oh, vieti Iddio che Sua Grazia debba dirci di no!
BUCKINGHAM: Temo che lo farà. Ecco che ritorna Catesby.
(Rientra CATESBY)
Ebbene, Catesby, che dice Sua Grazia?
CATESBY: Egli si domanda a qual fine voi abbiate raccolto tali schiere di cittadini per venir da lui, mentre Sua Grazia non ne stato avvisato prima: egli teme, mio signore, che voi abbiate tutt'altro che buone intenzioni verso di lui.
BUCKINGHAM: Mi duole che il mio nobile cugino debba sospettarmi di aver tutt'altro che buone intenzioni verso di lui: pel cielo, noi veniamo da lui con perfetto amore! Sicché torna di nuovo da Sua Grazia e riferiscigli. (Esce Catesby) Quando santi e devoti uomini religiosi sono al loro rosario, ce ne vuole per distoglierli, sì dolce è la zelante contemplazione.
(Entra GLOUCESTER in alto, tra due Vescovi. Ritorna CATESBY)
SINDACO: Vedete dove Sua Grazia sta tra due prelati!
BUCKINGHAM: Due sostegni di virtù per un principe cristiano, per puntellarlo contro la caduta della vanità: e vedete, un libro di preghiere tra le sue mani!... veri ornamenti a cui si conosce un sant'uomo. Famoso Plantageneto, graziosissimo principe, porgi un orecchio benigno alle nostre richieste, e perdonaci l'interruzione delle tue devozioni e del tuo zelo veramente cristiano.
GLOUCESTER: Mio signore, non v'è bisogno di tale scusa: io supplico Vostra Grazia di perdonarmi, se zelante nel servizio del mio Dio, ho rimandato la visita dei miei amici. Ma lasciando questo, qual è il piacere di Vostra Grazia?
BUCKINGHAM: Tal cosa che spero piaccia a Dio lassù, e a tutti i galantuomini di quest'isola senza governo.
GLOUCESTER: Sospetto d'aver commesso qualche offesa che sembri odiosa agli occhi della città, e che voi veniate a rimproverare la mia ignoranza.
BUCKINGHAM: E' così, signor mio; e piacesse a Vostra Grazia di riparare al vostro errore in seguito alle nostre istanze.
GLOUCESTER: A che, altrimenti, vivrei in un paese cristiano?
BUCKINGHAM: Sappiate dunque che è error vostro di rinunziare al seggio supremo, al trono maestoso e allo scettrato ufficio dei vostri antenati, alla vostra condizione di fortuna e al vostro diritto di nascita alla gloria ereditaria della vostra real casa, in favore del corrotto rampollo d'un guasto ceppo; mentre, durante la mitezza dei vostri sonnacchiosi pensieri, che qui noi risvegliamo pel bene del nostro paese, questa nobile isola sente la mancanza delle sue proprie membra; il suo volto sfregiato da cicatrici d'infanzia, il suo regal ceppo innestato d'ignobili piante e quasi spinto nel divorante abisso della tenebrosa dimenticanza e del profondo oblio. Per porvi rimedio, noi cordialmente sollecitando la vostra graziosa persona di prender su di voi la cura e il real governo di questo vostro paese, non in qualità di protettore, di intendente, di sostituto, o di umile fattore per l'altrui vantaggio, ma come cosa che per diritto di successione, di sangue in sangue, è vostra fin dalla nascita, il vostro impero, la vostra proprietà. Per questo, di concerto con i cittadini, i vostri devotissimi e affezionatissimi amici, e a loro veemente istigazione io vengo a disporre Vostra Grazia in favore di questa giusta causa.
GLOUCESTER: Io non so dire se meglio convenga al mio grado o alla vostra condizione di allontanarmi in silenzio o di dirvi amare parole di rimprovero. Se non rispondo potreste forse pensare che l'ambizione dalla lingua legata, non replicando, consenta a portare il dorato giogo della sovranità, che follemente voi vorreste imporre su di me; se io vi rimprovero per questa vostra istanza così infusa del vostro fedele amore per me, allora, d'altra parte, farei uno sgarbo ai miei amici. Perciò, per parlare ed evitare il primo rischio, e, parlando, non incorrere nell'altro, così definitivamente vi rispondo. Il vostro amore merita i miei ringraziamenti, ma il mio merito di nessun conto rifugge dalla vostra alta richiesta. Innanzi tutto, fossero anche rimossi tutti gli ostacoli, fosse anche liscia la mia via alla corona, che mi spettasse come maturo cespite e diritto di nascita, pure tale è la mia povertà di spirito, sì forti e numerosi sono i miei difetti, che io vorrei piuttosto nascondermi alla mia grandezza, come barca che non tollera un mare grosso, che nella mia grandezza bramare d'esser nascosto, e rimaner soffocato nel vapore della mia gloria. Ma, Dio sia ringraziato, non c'è bisogno di me, e se ci fosse bisogno, molte cose mi bisognerebbero per aiutarvi: l'albero regale ci ha lasciato regal frutto, che, maturato dalle furtive ore del tempo, ben sarà degno del seggio della maestà, e, senza dubbio, ci farà felici col suo regno. Su lui io depongo quel che vorreste deporre su di me, il diritto e la fortuna delle sue felici stelle, che Iddio vieti che io debba estorcer da lui!
BUCKINGHAM: Mio signore, ciò dimostra coscienza in Vostra Grazia, ma le considerazioni esposte sono sottili e insignificanti, ben considerando tutte le circostanze. Voi dite che Edoardo è figlio di vostro fratello; così diciamo noi pure, ma che Edoardo non l'ebbe dalla moglie; poiché dapprima egli si fidanzò con madonna Lucy - vostra madre vive per testimoniare della sua promessa - e poi per procura fu fidanzato a Bona, sorella del re di Francia. Entrambe costoro messe da parte, una povera postulante, un'affannosa madre di numerosi figli, una vedova sfiorita e afflitta, nel pieno pomeriggio dei suoi bei giorni, fece preda e conquista del suo occhio lascivo, sedusse l'altitudine e il vertice del suo grado a un vile scadimento e ad un’abominevole bigamia: da lei, nel suo letto illegittimo, egli generò quest'Edoardo che la nostra cortesia chiama il principe. Con più amarezza io potrei dissertare, se non che, per riguardo verso certa persona viva, io metto un parsimonioso limite alla mia lingua.
Dunque, mio buon signore, prendete per la vostra regal persona questo privilegio di dignità che v'è offerto; se non per render felici noi ed il paese, almeno per ricondurre il vostro nobile lignaggio dalla corruzione dei tempi d'abuso a un corso legittimo e schietto.
SINDACO: Fatelo, mio buon signore! i vostri cittadini ve ne supplicano.
BUCKINGHAM: Non rifiutate, potente signore, questa profferta d'amore
CATESBY: Oh, fateli allegri, concedete la loro legittima istanza.
GLOUCESTER: Ahimè, perché volete voi caricarmi di tal cura? Io non son fatto per lo splendore e la maestà. Vi supplico, non ve l'abbiate a male; io non posso né voglio cedere a voi.
BUCKINGHAM: Se rifiutate, come ripugnando per amore e per zelo, a deporre il fanciullo che è il figlio di vostro fratello - che ben sappiamo la vostra tenerezza di cuore, e la gentile, buona, effeminata pietà che abbiamo osservata in voi verso i vostri parenti, ed egualmente, invero, verso tutti i ceti - pur sappiate che, sia che accettate o no la nostra istanza, il figlio di vostro fratello non regnerà mai come nostro sovrano; ma noi porremo qualcun altro sul trono, a obbrobrio e rovina della vostra casa e con questa risoluzione qui vi lasciamo. Venite cittadini: perdio! non vuo' più supplicare.
GLOUCESTER: Oh, non bestemmiate, monsignore di Buckingham.
(Esce Buckingham coi cittadini)
CATESBY: Richiamatelo, dolce principe, accettate la loro istanza: se voi dite loro di no, tutto il paese ne soffrirà.
GLOUCESTER: Volete forzarmi a un mondo di affanni? Richiamateli: io non son fatto di pietra, ma sono accessibile alle vostre cortesi suppliche, sebbene contro la mia coscienza e la mia stima.
(Rientrano BUCKINGHAM e gli altri)
Cugino Buckingham, e voi, uomini saggi e gravi, dacché volete affibbiarmi la fortuna sulle spalle perché io ne porti il carico, che io lo voglia o no, mi tocca d'aver la pazienza di sopportare il peso:
ma se il nero scandalo o il rimprovero dal turpe volto vengono al seguito della vostra imposizione, il semplice fatto della vostra violenza mi assolverà da ogni impura ombra e macchia che ne provenga; che Iddio sa, e voi potete vederlo in parte, quanto io sia lontano dal desiderare questo.
SINDACO: Dio benedica Vostra Grazia! noi lo vediamo e lo diremo.
GLOUCESTER: Dicendo ciò, non direte che la verità.
BUCKINGHAM: Allora io vi saluto con questo regal titolo: viva lungamente re Riccardo, degno re dell'Inghilterra!
TUTTI: Amen.
BUCKINGHAM: Vi piacerebbe d'essere incoronato domani?
GLOUCESTER: Quando vi piaccia, dal momento che volete che sia così.
BUCKINGHAM: Domani, dunque, scorteremo Vostra Grazia; e così lietissimamente prendiamo congedo da voi.
GLOUCESTER (ai Vescovi): Venite, rimettiamoci alla nostra santa opera.
Addio, cugino, addio, buoni amici.
(Escono)
ATTO QUARTO
DUCHESSA: Chi ci viene incontro? La mia nipote Plantageneto, condotta per mano dalla sua buona zia di Gloucester? Ecco, per la vita mia, ella è incamminata verso la Torre, mossa da puro affetto per salutare i principini. Figlia, ben trovata!
ANNA: Iddio conceda a entrambe le Vostre Grazie un lieto e felice giorno!
ELISABETTA: Altrettanto a voi, buona sorella! Dove andate?
ANNA: Non più in là della Torre, e, a quel che indovino, per lo stesso devoto sentimento che voi stesse, per salutare colà i gentili principi.
ELISABETTA: Grazie, dolce sorella, entreremo tutte insieme.
(Entra BRAKENBURY)
E in buon punto, ecco qui il luogotenente. Messer luogotenente, vi prego, con vostra licenza, come sta il principe, e il mio figlioletto York?
BRAKENBURY: Benissimo, signora; con vostra pazienza, io non posso permettervi di visitarli; il re ha severamente ordinato il contrario.
ELISABETTA: Il re? Chi è costui?
BRAKENBURY: Intendo il lord Protettore.
ELISABETTA: Il Signore lo protegga da quel titolo reale! Ha egli posto limiti tra il loro amore e me? Io son la loro madre; chi mi precluderà di vederli?
DUCHESSA: Io son la madre del padre loro; voglio vederli.
ANNA: Io sono la loro zia per matrimonio, la loro madre per amore; conducimi dunque alla loro vista, io porterò il tuo biasimo, e ti dispenso dal tuo ufficio a mio rischio.
BRAKENBURY: No, signora, no, non posso abbandonarlo così; io son legato da giuramento; sicché perdonatemi.
(Esce)
(Entra LORD STANLEY)
STANLEY: Signore, che io solo v'incontri tra un'ora, e saluterò Vostra Grazia di York quale madre e reverenda osservatrice di due belle regine. (Ad Anna) Venite, signora, voi dovete subito recarvi a Westminster, per esser colà incoronata regale sposa di Riccardo.
ELISABETTA: Ah, tagliate i miei lacci, che il mio cuore oppresso abbia un po' d'agio di battere, o altrimenti io vengo meno a questa micidiale notizia!
ANNA: Crudeli annunzi! Oh, spiacente notizia!
DORSET: State di buon animo; madre, come si sente Vostra Grazia?
ELISABETTA: O Dorset, non parlarmi, vattene! La morte e la distruzione t'inseguono alle calcagna; il nome di tua madre è malaugoroso ai figli. Se tu vuoi sfuggire alla morte, passa il mare e va' a vivere con Richmond, lungi dalle granfie dell'inferno: va', abbandona in fretta, abbandona in fretta questo scannatoio, che tu non debba accrescere il numero dei morti, e far morire me schiava della maledizione di Margherita, né madre, né moglie, né reputata regina d'Inghilterra!
STANLEY: Pieno di saggia sollecitudine è questo vostro consiglio, signora. Non lasciate tempo in mezzo: avrete da me lettere d'appoggio per mio figlio che vi venga in contro: non fatevi sorprendere con un imprudente indugio.
DUCHESSA: Oh, vento di sciagura sparpagliatore di malanni! oh mio maledetto grembo, letto di morte! T u hai generato al mondo un basilisco, il cui occhio, se non lo si evita, è micidiale.
STANLEY: Venite, signora, venite; io sono stato mandato in gran fretta.
ANNA: Ed io verrò di gran malavoglia. Oh, volesse Iddio che il recingente giro d'aureo metallo che deve circondarmi la fronte fosse un rovente acciaio che mi bruciasse fino al cervello! Che unta io sia con un veleno mortale, e muoia prima che la gente possa dire: "Dio salvi la regina!".
ELISABETTA: Va', va', povera anima, io non invidio la tua gloria, io non ti desidero alcun male per alimentare la disposizione del mio spirito.
ANNA: No! Perché? Quando colui che ora è mio marito venne a me, mentre io seguivo il feretro d'Enrico, quando le sue mani erano state appena lavate del sangue effuso da quell'angelo che fu il mio primo marito, e da quel santo adorato che io seguivo piangendo, oh! quando, io dico, guardai in volto Riccardo, questo fu il mio voto: "Sii tu maledetto - esclamai - per aver fatto di me, così giovane, una vedova così antica!
E quando tu ti sposi, la sventura non si stacchi dal tuo letto, e sia tua moglie, se v'è donna così pazza da diventarlo, più misera per la vita tua che tu non abbia reso me con la morte del mio diletto signore!". Ed ecco, prima che io potessi ripetere questa maledizione, in un tempo così breve, il mio cuore di femmina si lasciò grossamente cattivare dalle sue parole melliflue, e divenne l'oggetto della maledizione della mia propria anima; e questo ha da allora in poi impedito ai miei occhi di riposare; ché mai fin adesso non ho goduto nel suo letto per un'ora l'aurea rugiada del sonno, ma sempre sono stata risvegliata dai suoi sogni spaventosi. Inoltre egli mi odia per via di mio padre Warwick, e senza dubbio tra breve si sbarazzerà di me.
ELISABETTA: Addio, povero cuore! mi fan pena le tue doglianze.
ANNA: Non più di quello che io m'affligga nell'animo per le vostre.
DORSET: Addio, o dolorosa accoglitrice della gloria!
ANNA: Addio, povera anima che da essa ti congedi!
DUCHESSA (a Dorset): Tu va' da Richmond, e la buona fortuna ti guidi!
(Ad Anna) Tu va' da Riccardo e i buoni angeli ti assistano! (Alla Regina Elisabetta) Tu va' al sacrato, e buoni pensieri ti occupino! Io vado verso la mia tomba, dove pace e riposo giacciono meco!
Un'ottantina d'anni di dolori io ho veduto e ogni ora di gioia distrutta da una settimana d'angoscia.
ELISABETTA: Fermatevi! con me volgete un altro sguardo alla Torre.
Abbiate pietà, antiche pietre, di quei teneri fanciulli che la malvagità ha rinchiuso nelle vostre mura! Aspra culla per sì vaghi piccini, ruvida e rozza nutrice, vecchia e tetra compagna di gioco per teneri principi, tratta bene i miei bimbi! Così un imbelle dolore dice addio alle vostre pietre.
(Escono)
SCENA SECONDA - Londra. Il Palazzo
(Squillo di trombe. Entrano RICCARDO, in pompa, incoronato; BUCKINGHAM, CATESBY, un Paggio, ed altri)
RICCARDO: Fatevi tutti da parte! Cugino Buckingham!
BUCKINGHAM: Mio grazioso sovrano!
RICCARDO: Dammi la mano. (Qui sale sul trono) Così in alto, pel tuo consiglio e per la tua assistenza, è assiso re Riccardo: ma porteremo noi questi splendori per un giorno? o dureranno essi e ci faranno lieti?
BUCKINGHAM: Sempre vivano essi, e possano perennemente durare!
RICCARDO: Ah, Buckingham, ora io faccio da pietra di paragone, per provare se tu sei davvero oro schietto. Il giovane Edoardo vive: pensa ora a quello che vorrei dire.
BUCKINGHAM: Proseguite, mio nobile signore.
RICCARDO: Ebbene, Buckingham, dico che vorrei essere re.
BUCKINGHAM: E tale siete, mio tre volte illustre signore.
RICCARDO: Ah, sono re? è cosi; ma Edoardo vive.
BUCKINGHAM: E' vero, nobile principe.
RICCARDO: O amara conseguenza, che Edoardo debba vivere ancora! "E' vero, nobile principe!". Cugino, tu non solevi essere così ottuso:
debbo essere esplicito? Io desidero morti quei bastardi, e vorrei che ciò fosse eseguito subito. Che dici adesso? Parla subito, sii breve.
BUCKINGHAM: Vostra Grazia può fare quel che le piace.
RICCARDO: Va', va'! sei tutto di ghiaccio, la tua amicizia gela:
dimmi, ho il tuo consenso che essi debbano morire?
BUCKINGHAM: Datemi un po' di respiro, una pausa, signore caro, prima che io mi pronunci su questo positivamente: e a ciò mi risolverò tra breve.
(Esce)
CATESBY (a parte a un astante): Il re è crucciato; guarda, si morde il labbro.
RICCARDO: Io vuo' praticare sciocchi dal cervello di ferro e ragazzi scimuniti; non son fatti per me coloro che mi scrutano con occhi riflessivi; l'ambizioso Buckingham diventa circospetto. Ragazzo!
PAGGIO: Mio signore!
RICCARDO: Non conosci alcuno che l'oro corruttore possa tentare a una segreta opera di morte?
PAGGIO: Conosco un gentiluomo malcontento i cui umili mezzi non van di pari passo con il suo spirito altero: l'oro ce la potrebbe come venti oratori, e senza dubbio, lo tenterà a qualunque cosa.
RICCARDO: Qual è il suo nome?
PAGGIO: Il suo nome, mio signore, è Tyrrel.
RICCARDO: Conosco un poco costui: va', chiamalo qui. (Il Paggio esce) Il rimuginante e scaltro Buckingham non sarà più intrinseco dei miei consigli: ci ha retto con me per tanto tempo senza stancarsi, ed ora si ferma a ripigliar fiato? Ebbene, sia pure!
(Entra STANLEY)
Ebbene, lord Stanley, che notizie?
STANLEY: Sappiate, mio amato signore, che il marchese di Dorset, a quel che sento, è fuggito presso Richmond, nelle parti dove questi dimora.
(Si fa da parte)
RICCARDO: Vien qui, Catesby! spargi la voce che Anna, mia moglie, è gravemente malata: io provvederò che stia rinchiusa. Trovami qualche povero gentiluomo di poco conto, che io subito farò sposare alla figlia di Clarence; quanto al figlio, è uno scemo, ed io non ne ho paura. Su, che è quest'aria trasognata? Ti dico di nuovo, spargi la voce che Anna, la mia regina, è malata e probabilmente morirà. Alla bisogna! ché mi preme assai di troncare tutte le speranze che, crescendo, potrebbero danneggiarmi. (Esce Catesby) Bisogna che io sposi la figlia di mio fratello, o altrimenti il mio regno posa su fragile vetro. Assassinarle i fratelli e poi sposarla! Incerta via di successo! Ma sono a tal segno immerso nel sangue, che un delitto si trae dietro un altro delitto: la piagnucolosa pietà non dimori in questi occhi.
(Rientra il Paggio con TYRREL)
Il tuo nome è Tyrrel?
TYRREL: Giacomo Tyrrel, vostro obbedientissimo suddito.
RICCARDO: Sei davvero tale?
TYRREL: Mettetemi alla prova, mio grazioso signore.
RICCARDO: Oseresti risolverti ad uccidere un mio amico?
TYRREL: Se vi piacesse, ma preferirei di uccidere due nemici.
RICCARDO: Ebbene, ho il fatto tuo; due implacabili avversari, nemici del mio riposo e disturbatori del mio dolce sonno, son coloro su cui vorrei che tu operassi: Tyrrel, io intendo quei bastardi nella Torre.
TYRREL: Fatemi avere libero modo di andar fino ad essi, e presto vi sbarazzerò del timore di essi.
RICCARDO: Tu canti una dolce musica. Ascolta! vien qui, Tyrrel! Va' con questo contrassegno; alzati, e porgimi l'orecchio. (Sussurra) Questo è quanto; dimmi che è fatto, ed io ti amerò e ti promoverò per questo.
TYRREL: Eseguirò immediatamente.
(Esce)
(Rientra BUCKINGHAM)
BUCKINGHAM: Mio signore, ho considerato nella mia mente l'ultima richiesta su cui mi avete sondato.
RICCARDO: Ebbene, lasciate stare. Dorset è fuggito presso Richmond.
BUCKINGHAM: Ho udito la notizia, mio signore.
RICCARDO: Stanley, egli è il figlio di vostra moglie; ebbene, stateci attento.
BUCKINGHAM: Mio signore, io reclamo il dono che mi è dovuto per promessa, pel quale sono impegnati il vostro onore e la vostra fede:
la contea di Hereford e i beni mobili che voi avete promesso di farmi possedere.
RICCARDO: Stanley, state attento a vostra moglie! se essa invia lettere a Richmond, ne risponderete voi.
BUCKINGHAM: Che dice Vostra Altezza alla mia giusta richiesta?
RICCARDO: Mi ricordo che Enrico Sesto profetò che Richmond sarebbe stato re, quando Richmond era un ragazzino bizzoso: un re! forse, forse...
BUCKINGHAM: Mio signore!
RICCARDO: Come mai il profeta non poté dirmi allora, stando io lì presso, che l'avrei ucciso?
BUCKINGHAM: Signor mio, la vostra promessa della contea...
RICCARDO: Richmond! L'ultima volta che fui ad Exeter, il sindaco mi mostrò per cortesia il castello e lo chiamò Rougemont; al qual nome io trasalii, perché un indovino d'Irlanda mi disse una volta che io non sarei vissuto a lungo dopo aver visto Richmond.
BUCKINGHAM: Signor mio!
RICCARDO: Bene, ma che ora è?
BUCKINGHAM: Io mi ardisco di rammentare a Vostra Grazia quel che mi avete promesso.
RICCARDO: Sì, che ora è?
BUCKINGHAM: Stan per battere le dieci.
RICCARDO: Ebbene, lasciale battere.
BUCKINGHAM: Lasciarle battere, perché?
RICCARDO: Perché, come l'automa d'un orologio, tu batti il tempo tra la tua domanda e la mia meditazione. Oggi non sono in vena di donare.
BUCKINGHAM: Volete di grazia togliermi di dubbio circa la mia istanza?
RICCARDO: Tu mi secchi; non sono in vena.
(Escono tutti eccetto Buckingham)
BUCKINGHAM: Ah, è così? ripaga i miei alti servigi con tal disprezzo?
E' per questo che l'ho fatto re? Oh, ripensiamo a Hastings, e andiamocene a Brecknock, finché la mia testa paurosa sta sulle spalle!
(Esce)
TYRREL: L'azione tirannica e sanguinosa è compiuta, la più esimia gesta di pietoso massacro di cui fosse mai colpevole questo paese.
Dighton e Forrest, che io ho subornato a compier quest'atto di spietato macello, benché manigoldi incalliti, cani sanguinari, stemprati di tenerezza e di molle compassione piangevano come fanciulli durante il triste racconto della loro morte. "Oh! - diceva Dighton - così, eran coricati quei soavi bimbi". "Così, così - diceva Forrest - cingendosi l'un l'altro tra le loro innocenti braccia d'alabastro: le loro labbra erano quattro rose rosse su uno stelo, e nella loro estiva bellezza si baciavano. Un libro di preghiere era deposto sul loro cuscino, e per un momento - diceva Forrest - mi ha fatto quasi mutar di animo; ma, oh! il demonio!". Qui il manigoldo s'è interrotto, mentre Dighton proseguiva così: "Noi abbiamo soffocato la più compiutamente dolce opera della natura che fosse mai formata fin dalla prima creazione". Quindi, se ne sono andati entrambi pieni di compunzione e rimorso: essi non potevan parlare; e così li ho lasciati entrambi, per portare questa notizia al sanguinario re. Ed eccolo che viene.
(Entra RE RICCARDO)
Ogni salute, mio sovrano signore!
RICCARDO: Gentile Tyrrel, son io felice per le tue notizie?
TYRREL: Se l'aver fatta la cosa di cui m'avete incaricato vi procura felicità, siate allora felice, perché è stata fatta.
RICCARDO: Ma li hai visti morti?
TYRREL: Sì, mio signore.
RICCARDO: E sepolti, gentile Tyrrel?
TYRREL: Il cappellano della Torre li ha sepolti, ma dove, a dire il vero, io non lo so.
RICCARDO: Vieni da me, Tyrrel, subito dopo cena, quando mi racconterai come è seguita la loro morte. Nel frattempo, non hai che da pensare a come io possa beneficarti, e conseguirai il tuo desiderio.
Arrivederci.
TYRREL: Umilmente prendo congedo.
(Esce Tyrrel)
RICCARDO: Il figlio di Clarence l'ho fatto rigorosamente rinchiudere, sua figlia l'ho maritata a persona di basso rango, i figli di Edoardo dormono nel seno di Abramo; ed Anna mia moglie ha detto buona notte a questo mondo. Ora siccome io so che Richmond il Brettone mira alla giovane Elisabetta, figlia di mio fratello e, in virtù di questo nodo, altezzosamente gitta i suoi occhi sulla corona, io vado da lei, arzillo e prospero corteggiatore.
(Entra CATESBY)
CATESBY: Signor mio!
RICCARDO: Buone o cattive notizie, che vieni così bruscamente?
CATESBY: Cattive notizie, mio signore: Morton è fuggito presso Richmond; e Buckingham, sostenuto dai prodi Gallesi, è sceso in campo, e la sua possa cresce continuamente.
RICCARDO: Ely con Richmond mi molesta più da vicino di Buckingham e delle sue forze racimolate in fretta. Via, ho appreso che il pavido commentare è l'inerte servitore del lento indugio; l'indugio mena seco la miseria impotente dal passo di lumaca: sicché sia mia ala la focosa speditezza, Mercurio di Giove, e araldo per un re! Andate raccogliete uomini! Il mio consiglio è il mio scudo; dobbiamo esser brevi, quando i traditori affrontano il campo.
(Escono)
SCENA QUARTA - Dinanzi al Palazzo
(Entra la REGINA MARGHERITA)
MARGHERITA: Ah, ora la prosperità comincia a maturare e a cadere nelle corrotte fauci della morte. Qui in quest'angolo mi sono nascosta di soppiatto, per osservare come declinano i miei nemici. Io son testimone d'un orrendo prologo, e me ne andrò in Francia sperando che il seguito si dimostri altrettanto amaro, cupo e tragico. Ritirati, misera Margherita! chi vien qui?
(Entrano la REGINA ELISABETTA e la DUCHESSA DI YORK)
ELISABETTA: Ah, i miei poveri principi! ah i miei teneri piccini! i miei fiori non sbocciati, i miei nascenti profumi! Se le vostre soavi anime volano ancora nell'aria, e non sono state fissate con perpetuo decreto, libratevi intorno a me colle vostre ali aeree, e ascoltate la lamentazione di vostra madre!
MARGHERITA: Libratevi intorno a lei! dite che giustizia per giustizia ha offuscato in annosa notte il vostro infantile mattino.
DUCHESSA: Tante sventure han rotto la mia voce, che la mia lingua estenuata dai lamenti è silenziosa e muta. Edoardo Plantageneto, perché sei morto?
MARGHERITA: Plantageneto compensa Plantageneto, Edoardo paga un debito di morte per Edoardo.
ELISABETTA: Così abbandoni, o Dio, sì teneri agnelli e li getti nelle viscere del lupo? Come dormivi, mentre una tale azione era commessa?
MARGHERITA: E quando morì il santo Enrico, e il mio dolce figlio.
DUCHESSA: Vita morta, cieca vista, povero spettro mortale vivente, scena d'affanno, onta del mondo, spettanza della tomba usurpata dalla vita, breve compendio e cronaca di penosi giorni, riposa la tua mancanza di posa sul leale suolo d'Inghilterra, slealmente ubriacato d'innocente sangue!
(Sedendosi per terra)
ELISABETTA: Ah, volessi tu così presto offrire una tomba, come puoi dare un melanconico seggio! Allora nasconderei qui le mie ossa, non le riposerei. Ah, chi ha cagione di piangere, se non noi?
(Si siede accanto a lei)
MARGHERITA: Se l'antico dolore è il più venerando, date al mio il privilegio d'anzianità e lasciate che le mie pene abbiano il sopravvento di disperazione. Se il dolore può tollerar compagnia, (siede giù con esse) passate di nuovo in rassegna i vostri affanni considerando i miei. Io avevo un Edoardo, finché un Riccardo non l'uccise; io avevo un Enrico, finché un Riccardo non l'uccise; tu avevi un Edoardo, finché un Riccardo non l'uccise; tu avevi un Riccardo, finché un Riccardo non l'uccise.
DUCHESSA: Io avevo un Riccardo pure, e tu l'hai ucciso; io avevo pure un Rutland, e tu hai aiutato ad ucciderlo.
MARGHERITA: Tu avevi un Clarence pure, e Riccardo l'ha ucciso. Dal canile del tuo ventre è uscito il veltro infernale che a tutti noi dà la caccia a morte: quel cane che ebbe i denti prima degli occhi per azzannare agnelli e abbeverarsi del loro mite sangue, quel sozzo sfregiatore dell'opera di Dio, quel supremo arcitiranno della terra che regna sugli occhi arrossati di anime piangenti, è il tuo grembo che l'ha scatenato per darci la caccia fino alle nostre tombe. O retto e giusto Iddio, dispensatore verace, quanto io ti ringrazio che questo cagnaccio carnivoro divori il frutto del ventre di sua madre e la associ agli altri sul banco del dolore.
DUCHESSA: O moglie di Arrigo, non esultare delle mie pene! Dio mi sia testimonio! io ho pianto per le tue.
MARGHERITA: Abbi pazienza; io sono affamata di vendetta, ed ora mi satollo a contemplarla. Il tuo Edoardo è morto, che uccise il mio Edoardo; l'altro tuo Edoardo è morto, a saldo del mio Edoardo; il giovine York non è che di soprammercato, poiché entrambi quei due non pareggiavano l'alta perfezione della mia perdita. Il tuo Clarence è morto, lui che pugnalò il mio Edoardo; e gli spettatori di quel furioso dramma, l'adultero Hastings, Rivers, Vaughan, Grey, precocemente soffocati nelle loro cupe tombe. Riccardo vive ancora, nero sicofante dell'inferno, riservato soltanto come suo agente, per comprar anime e inviarle laggiù: ma ecco, ecco che segue la sua miseranda e non commiserata fine: la terra si spalanca, I'inferno arde, i demoni ruggiscono, i santi pregano, perché egli sia rapidamente tolto di qui. Annulla la cedola della sua vita, te ne prego, diletto Signore, sicché io possa vivere per dire: Il cane è morto!
ELISABETTA: Oh! tu mi avevi predetto che sarebbe venuto giorno in cui io avrei desiderato chiamarti in soccorso per maledire quel tumido ragno, quel sozzo rospo scrignuto!
MARGHERITA: Allora io ti chiamai vano orpello della mia fortuna; allora io ti chiamai povera ombra, regina dipinta, l'immagine di quello che io ero; l'allettante compendio d'un lugubre spettacolo; una sollevata in alto per esser precipitata giù; una madre a cui erano stati dati due bei bimbi solo per dileggio; un sogno di quel che eri; una vistosa bandiera destinata a servir di mira ad ogni pericoloso colpo; un simulacro di dignità, un soffio, una bolla; una regina per burla, fatta solo per riempir la scena. Dov'è or tuo marito? dove sono i tuoi fratelli? dove sono i tuoi due figli? di che ti allieti? Chi ti supplica e s'inginocchia e dice "Dio salvi la regina"? Dove sono gl'inchinevoli pari che ti adulavano? Dove sono le torme che ti facevan ressa intorno e ti seguivano? Ripensa a tutto questo e vedi quel che ora tu sei: per una moglie felice, una vedova afflittissima; per una lieta madre una che deplora quel nome, per una che era supplicata, una che supplica umilmente; per una regina, una meschina incoronata d'affanno; per colei che mi disprezzava, una che ora è da me disprezzata; per colei che era temuta da tutti, una che è timorosa di uno solo; per colei che comandava tutti, una che da nessuno è obbedita: così si è rivolto il corso della giustizia, e ha lasciato te nient'altro che preda del tempo, non avendo più che il pensiero di quel che sei stata per torturarti maggiormente, essendo quel che sei.
Tu hai usurpato il mio posto e non usurpi tu forse una giusta proporzione del mio dolore? Ora il tuo collo superbo sopporta la metà del mio grave giogo; al quale io qui sottraggo il mio capo stanco e ne lascio a te tutto il peso. Addio, sposa di York, e regina di triste iattura! Queste pene inglesi mi faranno sorridere in Francia.
ELISABETTA: O tu esperta di maledizioni, fermati un poco, e insegnami a maledire i miei nemici.
MARGHERITA: Astienti dal dormir la notte, e digiuna il giorno, confronta la felicità morta col dolore vivo, immaginati i tuoi bimbi più soavi di quel che non fossero, e colui che li ha uccisi più turpe di quel che non sia. Migliorare quel che hai perso fa peggiore il malvagio autore della tua perdita: rifletti a questo e imparerai a maledire.
ELISABETTA: Le mie parole sono stemprate; oh, ravvivale con le tue!
MARGHERITA: Le tue pene le renderanno affilate e penetranti come le mie.
(Esce)
DUCHESSA: Perché la sventura dev'essere così piena di parole?
ELISABETTA: Ventose patrocinatrici delle pene, loro clienti, ereditiere aeree di gioie intestate, povere anfanate oratrici delle sciagure! Lasciate che si sfoghino: sebbene quel che esse dicono non serva a nulla, pure alleviano il cuore.
DUCHESSA: Se è così, allora non restare con la lingua legata: vieni con me, e col fiato di amare parole soffochiamo il mio maledetto figlio, che ha soffocato i tuoi due dolci figli. Squilla la tromba:
sii prodiga d'imprecazioni.
(Entra RE RICCARDO, in marcia, con tamburi e trombe)
RICCARDO: Chi mette impedimento nella mia spedizione?
DUCHESSA: Oh, colei che, strangolandoti nel suo maledetto grembo, avrebbe potuto impedirti tutti gli eccidi che hai commessi, sciagurato!
ELISABETTA: Nascondi tu con una corona d'oro quella fronte dove, se il giusto fosse giusto, dovrebbero esser bollati l'assassinio del principe che possedeva quella corona e l'orribile morte dei miei poveri figli e dei miei poveri fratelli? Dimmi, manigoldo, dove sono i miei bambini?
DUCHESSA: Rospo, rospo, dov'è tuo fratello Clarence? E il piccolo Edoardo Plantageneto, suo figlio?
ELISABETTA: Dov'è il gentile Rivers, e Vaughan, e Grey?
DUCHESSA: Dov'è il buon Hastings?
RICCARDO: Una fanfara, trombe! battete l'allarme, tamburi! che il cielo non oda queste pettegole inveire contro l'unto del Signore!
Battete, dico! (Fanfare. Rullo di tamburi) O state chete e parlatemi a modo, o col clamoroso strepito di guerra soffocherò così le vostre vociferazioni.
DUCHESSA: Sei tu mio figlio?
RICCARDO: Sì, grazie a Dio, a mio padre e a voi stessa.
DUCHESSA: Allora pazientemente porgi orecchio alla mia impazienza.
RICCARDO: Signora, io ho un tratto del vostro carattere, che non può tollerare l'accento del rimprovero.
DUCHESSA: Oh, lasciami parlare!
RICCARDO: Fate pure; ma io non ascolterò.
DUCHESSA: Sarò mite e misurata nelle mie parole.
RICCARDO: E breve, buona madre; ché ho fretta.
DUCHESSA: Sei così frettoloso? Io ho atteso per te, lo sa Iddio, nel tormento e nell'angoscia.
RICCARDO: E non sono venuto alla fine a confortarvi?
DUCHESSA: No, per la santa Croce! tu sai bene che sei venuto sulla terra per far della terra il mio inferno. Un peso affannoso è stato per me la tua nascita; bizzosa e caparbia è stata la tua infanzia; i tuoi giorni di scuola spaventosi, sfrenati, selvaggi e furibondi; il fior dell'età ardito, temerario, avventuroso; l'età matura altezzosa, sottile, astuta e sanguinaria, più blanda, ma più pericolosa ancora, affabile nell'odio: quale ora di respiro puoi tu nominare che mi facesse gradire la tua compagnia?
RICCARDO: In fede, nessuna se non l'ora della fame che chiamò Vostra Grazia una volta a far colazione lontano dalla mia compagnia. Se io sono così sgradevole ai vostri occhi, lasciate che io prosegua la marcia e non vi irriti, signora. Battete il tamburo!
DUCHESSA: Ti prego, ascolta quel che dico.
RICCARDO: Voi dite cose troppo amare.
DUCHESSA: Ascolta una parola; perché io non ti parlerò mai più di nuovo.
RICCARDO: Sia.
DUCHESSA: O tu morrai, pel giusto decreto di Dio, prima che tu torni vincitore da questa guerra; o io perirò di dolore e d'estrema vecchiaia, e non rivedrò mai più la tua faccia. Perciò prendi con te la mia più terribile maledizione, la quale il giorno della battaglia ti stanchi di più della completa armatura che tu porti! Le mie preghiere combattono pel partito avversario; e là le piccole anime dei figli di Edoardo sussurrano agli spiriti dei tuoi nemici. e promettono loro successo e vittoria. Sanguinario tu sei, sanguinosa sarà la tua fine; l'onta è ancella della tua vita e accompagnerà la tua morte.
ELISABETTA: Benché maggior causa, pur molto meno vigore di maledizione dimora in me; io dico amen a lei.
RICCARDO: Fermatevi, signora; debbo dirvi una parola.
ELISABETTA: Io non ho più figli di sangue reale per le tue mani assassine: quanto alle mie figlie, Riccardo, esse saranno monache preganti, non regine piangenti; sicché non mirare a colpir la loro vita.
RICCARDO: Voi avete una figlia chiamata Elisabetta, virtuosa e bella, regale e graziosa?
ELISABETTA: E deve essa morire per questo? Oh, lascia che viva, ed io corromperò i suoi costumi, macchierò la sua bellezza, calunnierò me stessa come infedele al letto di Edoardo, gitterò su di lei il velo dell'infamia: purché ella possa vivere illesa da sanguinoso eccidio, io confesserò che non era la figlia di Edoardo.
RICCARDO: Non fate torto alla sua nascita; ella e una principessa reale.
ELISABETTA: Per salvar la sua vita., dirò che non lo è.
RICCARDO: La sua vita è salvaguardata solo dalla sua nascita.
ELISABETTA: E solo per codesta salvaguardia son morti i suoi fratelli.
RICCARDO: Oh, alla loro nascita le buone stelle erano opposte.
ELISABETTA: No, alla loro vita perfidi amici erano contrari.
RICCARDO: Inevitabile è il decreto del destino.
ELISABETTA: Già, quando la negazione d'ogni grazia tien luogo di destino: i miei bimbi erano destinati a una morte più bella, se la grazia avesse dato a te la benedizione d'una più bella vita.
RICCARDO: Voi parlate come se io avessi ucciso i miei nipoti.
ELISABETTA: Nipoti davvero, e frodati dal loro zio della felicità, del regno, dei parenti, della libertà, della vita! Qualunque mano sia stata a trafiggere i loro teneri cuori, è stata la tua testa, indirettamente, a dirigerla: certo il coltello omicida era stemperato e ottuso prima di venir affilato sul tuo cuore di pietra per tripudiare nelle viscere dei miei agnelli. Se il silenzioso trattamento del dolore non ammansisse un dolore selvaggio, la mia lingua non farebbe alle tue orecchie il nome dei miei bambini fintantoché le mie unghie non fossero ancorate nei tuoi occhi; ed io in tal disperata baia di morte, come una povera barca privata di vele e di sartie, non mi fossi spezzata contro il tuo seno di roccia.
RICCARDO: Signora, così possa io avere successo nella mia impresa e nella pericolosa vicenda delle sanguinose guerre, come è vero che io intendo di far più bene a voi e ai vostri di quanto a voi e ai vostri non facessi male.
ELISABETTA: Qual bene è ricoperto dalla faccia del cielo che, scoperto, potrebbe far bene a me?
RICCARDO: L'innalzamento dei vostri figli, gentile signora.
ELISABETTA: A qualche patibolo, per perdervi il capo?
RICCARDO: Alla dignità e al fastigio della fortuna, all'alto emblema imperiale della gloria di questa terra.
ELISABETTA: Blandisci il mio dolore riferendomi codesto! Dimmi, quale magnificenza, quale dignità, quale onore puoi tu devolvere a qualcuno dei figli miei?
RICCARDO: Tutto quello che ho; sì, di me stesso e di tutto io voglio dotare uno dei tuoi figli, sicché nel Lete della tua anima irosa tu possa annegare il triste ricordo di quei torti che tu supponi io ti abbia fatti.
ELISABETTA: Sii breve, affinché la dichiarazione della tua bontà non duri più a lungo della tua bontà stessa.
RICCARDO: Allora sappi che con tutta l'anima io amo tua figlia.
ELISABETTA: La madre di mia figlia lo crede con tutta l'anima.
RICCARDO: Che cosa credete?
ELISABETTA: Che tu ami mia figlia con tutta l'anima, come con tutto l'amore dell'anima tu hai amato i suoi fratelli; e con tutto l'amore del mio cuore io te ne ringrazio.
RICCARDO: Non aver tanta fretta a fraintendere il mio pensiero: voglio dire che con tutta l'anima io amo tua figlia e intendo di farla regina d'Inghilterra.
ELISABETTA: Bene, e chi vuoi dire che sia suo re?
RICCARDO: Né più né meno che colui che la fa regina; chi altri potrebbe essere?
ELISABETTA: Cosa? Tu?
RICCARDO: Proprio così; che ve ne pare?
ELISABETTA: Come puoi farle la corte?
RICCARDO: Questo vorrei imparare da voi, che conoscete meglio di tutti il suo umore.
ELISABETTA: E lo vuoi imparare da me?
RICCARDO: Signora, con tutto il cuore.
ELISABETTA: Mandale per l'uomo che ha ucciso i suoi fratelli un paio di cuori sanguinanti; incidi su di essi: Edoardo e York; allora ella piangerà forse: poi offrile - come una volta Margherita fece con tuo padre, inzuppandolo nel sangue di Rutland - un fazzoletto che, tu le dirai, ha asciugato la purpurea linfa dal corpo del suo dolce fratello, e invitala a strofinarselo sugli occhi piangenti. Se questo incentivo non la muove ad amare, mandale una lettera delle tue nobili azioni; dille che tu hai spacciato suo zio Clarence, suo zio Rivers; sicuro, e che per via di lei ti sei rapidamente sbarazzato della sua buona zia.
RICCARDO: Vi burlate di me, signora; questo non è il modo per conquistare vostra figlia.
ELISABETTA: Non v'è altro modo; a meno che tu non possa assumere qualche altra forma e non essere il Riccardo che ha fatto tutto questo.
RICCARDO: E se io avessi fatto tutto questo per amore di lei?
ELISABETTA: Allora davvero essa non può far altro che odiarti per aver comprato il suo amore con sì sanguinoso scialo.
RICCARDO: Sentite, a quel che è stato fatto non si può mettere ora rimedio. Gli uomini commettono talvolta sconsigliatamente degli atti di cui han modo di pentirsi nelle ore successive. Se io ho tolto il regno ai vostri figli, per farne ammenda lo darò a vostra figlia; se io ho ucciso il frutto del vostro grembo, per rianimare la vostra propagazione genererò da vostra figlia la mia prole del vostro sangue:
il nome di nonna è di poco inferiore in amore all'appassionato titolo di madre! essi son come figli soltanto un grado al di sotto, della vostra stessa tempra, del vostro sangue stesso; di una medesima pena, salvo una notte di doglie sofferta da colei per la quale voi avete patito ugual dolore. I figli vostri furono il tormento della vostra gioventù; ma i miei saranno il conforto della vostra vecchiaia. La perdita che avete subìto non è che d'un figlio re; e per tal perdita la vostra figlia è fatta regina. Io non posso darvi quanti risarcimenti vorrei, per cui accettate quei segni d'affetto che posso offrirvi. Vostro figlio Dorset che con anima pavida trascina scontenti passi su suolo straniero, sarà celermente richiamato in patria, da questo bel parentado, ad alte promozioni e gran dignità: il re che chiama sposa la vostra bella figlia, familiarmente chiamerà fratello il tuo Dorset; di nuovo sarete la madre d'un re, e tutte le rovine dei tempi angosciosi saranno riparate con doppia dovizia di gioia. Ah!
molti bei giorni abbiamo da vedere: le liquide stille di pianto che avete versate vi torneranno trasformate in perle orientali, facendo fruttare al loro prestito l'interesse di dieci doppi di guadagnata felicità. Va', dunque, madre mia, va' da tua figlia; fate arditi con la vostra esperienza i suoi timidi anni, preparate le sue orecchie a udire la dichiarazione d'un innamorato; ponete nel suo tenero cuore la vibrante fiamma dell'aurea sovranità; rivelate alla principessa le dolci ore silenziose delle gioie matrimoniali; e quando questo braccio mio avrà castigato quel ribelluzzo, il fatuo Buckingham, io tornerò cinto di trionfal ghirlanda, e menerò tua figlia al talamo d'un conquistatore; e a lei rassegnerò le mie conquiste, ed essa sarà la sola vincitrice, il Cesare di Cesare.
ELISABETTA: Che sarà meglio che io le dica? che il fratello di suo padre vorrebbe essere il suo signore? o dirò suo zio? o colui che ha ucciso i suoi fratelli e i suoi zii? Sotto qual titolo parlerò in tuo favore che Iddio, la legge, il mio onore, e il suo amore possano rendere accetto ai suoi teneri anni?
RICCARDO: Adduci la pace della bella Inghilterra in seguito a questo parentado.
ELISABETTA: Che essa comprerà con una guerra perenne.
RICCARDO: Dille che il re, che può comandare, supplica...
ELISABETTA: Cosa da lei che il Re dei re vieta.
RICCARDO: Dille che sarà una regina alta e possente .
ELISABETTA: Per lamentare codesto titolo, come ha fatto sua madre.
RICCARDO: Dille che io l'amerò sempre.
ELISABETTA: Ma quanto durerà codesto sempre?
RICCARDO: Soavemente fino alla fine della sua vita bella.
ELISABETTA: Ma quanto durerà bella la sua soave vita?
RICCARDO: Fino a che il cielo e la natura la prolunghino.
ELISABETTA: Fino a che l'inferno e Riccardo la permettano.
RICCARDO: Dille che io, suo sovrano, sono suo umile suddito.
ELISABETTA: Ma lei, vostra suddita, aborrisce tale sovranità.
RICCARDO: Sii eloquente in mio favore presso di lei.
ELISABETTA: Un'onesta dichiarazione è più efficace quando è fatta semplicemente.
RICCARDO: Allora falle semplicemente la mia dichiarazione d'amore.
ELISABETTA: Semplice e non onesto stona troppo.
RICCARDO: I vostri argomenti son troppo superficiali e troppo vivaci.
ELISABETTA: Oh, no, i miei argomenti sono troppo profondi e morti; troppo profondi e morti, poveri bimbi, nelle loro tombe.
RICCARDO: Non toccate questa corda, signora; ciò è passato.
ELISABETTA: La toccherò finché si spezzino le corde del cuore.
RICCARDO: Ora, per il mio San Giorgio, per la mia Giarrettiera, e per la mia corona...
ELISABETTA: L'uno profanato, l'altra disonorata e la terza usurpata.
RICCARDO: Io giuro...
ELISABETTA: Per niente; perché questo non è un giuramento: il tuo San Giorgio, profanato, ha perduto la sua onorifica maestà; la tua Giarrettiera, lordata, ha lasciato in pegno la sua cavalleresca virtù; la tua corona, usurpata, ha infangato il suo splendore regale. Se vuoi giurare qualcosa che possa essere creduto, giura per qualcosa che tu non hai insultato.
RICCARDO: Ebbene, per il mondo...
ELISABETTA: E' pieno dei tuoi misfatti.
RICCARDO: Per la morte di mio padre...
ELISABETTA: La tua vita l'ha disonorata.
RICCARDO: Allora, per me stesso...
ELISABETTA: Hai fatto mal governo di te stesso.
RICCARDO: Ebbene, allora, per Dio...
ELISABETTA: Il torto che hai fatto a Dio è il più grande. Se tu avessi temuto di rompere un giuramento nel nome di Lui, l'unione fatta dal re mio sposo tu non l'avresti rotta, né i miei fratelli sarebbero morti:
se tu avessi temuto di rompere un giuramento nel nome di Lui, l'imperial metallo che circonda il tuo capo avrebbe adornato le tenere tempie del figlio mio, e li vedremmo respirare qui i due principi che ora, troppo teneri compagni di letto per la polvere, la tua rotta fede ha dato in preda ai vermi. Per che cosa puoi giurare adesso?
RICCARDO: Per l'avvenire.
ELISABETTA: Al quale hai fatto torto nel passato; perché io stessa ho da versar molte lacrime per lavare il tempo che verrà per il tempo passato a cui hai fatto torto. Vivono i figli, dei quali hai assassinato i padri, gioventù senza guida, per piangerne nella loro vecchiaia; vivono i genitori dei quali hai scannato i figli, antiche piante isterilite, per piangerne nella loro vecchiaia. Non giurare per l'avvenire; ché tu ne hai abusato prima di usarne, col mal uso che hai fatto del passato.
RICCARDO: Com'io intendo di prosperare nel sentimento, così possa io aver successo nella mia pericolosa faccenda di armi ostili! Possa io confonder me stesso! Il cielo e la fortuna mi precludano le ore felici ! Giorno, non largirmi la tua luce, e tu notte, il tuo riposo! Siate opposti alla mia impresa, o voi tutti pianeti della buona sorte, se con amore sviscerato, immacolata devozione e santi pensieri io non ho cara la tua bella principesca figlia! Da essa dipendono la mia felicità e la tua: senza di lei, ne conseguono per me e per te, per lei stessa, pel paese, e per molte anime cristiane, morte, desolazione, rovina e decadimento; ciò non può essere evitato che così; ciò non sarà evitato che così. Per cui, cara madre, così debbo chiamarvi, siate presso di lei l'avvocata del mio amore: adducete quel che io sarò, non quello che io sono stato; non i miei meriti, ma quello che meriterò: invocate la necessità e la condizione dei tempi e non vi mostrate bizzosa ove si tratta di alti disegni.
ELISABETTA: Mi lascerò così tentare dal demonio?
RICCARDO: Sì, se il demonio vi tenta a una opera buona.
ELISABETTA: Dimenticherò io stessa d'esser me stessa?
RICCARDO: Sì, se il ricordo di voi stessa vi fa torto.
ELISABETTA: Eppure tu hai ucciso i miei figli.
RICCARDO: Ma io li seppellisco nel grembo di vostra figlia, dove, in quel nido d'aromati, rinasceranno di se stessi per vostro riconforto.
ELISABETTA: Debbo dunque andare a guadagnare mia figlia alla vostra volontà?
RICCARDO: E ad essere per tale atto una madre felice.
ELISABETTA: Io vado, scrivetemi tra breve, e saprete da me il suo animo.
RICCARDO: Recatele il bacio del mio sincero amore, e così addio. (Esce la Regina Elisabetta) Arrendevole sciocca, donna superficiale e mutevole!
(Entra RATCLIFF; CATESBY lo segue)
Ebbene che notizie?
RATCLIFF: Potentissimo sovrano, sulla costa occidentale naviga una poderosa flotta; verso le nostre rive si affollano molti amici dubbi e malfidi, inermi e indecisi a respinger gli aggressori: si crede che Richmond sia il loro ammiraglio; e là essi sono in panna, e non attendono che l'aiuto di Buckingham che li accolga a riva.
RICCARDO: Qualche celere amico corra dal duca di Norfolk: Ratcliff, tu stesso, o Catesby; dov'è egli?
CATESBY: Qui, mio buon signore.
RICCARDO: Catesby, vola dal duca!
CATESBY: Sì, mio signore, con tutta la fretta appropriata.
RICCARDO: Ratcliff, vien qui, corri a Salisbury; quando sarai giunto là... (A Catesby) Stolto cialtrone! Perché rimani costì, e non vai dal duca?
CATESBY: Prima, potente signore, ditemi qual è il piacere di Vostra Altezza, che cosa debbo io comunicare a lui da parte di Vostra Grazia.
RICCARDO: Ah, è vero, buon Catesby: digli di raccogliere immediatamente il maggior nerbo di forze che potrà, e di venirmi subito incontro a Salisbury.
CATESBY: Vado.
(Esce)
RATCLIFF: Di grazia, che debbo fare a Salisbury?
RICCARDO: Come, che cosa vorresti fare là prima che ci vada io?
RATCLIFF: Vostra Altezza mi diceva che io dovessi corrervi prima.
RICCARDO: Ho cambiato idea.
(Entra LORD STANLEY)
Stanley, che notizie avete?
STANLEY: Nessuna così buona, mio sovrano, da dilettarvi di udirla; ma nessuna così cattiva da non poter essere riferita.
RICCARDO: Diamine! un indovinello, né buone né cattive! Che bisogno hai d'andar tanto per le lunghe quando potresti fare il tuo racconto per la via più breve? Di nuovo che notizie?
STANLEY: Richmond è sul mare.
RICCARDO: Ci sprofondi, e il mare sia su di lui! Che sta facendo là quel pusillanime rinnegato?
STANLEY: Non so, potente sovrano, ma posso immaginarmi.
RICCARDO: Ebbene, che t'immagini?
STANLEY: Incitato da Dorset, da Buckingham e da Morton, fa vela verso l'Inghilterra, per reclamare qui la corona.
RICCARDO: E' vuoto il trono? Non è brandita la spada? E' morto il re?
E' vacante l'impero? Che erede di York c'è vivo all'infuori di me? E chi è re d'Inghilterra se non l'erede del grande York? Dimmi dunque, che fa egli sul mare?
STANLEY: Se non è per quello, mio sovrano, io non so immaginarmi.
RICCARDO: Se non è perché viene per essere vostro sovrano, voi non sapete immaginarvi perché venga il Gallese. Tu ti ribellerai e te ne fuggirai da lui, io temo.
STANLEY: No, mio buon signore; perciò non diffidate di me.
RICCARDO: Dove son dunque le tue forze per respingerlo? Dove sono i tuoi valvassori e i tuoi dipendenti? Non sono essi ora sulla costa occidentale a proteggere lo sbarco dei ribelli?
STANLEY: No, mio buon signore, i miei amici sono nel nord.
RICCARDO: Freddi amici per me! Che stanno a fare nel nord, quando dovrebbero servire il loro sovrano nell'occidente?
STANLEY: Essi non han ricevuto alcun comando, potente re; piaccia a Vostra Maestà di darmene il permesso, io raccoglierò i miei amici e mi congiungerò a Vostra Grazia, dove e quando piacerà alla Maestà Vostra.
RICCARDO: Già, già, tu vorresti andartene per unirti a Richmond; ma io non vo' fidarmi di te.
STANLEY: Potentissimo sovrano, voi non avete alcuna ragione di dubitare della mia amicizia: io non sono stato, e non sarò mai traditore.
RICCARDO: Allora andate e raccogliete gente; ma lasciate addietro vostro figlio Giorgio Stanley: badate che il vostro cuore sia saldo, altrimenti la sicurtà della sua testa è molto fiacca.
STANLEY: Agite con lui al modo in cui io mi mostrerò leale a voi!
(Esce)
(Entra un Messo)
MESSO: Mio grazioso sovrano, ora nella contea di Devon, a quel che ben mi avvertono amici, sir Edoardo Courtney, e quel borioso prelato, il vescovo di Exeter, suo fratello maggiore, con parecchi confederati, sono in armi.
(Entra un altro Messo)
SECONDO MESSO: Nel Kent, mio sovrano, i Guildford sono in armi; e ogni ora che passa aumentano i fautori che si uniscono ai ribelli, e crescono le loro forze.
(Entra un altro Messo)
TERZO MESSO: Mio signore, l'esercito del gran Buckingham...
RICCARDO: Alla malora, uccellacci! Nient'altro che canti di morte? (Lo percuote) Tieni, piglia questa, finché tu non rechi migliori nuove.
TERZO MESSO: La nuova che ho da dire a Vostra Maestà è che per improvvise piene ed acquazzoni l'esercito di Buckingham è disperso e sparpagliato; e lui stesso si è allontanato solo ed errabondo, nessuno sa dove.
RICCARDO: Ti supplico di perdonarmi: ecco la mia borsa per curare quel tuo colpo. Ha qualche accorto amico proclamato una ricompensa per colui che consegna il traditore?
TERZO MESSO: Tal proclama è stato fatto, signor mio.
(Entra un altro Messo)
QUARTO MESSO: Sir Tommaso Lovel e monsignor il marchese di Dorset, si dice, mio sovrano, che sono in armi nella contea di York. Però questo buon conforto io reco a Vostra Altezza: la flotta bretone è dispersa dalla tempesta: Richmond nella contea di Dorset ha mandato una barca a terra per chiedere a quelli della riva se erano suoi sostenitori, sì o no; ed essi gli han risposto che venivano da parte di Buckingham in suo aiuto: ma lui, diffidando di loro, ha issato le vele e si è diretto di nuovo verso la Bretagna.
RICCARDO: Marciamo, marciamo, dal momento che siamo in armi! Se non per combattere con nemici stranieri, per sgominare questi ribelli che abbiamo qui a casa.
(Rientra CATESBY)
CATESBY: Mio sovrano, il duca di Buckingham è preso; questa è la miglior notizia; che il conte dl Richmond è sbarcato a Milford con possenti forze è notizia più fredda; ma pure dev'essere data.
RICCARDO: In marcia! A Salisbury! Mentre stiam qui ragionando, potrebbe vincersi e perdersi una grande battaglia: che alcuni provvedano a condurre Buckingham a Salisbury; gli altri marcino con me.
(Squillo di trombe. Escono)
STANLEY: Sir Cristoforo, di' per parte mia a Richmond questo: che nel brago del micidialissimo cinghiale mio figlio Giorgio Stanley è chiuso a impinguare: se io mi ribello, giù cade la testa del giovane Giorgio; il timore di ciò impedisce il mio aiuto immediato. Così, vattene; raccomandami al tuo signore. Digli inoltre che la regina ha acconsentito di cuore che egli sposi Elisabetta sua figlia. Ma dimmi, dov'è adesso il principesco Richmond?
CRISTOFORO: A Pembroke, o a Ha'rford-west, nel Galles.
STANLEY: Quali persone eminenti si sono unite a lui?
CRISTOFORO: Sir Gualtiero Herbert, famoso soldato; sir Gilberto Talbot, sir Guglielmo Stanley; Oxford, il temuto Pembroke, sir Giacomo Blunt, e Rigo di Tommaso con una gagliarda schiera, e molti altri di gran nome e merito; e verso Londra essi volgono il loro sforzo, se non sono combattuti per via.
STANLEY: Bene, corri dal tuo signore; io bacio la sua mano: la mia lettera lo trarrà di dubbio circa le mie intenzioni. Addio.
(Escono)
ATTO QUINTO
BUCKINGHAM: Re Riccardo non vuol permettermi di parlargli?
SCERIFFO: No, mio buon signore; sicché siate paziente.
BUCKINGHAM: Hastings, e voi, figli d'Edoardo, e Grey, e Rivers e tu santo re Enrico, e il tuo bel figlio Edoardo, Vaughan, e voi tutti che siete periti per turpe, corrotta e clandestina ingiustizia, se le vostre anime crucciose e scontente contemplano di tra le nubi l'ora presente, per vendicarvi dileggiate la mia rovina! Questo è il giorno dei morti, compare, non è così?
SCERIFFO: E' così.
BUCKINGHAM: Ebbene, il giorno dei morti è il giorno del giudizio pel mio corpo. Questo è il giorno che, al tempo di re Edoardo, io mi augurai potesse cadere su di me, quand'io fossi convinto di tradimento verso i suoi figli e i parenti di sua moglie: questo è il giorno in cui mi augurai di cadere pel tradimento di colui in cui avessi più confidato. Questo, questo giorno dei morti, è per l'anima mia paurosa la data a cui è stata differita la pena dei miei misfatti.
Quell'Eccelso che tutto vede, di cui mi presi gioco, ha fatto ricadere sulla mia testa la mia finta preghiera, e mi ha accordato sul serio quello che io chiedevo per burla. Così Egli forza le spade dei malvagi a rivolger la punta contro il petto dei loro padroni. Così la maledizione di Margherita mi cade pesantemente sul collo: "Quando - ella disse egli - spezzerà d'angoscia il tuo cuore, ricordati che Margherita era profetessa". Via, ufficiali, menatemi al ceppo infame; il torto non raccoglie che il torto, e la colpa la retribuzione della colpa.
(Escono)
SCENA SECONDA - Il campo presso Tamworth
(Entrano RICHMOND, OXFORD, BLUNT, HERBERT, ed altri, con tamburi e bandiere)
RICHMOND: Compagni d'armi e miei amici affezionatissimi, schiacciati sotto il giogo della tirannide, fin qui noi siamo penetrati senza ostacolo nelle viscere del paese; e qui riceviamo dal nostro padre Stanley righe di dolce conforto e di incoraggiamento. Lo sciagurato e sanguinario cinghiale usurpatore, che ha devastato i vostri campi di grano e le vostre fertili vigne, ingurgita il vostro caldo sangue come imbratto, e fa il suo trogolo dei vostri petti sventrati - questo sozzo maiale è ora proprio nel centro di quest'isola, presso la città di Leicester, a quel che apprendiamo: da Tamworth fin là non c'è che un sol giorno di marcia. In nome di Dio, animo e avanti, coraggiosi amici, per raccoglier la messe d'una perpetua pace a mezzo di quest'unica sanguinosa prova d'aspra guerra.
OXFORD: La coscienza di ciascun uomo è come mille uomini per combattere contro questo scellerato omicida.
HERBERT: Io non dubito che i suoi amici non passino dalla nostra parte.
BLUNT: Egli non ha altri amici che coloro che sono amici per paura, e questi fuggiranno da lui nel suo maggior bisogno.
RICHMOND: Tutto a nostro vantaggio. Sicché, in nome di Dio, si marci!
La speranza virtuosa è celere, e vola con ali di rondine; i re li muta in numi, e le creature più umili in re.
SCENA TERZA - Il Campo di Bosworth
(Entrano RE RICCARDO, in armi, con NORFOLK, il CONTE DI SURREY, ed altri)
RICCARDO: Qui piantiamo la nostra tenda, proprio qui nel campo di Bosworth. Monsignore di Surrey, perché avete l'aria così mesta?
SURREY: Il mio cuore è dieci volte più allegro del mio aspetto.
RICCARDO: Monsignore di Norfolk!
NORFOLK: Eccomi, mio grazioso sovrano.
RICCARDO: Norfolk, si dovrà fare alle botte, eh! non è vero?
NORFOLK: Si dovrà darne e riceverne, mio diletto signore.
RICCARDO: Su con la mia tenda! Riposerò qui stanotte. Ma domani dove?
Be', fa lo stesso. Chi ha osservato il numero dei traditori?
NORFOLK: Sei o settemila è la loro massima forza.
RICCARDO: Come! la nostra battaglia è tre volte tanto, inoltre il nome di re è una torre di fortezza, che manca a quelli della fazione avversa. Su con la mia tenda! Venite, nobili signori, esaminiamo il vantaggio del terreno. Si chiamino degli uomini di provata abilità:
osserviamo una rigorosa disciplina, non frapponiamo indugi; ché, signori, domani è una giornata affaccendata.
(Escono)
(Entrano, dall'altro lato del campo, RICHMOND, SIR GUGLIELMO BRANDON, OXFORD, ed altri. Alcuni dei soldati piantano la tenda di Richmond)
RICHMOND: Lo stanco sole ha fatto un tramonto dorato, e con la splendida traccia del suo carro di fuoco dà segno di bella giornata domani. Sir Guglielmo Brandon, voi porterete il mio stendardo. Datemi inchiostro e carta nella mia tenda: disegnerò la forma e il modello della nostra battaglia, fisserò a ciascun capo la sua consegna, e distribuirò in giuste proporzioni il nostro piccolo esercito.
Monsignore di Oxford, voi, sir Guglielmo Brandon, e voi, sir Gualtiero Herbert, restate con me. Il conte di Pembroke sta col suo reggimento; buon capitano Blunt, recategli la mia buona notte, e invitate il conte a venirmi a trovare nella mia tenda alla seconda ora del mattino; un'altra cosa ancora, buon capitano, fate per me: dov'è acquartierato lord Stanley, lo sapete?
BLUNT: A meno che io non mi sia proprio ingannato sui suoi colori, cosa che io son certo di non aver fatta, il suo reggimento sta un mezzo miglio almeno a mezzogiorno del potente esercito del re.
RICHMOND: Se è possibile farlo senza perigli, caro Blunt, trovate mezzo di parlargli e dategli da parte mia questa importantissima nota.
BLUNT: Per la mia vita, mio signore, intraprenderò la cosa; e così Iddio vi conceda un quieto riposo stanotte!
RICHMOND: Buona notte, buon capitano Blunt. Venite, signori, consultiamoci sulla faccenda di domani: dentro la mia tenda! la guazza è cruda e gelida.
(Si ritirano dentro la tenda)
(Entra nella sua tenda RE RICCARDO con NORFOLK, RATCLIFF, CATESBY, ed altri)
RICCARDO: Che ora è?
CATESBY: E' l'ora di cena, mio signore; sono le nove.
RICCARDO: Non cenerò questa sera. Datemi inchiostro e carta. Ebbene, è la mia celata più arrendevole di prima? E tutta la mia armatura è stata messa nella mia tenda?
CATESBY: Sì, mio sovrano; ed ogni cosa è pronta.
RICCARDO: Buon Norfolk, affrettati alla tua consegna; fa' diligente vigilanza, scegli sentinelle fidate.
NORFOLK: Vado, mio signore.
RICCARDO: Alzati coll'allodola domattina, gentile Norfolk NORFOLK: State sicuro, mio signore.
(Esce)
RICCARDO: Catesby!
CATESBY: Mio signore!
RICCARDO: Manda un messaggero di Stato al reggimento di Stanley:
Ordinagli di condurre le sue forze prima della levata del sole, se non vuole che suo figlio Giorgio cada nella cieca spelonca dell'eterna notte. (Esce Catesby) Riempimi una ciotola di vino. Dammi una candela da veglia. Sella il bianco Surrey per la battaglia di domani. Guarda che le mie aste sian salde e non troppo pesanti. Ratcliff!
RATCLIFF: Signor mio?
RICCARDO: Hai visto il melanconico lord Northumberland?
RATCLIFF: Tommaso conte di Surrey, e lui, all'ora che si chiudono i polli, hanno fatto il giro dell'esercito, schiera per schiera, animando i soldati.
RICCARDO: Bene, son soddisfatto. Dammi una ciotola di vino. Io non sento quell'alacrità di spirito né quell'allegrezza d'animo che solevo avere. Posala. Sono pronti inchiostro e carta?
RATCLIFF: Sì, mio signore.
RICCARDO: Ordina alla mia guardia di star vigile. Lasciatemi.
Ratcliff, verso la metà della notte vieni alla mia tenda per aiutare ad armarmi. Lasciatemi, dico.
(Escono Ratcliff e gli altri Famigli)
(STANLEY entra nella tenda di RICHMOND; stanno attorno Pari ed altre persone)
STANLEY: La fortuna e la vittoria si posino sul tuo elmo!
RICHMOND: Ogni conforto che la cupa notte può offrire sia per la tua persona, nobile suocero! Dimmi, come sta la nostra affettuosa madre?
STANLEY: Io, per procura, ti benedico da parte di tua madre, che continuamente prega pel bene di Richmond Ma di ciò basti. Le silenziose ora trascorrono, e la tenebra fioccosa si rompe a oriente.
Per esser breve, poiché il tempo l'esige, prepara la tua battaglia di primo mattino, e affida la tua fortuna all'arbitrato dei sanguinosi colpi e della guerra dal cipiglio mortale. Io, per quanto potrò - ché non posso quel che vorrei approfitterò d'ogni circostanza per guadagnar tempo e aiutarti in questo dubbioso scontro di armi: ma non posso essere troppo zelante a prender la tua parte, per timore che, se mi vedono, tuo cognato, il tenero Giorgio, sia giustiziato sotto gli occhi di suo padre. Addio: l'angustia del tempo e l'ansia del momento troncano le cerimoniose proteste d'affetto e quell'ampio scambio di dolci conversari su cui dovrebbero indugiarsi amici così a lungo separati. Dio ci dia agio per questi riti d'amore! Di nuovo, addio:
sii prode, e abbi successo!
RICHMOND: Buoni signori, conducetelo al suo reggimento: io mi sforzerò di fare un sonnellino a dispetto dell'importuno rumore, onde un plumbeo sonno non mi opprima domani, allorché dovrei innalzarmi con le ali della vittoria. Di nuovo buona notte, cortesi pari e gentiluomini.
(Escono tutti eccetto Richmond) O Tu, di cui mi considero il capitano, guarda alle mie truppe con occhio benigno: metti nelle loro mani le mazze ferrate della tua collera, che nella loro pesante caduta schiaccino gli elmi usurpatori dei nostri avversari: fa' di noi i ministri del tuo castigo, sicché noi possiamo lodarti nella tua vittoria! A te io raccomando la mia anima vigilante, prima di abbassare gli scuri dei miei occhi: addormentato o sveglio, oh, difendimi sempre!
(S'addormenta)
(Entra lo Spettro del PRINCIPE EDOARDO, figlio di Enrico Sesto)
SPETTRO (a Re Riccardo): Che io opprima del mio peso la tua anima domani! Pensa come m'hai pugnalato nel fiore della giovinezza a Tewksbury: perciò dispera e muori! (A Richmond) Sta' lieto, Richmond, poiché le anime offese dei principi massacrati combattono dalla tua parte; il figlio di re Enrico ti conforta, Richmond.
(Entra lo Spettro di ENRICO SESTO)
SPETTRO (a Re Riccardo):Quando io ero mortale, il mio corpo consacrato lo trafiggesti tutto di fori letali; pensa alla Torre, e a me; dispera, e muori Enrico Sesto t'ingiunge: dispera e muori! (A Richmond) Virtuoso e santo, sii tu vincitore! Arrigo, che predisse che tu saresti re, ti conforta nel tuo sonno: vivi e fiorisci!
(Entra lo Spettro di CLARENCE)
SPETTRO (a Re Riccardo): Che io opprima del mio peso la tua anima domani! Io che fui inzuppato a morte in un vino stucchevole, io, il povero Clarence, consegnato alla morte dal tuo tradimento... Domani, nella battaglia, pensa a me, e lascia cadere la tua spada senza filo; dispera, e muori! (A Richmond) Tu, prole della casa di Lancaster, gli offesi eredi di York pregano per te; i buoni angeli veglino sulla tua battaglia! vivi e prospera!
(Entrano gli Spettri di RIVERS, GREY e VAUGHAN)
SPETTRO DI RIVERS (a Re Riccardo): Che io opprima del mio peso l'anima tua domani... Rivers, che morì a Pomfret! Dispera e muori !
SPETTRO DI GREY (a Re Riccardo): Pensa a Grey, e che la tua anima disperi!
SPETTRO VAUGHAN (a Re Riccardo): Pensa a Vaughan, e nel terrore della tua colpa, fa' cader la tua lancia; dispera e muori!
TUTTI (a Richmond): Destati, e pensa che i torti che Riccardo ci ha fatti sono nel suo cuore e lo vinceranno! Destati, e vinci la giornata!
(Entra lo Spettro di HASTINGS)
SPETTRO (a Re Riccardo): Sanguinario e colpevole, destati col senso della tua colpa, e finisci i tuoi giorni in una sanguinosa battaglia!
Pensa a lord Hastings; dispera e muori! (A Richmond) Anima calma e serena, destati destati! Armati, combatti, e vinci pel bene della bella Inghilterra!
(Entrano gli Spettri dei due giovani PRINCIPI)
SPETTRI (a Re Riccardo): Sogna dei tuoi nipoti soffocati nella Torre!
Come piombo nel tuo petto, Riccardo, abbiamo da essere, e trascinarti giù alla rovina, all'onta e alla morte! Le anime dei nipoti ingiungono: dispera e muori! (A Richmond) Dormi, Richmond, dormi in pace, e destati in letizia; buoni angeli ti proteggano dalla molestia del cinghiale! Vivi, e genera una felice stirpe di re! Gl'infelici figli di Edoardo ti dicono: prospera!
(Entra lo Spettro di LADY ANNA)
SPETTRO (a Re Riccardo): Riccardo, tua moglie, quella sciagurata Anna tua moglie, che non. ha mai dormito un'ora tranquilla con te, ora riempie di perturbazioni il tuo sonno; domani nella battaglia pensa a me, e lascia cadere la tua spada senza filo: dispera e muori! (A Richmond) Tu, anima tranquilla, dormi un sonno tranquillo: sogna di successo e di felice vittoria! La moglie del tuo avversario prega per te.
(Entra lo Spettro di BUCKINGHAM)
SPETTRO (a Re Riccardo): Io sono stato il primo ad aiutarti ad acquistare la corona; sono stato l'ultimo a sentire la tua tirannide; Oh! nella battaglia pensa a Buckingham, e muori nel terrore della tua nequizia! Seguita, seguita a sognare di azioni sanguinose e di morte:
venendo meno, dispera e, disperando, esala lo spirito! (A Richmond) Io morii nella speranza prima di poterti prestare aiuto, ma fatti animo, e non ti sbigottire! Dio e i buoni angeli combattano dalla parte di Richmond, e Riccardo cada all'apice di tutto il suo orgoglio!
(Gli Spettri svaniscono. Re Riccardo si sveglia di soprassalto dal suo sogno)
RICCARDO: Datemi un altro cavallo! fasciate le mie ferite! Abbi pietà, Gesù!... Piano, non è stato che un sogno. O coscienza codarda, come mi affliggi! I lumi ardono di fiamma sulla mia carne tremante. Che cosa temo? me stesso? Nessun altro è qui; Riccardo ama Riccardo, io sono ben io. C'è qui un assassino? No. Sì, son io. Allora fuggiamo. Come, da me stesso? Buona ragione: perché? Perché io non faccia vendetta.
Che? Di me sopra me stesso? Ma io amo me stesso. Perché? Per qualche bene che io abbia fatto a me stesso? Oh, no! ahimè, io piuttosto mi odio per odiose azioni commesse da me. Io sono uno scellerato; eppure io mento, non lo sono. Sciocco, parla bene di te stesso, sciocco non adularti. La mia coscienza ha mille lingue diverse ed ogni lingua racconta una storia diversa, ed ogni storia mi condanna come scellerato. Lo spergiuro, al grado più alto, il delitto, il crudele delitto, al grado più atroce; tutti i peccati, praticati tutti in ogni grado, si accalcano alla sbarra, e gridan tutti: "Colpevole!
colpevole!". Mi abbandonerò alla disperazione. Non c'è creatura che mi ami; e, se io muoio, non un'anima avrà pietà di me; e perché dovrebbero, dal momento che io stesso non trovo in me pietà per me stesso? M'è parso che le anime di tutti coloro che io ho ucciso siano venute alla mia tenda, e ciascuna abbia minacciato la vendetta di domani sul capo di Riccardo.
(Entra RATCLIFF)
RATCLIFF: Mio signore!
RICCARDO: Chi è costà, perdio?
RATCLIFF: Son io, mio signore. Il mattiniero gallo del villaggio ha già due volte fatto il saluto allo spuntar del giorno, i vostri amici sono alzati, e si affibbiano l'armatura.
RICCARDO: Oh, Ratcliff, io ho sognato un sogno spaventoso. Che pensi tu? saranno tutti fedeli i nostri amici?
RATCLIFF: Senza dubbio, mio signore.
RICCARDO: Oh, Ratcliff, io temo, io temo!
RATCLIFF: Via, mio buon signore, non abbiate paura di ombre.
RICCARDO: Per l'apostolo Paolo, le ombre stanotte han messo più terrore nell'anima di Riccardo che non farebbe la sostanza di diecimila soldati armati a tutte le prove e guidati da quello sciocco di Richmond! Il giorno non è ancora vicino. Su, vieni con me; vo' far lo spione sotto le nostre tende per origliare se alcuno intende di abbandonarmi.
(I Pari entrano da RICHMOND, e si siedono nella sua tenda)
PARI: Buon giorno, Richmond!
RICHMOND: Chiedo perdono, a voi, pari, e a voi, vigili gentiluomini, se avete qui sorpreso un pigro infingardo.
PARI: Come avete dormito, mio signore?
RICHMOND: Il più dolce sonno, e i sogni di miglior augurio che mai entrassero in una testa assopita, io ho avuto dopo la vostra partenza, miei signori. Mi è parso che le anime di coloro di cui Riccardo ha ucciso i corpi siano venute nella mia tenda e abbiano gridato vittoria; vi assicuro che il mio cuore è esultante per la memoria d'un sogno così bello. Quant'è inoltrato il mattino, signori?
PARI: Stan per suonare le quattro.
RICHMOND: Allora è tempo d'armarsi e di dar ordini.
(La sua allocuzione ai Soldati)
Più di quanto io non abbia già detto, o amati compatrioti, m'è vietato di dilungarmi dall'angustia del tempo e dall'urgenza; ma ricordate questo. Dio e la nostra buona causa combattono dalla nostra parte; le preghiere dei santi del Paradiso e delle anime offese, come eccelsi spaldi, si levano dinanzi ai nostri volti. Tranne Riccardo, coloro contro i quali combattiamo vorrebbero che vincessimo noi piuttosto che colui che essi seguono; perché chi è colui che seguono?
In verità, signori, un tiranno sanguinario, un omicida; uno che è salito nel sangue e si è stabilito nel sangue; uno che ha trovato mezzi per acquistare quello che ha, ed ha massacrato coloro che erano stati i mezzi per aiutarlo: una pietra vile e ignobile, resa preziosa dal castone del trono d'Inghilterra, dov'è impropriamente montata, uno che è sempre stato il nemico di Dio. Sicché, se voi combattete contro il nemico di Dio, Iddio nella sua giustizia vi proteggerà come suoi soldati; se sudate per rovesciare un tiranno, voi dormirete in pace, una volta ucciso il tiranno; se combattete contro i nemici del vostro paese, la grascia del vostro paese retribuirà le vostre pene, e se combattete a salvaguardia delle vostre spose, le vostre spose faran lieta accoglienza ai vincitori al ritorno; se voi salvate i vostri figli dalla spada, i figli dei vostri figli ve ne rimeriteranno nella vostra vecchiaia. Dunque, in nome di Dio e di tutti questi diritti, alzate i vostri stendardi, sguainate le vostre spade volenterose!
Quanto a me, il riscatto del mio audace tentativo sarà questo corpo freddo sulla fredda faccia della terra; ma se ho successo, il più umile di voi avrà parte nei frutti del mio tentativo. Suonate i tamburi e le trombe arditamente e allegramente, Dio e San Giorgio!
Richmond e vittoria!
(Escono)
(Rientrano RE RICCARDO, RATCLIFF, Persone del seguito, e Truppe)
RICCARDO: Che ha detto Northumberland a proposito di Richmond?
RATCLIFF: Che non fu mai allenato alle armi.
RICCARDO: Ha detto la verità. E che cosa ha detto allora Surrey?
RATCLIFF: Ha sorriso e ha detto: "Tanto meglio per noi".
RICCARDO: Aveva ragione, difatti è così. (L'orologio batte l'ora) Conta le ore. Dammi un calendario. Chi ha visto oggi il sole?
RATCLIFF: Io no, mio signore.
RICCARDO: Allora sdegna di risplendere; perché, stando al libro, avrebbe dovuto adornare l'oriente un'ora fa. Sarà una giornata nera per qualcuno. Ratcliff!
RATCLIFF: Mio signore?
RICCARDO: Il sole non vuol farsi vedere oggi; il cielo s'acciglia e si rabbuia sul nostro esercito. Vorrei che non ci fossero per terra queste rugiadose lagrime. Non risplenderà quest'oggi? Ebbene, che importa a me più che a Richmond? ché lo stesso cielo che s'acciglia verso di me guarda bieco anche lui.
(Entra NORFOLK)
NORFOLK: All'armi, all'armi, mio signore! il nemico si pavoneggia sul campo.
RICCARDO: Su, spicciatevi, spicciatevi! Mettete la gualdrappa al mio cavallo. Chiamate lord Stanley, ditegli di condurre innanzi le sue forze. Io avanzerò coi miei soldati nella pianura, e così sarà ordinata la battaglia; la mia avanguardia si spiegherà tutta in lunghezza, consistendo in pari numero di cavalli e di fanti; i nostri arcieri saran posti nel mezzo: Giovanni duca di Norfolk, Tommaso conte di Surrey avranno il comando di questi fanti e di questi cavalli. Così disposti costoro, noi verrem dietro col nerbo dell'esercito, la cui forza avrà per ali da ciascun lato la nostra cavalleria scelta.
Questo, e San Giorgio anche in soccorso! che ne pensi, Norfolk?
NORFOLK: Buona disposizione, o marziale sovrano. Questo ho trovato stamattina sulla mia tenda.
(Mostra al Re un foglio)
RICCARDO (legge): "Zanni di Norfolk, non esser sì ardito, ché padron Ricciardetto è venduto e tradito". Una cosa inventata dal nemico!
Andate, signori, ciascuno alla sua consegna. I nostri sogni pettegoli non ci sbigottiscano gli animi! La coscienza non è che una parola usata dai codardi, inventata dapprima per tenere i forti in soggezione. Le nostre forti braccia sian la nostra coscienza, la spada la nostra legge! In marcia! Ingaggiamo battaglia da prodi! Gittiamoci nella mischia! Se non pel cielo, teniamoci per mano per l'inferno!
(La sua allocuzione all'Esercito)
Che dovrò aggiungere agli argomenti già addotti? Ricordate con chi avete ad azzuffarvi, una masnada di vagabondi, di furfanti e di fuorusciti, feccia di Bretagna e abbietti villani saccomanni che il loro paese satollo rigetta per disperate avventure e distruzione certa. Voi dormivate tranquilli, ed essi vi recano inquietudine; voi possedete terre e siete allietati da belle mogli, ed essi vorrebbero ridurre le une e sedurre le altre. E chi li guida se non un cialtrone, a lungo mantenuto in Bretagna a spese di nostra madre? Uno smidollato, uno che mai in vita sue non sentì tanto freddo quanto se ne sente sopra le scarpe nella neve! Cacciamo a frustate questi grassatori di là dal mare, spazziam via di qui questi presuntuosi straccioni di Francia, questi pitocchi affamati, stanchi della loro vita, che, se non avessero pensato a questa folle impresa, per mancanza di mezzi, poveri topi, si sarebbero impiccati! Se abbiamo da esser vinti, ci vincano degli uomini, e non questi Bretoni bastardi, che i nostri padri han battuti, legnati e tartassati nelle loro terre, e li han lasciati nelle memorie eredi d'ignominia. Dovranno costoro godere le nostre terre? giacere con le nostre spose? violare le nostre figlie?
(Tamburo in distanza) Ascoltate! Odo il loro tamburo. Combattete, gentiluomini d'Inghilterra! combattete, audaci militi! Tirate arcieri, tirate le vostre frecce fino alla punta! Spronate gagliardamente i vostri superbi cavalli, e cavalcate nel sangue! Fate sbigottire il cielo con le schegge delle vostre lance!
(Entra un Messo)
Che dice lord Stanley? Condurrà le sue forze?
MESSO: Mio signore, egli rifiuta di venire.
RICCARDO: Giù la testa di suo figlio Giorgio!
NORFOLK: Mio signore, il nemico ha passato la palude, dopo la battaglia fate morire Giorgio Stanley.
RICCARDO: Mille cuori si gonfiano nel mio petto. Fate avanzare i nostri stendardi, si attacchino i nostri nemici, la nostra antica parola di coraggio, "Bel San Giorgio", ci ispiri il furore dei draghi fiammeggianti! Addosso! La vittoria si posa sui nostri elmi.
SCENA QUARTA - Un'altra parte del campo.
(Allarme. Scorrerie. Entra NORFOLK con Truppe combattendo; gli va incontro CATESBY)
CATESBY: Soccorso, monsignore di Norfolk, soccorso, soccorso! Il re fa più prodigi d'un uomo, sfidando un avversario a ogni cimento: il suo cavallo è ucciso, ed egli combatte a piedi, cercando Richmond nella gola della morte. Soccorso, bel signore, o la giornata è perduta!
(Allarmi. Entra RE RICCARDO)
RICCARDO: Un cavallo! un cavallo! il mio regno per un cavallo!
CATESBY: Ritiratevi, signor mio; vi aiuterò a trovare un cavallo.
RICCARDO: Manigoldo, ho puntato la mia vita su un tiro di dadi, e vuo' sopportare l'azzardo del giuoco. Credo che ci siano sei Richmond sul campo; cinque ne ho uccisi oggi invece di lui. Un cavallo! un cavallo!
il mio regno per un cavallo!
SCENA QUINTA - Un'altra parte del campo
(Allarme. Entrano RE RICCARDO e RICHMOND; combattono. Re Riccardo è ucciso. Ritirata e squillo di trombe. Rientra RICHMOND, con STANLEY che reca la corona, e diversi altri Pari)
RICHMOND: Dio e le vostre armi siano lodati, vittoriosi amici. La giornata è nostra, quei cane sanguinario è morto.
STANLEY: Coraggioso Richmond, ti sei ben disimpegnato. Ecco: questa insegna regale troppo a lungo usurpata io l'ho strappata dalle morte tempie di questo sciagurato sanguinario per adornarne la tua fronte; portala, godine, e falle onore.
RICHMOND: Gran Dio del cielo, di' amen a tutto questo! Ma ditemi, è in vita il giovane Giorgio Stanley?
STANLEY: Sì, mio signore, e al sicuro nella città di Leicester; dove, se vi piace, ci possiamo ora ritirare.
RICHMOND: Quali persone eminenti sono state uccise da una parte e dall'altra?
STANLEY: Giovanni duca di Norfolk, Gualtiero lord Ferrers, sir Roberto Brakenbury e sir Guglielmo Brandon.
RICHMOND: Seppellite i loro corpi come viene alla loro nascita, proclamate un'amnistia pei soldati fuggiaschi, che torneranno a noi facendo sottomissione; poi, come ne abbiam fatto sacramento, uniremo la rosa bianca con la rossa. Arridi, o cielo, a questa bella congiunzione, che sì a lungo torvo hai guardato la loro inimicizia!
Qual è il traditore che mi ode e non dice amen? L'Inghilterra è stata lungo tempo folle, e ha sfregiato se stessa; il fratello ha ciecamente versato il sangue del fratello; il padre ha avventatamente massacrato il proprio figlio; il figlio, costretto, è stato il carnefice di suo padre: tutti costoro dividevano York e Lancaster, divisi nella loro orrenda divisione. Oh, ora Richmond ed Elisabetta, i veri successori di ciascuna casa reale, si uniscono insieme per un felice decreto di Dio! E che i loro eredi, o Dio, se tale è la tua volontà, arricchiscano l'avvenire con la pace dal volto sereno, con la sorridente abbondanza, e con bei giorni di prosperità! Rintuzza la lama dei traditori, o Iddio grazioso, che volessero ricondurre questi giorni sanguinosi e far piangere la misera Inghilterra tra rivoli di sangue! Non vivano per gustare la floridezza di questo paese coloro che col tradimento vorrebbero colpire la pace di questa bella terra!
Ora le nostre piaghe civili son chiuse, la pace torna a vivere; che possa viver qui a lungo, o Signore, di' amen!
(Esce)