Herman Melville
BILLY BUDD, MARINAIO
(la storia interna)
1
Prima che ci fossero le navi a vapore, ovvero allora più spesso di oggi accadeva a chi passeggiava sulle banchine di qualunque porto marittimo di una certa importanza di essere attratto dalla vista di gruppi di marinai appartenenti a navi da guerra o a mercantili, a terra in franchigia, abbronzati e tirati a lucido. In alcuni casi camminavano a fianco o addirittura circondavano, come guardie del corpo, un personaggio superiore, della loro stessa classe, che si muoveva insieme a loro, come Aldebaran fra le stelle minori della sua costellazione. Questo personaggio straordinario era il "Bel Marinaio", di tempi meno prosaici, della marina militare o di quella mercantile. E senza traccia di vanteria, anzi con la semplicità disinvolta della naturale regalità, egli pareva accettare l'omaggio spontaneo dei suoi compagni. Mi ricordo specialmente una di queste occasioni. A Liverpool, una cinquantina d'anni fa, vidi all'ombra del grande e squallido muro del Dock del Principe (uno sbarramento da tempo rimosso) un marinaio semplice, di un nero così intenso che doveva essere un Africano della stirpe immutata di Cam. Una figura di proporzioni simmetriche, di altezza molto superiore alla media. I due lembi di uno sgargiante fazzoletto di seta sciolto che gli portava intorno al collo ballavano sul nudo torace d'ebano; alle orecchie aveva grossi cerchi d'oro e sulla testa ben proporzionata portava un berretto scozzese con la fascia assortita.
Era un caldo pomeriggio di luglio e una selvaggia allegria sprizzava dal suo viso, lucido di sudore. Scherzando giovialmente con gli uni e con gli altri, scopriva di tanto in tanto i denti in abbaglianti sorrisi, e con i suoi motteggi era al centro di un gruppo di compagni. Questi costituivano un assortimento così vario di tribù e di razze che Anacharsis Cloots avrebbe ben potuto farli sfilare davanti alla tribuna della prima Assemblea Francese come rappresentanti della razza umana. Ad ogni tributo spontaneamente reso dai passanti a quell'idolo nero - una sosta e un'occhiata, e più raramente un'esclamazione - il variopinto corteo faceva mostra di gloriarsi dell'oggetto di un simile tributo, nello stesso modo in cui certamente i sacerdoti assiri si gloriavano nel loro grande Toro scolpito, quando i fedeli si prostravano davanti all'idolo.
Ma torniamo a noi.
Anche se in qualche caso si pavoneggiava a terra come una specie di nautico Murat, il "Bel Marinaio" del periodo in questione non aveva nulla del Billy-va-al-diavolo, dandistico, un tipo divertente ora sparito, ma nel quale a volte ci si può ancora imbattere, e in una forma ancora più divertente dell'originale, al timone dei vascelli nel tempestoso Canale Erie o, più facilmente, a raccontare grosse balle nelle bettole lungo l'alzaia.
Invariabilmente espertissimo nel suo pericoloso mestiere, egli era anche quasi sempre un pugile o un lottatore in gamba. Aveva forza e prestanza. Le sue prodezze passavano di bocca in bocca. A terra era il campione, a bordo il portavoce; in prima fila tutte le volte che ne valeva la pena. Nella burrasca era là, a far terzaruolo alle vele di gabbia, a cavalcioni sui bracci del pennone, il piede nel "cavallo fiammingo" usato come staffa, le due mani che tiravano la drizza come una briglia, all'incirca nell'atteggiamento del giovane Alessandro che doma il fiero Bucefalo. Una figura superba, che si staglia contro il cielo tempestoso come se fosse scagliato dalle corna del Toro, allegramente incitando la tenace squadra lungo l'alberatura.
I caratteri morali raramente non erano in armonia con quelli fisici. E comunque, se non fosse stato così, l'avvenenza e la forza, sempre attraenti quando sono tutte e due presenti in un uomo, difficilmente avrebbero potuto attirare il tipo di sincero omaggio che il "Bel Marinaio", nei suoi vari esemplari, riceveva dai suoi compagni meno dotati.
Un astro del genere, perlomeno nell'aspetto e un po' anche nell'intima natura, anche se con importanti varianti che saranno chiare mano a mano che il racconto procederà, era Billy Budd, occhi-di-cielo, ovvero Baby Budd, come più familiarmente finì con l'essere chiamato in circostanze che saranno poi precisate. Età:
ventun anni, gabbiere di parrocchetto della flotta britannica, verso la fine dell'ultimo decennio del secolo diciottesimo. Non molto prima dell'epoca in cui si svolge questa storia egli era entrato al servizio del re; era stato arruolato a forza nel Canale d'Irlanda, fatto passare da un mercantile inglese diretto in patria ad un vascello da settantaquattro cannoni, la "Bellipotent", che faceva prua verso il largo e che, fatto non insolito in quei tempi burrascosi, era stato costretto a salpare con l'equipaggio non al completo. L'ufficiale di reclutamento, tenente Ratcliffe, posò l'occhio su Billy al primo colpo, prima ancora che la ciurma del mercantile si fosse schierata sul cassero per essere sottoposta alla sua ponderata ispezione. E scelse soltanto lui. Infatti, forse perché gli altri uomini schierati davanti a lui erano svantaggiati dal confronto con Billy, o forse perché ebbe qualche scrupolo vedendo che il mercantile era piuttosto sguarnito, l'ufficiale, qualunque fosse la ragione, si accontentò della sua prima scelta istintiva. Con stupore dei suoi compagni, e con grande soddisfazione del tenente, Billy non avanzò obiezioni. E' pur vero tuttavia che qualsiasi obiezione sarebbe stata inutile come la protesta di un cardellino chiuso in gabbia.
Il capitano della nave, notando questa rassegnata acquiescenza, quasi spensierata, diede a Billy un'occhiata piena di sorpresa e di muto rimprovero. Il capitano era uno di quei degni mortali che si trovano in ogni mestiere, anche nei più umili, il genere di persona che tutti sono d'accordo nel definire "un uomo perbene". E inoltre, fatto meno strano di quanto possa sembrare, nonostante fosse abituato a solcare acque tempestose, alle prese per tutta la vita con le forze della natura ribelli, non c'era niente che questo spirito onesto avesse più a cuore della tranquillità e della pace. Per il resto, aveva più o meno cinquant'anni, tendeva un po' alla pinguedine, un viso attraente, senza baffi, con un incarnato piacevole, faccia piuttosto piena, dall'espressione umana e intelligente. In una giornata di bel tempo, con un buon vento e quando tutto andava per il meglio, una certa intonazione musicale nella voce sembrava essere la genuina spontanea espressione della sua intima personalità. Era dotato di grande prudenza e di grande coscienziosità, e in certe occasioni queste virtù gli causavano pesanti preoccupazioni. Quando era in navigazione, finché la sua nave veleggiava in una qualche vicinanza alla costa, capitan Graveling non chiudeva occhio.
Prendeva a cuore quelle gravi responsabilità per le quali certi comandanti non si scomponevano allo stesso modo.
Ora, mentre Billy Budd era giù nel castello di prua a raccogliere le sue cose, il tenente della "Bellipotent", tozzo e brusco di modi, per niente sconcertato dal fatto che il capitano Graveling si fosse sottratto ai consueti doveri di ospitalità in un'occasione a lui tanto sgradita, omissione dovuta esclusivamente al suo essere sovrappensiero, si invitò da sé senza tante cerimonie nella cabina, e si impadronì anche di una bottiglia che prese dall'armadietto dei liquori, un angolino che i suoi occhi esperti scoprirono immediatamente. Egli era infatti uno di quei lupi di mare nei quali la durezza e i pericoli della vita navale nelle grandi e lunghe guerre di quel tempo, non sminuirono mai l'inclinazione naturale ai piaceri dei sensi. Faceva sempre fedelmente il proprio dovere; ma il dovere è a volte un arido obbligo e lui era propenso a... inumidire quest'aridità, ogni volta che era possibile, con uno stimolante distillato di acquavite. Al proprietario della cabina non rimaneva che fare la parte dell'anfitrione per forza, con tutta la cortesia e lo zelo possibili. Come necessaria aggiunta alla bottiglia, mise in silenzio un boccale e una caraffa d'acqua davanti all'ospite incontenibile. Ma dopo essersi scusato di non bere insieme con lui, osservava tristemente l'ufficiale che per niente imbarazzato diluiva appena appena, con flemma, il suo liquore e poi lo ingollava in tre sorsi, allontanando il boccale vuoto, ma non tanto da non conservarlo a portata di mano, e si andava accomodando nello stesso tempo a suo agio sulla sedia, facendo schioccare le labbra tutto soddisfatto, e guardava dritto negli occhi il suo anfitrione.
Ultimate queste manovre, il capitano ruppe il silenzio, dicendo con un tono di triste rimprovero nella voce:
"Tenente, state per portarmi via il mio uomo migliore, la perla del mio equipaggio." "Sì, lo so" rispose l'altro, riavvicinandosi immediatamente il boccale per prepararsi a riempirlo di nuovo. "Lo so. Mi dispiace." "Scusatemi, ma voi non capite, tenente. Vi dirò. Prima di imbarcare quel ragazzo, il mio castello di prua era un nido di liti. Erano tempi brutti, ve l'assicuro, a bordo della 'Diritti.' Io ero preoccupato tanto che la mia pipa non riusciva a darmi conforto. Ma venne Billy e fu come un prete cattolico che predica pace a degli Irlandesi che si azzuffano. Non che egli facesse loro la predica o dicesse o facesse niente di particolare: ma emanava da lui un potere che ammansiva i più feroci. Furono attirati da lui come i calabroni dal miele: tutti, tranne il picchiatore della compagnia, un tipo grosso e villoso con i baffi rosso-fuoco.
Questi, forse pieno d'invidia per il nuovo venuto e pensando che un così 'dolce e bel ragazzo,' come era solito definirlo con gli altri facendosi beffe di lui, difficilmente potesse avere lo spirito di un gallo da combattimento, si dava da fare per tentare in ogni modo di attaccar briga con lui. Billy pazientò, ci ragionò insieme con maniere cortesi - lui è un po' come me tenente, che odio ogni specie di litigio - ma non servì a niente. Così, un giorno durante il secondo turno di guardia 'Baffo Rosso,' alla presenza degli altri, con il pretesto di far vedere a Billy il punto dal quale si tagliava una bistecca di lombo - perché quel tipo un tempo aveva fatto il macellaio - gli assestò brutalmente un colpo sotto le costole. Lesto come il lampo Billy fece scattare il suo braccio. Oso dire che non aveva mai avuto intenzione di arrivare proprio a tanto, ma in ogni modo diede a quel grosso cretino una lezione terribile. Ci volle circa mezzo minuto, credo.
E, Dio vi benedica, lo zoticone rimase sbalordito da tanta rapidità. E credetemi, tenente, 'Baffo Rosso' ora ama davvero Billy: lo ama, o è il più grande ipocrita che io abbia mai conosciuto. Ma tutti lo amano. Alcuni di loro lavano la sua roba, gli rammendano i suoi pantaloni vecchi; il carpentiere a tempo perso gli fa un bel cassettoncino. Tutti farebbero qualunque cosa per Billy Budd, e qui siamo una famiglia felice. Ma ora tenente, se questo giovanotto se ne va, lo so che accadrà a bordo della 'Diritti.' Non mi risuccederà molto presto, alzandomi da tavola dopo aver pranzato, di appoggiarmi all'argano a farmi tranquillamente una pipata: no, di sicuro non tanto presto. Sì, tenente, state per portar via la perla dei miei uomini: state per portarmi via il mio paciere!" E con questo il brav'uomo riuscì davvero a malapena a trattenere un singhiozzo.
"Bene" disse l'ufficiale che aveva ascoltato tutto questo, interessato e divertito, e ora si era fatto più allegro grazie al cicchetto, "bene, benedetti siano i pacieri, e soprattutto i pacieri battaglieri! E così sono le settantaquattro bellezze, di alcune delle quali voi vedete spuntare il naso fuori dagli oblò di babordo di quella nave da guerra che sta aspettando me" e indicò nel dire questo la "Bellipotent" attraverso la finestra della cabina. "Ma su, coraggio! Non fate quella faccia così sconsolata.
Ecco, vi prometto fin da adesso l'approvazione reale. Siate certo che sua maestà sarà felicissimo di sapere che in un'epoca in cui il suo duro pane non viene ricercato avidamente, come dovrebbe, dai marinai, un'epoca inoltre nella quale alcuni comandanti di mercantili si irritano in cuor loro perché si prende in prestito un marinaio o due per il servizio, sua maestà, dicevo, sarà felicissimo di sapere che almeno un capitano cede volentieri al re il fiore del suo gregge, un marinaio, il quale, con identica lealtà, non protesta. Ma dov'è la mia bellezza? Ah, eccolo qui," aggiunse dando un'occhiata attraverso la porta aperta della cabina. "Per Giove, porta con sé il suo cassettoncino... Apollo con il suo baule!... Giovanotto" disse, andandogli incontro "non potete portare questa grossa cassa a bordo di una nave da guerra.
Là le casse sono per la maggior parte quelle da munizioni. Metti i tuoi stracci in un sacco, ragazzo. Stivali e sella per il cavalleggero, sacco e amaca per i marinai della nave da guerra." Il trasferimento dal cassettone al sacco fu fatto. E dopo che ebbe fatto scendere il suo uomo nella barca e lo ebbe seguito scendendo anche lui, il tenente si allontanò dalla "Diritti dell'Uomo." Questo era il nome del mercantile anche se il comandante e l'equipaggio lo abbreviavano, alla maniera dei marinai, in "Diritti". Quel testone del suo armatore, di Dundee, era un incrollabile ammiratore di Thomas Paine, il libro del quale, in risposta alle accuse di Burke alla Rivoluzione Francese era stato pubblicato da qualche tempo e si era ampiamente diffuso. Nel battezzare la sua nave con il titolo del libro di Paine, l'uomo di Dundee si comportò un po' come un altro capitano di mercantile del tempo, Stephen Girard di Filadelfia, che espresse le sue simpatie sia per la terra natìa che per i suoi filosofi liberali, battezzando le sue navi con i nomi di Voltaire, Diderot, e così via.
Ma ora, mentre la barca scivolava sotto la poppa del mercantile e l'ufficiale e i rematori notavano - alcuni con amarezza e altri con un sogghigno - il nome che c'era scritto, proprio in quel momento la nuova recluta balzò in piedi dal posto di prora dove il timoniere l'aveva mandato a sedere, e sventolando il cappello verso i compagni che silenziosi, tristemente lo guardavano dal parapetto di poppa, si accomiatò da loro con un saluto gioviale.
Poi salutando anche la nave stessa: "E addio anche a te, vecchia 'Diritti dell'Uomo'" disse.
"Seduto!" tuonò il tenente, assumendo immediatamente tutto il rigore del suo grado, ma reprimendo tuttavia a fatica un sorriso.
A dire il vero l'azione di Billy era una gravissima infrazione all'etichetta della marina. Ma a questa etichetta egli non era mai stato educato; tenuto conto di questo fatto il tenente difficilmente lo avrebbe ripreso tanto energicamente se non fosse stato per l'addio finale alla nave. Questo gli sembrò piuttosto contenere un sottinteso ironico, da parte della nuova recluta, una abile allusione all'arruolamento forzato in generale e a quello suo in particolare. Invece, più probabilmente, se si trattò proprio di satira, difficilmente fu fatta con intenzione, perché Billy, anche se felicemente dotato dell'allegria della buona salute, della gioventù e di un cuore spensierato, non aveva tuttavia per niente uno spirito satirico. Gli mancavano per questo sia la volontà sia la sinistra destrezza. I doppi sensi e le insinuazioni erano completamente estranei alla sua natura.
Quanto al suo arruolamento forzato, egli sembrava averlo preso come di solito prendeva ogni cambiamento di tempo. Come gli animali, anche se non era filosofo, egli era in pratica un fatalista, senza saperlo. E forse gli piaceva abbastanza questo avventuroso cambiamento della sua vita, che prometteva l'apertura di nuovi orizzonti ed esaltanti avventure guerresche.
A bordo della "Bellipotent" il nostro marinaio mercantile fu immediatamente giudicato uomo di mare e assegnato al quarto di tribordo della coffa di parrocchetto. Si trovò immediatamente a suo agio nel servizio, molto gradito per il suo bell'aspetto non conscio di sé e per una specie di aria allegra e spensierata. Non c'era uomo più allegro di lui nel suo rancio; in netto contrasto con certi altri individui che come lui facevano parte della ciurma reclutata forzatamente. Questi infatti, quando non erano occupati dal lavoro, a volte, e specialmente nell'ultimo turno di guardia quando l'avvicinarsi del crepuscolo favoriva le fantasticherie, tendevano a cadere in un umore malinconico colorato a volte di risentimento. Ma loro non erano così giovani come il nostro gabbiere, e non pochi di loro dovevano aver conosciuto un focolare di qualche genere; altri forse avevano dovuto lasciare mogli e figli, molto probabilmente in circostanze incerte, e quasi tutti dovevano avere dei parenti conosciuti, mentre tutta la famiglia di Billy, come vedremo fra poco, consisteva praticamente in lui solo.
2
Anche se il nostro nuovo gabbiere di parrocchetto era stato bene accolto sulla coffa e sui ponti dei cannonieri, difficilmente egli poteva essere qui quella stella che era stato prima tra gli equipaggi più modesti della marina mercantile, ai quali fino ad allora era appartenuto.
Era giovane, e malgrado fisicamente fosse perfettamente sviluppato, di aspetto sembrava persino più giovane di quanto fosse in realtà, grazie a una espressione adolescente rimasta nel suo viso ancora imberbe, femmineo per la purezza dell'incarnato naturale, ma sul quale, per il suo viaggiare per mare il pallore era sparito del tutto e il colorito roseo a malapena traspariva sotto l'abbronzatura.
Per uno così completamente nuovo alla complessità di una vita innaturale, l'improvviso passaggio dal vecchio ambiente, più semplice, al mondo più vasto e più esperto di una grande nave da guerra, avrebbe ben potuto intimidirlo se in lui ci fosse stata presunzione o vanità. Fra l'eterogeneo equipaggio della "Bellipotent" si trovavano diversi individui che, anche se inferiori di grado, erano di natura non comune, marinai più particolarmente predisposti ad assumere quell'aria che la continua disciplina marziale e la ripetuta presenza in battaglia possono conferire in certa misura anche all'uomo medio. Come "Bel Marinaio" Billy Budd aveva a bordo della cannoniera una posizione in qualche modo simile a quella di una rustica bellezza trapiantata dalla provincia e messa a confronto con le dame di corte d'alto lignaggio. Ma lui si accorse poco di questo cambiamento di circostanze, e non notò quasi per niente che qualcosa in lui provocava un sorriso ambiguo su qualcuno dei volti più duri dei marinai. Né era meno inconsapevole dell'impressione particolarmente favorevole che la sua persona e i suoi modi facevano ai più intelligenti personaggi del ponte di comando. E non avrebbe potuto essere diversamente. Forgiato in uno stampo particolare, caratteristico dei più begli esemplari fisici di quegli Inglesi nei quali il sangue sassone sembrerebbe non esser stato per niente mischiato con quello normanno né con nessun altro, mostrava nel viso quell'aspetto umano di riposante bontà che lo scultore greco attribuì a volte al suo fortissimo eroe Ercole. Ma questo aspetto a sua volta era sottilmente modificato da un'altra penetrante qualità. L'orecchio, piccolo e ben formato, l'arco del piede, la curva della bocca e delle narici, perfino la mano dura, di un colore fra l'arancione e il bronzo, come il becco del tucano, una mano che parlava di drizza e di bugliolo del catrame, ma soprattutto qualcosa nell'espressione mobile, e ogni atteggiamento e mossa naturale, qualcosa che faceva pensare a una madre straordinariamente favorita dall'Amore e dalle Grazie: tutto ciò stava a indicare stranamente un lignaggio nettamente in contrasto con il suo destino. Il mistero riguardo a queste cose sembrò meno oscuro grazie a un fatto scoperto quando Billy venne formalmente assunto in servizio. Quando l'ufficiale, un ometto di bassa statura, di modi bruschi, gli chiese fra le altre cose il suo luogo di nascita, lui rispose:
"Scusi signore, non lo so." "Non sai dove sei nato? Chi era tuo padre?" "Lo sa Iddio, signore." Colpito dalla schietta semplicità di quelle risposte, l'ufficiale chiese poi:
"Non sai niente sulla tua origine?" "Nossignore. Ma ho sentito dire che fui trovato in un bel cestino foderato di seta appeso una mattina al battente di una casa signorile di Bristol." "Trovato dici? Bene" e gettò indietro la testa squadrando dal capo ai piedi la nuova recluta. "Bene, direi che sia stata una gran bella trovata. Spero che ne trovino ancora altri come te, ragazzo mio; la flotta ne ha terribilmente bisogno." Sì, Billy Budd era un trovatello, probabilmente un infortunio e, evidentemente, non ignobile. L'origine nobile era evidente in lui come in un purosangue.
Per il resto, dotato di poco o nessun acume, senza la minima traccia della saggezza del serpente in lui ma senza nemmeno essere proprio una colomba, egli possedeva quel tipo e quel grado di intelligenza che si accompagna all'onestà anticonformista di una sana creatura umana, una creatura alla quale non sia stato ancora offerto il discutibile pomo della sapienza. Era analfabeta; non sapeva leggere ma sapeva cantare, e come l'usignolo illetterato a volte componeva lui stesso i suoi canti.
Coscienza di sé sembrava averne poca o niente, o più o meno tanta quanta ne possiamo ragionevolmente attribuire a un cane San Bernardo.
Abituato com'era a vivere in mezzo agli elementi naturali e conoscendo della terra poco più di una striscia di spiaggia o meglio di quella porzione del globo terracqueo provvidenzialmente riservata alle sale da ballo, alle puttanelle e ai cantinieri, insomma a quello che i marinai chiamano "il paese della cuccagna", la sua semplice natura non era contaminata dalle tortuosità morali che non sempre sono incompatibili con quella manipolabile cosa che si chiama rispettabilità. Ma i marinai frequentatori dei "paesi della cuccagna" sono forse senza vizi? No; ma più raramente di quanto accada negli uomini di terraferma i loro cosiddetti vizi hanno a che fare con la slealtà, e sembrano essere provocati più che da viziosità dall'esuberanza di una vitalità a lungo repressa, manifestazioni schiette, in armonia con la legge naturale. Per la sua costituzione naturale, aiutata dalle favorevoli influenze del suo destino, Billy era sotto molti aspetti poco più che una specie di barbaro onesto, molto simile forse a come probabilmente poteva essere stato Adamo, prima che il civile Serpente gli si mettesse a fianco.
E qui ad apparente conferma della dottrina della caduta dell'uomo, una dottrina oggi generalmente ignorata, notiamo che, quando certe virtù primitive e genuine caratterizzano particolarmente qualcuno che indossa l'abito della civiltà, esse a un esame critico sembreranno non frutto dell'abitudine o della convenzione, ma anzi in contrasto con queste, come se davvero fossero eccezionalmente trasmesse da un periodo anteriore alla città di Caino e all'uomo civilizzato.
Il carattere dotato di simili qualità ha, per un olfatto non rovinato, un profumo puro e genuino come quello dei frutti selvatici, mentre l'uomo pienamente civilizzato, anche in un esemplare di buona razza, ha per lo stesso palato morale un gusto dubbio di vino adulterato. A qualunque superstite erede di simili primitive qualità che si trovi, come Caspar Hauser, a vagare stupefatto in qualsiasi capitale cristiana dei nostri tempi, si addice ancora la famosa apostrofe che il buon poeta, di circa duemila anni fa, rivolge al bravo rustico fuori dal suo guscio nella Roma dei Cesari:
"Onesto e povero, leale nei detti e nel pensiero cos'è, Fabiano, che ti ha portato nella città?"Benché il nostro "Bel Marinaio" fosse dotato di tanta bellezza mascolina, quanta di più non si potesse trovare, tuttavia, come per la bella donna di uno dei racconti brevi di Hawthorne, c'era solo una cosa che non andava in lui. Non un difetto visibile a dire il vero, come nella signora, no: ma la tendenza, a volte, a un'imperfezione vocale. Anche se nell'ora dello scatenarsi degli elementi o del pericolo egli era esattamente come dev'essere un marinaio, tuttavia sotto l'impulso dell'improvvisa provocazione di una forte emozione, la sua voce,in altri momenti straordinariamente musicale, come ad esprimere l'interna armonia, rivelava un'esitazione organica, in realtà più o meno un balbettìo o qualcosa di anche peggiore. In questo particolare Billy era un esempio lampante di come il maligno ficcanaso, l'invidioso impiccione dell'Eden, ha ancora più o meno a che fare con ogni esemplare umano di questo nostro pianeta. In ogni caso, in un modo o nell'altro, egli è sicuro di introdurvi il suo biglietto da visita, tanto per ricordarci: anche io ci ho messo uno zampino.
L'ammissione di questa imperfezione nel "Bel Marinaio" dovrebbe dimostrare non soltanto che non viene presentato come un eroe convenzionale ma anche che la storia di cui è il principale protagonista non è un romanzo.
3
Al tempo dell'arbitrario arruolamento di Billy Budd sulla "Bellipotent" questa nave era in navigazione per raggiungere la flotta nel Mediterraneo. Non molto tempo dopo ci fu il ricongiungimento. Come unità facente parte di questa flotta, la nave da settantaquattro cannoni seguiva i suoi movimenti anche se a volte, grazie alle sue superiori qualità di veleggiatrice, in mancanza di fregate venisse distaccata come vedetta o per un servizio meno provvisorio. Ma questo ha ben poco a che vedere con la nostra storia, limitata com'essa è alla vita interna di una particolare nave e alla carriera di un determinato marinaio.
Era l'estate del 1797. Nell'aprile di quell'anno erano scoppiati i moti di Spithead, seguiti a maggio da una seconda e più grave rivolta nella flotta all'ancora al Nore. Quest'ultima è famosa, senza che ci sia dell'esagerazione nell'aggettivo, come il Grande Ammutinamento. E infatti fu per l'Inghilterra una dimostrazione più pericolosa dei manifesti contemporanei e degli eserciti conquistatori del Direttorio francese, con il loro proselitismo.
Per l'Impero britannico l'ammutinamento del Nore fu come uno sciopero dei vigili del fuoco in una Londra minacciata da un incendio generale. Nel corso di una crisi in cui il Regno avrebbe ben potuto anticipare la famosa parola d'ordine che alcuni anni dopo rese noto sul fronte navale che cosa all'occorrenza l'Inghilterra si aspettasse dagli Inglesi proprio allora sui pennoni delle navi a tre ponti e delle cannoniere da settantaquattro, ormeggiate nelle sue rade, di una flotta che era il braccio destro del solo potere conservatore rimasto allora libero nel Vecchio Mondo, proprio allora le giacche azzurre a migliaia alzarono con grida di urrah i colori britannici, sui quali il segno del Regno Unito e la croce erano stati aboliti, trasformando così la bandiera del buon diritto e della libertà ben definita, nella rossa meteora nemica della rivolta sfrenata e indomabile. Il giusto scontento provocato da reali motivi di lamentela esistenti nella flotta, era divampato in un irragionevole incendio, come attizzato da scintille arrivate attraverso la Manica dalla Francia in fiamme.
L'avvenimento fece assumere per un certo tempo un significato ironico a quei focosi inni di Dibdin - che come compositore di canti fu di non poco aiuto al governo inglese nella congiuntura europea - inni che celebravano, fra le altre cose, la dedizione Patriottica del marinaio britannico:
"E quanto alla mia vita, essa è del re!"Questo episodio nella grande storia navale dell'Isola naturalmente viene abbreviato dai suoi storici; uno di loro (William James) confessa candidamente che volentieri lo tralascerebbe, "se l'imparzialità non vietasse l'insofferenza". E tuttavia la sua menzione è più un'allusione che un racconto, dato che entra ben poco nei dettagli. Né si possono questi trovare facilmente nelle biblioteche. Come altri avvenimenti che in ogni epoca accadono nei vari stati (America compresa), il Grande Ammutinamento fu di carattere tale che l'orgoglio nazionale e motivi politici vorrebbero volentieri sfumarne i contorni nel contesto storico.
Simili avvenimenti non si possono ignorare, ma c'è un modo cauto di trattarli storicamente. Se un individuo ben dotato rifugge dal mettere in mostra il male e le sciagure della propria famiglia, una nazione in circostanze analoghe può essere, senza meritare rimprovero, ugualmente discreta.
Sebbene, dopo trattative fra il governo e i caporioni e dopo che il primo ebbe fatto delle concessioni per quanto riguardava alcuni abusi più palesi, la prima rivolta, quella di Spithead, venisse con difficoltà domata, o in qualsiasi modo le cose fossero state temporaneamente appianate, tuttavia al Nore l'imprevisto ripetersi dell'insurrezione in proporzioni maggiori (e ancora più gonfiate negli incontri che seguirono dalle pretese giudicate dalle autorità non solo inammissibili, ma aggressive e insolenti) rivelò - se la bandiera rossa non lo aveva già fatto a sufficienza - quale fosse lo spirito che animava gli equipaggi. Si arrivò, comunque, alla repressione definitiva, ma resa possibile solo dalla lealtà indefettibile della fanteria di marina e da un volontario ritorno di lealismo in gruppi influenti degli equipaggi.
In una certa misura l'Ammutinamento del Nore può essere considerato analogo al disordinato sfogo di una febbre contagiosa in un organismo costituzionalmente sano, e che rapidamente se ne libera.
In ogni caso, fra queste migliaia di ammutinati c'erano alcuni dei marinai che non molto tempo dopo - spinti dal patriottismo o dall'istinto bellicoso, o da tutti e due - contribuirono a conquistare una corona gentilizia per Nelson sul Nilo, e la più ambita delle corone navali a Trafalgar. Per gli ammutinati queste battaglie,e soprattutto quella di Trafalgar,furono un'assoluzione plenaria, e una grande assoluzione: quelle battaglie, e specialmente Trafalgar, per tutto ciò che concorre a offrire uno spiegamento navale spettacolare e un'eroica magnificenza nelle armi, non hanno confronti nella storia dell'umanità.
4
INTORNO AL "PIU' GRANDE MARINAIO DALL'INIZIO DEL MONDO"
In questa faccenda dello scrivere, per quanto si possa essere ben decisi a mantenersi sulla strada maestra, certi sentieri secondari hanno un potere di seduzione ai quali non è facile resistere. E io sto per cominciare a vagare in uno di questi viottoli. Se il lettore mi terrà compagnia ne sarò felice. Nella peggiore delle ipotesi possiamo riprometterci quel piacere che si dice maliziosamente si trovi nel peccare, perché un peccato letterario sarà appunto questa divagazione.
Probabilmente non dico niente di nuovo osservando che le invenzioni del nostro tempo hanno finito per introdurre nella guerra sul mare un mutamento, la cui portata corrisponde al rivoluzionamento di tutta l'arte bellica, provocato dall'introduzione della polvere da sparo dalla Cina in Europa. La prima arma da fuoco europea, un rozzo congegno, fu, com'è noto, respinta con disprezzo da non pochi cavalieri come un vile ordigno, buono al massimo per gente di bassa estrazione, troppo codarda per incrociare le lame in un aperto combattimento.
Ma come sulla terraferma il valore cavalleresco, anche se spogliato dal suo blasone, non cessò con la scomparsa dei cavalieri, così sui mari, anche se al giorno d'oggi un certo tipo di ostentato coraggio sia fuori moda perché poco adatto alle mutate circostanze, le più nobili qualità di principi del mare come Don Giovanni d'Austria, Doria, Van Tromp, Jean Bart, la lunga dinastia degli ammiragli britannici e i Decatur americani del 1812, non diventarono superate come le loro murate di legno.
A chi però sappia apprezzare il presente nel suo giusto valore senza sottovalutare il passato, si può perdonare che in un vecchio solitario scafo come la "Victory" di Nelson, a Portsmouth, sembri di vedere non soltanto il monumento in rovina di una fama incorruttibile, ma anche un rimprovero poetico, mitigato dal suo aspetto pittoresco, ai "Monitor" e agli scafi ancor più possenti delle corazzate europee. E questo non solo perché queste unità sono brutte a vedersi, mancano inevitabilmente della simmetria e delle linee splendide delle vecchie navi da battaglia, ma anche per altri motivi.
Vi sono alcuni forse che, anche se non insensibili del tutto a questo poetico rimprovero al quale alludevamo poca fa, possono tuttavia, in nome del nuovo ordine, essere disposti a eluderlo; e questo spingendosi fino all'inconoclastìa, se necessario. Questi marziali seguaci dell'utilitarismo ad esempio, vedendo la stella fissata sul cassero della "Victory" per indicare il punto in cui cadde il Gran Marinaio, possono suggerire, con le loro considerazioni, che l'esagerata esibizione che Nelson fece della propria persona nella battaglia fosse non solo non necessaria, ma militarmente sbagliata, anzi, impregnata di temerarietà folle e di vanità. Essi sono capaci di aggiungere anche che a Trafalgar essa fu in realtà nient'altro che una sfida alla morte; e la morte arrivò; e che se non fosse stato per la sua bravata, l'Ammiraglio vittorioso avrebbe potuto sopravvivere alla battaglia e così, mentre i suoi saggi ordini impartiti in punto di morte non sarebbero stati trasgrediti, come furono, dal comandante che gli succedette, egli stesso, a scontro finito, avrebbe potuto portare alla fonda la sua flotta danneggiata, azione che avrebbe potuto impedire la deplorevole perdita di vite umane a causa del naufragio, nella bufera degli elementi che si scatenò dopo quella bellica.
Ebbene, se lasciamo da parte il punto più discutibile, e cioè se per varie ragioni fosse stato possibile ormeggiare la flotta, i benthamiti della guerra possono abbastanza plausibilmente insistere su quanto detto sopra. Ma quello dell'"avrebbe potuto essere" è un terreno troppo insidioso per costruirci sopra. E, certamente, nel prevedere la più larga portata di uno scontro e nei febbrili preparativi - segnando con le boe la rotta pericolosissima e progettandola come a Copenhagen - pochi comandanti sono stati così diligentemente prudenti come quel temerario che espose vistosamente la propria persona nella battaglia.
La prudenza personale, anche quando sia dettata da considerazioni nient'affatto egoistiche, non è certamente una grande virtù nel militare; mentre un esagerato amore per la gloria, che appassiona un impulso meno ardente, l'onesto senso del dovere, è la prima delle virtù. Se il nome di "Wellington" non fa palpitare il nostro cuore come il più semplice nome di "Nelson", il motivo lo si può forse arguire da quanto ho detto sopra. Alfred nella sua ode in morte del vincitore di Waterloo non osa chiamarlo il più grande soldato di tutti i tempi, mentre invece nella stessa ode invoca Nelson come "il più grande marinaio dall'inizio del mondo".
A Trafalgar, Nelson, poco prima di dare battaglia, si sedette e scrisse le sue ultime brevi volontà testamentarie. Se nel presagio della più splendida di tutte le vittorie che sarebbe stata coronata dalla sua stessa morte gloriosa, una specie di gusto sacerdotale lo portò ad adornare la propria persona degli attestati scintillanti delle sue luminose gesta; se l'essersi così adornato per l'altare e il sacrificio fu veramente vanagloria, allora sono affettazione e ampollosità tutti i versi più eroici nei grandi poemi epici e nei drammi, poiché in quei versi il poeta non fa che esprimere quell'esaltazione del sentimento che una natura come quella di Nelson, quando se ne presenti l'occasione, traduce in azione.
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La sedizione del Nore fu ricomposta, è vero. Ma non tutti gli abusi furono eliminati. Se agli appaltatori ad esempio non fu più permesso fare certi trucchi, tipici della loro razza dappertutto, come fornire vestiario scadente, cibo malsano o rubare sul peso, ciò nonostante l'arruolamento forzato, per dirne una, continuò.
Per tradizione sanzionata attraverso secoli, e legalmente mantenuta da un lord cancelliere recente come Mansfield, questo sistema per fornire uomini alla flotta, oggi caduto in certo modo in disuso ma mai ufficialmente abolito, non era possibile eliminarlo in quegli anni. Una tale abolizione avrebbe paralizzato l'indispensabile flotta, che era tutta a vela, non a vapore, e le cui innumerevoli vele e migliaia di cannoni, tutto insomma, erano governati esclusivamente a forza di braccia; una flotta la cui richiesta di uomini era insaziabile, perché moltiplicava allora il numero delle sue navi di ogni tipo per far fronte alle situazioni di emergenza presenti e future del Continente sconvolto.
Lo scontento precedette i due ammutinamenti, e più o meno continuò a serpeggiare in sordina. Non era perciò irragionevole temere qualche ritorno di turbolenze, localmente limitate o generali.
Ecco un esempio di questi timori. Nello stesso anno in cui si svolge questa storia, Nelson, allora vice ammiraglio sir Horatio, al largo della costa spagnola con la flotta, ricevette l'ordine dall'ammiraglio in capo di trasferire il suo vessillo dal "Caphin" al "Theseus", per questo motivo: essendo quest'ultima nave giunta di recente a destinazione dalla madrepatria, dove aveva preso parte al Grande Ammutinamento, si temevano guai a causa dell'umore degli uomini. E si pensava che un ufficiale come Nelson fosse un tipo non certo da terrorizzare l'equipaggio riducendolo in vile soggezione, ma da ricondurlo, grazie alla sua sola presenza ed eroica personalità, a una lealtà se non entusiasta come la sua, almeno ugualmente sincera. Così dunque per un certo tempo si continuò a nutrire ansietà su molti ponti di comando. In navigazione si usava ogni precauzione e si vigilava contro le ricadute. A un breve cenno poteva esserci uno scontro. Quando si verificava, i tenenti addetti alle batterie si sentivano obbligati, in certi casi, a stare a spade sguainate dietro agli uomini che manovravano i cannoni.
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Ma a bordo della nave sulla quale Billy appese la sua amaca, ben poco nell'atteggiamento degli uomini e niente di visibile nel comportamento degli ufficiali, avrebbe potuto suggerire a un osservatore qualunque che il Grande Ammutinamento fosse un avvenimento recente. Nella loro condotta generale gli ufficiali di una nave da guerra naturalmente si ispirano a quella del comandante, se questi ha l'ascendente che deve avere.
Il capitano, l'onorevole Edward Fairfax Vere, per chiamarlo con tutti i titoli che gli spettavano, era uno scapolo di una quarantina d'anni circa, un marinaio che si distingueva anche in un tempo ricco di uomini di mare famosi. Sebbene legato con l'alta nobiltà, la sua carriera non era dovuta tutta alle influenze collegate a questa circostanza. Aveva molti anni di servizio, aveva partecipato a molti scontri, si era sempre comportato come un ufficiale attento al bene dei suoi uomini, ma che non tollera in nessun caso un'infrazione disciplinare; bravissimo nella sua professione e coraggioso fino al limite della temerarietà, anche se mai sconsiderato. Per il coraggio dimostrato nelle acque delle Indie Occidentali come aiutante di bandiera, agli ordini di Rodney, nella vittoria che l'ammiraglio riportò su De Grasse, gli fu affidato il comando di una nave.
Fuori servizio, in abiti civili, difficilmente qualcuno avrebbe potuto scambiarlo per un marinaio, tanto più che egli non usava termini nautici nei suoi discorsi extra-professionali e con il suo comportamento serio dava a vedere di apprezzare poco lo scherzo.
Ben si addiceva a queste caratteristiche il fatto che in un'occasione in cui niente richiedesse un'azione importante da parte sua, egli fosse il più riservato degli uomini. Qualunque uomo non di mare, osservando questo signore, non molto alto di statura e privo di distintivi appariscenti, uscire dalla sua cabina sul ponte scoperto, e notando la silenziosa deferenza degli ufficiali che si ritiravano sottovento, avrebbe potuto prenderlo per un ospite del re, un civile a bordo della nave del re, un qualche inviato discreto molto stimato, in viaggio per andare a occupare una importante carica. Ma in realtà questa discrezione di modi poteva provenire da una certa modestia virile senza affettazione, che a volte si accompagna a una natura decisa, una modestia che si esprime ogni qual volta non si richiede un'azione forte e che, quando è presente in qualsiasi condizione di vita, suggerisce una virtù di tipo aristocratico.
Come certi altri individui, impegnati in vari settori delle attività più eroiche sulla terra, il capitano Vere, sebbene avesse uno spirito sufficientemente pratico, in certe occasioni tradiva uno stato d'animo un po' trasognato. Solo, in piedi a sopravvento sul cassero, una mano sul sartiame, lasciava vagare lo sguardo perduto sul mare aperto. Se in quei momenti si interrompeva il corso dei suoi pensieri per questioni di poco peso, dava segni di più o meno intensa irascibilità, che tuttavia riusciva subito a reprimere.
Nella marina era generalmente noto col soprannome di "Stellato Vere". Il motivo per il quale un simile appellativo fosse toccato a uno che, sebbene possedesse delle gagliarde qualità, non ne aveva certo di particolarmente brillanti, si spiega così. Un suo parente prediletto, lord Denton, uomo dal cuore generoso, era stato il primo a incontrarlo e a congratularsi con lui al suo ritorno in Inghilterra dalla crociera nelle Indie Occidentali. E proprio il giorno prima sfogliando una copia delle poesie di Andrew Marvell, gli era capitato di leggere, non per la prima volta del resto, la poesia intitolata "Appleton House", nome di uno dei possedimenti del loro antenato comune, eroe delle guerre del diciassettesimo secolo in Germania; poesia nella quale si trovano questi versi:
"Tanto vuol dire nascere e crescere in un domestico paradiso, sotto la disciplina severa di Fairfax e della stellata Vere."E così, abbracciato il cugino appena tornato dalla grande vittoria di Rodney dove aveva avuto una parte tanto brillante, traboccante di giusto orgoglio familiare per il marinaio della loro casata, egli esclamò enfaticamente: "Gioia a te, Ed, gioia a te, mio stellato Vere!". La frase fu ripetuta in giro, e dato che il nuovo attributo serviva nel linguaggio familiare a distinguere facilmente il comandante della "Bellipotent" da un altro Vere più anziano, lontano parente, ufficiale di marina di pari rango, esso rimase per sempre legato al suo cognome.
7
Tenendo conto della parte che il comandante della "Bellipotent" avrà negli avvenimenti che stanno per essere raccontati, può essere opportuno completare il suo profilo abbozzato nel precedente capitolo.
A parte le sue qualità di ufficiale di marina, il capitano Vere era un uomo straordinario. A differenza di non pochi famosi marinai d'Inghilterra, il lungo e faticoso servizio reso con eccezionale dedizione, non aveva finito con l'assorbire e "marinare" tutta la persona. Egli aveva una spiccata inclinazione verso tutto quello che è intellettuale. Amava i libri, non salpava mai senza aver rinnovato la biblioteca, in cui entravano solo le cose migliori. Il tempo libero da passare in solitudine, in certi casi così noioso, che di tanto in tanto incombe sui comandanti perfino durante una missione di guerra, non era mai noioso per il capitano Vere. Privo del tutto di quel gusto letterario che si preoccupa meno del contenuto che della forma, le sue preferenze andavano a quei libri che naturalmente attirano ogni spirito superiore, seriamente impegnato, che occupi un qualsiasi posto di comando nel mondo: libri che parlano di uomini e fatti veri di qualunque epoca, opere di storia, biografie e scrittori anticonformisti che,estranei ai luoghi comuni e ai convenzionalismi, come Montaigne, con onestà e con comune buon senso fondano il loro ragionamento filosofico sulla realtà.
In questo tipo di letture egli trovava conferma ai suoi più intimi pensieri, conferma che aveva inutilmente cercato nelle conversazioni di società, così che riguardo ad alcuni punti fondamentali, avevano finito con il consolidarsi in lui alcune salde convinzioni, che egli presagiva che sarebbero rimaste in lui sostanzialmente immutate finché il suo intelletto fosse rimasto inalterato. Tenuto conto del periodo tempestoso in cui gli capitò di vivere ciò era un bene per lui. Le sue radicate convinzioni erano come una diga contro le acque invadenti della nuova opinione pubblica sociale, politica e di altro genere, che in quei giorni travolsero come in un torrente non poche menti, per altro ricche di doti non meno della sua. Mentre altri membri di quell'aristocrazia a cui per nascita egli apparteneva, erano irritati contro gli innovatori soprattutto perché le loro teorie erano ostili alle classi privilegiate, il capitano Vere si opponeva ad esse disinteressatamente, non soltanto perché gli sembravano incapaci di incarnarsi in istituzioni durature, ma perché le giudicava in contrasto con la pace del mondo e con il vero benessere dell'umanità.
Certi ufficiali del suo rango, spiriti meno preparati di lui, e meno seri, con i quali a volte era solito per forza accompagnarsi, lo trovavano privo di spirito cameratesco, un uomo arido e libresco, a loro giudizio. Ogni volta che egli per caso si allontanava dalla loro compagnia, si scambiavano frasi come queste: "E' proprio un galantuomo, "Stellato Vere". Per quanto dicano le gazzette, sir Horatio" (alludevano al futuro lord Nelson) "non è in fondo un uomo di mare e combattente migliore. Ma detto fra noi, non vi sembra che ci sia in lui una strana vena di pedanteria? Già, come la filigrana del re in un rotolo di gomene?".
Qualche apparente motivo di critiche confidenziali di questo genere c'era; non soltanto infatti i discorsi del capitano non prendevano mai un tono scherzosamente familiare, ma quando toccava qualsiasi punto riguardante gli eccitanti personaggi e avvenimenti contemporanei, egli era pronto a citare una figura o avvenimento storico dell'antichità allo stesso modo di uno moderno. Sembrava non preoccuparsi del fatto che per i suoi cordiali compagni simili allusioni remote, per quanto potessero essere pertinenti, fossero completamente estranee a uomini le cui letture si fermavano sostanzialmente ai giornali. Ma sensibilità e riguardi in questo campo non sono facili per uomini fatti come il capitano Vere. La loro onestà impone loro la franchezza, a volte lungimirante, come quella dell'uccello migratore che nel suo volo non si accorge mai di quando attraversa una frontiera.
8
Non è necessario qui descrivere i tenenti e gli altri ufficiali effettivi dello staff del comandante Vere, né serve ricordare nessuno dei marescialli. Ma tra i sottufficiali ce n'era uno che, avendo molta importanza nella nostra storia, può essere immediatamente presentato. Proverò a farne il ritratto, ma non riuscirò mai a cogliere nel segno. Era John Claggart, il maestro d'armi. Ma questo titolo in uso in marina può fare un po' equivocare i profani. In origine indubbiamente la funzione di questo sottufficiale era quella di istruire gli uomini nell'uso delle armi, spada o sciabola. Ma già molto tempo fa, grazie al progresso delle armi da fuoco che resero meno frequenti gli scontri corpo-a-corpo e diedero al salnitro e allo zolfo la preminenza sull'acciaio, questa funzione ebbe fine e il maestro d'armi di una grande nave da guerra diventò una specie di capo della polizia, incaricato fra l'altro di mantenere l'ordine negli affollati sottoponti.
Claggart era un uomo di circa trentacinque anni, piuttosto magro e alto di statura, ma di non spiacevole aspetto nell'insieme. Aveva una mano troppo piccola e ben proporzionata per esser stata abituata a un lavoro duro. Il viso era singolare: tutti i lineamenti, salvo il mento, si stagliavano nitidi come in una medaglia greca. Il mento invece, glabro come quello di Tecumseh, ricordava un poco nella sua strana pesante protuberanza la figura, tramandataci nelle stampe, del reverendo dottor Titus Oates, lo storico testimone, con la pronuncia strascicata del clero, al tempo di Carlo Secondo e dell'impostura del preteso "complotto papale". Era utile a Claggart per i suoi compiti lo sguardo vigile e autoritario. La fronte era del tipo che la frenologia associa con un'intelligenza al di sopra della media; neri riccioli serici gliela coprivano in parte evidenziando il pallore della carnagione, un pallore leggermente ambrato, simile al colore che il tempo conferisce agli antichi marmi. Questa complessione, stranamente contrastante con i volti rossicci o abbronzatissimi dei marinai, e in parte causata dall'isolamento dovuto al suo ufficio e quindi alla mancanza di sole, anche se non era proprio spiacevole, tuttavia sembrava suggerire l'esistenza di qualcosa di imperfetto o di anormale nella sua costituzione e nel sangue. Ma il suo aspetto e i suoi modi in generale portavano a pensare a un'educazione e a una carriera in contrasto con le sue funzioni di uomo di mare, tanto che quando non era impegnato attivamente in tali funzioni, egli aveva tutto l'aspetto di un uomo di grande valore sociale e morale, che per motivi suoi personali manteneva l'incognito. Non si sapeva niente della sua vita precedente.
Poteva darsi che fosse inglese; eppure nel suo modo di parlare si sentiva un certo accento che suggeriva la possibilità che non lo fosse di nascita, ma fosse stato naturalizzato inglese nell'infanzia. Fra certi attempati compagnoni del cassero di prua e del ponte dei cannonieri circolò la diceria che il maestro d'armi fosse un "chevalier" arruolatosi volontario nella marina di sua maestà, scontando così una certa truffa misteriosa per la quale era stato processato dalla Regia Corte. Il fatto che nessuno potesse provare concretamente questa voce non impediva naturalmente che essa circolasse in sordina. Una tale diceria, partita dai ponti inferiori, e riguardante chiunque appartenesse a un rango inferiore a quello di ufficiale, poteva sembrare, nel periodo in cui si svolge la nostra storia, non del tutto incredibile agli sclerotizzati, vecchi sapientoni di una nave da guerra. E certo, un uomo del talento di Claggart, privo di esperienza nautica, entrato in marina in età matura e necessariamente assegnato in un primo tempo ai gradi più bassi, un uomo, inoltre, che non alludeva mai alla sua vita passata, di terraferma: ecco delle circostanze che, non sapendosi esattamente i suoi veri precedenti, lasciavano libero il campo alle congetture ostili dei malevoli.
Le dicerie che durante i turni di guardia della sera i marinai diffondevano sul suo conto, erano vagamente giustificate dal fatto che allora da un certo periodo la Marina britannica poteva permettersi così poco di essere schizzinosa in fatto di arruolamenti, che non soltanto c'erano risaputamente delle squadre per l'arruolamento forzato che operavano sia in mare che sulla terraferma, ma non era un segreto per nessuno un altro fatto, e cioè che la polizia di Londra aveva il permesso di arrestare qualsiasi uomo sospetto, di costituzione robusta, qualsiasi persona in circolazione di dubbia condotta e arruolarla con procedura sommaria nei cantieri o nella flotta. Per di più anche fra i volontari alcuni si erano arruolati per motivi che non avevano niente a che fare con il patriottismo né con il desiderio indefinito di sperimentare un po' di vita di mare e di imprese belliche. Debitori insolventi di basso grado, insieme con invalidi morali di ogni genere, trovavano nella marina un rifugio sicuro e comodo. Sicuro, perché una volta arruolati a bordo di una nave del re, essi erano in un santuario, come i trasgressori del Medio Evo che si rifugiavano all'ombra dell'altare. Queste irregolarità legittimate, che per ovvi motivi il governo era ben lontano allora dall'ostentare e che di conseguenza, anche perché riguardavano la classe meno influente dell'umanità, sono quasi del tutto cadute nell'oblìo, rendono verosimile qualcosa, della cui verità io non garantisco, e che perciò ho qualche scrupolo ad affermare; qualcosa che ricordo di aver visto stampato, anche se non riesco a ricordarmi in quale libro. Ma la stessa cosa mi fu personalmente comunicata, più di quarant'anni fa, da un vecchio pensionato, in cappello a tricorno, con il quale ebbi un'interessantissima conversazione sulla terrazza di Greenwich: un negro di Baltimora che aveva partecipato alla battaglia di Trafalgar. Si trattava di questo. Quando una nave da guerra a corto di uomini doveva salpare d'urgenza, questi vuoti venivano riempiti, in mancanza di meglio, con coscritti presi direttamente dalle galere. Per i motivi sopra accennati non sarebbe forse facile oggi dimostrare o smentire questa affermazione. Ma ammesso che sia vera, essa bene illustrerebbe le difficoltà in cui si dibatteva l'Inghilterra in quel tempo, alle prese con quelle guerre che come un volo di arpìe si alzarono stridendo dal tumulto e dalla polvere della Bastiglia espugnata. Quell'epoca sembra sufficientemente chiara a noi che la osserviamo a distanza, e attraverso le letture. Ma agli antenati, di noi che abbiamo i capelli grigi, a quelli più portati alla riflessione, il genio di quell'epoca si presentava con un aspetto simile a quello dello spirito del Capo di Camoes, una minaccia oscura, misteriosa e prodigiosa. Nemmeno l'America era esente dai timori. Quando le conquiste senza precedenti di Napoleone toccavano il loro culmine, ci furono Americani che avevano combattuto a Bunker Hill, che sospiravano l'ora in cui l'Atlantico si sarebbe dimostrato una barriera insufficiente contro i piani finali di questo francese salito d'improvviso alla ribalta dal caos rivoluzionario, che sembrava essere sul punto di far avverare il giudizio predetto dall'Apocalisse.
Ma meno credito si doveva dare alle chiacchiere che circolavano sul ponte dei cannonieri riguardo a Claggart, tenuto conto che nessuno che occupi il suo posto in una nave da guerra può mai sperare di essere popolare fra l'equipaggio. Per di più i marinai, per ciò che riguarda le malevolenze contro chiunque susciti il loro risentimento, o che per una ragione o nessuna essi abbiano in antipatia, sono molto simili agli uomini di terra, sempre pronti a esagerare o a romanzare.
Sulla carriera del maestro d'armi prima di entrare in servizio, gli uomini della "Bellipotent" ne sapevano in realtà quanto ne sa un astronomo sul cammino di una cometa prima di averla potuta osservare per la prima volta nel firmamento. Il verdetto dei ficcanaso del mare è stato citato soltanto per far vedere che genere di impressione morale il nostro uomo avesse fatto su individui rozzi, il cui concetto di malvagità umana era necessariamente tra i più meschini, limitato alle nozioni della furfanteria da strapazzo: un ladro fra le amache dondolanti durante il turno di guardia notturno, i ruffiani e i profittatori, i "pescicani di terra" dei porti.
Non era un pettegolezzo però, ma un fatto, che Claggart, come abbiamo prima accennato, anche se quando era entrato in marina era stato assegnato, come nuova recluta, al reparto meno ambìto dall'equipaggio di una nave da guerra, al quale erano riservati i lavori più faticosi, non vi fosse restato a lungo. Le capacità superiori che egli mostrò immediatamente, la sua sobrietà innata, la deferenza che gli ingraziava i superiori, insieme con un particolare talento di indagatore, manifestato in una speciale circostanza, tutto ciò inquadrato in una cornice di austero patriottismo lo fecero immediatamente promuovere al grado di maestro d'armi.
Alle dirette dipendenze, e complici, di questo capo della polizia marittimo, erano i cosiddetti caporali di bordo; e lo erano, come si può rilevare in certi settori di affari anche a terra, in un modo quasi incompatibile con l'integrità dell'autonomia morale.
Grazie alla sua posizione egli controllava varie convergenti fila di influenza sotterranea, che, se astutamente manovrate attraverso i suoi subalterni, potevano provocare inspiegabili fastidi, se non peggio, a chiunque nella comunità marina appartenesse al popolo.
9
La vita sulla coffa di trinchetto piaceva molto a Billy Budd.
Lassù, quando non erano occupati sui pennoni ancor più in alto delle coffe, i gabbieri, che proprio per la loro specializzazione erano stati scelti fra i più giovani e i più attivi, formavano un club aereo, oziando comodamente appoggiati contro i coltellacci, le piccole vele arrotolate come cuscini, raccontandosi storie come i pigri dei, e spesso divertiti da quanto si stava svolgendo nell'indaffarato mondo dei ponti sotto di loro. Non c'è da stupirsi che un ragazzo del carattere di Billy fosse tutto soddisfatto di quella compagnia. Non dava mai motivo di offesa a nessuno ed era sempre pronto a rispondere sollecitamente alle chiamate. Così aveva fatto sui mercantili. Ma ora mostrava un tale zelo nel compiere il proprio dovere che i suoi compagni a volte lo prendevano benevolmente in giro per questo. Questa diligenza estrema aveva un motivo e cioè l'impressione che gli aveva fatto la prima punizione formale alla quale egli aveva assistito, e che fu impartita il giorno dopo che era stato arruolato. Ne era stato vittima un ragazzo, giovane, una recluta, un uomo della guardia di poppa, assente dal posto assegnatogli quando la nave stava invertendo la rotta: abbandono che aveva provocato un intoppo piuttosto grave a quella manovra, che richiedeva prontezza immediata nello sciogliere e nel legare le vele. Quando Billy vide sulla schiena nuda del colpevole i segni rossi delle frustate, e peggio, quando notò la terribile espressione sul viso dell'uomo quando questi fu liberato e, con la sua camicia di lana, buttatagli sulle spalle dal boia, si allontanò in tutta fretta per nascondersi nella calca, ne rimase terrorizzato. Decise che mai si sarebbe reso passibile per sua negligenza di un tale castigo, né che avrebbe mai fatto od omesso qualsiasi cosa potesse meritargli un rimprovero anche solo verbale. Quali furono quindi la sua sorpresa e la sua preoccupazione, quando a un certo punto gli capitò di incappare in piccoli guai, per questioni come l'assetto del suo sacco o per qualcosa che non andava nella sua amaca, questioni sottoposte alla supervisione poliziesca dei caporali di bordo, e che attirarono sulla sua testa una vaga minaccia da parte di uno di loro!
Zelante com'era in tutto, come poteva essere successo questo fatto? Non riusciva a capirlo e perciò tanto più se ne angosciava.
Quando ne parlò con i suoi giovani compagni essi si mostrarono o leggermente increduli oppure trovavano qualcosa di comico nella sua palese ansietà. "Si tratta del tuo sacco Billy?" gli disse uno di loro. "Beh, cucitici dentro, bellezza, così sei sicuro di venire a sapere se qualcuno ci mette le mani." C'era a bordo un veterano che, essendo escluso a causa dell'età dal lavoro più attivo, era stato recentemente destinato alla guardia dell'albero maestro, per sorvegliare l'attrezzatura fissata alla griglia che circonda il grande albero vicino alla coperta. Nelle ore di libertà il nostro gabbiere aveva preso una certa confidenza con lui, e ora nel suo guaio gli venne in mente che il vecchio poteva essere il tipo di persona a cui rivolgersi per un saggio consiglio. Era un vecchio danese da tempo inglesizzato nel servizio in marina, uomo di poche parole, molte rughe e alcune onorevoli cicatrici. Il suo viso grinzoso, segnato dal tempo e patinato dall'acqua, tanto da somigliare a una pergamena antica, qua e là era striato di blu a causa di un'esplosione fortuita di cartucce nell'azione bellica.
Era stato uno dell'"Agamennone"; un due anni prima, circa, dell'epoca in cui si svolge questa storia, aveva servito sotto Nelson quando era ancora capitano di quella nave importante nella storia della marina, che, smantellata e in parte ridotta al nudo fasciame, è raffigurata come un enorme scheletro nell'acquaforte di Haden. Era stato fra gli uomini dell'Agamennone che andavano all'abbordaggio e aveva perciò ricevuto una ferita obliqua lungo una tempia e una guancia, che aveva lasciato una lunga, bianca cicatrice, come una striscia di luce albeggiante che divideva in due il suo scuro volto. A causa di questa cicatrice e della circostanza in cui si sapeva che l'aveva ricevuta, e anche del suo colorito bluastro,il danese era stato soprannominato "Abbordafumo", dall'equipaggio della "Bellipotent".
Ora, la prima volta che i suoi occhietti furbi si posarono su Billy Budd, una certa torva allegria interna fece assumere alle sue vecchie grinze un'espressione grottesca. Fu perché la sua antica saggezza, bizzarra e estranea al sentimentalismo, primitiva nel suo genere, vide o credette di vedere qualcosa che, in contrasto con l'ambiente della nave da guerra, sembrava stranamente assurdo nel "Bel Marinaio"? Ma dopo che lo ebbe osservato ogni tanto di sottecchi, l'ambigua allegria del vecchio Merlino mutò; ora quando i due si incontravano, cominciava ad apparire sul suo viso una certa aria canzonatoria, ma durava solo un attimo e a volte la seguiva un'espressione interrogativa e pensierosa. Che cosa avrebbe potuto succedere a un carattere come quello, precipitato in un mondo non scevro di trabocchetti, contro le cui insidie il semplice coraggio, privo di esperienza e di scaltrezza e senza un briciolo di grinta difensiva, è di scarso aiuto; e dove tutta l'innocenza di cui un uomo è capace, non sempre in presenza di un urgente nodo morale acuisce le facoltà o illumina la volontà?
Comunque fosse, il danese nel suo modo ascetico prese piuttosto in simpatia Billy. Né ciò accadde solo a causa di un certo interesse filosofico per un tipo del genere. Ci fu anche un altro motivo.
Mentre le eccentricità del vecchio, che a volte sfioravano l'orsaggine, sembravano scostanti ai giovani, Billy, per nulla scoraggiato, lo ammirava come un eroe del mare, faceva degli approcci e non mancava mai di salutare il vecchio marinaio dell'"Agamennone" quando lo incontrava, dando al suo saluto quel tono di rispetto che difficilmente non è apprezzato dagli anziani anche se a volte bisbetici, qualsiasi posizione occupino nella vita.
C'era una vena di umorismo asciutto, o chissà cos'altro, nell'uomo dell'albero maestro; e sia per un capriccio di patriarcale ironia, provocata dalla giovinezza e dall'aspetto atletico di Billy, sia per qualche altro e più nascosto motivo, fin dall'inizio rivolgendosi a lui lo chiamò sempre Baby invece di Billy. Il danese fu infatti l'inventore del nome con cui il nostro gabbiere di parrocchetto fu alla fine conosciuto a bordo.
Billy dunque, preso dal suo piccolo problema misterioso, andò a cercare il vecchio grinzoso, e lo trovò fuori servizio, che rimuginava i suoi pensieri durante un turno di guardia serale, seduto su una cassa di munizioni sul ponte dei cannoni superiore, mentre osservava di tanto in tanto con uno sguardo un po' cinico alcuni dei più spavaldi che passeggiavano da quelle parti. Billy gli raccontò i suoi guai, ancora una volta meravigliandosi di come tutto ciò fosse successo. Il profeta marino ascoltò attentamente, accompagnando il racconto del gabbiere con corrugamenti bizzarri delle sue grinze e brevi ammiccamenti inquieti dei piccoli occhi di furetto. Arrivato alla fine della sua storia, il gabbiere chiese: "Ed ora danese, dimmi che cosa ne pensi".
Il vecchio, sollevando la visiera del suo berretto di tela cerata, e strofinandosi deliberatamente la lunga cicatrice obliqua nel punto in cui entrava nella rada capigliatura, disse brevemente:
"Baby Budd, 'Gambelunghe' (il nomignolo del maestro d'armi) ce l'ha con te".
"'Gambelunghe!'" sbottò Billy, sbarrando i suoi occhi cerulei "e perché? Ma se mi chiama, mi hanno detto, il dolce e bel giovanotto." "Così ti chiama?" ghignò il vecchio brizzolato; e aggiunse: "Eh, Baby mio, "'Gambelunghe' ha la voce dolce".
"No, non sempre. Ma con me ce l'ha. E' raro che quando lo incontro non mi rivolga una parola gentile." "E questo perché ce l'ha con te, Baby Budd." Questa frase ripetuta, e il tono, incomprensibile per un novizio, turbarono Billy almeno altrettanto quanto il mistero di cui aveva cercato spiegazione. Provò a ottenere qualcosa di meno spiacevolmente sibillino; ma il vecchio Chirone marino pensando forse di avere per il momento istruito a sufficienza il suo giovane Achille, strinse le labbra, radunò insieme tutte le sue grinze e non si volle impegnare di più.
L'età e quelle esperienze che capitano a certi uomini sagaci che per tutta la vita sono subordinati alla volontà dei superiori, tutto questo aveva sviluppato nel danese quel cinismo ruvido e prudente che formava la sua caratteristica principale.
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Il giorno dopo, un incidente contribuì a confermare in Billy Budd l'incredulità nella strana conclusione tratta dal danese sul caso sottoposto al suo giudizio. A mezzogiorno la nave, andando di lasco spinta dal vento, beccheggiava, e Billy stava mangiando, impegnato in una conversazione scherzosa coi suoi compagni di mensa, quando gli capitò, a causa di un violento e improvviso rollìo, di rovesciare tutto il contenuto della gavetta sul ponte lavato di fresco. Claggart, il maestro d'armi, bastone d'ufficiale in mano, passava proprio in quel momento vicino alla batteria, in un angolo della quale era sistemata la mensa e il liquido grasso schizzò proprio davanti ai suoi piedi. Egli lo superò con un piccolo salto e stava per andare oltre senza commentare, trattandosi di una faccenda del tutto irrilevante, date le circostanze, quando si accorse chi era l'autore del fatto. Il suo contegno cambiò. Dopo una pausa, stava per sbraitare qualcosa di stizzoso contro il marinaio, ma si frenò e accennando in terra alla minestra versata, lo toccò scherzosamente sulle spalle con la sua canna e disse con una bassa voce musicale, che gli era caratteristica a volte: "L'hai fatta bella, ragazzo mio! Ma si sa, i belli le fanno belle!". E con questo si allontanò. Billy non poté notare, perché fuori della portata del suo sguardo, il sorriso involontario o meglio la smorfia che accompagnò le equivoche parole di Claggart e che gli piegò seccamente in giù gli angoli sottili della bocca ben formata. Ma tutti videro nella sua osservazione l'intenzione di scherzare e la considerarono una di quelle battute sulle quali, dato che provengono da un superiore, erano tenuti a ridere "con finta allegria", e si comportarono di conseguenza. E Billy, spinto forse dall'allusione al suo essere il "Bel Marinaio", si unì allegramente a loro. Poi rivolto ai compagni di mensa esclamò: "E ora chi dice che 'Gambelunghe' ce l'ha con me?". "E chi ha detto che ce l'aveva, Bellezza?" chiese un certo Donald un po' sorpreso. Al che il gabbiere ci rimase un po' male, ricordando che c'era stata una persona sola, "Abbordafumo", che gli aveva suggerito l'idea per lui proprio fumosa che questo maestro d'armi gli fosse particolarmente ostile.
Intanto quel funzionario, ripreso il cammino, doveva aver assunto momentaneamente un'espressione meno controllata di quell'amaro sorriso che impediva al cuore la via del viso, un'espressione in qualche modo alterata forse, perché un tamburino, che veniva nella direzione opposta saltellando sbadatamente, e che ebbe a urtarlo leggermente, rimase sconcertato dal suo aspetto. Né l'impressione si affievolì quando l'ufficiale, affibbiandogli impulsivamente una sferzata con la canna, esclamò con veemenza: "Guarda dove metti i piedi!".
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Che cosa era successo al maestro d'armi? E di qualsiasi cosa si trattasse, come poteva avere un rapporto diretto con Billy Budd con il quale, prima dell'affare della minestra versata, non aveva mai avuto nessun particolare contatto per servizio o di altro genere? Che cosa, invero poteva aver a che fare quel turbamento, con uno così poco portato a offendere, come il "paciere" del mercantile, colui che, come diceva Claggart stesso, era "un dolce e piacevole giovanotto?". Si, perché 'Gambelunghe,' per usare l'espressione del danese, avrebbe dovuto avercela con il "Bel Marinaio"? Ma nel profondo del cuore, e non per niente, come il recente incontro fortuito può rivelare a chi sa capire, egli ce l'aveva con lui, segretamente, ce l'aveva certamente con lui.
Ora, inventare qualcosa che riguardi la carriera strettamente privata di Claggart, qualcosa che coinvolga Billy Budd, di cui questi sia completamente all'oscuro, un qualche incidente romantico, che comporti che la conoscenza del giovane marinaio da parte di Claggart risaliva a un qualche tempo prima che lo scovasse a bordo della nave da guerra: tutto questo non è tanto difficile da fare, e potrebbe contribuire in maniera più o meno interessante a spiegare qualunque enigma possa essere avanzato in questo caso. Ma in realtà non c'era niente di simile. E tuttavia la causa, che per forza deve essere ritenuta la sola da prendere in considerazione, nella stessa sua concretezza è carica di quell'elemento fondamentale del romanzo "radcliffiano", l'elemento MISTERIOSO, quanto lo sarebbe una qualunque causa suggerita dall'ingegnosa autrice dei "Misteri di Udolfo". Che cosa infatti c'è di più misterioso che un'antipatia spontanea e profonda, come quella che viene suscitata in certi eccezionali mortali dal solo aspetto di un altro mortale, per quanto innocuo egli possa essere, o provocata proprio da questa stessa innocuità?
Ora, non può esistere un accostamento irritante di personalità contrastanti, paragonabile a quello che è possibile trovare a bordo di una grande nave da guerra, con l'equipaggio al completo e in navigazione. Ogni giorno a tutti i livelli ogni uomo entra più o meno in contatto con quasi tutti gli altri. Per evitare del tutto anche la vista di un oggetto insopportabile si dovrebbe fargli fare il salto di Giona, o gettarsi fuoribordo. Immaginate quale influenza possa alla fine esercitare tutto questo su una creatura umana tutta particolare, esattamente all'opposto della santità.
Ma per far capire adeguatamente Claggart a un essere normale, questi accenni sono insufficienti. Per passare da una natura normale a lui si deve attraversare "lo spazio mortale che li separa". E questo si può fare meglio per vie indirette.
Molto tempo fa un onesto letterato più anziano di me, riferendosi a qualcuno che, come egli stesso, è ormai nel mondo dei più, un uomo così impeccabilmente rispettabile, che contro di lui niente fu mai detto apertamente, anche se qualcosa si sussurrava fra pochi, mi disse: "Sì, X... non è una noce che si può schiacciare col ventaglio di una signora. Voi sapete che io non aderisco a nessuna religione costituita e ancora meno a nessuna filosofia sistematizzata. Ebbene, nonostante questo, io credo che tentare di penetrare dentro X..., nel suo labirinto e riuscirne fuori, senza un bandolo tratto da una fonte che non sia quella della cosiddetta conoscenza del mondo, sia quasi impossibile, almeno per me".
"Ma X..." dissi io, "anche se rappresenta un soggetto di studio singolare per qualcuno, è sempre un essere umano, e la conoscenza del mondo comporta di certo la conoscenza della natura umana, nella maggior parte delle sue manifestazioni." "Sì, ma una conoscenza superficiale di essa, per scopi ordinari.
Ma per andare più in profondità, io non sono certo che il conoscere il mondo e il conoscere la natura umana non siano due branche distinte della conoscenza. Anche se esse possono coesistere nello stesso cuore, tuttavia ognuna di esse può esistere mentre l'altra è minima o addirittura assente. Anzi, in un uomo medio, il contatto continuo con il mondo ottunde quell'acuto intuito spirituale indispensabile per capire l'essenza di certi caratteri eccezionali, sia cattivi che buoni. In una questione di una certa importanza ho visto una ragazza menare per il naso un vecchio avvocato con il dito mignolo. Né si trattava di rimbambimento per amore senile. Niente del genere. Soltanto, lui conosceva la legge meglio di quanto conoscesse il cuore della ragazza. In effetti Coke e Blackstone non hanno illuminato gli oscuri recessi dello spirito quanto i profeti ebrei. E chi erano questi ultimi? Nella maggior parte degli eremiti." A quel tempo la mia esperienza era tale che io non compresi bene il senso di tutto ciò. Forse lo comprendo adesso. E, infatti, se quel lessico che si fonda sulla Sacra Scrittura fosse ancora conosciuto, sarebbe possibile definire e determinare con meno difficoltà certi uomini eccezionali. Così come stanno le cose, ci si deve rivolgere a qualche autorità non sospetta di tendenze bibliche.
In un elenco di definizioni compreso nella traduzione autentica di Platone, un elenco attribuito a lui, ci imbattiamo in questa frase: "Depravazione naturale: una depravazione secondo natura".
Una definizione che sebbene abbia un sapore calvinistico, non implica affatto i dogmi di Calvino riguardanti tutta l'umanità.
Evidentemente il suo intento la rende valida solo per certi individui. Non sono molti gli esempi di questa depravazione forniti dalle forche e dalle carceri. In ogni modo i casi notevoli si devono ricercare altrove, poiché questi non sono dello stampo volgare del bruto, ma sono invariabilmente degli intellettuali. La civiltà, specialmente quella del tipo più austero, favorisce questa depravazione. Essa si ammanta di rispettabilità. E' dotata di certe virtù negative che gli sono di silenzioso aiuto. Non permette mai che l'ubriachezza allenti la sua vigilanza. Non è esagerato affermare che è senza vizi o peccati veniali. In essa è un orgoglio straordinario che esclude in questi individui qualsiasi spirito mercenario e di avarizia. In breve la depravazione di cui si parla non ha niente di sordido o di sensuale. E' seria, ma senza acredine. Non loda l'umanità, ma neppure ne parla mai male.
Ma quello che negli esempi più rilevanti indica una natura così eccezionale è questo: anche se il carattere temperato e discreto del soggetto sembra indicare una mente particolarmente sottomessa alle leggi della ragione, purtuttavia nel suo cuore egli sembra perdere ogni freno, completamente sciolto da ogni legge, apparentemente avendo ben poco a che vedere con la ragione, eccetto che per usarla come uno strumento ambiguo per mettere in atto l'irrazionale. In altre parole, all'attuazione di uno scopo, che nella sua malvagità immotivata sembra avere qualcosa di folle, egli tenderà con raziocinio freddo, sagace e acuto.
Questi uomini sono dei veri folli e del tipo più pericoloso, perché la loro demenza non è costante ma occasionale, provocata da qualche oggetto particolare; essa è segreta, vale a dire controllata, così che, per di più, quando è maggiormente attiva, un'intelligenza media non è in grado di distinguerla dalla normalità, e per la ragione prima accennata, e cioè che quali che possano essere i suoi scopi (e lo scopo non è mai dichiarato) il metodo e il modo di procedere apparenti sono sempre perfettamente razionali.
Or dunque, Claggart era in qualche modo un tipo del genere; in lui dimorava la mania di una natura malvagia non causata dalla cattiva educazione, da letture corrotte o da modi di vita licenziosi, ma nata con lui ed innata, in breve una "depravazione secondo natura".
Parole oscure sono queste, dirà qualcuno. E perché mai? Forse perché esse ricordano vagamente la frase delle Sacre Scritture "misteri di iniquità?". Se così è, questa analogia è lungi dall'essere intenzionale, perché raccomanderebbe ben poco queste pagine a molti lettori di oggi.
Il nocciolo di questa storia dipende dalla natura nascosta del maestro d'armi e questo ha richiesto questo capitolo. Dopo che avremo aggiunto qualche chiarimento a proposito dell'incidente a mensa, la narrazione che riprendiamo dovrà sostenere, da sé, come può, la propria credibilità.
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LIVIDA IRA, INVIDIA E DISPERAZIONE
Che l'aspetto di Claggart non fosse spiacevole e il suo volto escluso il mento, ben modellato, è stato già detto. A queste caratteristiche favorevoli egli non sembrava insensibile, perché si vestiva non solo con proprietà ma con ricercatezza. Ma la bellezza di Billy Budd era quella di un eroe; e se il suo viso non aveva l'aspetto intellettuale del pallido Claggart, pur tuttavia esso era illuminato, come il suo, dall'interno, anche se la sorgente era diversa. Il fuoco che gli bruciava nel cuore rendeva luminose le sue guance rosse e abbronzate.
Visto il contrasto marcato fra i due, è più che probabile che quando il maestro d'armi, nella scena ultimamente descritta, usò nei confronti del marinaio il proverbio "I belli le fanno belle", si lasciò sfuggire un indizio ironico, non compreso dai giovani marinai che lo ascoltarono, di quello che lo aveva innanzi tutto eccitato contro Billy, e cioè la notevole bellezza della persona.
Ora, l'invidia e l'antipatia, passioni inconciliabili secondo ragione, possono però nascere congiunte in un solo parto come Chang ed Eng. E' dunque l'Invidia un simile mostro? Ebbene, malgrado che molti uomini posti sotto accusa si siano confessati colpevoli, sperando in una mitigazione della pena, di azioni orribili, si è mai tuttavia nessuno seriamente confessato colpevole di invidia? C'è qualcosa in essa che tutti sentono essere più vergognosa perfino del peggior crimine. E non solo essa è sconfessata, ma i migliori sono portati all'incredulità quando essa viene imputata sul serio a un uomo intelligente. Ma poiché essa trova riparo nel cuore e non nel cervello, nessun grado di intelligenza fornisce una garanzia contro di essa. Quella di Claggart però non era una forma volgare della passione. Né, essendone Billy Budd l'oggetto, essa aveva quella vena di gelosia ansiosa che guastava il volto di Saul quando meditava turbato sul bel giovane David. L'invidia di Claggart colpiva più a fondo. Se egli guardava di malocchio il bell'aspetto, l'esuberante salute e l'aperto godimento della giovane vita in Billy Budd, era perché appartenevano a una natura che, come Claggart magneticamente intuiva, nella sua semplicità non aveva mai voluto il male e provato il morso retroattivo di quel serpente. Per lui era soprattutto lo spirito che Billy aveva in sé e che traspariva dai suoi occhi cerulei come da una finestra spalancata, quella ineffabilità che scavava la fossetta nella sua guancia rosea, rendeva flessibili le sue articolazioni e ballava fra i suoi riccioli biondi, a fare di lui il "Bel Marinaio". Il maestro d'armi era forse l'unico uomo a bordo (eccetto un'altra persona) intellettualmente capace di apprezzare adeguatamente il fenomeno morale rappresentato da Billy Budd. E l'intuito non faceva che intensificare la sua passione, che assumendo nel suo intimo varie forme segrete, a volte si vestiva di cinico disprezzo: disprezzo dell'innocenza. Non essere niente più che innocente! Eppure da un punto di vista estetico egli vedeva il fascino di un simile fenomeno, l'indole coraggiosa, franca e spontanea di esso, e volentieri ne avrebbe voluto essere partecipe, solo che ne disperava.
Impotente ad annullare il male che era in lui come una forza naturale, anche se abile abbastanza nel nasconderlo prontamente, consapevole del bene, ma incapace di farlo: una natura come quella di Claggart sovraccarica di energia come quasi invariabilmente lo sono nature di questo genere, a che cosa poteva ricorrere se non ripiegarsi su se stesso e, come lo scorpione, di cui il Creatore solo è responsabile, recitare fino in fondo la parte assegnatagli?
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La passione, e la passione veramente profonda, non è cosa che richieda un palcoscenico grandioso sul quale recitare la sua parte. Fra i poveri diavoli, fra i pezzenti e gli spazzini, opera la passione profonda. E le circostanze che la provocano, per quanto possano essere banali e spregevoli, non forniscono la misura della sua forza. Nel nostro caso il teatro è un ponte appena lavato, e una delle provocazioni esterne una minestra rovesciata da un marinaio di una nave da guerra.
Ora, quando il maestro d'armi si accorse da dove veniva quell'untume che si allargava davanti ai suoi piedi, dovette prendere il fatto - premeditatamente, forse - non come un semplice incidente, come sicuramente esso era, ma come l'astuto sfogo di un sentimento spontaneo da parte di Billy, più o meno corrispondente all'antipatia che egli stesso provava. In realtà una dimostrazione stupida, egli dovette aver pensato, e molto innocua, come l'inutile pedata di una giovenca; e tuttavia se invece di una giovenca si fosse trattato di un ferrato stallone non sarebbe stata così innocua. Era così che al fiele dell'invidia Claggart univa il vetriolo del suo disprezzo. Ma l'incidente gli confermò certe dicerie riportategli da "Strilla", uno dei suoi più astuti caporali, un ometto brizzolato, così soprannominato dai marinai a causa della sua voce stridula e del viso appuntito che frugava negli angoli più oscuri dei ponti inferiori a caccia di intriganti, e che al loro spirito satirico suggeriva l'idea di un topo in una cantina.
Poiché il suo capo si serviva di lui come di uno strumento ligio per disseminare le piccole trappole che preoccupavano il nostro gabbiere (perché era dal maestro d'armi che venivano quelle piccole persecuzioni alle quali già si è fatto cenno), il caporale, avendo abbastanza naturalmente concluso che il suo padrone non poteva nutrire simpatia per il marinaio, si prese cura, da quel fedele tirapiedi che era, di attizzare il suo cattivo sangue riferendo al suo capo, alterate, certe innocenti battute dell'allegro gabbiere, oltre a inventare vari epiteti ingiuriosi che egli pretendeva di aver sentito con le sue orecchie sfuggire al ragazzo. Il maestro d'armi non ebbe mai dubbi sulla veridicità di questi rapporti, in particolar modo circa gli epiteti, perché egli sapeva bene quanto un maestro d'armi potesse diventare segretamente impopolare, perlomeno un maestro d'armi zelante nelle sue funzioni, in quei tempi, e come le giacche azzurre in privato si scagliassero contro di lui con i loro scherni e il loro spirito; il soprannome con cui egli viene chiamato fra di loro ("Gambelunghe") rivela sotto la forma dello scherzo la mancanza di rispetto e l'avversione che essi nutrono per lui.
Ma l'odio è così avido di provocazioni che non c'era certo bisogno di chi fornisse materiale per nutrire la passione di Claggart. Una prudenza tutta particolare è abituale nella depravazione più sottile, perché essa ha tutto da nascondere. E in caso di ingiuria anche solo sospettata, la sua riservatezza volontariamente la sottrae a ogni chiarimento o delusione; non senza riluttanza, l'azione è intrapresa tanto in base a un sospetto quanto a una certezza. E la rappresaglia è incline a essere mostruosamente sproporzionata alla presunta offesa: la vendetta infatti fu sempre in tutti come un esoso usuraio. E la coscienza di Claggart? Perché sebbene le coscienze siano diverse come le fronti, ogni intelligenza, non esclusi i demoni della Scrittura che "credono e tremano", ne ha una. Ma essendo la coscienza di Claggart l'avvocato difensore della sua volontà, scambiava lucciole per lanterne, concludendo probabilmente che il movente che avrebbe spinto Billy a spandere la minestra proprio nel momento in cui lo fece, insieme con i supposti epiteti, costituivano, in mancanza di meglio, qualcosa di grosso a suo carico; anzi, giustificavano il passaggio dall'animosità a una specie di giustizia punitiva. Il Fariseo è il Guy Fawkes che erra in cerca di preda nelle nascoste cavità sotterranee dei Claggart. E loro non possono in realtà concepire una malvagità non reciproca. Probabilmente la persecuzione clandestina di Billy da parte del maestro d'armi era stata incominciata per saggiare il carattere dell'uomo; ma non aveva sviluppato in lui nessuna qualità di cui l'inimicizia potesse apertamente servirsi o neppure alterare per una plausibile autogiustificazione. Tanto che l'incidente capitato a mensa, per quanto insignificante, fu benvenuto a quella singolare coscienza destinata a essere il mentore privato di Claggart. E non è improbabile, del resto, che lo spingesse a nuovi esperimenti.
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Pochi giorni dopo l'ultimo incidente raccontato, successe qualcosa a Billy Budd, che lo imbarazzò più di tutto quanto gli era accaduto prima.
Era una notte calda per quella latitudine, e il gabbiere, il cui posto in quel momento sarebbe stato a dire il vero sotto coperta, stava sonnecchiando sul ponte più elevato, dove era salito lasciando il caldo soffocante della sua amaca, una delle centinaia sospese tanto vicine l'una all'altra su un ponte dei cannoni inferiore, che restava pochissimo o nessuno spazio per il loro ondeggiare. Se ne stava sdraiato come all'ombra di un colle, sottovento, disteso presso la catasta di alberature di ricambio a mezza nave fra l'albero di trinchetto e l'albero maestro, dove era sistemata la lancia, la più grande barca della nave. Accanto ad altri tre uomini, anche loro venuti da sotto a sonnecchiare, giaceva vicino a quell'estremità della catasta che tocca quasi l'albero di trinchetto; la sua posizione quand'era di servizio come gabbiere di parrocchetto, proprio sopra il posto occupato sul ponte dagli uomini del castello di prua, gli dava il diritto, secondo le usanze, a sentirsi più o meno a casa sua in quei paraggi.
D'improvviso fu svegliato da qualcuno, che doveva prima essersi assicurato che gli altri dormissero, e ora gli toccava la spalla.
Quando il gabbiere alzò la testa, gli bisbigliò rapido nell'orecchio: "Fila alle catene di prua sottovento, Billy; c'è qualcosa in aria. Taci. Fa presto, ci vediamo là" e sparì.
Ora Billy, come molte altre persone sostanzialmente buone, aveva certe debolezze inseparabili da una sostanziale bontà, e fra queste una riluttanza, quasi un'incapacità di rispondere bruscamente NO a una proposta improvvisa, non ovviamente assurda a giudicare dalle apparenze, né ovviamente ostile o ingiusta. Ed essendo di sangue caldo non aveva la flemma di respingere una proposta con la resistenza passiva. Come il suo senso di timore, così la sua percezione di tutto quanto fosse oltre l'onesto e il naturale raramente era rapida. Per di più, in quella particolare occasione, la sonnolenza pesava ancora su di lui.
Comunque fosse, egli si alzò meccanicamente e chiedendosi fra il sonno che cosa potesse essere nell'aria, si diresse verso il posto indicato, una stretta piattaforma, una delle sei sporgenti fuori dalle alte murate e nascosta dalle grandi bigotte e dalle innumerevoli pile di cime delle vele e di sartie; una piattaforma commisurata all'ampiezza della chiglia di una grande nave da guerra di quei tempi; una balconata incatramata, insomma, sospesa sul mare e tanto appartata, che uno dei marinai della "Bellipotent", un vecchio marinaio di fede puritana e temperamento grave, ne faceva perfino, durante il giorno, il suo oratorio privato.
In quest'angolo remoto lo sconosciuto raggiunse subito Billy Budd.
Non c'era ancora la luna; una nebbiolina velava la luce delle stelle. Non gli riuscì di vedere nitidamente il volto dello sconosciuto. Tuttavia da qualche tratto del profilo e del portamento Billy lo identificò, e con ragione, come uno del ponte di poppa.
"Ehi, Billy!" fece l'uomo bisbigliando rapidamente, prudente come prima. "Tu sei stato arruolato per forza, vero? Beh, anche io". E fece una pausa, come per vedere l'effetto. Ma Billy, non sapendo che pensare di tutto quello, non disse niente. E l'altro allora:
"Noi non siamo gli unici a essere stati arruolati forzatamente, Billy. Ce ne sono parecchi come noi. Non potresti aiutarci, in caso di emergenza?".
"Cosa vuoi dire?" chiese Billy, scuotendosi a questo punto completamente dal torpore.
"Ssst!" il sussurro frettoloso si fece più rauco, "guarda qui" e l'uomo mostrò due piccoli oggetti che debolmente luccicavano nella luce notturna; "guarda, sono tuoi Billy, se solo...".
Ma Billy lo interruppe, e nella sua rabbiosa impazienza di esprimersi, il suo difetto vocale si fece un po' sentire: "P- pperdio. Io non so a che cosa punti o cosa vuoi d-d-dire, ma sarebbe meglio che tu t-t-te ne tornassi dov'è il posto tuo!". Sul momento l'individuo, confuso, non si mosse, e Billy, saltando in piedi, disse: "Se non ti muovi ti sb-b-batto giù dal p-p- parapetto!". Questa volta non si poteva fraintendere, e il misterioso emissario filò via scomparendo in direzione dell'albero maestro nell'ombra delle aste di posta.
"Ehi, che succede?" brontolò un gabbiere di bompresso svegliato dal suo sonnellino dalle grida di Billy. E quando riconobbe il gabbiere di trinchetto che era riapparso aggiunse: "Ah, 'Bellezza,' sei tu? Beh, deve esserti successo qualcosa che ti ha fatto b-b-balbettare." "Oh" replicò Billy, vincendo il difetto. "Ho trovato uno della guardia di poppa nella nostra zona della nave qui, e gli ho detto di andarsene al posto suo." "Ed è tutto qui quello che hai fatto, gabbiere?" chiese tutto burbero un altro, un vecchio marinaio irascibile con la pelle e i capelli color mattone, che i suoi compagni, gabbieri di bompresso, chiamavano "Pepe Rosso". "Questi vermi mi piacerebbe sposarli con la figlia del cannoniere!" Volendo dire con quest'espressione che avrebbe voluto sottoporlo alla punizione disciplinare su un cannone.
In ogni caso, il modo in cui Billy riferì l'incidente bastò a giustificare per quei curiosi il breve scompiglio, poiché di tutte le sezioni di un equipaggio quella dei gabbieri di bompresso, veterani in maggior parte e radicati nei loro pregiudizi di mare, è la più gelosa per quanto riguarda gli sconfinamenti territoriali, specialmente da parte di qualcuno della guardia di poppa, di cui i gabbieri hanno un'opinione ben meschina, trattandosi in genere di gente di terra, che non sale mai in coffa eccetto che per far terzaruolo o serrare la maestra, e non ci sa fare per niente, per esempio a maneggiare una caviglia o girare una bigotta.
15
Quest'incidente imbarazzò penosamente Billy Budd. Era un'esperienza completamente nuova; per la prima volta nella sua vita era stato avvicinato di nascosto con modi da intrigo clandestino. Prima di quell'incontro non sapeva niente del marinaio di poppa, perché i due uomini erano di servizio molto lontani l'uno dall'altro, uno a prora e in coffa, l'altro a poppa e sul ponte.
Che cosa poteva significare? E quei due oggetti luccicanti che l'intrigante gli aveva messo sotto gli occhi potevano davvero essere ghinee? Dove poteva prendere le ghinee quel tipo? Nemmeno di bottoni di ricambio c'è abbondanza in navigazione. Più rimuginava sulla faccenda, più era perplesso e si sentiva a disagio e inquieto. Nel suo respingere disgustato una proposta che, anche se lui la comprendeva a malapena, istintivamente sapeva che doveva avere in sé qualcosa di male, Billy Budd era come un puledro, fresco di pascolo, che all'improvviso respiri il pessimo odore di uno stabilimento chimico, e con sbuffi ripetuti cerchi di ricacciarlo fuori dalle narici e dai polmoni. Questa disposizione d'animo soffocava ogni desiderio di avere altri colloqui con quell'individuo, anche solo per ottenere qualche chiarimento sull'intento che lo aveva spinto ad avvicinare lui. Eppure non gli mancava la curiosità naturale di vedere come fosse alla luce del giorno un tale visitatore notturno.
Lo notò nel pomeriggio successivo, nel suo primo quarto di guardia serale, in basso: uno dei fumatori in quella parte del ponte superiore dei cannonieri dove è permesso fumare la pipa. Lo riconobbe dalla sua sagoma generale, più che dalla faccia rotonda e lentigginosa e dagli occhi vitrei di un azzurro pallido, velati da ciglia quasi bianche. E del resto Billy non era proprio certo che si trattasse di lui: quel tipo lì, circa della sua stessa età, che rideva con una risata franca, appoggiato a un cannone, un ragazzo abbastanza simpatico, a guardarlo, e un po' testa vuota, a giudicare dalle apparenze. Anche un po' troppo grassottello per un marinaio, sia pure della guardia di poppa. A dirla in breve l'ultimo uomo al mondo, si sarebbe pensato, a essere oppresso da pensieri, specialmente i pensieri rischiosi che deve avere un cospiratore di qualsiasi piano serio, o anche il tirapiedi di un cospiratore.
Benché Billy non se ne fosse accorto, l'uomo, lanciando una rapida occhiata con la coda dell'occhio, aveva visto Billy per primo, e poi, notato che Billy lo stava guardando, gli fece un cenno familiare di riconoscimento amichevole, come una vecchia conoscenza, senza interrompere la conversazione nella quale era impegnato con il gruppo di fumatori. Un giorno o due dopo, incrociando per caso Billy durante la passeggiata serale su un ponte, gli rivolse di sfuggita una parola cameratesca, che essendo inaspettata e ambigua viste le circostanze, imbarazzò tanto Billy che egli non seppe come rispondergli, e la lasciò cadere.
Billy ora era più che mai imbarazzato. Il vano rimuginìo di pensieri in cui si trovò gettato gli era così spiacevolmente estraneo che egli fece il possibile per soffocarlo. Non gli venne mai in mente che si trattasse di una faccenda che, a causa della sua estrema equivocità, fosse suo dovere come leale giacca azzurra riferire ai superiori. E probabilmente se un passo del genere gli fosse stato suggerito, il pensiero, dettato dalla sua magnanimità di novizio, che si trattasse di qualcosa di troppo simile a uno sporco lavoro di spia, lo avrebbe trattenuto dall'attuarlo. Tenne la cosa per sé. Però quando gli si presentò l'occasione, non poté fare a meno di sfogarsi con il vecchio danese, spinto a ciò, forse, dall'influenza di una dolce notte, mentre la nave si cullava tranquillamente; i due uomini erano rimasti a lungo in silenzio, seduti accanto sul ponte, con le teste appoggiate alle murate. Ma Billy fece un resoconto soltanto parziale e anonimo, perché gli scrupoli infondati, ai quali abbiamo accennato, gli impedivano di aprirsi con chiunque. Ascoltando la versione di Billy, il saggio danese sembrò indovinare più di quanto l'altro aveva detto; e dopo una breve riflessione, durante la quale le sue rughe parevano raccolte in un sol punto, cancellando completamente per il momento quell'espressione interrogativa che a volte aveva il suo volto, disse: "Non te l'avevo detto, Baby Budd?".
"Detto cosa?" chiese Billy.
"Perbacco! che 'Gambelunghe' ce l'ha con te." "E che cosa ha che fare" replicò Billy sorpreso, "'Gambelunghe' con quel suonato della guardia di poppa?" "Ah, era uno della guardia di poppa allora. Un fantoccio, un fantoccio!" E con questa esclamazione che non si sa se era riferita a un leggero soffio d'aria che proprio allora appariva sul mare calmo, o aveva un più sottile rapporto con l'uomo della guardia di poppa, il vecchio Merlino torse con un morso dei denti anneriti il suo pezzo di tabacco, non fornendo risposta all'impetuosa domanda di Billy, sebbene ora questi la ripetesse, perché era sua abitudine sprofondarsi in un cupo silenzio quando era interrogato in tono dubitativo su uno dei suoi oracoli sentenziosi, non sempre molto chiari, e ammantati un po' di quell'oscurità che caratterizza la maggior parte dei responsi delfici, da qualunque parte vengano.
La lunga esperienza aveva molto probabilmente fruttato a quel vecchio quell'amara prudenza che non interferisce mai in niente e che non dà mai consigli.
16
Sì, nonostante la laconica insistenza del danese sul fatto che alla radice di queste strane esperienze capitate a Billy a bordo della "Bellipotent" ci fosse il maestro d'armi, il giovane marinaio era invece pronto ad addossarle forse a chiunque altro, tranne all'uomo che, per usare proprio l'espressione di Billy stesso, "aveva sempre una parola gentile per lui". Questo può suscitare meraviglia. Ma fino a un certo punto. In certe questioni alcuni marinai anche in età matura restano abbastanza ingenui. E un giovane navigatore con il carattere del nostro atletico gabbiere è per molti aspetti un fanciullo. Anzi, l'innocenza assoluta di un bambino non è che frutto della sua assoluta ignoranza, e l'innocenza più o meno diminuisce mano a mano che l'intelligenza si sviluppa. Ma in Billy Budd l'intelligenza così come era, aveva progredito, mentre la sua semplicità era rimasta ancora in gran parte immutata. L'esperienza senza dubbio insegna; però data la sua giovane età l'esperienza di Billy era scarsa.
Egli inoltre non possedeva neppure un briciolo di quella conoscenza intuitiva del male, che nelle nature non buone o non completamente buone, precorre l'esperienza, e perciò può appartenere, come in certi casi appartiene fin troppo chiaramente, anche ai giovani.
E che cosa poteva sapere Billy dell'uomo, se non dell'uomo semplicemente in quanto marinaio? E il marinaio vecchio stampo, il vero lupo di mare, il marinaio che ha fatto questo mestiere fin da ragazzo, sebbene naturalmente appartenga alla stessa specie alla quale appartiene l'uomo di terra, sotto certi aspetti è singolarmente diverso. Il marinaio è schiettezza, l'uomo di terra finezza. La vita non è un gioco per il marinaio, che richieda sagacia; non è un intricato gioco di scacchi dove poche mosse vengono fatte per vie dirette, e gli obiettivi vengono perseguiti per vie indirette: un gioco obliquo, noioso, arido, che quasi non vale la povera candela che vi si brucia giocandolo.
Sì, considerati come classe i marinai per ciò che riguarda il carattere sono una razza giovanile. Anche le loro deviazioni hanno qualcosa di giovanile. E ciò in particolare era vero per i marinai del tempo di Billy. Inoltre certe cose che sono valide per tutti i marinai si manifestano a volte più chiaramente nei giovani. Ogni marinaio, poi, è abituato a obbedire agli ordini senza discuterli; la sua vita a bordo è regolata da altri per lui; egli non viene immesso in quel promiscuo commercio con l'umanità dove l'agire libero, non impedito, su un piede di uguaglianza - uguaglianza superficiale, almeno - insegna rapidamente a ognuno che se all'occasione non usa una diffidenza acuta e perspicace proporzionate all'onestà dell'apparenza, gli può essere giocato qualche brutto scherzo. Una metodica e riservata diffidenza è così abituale, non tanto negli uomini di affari, quanto negli uomini che conoscono i loro simili in rapporti meno superficiali degli affari, cioè certi uomini di mondo, che essi finiscono per usarla quasi inconsciamente; e alcuni di loro molto probabilmente sarebbero sinceramente sorpresi se tale diffidenza venisse considerata uno dei loro caratteri distintivi.
17
Ma dopo il piccolo incidente durante la mensa Billy Budd non ebbe più strani fastidi per la sua amaca o per il suo bagaglio o altro.
E d'altra parte quel sorriso rivoltogli di tanto in tanto, e la parola gentile occasionale, furono se non più frequenti, semmai più accentuati di prima.
Ma in cambio di tutto questo, c'erano ora alcune altre manifestazioni. Quando lo sguardo di Claggart, inosservato, si posava per caso su Billy che bighellonava sul ponte superiore dei cannonieri nei momenti di ozio del secondo turno di guardia serale, scambiando ogni tanto parole scherzose con altri giovani, che passeggiavano a gruppi, quello sguardo seguiva l'allegro Iperione marino con un'espressione assorta e malinconica, con gli occhi stranamente velati di lacrime febbrili sul nascere. Allora Claggart sembrava Uomo di dolori. E a volte l'espressione malinconica aveva un pizzico di tenero struggimento, come se Claggart avesse perfino potuto amare Billy, se non gli fosse stato vietato dal destino e dalle leggi. Ma tutto questo svaniva in un attimo, e subito sembrava pentirsene: lo sguardo implacabile, il volto chiuso e aggrondato che lo faceva rassomigliare a una noce rugosa. Altre volte invece vedendo di lontano il gabbiere che veniva nella sua direzione era solito, una volta che questi si era avvicinato, farsi un poco da parte per lasciarlo passare, facendo indugiare su Billy per un momento lo scintillante sorriso satirico di un Guisa. Ma ad ogni improvviso e imprevisto incontro una vampata rossastra scaturiva dai suoi occhi come una scintilla dall'incudine in una fumosa fucina. Questa rapida luce selvaggia era strana, scagliata da occhi che in uno stato d'animo di quiete erano di un colore molto vicino al viola intenso, la più dolce delle tinte.
Sebbene alcune di queste stranezze diaboliche non potessero passare inosservate a chi ne era oggetto, tuttavia erano tali da non poter essere capite da una natura siffatta. E il nerbo di Billy era poco compatibile con quella organizzazione spirituale, quella sensibilità che in certi casi sente istintivamente l'innocenza ignara dell'approssimarsi del maligno. Pensava che il maestro d'armi si comportasse in maniera piuttosto curiosa, a volte. E questo era tutto. Ma l'aria sincera e la parola gentile che ogni tanto gli venivano rivolte erano prese per quello che pretendevano di sembrare, non avendo il giovane marinaio mai sentito parlare dell'"uomo dalle parole troppo buone".
Se il gabbiere si fosse reso conto di aver fatto o detto qualcosa tale da provocare la malevolenza dell'ufficiale, si sarebbe comportato diversamente, e i suoi occhi avrebbero visto più chiaro, se non più acutamente. Così come stavano le cose, l'innocenza lo accecava.
Così era anche in un'altra questione. Due sottufficiali, l'armiere e il cambusiere, con i quali non aveva mai scambiato nemmeno una parola, dato che la posizione da essi occupata sulla nave non li portava mai in contatto con lui, per la prima volta incominciarono a lanciare su Billy, quando per caso lo incontravano, quello sguardo particolare che dimostra che alla persona da cui proviene in qualche modo è stato parlato male di colui sul quale quello sguardo si posa. Mai capitò a Billy di considerare questo fatto come una cosa degna di nota o sospetta, benché egli sapesse bene che l'armiere e il cambusiere, insieme con lo scrivano e il farmacista della nave e altri dello stesso grado, secondo gli usi della marina, fossero compagni di mensa del maestro d'armi, uomini con orecchie adatte a raccogliere le sue confidenze.
Ma la popolarità generale di cui godeva il nostro "Bel Marinaio" a causa della virile baldanza da lui a volte mostrata e dell'irresistibile buon umore, caratteristiche non tali da indicare una superiorità mentale che potesse suscitare sentimenti di invidia, quella benevolenza di cui lo circondava la maggioranza dei suoi compagni, faceva sì che egli non si occupasse proprio di quelle mute manifestazioni verso di lui, alle quali è stato accennato poco fa, e che egli non poteva scandagliare fino a capirne tutta l'importanza.
Quanto alla guardia di poppa, sebbene Billy, per le ragioni già dette, lo vedesse necessariamente poco, tuttavia, quando i due per caso si 'incontravano, invariabilmente c'era il saluto amichevole e disinvolto dell'altro, a volte accompagnato da qualche parola gentile di sfuggita. Qualunque fosse effettivamente stato il piano originario di quell'equivoco giovanotto, o il piano che egli potesse essere stato incaricato di eseguire, certo era, dal suo atteggiamento in quelle occasioni, che egli lo aveva lasciato completamente cadere.
Era come se la precocità della sua disonestà (e ogni volgare marrano è precoce) lo avesse per una volta deluso, e l'uomo che egli aveva creduto di intrappolare come un sempliciotto, lo avesse messo nel sacco senza saperlo, con la sua sola semplicità.
I furbi possono pensare che fosse ben difficile per Billy trattenersi dall'affrontare la guardia di poppa e chiedergli a bruciapelo quale fosse il suo proposito nel loro primo incontro, così bruscamente interrotto, alle catene di prua. I furbi possono anche pensare che sarebbe stato naturale da parte di Billy fare dei sondaggi fra gli altri uomini arruolati per forza, in quella nave, per scoprire se e quale fondamento avessero le oscure allusioni dell'emissario a proposito di complotti e malcontenti a bordo. Sì, i furbi possono pensare così. Ma è necessaria forse qualcosa di più, o meglio qualcosa di diverso dalla semplice furbizia per comprendere pienamente un carattere come quello di Billy Budd.
Per quanto riguarda Claggart, la monomania di quell'uomo - se davvero si trattava di questo - involontariamente rivelata di quando in quando nelle manifestazioni sopra accennate, ma in generale dissimulata dal suo comportamento controllato e razionale, come un fuoco sotterraneo scavava sempre più profondamente in lui. E qualcosa di decisivo doveva nascerne.
18
Dopo il misterioso incontro alle catene di prua, quello concluso tanto bruscamente da Billy, non capitò niente di particolarmente attinente a questa storia, fino al momento in cui ebbero luogo gli avvenimenti che stiamo per raccontare.
E' stato già detto altrove che per mancanza di fregate (evidentemente velieri migliori delle navi da linea di battaglia) nella squadra inglese oltre lo Stretto in quel periodo, la "Bellipotent" veniva usata ogni tanto non solo come sostituto disponibile per nave esploratrice, ma a volte anche per servizi speciali di maggiore importanza. Ciò non soltanto a causa delle sue ottime qualità di veliero, non comuni in una nave del suo tipo, ma altrettanto probabilmente perché il carattere del suo comandante era ritenuto tale da renderlo particolarmente adatto a qualsiasi compito in cui, di fronte a difficoltà inaspettate, potesse essere necessario prendere rapide iniziative in alcune questioni che richiedevano preparazione e abilità oltre alle normali qualità di un buon comandante. Fu durante una missione di quest'ultimo tipo, che spinse la nave piuttosto lontano, e mentre la "Bellipotent" era quasi nel punto di maggiore distanza dalla flotta, che durante l'ultima parte di un turno di guardia pomeridiano, fu avvistata inaspettatamente una nave nemica. Era una fregata. Questa, resasi conto attraverso il cannocchiale del peso schiacciante di uomini e cannoni che avrebbe avuto contro, si affidò alla sua velocità e a vele spiegate si dette alla fuga.
Dopo una caccia intrapresa anche se non c'era quasi speranza, che durò fino a circa la metà del primo turno di guardia serale, la fregata riuscì a sfuggire definitivamente.
Non molto tempo dopo che aveva avuto fine l'inseguimento, e quando ancora l'eccitazione da esso provocata non era svanita, il maestro d'armi, salendo dal suo ambiente cavernoso, fece la sua comparsa, berretto in mano, vicino all'albero maestro, rispettosamente aspettando di essere visto dal capitano Vere, che in quel momento passeggiava solitario sopravvento sul ponte di comando, senza dubbio un po' irritato per il fallimento dell'inseguimento. Il punto in cui stava Claggart era quello riservato agli uomini di grado inferiore che chiedevano qualche udienza particolare o all'ufficiale di guardia o al capitano stesso. Ma non capitava spesso che un marinaio o un sottufficiale, a quel tempo, chiedessero udienza al capitano; soltanto un motivo eccezionale, secondo l'usanza, avrebbe giustificato questo fatto.
Ora, proprio nel momento in cui assorbito dalle sue riflessioni il comandante era sul punto di tornare indietro e proseguire la sua passeggiata, si accorse della presenza di Claggart e vide il deferente atteggiamento di aspettativa, con il berretto fra le mani. Qui dobbiamo dire che la conoscenza personale di questo sottufficiale da parte del capitano Vere datava soltanto da quando la nave aveva salpato l'ultima volta dalla madrepatria, quando Claggart per la prima volta, trasferito da una nave in riparazione, sostituì a bordo della "Bellipotent" il precedente maestro d'armi, disabile e sbarcato.
Non appena il comandante ebbe visto chi era che stava davanti a lui aspettando deferentemente di essere notato, il suo volto prese una particolare espressione; un'espressione non dissimile da quella che irresistibilmente traspirerà sul volto di chi incontri inaspettatamente una persona che, anche se conosciuta, non lo è affatto in maniera approfondita, e tuttavia qualcosa nel suo aspetto ora per la prima volta provoca un senso di vago disgusto e repulsione. Ma fermandosi e riprendendo quasi completamente il suo solito modo di fare ufficiale, anche se una certa impazienza filtrava nel tono delle sue prime parole, disse: "Ebbene? Che cosa c'è, maestro d'armi?".
Con l'aria di un subordinato afflitto dalla necessità di essere messaggero di cattive notizie, e purtuttavia coscienziosamente intenzionato a essere sincero, ma ugualmente deciso a evitare l'esagerazione, Claggart a questo invito o meglio a quest'ordine di spiegarsi, parlò. Ciò che disse, in un linguaggio di uomo non incolto, fu questo, anche se non esattamente con queste parole, e cioè, che durante l'inseguimento e i preparativi all'eventuale scontro, egli aveva visto abbastanza per convincersi che c'era almeno un marinaio, a bordo, che era un tipo pericoloso per una nave sulla quale si trovavano non solo alcuni che avevano preso parte colpevolmente agli ultimi gravi disordini, ma anche altri che, come l'uomo in questione, erano entrati al servizio di sua maestà attraverso vie diverse dall'arruolamento volontario.
A questo punto il capitano Vere lo interruppe con una certa impazienza: "Parlate chiaro: dite arruolati forzatamente".
Claggart fece un gesto di remissività e continuò.
Propri negli ultimi tempi lui (Claggart) aveva incominciato a sospettare che sui ponti dei cannonieri si sviluppasse sotto sotto un certo movimento provocato dal marinaio in questione, ma egli non si era sentito autorizzato a riferire questo sospetto fino a quando esso rimaneva incerto. Ma da ciò che lui aveva osservato quel pomeriggio nell'uomo al quale si riferiva, il sospetto che qualcosa di clandestino si stesse complottando aveva raggiunto un punto meno lontano dalla certezza. Egli sentiva profondamente, aggiunse, la grave responsabilità che si assumeva nel fare un rapporto che implicava possibili gravi conseguenze per l'individuo principalmente indiziato, oltre ad accrescere quelle preoccupazioni che naturalmente ogni comandante navale non poteva non nutrire, a causa di insurrezioni straordinarie così recenti come quelle che, egli aggiunse tristemente, non era necessario nominare.
Ora, al primo accenno all'argomento, il capitano Vere, preso di contropiede,non poté nascondere completamente la sua preoccupazione. Ma mano a mano che Claggart proseguiva, questa preoccupazione si trasformò in irrequietezza, in relazione a qualcosa che era nei modi con cui il testimone rendeva la sua deposizione. Tuttavia si astenne dall'interromperlo. E Claggart continuando concluse con queste parole:
"Dio non voglia, vostro onore, che la "Bellipotent" debba conoscere l'esperienza della..." "Non è affar vostro questo!" tagliò netto a questo punto il superiore, il viso alterato dall'ira, indovinando istintivamente qual era la nave che l'altro stava per nominare, una nave sulla quale l'ammutinamento del Nore aveva assunto un carattere particolarmente tragico, che per un certo tempo mise a repentaglio la vita del suo comandante. Date le circostanze, l'allusione suggerita lo indignò. Mentre gli ufficiali stessi erano sempre molto cauti quando facevano allusione ai recenti avvenimenti, il fatto che un sottufficiale accennasse a essi, senza necessità, in presenza del suo capitano, gli sembrò una presunzione quanto mai indiscreta. Per di più al suo vivo senso di dignità questo apparve perfino, data la situazione, qualcosa come un tentativo di spaventarlo. E all'inizio fu un po' sorpreso che un uomo che, per quanto fino allora gli risultava, aveva dimostrato un notevole tatto nelle sue funzioni, potesse in questo particolare mostrarne una simile mancanza.
Ma questi pensieri e dubbi simili che gli passavano per la testa, furono di colpo sostituiti da una congettura intuitiva che, anche se ancora oscura nella forma, servì praticamente a mutare l'effetto che gli avevano fatto le cattive notizie. Certo è che, da tempo esperto di tutto quello che riguarda il complicato mondo dei ponti inferiori che come ogni altra forma di vita ha i suoi segreti bassifondi e i suoi angoli oscuri, gli angoli generalmente negati, il capitano Vere non si lasciò turbare più del necessario dal tono generale del rapporto del suo subalterno.
Per di più se a causa dei recenti avvenimenti al primo segno concreto di una nuova insubordinazione si dovevano prendere immediati provvedimenti, non sarebbe stato giudizioso, egli pensava, mantenere viva l'idea che serpeggiasse il malcontento, dando credito con troppa facilità a un informatore, anche se suo subalterno e addetto fra le altre cose alla sorveglianza poliziesca della ciurma. Questa sensazione forse non avrebbe così nettamente prevalso in lui se già in una precedente occasione lo zelo patriottico ufficialmente mostrato da Claggart non l'avesse un po' irritato, sembrandogli alquanto eccessivo e forzato. E inoltre qualcosa anche nei modi dell'ufficiale, flemmatici e un po' ostentati nel fare la sua deposizione, gli ricordava stranamente un maestro di banda, testimone spergiuro in un processo per omicidio davanti a una corte marziale, a terra, di cui egli, il capitano Vere, aveva fatto parte quando era tenente.
Ora, alla perentoria rimbeccata data a Claggart circa l'allusione rimasta in sospeso, seguì rapidamente questa frase:
"Voi dite che c'è almeno un uomo pericoloso a bordo. Ditemi il suo nome." "William Budd. Un gabbiere di parrocchetto, vostro onore." "William Budd" ripeté il capitano Vere con sincero stupore; "volete dire l'uomo che il tenente Ratcliffe prese dal mercantile, non molto tempo fa: il giovanotto che sembra essere così popolare fra gli uomini: Billy, il "Bel Marinaio", come essi lo chiamano?" "Proprio lui, vostro onore; ma un dritto, malgrado i suoi giovani anni e la sua bellezza. Non per niente egli cerca di entrare nelle buone grazie dei suoi compagni, perché sicuramente tutti, tutti i marinai, in caso di emergenza diranno una buona parola per lui, costi quel che costi. Ha avuto occasione il tenente Ratcliffe di riferire a vostro onore quell'abile motto di Budd, che balzò in piedi mentre era a prua nel canotto, sotto la poppa del mercantile da cui veniva portato via? Egli nutre nel profondo del cuore risentimento per il suo arruolamento forzato e lo maschera con quella specie di buonumore e di aria scherzosa. Avete solo visto le sue belle guance. Sotto quei fiorellini rosei può nascondersi una trappola." Ora, il "Bel Marinaio", un personaggio che si distingueva fra l'equipaggio, aveva naturalmente attirato l'attenzione del capitano fin dall'inizio. Sebbene in generale egli non fosse molto espansivo coi suoi ufficiali, si era congratulato col tenente Ratcliffe per la buona fortuna che aveva avuto nello scovare un così bell'esemplare del "genus homo", che nudo avrebbe potuto posare per la statua del giovane Adamo prima della Caduta.
Quanto al saluto d'addio di Billy alla nave "Diritti dell'Uomo" che l'ufficiale gli aveva effettivamente riferito,ma deferentemente, più come un fatterello divertente che altro, il capitano Vere, sebbene l'avesse erroneamente interpretato come un motto satirico, ne aveva soltanto tratto un giudizio migliore sull'uomo arruolato; da militare, ammirava lo spirito che sapeva prendere così allegramente e con tanto buon senso un arruolamento forzato. Anche la condotta del gabbiere di parrocchetto, per quanto gli risultava, aveva confermato il primo felice auspicio, mentre le qualità della nuova recluta come uomo di mare sembravano essere tali, che egli aveva pensato di raccomandarlo all'ufficiale vicecomandante, perché lo promuovesse a un posto che l'avrebbe portato più spesso sotto la sua diretta osservazione, ossia il comando della coffa di mezzana, sostituendo nel quarto di tribordo un uomo non più giovane che egli giudicava, in parte per questo motivo, meno adatto a quel posto. Sia detto qui fra parentesi che, poiché il gabbiere di mezzana non deve maneggiare masse di tele pesanti come le vele inferiori dell'albero maestro e dell'albero di trinchetto, un giovane se di buona qualità, non solo sembra il più adatto di tutti a questo posto, ma in realtà viene prescelto generalmente al comando di questa coffa, e gli uomini che ha sotto di lui sono uomini svelti e spesso giovanetti. Insomma il capitano Vere fin dall'inizio aveva pensato che Billy Budd fosse quello che nel gergo dei marinai del tempo si definiva "un affare per il re", cioè un ottimo investimento per la marina di sua maestà britannica, a buon mercato o addirittura gratis.
Dopo una breve pausa durante la quale questi pensieri attraversarono nitidamente la mente del capitano, ed egli soppesò l'importanza dell'ultima insinuazione di Claggart, "una trappola sotto i fiorellini", e tanto più la considerava tanto meno fiducia nutriva nella buona fede dell'informatore, all'improvviso gli si rivolse e a bassa voce gli disse: "Voi venite da me, maestro d'armi, con una storia così nebulosa? A proposito di Budd, citatemi un suo atto o ditemi una sua parola che confermino ciò di cui voi in generale lo accusate. Attento" soggiunse, avvicinandoglisi di più, "attento a quel che dite. Ora, e in un caso come questo, c'è un braccio di pennone per i falsi testimoni".
"Ah, vostro onore!" sospirò Claggart dolcemente, scuotendo la testa come a deprecare tristemente una così immeritata severità di tono. Poi, con aria risentita, ergendosi come per dimostrare la propria virtù, riferì con ogni particolare certe presunte parole e atti che nell'insieme, se credute, facevano presumere gravi colpe di Budd. E una prova concreta di alcune di queste affermazioni, egli aggiunse, non era lontana.
Il capitano Vere, cercando con i suoi occhi grigi, impazienti e diffidenti, di scandagliare fino in fondo i calmi occhi violetti di Claggart, lo ascoltò di nuovo fino alla fine. Poi si mise a riflettere. Claggart, per il momento liberato dallo sguardo scrutatore dell'altro, osservava attentamente l'umore del capitano, con uno sguardo difficile da descrivere, uno sguardo curioso dell'effetto della sua tattica, simile a quello che poteva essere lo sguardo del messo degli invidiosi figli di Giacobbe che, ingannandolo, mostrava al turbato patriarca il mantello del giovane Giuseppe, macchiato di sangue.
Sebbene qualcosa di eccezionale nella tempra morale del capitano Vere facesse di lui, in un incontro serio con un collega, una vera pietra di paragone della natura vera del suo interlocutore, tuttavia ora a proposito di Claggart e di ciò che stava veramente accadendo in lui, i suoi sentimenti più che in una convinzione intuitiva consistevano in un forte sospetto, inceppato da strani dubbi. La perplessità che egli mostrava derivava, più che da qualcosa riguardante l'uomo contro cui erano dirette le informazioni - come Claggart senza dubbio riteneva - da considerazioni su come meglio comportarsi nei confronti dell'informatore. E in un primo tempo egli era naturalmente favorevole a ordinare che gli fossero fornite le prove concrete delle accuse, che Claggart diceva di avere a portata di mano. Ma questo modo di procedere avrebbe fatto sì che la faccenda si sarebbe risaputa, il che, nella fase in cui essa era, pensava il capitano,poteva danneggiare in maniera indesiderabile l'equipaggio. Se Claggart era un falso testimonio, l'affare era chiuso. E perciò prima di provare l'accusa, avrebbe saggiato concretamente l'accusatore; ed egli pensava che ciò potesse essere fatto tacitamente e con discrezione.
Il provvedimento che aveva deciso di prendere richiedeva un cambiamento di scena, il trasferimento in un luogo meno esposto agli sguardi, di quanto fosse il grande ponte di poppa. Infatti, sebbene i pochi ufficiali di batteria che si trovavano là in quel momento, si fossero ritirati sottovento, come prescrive l'etichetta navale, nel momento in cui il capitano Vere aveva incominciato la sua passeggiata sul lato sopravvento; sebbene durante il colloquio con Claggart naturalmente essi non avessero osato diminuire la distanza; e malgrado che durante l'incontro la voce del capitano Vere fosse tutt'altro che alta e quella di Claggart sottile e bassa, e il vento tra i cordami e lo sciabordio del mare contribuissero ancora di più a coprirle, tuttavia il prolungarsi del colloquio già aveva attirato l'attenzione di alcuni gabbieri in coffa e di altri marinai che si trovavano nella parte centrale della nave o più avanti.
Prese le sue decisioni, il capitano Vere immediatamente passò all'azione. Girandosi improvvisamente verso Claggart gli chiese:
"Maestro d'armi, Budd è di guardia in coffa adesso?" "No, vostro onore." Al che: "Signor Wilkes!" ordinò all'aspirante più vicino, "dite ad Albert di venire da me". Albert era l'ordinanza del capitano, una specie di valletto marinaio, nella cui discrezione e fedeltà il suo padrone aveva la massima fiducia. Il giovane si presentò.
"Conosci Budd, il gabbiere di parrocchetto?" "Sì signore." "Va a cercarlo. E' fuori servizio. Fa in modo di dirgli, senza che nessuno senta, che lo vogliono a poppavia. E vedi che non parli con nessuno. Che sia occupato a parlare con te. E finché non l'hai portato qui, fino ad allora non fargli sapere che il posto dove è atteso è la mia cabina. Capito? Va. Maestro d'armi, mostratevi sui ponti dabbasso, e quando ritenete venuto il momento in cui Albert è arrivato con il suo uomo, tenetevi pronto senza destare attenzione a seguire il marinaio ed entrare."
19
Quando il gabbiere si trovò chiuso là, nella cabina con il capitano e Claggart, restò abbastanza sorpreso. Ma era una sorpresa priva di preoccupazione o diffidenza. In una natura immatura profondamente onesta e umana, i presentimenti di un sottile pericolo proveniente da un proprio simile, arrivano tardi, seppure arrivano. L'unico pensiero che prese corpo nella mente del giovane marinaio fu questo: "Già, il capitano, io l'ho sempre pensato, mi vede di buon occhio. Mi domando se vuole farmi suo timoniere. Mi piacerebbe. E forse ora chiederà di me al maestro d'armi".
"Chiudi la porta piantone" disse il comandante; "resta di guardia e non far entrare nessuno. E ora, maestro d'armi, ripetete in faccia a quest'uomo ciò che mi avete detto di lui"; e si preparò a scrutare i due volti a confronto.
Con i modi misurati e l'aria calma e raccolta di uno psichiatra che si avvicini nella sala comune a un paziente che comincia a dar segni dell'avvicinarsi di una crisi, Claggart avanzò deliberatamente fino a trovarsi a breve distanza da Billy, e guardandolo fisso negli occhi con sguardo ipnotizzatore, ricapitolò brevemente l'accusa.
Billy dapprima non capì. Quando capì, il rosa abbronzato delle sue guance sembrò come colpito da una lebbra bianca. Rimase come fosse impalato e imbavagliato. Frattanto gli occhi dell'accusatore, che non lasciavano i suoi, azzurri e dilatati, subivano un cambiamento straordinario, il loro abituale colore viola si cambiò in un torbido color fangoso. Queste luci dell'umana intelligenza perdevano l'espressione umana, gelidamente sporgevano in fuori come gli occhi strani di certe creature non catalogate delle profondità degli abissi. Il primo sguardo ipnotico era quello del fascino esercitato dal serpente; l'ultimo era come il balzo paralizzante del pesce-torpedine.
"Parla, ragazzo!" disse il capitano Vere all'uomo paralizzato, colpito dal suo aspetto ancor più che da quello di Claggart; "Parla, difenditi." Questo appello provocò solo uno strano, muto gesticolare e un gorgoglìo strangolato in Billy; lo sbalordimento a una simile accusa così improvvisamente caduta sulla sua giovinezza inesperta, questa e forse l'orrore ispirato dagli occhi dell'accusatore, contribuirono a far manifestare il difetto latente e in questa circostanza a renderlo più acuto, tanto da trasformarlo in un mutismo spasmodico; mentre la testa e tutta la figura protesa nell'agonia dell'inutile sforzo di obbedire all'ingiunzione di parlare e difendersi, davano al viso un'espressione simile a quella di una vestale condannata nel momento in cui sta per essere sepolta viva, e lotta contro i primi sintomi di soffocazione.
Sebbene allora il capitano Vere ignorasse completamente il difetto vocale di Billy, lo indovinò immediatamente, poiché l'aspetto del marinaio gli ricordò vividamente quello di un suo brillante compagno di scuola, che una volta aveva visto colpito proprio dalla stessa impotenza sorprendente, nel momento in cui si alzava prontamente in classe, per essere il primo a rispondere a una domanda posta dall'insegnante alla scolaresca. Avvicinatosi al giovane marinaio e posandogli una mano dolcemente sulla spalla, disse: "Non c'è fretta ragazzo. Fa con calma, fa con calma".
Contrariamente all'effetto voluto queste parole pronunciate con tono così paterno e che senza dubbio toccarono il cuore di Billy sul vivo, lo spinsero a sforzi ancor più violenti per parlare, sforzi che in breve si conclusero per il momento, solo confermando la paralisi e conferendo al suo volto un'espressione che sembrava quella di un crocifisso. L'attimo dopo, fulmineo come la fiammata di un cannone che spara nella notte, il suo braccio destro scattò e Claggart crollò sul ponte. L'avesse fatto intenzionalmente o fosse soltanto a causa della corporatura superiore del giovane atleta, il colpo aveva raggiunto in pieno la fronte, un elemento così bello e intellettuale nel maestro d'armi; così il corpo cadde lungo disteso, come una pesante trave che dalla posizione verticale piombi in terra. Annaspò un po', poi restò immobile.
"Fatale ragazzo" sussurrò il capitano Vere con un tono di voce così basso che sembrava un soffio, "che cosa hai fatto! Ma vieni, aiutami." I due sollevarono il caduto da sotto le reni mettendolo in posizione di seduto. Il corpo esile rispose flessibilmente, ma inerte. Era come maneggiare un serpente morto. Lo rimisero giù.
Riprendendo la posizione eretta il capitano Vere si coprì il volto con una mano e all'apparenza rimase impassibile come l'oggetto ai suoi piedi. Era forse assorto nel ponderare la portata dell'avvenimento e che cosa fosse meglio fare non soltanto ora, sul momento, ma anche in seguito? Lentamente scoprì la faccia: e fu come se la luna uscendo dalle nubi riapparisse con un aspetto totalmente differente da quello che aveva quando si era nascosta.
Al padre che fino allora si era manifestato a Billy subentrò il garante della disciplina militare. Con tono ufficiale ordinò al gabbiere di ritirarsi in una cabina a poppa (che gli indicò) e rimanervi finché non fosse chiamato. Billy eseguì meccanicamente in silenzio. Poi andando alla porta della cabina che si apriva sul ponte di comando il capitano Vere disse alla sentinella lì fuori:
"Di' a qualcuno di mandare qui Albert". Quando quest'ultimo comparve il suo padrone fece in modo che egli non potesse scorgere il corpo steso a terra. "Albert" gli disse, "avverti il chirurgo che desidero vederlo. Non occorre che tu torni finché non ti chiamo." Quando il chirurgo entrò - un uomo di carattere posato, dotato di quella serietà e di quell'esperienza che ben difficilmente lo facevano cogliere alla sprovvista da qualcosa - il capitano Vere gli si fece incontro, impedendo così inconsciamente che il suo sguardo si posasse su Claggart, interruppe i soliti saluti cerimoniosi dell'altro e disse: "Su, ditemi in che condizioni è quell'uomo laggiù" dirigendo la sua attenzione sul corpo a terra.
Il chirurgo guardò e nonostante tutto il suo autocontrollo, sobbalzò leggermente alla brusca rivelazione. Sul volto pallido di Claggart, un denso sangue nero colava ora dalle narici e dall'orecchio. All'occhio professionale dell'osservatore quell'uomo indubbiamente non era più in vita.
"E' così dunque?" disse il capitano Vere fissandolo intensamente.
"Lo immaginavo. Ma verificate." Dopo di che, le prove usuali confermarono la prima occhiata del chirurgo che, ora, guardando in su con non nascosta preoccupazione, diede al suo superiore un'occhiata carica di interrogativi. Ma il capitano Vere, con una mano sulla fronte, era immobile, in piedi. Improvvisamente, afferrando convulsamente il braccio del chirurgo esclamò, indicando il corpo: "E' il giudizio divino su Anania. Guardate!".
Turbato dall'eccitazione che fino ad allora non aveva mai osservato nel capitano della "Bellipotent" e ancora del tutto ignaro dell'accaduto, il prudente chirurgo tuttavia rimase zitto, di nuovo con lo sguardo interrogando sulle cause che avevano provocato una simile tragedia.
Ma il capitano Vere era ancora una volta immobile, assorbito dai suoi pensieri. E ancora una volta sobbalzando esclamò con veemenza: "Colpito a morte da un angelo di Dio! Eppure l'angelo dev'essere impiccato!".
A queste appassionate esclamazioni del tutto incoerenti per l'ascoltatore che ancora non sapeva niente dei precedenti, il chirurgo rimase profondamente turbato. Ma ora,quasi riprendendosi, il capitano Vere con un tono meno violento descrisse brevemente le circostanze che avevano portato all'avvenimento.
"Ma venite; dobbiamo sbrigarci" aggiunse. "Aiutatemi a portarlo via" (il cadavere, intendeva) "in quel compartimento" e indicò una cabina di fronte a quella nella quale il gabbiere era prigioniero.
Di nuovo turbato per una richiesta che, implicando un desiderio di segretezza, gli sembrava inesplicabilmente strana, il subordinato non poté far altro che eseguire.
"Andate ora" disse il capitano Vere, riprendendo le sue maniere abituali. "Andate. Convocherò subito una corte marziale. Dite ai tenenti e al signor Mordant" (il capitano della fanteria di marina) "ciò che è accaduto e dite loro di tenere la cosa per sé."
20
Pieno di inquietudine e di cattivi presentimenti il chirurgo lasciò la cabina. Si era ammalato all'improvviso di mente, il capitano Vere, o era soltanto un'eccitazione passeggera, provocata da un avvenimento tanto strano e straordinario? Circa la corte marziale poi, il chirurgo giudicò la decisione perlomeno inopportuna, se non peggio. La cosa da fare, pensava, era mettere agli arresti Billy Budd, nei modi prescritti dalla consuetudine, e rimandare ulteriori passi, in un caso tanto eccezionale, a quando avessero raggiunto la squadra e poi sottoporlo all'ammiraglio.
Ricordò l'insolita agitazione del capitano Vere e le sue esclamazioni eccitate, così in contrasto con i suoi modi abituali.
Era fuori di senno?
Ma supponendo che lo fosse, non era così facile provarlo. Che cosa poteva fare dunque? Non è concepibile situazione più penosa di quella di un ufficiale agli ordini di un capitano che egli sospetta di essere, non certo pazzo, ma tuttavia non nel pieno possesso delle sue facoltà intellettive. Discutere i suoi ordini sarebbe stato insolenza. Resistergli sarebbe stato ammutinamento.
Obbedendo al capitano Vere comunicò ai tenenti e al capitano dei fanti di marina quanto era accaduto, senza dire niente sullo stato in cui si trovava il capitano. Tutti condivisero la sua sorpresa e la sua preoccupazione. Anch'essi sembravano ritenere, come lui, che una faccenda del genere la si dovesse sottoporre all'ammiraglio.
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Chi sa indicare nell'arcobaleno il punto in cui finisce il violetto e comincia l'arancione? Vediamo distintamente la differenza fra i colori, ma dove esattamente il primo entra stemperandosi nell'altro? Lo stesso possiamo dire per la ragione e la pazzia. Nei casi estremi non ci può essere dubbio al riguardo.
Ma in alcuni casi presunti, in varia misura meno evidenti, pochi proporranno di tracciare un'esatta linea di demarcazione, sebbene certi professionisti esperti siano pronti a farlo, per non poco denaro. Non c'è niente del resto che certi uomini non siano pronti a fare o tentare per denaro.
Se il capitano Vere, come il chirurgo sospettava, sia da un punto di vista professionale che privatamente, fosse rimasto vittima di un'improvvisa aberrazione, ognuno deve deciderlo da sé, alla luce di quanto qui viene raccontato.
Che il disgraziato avvenimento che è stato descritto, non potesse capitare in un momento peggiore, era fin troppo vero. Era infatti accaduto a breve distanza dalle insurrezioni domate, un momento assai critico per le autorità navali, che richiedeva da ogni comandante inglese due qualità non facilmente conciliabili:
prudenza e rigore. Per di più nel caso in questione c'era qualcosa di eccezionale gravità.
Nella ridda di circostanze che precedettero e accompagnarono l'avvenimento a bordo della "Bellipotent" e alla luce di quel codice marziale in base al quale esso venne ufficialmente giudicato, l'innocenza e la colpevolezza impersonate da Claggart e da Budd in realtà si scambiavano le parti. Da un punto di vista legale la vittima apparente della tragedia era colui che aveva cercato di danneggiare un uomo senza macchia; e l'indiscutibile atto di quest'ultimo, dal punto di vista militare costituiva il più odioso dei delitti. C'è di più: più chiari erano la ragione e il torto sostanziali nella questione, peggiore era la responsabilità di un leale comandante, in quanto egli non era autorizzato a decidere in merito basandosi su questi elementi primitivi.
Non ci si meravigli molto dunque se il capitano della "Bellipotent", sebbene fosse in genere un uomo dalle decisioni rapide, sentisse la necessità di essere prudentissimo non meno che pronto. Finché non fu in grado di decidere sul da farsi, e in ogni dettaglio; e non solo, finché il provvedimento conclusivo non fu sul punto di essere eseguito, egli ritenne opportuno, date tutte le circostanze, di guardarsi il più possibile dalla pubblicità.
Qui, può avere o non avere sbagliato. Certo è tuttavia che in conseguenza di ciò, nei colloqui a quattr'occhi, in più di una santabarbara o cabina, fu criticato non poco da certi ufficiali.
Fatto questo che i suoi amici, e il suo impetuoso cugino Jack Denton, imputarono alla gelosia professionale verso "Stellato Vere". I commenti negativi erano in un qualche modo giustificati.
Nel mantenere il segreto sulla questione, nel limitare la conoscenza del fatto, per un certo tempo, al posto in cui l'omicidio era stato consumato, la cabina del cassero: in questi particolari si notava una certa somiglianza con la politica adottata in quelle tragedie di palazzo, capitate più di una volta nella capitale fondata da Pietro il Grande.
Il caso era tale che il capitano della "Bellipotent" avrebbe volentieri rimandato qualsiasi azione che andasse oltre il tenere prigioniero il gabbiere di parrocchetto fino a che la nave avesse raggiunto la squadra, e poi sottoporre la questione al giudizio del suo ammiraglio.
Ma un vero ufficiale in un particolare è come un vero monaco.
Quest'ultimo pronuncia i voti di obbedienza monastica, con la stessa abnegazione con cui il primo si consacra al dovere militare.
Un senso di urgenza che si imponeva nella circostanza sovrastava ogni altra considerazione nel capitano Vere, consapevole che se non si fossero rapidamente presi provvedimenti, il gesto del marinaio, non appena fosse venuto a conoscenza della ciurma, avrebbe potuto riattizzare le braci sotto le ceneri del Nore eventualmente presenti in essa. Ma pur rispettando coscienziosamente la disciplina, egli non amava l'autorità fine a se stessa. Era molto lontano dal voler cogliere le occasioni di monopolizzare i pericoli della responsabilità morale, per lo meno non di quella che può essere giustamente addossata a un ufficiale superiore, o condivisa con i suoi ufficiali pari grado o anche suoi subalterni. Per questo motivo egli fu lieto che non fosse in contrasto con la consuetudine portare la questione davanti a un tribunale sommario, composto dai suoi stessi ufficiali, riservandosi, essendo colui sul quale ricadeva la responsabilità finale, il diritto di sovrintendere al giudizio, o intervenire, se necessario, ufficialmente o ufficiosamente. Fu perciò costituita con procedimento sommario una corte marziale, e il comandante scelse come giudici il primo ufficiale, il capitano della fanteria di marina e l'ufficiale di rotta.
Forse il comandante si discostò dalla consuetudine generalmente in vigore, associando un ufficiale della fanteria di marina ai tenenti di vascello in un caso che riguardava un marinaio. Egli fu spinto a ciò dal fatto che giudicava quel soldato una persona di buon senso, riflessiva e non del tutto incapace di cavarsela in un caso difficile, del quale non aveva avuto precedentemente esperienza. Tuttavia anche per quanto riguardava lui, il comandante nutriva qualche timore, perché era un uomo di ottimo carattere, amante della buona tavola e dei sonni pacifici, incline all'obesità, un uomo che avrebbe sicuramente conservato il controllo in battaglia, ma poteva dimostrarsi non altrettanto affidabile alle prese con un dilemma morale che aveva in sé qualcosa di tragico. Per quanto riguardava il primo ufficiale e l'ufficiale di rotta, il capitano Vere era ben consapevole che a onta della loro onestà, del loro riconosciuto coraggio, la loro intelligenza era limitata soprattutto alla vita di mare e alle esigenze di combattimento della loro professione. Il tribunale sedette nella stessa cabina in cui aveva avuto luogo il disgraziato incidente. Questa cabina, la cabina del comandante, occupava tutto lo spazio sotto il cassero di poppa. Verso poppa e da entrambi i lati c'erano due piccole cabine-passeggeri, una temporaneamente adibita a prigione e l'altra a obitorio, separate da un compartimento più piccolo. Questo si estendeva verso prora in un ampio spazio ovale che abbracciava l'intera larghezza della nave. Un lucernario di dimensioni modeste si apriva sul soffitto e a ogni estremità dello spazio ovale erano due oblò con tendine a ghigliottina, facilmente riconvertibili in feritoie per bocche da fuoco di piccolo calibro.
Tutto fu pronto in poco tempo, e Billy Budd fu messo in stato di accusa, essendo necessariamente il capitano Vere l'unico testimone del caso. Come tale egli lasciò provvisoriamente il suo grado, sebbene lo mantenesse in un particolare apparentemente trascurabile. Egli cioè testimoniava tenendosi dal lato sopravvento della nave, così che la corte per forza doveva sedere sottovento. Il capitano raccontò concisamente tutti i fatti che avevano provocato la catastrofe, senza omettere nulla dell'accusa mossa da Claggart e raccontando nella sua deposizione come il prigioniero aveva accolto quest'accusa. A questa testimonianza i tre ufficiali guardarono pieni di sorpresa verso Billy Budd, l'ultimo uomo che avrebbero potuto sospettare sia dei piani di ammutinamento, attribuitigli da Claggart, sia del gesto indiscutibile che aveva compiuto.
Il primo ufficiale, assumendo la direzione del processo e rivolto al prigioniero disse:
"Il capitano Vere ha parlato. Le cose stanno come dice il capitano Vere, o no?" In risposta arrivarono delle parole la cui pronuncia non era così impacciata come si poteva prevedere. Eccole.
"Il capitano Vere dice la verità. E' proprio come dice il capitano Vere, ma non è come diceva il maestro d'armi. Ho mangiato il pane del re e sono fedele al re." "Ti credo ragazzo mio" disse il testimone e la sua voce rivelava un'emozione soffocata non tradita da altri segni.
"Dio vi benedirà per questo, vostro onore!" disse Billy, non senza tartagliare, e molto abbattuto. Ma immediatamente fu richiamato in sé da un'altra domanda, alla quale rispose con la medesima difficoltà di pronuncia dovuta all'emozione.
"No, non c'era rancore fra di noi. Non ho mai avuto rancore contro il maestro d'armi. Mi dispiace che egli sia morto. Non intendevo ucciderlo. Se avessi potuto usare la lingua non lo avrei colpito.
Ma egli mentì ignobilmente di fronte a me e alla presenza del mio capitano, e io dovevo dire qualcosa, e lo potevo dire soltanto con un pugno, Dio mi aiuti!" Nei modi impulsivi, onesti, da uomo sincero, la corte vide confermato tutto quanto era implicito nelle parole che poco prima l'avevano resa perplessa, poiché venivano dal testimone della tragedia e seguivano immediatamente la frase con cui Billy aveva appassionatamente negato di avere propositi di ammutinamento; le parole cioè del capitano Vere: "Ti credo, ragazzo mio".
Poi gli fu chiesto se era a conoscenza o sospettava qualcosa che facesse subodorare un principio di torbidi (cioè ammutinamento, anche se il termine esplicito veniva evitato) in qualche settore dell'equipaggio della nave.
La risposta si fece aspettare. Ciò fu naturalmente imputato dal tribunale allo stesso difetto vocale che aveva ritardato e ostacolato le risposte precedenti. Ma sostanzialmente in questo caso non si trattava di ciò: è che la domanda aveva richiamato immediatamente alla memoria di Billy il colloquio con la guardia di poppa alle catene di prua. Ma un'innata ripugnanza a fare una parte molto vicina a quella di informatore contro un proprio commilitone, il medesimo senso sbagliato e rozzo dell'onore, che gli aveva impedito di riferire la cosa, a suo tempo, anche se era suo dovere di leale marinaio di una nave da guerra, e anche se l'aver mancato di farlo, se ne fosse stato accusato e ne fossero state fornite le prove, lo avrebbe reso passibile delle più gravi pene; tutto ciò, insieme con l'oscuro sentimento che ora lo invadeva, che in realtà niente di importante era stato tramato, prevalse in lui. Quando venne, la risposta fu negativa.
"Ancora una domanda" disse l'ufficiale della fanteria di marina, parlando per la prima volta e con una gravità piena di turbamento.
"Voi ci dite che ciò che il maestro d'armi disse contro di voi era una menzogna. Ora, perché egli avrebbe mentito, mentito così malvagiamente, dato che voi dichiarate che non c'era rancore fra di voi?" A questa domanda che involontariamente toccava una sfera spirituale totalmente scura alla mente di Billy, egli rimase confuso, dimostrando un imbarazzo che certo alcuni osservatori come si può facilmente immaginare, avrebbero potuto interpretare come prova involontaria di una colpa nascosta. Egli tuttavia cercò di rispondere in qualche modo, ma improvvisamente abbandonò il vano tentativo, rivolgendo al tempo stesso con lo sguardo un appello al capitano Vere, come se vedesse in lui il suo migliore amico e aiuto. Il capitano Vere, che era rimasto seduto per un po', si alzò in piedi, rivolgendosi all'interrogante.
"La domanda che gli avete posto sorge abbastanza spontanea. Ma come le può egli rispondere giustamente? O chi altro lo può, tranne evidentemente colui che giace là dentro?" indicando il compartimento dove si trovava il cadavere. "Ma chi giace là non si alzerà ai nostri comandi. In realtà, a mio modo di vedere, il punto che voi toccate è ben poco sostanziale. Tralasciando qualsiasi possibile motivo che abbia spinto il maestro d'armi ad agire, e senza tener conto della provocazione che fu causa del pugno, la corte marziale deve limitare la sua attenzione, nel caso presente, alla conseguenza della percossa, la quale conseguenza deve essere strettamente considerata non altrimenti che opera di colui che ha colpito." Queste parole, il cui pieno significato Billy non era in grado di comprendere, fecero sì tuttavia, che egli volgesse un'occhiata interrogativa, piena di desiderio, a chi aveva parlato, uno sguardo che nella sua muta espressività non era dissimile da quello che un cane di razza rivolge al suo padrone, cercando nel suo viso qualche spiegazione di un gesto precedente ambiguo per l'intelligenza canina. E le stesse parole ebbero un notevole effetto sui tre ufficiali, particolarmente sul soldato. Sembrò loro che in esse si nascondesse un significato imprevisto, che implicava un giudizio anticipato da parte dell'oratore. E questo servì ad accrescere un turbamento mentale già abbastanza evidente prima.
L'ufficiale di fanteria prese ancora una volta la parola; in un tono di incertezza allusiva si rivolse al tempo stesso ai suoi colleghi e al capitano Vere: "Non è presente nessuno, nessuno dell'equipaggio di questa nave, intendo dire, che possa indirettamente gettare un po' di luce, se tale possibilità esiste, su quanto rimane di misterioso in questa faccenda".
"Ecco una parola sensata" disse il capitano Vere. "Vedo dove volete arrivare. Sì, c'è un mistero; ma per usare le parole della Scrittura, è un 'mistero di iniquità;' una materia da essere discussa da teologhi psicologhi. Ma che cosa ha a che fare con questo una corte marziale? Per non aggiungere poi che ogni possibile indagine ci è impedita dal silenzio definitivo di quello laggiù" e di nuovo indicò la cabina trasformata in camera mortuaria. "L'azione del prigioniero: soltanto di questo dobbiamo occuparci." A ciò e particolarmente alla ripetuta frase conclusiva, l'ufficiale di fanteria non sapendo come rispondere adeguatamente, si astenne tristemente dal dire altro. Il primo ufficiale che all'inizio del processo ne aveva assunto, com'era naturale, la direzione, ora, istruito da un'occhiata del capitano Vere, un'occhiata più efficace delle parole, la riprese. Rivolto al prigioniero: "Budd" egli disse, con un tono di voce un po' incerto, "Budd, se avete qualcosa d'altro da dire in favore vostro, ditelo ora".
A queste parole il giovane marinaio rivolse un altro rapido sguardo al capitano Vere; poi, come cogliendo un suggerimento da quel volto, un suggerimento che confermava il suo stesso istinto, che il silenzio fosse ora il miglior atteggiamento da tenere, replicò al primo ufficiale: "Ho detto tutto, signore".
Il soldato di marina, lo stesso che era stato di sentinella fuori dalla porta della cabina quando il gabbiere di parrocchetto vi era entrato seguendo il maestro d'armi, e che durante queste procedure giudiziarie era rimasto accanto al marinaio, ebbe ora l'ordine di riportarlo nel compartimento assegnato prima al prigioniero e al suo custode. Quando i due se ne furono andati, i tre ufficiali, come in parte liberati da un certo intimo imbarazzo legato alla semplice presenza di Billy, si mossero contemporaneamente sulle loro sedie. Si scambiarono sguardi pieni di turbata incertezza, pur sentendo che dovevano prendere una decisione e senza indugi.
Quanto al capitano Vere,egli rimase momentaneamente inconsapevole, volgendo loro le spalle, apparentemente in uno dei suoi momenti di assenza, lasciando vagare lo sguardo fuori da un oblò, sopravvento, sulla superficie deserta del mare al crepuscolo. Ma il silenzio della corte, che si prolungava rotto solo a tratti da brevi consultazioni fatte in un tono di voce sommessa, sembrò dargli coraggio ed energia. Si girò e passeggiò su e giù per la cabina e al ritorno risaliva il ponte in pendìo per il rollìo della nave, inconsapevolmente simboleggiando così nella sua azione, una mente decisa a superare le difficoltà anche andando contro gli istinti primitivi, forti come il vento e il mare. Infine si fermò davanti ai tre. Dopo aver scrutato i loro volti egli ristette, non tanto per padroneggiare i propri pensieri prima di esprimerli quanto per decidere dentro di sé come meglio esporli, per meglio farli comprendere a uomini intellettualmente immaturi, uomini con i quali era necessario dimostrare certi princìpi che per lui erano assiomatici. Forse una simile avversione a prendere la parola è una delle ragioni che trattengono alcuni dal rivolgersi a un pubblico popolare.
Quando egli parlò, qualcosa sia nella sostanza di quanto disse, sia nel modo di dirlo, dimostrò l'influenza degli studi solitari che avevano modificato e temperato l'addestramento pratico di una carriera attiva. Questo, insieme con le parole che egli adoperava, suggeriva qua e là i motivi su cui era fondata quell'accusa di pedanteria, mossa in società contro di lui da certi uomini di mare di formazione eminentemente pratica, comandanti che tuttavia avrebbero sinceramente ammesso, che la marina di sua maestà non vantava ufficiali del loro grado più efficienti di "Stellato Vere".
Ecco ciò che disse, più o meno:
"Fino a ora sono stato solo il testimone, o poco più; e non penserei nemmeno ora di assumere un altro tono, quello del vostro coadiutore, per il momento, se non sentissi in voi, e proprio al punto critico, un'esitazione piena di turbamento, che deriva, non ne dubito, dal contrasto fra il dovere militare e lo scrupolo morale, uno scrupolo alimentato dalla compassione. Quanto alla compassione, come posso far altro che condividerla? Ma, memore degli obblighi fondamentali, io lotto contro gli scrupoli che possono far indebolire la decisione. Non che io mi nasconda, signori, che si tratta qui di un caso eccezionale. Dal punto di vista speculativo, esso potrebbe giustamente essere riferito a una giuria di casisti. Ma per noi, che siamo qui non in veste di casisti o di moralisti, è un caso concreto, che deve essere concretamente giudicato secondo la legge marziale.
Ma i vostri scrupoli: si agitano essi come in una nebbia?
Interrogateli. Fateli avanzare e che si manifestino. Vediamo, sono forse di questo genere. Se, incuranti delle circostanze attenuanti, siamo costretti a considerare la morte del maestro d'armi come opera del prigioniero, allora questo gesto costituisce un delitto capitale, per il quale è prevista la condanna a morte.
Ma nella giustizia naturale non c'è altro che l'atto evidente del prigioniero da considerare? Come possiamo noi condannare sommariamente a una morte vergognosa una creatura a noi simile, innocente davanti a Dio, che noi sentiamo essere tale? E' giusto quanto affermo? Voi assentite tristemente. Bene, anche io lo sento, in tutta la sua forza. E' la natura. Ma queste spalline che portiamo attestano forse che noi dobbiamo fedeltà alla natura? No, al re. Benché l'oceano, inviolata natura primordiale, sia l'elemento in cui noi ci muoviamo e conduciamo la nostra esistenza come marinai, tuttavia come ufficiali del re il nostro dovere si compie forse in una sfera altrettanto naturale? Ciò è così poco vero, che ricevendo i nostri gradi noi smettiamo sotto gli aspetti più importanti di essere liberi e neutrali nelle nostre azioni.
Quando viene dichiarata guerra siamo consultati prima, noi ufficiali di carriera? Noi combattiamo eseguendo gli ordini. Se approviamo, si tratta di pura coincidenza. Così è anche in altri particolari. Così adesso. Supponiamo infatti che a questo processo segua la condanna. Saremmo proprio noi che condanneremmo, o sarebbe la legge marziale a operare attraverso noi? Di questa legge e del suo rigore, noi non siamo responsabili. La responsabilità a cui siamo legati per giuramento è questa: che per quanto spietatamente possa agire questa legge, noi tuttavia la accettiamo e la amministriamo.
La natura eccezionale della faccenda vi stringe il cuore. Anche il mio è commosso. Ma non permettiamo che i cuori caldi tradiscano i cervelli, che devono essere freddi. A terra, in un caso di delitto, un giudice onesto si lascerà attendere al varco fuori del tribunale da qualche tenera parente dell'accusato che cerchi di commuoverlo con le sue lacrimevoli suppliche? Ebbene, il cuore qui è un elemento femmineo nell'uomo, è come quella donna pietosa, e, per quanto difficile sia, bisogna metterlo a tacere." Egli fece una pausa, studiandoli attentamente per un po'; poi riprese:
"Ma qualcosa nel vostro aspetto sembra insistere che non è unicamente il cuore che si muove dentro di voi, ma anche la coscienza, la coscienza individuale. Ma ditemi se, occupando la posizione che noi occupiamo, la coscienza individuale deve o no cedere a quella imperiale, espressa nel codice, in base al quale soltanto noi ufficialmente procediamo." A questo punto i tre uomini si mossero sulle loro sedie, più agitati che convinti dell'andamento di un discorso che non faceva che turbare ancora di più lo spontaneo conflitto interno.
L'oratore, accorgendosi di questo, tacque per un attimo; poi cambiando improvvisamente di tono, proseguì.
"Per ritrovare un po' il nostro equilibrio, ricorriamo ai fatti.
In tempo di guerra, in navigazione, un marinaio di una nave da guerra colpisce un suo superiore, e il colpo ha conseguenze mortali. A parte le sue conseguenze, il colpo in sé è un delitto capitale, secondo gli articoli di guerra. Per di più..." "Sì signore" interruppe emozionato l'ufficiale di fanteria di marina, "in un certo senso lo è stato. Ma sicuramente Budd non pensava né all'ammutinamento né all'omicidio." "Certamente no, amico mio. E davanti a un corte meno arbitraria e più misericordiosa di quella marziale, questo argomento sarebbe considerato largamente attenuante. Alle Assise supreme porterà all'assoluzione. Ma come può farlo qui? Noi ci atteniamo, nel procedere, alla legge sull'ammutinamento. Nessun figlio somiglia nell'aspetto al padre più di quanto questa legge assomiglia nello spirito a ciò da cui ha preso origine: la guerra. Al servizio di sua maestà, e proprio su questa nave, ci sono Inglesi costretti a combattere per il re contro la loro volontà. Contro la loro coscienza, per quanto ne sappiamo noi. Sebbene come loro simili alcuni di noi possano capire la loro posizione, tuttavia come ufficiali di marina forse che ci riguarda? Ancor meno riguarda il nemico. Egli volentieri falcerebbe i nostri coscritti forzati in un solo colpo, insieme ai nostri volontari. Verso i coscritti della flotta avversaria, alcuni dei quali forse odiano come noi il direttorio francese regicida, noi ci comportiamo nello stesso modo. La guerra bada solo alla facciata, all'apparenza. E la legge sull'ammutinamento, figlia della guerra, prende dalla madre.
L'intenzione o la mancanza di questa in Budd è assolutamente irrilevante.
Ma mentre, spinti da quell'angoscia che è in voi e che io non posso che rispettare - ripeto ancora una volta - mentre prolunghiamo così stranamente un procedimento che dovrebbe essere sommario, può essere avvistato il nemico e seguirne una battaglia.
Dobbiamo agire e dobbiamo fare una di queste due cose: condannare o assolvere." "Non possiamo condannare e tuttavia mitigare la pena?" chiese l'ufficiale di rotta che parlava, esitante, per la prima volta.
"Signori, ammesso che ciò sia veramente legittimo per noi, date le circostanze, considerate le conseguenze di tale clemenza. Gli uomini" (intendendo dire l'equipaggio della nave) "hanno un semplice buon senso e molti di loro hanno familiarità con le nostre usanze e tradizioni marinare: come la prenderebbero? Anche se poteste spiegare loro la cosa - il che vieta la nostra posizione ufficiale - essi, abituati da tempo a una disciplina arbitraria, non hanno quel tipo di comprensione intelligente che potrebbe permettere loro di capire e di distinguere. No, per gli uomini il gesto del gabbiere di parrocchetto, con qualunque termine lo si definisca, sarà evidente omicidio commesso in flagrante atto di ammutinamento. Sanno quale è la pena che esso comporta. Ma questa pena non viene. PERCHE'? essi rumineranno.
Sapete come sono i marinai. Non ripenseranno forse alla recente rivolta del Nore? Sì. Essi conoscono bene l'allarme giustamente fondato, il panico che diffuse in tutta l'Inghilterra. La vostra sentenza clemente la prenderebbero per pusillanimità. Crederanno che battiamo in ritirata, che abbiamo paura di loro: paura di usare un rigore legittimo, particolarmente richiesto in questo frangente, per paura che esso provochi nuovi torbidi. Che vergogna per noi una simile congettura da parte loro, e che terribili conseguenze per la disciplina! Voi vedete dunque dove io miro inflessibilmente, spinto dal dovere e dalla legge. Ma vi supplico, amici miei, non mi fraintendete. Io nutro per quell'infelice ragazzo gli stessi vostri sentimenti. Ma se egli conoscesse i nostri cuori, lo ritengo così generoso da aver simpatia perfino per noi, che il dovere militare costringe così duramente." Dopo aver detto questo, attraversato il ponte, riprese il suo posto vicino all'oblò, lasciando tacitamente ai tre di prendere una decisione. Sul lato opposto della cabina la corte, turbata, sedeva in silenzio. Subalterni leali, semplici e pratici sebbene in fondo dissentissero da alcuni punti che il capitano Vere aveva loro esposto, essi non erano in grado, e del resto ne avevano ben poco desiderio, di contraddire un uomo che sentivano essere serio e onesto, un uomo inoltre che era loro superiore tanto per intelligenza quanto per grado. Non è poi improbabile che, anche se certe sue parole non avevano mancato di influenzarli tuttavia li avevano colpiti meno del suo appello finale al loro istinto di ufficiali di marina nella previsione che egli aveva fatto circa le conseguenze pratiche che avrebbe avuto sulla disciplina, tenuto conto delle condizioni incerte della flotta in quel tempo, il fatto che l'uccisione violenta di un superiore durante la navigazione da parte di un marinaio di una nave da guerra, si facesse passare per qualcosa di diverso da un delitto capitale che richiedeva l'immediata punizione.
Essi probabilmente si trovavano in una condizione più o meno simile a quello stato d'animo tormentoso che nell'anno 1842 portò il comandante del brigantino militare americano "Somers" a decidere, in base alle cosiddette leggi di guerra, leggi che prendevano a modello la legge sull'ammutinamento inglese, l'esecuzione durante la navigazione di un aspirante e due sottufficiali, come ammutinati che avevano pensato di impadronirsi del brigantino. Decisione messa in atto sebbene si fosse in tempo di pace e a pochi giorni di distanza dalla patria. Questo atto fu giustificato successivamente da una commissione navale d'inchiesta a terra. E' storia, e la citiamo qui senza commenti. E' vero, le circostanze a bordo del "Somers" erano diverse da quelle a bordo della "Bellipotent". Ma l'urgenza sentita, giustificata o no, era quasi la stessa.
Dice uno scrittore che pochi conoscono: "Quaranta anni dopo una battaglia, è facile per un non combattente discutere su come essa avrebbe dovuto esser condotta. Altra cosa è dirigere il combattimento personalmente e sotto il fuoco, avvolti nel suo fumo nero. Molto simile è la cosa a proposito di altri casi, che coinvolgono considerazioni sia pratiche che morali, e quando sia imperativo agire prontamente. Più fitta è la nebbia più è in pericolo il piroscafo, e la velocità può ottenersi solo a rischio di investire qualcuno. Chi gioca comodamente a carte in cabina pensa ben poco alla responsabilità dell'uomo insonne sul ponte." In breve, Billy Budd fu formalmente dichiarato colpevole e condannato a essere impiccato al pennone durante il primo quarto di guardia del mattino. Era ormai notte, altrimenti come si usa in questi casi, la sentenza sarebbe stata eseguita immediatamente. In tempo di guerra sul campo di battaglia o nella flotta, una punizione capitale decretata da una corte marziale - sul campo decisa a volte solo a un cenno del generale - segue senza indugio la condanna senza appello.
22
Fu il capitano Vere in persona che per sua iniziativa comunicò il verdetto della corte al prigioniero; per questo si recò nel compartimento dove egli era rinchiuso sotto custodia e ordinò al marinaio che vi si trovava di ritirarsi nel frattempo.
Oltre alla comunicazione della sentenza, su ciò che ebbe luogo durante questo colloquio non si seppe mai niente. Ma dato il carattere dei due uomini per poco tempo chiusi in quella cabina, aventi in comune un'abbondanza delle più rare qualità della nostra natura, così rare infatti da essere inconcepibili per una mente mediocre anche se delle più coltivate, si possono azzardare delle ipotesi.
Sarebbe stato appropriato allo spirito del capitano Vere che egli in quell'occasione non avesse nascosto niente al condannato, ma gli avesse svelato francamente la parte che egli stesso aveva avuto nella decisione che era stata presa, spiegando anche i motivi che lo avevano spinto. Da parte di Billy è probabile che tale confessione sia stata accolta in uno spirito molto simile a quello che l'aveva provocata. Egli infatti avrebbe potuto apprezzare, non senza gioia, l'alta opinione che di lui doveva avere il suo capitano, per fare di Billy il proprio confidente. Né avrebbe potuto rimanere insensibile al fatto che la condanna gli era stata comunicata come a uno che non teme la morte. Ma può essere accaduto anche di più. Il capitano Vere alla fine può aver dato libero corso alla passione a volte latente in lui sotto una scorza di stoicismo e di indifferenza. Egli era vecchio abbastanza da poter esser il padre di Billy. L'austero uomo d'armi ligio al dovere militare, abbandonandosi a ciò che di primitivo rimane nella nostra umanità formalizzata, forse alla fine strinse al petto Billy, come Abramo il giovane Isacco sul punto di sacrificarlo senza incertezza per obbedire a un severo comando. Ma non si può dire quale sacramento, raramente o mai rivelato al mondo distratto, si compia dove - in circostanze in qualche misura analoghe a quelle che qui si è tentato di disegnare - si stringano con un abbraccio due appartenenti all'ordine più alto della grande Natura. C'è un segreto, in quell'attimo, inviolabile e per chi sopravvive, è il sacro oblìo, che segue ogni più divina magnanimità, si stende infine provvidenzialmente su tutto.
La prima persona che incontrò il capitano Vere mentre usciva dalla cabina fu il primo ufficiale. Il volto che egli vide, e che in quel momento rispecchiava l'agonia di un forte, fu una rivelazione sorprendente per l'ufficiale, che pure era un uomo di una cinquantina d'anni. Che il condannato stesso soffrisse meno di chi era stato la principale causa della condanna, sembrò dimostrato dall'esclamazione da Billy lanciata alla fine, durante la scena che fra breve saremo costretti a descrivere.
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Il racconto adeguato di una serie di avvenimenti che si susseguono rapidamente in breve spazio di tempo, può richiedere un tempo più lungo, specialmente qualora siano necessari qua e là spiegazioni e commenti, per una migliore comprensione. Fra l'ingresso nella cabina di colui che non l'avrebbe più lasciata da vivo, e di colui che quando ne uscì lo fece come condannato a morte: fra quel momento e il colloquio segreto appena ricordato, era trascorsa meno di un'ora e mezzo. Si trattava tuttavia di un intervallo abbastanza lungo da suscitare sospetti fra molti uomini dell'equipaggio, circa il motivo per cui il marinaio e il maestro d'armi si trattenevano nella cabina; perché una voce che entrambi erano stati visti entrare, e che nessuno dei due era stato visto uscire, si era diffusa sui ponti e sulle coffe. I marinai di una grande nave da guerra infatti, da questo punto di vista, sono come gli abitanti di un piccolo paese che tengono minuziosamente conto di ogni movimento o di ogni sosta. Quando perciò, con un tempo niente affatto cattivo, tutti i marinai furono chiamati in coperta nel secondo turno di guardia serale, ordine insolito a quell'ora e in quelle circostanze, la ciurma non era del tutto impreparata a un annuncio straordinario, un annuncio che fosse collegato anche alla prolungata assenza dei due uomini dai loro posti consueti.
Il mare era calmo in quel momento, e la luna quasi piena, spuntata da poco, inargentava il ponte di coperta, ovunque non fosse oscurato dalle nitide ombre gettate dalle attrezzature e dagli uomini in movimento. Sui due lati del ponte di comando fu schierata la guardia di marina in armi e il capitano Vere, in piedi, al suo posto, attorniato da tutti gli ufficiali del quadrato, parlò ai suoi uomini. Mentre parlava il suo atteggiamento fu né più né meno quello che si addiceva alla sua posizione di comandante supremo a bordo della sua nave. Con parole chiare e concise egli raccontò loro quanto era accaduto nella cabina; che il maestro d'armi era morto; che colui che l'aveva ucciso era già stato processato da una corte sommaria e condannato a morte, e che l'esecuzione avrebbe avuto luogo durante il primo turno di guardia del mattino. La parola "ammutinamento" non ricorse mai nel suo discorso. Egli si astenne anche dal prendere lo spunto da quell'occasione per raccomandare l'osservanza della disciplina, pensando forse che, data la situazione esistente nella marina, la conseguenza stessa dell'infrazione disciplinare avrebbe avuto bastevole eloquenza.
L'annuncio del capitano fu ascoltato dalla calca dei marinai in piedi in un silenzio simile a quello di una congregazione di credenti nell'inferno, che ascolti la predica di un sermone calvinista da parte del pastore.
Alla fine tuttavia si levò un mormorio confuso. Cominciò a ingrossarsi. Immediatamente allora, a un segnale, esso fu penetrato e represso dai sibili acuti del nostromo e dei suoi uomini che ordinavano: "Virare di bordo".
Il corpo di Claggart fu consegnato ad alcuni sottufficiali affinché lo preparassero alla sepoltura. E qui, per non dilungarci troppo in particolari secondari, possiamo aggiungere che a un'ora conveniente il maestro d'armi fu affidato alle onde, con tutti gli onori funebri che gli spettavano secondo il suo grado.
In questo modo di procedere come in ogni atto pubblico conseguente alla tragedia, le usanze furono strettamente osservate. Né sarebbe stato possibile allontanarsene in qualche punto, sia per ciò che riguardava Claggart sia per Billy Budd, senza far nascere indesiderabili sospetti nell'equipaggio, essendo i marinai, e più particolarmente i marinai delle navi da guerra, attaccati alle usanze più di ogni altro uomo al mondo.
Per lo stesso motivo tutti i contatti fra il capitano Vere e il condannato finirono con il colloquio segreto di cui si è già parlato, e il condannato fu poi sottoposto alle solite formalità che precedono la fine. Il trasferimento sotto scorta dalla cabina del capitano fu effettuato senza precauzioni straordinarie, almeno apparentemente.
Se è possibile, è tacita regola in una nave da guerra, non permettere che gli uomini sospettino che i loro ufficiali temono qualche guaio dall'equipaggio. E più si devono realmente temere dei torbidi, più gli ufficiali devono tenere per sé questo timore, benché la vigilanza, non ostentata, possa essere rafforzata.
In questo caso la sentinella posta a guardia del prigioniero aveva avuto ordine di non permettere a nessuno, eccetto che al cappellano, di comunicare con lui. E per garantire l'osservanza di questi ordini, furono presi con discrezione alcuni provvedimenti.
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In un vascello da settantaquattro cannoni del vecchio tipo, il ponte chiamato ponte superiore dei cannonieri era quello immediatamente sotto il ponte di coperta e sebbene fosse armato, rimaneva in gran parte esposto alle intemperie. In generale non c'erano amache in nessun momento della giornata, perché gli uomini dell'equipaggio dondolavano nel ponte inferiore e nel ponte degli alloggiamenti. Quest'ultimo era non soltanto un dormitorio, ma anche il posto dove erano depositati i sacchi dei marinai e da entrambi i lati si allineavano le loro casse o le suppellettili delle numerose mense dei marinai.
A tribordo, sul ponte superiore dei cannonieri della "Bellipotent", ecco Billy Budd, guardato dalla sentinella, sdraiato, in catene, in uno degli spazi fra i cannoni, disposti regolarmente sul ponte, che componevano le batterie dai due lati.
Erano tutti dei pezzi di grosso calibro di quel tempo. Montati su affusti di legno, erano fissati ai fianchi della nave mediante grosse funi che li imbracavano e grandi paranchi laterali servivano a farli scorrere in fuori. Cannoni e affusti, insieme con lunghi scovoli e le più brevi canne trattenute da una fune a mezza altezza, erano, come d'abitudine, dipinti di nero; e la pesante imbracatura incatramata nella stessa tinta, vestiva la stessa divisa degli impresari di pompe funebri. In contrasto con la tinta funerea di questo ambiente, l'aspetto esteriore del marinaio sdraiato, camiciotto e pantaloni bianchi, più o meno lindi brillava debolmente nell'oscurità, come un lembo di neve sporca che ai primi d'aprile indugia all'imboccatura di una qualche oscura caverna montana. Egli indossa già in realtà il suo sudario, o i vestiti che gli faranno da sudario. Sopra di lui, che ne è scarsamente illuminato, due lanterne pendono dai massicci travi del ponte superiore. Alimentate dall'olio venduto dai fornitori di guerra (i cui guadagni, onesti o no, sono in ogni Paese una porzione anticipata del raccolto della morte) con sprazzi vacillanti di sporca luce giallognola, sbavano il pallido chiarore lunare che cerca senza successo di penetrare con fiotti ostruiti attraverso i portelli aperti, da cui sporgono i cannoni coperti. Altre lanterne, ad intervalli, servono soltanto a rivelare un po' gli angoli più oscuri che, come piccoli confessionali o cappelle secondarie di una cattedrale, si dipartono dalla lunga oscura navata, fra le due batterie di questa andàna coperta.
Così era il ponte dove giaceva ora il "Bel Marinaio". Attraverso il colorito roseo nessun pallore avrebbe potuto trasparire.
Sarebbero serviti giorni e giorni di lontananza dai venti e dal sole per cancellare quel colorito. Tuttavia le ossa degli zigomi incominciavano un po' ad affiorare sotto la rosea carnagione. In temperamenti ardenti ma controllati, certe rapide esperienze divorano il tessuto umano come il fuoco nascosto in una stiva consuma una balla di cotone.
Ma ora che egli giaceva fra i due cannoni, come preso nell'ingranaggio del destino, l'agonia di Billy, in gran parte causata dall'esperienza nuova, in un cuore giovane e generoso, del diabolico, incarnato e operante in certi uomini, la tensione di quell'agonia ormai era superata. Essa aveva lasciato il posto al balsamo contenuto nel colloquio segreto col capitano Vere. Billy giaceva immobile, come in trance. Quella sua personale, particolare espressione di adolescente ricordava un po' quella di un bambino che dorme nella sua culla, quando l'ardente riverbero del focolare della stanza, nella notte quieta, giuoca sulle fossette, che a momenti si formano misteriosamente sulla guancia, silenziosamente apparendo e scomparendo. Di tanto in tanto infatti nel sonno dell'uomo incatenato una luce serena di felicità, nata da qualche reminescenza vagabonda o da qualche sogno, si diffondeva sul suo viso, e poi spariva, per riapparire di nuovo dopo un po'.
Il cappellano che andò a visitarlo e lo trovò in quello stato, non scorgendo segno alcuno che egli fosse cosciente della sua presenza, lo osservò attentamente per un po' e poi si ritirò in silenzio, sentendo forse che lui, ministro di Cristo anche se riceveva lo stipendio da Marte, non poteva offrire una consolazione che desse una pace superiore a quella che aveva contemplato. Ma alle ore piccole tornò di nuovo. Il prigioniero, ora pienamente cosciente, si accorse della sua venuta, e con cortesia, quasi con gioia, gli diede il benvenuto. Ma con ben scarso risultato, nel colloquio che seguì, il brav'uomo tentò di infondere in Billy Budd un sentimento sacro della sua morte che doveva avvenire all'alba. In realtà Billy stesso parlava della sua morte come d'una cosa imminente, ma lo faceva un po' come quando parlano della morte i bambini, che fra i loro altri divertimenti giocano al funerale, con catafalchi e persone in lutto.
Non che Billy fosse incapace come i fanciulli di concepire che cosa fosse in realtà la morte. No, ma in lui non c'era traccia di quella paura irrazionale della morte, una paura che si trova prevalentemente nelle comunità altamente civilizzate, piuttosto che fra i cosiddetti barbari, che sotto tutti gli aspetti sono più vicini alla natura genuina. E, come abbiamo detto altrove, Billy era sostanzialmente un barbaro. Lo era, nonostante i vestiti, quanto quei suoi compatrioti, i Britanni prigionieri, trofei viventi per il trionfo romano di Germanico. E lo era come quei più tardi barbari, probabilmente giovani, esemplari scelti fra i primi Britanni convertiti al Cristianesimo, o almeno nominalmente tali, portati a Roma (come oggi i convertiti delle isole minori vengono portati a Londra), a proposito dei quali il Papa di quel tempo esclamò, ammirando la loro strana personale bellezza, così diversa dal modello italiano, il loro incarnato chiaro e vermiglio e i loro biondi capelli ricciuti: "Angli?" (ossia "Inglesi", nel termine moderno) "Angli li chiamate? Forse perché essi sembrano così simili agli angeli?". Se ciò fosse accaduto più tardi si potrebbe pensare che il Papa avesse in mente i serafini del Beato Angelico, alcuni dei quali cogliendo le mele nei giardini delle Esperidi hanno il vago colorito roseo delle più belle fanciulle inglesi.
Se invano il buon cappellano cercò di istillare nella mente del giovane barbaro idee di morte sul tipo di quelle espresse nel teschio, nella clessidra e nelle ossa incrociate delle vecchie pietre tombali, lo stesso inutili secondo tutte le apparenze furono i suoi sforzi di fargli comprendere l'idea di salvezza e di un Salvatore. Billy ascoltava, ma forse meno per timore o reverenza che per una sua certa naturale cortesia; indubbiamente considerando in fondo quei discorsi in maniera del tutto analoga a quella con cui la maggior parte dei marinai della sua classe prende qualsiasi discorso astratto o che esuli dal mondo comune del loro lavoro quotidiano. E questo modo marinaro di accogliere un discorso clericale, non è del tutto diverso da quello con cui l'abbiccì del Cristianesimo, pieno di miracoli trascendentali, fu accolto molto tempo fa nelle isole dei tropici da qualche nobile cosiddetto "selvaggio": un Tahitiano dei tempi del capitano Cook o di poco posteriore. Accettava per naturale cortesia ma non si appropriava di niente. Era come un dono posto sulla palma della mano tesa, ma le dita non si stringevano per afferrarlo.
Ma il cappellano della "Bellipotent" era un uomo discreto, e aveva il buon senso di un buon cuore. Così egli non insistette nella sua vocazione in questa circostanza. Per desiderio del capitano Vere, un tenente l'aveva messo al corrente di quasi tutto ciò che riguardava Billy, e poiché egli sentiva che l'innocenza era qualcosa di ancora meglio della religione per affrontare il Giudizio, egli si ritirò, sia pure a malincuore. Ma nella sua emozione compì prima un atto abbastanza strano per un inglese, e, date le circostanze, ancora più strano per un sacerdote regolare.
Curvandosi egli baciò sulla bionda guancia il suo simile, un assassino secondo la legge marziale, uno che sebbene si trovasse alla frontiera della morte, egli sentiva che non avrebbe mai potuto convertire a un dogma, né dunque temeva per il suo futuro.
Non ci si meravigli che, essendo stato messo a conoscenza della sostanziale innocenza del giovane marinaio, il degno uomo non alzasse un dito per impedire la morte di un tale martire della disciplina marziale. Se così avesse fatto, ciò non soltanto sarebbe stato inutile come invocare il deserto, ma avrebbe costituito anche un'audace trasgressione dei limiti della sua funzione, esattamente assegnatagli dalla legge militare, come quella del nostromo o di qualsiasi altro ufficiale. A dirla in breve un cappellano è il ministro del Principe della pace che serve nell'esercito del dio della guerra: Marte. Come tale egli è incongruo come lo sarebbe un moschetto sull'altare il giorno di Natale. Perché dunque egli si trova là? Perché serve indirettamente lo scopo attestato dal cannone; perché anch'egli sancisce con la religione della mitezza ciò che praticamente abolisce tutto quanto non sia forza bruta.
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La notte, così luminosa sopra coperta, ma ben diversa nei ponti inferiori, oscuri come caverne, così simili alle gallerie sovrapposte di una miniera di carbone, la notte luminosa si dileguò. Ma, come il profeta che sparisce in cielo col suo carro e getta il mantello ad Eliseo, la notte nel ritirarsi trasmise il suo pallido manto al giorno nascente. Una tenera, timida luce apparve a oriente, dove si stendeva un impalpabile vello di candidi solchi di vapori. La luce pian piano aumentava.
Improvvisamente a poppavia risuonarono gli "otto rintocchi", ai quali rispose un altro suono metallico più profondo da proravia.
Erano le quattro del mattino. Immediatamente i fischietti argentei ordinarono a tutti gli uomini di assistere alla punizione. Su dai grandi boccaporti bordati di proiettili di grosso calibro, gli uomini che si trovavano nei ponti inferiori si riversarono in coperta, disponendosi insieme con gli uomini già sul ponte, nello spazio fra l'albero maestro e l'albero di trinchetto, compreso quello occupato dalla capace lancia e dalle nere alberature di riserva disposte ai due lati di essa in file sovrapposte. La barca e le alberature presentavano un posto di osservazione sopraelevato per gli addetti alla santabarbara e i marinai più giovani. Un altro gruppo di cui facevano parte alcuni gabbieri si sporgeva dal parapetto di quella grande balconata, non piccola in un vascello da settantaquattro cannoni, e guardavano giù la folla in basso.
Uomini e ragazzi, nessuno parlava se non sussurrando, ed erano pochissimi a parlare. Il capitano Vere - come prima, figura centrale fra gli ufficiali radunati intorno a lui - stava quasi al limite del cassero di poppa, in piedi, lo sguardo dritto davanti a sé. Proprio sotto di lui sul ponte di comando i fanti di marina in pieno assetto di guerra erano disposti come nel momento in cui era stata letta la sentenza.
In navigazione, anticamente, l'esecuzione mediante impiccagione di un marinaio militare veniva fatta generalmente dal pennone di trinchetto. In questo caso, per motivi particolari, fu scelto l'albero maestro. Il prigioniero fu portato dunque sotto un braccio di quel pennone, con a fianco il cappellano. Fu notato in quel momento e fatto notare in seguito, che in questa scena finale il brav'uomo si attenne ben poco, o quasi per niente, al cerimoniale consueto. Egli ebbe infatti un breve colloquio con il condannato ma l'autentico Vangelo era, più che sulla sua lingua, nel suo aspetto e nelle maniere che usava verso di lui. Gli ultimi preparativi furono rapidamente compiuti da due assistenti del nostromo; l'esecuzione era ormai imminente. Billy era in piedi, con la faccia rivolta a poppavia. All'ultimo momento le sue parole, le sue uniche parole, pronunciate chiaramente senza impedimento alcuno, furono queste: "Dio benedica il capitano Vere!". Queste sillabe così inaspettate, provenienti da chi aveva l'ignominioso laccio intorno al collo, la benedizione di un comune criminale rivolta a poppavia verso i posti d'onore; parole pronunciate con l'accento melodioso di un uccello canterino sul punto di staccarsi dal ramo, ebbero un effetto straordinario, accresciuto anche dalla rara bellezza personale del giovane marinaio, spiritualizzata ora dalle ultime esperienze così brucianti e profonde.
Al di fuori di ogni volontà, proprio come se la ciurma della nave non fosse che il veicolo di una corrente elettrica vocale un'eco risonante, solidale, arrivò all'unisono dal basso e dall'alto:
"Dio benedica il capitano Vere!". E tuttavia in quell'istante Billy solo doveva essere nei loro cuori, proprio come era nei loro occhi.
A quelle parole e all'eco spontanea che le aveva ingigantite, il capitano Vere, grazie a uno stoico autocontrollo o a causa di una specie di paralisi momentanea provocata dall'emozione, stette rigido in piedi, dritto come un fucile nella rastrelliera.
Lo scafo lentamente sollevandosi dal rollio periodico a sottovento stava riprendendo l'andatura normale, nel momento in cui fu dato l'ultimo segnale, un muto segnale stabilito in precedenza. Nello stesso istante accadde che il vello di vapori sospeso sul filo dell'orizzonte a oriente fosse investito da una leggera aureola, come il vello dell'Agnello di Dio contemplato in una mistica visione, e contemporaneamente Billy, su cui erano appuntati tutti gli sguardi dei visi volti in alto, ascese. E ascendendo fu illuminato in pieno dalla rosea luce dell'alba.
Con stupore di tutti, nella figura legata, giunta al pennone, non ci fu nessun movimento, tranne quello provocato dal movimento della chiglia, così maestoso, se il tempo è tranquillo, in una grande nave armata di pesanti cannoni.
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UNA DIGRESSIONE
Quando alcuni giorni dopo riguardo alla singolarità ricordata, il commissario di bordo, un uomo rubizzo e rotondo, più preciso come contabile che profondo in filosofia, disse al chirurgo mentre si trovavano a mensa: "Che testimonianza della forza di volontà", quest'ultimo, magro e allampanato, personaggio in cui una causticità riservata si accompagnava a modi più cortesi che cordiali, replicò:
"Chiedo scusa signor commissario. In un'impiccagione scientificamente condotta - e in ottemperanza a speciali ordini io stesso ho diretto l'esecuzione di quella di Budd - qualsiasi movimento segua la sospensione completa e abbia origine nel corpo appeso, è indice di spasmo meccanico del sistema muscolare. Perciò l'assenza di tali movimenti non è attribuibile a forza di volontà come voi la chiamate, più di quanto non lo sia alla forza-cavallo - vogliate scusarmi." "Ma questo spasmo muscolare di cui parlate, non è più o meno certo in questi casi?" "Certamente lo è, signor commissario." "E come spiegate, allora, caro signore, la sua assenza in questo caso?" "Signor commissario, è chiaro che il modo in cui voi considerate la singolarità della questione non è simile al mio. Voi la spiegate con ciò che chiamate forza di volontà, un termine non ancora usato nel lessico della scienza. Per quanto mi riguarda io non pretendo, allo stato attuale della mia conoscenza, di spiegarla in nessun modo. Anche se noi poniamo l'ipotesi che al primo tocco della drizza il cuore di Budd, già sottoposto al massimo della tensione dalla straordinaria emozione, si sia fermato di colpo - proprio come un orologio quando caricandolo sbadatamente lo sforzate al massimo spezzandone la molla - anche ammessa questa ipotesi, come spiegate il fenomeno che è seguito?" "Voi ammettete dunque che l'assenza del movimento spasmodico sia un fenomeno eccezionale." "E' stata un fenomeno eccezionale, signor commissario, nel senso che è stata una manifestazione, la causa della quale non si può immediatamente individuare." "Ma ditemi, caro signore" insisteva ostinatamente l'altro, "la morte dell'uomo fu causata dal capestro o si è trattato di una specie di eutanasia?" "'Eutanasia,' signor commissario, è qualcosa come la vostra 'forza di volontà:' dubito della sua autenticità come termine scientifico; vi chiedo scusa ancora una volta. E' nello stesso tempo una parola fantasiosa e metafisica: in breve, greca. Ma" cambiando improvvisamente il tono, "c'è in infermeria un caso che non voglio lasciare ai miei assistenti. Vogliate scusarmi." E alzandosi da tavola si ritirò correttamente.
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Il silenzio del momento dell'esecuzione, che si protrasse per un minuto o due dopo, un silenzio sottolineato dal rompersi regolare dell'onda contro la chiglia o dallo sbattere di una vela perché gli occhi del timoniere erano assorti altrove, questo silenzio profondo venne poco a poco disturbato da un suono che non è facile descrivere a parole. Chiunque abbia sentito l'ondata di piena di un torrente, improvvisamente gonfiato da acquazzoni scroscianti sui monti dei tropici, e sconosciuti in pianura; chiunque abbia sentito il primo rombo soffocato del suo avanzare in pendìo attraverso i boschi scoscesi, può farsi un'idea del suono che si sentiva ora. L'apparente lontananza della sua origine era dovuta al fatto che si trattava di un indistinto mormorio, perché invece proveniva da molto vicino, dagli uomini ammassati sul ponte di coperta. Trattandosi di un suono inarticolato il suo significato era dubbio, se non che esso sembrava indicare qualche capriccioso mutamento di pensiero o di sentimento, come quelli cui vanno soggette le moltitudini a terra, e nel caso presente forse implicava una cupa revoca da parte degli uomini del loro echeggiamento involontario della benedizione di Billy. Ma prima che diventasse clamore, il mormorio fu contrastato da un ordine strategico, tanto più efficace in quanto improvviso e inaspettato.
"Suonare il quarto di tribordo nostromo, e fate che vadano." Striduli come il grido del gabbiano i fischi del nostromo e dei suoi aiutanti penetrarono quel suono basso e sinistro e lo dispersero;e cedendo al meccanismo della disciplina, l'assembramento fu ridotto della metà. I rimanenti furono in gran parte assegnati a compiti temporanei, come l'orientamento dei pennoni e così via, faccende facili da trovare, all'occasione, per qualsiasi ufficiale.
Ogni atto che segue una condanna a morte pronunciata in navigazione da una corte marziale è caratterizzato dalla rapidità, che non si trasforma in fretta, anche se la sfiora. L'amaca, quella che era stata di Billy da vivo, era stata già zavorrata con proiettili e preparata perché servisse da lenzuolo funebre; gli ultimi compiti degli impresari di pompe funebri della nave, gli aiutanti del velaio, furono rapidamente portati a termine. Quando ogni cosa fu pronta, suonò un secondo appello a tutti gli uomini, reso necessario dal movimento strategico sopra ricordato, questa volta per assistere ai funerali.
Non è necessario precisare i dettagli di questa ultima formalità.
Ma quando la tavola inclinata lasciò scivolare il suo peso nel mare, si sentì un secondo strano mormorio umano, mescolato ora a un suono inarticolato emesso da grandi uccelli marini che, essendo la loro attenzione stata attirata dall'insolito movimento delle acque provocato dal pesante tuffo inclinato dell'amaca impiombata in mare, volarono stridendo su quel punto. Essi giunsero tanto vicino alla chiglia che si poteva sentire lo scricchiolio delle ossa delle loro ali a doppia giuntura. Quando la nave spinta dal vento passò oltre, lasciandosi a poppa il luogo del funerale, essi continuarono a volare in cerchio sullo stesso posto, in basso, con le mobili ombre delle ali spiegate e il requiem delle loro strida gracidanti.
Per marinai superstiziosi come quelli dell'epoca che precedette la nostra, marinai per di più della marina da guerra, che avevano appena assistito al prodigio dell'immobilità della figura sospesa in aria ed ora sprofondata negli abissi; per marinai simili l'atto degli uccelli marini, sebbene dettato soltanto dall'amore dell'animale per la preda, rivestì un importante significato spirituale. Cominciò fra essi un movimento incerto, con qualche irregolarità. Non fu tollerato che un attimo: d'improvviso il tamburo batté il posto di combattimento e questo suono familiare che si ripeteva almeno due volte al giorno, aveva in sé in quell'occasione qualcosa di perentorio. La vera disciplina marziale a lungo andare infonde in un uomo medio una specie di impulso di docilità, l'azione del quale al comando dell'ufficiale, assomiglia molto nella sua pronta rispondenza all'effetto di un istinto.
Il suono del tamburo disperse la folla, distribuendo gran parte degli uomini alle batterie dei due ponti coperti. Là, come al solito, i cannonieri stettero dritti e in silenzio presso i loro rispettivi cannoni. A tempo debito il primo ufficiale, con la spada sotto il braccio, in piedi al suo posto sul ponte di comando, ricevette ufficialmente i successivi rapporti dei tenenti armati di spada, che comandavano le sezioni delle batterie dei ponti inferiori; terminato l'ultimo rapporto egli portò il rapporto complessivo al comandante, con il saluto abituale. Tutto questo richiese del tempo, il che nel caso in questione era l'obiettivo dell'ordine di battere il posto di combattimento un'ora prima del consueto. Il fatto che una simile variazione dell'usanza fosse autorizzata da un ufficiale come il capitano Vere, un patito della disciplina, come lo giudicava qualcuno, era la dimostrazione che c'era necessità di un'azione insolita, a causa dell'umore che in quel momento egli attribuiva ai suoi uomini. "Con gli uomini" egli era solito dire, "le forme e la misura sono tutto; e questo è il significato nascosto nella storia di Orfeo che con la sua lira incanta i selvaggi abitatori della foresta." Queste parole egli disse una volta a proposito del sovvertimento delle forme in atto oltre Manica e delle conseguenze che ne derivarono.
All'insolita adunata, tutto procedette come all'orario regolare.
La banda sul cassero di poppa suonò una musica sacra, dopo di che il cappellano celebrò il solito servizio mattutino. Fatto ciò il tamburino batté la ritirata, e a ritmo di musica e dei riti religiosi che favorivano la disciplina e i propositi della guerra, gli uomini si dispersero ordinatamente come al solito, andando a occupare i posti assegnati loro quando non erano ai cannoni.
Ormai era giorno fatto. Lo strato di vapore basso sull'orizzonte si era dissolto, assorbito dal sole che prima l'aveva così aureolato. E l'aria circostante era nitida e serena, come il marmo liscio e candido nel blocco levigato, non ancora rimosso dal cortile del marmista.
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La simmetria della forma che si può raggiungere nella finzione pura, non è così facile da ottenere in un racconto che sostanzialmente ha più a che fare con la realtà che con la fantasia. La verità detta senza compromessi avrà sempre margini frastagliati; perciò la conclusione di una storia del genere è probabile che sia meno rifinita di un ornamento architettonico.
Ciò che capitò al "Bel Marinaio" nell'anno del Grande Ammutinamento è stato fedelmente raccontato. Ma sebbene la storia abbia propriamente termine con la sua vita, qualcosa in forma di epilogo non sarà inopportuna. Basteranno tre brevi capitoli.
Quando sotto il Direttorio fu ribattezzato tutto il naviglio che formava la flotta della monarchia francese, la nave da battaglia "Saint Louis" fu chiamata "Athée". Questo nome, come altri della flotta rivoluzionaria, mentre proclamava l'audacia e l'empietà del governo al potere, era tuttavia, anche se non ne aveva l'intenzione, il più adatto, a ben considerare, che fosse mai stato dato a una nave da guerra; molto più, per la verità, di "Devastation", "Erebus" (l'Inferno) e nomi del genere, impressi sulle navi da battaglia.
Durante il viaggio per raggiungere la flotta inglese, di ritorno dalla crociera per la quale era stato distaccato, in cui accaddero i fatti raccontati, la "Bellipotent" s'imbatté nell'Athée. Ne seguì uno scontro durante il quale il capitano Vere, mentre stava portando la sua nave a fianco di quella nemica, nell'intento di mandare i suoi uomini all'abbordaggio al di là delle murate, fu colpito da una palla di moschetto partita da un oblò della cabina principale della nave nemica. Gravemente ferito cadde sul ponte e fu portato giù, negli stessi quartieri di poppa adibiti a infermeria, dove giacevano già alcuni dei suoi uomini. Il comando fu assunto dal secondo ufficiale; il vascello nemico fu infine catturato e sebbene molto mal ridotto si riuscì a portarlo, caso veramente fortunato, fino a Gibilterra, un porto inglese non molto distante dal teatro della battaglia. Qui il capitano Vere fu sbarcato insieme agli altri feriti. Egli tirò avanti qualche giorno, ma poi arrivò la fine. Sfortunatamente fu falciato troppo presto per il Nilo e Trafalgar. Quello spirito che malgrado la sua austerità filosofica può essersi tuttavia permesso la più segreta di tutte le passioni, l'ambizione, non raggiunse mai la pienezza della fama.
Non molto tempo prima di morire, mentre giaceva sotto l'influenza di quella magica droga che fa da calmante sul fisico ma opera misteriosamente sull'elemento più sottile dell'uomo, fu sentito mormorare parole inesplicabili al suo attendente: "Billy Budd, Billy Budd!". Che non fossero quelli gli accenti del rimorso sembra chiarito da quanto l'attendente disse all'ufficiale anziano dei fanti di marina della "Bellipotent", il quale, essendo stato, fra i membri della corte marziale, il più riluttante alla condanna, sapeva fin troppo bene chi fosse Billy Budd, anche se in questo caso tenne la cosa per sé.
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Qualche settimana dopo l'esecuzione fra gli altri argomenti trattati sotto il titolo "Notizie dal Mediterraneo" apparve in una cronaca navale del tempo, pubblicazione settimanale ufficiosa, un resoconto dell'affare. Era senza dubbio in gran parte scritto in buona fede, anche se la via (chiacchiere in parte) attraverso la quale i fatti dovevano aver raggiunto il cronista, li avesse alterati e in parte falsati. Il resoconto suonava così:
"Il dieci del mese scorso un fatto deplorevole è accaduto a bordo della nave di sua maestà, "Bellipotent". John Claggart, il maestro d'armi della nave, aveva scoperto che fra gli strati inferiori dell'equipaggio serpeggiava un complotto incipiente e che il capo era un certo William Budd; lo stesso Claggart nell'atto di accusare il colpevole davanti al capitano è stato vendicativamente colpito al cuore da un pugnale estratto improvvisamente da Budd.
L'atto e lo strumento usato, bastano a suggerire che, sebbene arruolato nel servizio sotto un nome inglese, l'assassino non era inglese, ma uno di quei forestieri che usano cognomi inglesi e che a causa delle attuali esigenze eccezionali del servizio vi vengono ammessi in numero considerevole.
L'enormità del delitto e l'estrema depravazione del criminale sembrano tanto maggiori se si considera il carattere della vittima, un uomo di media età, rispettabile e discreto, appartenente a quella classe di sottufficiali dalla quale, e nessuno lo sa meglio dei signori ufficiali di carriera, così grandemente dipende l'efficienza della marina di sua maestà. Gli era stata affidata una funzione di responsabilità, gravosa e ingrata contemporaneamente, che egli eseguiva con la più grande lealtà grazie al suo forte sentimento patriottico. In questo come in tanti altri casi che si verificano in questi giorni, il carattere di questo sfortunato uomo confuta chiaramente, se una confutazione era necessaria, lo stizzoso detto attribuito al defunto dottor Johnson, che il patriottismo è l'ultimo rifugio delle canaglie.
Il criminale ha scontato la pena del suo delitto. La prontezza della punizione si è dimostrata salutare. A bordo della "Bellipotent" non si teme ora alcun disordine." Quanto sopra, apparso in una pubblicazione ora da lungo tempo sorpassata e dimenticata, è tutto quanto è rimasto sinora nelle cronache umane a testimoniare che tipi di uomini fossero rispettivamente John Claggart e Billy Budd.
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Ogni cosa in marina è venerata per un certo tempo. Ogni oggetto tangibile legato a qualche evento straordinario dell'arma, viene trasformato in monumento. Il pennone a cui era stato appeso il gabbiere di parrocchetto, le giacche azzurre per alcuni anni lo tennero d'occhio. Essi ne seguirono le tracce da nave a cantiere, e di nuovo da cantiere a nave, continuando a seguirlo anche quando, alla fine, fu ridotto a un semplice trave di cantiere. Per loro un pezzetto di quel pennone era come un pezzo della Croce.
Sebbene ignorassero i fatti segreti della tragedia, e ritenessero che la pena, dal punto di vista militare, fosse in qualche modo ineluttabile, essi sentivano tuttavia che Billy era un uomo incapace sia di ribellione sia di assassinio premeditato.
Ricordavano la fresca immagine giovanile del "Bel Marinaio", quel viso mai distorto da un sogghigno, o da un più sottile e perfido moto segreto dell'animo. L'impressione prodotta da Billy su di loro era senza dubbio più profonda per il fatto che egli se n'era andato, e in modo piuttosto misterioso. A suo tempo sui ponti dei cannonieri della "Bellipotent", l'opinione generale del suo carattere e della sua inconscia semplicità trovarono infine rozza espressione attraverso un altro gabbiere di parrocchetto, uno del suo stesso turno di guardia, dotato, come lo sono certi marinai, di un ingenuo temperamento poetico. Questo lupo di mare scrisse alcuni versi che dopo aver circolato per un po' fra gli equipaggi a bordo delle navi, vennero infine stampati alla meglio a Portsmouth sotto forma di ballata. Il titolo fu quello dettato dal marinaio:
BILLY AMMANETTATO
Bravo il cappellano, è entrato nella cella isolata E in ginocchio sulle sue ossa qui ha pregato Per quelli come me, Billy Budd. Ma guarda:
Attraverso l'oblò entra il chiaro di luna sbieco!
Sfiora la sciabola della sentinella e inargenta questo cantuccio; Ma morirà, all'alba dell'ultimo giorno di Billy.
Domani essi faranno di me un gioiello, Perla appesa al pennone, Come gli orecchini che detti a Molly di Bristol:
Oh, sospenderanno me, non la sentenza...
Ahimè, tutto è pronto; e anch'io devo esser pronto Di primo mattino, a salire lassù, di quaggiù.
A stomaco vuoto, adesso, non si farebbe mai.
Mi daranno un boccone: un pezzo di biscotto prima che me ne vada.
Sicuro, un compagno mi darà l'ultima tazza dell'addio; Ma distogliendo gli sguardi dalla ghinda e dalla gòmena, Sa il cielo chi avrà l'incarico di tirarmi su!
Non ci vorrà fischietto per salire a quelle drizze... Ma non è tutta una finta?
Un abbaglio dei miei occhi sto sognando...
Un taglio alla mia gòmena? Andarsene alla deriva?
Il tamburo chiama per il grog, e Billy non lo sa?
Ma Donald, lui m'ha promesso di stare accanto all'asse, Così stringerò una mano amica prima di andare a fondo.
Ah... no! Allora sarò morto, ora che ci penso...
Rammento Taff il Gallese quando sprofondò.
La sua guancia era come il garofano in boccio.
Me, mi legheranno nell'amaca, mi getteranno giù.
In fondo, sempre più in fondo, come sognerò dormendo Sento che sta arrivando, il sonno. Sentinella, sei lì?
Allentami solo queste manette ai polsi.
E rivoltami, sii gentile!
Ho sonno, e le viscide alghe mi s'attorcigliano intorno.