Alfred de Musset


GAMIANI


(due notti di eccessi)






PRIMA PARTE


Capitolo 1



Era mezzanotte, e i saloni della contessa Gamiani sfolgoravano ancora dello sfavillio delle luci.


Sfrenate, al suono di un'orchestra inebriante, le ronde e le quadriglie si ravvivavano.


Amabile, piena di premure, l'ospite sembrava rallegrarsi del successo di una festa preparata, preannunciata con grande sfarzo.


La si vedeva sorridere affabilmente a tutti i complimenti, a tutte le frasi di cortesia in cui ciascuno si profondeva, in omaggio alla sua presenza. Gli abiti erano meravigliosi, i gioielli scintillanti.


Relegato nella mia parte abituale di osservatore, avevo già fatto più di un rilievo sufficiente ad esonerarmi dal riconoscere alla contessa Gamiani quelle virtù che le venivano attribuite.


Poco mi ci volle per giudicarla come donna di mondo. Mi rimaneva ancora da scandagliare il suo temperamento morale, da sondare con il mio scalpello le regioni del suo cuore, ma un non so che di strano, di sconosciuto me lo impediva, mi bloccava nell'esame.


Sentivo una fatica infinita nel far luce nelle profondità dell'esistenza di questa donna, il comportamento della quale nulla lasciava trapelare.


Ancora giovane, con una fortuna immensa, graziosa a giudizio dei più, quella donna senza parenti, senza amici dichiarati, si era in qualche modo isolata nel suo ambiente. Consumava, sola, una esistenza capace sotto ogni aspetto di tollerare più di una divisione.


Molte bocche avevano chiacchierato, sempre finendo con il denigrare, ma, in mancanza di prove, la contessa restava inaccessibile.


Per alcuni era una "Fedora", una donna senza cuore e senza tempra; altri le attribuivano un animo ferito nel profondo, che avesse ormai deciso di evitare crudeli delusioni.


Volevo uscire dall'incertezza: feci appello a tutte le risorse della mia logica. Invano: mai giungevo a una conclusione soddisfacente.


Indispettito, stavo per abbandonare il problema, quando, dietro di me, un vecchio libertino alzando il tono di voce, proruppe in questa esclamazione:

"Bah! E' una tribade".


Fu un lampo: tutto si collegava, tutto si spiegava, allora! Non c'era più alcuna contraddizione.


Una tribade!

Certo, all'inizio, questa parola suona un po' strana all'orecchio.


Poi, vi fa affiorare dentro non so quali confuse immagini di inaudite voluttà, eccessi lascivi. E' la rabbia della lussuria, l'erotismo scatenato, l'orribile piacere senza soddisfazione!

Inutilmente respinsi queste idee che in un baleno sprofondavano la mia immaginazione nella sarabanda della lussuria. Già vedevo la contessa nuda tra le braccia di una donna, i capelli sciolti, ansimante, prostrata, ma anche torturata da un piacere incompiuto.


Avevo il sangue in fiamme, i sensi sul punto di esplodere. Caddi come stordito su di un divano.


Riavutomi dall'emozione, freddamente calcolai quello che bisognava fare per cogliere di sorpresa la contessa: lo dovevo, ad ogni costo.


Risolsi di andare ad osservarla durante la notte nascondendomi nella sua camera da letto.


La porta a vetri di uno spogliatoio fronteggiava il letto. Mi resi conto di quanto era favorevole una simile posizione, e, nascosto da alcuni abiti appesi, mi preparai con pazienza ad aspettare l'ora del sabba.


Mi ero appena acquattato, quando apparve la contessa. Chiamò la cameriera, una fanciulla giovane, di carnagione scura, dalle forme ben marcate:

"Julie, stasera posso fare a meno di voi. Andate a dormire... Ah, se sentiste del rumore nella mia camera, non fateci caso. Voglio stare sola".


Quelle parole preannunciavano quasi un dramma. Mi congratulai con la mia audacia.


A poco a poco, le voci del salone si attenuarono. La contessa rimase sola con un'amica, la signorina Fanny B. Presto entrambe si trovarono nella camera e di fronte ai miei occhi.


FANNY: Che contrattempo irritante. Pioveva a catinelle e non c'è una carrozza!

GAMIANI: Spiace a me quanto a voi; sfortunatamente, la mia vettura è dal sellaio.


FANNY: Mia madre sarà inquieta.


GAMIANI: Non abbiate paura, mia cara Fanny vostra madre è stata avvisata: sa che passerete la notte da me. Sono vostra ospite.


FANNY: Davvero, siete troppo buona. Vi darò fastidio.


GAMIANI: Dite piuttosto che mi fate piacere. E' un'avventura che mi diverte... Non voglio mandarvi a dormire in un'altra stanza.


Rimarremo qui, insieme.


FANNY: Perché? Disturberò il vostro sonno.


GAMIANI: Siete troppo cerimoniosa. Suvvia, facciamo come fossimo due giovani amiche, due compagne di collegio.


Un dolce bacio venne a suggellare questa tenera confidenza.


GAMIANI: Vi aiuterò a spogliarvi. La cameriera è a letto, ma possiamo farne a meno... Che figura! Fanciulla fortunata! Sono in ammirazione delle vostre forme!

FANNY: Trovate che siano belle?

GAMIANI: Incantevoli!

FANNY: Voi volete adularmi...


GAMIANI: Oh, meraviglia! Che biancore! C'è di che invidiarla!

FANNY: Questo non ve lo concedo: davvero, voi siete più bianca di me.


GAMIANI: Nemmeno per sogno, bambina mia! Toglietevi tutto, come me. Quanto imbarazzo! Vi si direbbe davanti a un uomo. Ecco!

Guardate nello specchio... Paride vi getterebbe di sicuro la mela!

La briccona! Eccola che sorride nel vedersi così bella... Meritate un bacio in fronte, sulle guance, sulle labbra! E' tutta bella, tutta!

La bocca della contessa percorreva ardente, lasciva, il corpo di Fanny. Sopraffatta, tremante, Fanny lasciava fare e non capiva.


Era proprio una coppia deliziosa di voluttà, di grazia, di abbandono lascivo, di pudore spaurito.


Si sarebbe detta una vergine, un angelo, nelle braccia di una baccante in preda al furore.


Quante bellezze si offrivano al mio sguardo! Che spettacolo era lì a provocare i miei sensi!

FANNY: Oh, che cosa fate! Smettete, signora, ve ne prego...


GAMIANI: No, Fanny, bimba mia, vita mia, mia gioia! Sei troppo bella, sai! Sono innamorata di te. Sono pazza!

Invano la fanciulla si dibatteva. I baci soffocavano le sue grida.


Sopraffatta, stretta, la sua resistenza era inutile. La contessa, in un amplesso impetuoso, la trascinava verso il letto, ve la gettava come una preda da sbranare.


FANNY: Ma che cosa fate? Oh, Dio! Signora è spaventoso. Mi metto a gridare, lasciatemi... Mi fate paura...


Baci ancor più appassionati, ancor più impetuosi, rispondevano alle sue grida. Le braccia serravano forte, i due corpi si confondevano in uno solo...


GAMIANI: Fanny, sei mia! Sei tutta mia! Vieni eccoti la mia vita!

Prendi! E' piacere, questo. Come tremi, bambina... Ah, finalmente ti abbandoni!

FANNY: E' male! E' male! Voi mi uccidete... Ah! Io muoio!

GAMIANI: Sì, stringimi, piccola mia, amore mio! Stringimi bene, più forte! Come è bella mentre gode. Lasciva...! Tu godi, tu sei felice...! Oh, Dio!

Iniziò allora uno spettacolo strano. La contessa, con gli occhi che mandavano scintille, i capelli sparpagliati, si rotolava, si torceva sulla sua vittima, a sua volta sconvolta dai sensi. Si tenevano l'una con l'altra, si stringevano con forza. Si rinviavano i sussulti, gli slanci, si soffocavano a vicenda le grida, i sospiri, con baci roventi.


Il letto scricchiolava per le scosse furiose della contessa.


Presto stremata, sfatta, Fanny lasciò cadere le braccia. Pallida, rimaneva immobile come una bella morta. La contessa delirava. Il piacere la uccideva, ma non le dava il colpo di grazia. In preda al furore, squassata dai sussulti, si slanciò in mezzo alla camera si rotolò sul tappeto, eccitandosi con pose lascive, di una lubricità folle, sollecitando con le dita il pieno accesso del piacere.


Quella vista finì di sconvolgermi.


Per un attimo, mi avevano dominato il disgusto, l'indignazione.


Volevo presentarmi alla contessa, schiacciarla con il peso del mio disprezzo. Ma i sensi furono più forti della ragione e la carne trionfò, orgogliosa, fremente. Mi lanciai sulla bella Fanny, nudo, di fuoco, di porpora, terribile... Essa ebbe appena il tempo di capire l'imminenza di questo nuovo attacco, che io, già vincitore, sentivo il suo corpo docile fragile, tremante, agitarsi sotto il mio, rispondere a ciascuno dei miei colpi. Le nostre lingue si incrociarono, roventi, affilate, le nostre anime si fusero in una sola.


FANNY: Ah! Mio Dio! Mi uccidono.


A queste parole, la bella si irrigidisce, sospira e poi si rilascia, inondandomi dei suoi favori.


"Ah! Fanny! Urlai. Aspetta... Prendi! Ah!"


A mia volta, credetti di esalare tutto il mio spirito.


Che eccesso! Annientato, perso nelle braccia di Fanny, non mi ero affatto accorto del terribile incalzare della contessa.


Ritornata in sé per le nostre grida, per i nostri sospiri, spinta dal furore e dall'invidia, essa si era gettata su di me per strapparmi via dall'amica. Con le braccia mi serrava e mi scuoteva, con le dita mi martoriava la carne, con i denti mi mordeva.


Il doppio contatto di due corpi, trasudanti piacere, ardenti di lussuria, mi riattizzava un'altra volta, raddoppiava il mio desiderio.


Il fuoco mi arrivava dappertutto. Restavo immobile, vittorioso, nelle mani di Fanny. Poi, senza cedere le mie posizioni, nello strano disordine di tre corpi che si fondono, si accavallano, si incastrano l'un l'altro, riuscii ad afferrare saldamente le cosce della contessa, a tenerle divaricate sopra la mia testa.


"Gamiani! Offritevi! Fatevi avanti appoggiandovi sulle braccia!"


Gamiani mi capì e subito potei mettere una lingua viva, avida, nella sua parte di fiamme.


Fanny, senza sensi, fuori di sé, accarezzava dolcemente il seno palpitante che le si muoveva sopra.


Presto la contessa fu vinta, finita.


GAMIANI: Che fuochi accendete! E' troppo... chiedo grazia! Ah! che gioco lubrico! Voi mi uccidete... Dio! Soffoco...!

Il corpo della contessa cadde pesantemente su un fianco, come una massa inanimata.


Fanny, ancora più eccitata, mi getta le braccia al collo, si allaccia a me, mi stringe, incrocia le gambe sopra le mie reni...


FANNY: Caro amico! Caro amico, sei mio... tutto mio! Un po' più adagio... fermo... così... ah! Muoviti più veloce... dai! Ah, io sento... volo...! Io...


E restammo uno sopra l'altro distesi, rigidi, senza muoverci. Le nostre bocche semiaperte, congiunte, si scambiavano appena i fiati quasi spenti.


Un po' alla volta ci riprendemmo. Tutti e tre ci sollevammo e restammo per un attimo a guardarci instupiditi.


Sorpresa, vergognosa dei suoi impeti, velocemente la contessa si coprì. Fanny si nascose sotto le coperte. Poi, come un bambino che si rende conto del peccato solo quando è commesso e irreparabile, si mise a piangere. La contessa non tardò ad apostrofarmi.


GAMIANI: Signore, ci avete fatto una sorpresa ben meschina. La vostra azione non è altro che un agguato odioso, una viltà infame!

Mi costringete ad arrossire.


Cercai di difendermi.


GAMIANI: Oh! Signore, sappiate che una donna non perdona mai a chi sorprende la sua debolezza.


Proclamai una passione funesta, irresistibile, che la sua freddezza aveva esasperato, spinto all'inganno, alla violenza...


"D'altronde, aggiunsi, è possibile che voi, Gamiani, crediate che mai io possa abusare di un segreto che devo più al caso che all'ardire! Sarebbe troppo ignobile. Per tutta la vita non dimenticherò l'eccesso dei nostri piaceri, ma ne terrò per me solo il ricordo. Se sono colpevole, pensate però che avevo il delirio nel cuore, o, meglio, serbate un solo pensiero: quello dei piaceri che insieme abbiamo goduto, che ancora possiamo gustare".


Rivolgendomi a Fanny, mentre la contessa nascondeva la testa fingendo la desolazione:

"Calmatevi, signorina. Lacrime nel piacere! Riflettete solo sulla dolce beatitudine che ci univa poco fa. Che sia quella a restare nei vostri ricordi come un sogno felice che non appartiene ad altri che a voi, di cui solo voi sapete. Vi giuro che non rovinerò mai il piacere della mia felicità confidandola ad altri".


La collera si acquietò, le lacrime cessarono. Senza accorgersene ci ritrovammo tutti e tre intrecciati l'uno con l'altro, dibattendo di follie, di baci, di carezze...


Oh, mie belle amiche, non facciamoci turbare da nessun timore.


Abbandoniamoci senza riserve, come se questa notte fosse l'ultima, al godimento, alla voluttà!

Gamiani proruppe:

"Il dado è tratto. Al piacere! Vieni, Fanny... Bacia, dunque, folle! Lasciati mordere, succhiare, aspirare fino al midollo!

Alcide, al tuo posto! Oh, che animale superbo! Che esuberanza!" "Avete invidia di lei, Gamiani, veniamo a voi, perciò! Voi disdegnate questo piacere, ma lo benedirete, quando l'avrete assaporato appieno. Restate sdraiata. Spingete in avanti la parte che io aggredirò. Ah, quante bellezze, che bella posa! Presto, Fanny, mettetevi a cavalcioni sulla contessa, dirigete voi stessa quest'arma terribile, quest'arma di fuoco. Battete sulla breccia, risoluta! Troppo forte, troppo svelto... Gamiani! Ah, voi evitate il piacere!"


La contessa si agitava come un'indemoniata, presa più dai baci di Fanny che dai miei sforzi. Approfittai di un movimento che scompaginò tutto, per rovesciare Fanny sul corpo della contessa, per assalirla con furore. In un attimo fummo tutti e tre annientati massacrati di piacere...




Capitolo 2



GAMIANI: Siete capriccioso, Alcide! Tutto ad un tratto siete passato al nemico... Oh, vi perdono! Avete capito che stavate perdendo troppo piacere per un'insensibile. Ma, che volete, ho la triste sorte di aver divorziato dalla natura. Non sogno, non provo altro che cose orribili, stranezze. Corro dietro l'impossibile.


Oh, è terribile! Logorarsi, abbruttirsi nelle delusioni!

Desiderare sempre, non essere mai soddisfatta. La mia immaginazione mi uccide. Questo è davvero essere sfortunati!

Tutto il discorso aveva un tono così vero, un'espressione di disperazione così eloquente, che mi sentii mosso a compassione.


Quella donna soffriva da far male...


"Forse non è che una cosa passeggera, Gamiani. Vi nutrite troppo di letture funeste."

GAMIANI Oh no, no! Non è colpa mia... State a sentire: mi compiangerete, mi scuserete, forse.


Sono stata allevata in Italia, da una zia rimasta ben presto vedova. Avevo raggiunto i quindici anni e delle cose di questo mondo non conoscevo altro che i terrori della religione. Passavo la vita a supplicare il cielo di risparmiarmi le pene dell'inferno.


Mia zia attizzava queste paure, né le diminuiva mai con il benché minimo segno di tenerezza. Come sola dolcezza avevo il sonno. I miei giorni trascorrevano tristi come le notti di un condannato.


Qualche volta, mia zia mi chiamava, al mattino, nel suo letto.


Allora i suoi sguardi erano dolci, le sue parole carezzevoli. Mi attirava sopra il seno e le cosce e mi serrava di colpo in abbracci convulsi. La vedevo torcersi, rovesciarsi, e cadere in deliquio con un riso da pazza.


Spaventata, la contemplavo immobile e la credevo in preda all'epilessia.


Dopo un lungo colloquio che ebbe con un monaco francescano, lo stesso mi chiamò e mi fece il seguente discorso:

"Figlia mia, state diventando grande. Ormai il demonio tentatore può accorgersi di voi. Presto potrete sentire i suoi attacchi. Se non siete pura e senza macchia, i suoi dardi potranno raggiungervi. Se siete senza impurità, sarete invulnerabile.


Preparatevi a subire il martirio della redenzione. Chiedete a Dio la forza e il coraggio necessari: questa sera sarete messa alla prova. Andate in pace, figlia mia".


Già da qualche giorno zia parlava di sofferenze, di torture che si dovevano patire per riscattare i propri peccati. Me ne andai, spaventata dalle parole del monaco. Una volta sola, volli pregare, dedicarmi a Dio, ma non riuscivo a raffigurarmi altro che il supplizio che mi aspettava.


La zia venne a trovarmi nel mezzo della notte. Mi ordinò di denudarmi, mi lavò dalla testa ai piedi e mi fece indossare un'ampia veste nera, chiusa intorno al collo e completamente aperta sulla schiena. Si vestì nello stesso modo e partimmo dalla casa in carrozza.


In capo a un'ora mi ritrovai in una vasta sala, tappezzata di nero, illuminata da una sola lampada che pendeva dal soffitto.


Al centro si ergeva un inginocchiatoio, circondato da cuscini.


"Inginocchiatevi, nipote mia. Preparatevi con la preghiera e sopportate con coraggio tutto il male che Dio vuole infliggervi.


Avevo appena obbedito che una porta segreta si aprì: un monaco, vestito come noi, mi si avvicinò, borbottò delle frasi, poi scostò i lembi della mia veste, li fece cadere ai lati e mise a nudo tutta la parte posteriore del corpo.


Un fremito leggero sfuggì al monaco, senza dubbio in estasi alla vista della mia carne. La sua mano mi percosse dappertutto, si fermò sulle natiche e finì per appoggiarsi più in basso.


"Con questa parte che la donna pecca, di qui deve venire la sua sofferenza!" disse con voce sepolcrale.


Queste parole erano appena state pronunciate, che io mi sentii picchiata a colpi di verga, con corde piene di nodi muniti di punte di ferro. Mi aggrappavo all'inginocchiatoio, mi sforzavo di soffocare le grida, ma invano: il dolore era troppo forte. Mi lanciai nella stanza gridando: "Pietà! Pietà! Non posso sopportare questo supplizio! Uccidetemi piuttosto! Pietà, vi supplico!" "Vile miserabile!" gridò la zia indignata. "Vi occorre il mio esempio".


Con queste parole, ella si offre coraggiosamente tutta nuda, allargando le cosce e tenendole sollevate.


I colpi piovevano. Il boia restava impassibile. In breve le cosce si riempirono di sangue.


Mia zia resisteva incrollabile, e ogni tanto gridava:

"Più forte! Più forte! Ah...! Ancora più forte!"


Quella vista mi trascinò. Mi sentii di un coraggio sovrannaturale.


Esclamai di essere pronta a qualsiasi sofferenza.


Immediatamente mia zia si alzò, mi coprì di baci ardenti, mentre il monaco mi legava le mani e mi metteva una benda sugli occhi.


Che cosa vi posso dire, ancora? Il supplizio ricominciò e fu ancora più terribile. Intorpidita dal dolore, ero come bloccata, non sentivo niente. Udivo solamente, attraverso il rumore dei colpi che mi venivano dati, confusamente, delle grida, degli scrosci, degli schiocchi di mani sulle carni. Erano risa insensate, nervose, convulse, che annunciavano la gioia dei sensi.


A tratti, la voce della zia, che ansimava di voluttà, dominava quella armonia, quel concerto orgiastico, quel saturnale di sangue.


Più tardi, ho capito che lo spettacolo del mio supplizio serviva a risvegliare dei desideri. Ognuno dei miei sospiri soffocati provocava uno slancio della voluttà .


Prostrato, il mio boia aveva smesso. Sebbene ancora terrorizzata, sempre immobile, rassegnata alla morte, tuttavia man mano che i miei sensi ricominciavano a funzionare, sentivo un singolare pizzicore. Il mio corpo era percorso da un fremito, infuocato. Mi agitavo lubrica, come dovessi soddisfare un desiderio insaziabile.


Improvvisamente, due braccia nervose mi afferrarono. Qualcosa di caldo, di rigido - non sapevo che cosa - venne a colpire le mie natiche, scivolò più in basso, mi penetrò all'improvviso. In quel momento credetti di essere squarciata in due. Gettai un grido spaventoso, che subito coprirono degli scrosci di risa. Due o tre scosse terribili riuscirono a introdurre per intero il rude flagello che mi massacrava. Le mie cosce sanguinanti si appiccicavano alle cosce del mio avversario. Mi sembrava che le nostre carni si mischiassero per fondersi in un unico corpo. Tutte le mie vene erano turgide, i nervi tesi. Il vigoroso sfregamento che subivo, e che si produceva con un agilità incredibile, mi bruciò a tal punto che credetti di aver ricevuto un ferro rovente.


Caddi ben presto in estasi. Mi trovai in cielo. Un liquido vischioso e bruciante venne a inondarmi rapidamente, mi penetrò fin nelle ossa, mi titillò fino al midollo...


Oh, era troppo! Fondevo come lava ardente... Mi sentivo correre dentro un fluido attivo, divorante. Ne provocai l'espulsione con scosse furiose e caddi sfiancata in un abisso senza fine di voluttà inaudita...


FANNY: Gamiani, che affresco! Ci mettete il diavolo in corpo.


GAMIANI: Non è finita. La voluttà si mutò ben presto in dolore atroce Venni orrendamente brutalizzata. Più di venti monaci si avvicendarono come cannibali sfrenati. La testa mi cadde da una parte. Il mio corpo spezzato, rotto, giaceva sui cuscini, come un cadavere. Fui trasportata morente nel mio letto.


FANNY: Che crudeltà infame!

GAMIANI: Sì, davvero, infame! E più, ancora, funesta. Ritornata alla vita, in salute, capii l'incredibile depravazione di mia zia e dei suoi compagni di corruzione che ormai soltanto la vista di torture spaventose riusciva a stimolare. Giurai loro un odio mortale e questo odio, nella mia vendetta, nella mia disperazione, lo rivolsi a tutti gli uomini.


L'idea di subire le loro carezze mi ha sempre fatto rivoltare. Non ho più voluto servire da misero giocattolo per i loro desideri.


Avevo un temperamento di fuoco, dovevo dargli soddisfazione. Solo più tardi, con le dotte lezioni delle fanciulle del convento della Redenzione, guarii dall'onanismo. La loro scienza fatale mi ha perduto per sempre!

A questo punto, i singhiozzi soffocarono la voce alterata della contessa.


Su quella donna le carezze non potevano nulla. Per distrarla, mi rivolsi a Fanny:

"Tocca a voi, bella dagli occhi sgranati! Ecco che in una notte siete stata iniziata a molti misteri. Suvvia: raccontateci come avete provato per la prima volta i piaceri dei sensi..." FANNY: Io? Non oso, ve lo confesso.


IO: Il vostro pudore è quanto meno fuori tempo.


FANNY: No, ma dopo il racconto della contessa, quello che io avrei da dire sarebbe troppo insignificante.


IO: Non fateci caso, piccola ingenua! Perché esitate? Non siamo stati sciolti insieme dal piacere e dai sensi? Non c'è più niente che possa farci vergogna.


GAMIANI: Su, bellezza. Ti daremo un bacio, due, cento, se è necessario per farti decidere. E Alcide, com'è pieno di amore!

Guarda ti minaccia!

FANNY: No, no, lasciatemi, Alcide! Non ho più forza. Fatemi grazia! Vi prego... Gamiani, come siete lubrica! Alcide, toglietevi... Oh!

IO: Non c'è scampo, per tutti i diavoli! O ci raccontate l'odissea del vostro pulzellaggio, oppure Curzio si lancia in assetto di combattimento.


FANNY: Mi costringete?

GAMIANI: Sì IO: Sì, sì!

FANNY: Sono arrivata ai quindici anni nella più completa innocenza, ve lo giuro. Nemmeno con il pensiero mi ero mai soffermata su tutto quello che concerne la differenza tra i sessi.


Vivevo spensierata, certamente felice, quando, un giorno di gran caldo, che ero sola in casa, provai come un bisogno di espandermi, di mettermi in libertà.


Mi svestii e mi distesi seminuda su un divano... Oh, mi vergogno!

Mi stiravo, divaricavo le cosce, mi dimenavo in ogni senso. A mia insaputa, mi mettevo nelle pose più indecenti.


La stoffa del divano era lucida. La sua freschezza mi provocò una piacevole sensazione, un pizzicorio voluttuoso in tutto il corpo.


Oh, la libertà con cui respiravo, avvolta in un'atmosfera tiepida, dolcemente penetrante. Che voluttà soave, affascinante! Ero in un'estasi deliziosa. Mi sembrava che il mio essere fosse pervaso da una nuova vita, di essere più forte, più grande, di aspirare un alito divino, di sbocciare ai raggi di un cielo stupendo...


IO: Siete poetica, Fanny.


FANNY: Oh, non faccio altro che descrivervi le mie sensazioni. I miei occhi vagabondavano compiaciuti su me stessa, le mani mi volavano al collo, al seno. Poi si fermarono più in basso, e caddi mio malgrado in fantasticherie profonde.


Le parole dell'amore, degli amanti, senza posa mi ritornavano alla mente con i loro significati inspiegabili. Alla fine, mi sentii totalmente sola. Dimenticavo di avere dei parenti, degli amici:

provai un vuoto spaventoso.


Mi alzai, guardandomi attorno tristemente.


Per qualche istante rimasi pensosa, con la testa malinconicamente reclinata, le mani giunte, le braccia lasciate andare. Poi, scrutandomi, toccandomi di nuovo, presi a domandarmi se tutto non avesse uno scopo, un fine... Istintivamente sentivo che mi mancava qualcosa che non ero in grado di definire, ma che volevo, che desideravo con tutta l'anima.


Dovevo avere l'aria sconvolta, poiché a tratti ridevo freneticamente. Le braccia mi si aprivano, come per afferrare l'oggetto delle mie brame. Arrivavo anche a stringermi. Mi abbracciavo, mi accarezzavo. Avevo assolutamente bisogno di una realtà, di un corpo da prendere e serrare a me. Nella mia strana allucinazione afferravo me stessa credendo di aggrapparmi ad un altro.


Attraverso le vetrate, in lontananza, si scorgevano alberi, tappeti erbosi, e io ero tentata di andarmi a rotolare per terra o di perdermi tra le foglie. Contemplavo il cielo, e avrei voluto volare nell'aria, sciogliermi nell'azzurro, mischiarmi ai vapori, al cielo, con gli angeli.


Pensavo di stare per impazzire: il sangue, ardente mi rifluiva alla testa. Persa, rapita, mi gettai sui cuscini. Ne tenevo uno stretto tra le cosce, ne serravo un'altro con le braccia, lo baciavo pazzamente, lo circondavo con passione, gli sorridevo, anche, credo, tanto ero ebbra, dominata dai sensi. Tutt'a un tratto mi blocco, sussulto. Mi sembra di fondere, di precipitare:

"Ah", gridai, "Dio mio! Ah!" E mi sollevai di colpo, spaventata.


Ero tutta bagnata.


Non essendo in grado di comprendere niente di quello che mi era accaduto, credetti di essere ferita, avevo paura. Mi buttai in ginocchio, supplicai Dio di perdonarmi, se avevo fatto qualcosa di male.


IO: Adorabile innocente! Non avete confidato a nessuno ciò che vi aveva spaventato a quel modo?

FANNY: No, mai! Non avrei osato. Ero ignara, fino a un'ora fa: voi mi avete rivelato la chiave della sciarada...


IO: Oh, Fanny! Questa confessione mi mette al colmo della felicità. Amica mia, accogli di nuovo questa prova del mio amore.


Gamiani, fatemi eccitare affinché inondi questo fiore di rugiada celeste!

GAMIANI: Che fuoco! Che ardore! Fanny, già stai andando in estasi... Oh, gode... Gode!

FANNY: Alcide! Alcide! Io muoio... io...


La dolce voluttà ci sommergeva di ebbrezza, ci innalzava entrambi al cielo.


Dopo un momento di riposo, di calma dei sensi, io stesso presi a parlare in questi termini:

"Sono nato da genitori giovani e robusti. La mia infanzia fu felice senza pianti o malattie. Così, all'età di tredici anni, ero già un uomo fatto. Gli stimoli della carne si facevano già sentire vivacemente.


Destinato alla vita ecclesiastica, educato con tutto il rigore dei principi della castità, combattevo con tutte le forze le prime tentazioni dei sensi. La mia carne si svegliava, impaziente, potente, imperiosa ma io senza pietà la maceravo.


Mi condannai al più rigido digiuno. La notte, nel sonno, la natura riusciva ad avere sollievo, e io me ne spaventavo, come di una licenza della quali fossi colpevole. Questo scontro, questa battaglia interiore finirono per rendermi ottuso e come ebete. La continenza forzata indusse tutti i miei sensi a una sensibilità, o meglio a una sovraeccitazione che non avevo mai provato.


Spesso avevo le vertigini. Mi sembrava che delle cose girassero, e io con loro. Se per caso una giovane donna mi si presentava allo sguardo, mi sembrava vivamente illuminata e splendente di un fuoco come di scintille elettriche.


L'umore, sempre più caldo e troppo abbondante mi affluiva alla testa e le particelle di fuoco delle quali era saturo, colpendo con forza il cristallino degli occhi, vi provocavano una specie di miraggio abbagliante.


Questa situazione durava da mesi, quando, un mattino, sentii all'improvviso in tutte le membra una contrazione e una tensione violente, seguite da un movimento spaventoso e convulso simile a quelli che accompagnano di norma le crisi epilettiche. I capogiri luminosi mi ritornarono, più violenti che mai... Vidi dapprima un cerchio nero girare rapidamente davanti a me, ingrandirsi e diventare immenso: un bagliore violento e rapido si sprigionò dall'asse del cerchio e rischiarò tutta la zona.


Scorgevo un orizzonte infinito, vasti cieli infiammati, attraversati da mille fusi volanti che ricadevano tutti, abbaglianti, come pioggia dorata, scintille di zaffiro, di smeraldo, di azzurro.


Il fuoco si spense: una luce bluastra e vellutata prese il suo posto. Mi sembrava di nuotare in una luce limpida e dolce, soave come un pallido chiarore di luna, in una bella notte di estate, ed ecco che da lontano incominciarono ad accorrere verso di me, vaporose, aeree come uno sciame di farfalle dorate infinite miriadi di fanciulle nude, fulgide di freschezza, trasparenti come statue di alabastro.


Mi slanciai incontro alle silfidi, ma loro fuggivano, ridenti e giocose. I gruppi deliziosi si confondevano per un attimo con l'azzurro per riapparire poi, ancora più vivaci, gioiosi, come meravigliose ghirlande di volti ammalianti che mi prodigavano un sorriso delicato, uno sguardo malizioso!

Un po' alla volta, le fanciulle sparirono. Allora vennero verso di me delle donne nell'età dell'amore e delle tenere passioni.


Alcune vivaci, piene di fervore, dallo sguardo di fuoco, i seni palpitanti; altre pallide e curve come vergini di Ossian. I loro corpi fragili, voluttuosi erano dissimulati dalla garza.


Sembravano morire di languore e di attesa, mi aprivano le braccia e sempre mi sfuggivano.


Mi agitavo impudicamente sul letto. Mi sollevavo sulle gambe e sulle braccia scuotendo freneticamente il mio glorioso priapo.


Parlavo d'amore, di piacere, nei termini più indecenti. Per un momento, mescolandosi i miei ricordi classici con i miei sogni, vidi Giove di fuoco, Giunone che manipolava la sua folgore. Vidi tutto l'Olimpo in fregola, in una crapula, un'accozzaglia strane.


Successivamente, assistei ad una orgia, un baccanale infernale: in una caverna scura e profonda, illuminata da puzzolenti torce dai bagliori rossastri, ombre blu e verdi si riflettevano orrendamente sui corpi di cento diavoli con i volti da becco, le forme grottescamente indecenti.


Gli uni, superbamente armati, prendendo slancio da un'altalena, piombavano su una donna, la penetravano in un sol colpo con tutto il loro dardo e le provocavano l'orrenda convulsione di un godimento istantaneo, inatteso. Altri, più maliziosi, ne rovesciavano una, pudibonda, a testa in giù, e tutti, con un riso folle, preso un montone, affondavano in lei un ricco priapo di fuoco, martellando a piacimento dentro di lei l'eccesso della voluttà. Se ne vedevano anche alcuni, con la miccia in mano, che davano fuoco a un cannone dal quale usciva un membro fulminante, che una diavolessa frenetica, a cosce divaricate, accoglieva impavida.


I più feroci della banda legavano una Messalina per i quattro arti e si abbandonavano davanti a lei a tutte le gioie, ai piaceri più eloquenti. L'infelice si torceva, furiosa, schiumante, avida di un piacere che non poteva giungere a lei.


Qua e là, mille diavoletti, uno più laido, più saltellante, più strisciante dell'altro, andavano e venivano; succhiavano, pizzicavano, mordevano, danzavano in tondo, si mescolavano tra loro. Dovunque erano risate, scoppi, convulsioni, frenesie, grida, sospiri, deliqui di voluttà.


In luogo più elevato, i diavoli di primo grado si divertivano con giovialità nel parodiare i misteri della nostra santa religione.


Una monaca tutta nuda, inginocchiata, gli occhi estaticamente rivolti alla volta, riceveva con devoto ardore la bianca comunione che le porgeva in cima ad un vero e proprio aspersorio un grande diavolo con pastorale e mitra messi all'incontrario. Più in là, una diavoletta riceveva sulla fronte i fiotti del battesimo della vita, mentre un'altra, fingendosi moribonda, veniva confortata da un'incredibile profusione di santo viatico.


Un capo diavolo, portato a spalle, soppesava con fierezza la più vigorosa dimostrazione del suo godimento erotico-satanico e nei momenti di orgasmo spandeva a fiotti il liquido benedetto.


Ciascuno si prostrava al suo passaggio. Era la processione del Santo Sacramento.


Ma ecco che batte l'ora, e subito tutti i diavoli si richiamano, si prendono per mano e formano un girotondo immenso. Viene dato il via. Quelli ruotano, si scatenano, volano come il lampo.


I più deboli, in quel rapido vortice, in quel galoppo insensato, soccombono. La loro caduta fa cascare gli altri. Ormai non è altro che un'orrenda confusione, un'accozzaglia spaventosa di aggrovigliamenti grotteschi, di laidi accoppiamenti; nient'altro che un immondo caos di corpi ammorbati, sozzi di lussuria, che uno spesso fumo viene a nascondere alla vista."


GAMIANI: Ricamate a meraviglia, Alcide. Il vostro sogno starebbe bene in un libro...


IO: Che volete farci! Bisogna ben passare la notte...


Ma state ancora ad ascoltare: quel che segue non è altro che la realtà.


Quando mi fui rimesso da quella crisi terribile, mi sentii meno ottuso, ma più prostrato. Tre donne ancora giovani e vestite di una semplice vestaglia bianca erano sedute al mio letto. Per un attimo credetti che la vertigine durasse ancora, ma subito mi fecero sapere che il mio medico, riconosciuta la mia malattia, aveva ritenuto conveniente applicare l'unico rimedio che mi si adattasse.


Per prima cosa presi una mano bianca e affusolata e la coprii di baci. Un labbro fresco e rosa mi si posò sulla bocca. Quel contatto delizioso mi elettrizzò: avevo l'impeto di un pazzo furioso.


"O belle amiche!" esclamai "Voglio essere felice, felice fino al parossismo. Voglio morire nelle vostre braccia. Arrendetevi ai miei trasporti, alla mia follia!" Getto via, lontano, quello che ancora ho addosso, mi distendo sul letto. Un cuscino sotto le reni mi mantiene nella posizione più favorevole. Il mio priapo si drizza, superbo, radioso!

"Tu, provocante bruna, con il seno così sodo e così bianco, siediti ai piedi del letto, con le gambe distese a fianco delle mie. Così! Portati i miei piedi sul seno, strofinali dolcemente sulle tue graziose gemme d'amore. A meraviglia! Ah, sei deliziosa.


Tu, bionda dagli occhi azzurri, tocca a te. Sarai la mia regina!

Vieni a metterti a cavallo del trono. Prendi con una mano lo scettro in fiamme, nascondilo tutto nel tuo impero... Ouf! Non così svelto! Aspetta... sii lenta, cadenzata, come un cavaliere al piccolo trotto. Prolunga il piacere. E tu, così grande, così bella, dalle forme stupende, mettiti di traverso sopra la mia testa... A meraviglia! Tu mi sai capire. Divarica per bene le cosce... ancora! Che i miei occhi possano guardarti bene, la mia bocca divorarti, la mia lingua penetrarti a piacere! Cosa fai, dunque, tutta dritta? Chinati, offri i tuoi seni ai miei baci!" "A me! A me!" disse la bruna mostrandole la lingua sottile, acuta come un pugnale veneziano. "Vieni! Che io ti possa mangiare gli occhi e la bocca! Mi piaci in questo modo. Oh! Metti la mano qui... su! Adagio, adagio!" Ed ecco che ognuna si muove, si agita, si eccita al piacere.


Divoro con gli occhi la scena animata, quei movimenti lascivi, quelle pose insensate. Le grida, i sospiri s'intrecciano, si confondono. Mi circola il fuoco nelle vene. Sono tutto un fremito.


Le mie mani cozzano in un seno ansante o cercano, frenetiche, contratte, virtù ancor più segrete. La mia bocca prende il loro posto. Succhia avidamente, rosicchia, morde! Mi urlano di smetterla, che le uccido; e io ricomincio di nuovo!

Quell'eccesso mi sfinì. La testa mi ricadde pesantemente. Non avevo più forze.


"Basta, basta!" esclamai. "Oh! I miei piedi! Che solletichio voluttuoso! Mi fai male... mi esasperi, i piedi mi si contorcono e mi diventano rigidi! Oh!" Per la terza volta, sentivo avvicinarsi il delirio. Diedi furioso una spinta. Le mie tre bellezze persero contemporaneamente l'equilibrio e i sensi. Le accolsi tra le braccia, svenute, agonizzanti, e mi sentii inondato.


Gioie del cielo o dell'inferno! Erano torrenti di fuoco che non smettevano mai!

GAMIANI: Che piaceri avete gustato, voi Alcide! Oh, sono invidiosa! E tu, Fanny? L'insensibile dorme, credo!

FANNY: Lasciatemi, Gamiani. Togliete la mano, è pesante. Sono distrutta... morta... Che notte, Dio mio! Dormiamo... io...


La poveretta sbadigliando, si schermiva, si raggomitolava in un angolo del letto.


Volli attirarla a me.


"No, no", mi disse la contessa. "Capisco quello che prova. Quanto a me, io sono di un umore ben diverso dal suo. Sento una smania...


Sono tormentata, bramo! Ah! Vedete? Ne ho voglia da morire... I vostri due corpi che mi toccano, le vostre frasi, i vostri furori mi eccitano, mi sconvolgono. Ho il fuoco in corpo. Non so che cosa inventare... Oh, che rabbia!

IO: Che cosa state facendo, Gamiani? Vi alzate?

GAMIANI: Non ce la faccio più, ardo... io vorrei... Sfiancatemi, dunque! Stringetemi, picchiatemi... Oh, non poter godere!

I denti della contessa sbattevano violentemente, gli occhi le ruotavano spaventosi nell'orbita. Si agitava, si torceva. Era tremendo vederla. Fanny si sollevò colpita, spaventata. Da parte mia mi aspettavo una crisi di nervi.


Inutilmente le coprivo di baci le parti più tenere. Avevo le mani stanche dal gran torturare quella indomabile furia. I miei canali spermatici erano ostruiti o disseccati. La facevo sanguinare, ma il delirio non arrivava.


GAMIANI: Vi lascio... Dormite!

Con quelle parole, si slancia fuori dal letto, apre la porta e scompare.


IO: Che cosa cerca? Lo capite, voi, Fanny?

FANNY: Zitto, Alcide, ascoltate.. che urla! Si sta uccidendo...!

Dio! La porta è chiusa! Ah, è entrata nella camera di Julie.


Aspettate: lì c'è una finestra a vetri, potremo vedere tutto.


Avvicinate il canapé. Qui ci sono due seggiole, salite...


Che scena! Alla luce di un debole lume da notte, la contessa, con gli occhi orribilmente rovesciati da una parte, una saliva schiumante alle labbra, le cosce striate di sangue e di sperma, si rotolava su un largo tappeto di pelle di gatto: le sue reni si sfregavano sul pelo con agilità impareggiabile. A tratti agitava le gambe in aria, si rizzava quasi tutta, appoggiandosi sulla testa, mettendo in mostra tutta la schiena, per ricadere poi con una risata spaventosa.


GAMIANI: Julie, a me! Vieni, la testa mi gira... Ah, dannata pazza, guarda che ti mordo!

E Julie, anche lei nuda, ma nel pieno delle forze, vigorosa, afferrate le mani della contessa le legava insieme, come i piedi.


L'eccesso giunse allora al colmo. La convulsione mi fece paura.


Julie, senza dar segno del minimo stupore, danzava, saltava come una pazza, si stimolava, si abbatteva in deliquio su di una poltrona.


La contessa seguiva con gli occhi tutti i suoi movimenti. La sua impossibilità a provare gli stessi furori, ad assaporare la stessa ebbrezza, raddoppiava la sua rabbia: era proprio un Prometeo femmina dilaniato da cento avvoltoi in una volta.


GAMIANI: Medoro! Medoro! Prendimi! Prendi!

A quel grido un cane enorme esce da un nascondiglio, si slancia sulla contessa e comincia a leccare un clitoride la cui punta sporgeva rossa e infiammata.


La contessa gridò ad alta voce: "Ahi! Ahi! Ahi!" aumentando sempre il tono a seconda dell'intensità del piacere. Si sarebbero potute calcolare le gradazioni dell'eccitamento che provava quella sfrenata calimantide.


GAMIANI: Latte, il latte! Oh, del latte!

Non ebbi la possibilità di capire quella esclamazione, vero grido di disperazione e di angoscia, fintanto che Julie non riapparve, armata di un enorme fallo riempito di un latte caldo, che a piacere una molla faceva sprizzare a dieci passi di distanza.


Servendosi di alcune cinghie, ella sistemò l'ingegnoso strumento nel posto voluto. Il più generoso degli stalloni non si sarebbe rivelato, almeno in grossezza, più favorito. Non potevo credere che ci sarebbe stata penetrazione, fino a che, con mia grande sorpresa, cinque o sei attacchi forsennati, tra grida acute e deliranti, bastarono per far sparire e inghiottire quell'enorme marchingegno: la si sarebbe detta la Cassandra di Casani.


Il va-e-vieni veniva eseguito con consumata esperienza, quando Medoro, spodestato ma sempre docile agli insegnamenti, si slancia sulla maschia Julie, le cui cosce, semidivaricate e in movimento mettevano in vista l'offerta più deliziosa. Medoro fece tanto e così bene che Julie rapidamente si fermò e svenne, sopraffatta dal piacere.


Un godimento di quel tipo deve essere molto intenso, poiché niente è simile all'espressione che esso dà ad una donna.


Irritata dal ritardo che prolungava il suo dolore e differiva il piacere, la sventurata contessa bestemmiava, imprecando come una dannata.


Riavutasi, Julie ricominciò subito e con più vigore. Da un sussulto impetuoso della contessa, dai suoi occhi chiusi e dalla bocca spalancata, capì che il momento era vicino: e il dito lasciò andare la molla.


GAMIANI Ah ! Ah ! Ferma... Fondo! Ahi! Ahi! Godo! Oh...!

Infernale passione. Non avevo più la forza di togliermi dal mio posto. Avevo smarrito la ragione e i miei occhi erano soggiogati.


Quei trasporti furibondi, quelle brutali voluttà mi davano le vertigini. In me scorreva solo sangue infuocato, tumultuoso; niente altro che lussuria e depravazione. Ero furente d'amore come una belva. Anche il volto di Fanny era stranamente cambiato. Aveva lo sguardo fisso, le braccia rigide per il nervosismo e tese verso di me. La bocca semiaperta e i denti sbarrati indicavano tutta la smaniosità di una sessualità delirante, prossima al parossismo della rabbia, del piacere, che esige l'eccesso.


Appena ritornati vicini al letto, ci buttammo con un balzo l'uno sull'altro. I nostri corpi si toccavano, si sfregavano, si elettrizzavano con rapidità in ogni punto. Fu, in mezzo a strette convulse, a morsicate frenetiche, un accoppiamento mostruoso, accoppiamento di carne e di ossa, godimento brutale, rapido, divorante, proveniente solo dal sangue.


Finalmente il sonno mise fine a tutti quei furori.




Capitolo 3



Dopo cinque ore di calma benefica, fui il primo a risvegliarmi. Il sole brillava con tutti i suoi dardi. I raggi passavano allegramente tra le tende e si trastullavano, con riflessi dorati, sui ricchi tappeti, le stoffe seriche.


Quel risveglio incantevole, colorato, poetico, dopo una notte immonda, mi restituì a me stesso. Soltanto, mi sembrava di essere uscito da un incubo spaventoso; avevo tra le braccia, sotto la mano, un seno che palpitava dolcemente, un seno di giglio e di rosa, così giovane, fragile e puro, che si poteva aver paura di farlo appassire, solo a sfiorarlo in punta di labbra. Oh, che deliziosa creatura! Fanny, sprofondata nel sonno, seminuda su un letto all'orientale, incarnava ogni ideale dei sogni più belli: la testa riposava con grazia appoggiata su un tondo braccio; il profilo aveva linee soavi e pure come un disegno di Raffaello; il corpo, in ogni minimo particolare, come nell'insieme, era di una portentosa bellezza.


Era una voluttà grandissima, assaporare così a profusione la vista di tante bellezze, ma faceva anche pena pensare che una sola notte era bastata per farle avvizzire, dopo quindici vergini primavere.


Freschezza, grazia, giovinezza: la mano dell'orgia aveva tutto insudiciato, insozzato, coperto di lordura e di fango.


Quell'anima così ingenua, così tenera, quell'anima fino a quel momento dolcemente cullata dalla mano degli angeli, lasciata ormai in balia dei demoni impuri! Niente più illusioni e sogni, niente primo amore e dolci sorprese...


Una poetica vita di fanciulla perduta per sempre!

Si risvegliò, la povera bimba, quasi sorridendo. Credeva di ritrovare il mattino di sempre, i suoi dolci pensieri, la sua innocenza. Ahimè! Mi vide. Quello non era affatto il suo letto, quella non era la sua camera. Oh! Il suo dolore faceva male. I singhiozzi la soffocavano. Io la contemplavo commosso, vergognandomi di me stesso. La tenevo stretta tra le braccia.


Bevevo con ebbrezza ciascuna delle sue lacrime!

I miei sensi erano senza parole. Solo la mia anima si effondeva tutta intera, l'amore si dipingeva vivido e ardente nelle mie parole e nei miei occhi.


Fanny mi ascoltava muta, stupita, ammaliata: respirava il mio alito, il mio sguardo, a tratti mi stringeva e sembrava dirmi: "Oh sì, ancora tua, tutta tua!". Come mi aveva consegnato il corpo, ingenua innocente, così abbandonava la sua anima, fiduciosa, inebriata. Credetti di prenderla dalle sue labbra con un bacio: le diedi tutta la mia.


Fu il cielo, e fu tutto! Infine ci alzammo. Volli vedere un'altra volta la contessa. Era ignobilmente buttata a terra, il volto disfatto, il corpo sudicio, insozzato come una donna ubriaca che si è gettata nuda sul ciglio di una via. Sembrava smaltire la lussuria.


"Usciamo" esclamai. "Andiamocene, Fanny! Fuggiamo da questa spregevole dimora!"




SECONDA PARTE


Pensavo che Fanny, così giovane, pura di cuore, conservasse di Gamiani soltanto un ricordo di orrore e disgusto. La colmavo di tenerezza e di amore, le prodigavo le carezze più dolci e inebrianti. A volte la sommergevo di piacere, nella speranza che essa non concepisse altra passione da quella riconosciuta dalla natura, quella che fonde i due sessi nella gioia dei sensi e dell'anima. Ahimè, mi sbagliavo. La sua immaginazione era stata marchiata e andava oltre tutti i nostri piaceri. Niente uguagliava, agli occhi di Fanny, gli slanci dell'amica. I nostri accessi più intensi le sembravano fredde carezze, se paragonati ai furori che aveva conosciuto in quella notte funesta.


Mi aveva giurato che non avrebbe più rivisto Gamiani, ma il giuramento non soffocava il desiderio che lei nutriva segretamente. Invano lottava: quel combattimento interiore serviva soltanto ad eccitarla di più. Compresi ben presto che non avrebbe resistito. Avevo perduto la sua fiducia: era necessario, per poterla osservare, che mi nascondessi.


Attraverso un pertugio abilmente praticato, potevo contemplarla ogni sera mentre andava a letto.


Infelice! La vidi spesso piangere sul letto, torcersi, rotolarsi disperata, e, tutt'a un tratto, stracciarsi le vesti, gettarle via, mettersi completamente nuda davanti ad uno specchio con l'occhio smarrito, come una pazza. Si toccava, si batteva, si stimolava al piacere con una frenesia insensata e brutale. Non potevo più guarirla, ma volli vedere a che punto sarebbe arrivato quel delirio dei sensi.


Una sera, mentre io ero al mio posto, Fanny stava per coricarsi quando la sentii esclamare:

"Chi è? Siete voi Angelica? Gamiani! Oh, Signora, ero lontana." GAMIANI: Certo: voi mi sfuggite, mi respingete. Ho dovuto giocare d'astuzia. Ho ingannato, allontanato i servi ed eccomi qui!


FANNY: Non mi è possibile capirvi, tanto meno qualificare la vostra ostinazione. Ma se ho tenuto segreto quello che so su di voi, il mio rifiuto formale di ricevervi doveva bastare per dire che la vostra presenza è per me importuna, odiosa... Vi respingo, vi odio... Lasciatemi stare, disgraziata! Allontanatevi, evitate uno scandalo...


GAMIANI: Ho preso le mie precauzioni e le mie decisioni: non sarete voi a cambiarle, Fanny. Oh, la mia pazienza è agli sgoccioli!

FANNY: Ebbene, cosa avete in animo di fare? Costringermi di nuovo, violentarmi, insozzarmi? Oh, no, signora! Uscite, oppure chiamerò i servi!

GAMIANI: Che bambina! Siamo sole. Le porte sono chiuse, ho buttato le chiavi dalla finestra. Voi siete mia! Calmatevi, non abbiate paura.


FANNY: Per Dio! Non toccatemi!

GAMIANI: Fanny, ogni resistenza è vana. In ogni caso soccomberete.


Sono la più forte, e la passione mi anima. Neppure un uomo avrebbe la meglio su di me! Andiamo! Tremi! Impallidisci! Dio mio! Fanny, Fanny mia! Sta male! Oh che cosa ho fatto? Torna in te, torna in te! Se ti stringo a me in questo modo è per amore. Ti amo tanto, ti amo, vita mia, anima mia! Non puoi dunque proprio capirmi?

Su! Io non sono cattiva, piccola mia, tesoro...! No sono buona, molto buona, perché amo. Guardami negli occhi, senti come mi batte il cuore. Voglio solo la tua gioia, che tu sia ebbra tra le mie braccia. Torna in te, rinvieni con i miei baci! Oh follia! Io l'adoro questa bimba...!

FANNY: Mi ucciderete! Dio mio! Lasciatemi, lasciatemi dunque, insomma! Siete orribile!

GAMIANI: Orribile? Orribile! Che cosa ho, che possa ispirare tanto orrore? Non sono ancora giovane? Non sono anche bella? Ovunque, tutti lo dicono. E il mio cuore! Ce n'è un altro più capace di amore? Il fuoco che mi strugge, mi divora, il fuoco ardente dell'Italia che dà forza ai miei sensi e mi fa trionfare là dove tutti gli altri desistono, è dunque una cosa orribile? Dimmi...


un uomo, un amante, che cos'è in confronto a me? Due o tre battaglie lo abbattono, lo sconvolgono: alla quarta rantola, impotente, le reni gli si piegano nello spasimo del piacere. Fa compassione! Io, invece, sono ancora vigorosa, fremente e insoddisfatta. E' vero, io personifico le gioie ardenti della materia, le gioie brucianti della carne! Lussuriosa, implacabile, io do un piacere senza limiti, sono l'amore che uccide!

FANNY: Basta! Gamiani basta!

GAMIANI: No, no! Ascolta ancora, ascolta, Fanny. Essere nude, sentirsi giovani e belle, odorose, bruciare di amore e tremare di piacere, toccarsi, fondersi, esalare corpo e anima in un sospiro, in un solo grido, un grido d'amore. Fanny, Fanny! Questo è il paradiso!

FANNY: Che parola! Che sguardi! Ed io vi ascolto, vi guardo... Oh, sono così debole! Voi mi ammaliate... Che cos'è dunque la tua potenza? Tu ti mescoli con la mia carne, con le mie ossa, sei un veleno! Oh, sì, tu sei orribile e... io ti amo!

GAMIANI: Ti amo! Ti amo! Dillo ancora, dillo ancora, ma è una parola che scotta!

Gamiani era pallida, immobile, con gli occhi spalancati, le mani giunte, in ginocchio davanti a Fanny. Si sarebbe detto che il cielo l'avesse improvvisamente colpita per farla diventare di marmo. Era sublime nell'annichilimento e nell'estasi.


FANNY: Sì! Sì! Ti amo con tutte le forze del mio corpo! Ti voglio, ti desidero! Oh, mi farà impazzire!

GAMIANI: Che cosa dici, amatissima, che cosa dici? Io sono felice...! I tuoi capelli sono belli: come sono belli! Scivolano tra le mie dita, fini, dorati, come seta. La tua fronte è purissima, più bianca di un giglio. I tuoi occhi sono belli, la tua bocca è bella. Sei bianca, liscia, profumata, celestiale dalla testa ai piedi! Sei un angelo, sei la voluttà! Oh, queste rose, questi legacci! Mettiti dunque nuda...! Presto vieni a me! Sono nuda, io! Guarda! Certo! Abbagliante...! resta in piedi, che io ti possa ammirare. Se potessi dipingerti, ti raffigurerei in un solo tratto! Aspetta, che io ti baci i piedi, le ginocchia, i seni, la bocca! Abbracciami! Stringimi! Più forte! Più forte! Che gioia!

Lei mi ama...!

I due corpi ne formavano uno solo. Solamente, le teste si tenevano divise e si guardavano con espressione rapita. Gli occhi erano di fuoco, le guance di un rosso ardente. Le bocche palpitavano, ridevano, o si mescolavano con impeto. Udii esalare un sospiro, un altro rispondergli. Poi, fu un grido, un grido soffocato, e le due donne restarono immobili.


FANNY: Sono stata felice, molto felice!

GAMIANI: Anch'io Fanny mia, e di un piacere che mi era ignoto.


Erano l'anima e i sensi riuniti sulle tue labbra... Vieni sul tuo letto, vieni ad assaporare una notte di ebbrezza!

Con queste parole si trascinarono a vicenda verso l'alcova. Fanny si butta sul letto, si sdraia, si mette voluttuosamente supina.


Gamiani, inginocchiata su di un tappeto, l'attira al seno, la circonda con le braccia.


In silenzio, la contempla con languore. Ben presto le smancerie ricominciano. Ai baci rispondono i baci, le mani volano, abili nel tocco. Gli occhi di Fanny esprimono il desiderio e l'attesa.


Quelli di Gamiani il disordine dei sensi. Colorite, ravvivate dal fuoco del piacere, ai miei occhi sembra che entrambe emettano scintille. Quelle furie deliranti, a forza di frenesia e di passione, rendevano in qualche modo poetica la loro corruzione senza limiti: parlavano contemporaneamente ai sensi e all'immaginazione.


Avevo un bel farmi ragionamenti, condannare dentro di me quelle assurde follie; presto fui rimestato, riscaldato, in preda al desiderio. Trovandomi nell'impossibilità di andare a unirmi a quelle due donne nude, assomigliavo ad una bestia feroce tormentata dalla fregola e che divora con gli occhi la sua femmina, attraverso le sbarre della gabbia. Restavo immobile, instupidito, con la testa inchiodata alla fessura dalla quale aspiravo, per così dire, la mia tortura; tortura da dannato, tremenda, insopportabile, che all'inizio prende alla testa, poi si mescola con il sangue, penetra nelle ossa fino a bruciare la midolla. Soffrivo oltre misura, a forza di sentire. Mi sembrava che i nervi, tesi, irritati, avrebbero finito con il rompersi. Le mie mani, contratte, si aggrappavano al pavimento. Non respiravo più, sbavavo. Persi la testa. Divenni pazzo furioso e mi impugnai con rabbia; sentii tutto il mio vigore di uomo agitarsi furibondo tra le mie dita serrate, trasalire un istante, poi fondere e fuggire via in schizzi ardenti, come una rugiada di fuoco, godimento strano che brucia e scaraventa a terra!

Riavutomi, mi sentii spossato. Avevo le palpebre pesanti, la testa che si reggeva appena. Avrei voluto strapparmi dal mio posto: un sospiro di Fanny mi trattenne. Ero posseduto dal demonio della carne. Mentre con le mani faticavo per rianimare il mio vigore assopito, mi immersi nella contemplazione della scena che mi gettava in un così orribile sconvolgimento.


La loro posizione era cambiata. Le mie tribadi erano a cavallo l'una sull'altra, cercando di mescolare le loro lanugini folte, di sfregare le due parti contemporaneamente. Si assalivano, si respingevano con un accanimento, un vigore che solo l'approssimarsi del godimento può dare alle donne. Si sarebbe detto che esse volessero ferirsi, spaccarsi, tanta era la violenza dei loro sforzi, tanto il loro respiro era forte, ansimante.


"Ahi! Ahi !" esclamava Fanny, "Non ne posso più, tutto questo mi uccide! Va avanti da sola, va...!" "Ancora!" rispondeva Gamiani. "Sto per raggiungere il godimento!

Spingi! Prendi dunque! Prendi! Sto scorticandomi, credo...! Ah! Lo sento, colo... Ah!"


La testa di Fanny cadeva senza forza. Gamiani scuoteva la sua, mordeva le lenzuola, si masticava i capelli che le cadevano sulla faccia. Seguivo i loro slanci, i loro sospiri: arrivai con loro al colmo della voluttà.


FANNY: Che fatica! Sono in pezzi, ma che piacere ho avuto!

GAMIANI: Più lo sforzo dura, più è faticoso allora il godimento è anche più intenso e prolungato!

FANNY: L'ho provato. Sono stata per più di cinque minuti immersa in una specie di vertigine inebriante. L'eccitazione raggiungeva tutte le mie membra. Lo sfregare dei peli contro una pelle così tenera mi provocava una brama divorante. Mi rotolavo nel fuoco, nella gioia dei sensi. O follia! Oh felicità! Godere! Come capisco ora questa parola!

Una cosa mi stupisce, Gamiani. Come mai tu, che sei ancora così giovane, hai tutta questa esperienza dei sensi? Mai avrei immaginato tutte le nostre stravaganze. Da dove ti viene la tua sapienza? Da dove viene la tua passione, che a tratti mi spaventa?

La natura non ci fa in questo modo.


GAMIANI: Vuoi dunque sapere di me? Ebbene, circondami con le braccia, intrecciamo le gambe, stringiamoci! Ti racconterò la mia vita in convento. E' una storia che potrà darci alla testa, infonderci nuovi desideri.


FANNY: Ti ascolto, Gamiani.


GAMIANI: Hai dimenticato il supplizio atroce che mi fece subire la zia per soddisfare la sua lubricità? Capii la mostruosità della sua condotta e subito mi impadronii di alcune carte a garanzia del mio patrimonio. Presi anche gioielli, denaro, e, approfittando di un'assenza della mia degna parente, andai a cercare rifugio in un convento di suore della Redenzione. La superiora, certo commossa della mia giovane età e dalla mia apparente timidezza, mi fece l'accoglienza più adatta a dissipare le mie paure e il mio imbarazzo.


Le raccontai quello che mi era successo, le chiesi asilo e protezione. Essa mi prese tra le braccia, mi strinse affettuosamente e mi chiamò figlia. Poi, mi parlò della vita tranquilla e dolce del convento. Rinfocolò ancor più il mio odio per gli uomini e concluse con una pia esortazione che mi parve la parola di un'anima divina. Per rendermi meno percettibile il brusco passaggio dalla vita mondana a quella del convento, si decise che sarei rimasta accanto alla superiora e che alla sera avrei dormito nella sua alcova. Già la seconda sera eravamo intente a discorrere con la più grande familiarità possibile. La superiora si rigirava, si agitava senza posa nel letto. Si lamentava del freddo, e mi pregò di sdraiarmi nel suo letto per riscaldarla. La trovai completamente nuda. "Si dorme meglio, senza camicia", disse. Mi esortò a togliermi anche la mia, cosa che feci per farle piacere.


"Oh, piccola!" esclamò, toccandomi. "Tu scotti! Come è dolce la tua pelle! Che barbari! Osare martorizzarti in quel modo! Devi aver sofferto molto! Raccontami, dunque che cosa ti hanno fatto.


Ti hanno picchiata? Dimmi!" Le ripetei la mia storia con tutti i particolari, calcando su quelli che mi sembrava la interessassero di più. Il piacere che traeva dal sentirmi parlare era così intenso da provocarle straordinari sussulti.


"Povera bambina! Povera bambina!" ripeteva, stringendomi con tutte le sue forze.


Senza accorgermene, mi trovai distesa sopra di lei. Aveva le gambe incrociate sulle mie reni e con le braccia mi circondava. Un odore tiepido e penetrante si diffondeva in tutto il mio corpo. Provavo un benessere sconosciuto, delizioso, che comunicava alle mie ossa, alla mia carne un non so qual sudore amoroso che mi faceva scorrere dentro come una lattea dolcezza.


"Siete buona, molto buona", dissi alla superiora,. "Vi amo, sono felice accanto a voi. Non vorrei mai lasciarvi!" La mia bocca si incollava sulle sue labbra, e riprendevo con ardore:

"Ah! Sì, vi amo da morire... Non so... ma sento..." La mano della superiora mi blandiva lentamente. Il suo corpo si dimenava dolcemente sotto il mio. Il suo vello duro e fitto, si mischiava con il mio, mi pungeva nel vivo e mi provocava un diabolico pizzicore. Ero fuori di me, in preda a un fremito così forte che tutto il mio corpo tremava. Mi fermai di colpo, a un bacio violento che la superiora mi aveva dato:

"Mio Dio!" esclamai, "Lasciatemi...! Ah!" Mai rugiada più abbondante, più deliziosa, seguì una tensione d'amore.


Passata l'estasi, per nulla prostrata, mi precipito di nuovo sulla mia esperta compagna, la mangio di carezze. Le prendo la mano e la guido in quel posto che aveva appena tanto eccitato. La superiora, vedendomi in quello stato, si abbandona anche lei, diventa come una baccante. Entrambe rivaleggiamo in ardore, in baci, in morsi!

Quanta agilità, che flessuosità avevano le membra di quella donna!

Il suo corpo si piegava, si distendeva, si scuoteva fino a stordirmi.


Non ce la facevo più. Facevo appena in tempo a restituire un solo bacio di tutti quelli che mi piovevano addosso dalla testa ai piedi. Mi sembrava di essere mangiata, divorata in mille punti!

Quell'incredibile attività di toccamenti bramosi mi mise in uno stato che è impossibile descrivere.


O Fanny! Avresti dovuto essere testimone dei nostri assalti, dei nostri impeti! Se ci avessi visto entrambe, furibonde, ansimanti, avresti capito ciò che può su due donne in amore l'impero dei sensi. Ad un tratto la mia testa si ritrovò serrata tra le cosce della mia gladiatrice. Credetti di capire ciò che bramava.


Ispirata dalla passione, presi a mordicchiare le sue parti più tenere. Ma stavo rispondendo male alle sue richieste.


Ecco che mi riporta presto su di lei, scivola sotto il mio corpo e schiudendomi abilmente le cosce, rapida mi aggredisce con la bocca. La sua lingua svelta e appuntita mi punge, mi scandaglia, come uno stile che si affondi e rapidamente si ritiri. I suoi denti mi afferrano e sembra vogliano lacerarmi... Cominciai ad agitarmi come una pazza. Respinsi la testa della superiora, le tiravo i capelli. Lei allora mollava la presa: mi esplorava con dolcezza, mi iniettava la saliva, mi leccava con lentezza o mi mordicchiava i peli e la carne con una delicatezza così lieve e nello stesso tempo così sensuale, che solo a ricordarmela stillo di piacere. Oh, quelle delizie! Che furore mi possedeva! Urlavo senza ritegno, mi abbattevo massacrata o mi sollevavo smarrita, e sempre quella punta rapida e acuta mi raggiungeva, mi trafiggeva con violenza! Due labbra sicure e sottili mi prendevano il clitoride, lo pizzicavano lo stringevano fino a recidermi l'anima!

No, Fanny, è impossibile sentire, godere più di una volta in quel modo nella propria vita. Che tensione nei miei nervi. Che pulsare, nelle arterie. Quanto ardore nella carne e nel sangue. Bruciavo, fondevo e sentivo una bocca avida, insaziabile, aspirarmi perfino l'essenza della vita. Te l'assicuro, mi fece disseccare, e avrei dovuto essere inondata di sangue e di liquidi. Ma come fui felice!

Fanny, Fanny, non ce la faccio più! Quando parlo di quel parossismo, mi pare di provare ancora uguali, divoranti titillamenti! Finiscimi...! Più in fretta! Più forte!... Bene, così va bene! Ecco, muoio!

Fanny era peggio di una lupa affamata.


"Basta! Basta!" ripeteva Gamiani. "Tu mi sfianchi, diavolo di una ragazza. Ti pensavo meno esperta, meno appassionata. Vedo che fai progressi. Il fuoco ti possiede".


FANNY: Come è possibile altrimenti? Bisognerebbe essere privi di sangue e di vita, per restare insensibili con te! Che cosa hai fatto, poi?

GAMIANI: Resa più sapiente, allora, restituii fino all'esaurimento, soffocai la mia ardente compagna. Ogni imbarazzo ormai era stato tra noi bandito e seppi ben presto che le suore della Redenzione si abbandonavano tra loro ai furori dei sensi, che avevano un luogo segreto di riunione e di orgie, per folleggiare a loro agio. Il sabba infame iniziava tre ore dopo il vespro e terminava con il mattutino.


La superiora mi espose la sua filosofia. Ne fui spaventata, al punto che la ritenevo Satana in carne e ossa. Tuttavia, lei mi rassicurava con delle piacevolezze, e mi divertì oltremodo raccontandomi come aveva perso il pulzellaggio. Non potresti mai indovinare a chi fu donato il prezioso tesoro! La storia è singolare e merita di essere raccontata.


La superiora, che ora chiamerò Santa, era figlia di un comandante di vascello. La madre, donna di spirito e intelligenza, l'aveva educata a tutti i principi della santa religione, cosa che non impedì agli istinti della giovane Santa di svilupparsi precocemente. Dall'età di dodici anni provava voglie irrefrenabili che cercava di soddisfare con tutto quanto può escogitare di più bizzarro una fantasia inesperta. La sventurata si tormentava ogni notte: le sue dita, insufficienti, sprecavano giovinezza e salute.


Un giorno, vide due cani che si accoppiavano. La sua curiosità impudica osservò talmente bene la meccanica dell'agire di ogni sesso, che riuscì a capire meglio finalmente che cosa le mancava.


La conoscenza portò all'estremo il supplizio. Vivendo in una casa isolata, circondata da vecchie domestiche, come poteva sperare di trovare quella freccia viva, così rossa, così veloce che l'aveva riempita di stupore e che supponeva dovesse esistere anche per la donna? A forza di tormentarsi lo spirito, la mia ninfomane si rammentò che la scimmia, tra tutti gli animali, è quella che più assomiglia all'uomo. Suo padre aveva proprio uno stupendo orang - utàn. Si precipitò a guardarlo, a studiarlo, e poiché lungamente indugiava ad esaminarlo, l'animale, senza dubbio eccitato dalla presenza della fanciulla, si sviluppò di colpo nel modo più splendente. Santa si mise a saltare di gioia. Aveva trovato finalmente quello che aveva cercato, che aveva sognato tutte le notti. Il suo ideale le compariva innanzi reale e palpabile. Come per sortilegio, l'indescrivibile gioiello svettava più saldo, più ardente, più minaccioso di quanto mai avrebbe potuto ambire. I suoi occhi lo divoravano. La scimmia si avvicinò e si dimenò così bene che la povera Santa perse la testa. Travolta dalla follia, forza una sbarra della gabbia e apre un interstizio di cui la bestia lubrica subito si approfitta. Otto pollici, ben in mostra, risaltavano a meraviglia. Tanta ricchezza spaventò dapprima la verginella. Tuttavia, incitata dal diavolo, osò guardare più da vicino. La sua mano palpò, accarezzò. La scimmia sussultò violentemente: la sua smorfia era orrenda. Santa, terrorizzata, credette di vedersi davanti Satana. La paura la trattenne. Stava per allontanarsi, quando un ultimo sguardo gettato sull'esca fiammeggiante risvegliò le sue brame. Subito si fa coraggio, solleva le gonne con aria decisa e cammina valorosamente all'indietro, porgendo la schiena alla temibile punta. Inizia il tenzone, piovono i colpi, la bestia diventa uguale all'uomo. Santa si fa bestia, scimmia e viene sverginata. Il suo godimento, i suoi slanci esplodono in una gamma di oh! e di ah!, ma di un tono così alto che la madre sente, accorre e sorprende la figlia infarcita di tutto punto, che si contorce, si dibatte e sta sputando l'anima.


FANNY: La farsa è impagabile!

GAMIANI: Per guarire la povera fanciulla dalla sua mania scimmiesca la misero in convento.


FANNY: Meglio sarebbe stato abbandonarla a tutte le scimmie.


GAMIANI: Potrai tra un po' giudicare quanto hai ragione. Data la mia indole, mi adattavo di buon grado a una vita di feste e di piaceri; acconsentii con gioia a venire iniziata ai misteri dei saturnali monastici. Fui presentata due giorni dopo che la mia ammissione era stata accettata in capitolo. Arrivai nuda, secondo le regole. Feci il giuramento richiesto e per completare la cerimonia mi prostituì ad un enorme priapo di legno destinato allo scopo. Avevo appena finito una dolorosa libagione, che la banda delle suore mi si scaraventò addosso, più smaniosa di un branco di cannibali. Presi le pose più oscenamente espressive. Alla fine terminai con una ridda turpe e venni proclamata vincitrice. Ero estenuata. Una suorina vivacissima e molto sveglia, più raffinata della superiora, mi trascinò nel suo letto. Era davvero la più dannata tribade che l'inferno potesse creare. Concepii nei suoi confronti una vera passione carnale, e stemmo quasi sempre insieme durante le grandi orge notturne.


FANNY: In che luogo si tenevano i vostri incontri?

GAMIANI: In un'ampia stanza che l'arte e lo spirito della corruzione si erano compiaciuti di abbellire. Ci si entrava attraverso due grandi porte accuratamente chiuse alla moda degli Orientali, con fastosi drappi, orlati di frange d'oro, ornati da mille disegni bizzarri. I muri erano tappezzati di velluto blu scuro che incorniciava una larga lista di legno di cedro, magistralmente intarsiata. Ad intervalli regolari c'erano grandi specchi che andavano dal soffitto a toccare il pavimento. Nelle scene orgiastiche, i gruppi nudi delle monache deliranti vi si riflettevano in mille forme, o si stagliavano netti e splendenti sugli sfondi tappezzati. I cuscini dei divani servivano da sedili e, ancor meglio, ai trastulli voluttuosi, alle posizioni lubriche.


Un doppio tappeto, di fine tessuto, delizioso al tatto, copriva il pavimento. Vi si vedevano rappresentati, in una sorprendente magia di colori, venti gruppi d'amore, in attitudini lascive, adatte a riattizzare i desideri sopiti. Le pitture del soffitto offrivano allo sguardo le più parlanti immagini della follia e della dissolutezza. Mi ricorderò per sempre una tiade smaniosa che tormentava un coribante. Mai ho potuto guardare quell'affresco, senza essere immediatamente stimolata al piacere".


FANNY: Doveva essere una delizia, vederlo!

GAMIANI: Aggiungi anche, alla ricchezza degli addobbi, l'obnubilamento generato dai fiori e dai profumi, un calore costante, temperato, e inoltre una luce morbida, misteriosa, che si diffondeva da sei lampade di alabastro, più dolce del riflesso di un opale. Ogni cosa ci faceva nascere dentro un certo qual vago stordimento misto di desiderio inquieto, di fantasticherie sensuali. Era l'Oriente, con il suo lusso, la sua poesia, la sua pigra voluttà. Era il mistero dell'harem, le sue segrete delizie e sopra ogni cosa, il suo ineffabile languore.


FANNY: Deve essere stato dolce trascorrere in quel luogo notti di ebbrezza con accanto un essere amato!

GAMIANI: Certamente l'amore ne avrebbe fatto il suo tempio, se un'orgia laida e schiamazzante non l'avesse trasformato ogni sera in covo immondo.


FANNY: Perché?

GAMIANI: Appena suonava la mezzanotte, le suore arrivavano vestite di una semplice tunica nera, per fare risaltare il biancore delle carni. Erano tutte a piedi nudi, con i capelli al vento. Come d'incanto, subito compariva una tavola splendidamente imbandita.


La superiora dava il segnale e noi si rispondeva all'invito.


Alcune stavano sedute, altre adagiate sui cuscini. Le vivande squisite, i vini tiepidi eccitanti venivano spazzati via con un appetito insaziabile. Quei volti di donne consunti dalla dissolutezza, freddi, pallidi alla luce del giorno, si colorivano, si accendevano a poco a poco. I vapori bacchici, gli intrugli, drogati con la cantaride, mettevano ii fuoco in corpo, lo stordimento nella testa. La conversazione si animava, rumoreggiava confusa e finiva sempre in parole oscene, provocazioni deliranti che ci lanciavamo e restituivamo in mezzo a canzoni, risa, scoppi, un cozzare di bicchieri e bottiglie. La monaca più smaniosa, più eccitata, si gettava all'improvviso sulla sua vicina e le dava un bacio violento che elettrizzava l'intera banda. Si formavano le coppie, si allacciavano, si torcevano in abbracci impetuosi. Si sentiva il rumore delle labbra che si appiccicavano alle carni, delle bocche che si fondevano furiosamente. Poi, incominciavano sospiri soffocati, parole morenti, urla di ardore o di sfinimento.


Presto le guance, i seni, le spalle non bastavano più per i baci sfrenati. Le vesti venivano sollevate o gettate da parte. Era uno spettacolo unico, allora, quello di tutti quei corpi di donne, flessuosi, aggraziati, incastrati nudi l'uno sull'altro, che si agitavano, si stringevano, con la raffinatezza e l'irruenza di una sensualità esperta. Se il colmo del piacere tardava troppo per l'impaziente desiderio, ci si distaccava un attimo, per riprendere fiato. Ci si contemplava con gli occhi di fuoco e si gareggiava a chi prendesse la posa più lasciva e più provocante. Chi delle due primeggiava per gesti osceni, si trovava a un tratto la rivale che, smarrita, le si buttava addosso, la rovesciava, la copriva di baci, la mangiava di carezze, la divorava fin nel più riposto centro dei piaceri, atteggiandosi sempre in modo da poter ricevere uguali assalti. Le due teste si nascondevano tra le cosce: il corpo ormai era uno solo, agitato, tormentato da convulsioni e dal quale esalava un rantolo sordo di voluttà lubrica, seguito da un doppio urlo di godimento.


"Stanno godendo! Stanno godendo!", ripetevano allora le monache. E le pazze si scagliavano, sconvolte, le une sulle altre, più furiose di belve sguinzagliate in un'arena.


Smaniose di godere, a loro volta si davano agli sforzi più impetuosi. A forza di salti, di slanci, i gruppi cozzavano tra di loro e cadevano a terra nella confusione, ansanti, sfiniti, stremati di orgia e di lussuria; confusione grottesca di donne nude, in deliquio, morenti, ammassate nel più ignobile disordine che spesso venivano a illuminare le prime luci dell'alba.


FANNY: Che follie!

GAMIANI: Ma non finiva lì: c'erano variazioni infinite. Prive di uomini, ci ingegnavamo ancora di più a inventare stravaganze. Ci erano noti tutti i riti priapici, tutte le storie oscene dell'antichità e dei tempi moderni. Le superavamo di gran lunga.


Elefantide e l'Aretino avevano meno immaginazione di quanto ne avessimo noi. Sarebbe troppo lungo enumerare i nostri artifici, le astuzie, i filtri meravigliosi con cui ci rimettevano in forze, risvegliavamo i desideri, li soddisfavamo. Potrai giudicare tu stessa dal trattamento singolare al quale sottoponevamo una di noi per stimolarne la carne. Dapprima la immergevamo in un bagno di sangue caldo per risvegliarne il vigore. Poi, beveva una pozione di cantaride, si sdraiava sul letto e si faceva frizionare in tutto il corpo. Con l'aiuto dell'ipnosi, cercavamo d'addormentarla. Appena si era sprofondata nel sonno, noi la disponevamo in modo acconcio, la frustavamo a sangue, la pungevamo. La paziente si svegliava in mezzo alla tortura. Si sollevava smarrita, ci fissava come una folle e subito entrava in violente convulsioni. Sei persone facevano fatica a trattenerla.


Solo la leccata di un cane poteva calmarla. La sua furia si sfogava a fiotti. Ma se il sollievo non arrivava, la sventurata diventava più terribile, e a gran voce richiedeva un asino.


FANNY: Un asino, misericordia!

GAMIANI: Sì, cara mia, un asino! Ne avevamo due, ben ammaestrati, molto docili. In niente volevamo essere da meno delle matrone romane, che ne facevano uso nei loro saturnali.


La prima volta che fui messa alla prova, ero nel delirio del vino.


Mi precipitai con violenza sullo sgabello, sfidando tutte le monache. Subito l'asino fu rizzato davanti a me con l'aiuto di una coréggia. La sua terribile daga, infocata dalle mani delle monache, mi colpiva pesantemente sul deretano. Lo presi con due mani, lo appoggiai all'orifizio, e dopo averlo strofinato per alcuni secondi, cercai di introdurlo. Aiutandomi con i movimenti, con le dita e con una pomata rilassante, ben presto ne fui padrona per almeno cinque pollici. Volli spingere ancora, ma le forze mi vennero meno. Ricaddi. Mi sembrava che la pelle mi si lacerasse, di essere squarciata, squartata! Era un dolore sordo, massacrante, misto tuttavia a una irritazione che mi riscaldava, stimolante e sensuale. La bestia, continuamente in movimento, produceva uno sfregamento così vigoroso da scrollarmi per intero la colonna vertebrale. I canali spermatici mi si aprirono e straboccarono. La mia ciprina bruciante per un istante mi sobbollì nelle reni. Oh, che godimento! La sentivo correre a getti infiammati e scendere, una goccia alla volta, in fondo alla mia matrice. Tutto in me grondava d'amore. Emisi un grido prolungato di sfinimento e provai sollievo... Nei miei impeti lubrici avevo guadagnato due pollici.


Avevo superato ogni altra misura, le mie compagne erano battute.


Mi palpai le rotondità, senza le quali mi avrebbe sventrato!

Sfiancata, con le membra doloranti, credevo che le mie voluttà fossero finite, quando l'indomabile flagello sul più bello si rizza, mi scandaglia, mi lavora e quasi mi solleva. Ho i nervi turgidi, stringo e digrigno i denti, tendo le braccia sulle cosce contratte. Di colpo sfugge un getto violento che mi inonda come pioggia calda e appiccicosa, così fitta, così abbondante, che sembra traboccarmi nelle vene e arrivarmi fino al cuore. Le mie carni lenite, pacificate da quella profusione di balsamo, mi fanno ormai solo provare gioie intense, che mi sferzano le ossa, il midollo, il cervello e i nervi, mi sciolgono le giunture e mi trasformano in una colata ardente... Tortura deliziosa! Voluttà intollerabile che scioglie le gomene della vita e fa morire nell'ebbrezza!

FANNY: Che foghe mi provochi, Gamiani! Tra poco non resisterò più... Come hai fatto ad andartene da quel convento del diavolo?

GAMIANI: Ecco: dopo una grande orgia, ci venne l'idea di trasformarci in uomini, e assicurandoci addosso un membro posticcio, infilzarci in fila l'una con l'altra e poi metterci a correre come delle pazze. Io ero l'ultimo anello della catena, perciò l'unica che cavalcasse senza essere a sua volta cavalcata.


Quale non fu il mio stupore quando mi sentii energicamente aggredita da un uomo nudo che, non so come, si era intrufolato in mezzo a noi. All'urlo di spavento che mi sfuggì, tutte le monache sbandarono e immediatamente vennero a gettarsi sullo sventurato intruso. Ognuna voleva in verità completare nella realtà un piacere incominciato con uno stento simulacro. L'animale, troppo festeggiato, fu tosto esaurito. Bisognava vedere il suo stato di torpore e abbattimento! Quel pungiglione floscio e a penzoloni, tutta la sua virilità nella peggiore delle condizioni! Feci fatica a rivitalizzare tutte quelle miserie, una volta venuto il mio turno di assaporare il fecondo elisir. Tuttavia ci riuscii. Stesa sul moribondo, con la testa tra le cosce, succhiai così abilmente messer Priapo, che quello si destò rubicondo, vivace da far piacere. A mia volta accarezzata da un'agile lingua, in poco tempo sentii avvicinarsi un incredibile piacere, che portai a compimento in gloria e delizie seduta sullo scettro che avevo soggiogato.


Diedi e ricevetti un diluvio di voluttà.


Quest'ultimo eccesso diede al nostro uomo il colpo di grazia.


Niente poté rianimarlo. Ci credi? Appena le monache capirono che quel disgraziato non era più buono a nulla, decisero senza esitazioni che bisognava ucciderlo e seppellirlo in uno scantinato, per paura che con le sue indiscrezioni compromettesse il convento. Inutilmente cercai di contrastare quella risoluzione criminale: in meno che non si dica, fu staccata una lampada e la vittima sospesa con un nodo scorsoio Distolsi gli occhi da quell'orrendo spettacolo... Ma ecco che, con gran sorpresa di quelle furie, l'impiccagione produsse i suoi normali effetti.


Piena di meraviglia per lo sfoggio nervoso, la superiora sale su uno sgabelLo e tra gli applausi frenetici delle complici, si accoppia in aria con la morte e si incavicchia con un cadavere! Ma la storia non è finita. Troppo sottiLe o troppo consunta per sostenere il doppio peso, la corda cede e si spezza. Il morto e la viva cadono per terra e così malamente che la monaca ne esce con le ossa rotte, e l'impiccato, il cui strangolamento era stato mal praticato, ritorna in vita e minaccia con la sua tensione nervosa di soffocare la superiora.


Un fulmine che cadesse sulla folla provocherebbe certo meno scalpore di quello prodotto da quella scena sulle monache. Tutte presero la fuga, spaventate, credendo che ci fosse il diavolo in mezzo a loro. La superiora rimase sola a dibattersi con l'intempestivo risuscitato.


L'avventura doveva avere terribili conseguenze. Per prevenirle, la sera stessa, scappai da quel covo di perversioni e crimini...


Mi rifugiai per qualche tempo a Firenze, paese d'amore e illusioni. Un giovane inglese, sir Edward, entusiasta e sognatore come un Oswald, concepì per me una violenta passione. Ero stanca di laici piaceri. Fino a quel momento solo il mio corpo si era agitato, aveva vissuto: la mia anima era ancora sonnecchiante. Si risvegliò dolcemente agli accenti puri, incantatori di un amore nobile ed elevato. Da quel momento venni a conoscenza di un'esistenza nuova. Provavo quei desideri vaghi, ineffabili che rendono felici e fanno poetica la vita... I materiali combustibili non si incendiano da soli: ma se una scintilla li avvicina, tutto parte! Così prese fuoco il mio cuore ai trasporti di colui che mi amava. A sentire quel linguaggio, nuovo per me, provai un fremito delizioso. Vi prestai attentamente ascolto. I miei avidi sguardi non si lasciavano sfuggire niente. L'umida fiamma che usciva dagli occhi del mio amante penetrava, attraverso i miei, fino in fondo nella mia anima e vi portava il turbamento, il delirio la gioia.


La voce di Edward aveva un accento che mi turbava, mi sembrava che in ciascuno dei suoi gesti fosse dipinto il sentimento; me lo provavano tutti i suoi tratti, animati dalla passione. Così, la prima immagine dell'amore mi fece amare l'essere che me l'aveva offerta. Eccessiva in tutto com'ero, fui pronta a vivere con il cuore, come lo ero stata a vivere con i sensi. Edward aveva uno di quegli animi forti che attraggono gli altri nella loro sfera. Mi innalzai alla sua altezza. Il mio amore si accrebbe: da entusiasta divenne sublime. Solo, il pensiero del piacere materiale mi disgustava. Se mi ci avessero costretta sarei morta di rabbia.


Quella barriera volontaria pungolava da entrambe le parti l'amore, che così, avversato divenne più ardente. Edward cedette per primo.


Spossato da un platonismo del quale non poteva immaginare la ragione, non ebbe più la forza sufficiente per contrastare i sensi.


Mi sorprese un giorno mentre dormivo, e mi possedette... Mi risvegliai in mezzo ai più roventi degli abbracci: smarrita, mescolai i miei fervori con i fervori che infondevo. Fui tre volte in cielo, Edward fu tre volte Dio, ma, una volta caduto, lo ebbi in orrore: per me non era altro che un uomo in carne e ossa, era un monaco.


Fuggii dalle sue braccia, con una risata spaventosa. Il prisma era spezzato, un soffio impuro aveva spento quel raggio d'amore, quel raggio celestiale che rifulge soltanto una volta nella vita. La mia anima non c'era più. I sensi si accoppiarono da soli e io ripresi la mia antica vita...


FANNY: Ritornasti alle donne?

GAMIANI: No! Volli prima troncare del tutto con gli uomini. Per non avere più desideri o rimpianti, esaurii tutto il piacere che essi sono capaci di darci. Per mezzo di una celebre mezzana, fui sfruttata di volta in volta, dai più esperti, dai più vigorosi ercoli di Firenze. Mi accadde, in una sola mattina, di prestarmi anche a trentadue cavalcate e di bramarne altre. Sei atleti furono vinti e massacrati. Una sera feci di meglio. Ero con tre dei miei più valorosi campioni. Il mio fare e i miei discorsi li misero così di buon umore che mi venne un'idea diabolica. Per realizzarla, pregai il più forte di sdraiarsi all'insù, e mentre io festeggiavo a mio piacere il suo rude marchingegno, venni in fretta sodomizzata dal secondo. La mia bocca si impossessò del terzo e lo menò così intensamente che quegli si agitò come un vero demonio e lanciò le più appassionate esclamazioni. Tutti e quattro insieme, irrigidendo le membra, esplodemmo di piacere. Come era rovente il mio palato! Che godimento delizioso dentro nelle viscere! Riesci a immaginarti simili eccessi?

Aspirare con la bocca tutta la potenza di un uomo, berla con sete bruciante, inghiottirla in fiotti di schiuma calda e acre, e, insieme, sentirsi attraversata nei due sensi da un doppio getto di fuoco e scavata nelle carni! E' un triplo godimento senza fine che non è dato di descrivere! I miei impareggiabili lottatori ebbero la generosa audacia di rinnovarlo finché le loro forze vennero meno.


Poi, stanca, nauseata dagli uomini, non ho più concepito altro desiderio, altra felicità che quella d'intrecciarmi nuda con il corpo fragile e trepidante di una fanciulla ritrosa, vergine ancora, da istruire, meravigliare, soffocare di voluttà... Ma...


che ti succede? Che cosa fai?

FANNY: Sono in uno stato terribile. Ho provato dei desideri orrendi, mostruosi. Tutto quello che tu hai provato, di piacevole o di doloroso, vorrei provarlo anch'io, subito, in questo momento!

Tu non potrai più soddisfarmi.. La testa mi brucia... Mi gira...


Oh, ho paura di diventare pazza! Di', che cosa puoi fare? Voglio godere, insomma,...! Godere... Godere!

GAMIANI: Calmati, Fanny! Calmati! Il tuo sguardo mi fa paura. Ti obbedirò, farò tutto! Che cosa vuoi?

FANNY: Bene, che la tua bocca mi prenda, mi aspiri... Così! Fammi esaltare l'anima. Dopo, voglio afferrarti, frugarti fino nelle viscere e farti urlare... Oh! Quell'asino! Anche quello mi tormenta. Vorrei un membro enorme, anche se dovesse squartarmi e finirmi!

GAMIANI: Folle! Folle! Verrai soddisfatta! La mia bocca è abile, e in più ho portato con me uno strumento... Toh, guarda! Val bene la prestazione di un asino.


FANNY Ah, che mostro! Dammelo presto, che ci provo...! Ahi! Ahi!

Uff! Impossibile! Mi massacra!

GAMIANI: Non sei capace di guidarlo. Lascia fare a me, solo, sii decisa.


FANNY: Quand'anche dovessi restarci, voglio inghiottirlo per intero! Sono in preda alla rabbia!

GAMIANI: Sdraiati sulla schiena, dunque, ben distesa, con le cosce divaricate, i capelli sciolti. Lascia andare molli le braccia.


Abbandonati senza paura e senza riserva.


FANNY: Oh sì! Mi abbandono con entusiasmo! Vieni tra le mie braccia, vieni in fretta!

GAMIANI: Pazienza, bambina mia! Ascolta: per provare appieno tutto il piacere del quale ti voglio inebriare, è necessario che per un momento dimentichi te stessa, che ti perda, che anneghi in un solo pensiero, un pensiero di amore sessuale, di godimento carnale e delirante! Guardati dal muoverti, dall'agire, quali che siano i miei assalti, i miei furori. Resta senza muoverti, accogli i miei baci senza restituirli. Se ti morderò, se ti lacererò, comprimi i moti del dolore come quelli del piacere, fino al momento nel quale entrambe lotteremo insieme per morire nello stesso momento.


FANNY: Sì! Sì! Ti capisco, Gamiani. Su! Sono come addormentata, ti sogno, ora. Sono tua, via! Sono a posto? Aspetta, questa posa è, penso, più lubrica.


GAMIANI: Viziosa! Tu mi superi. Come sei bella offerta in questo modo! Impaziente! Già brami, lo vedo...


FANNY: Anzi, brucio. Comincia, comincia! Te ne prego!

GAMIANI: Oh! prolunghiamo ancora questa attesa eccitante: è quasi un orgasmo. Lasciati andare di più. Ah, bene! Bene! Ti volevo così: la si direbbe morta... delizioso abbandono! E' così! Mi impossesserò di te, ti riscalderò, ti rianimerò a poco a poco. Ti incendierò, ti condurrò nel pieno della vita sensuale. Ricadrai di nuovo morta, ma morta di piacere e di eccesso. Delizie inaudite!

Gustarle anche solo per la durata di due lampi farebbe la gioia di Dio!

FANNY: I tuoi discorsi mi fanno bruciare: all'opera, all'opera, Gamiani!

A queste parole, Gamiani annoda precipitosamente i fluenti capelli che la impacciano. Si porta la mano tra le cosce, si stimola per un momento, poi, con un balzo si lancia sul corpo di Fanny che tocca, copre in ogni punto. Le sue labbra schiudono una bocca vermiglia e con la lingua vi immette il piacere. Fanny sospira.


Gamiani beve il suo alito e si ferma. Nel vedere quelle due donne nude, immobili, saldate, se così si può dire, l'una all'altra, si sarebbe detto che ci fosse in atto tra di loro una fusione misteriosa che le loro anime si mescolassero in silenzio.


Adagio, Gamiani si stacca e si solleva. Con le dita gioca capricciosamente con i cappelli di Fanny e la contempla con un sorriso ineffabile di languore e voluttà. Baci, teneri morsi volano dalla testa ai piedi, che lei solletica con la punta delle dita, con la punta della lingua. Poi, si butta a corpo morto, si raddrizza, di nuovo ricade, ansante, ostinata. La sua testa, le sue mani si moltiplicano. Fanny viene baciata, stropicciata, manipolata in ogni parte. Pizzicata, stretta, morsa. Le viene meno il coraggio, lancia delle grida acute. Ma un tocco delizioso giunge istantaneamente a calmare il dolore e a provocare un lungo sospiro. Più ardente, più impetuosa, Gamiani si getta con la testa tra le cosce della vittima. Con le dita divarica violentemente due ninfe delicate. La lingua si tuffa nel calice e lentamente consuma tutte le voluttà del più eccitante titillio che una donna sia in grado di provare. Attenta al procedere del delirio da lei provocato, si ferma o incalza, a seconda che l'eccesso del piacere si avvicini o si allontani. Fanny, presa da un attacco di nervi, è sconvolta ad un tratto da una convulsione furiosa.


FANNY: E' troppo! Oh... Muoio! Ah...!

GAMIANI: Prendi! Prendi! le urla, porgendole una fiala che ha già vuotato a metà. Bevi! E' l'elisir della vita. Ti rinasceranno le forze!

Fanny, annientata, incapace di resistere, beve il liquido che le viene versato nella bocca semiaperta.


"Ah! Ah!", esclama Gamiani con voce esultante. "Sei in mio potere!" Il suo sguardo aveva qualcosa di infernale! In ginocchio tra le gambe di Fanny, impugnava il suo temibile strumento e lo brandiva con aria minacciosa.


A quel punto, le convulsioni di Fanny aumentano, si fanno più violente. Sembra che un fuoco interiore la tormenti e la spinga alla furia. Le cosce divaricate si offrono con sforzo alle aggressioni del mostruoso simulacro. Insensata. Era appena sul punto di cominciare l'orrendo supplizio, che una strana convulsione la fece sussultare in tutte le direzioni.


FANNY: Ahi! Ahi! Il liquido brucia, ahi! Le mie viscere. Mi corrode, mi buca! Ah, sto morendo...! Vile strega dannata...! Mi hai in tuo potere...! Ah!

Gamiani, insensibile alle grida di angoscia e tortura, raddoppia gli slanci. Spezza, dilania e si immerge in fiotti di sangue. Ma ecco che i suoi occhi si rovesciano. Le membra le si attorcigliano, le ossa delle dita scricchiolano. Non ho più dubbi sul fatto che abbia inghiottito e fatto inghiottire un rovente veleno. Spaventato, mi precipito in suo aiuto. Con la mia violenza sfondo la porta. Arrivo! Ahimè! Fanny non esiste più. Le sue braccia, le sue gambe orribilmente contorte si avvinghiavano a quelle di Gamiani, che, da sola, lottava ancora contro la morte.


Cercai di separarle.


"Non vedi", mi disse una voce rantolante, "che il veleno mi tormenta... Che mi si attorcigliano i nervi? Vattene... Questa donna è mia...! Ahi! Ahi!" "E' mostruoso!" esclamai sopraffatto.


GAMIANI: Sì! Io ho conosciuto tutti gli eccessi dei sensi. Lo capisci, pazzo? Mi rimaneva da capire se nella tortura del veleno, se nell'agonia di una donna mescolata alla mia agonia, ci potesse essere sensualità. E' atroce, sappilo! Io muoio nella rabbia del piacere, nella rabbia del dolore...! Non ce la faccio più! Ah!

Dopo quel grido prolungato, venuto dal profondo del petto, l'orribile furia ricade, morta, sul cadavere di Fanny.