SIGMUND FREUD
INTRODUZIONE ALLA PSICOANALISI
Volume primo
Ciò che presento qui al pubblico come "Introduzione alla psicoanalisi" non vuole in alcun modo entrare in competizione con le già esistenti esposizioni generali di questo ramo del sapere (1). Si tratta della fedele riproduzione di lezioni da me tenute nei due semestri invernali 1915-16 e 1916-17 dinanzi a un uditorio composto da medici e profani di entrambi i sessi.
Tutte le particolarità destinate a sorprendere i lettori di questo libro si spiegano con le condizioni in cui esso ebbe origine. Non era possibile conservare nell'esposizione la fredda calma di una dissertazione scientifica; l'oratore dovette anzi proporsi di non lasciar ristagnare l'attenzione degli ascoltatori dato che le lezioni duravano quasi due ore. Per motivi contingenti si rese inevitabile ripetere la trattazione di uno stesso argomento, affrontandolo per esempio una prima volta in rapporto all'interpretazione dei sogni e poi ancora in rapporto ai problemi delle nevrosi. La disposizione della materia fece anche sì che alcuni temi importanti, come ad esempio quello dell'inconscio, non potessero venire trattati esaurientemente in un unico punto, ma dovessero essere ripresi e abbandonati varie volte, nell'attesa che si presentasse una nuova occasione per aggiungere qualcosa alla loro conoscenza .
Chi ha familiarità con la letteratura psicoanalitica troverà in questa "Introduzione" poche cose di cui non potrebbe venire a conoscenza da altre pubblicazioni assai più particolareggiate.
Pure, un bisogno di compiutezza e di sintesi ha costretto l'autore ad avvalersi per alcuni punti (l'etiologia dell'angoscia, le fantasie isteriche) anche di materiale finora non divulgato.
FREUD
Vienna, primavera 1917
NOTE:
Signore e Signori, non so quanto ognuno di voi sappia sulla psicoanalisi dalle sue letture o per sentito dire. Sono comunque obbligato dalla formulazione letterale del programma annunciato "Introduzione elementare alla psicoanalisi" - a trattarvi come se non ne sapeste nulla e aveste bisogno di una prima informazione.
Posso, tuttavia, presupporre quanto meno che voi sappiate che la psicoanalisi è un procedimento per il trattamento medico delle malattie nervose, e quindi darvi subito un esempio di come in questo campo parecchie cose procedano in modo diverso, spesso addirittura opposto, che altrove nella medicina. Altrove, quando sottoponiamo un malato a una tecnica medica a lui nuova, siamo soliti svalutargliene gli inconvenienti e fargli rassicuranti promesse circa i risultati del trattamento. Ritengo che ne abbiamo il diritto, perché con questa condotta aumentiamo le probabilità di successo. Quando invece prendiamo un nevrotico in trattamento psicoanalitico, ci comportiamo diversamente. Gli prospettiamo le difficoltà del metodo, la sua lunga durata, gli sforzi e i sacrifici che esso costa e, per quanto concerne il risultato, diciamo di non poterglielo promettere con certezza, che esso dipende dal suo comportamento, dalla sua comprensione, dalla sua docilità, dalla sua perseveranza. Per comportarci in modo apparentemente così assurdo, abbiamo naturalmente i nostri buoni motivi, di cui forse in seguito potrete rendervi conto.
Non abbiatevene dunque a male se all'inizio vi tratterò in modo simile a questi malati nevrotici. In fondo, vi sconsiglio di venire ad ascoltarmi la prossima volta. In accordo con tale intento, vi prospetterò le imperfezioni inevitabilmente connesse con l'insegnamento della psicoanalisi e le difficoltà che si oppongono all'acquisizione da parte vostra di un giudizio personale in proposito. Vi mostrerò come tutto l'indirizzo della vostra precedente formazione e tutte le vostre abitudini mentali debbano inevitabilmente rendervi avversari della psicoanalisi, e quanto resti da superare in voi stessi per aver ragione di questa avversione istintiva. Non posso naturalmente predirvi quale profitto per la comprensione della psicoanalisi trarrete dalle mie comunicazioni, ma vi assicuro che il loro ascolto non potrà insegnarvi a intraprendere un'indagine o a eseguire un trattamento psicoanalitico. Se poi tra voi dovesse trovarsi qualcuno che non si sentisse soddisfatto di un simile contatto fuggevole con la psicoanalisi ma volesse entrare con essa in una relazione durevole, non solo lo sconsiglierei, ma lo metterei in guardia in modo specifico. Allo stato attuale delle cose egli si distruggerebbe, con una simile scelta professionale, ogni probabilità di successo universitario e, se entrasse nella vita come medico praticante, si troverebbe in una società che non comprende i suoi sforzi, considera con diffidenza e ostilità chi li compie e gli sguinzaglia contro tutti gli spiriti maligni che covano in lei. Forse proprio i fenomeni concomitanti della guerra che infuria oggi in Europa possono darvi un'idea di quanto questi spiriti maligni siano numerosi.
C'è tuttavia un buon numero di persone per le quali tutto ciò che può diventare un nuovo elemento di conoscenza mantiene, nonostante questi inconvenienti, le sue attrattive. Se alcuni di voi sono di questa tempra e vorranno ripresentarsi qui la prossima volta, non curandosi dei miei ammonimenti, saranno i benvenuti. Tutti, però, avete il diritto di apprendere in cosa consistano le difficoltà della psicoanalisi cui ho accennato.
Comincerò con le difficoltà dell'insegnamento, dell'addestramento nella psicoanalisi. Nell'insegnamento della medicina siete stati abituati a vedere. Vedete il preparato anatomico, il precipitato nella reazione chimica, l'accorciamento del muscolo come risultato della stimolazione dei suoi nervi. Più tardi viene presentato ai vostri sensi l'ammalato, i sintomi del suo male, gli esiti del processo morboso, in numerosi casi persino gli agenti della malattia allo stato puro. Nelle discipline chirurgiche siete testimoni degli interventi con i quali si presta aiuto al malato, e potete tentarne voi stessi l'esecuzione. Anche nella psichiatria la presentazione del malato, con la sua mimica alterata, il suo modo di parlare e il suo comportamento, vi forniscono una quantità di osservazioni che lasciano in voi impressioni profonde. Così il docente di medicina svolge prevalentemente la parte di una guida e di un commentatore che vi accompagna attraverso un museo mentre voi ottenete il contatto immediato con gli oggetti e siete certi che la vostra convinzione dell'esistenza dei nuovi fatti sia frutto della vostra percezione.
Purtroppo tutto va diversamente nella psicoanalisi. Nel trattamento analitico non si procede a nient'altro che a uno scambio di parole tra l'analizzato e il medico. Il paziente parla, racconta di esperienze passate e di impressioni presenti, si lamenta, ammette i propri desideri e impulsi emotivi. Il medico ascolta, cerca di dare un indirizzo ai processi di pensiero del paziente, lo esorta, sospinge la sua attenzione verso determinate direzioni, gli fornisce alcuni schiarimenti e osserva le reazioni di comprensione o di rifiuto che in tal modo suscita nel malato. I parenti incolti dei nostri malati, inoltre, cui fa impressione solo ciò che si può vedere e toccare- di preferenza azioni come quelle che si vedono al cinematografo, - non trascurano mai di esternare i loro dubbi che "soltanto con dei discorsi si possa concludere qualcosa contro la malattia". Naturalmente questo è un modo di pensare tanto ristretto quanto incoerente. Si tratta di quelle stesse persone che sono sicurissime che i sintomi dei malati "non sono altro che immaginazioni".
Originariamente le parole erano magie e, ancora oggi, la parola ha conservato molto del suo antico potere magico. Con le parole un uomo può rendere felice l'altro o spingerlo alla disperazione, con le parole l'insegnante trasmette il suo sapere agli allievi, con le parole l'oratore trascina con sé l'uditorio e ne determina i giudizi e le decisioni. Le parole suscitano affetti e sono il mezzo comune con il quale gli uomini si influenzano tra loro. Non sottovaluteremo quindi l'uso delle parole nella psicoterapia e saremo soddisfatti se ci verrà data l'occasione di ascoltare le parole che si scambiano l'analista e il suo paziente.
Ma nemmeno questo ci è possibile. Il colloquio nel quale consiste il trattamento psicoanalitico non ammette alcun ascoltatore, non si presta a dimostrazioni. E' vero che anche un nevrastenico o un isterico può essere presentato agli studenti, in una lezione di psichiatria, ma allora racconta le sue pene e i suoi sintomi, nient'altro. Le comunicazioni dl cui l'analisi ha bisogno, egli le fa solo a condizione che esista un particolare legame emotivo con il medico; ammutolirebbe non appena notasse un solo testimone a lui indifferente. Queste comunicazioni riguardano infatti la parte più intima della sua vita psichica, tutto ciò che, come persona socialmente autonoma, egli deve nascondere di fronte ad altri, e inoltre tutto ciò che, come personalità unitaria, non vuole confessare a sé stesso.
Voi non potete dunque essere presenti come ascoltatori a un trattamento psicoanalitico. Potete soltanto sentirne parlare, e farete conoscenza con la psicoanalisi - in senso stretto - solo per sentito dire. Con questo insegnamento, per così dire di seconda mano, venite a trovarvi in condizioni del tutto insolite ai fini della formazione di un giudizio. Quest'ultimo dipenderà evidentemente, per la maggior parte, dalla fede che potete prestare all'informatore.
Supponete per un attimo di non esservi recati a una lezione di psichiatria, ma di storia, e che il relatore vi parli della vita e delle imprese militari di Alessandro Magno. Che motivi avreste per credere alla veridicità delle sue comunicazioni? A tutta prima la situazione sembra essere ancora più sfavorevole che nel caso della psicoanalisi, poiché il professore di storia non ha preso più parte di voi alle spedizioni di Alessandro; lo psicoanalista, almeno, vi parla di cose in cui egli stesso ha svolto una funzione. Ma allora si tratta di sapere ciò che conferisce credibilità allo storico. Egli può rimandarvi ai resoconti di antichi scrittori, che furono contemporanei o almeno più vicini nel tempo agli avvenimenti in questione, ossia ai libri di Diodoro, Plutarco, Arriano, e altri, può mostrarvi riproduzioni delle monete e delle statue del re che si sono conservate e farvi passare di mano in mano una fotografia del mosaico pompeiano della battaglia di Isso. A rigore, però, tutti questi documenti dimostrano soltanto che già generazioni precedenti hanno creduto all'esistenza di Alessandro e alla realtà delle sue gesta; e a questo punto la vostra critica potrebbe ricominciare da capo. Essa troverà allora che non tutto quanto è stato riferito su Alessandro è degno di fede o è accertabile nei particolari; eppure non posso credere che per questo lascerete l'aula dubitando della realtà di Alessandro Magno. La vostra decisione sarà determinata principalmente da due considerazioni: in primo luogo che il relatore non ha alcun motivo pensabile per spacciare per vero davanti a voi ciò che egli stesso non ritiene tale, e, in secondo luogo, che tutti i libri di storia reperibili espongono gli avvenimenti in modo pressappoco simile. Se poi vi addentrerete nell'esame delle fonti più antiche, prenderete in considerazione gli stessi fattori, cioè i possibili motivi degli informatori e la concordanza delle testimonianze. Nel caso di Alessandro, l'esito dell'esame sarà senz'altro rassicurante; sarà probabilmente diverso se si tratta di personalità come Mosè o Nembrod. Quanto invece ai dubbi che potrete sollevare circa la credibilità del vostro informatore psicoanalitico, avrete in seguito l'opportunità di individuarli con sufficiente chiarezza.
Ora avete il diritto di domandare: se non esiste alcuna convalida oggettiva della psicoanalisi e alcuna possibilità di dimostrarne l'attendibilità, come si può mai apprenderla e convincersi della verità delle sue affermazioni? Questo apprendimento, effettivamente, non è facile, e infatti non sono molte le persone che hanno appreso la psicoanalisi come si deve. Eppure una via d'accesso esiste, naturalmente. La psicoanalisi si impara innanzitutto su sé stessi, mediante lo studio della propria personalità. Ciò non coincide perfettamente con quello che si usa definire autosservazione, ma, all'occorrenza, può essere compreso in essa. Esiste tutta una serie di fenomeni psichici molto frequenti e universalmente noti che, dopo un certo addestramento tecnico, possono essere fatti oggetto di analisi in noi stessi. In tal modo ci si riesce a persuadere della realtà dei processi descritti dalla psicoanalisi e dell'esattezza delle sue concezioni. Comunque, al progredire su questa strada sono posti determinati limiti. Si progredisce molto di più se ci si fa analizzare da un analista esperto, se si esperimentano gli effetti dell'analisi sul proprioIo cogliendo simultaneamente l'opportunità di carpire al proprio analista le più sottili regole tecniche del procedimento. Quest'ottimo metodo, naturalmente, è accessibile sempre soltanto a una persona per volta, mai a un intero corso.
Di una seconda difficoltà nel vostro rapporto con la psicoanalisi non posso più ritenere responsabile quest'ultima, ma voi stessi, miei ascoltatori, almeno quelli di voi che finora si sono occupati di studi di medicina. La vostra precedente formazione ha dato alla vostra attività intellettuale un determinato indirizzo, che conduce lontano dalla psicoanalisi. Siete stati addestrati a dare un fondamento anatomico alle funzioni dell'organismo e ai suoi disturbi, a spiegarli chimicamente e fisicamente e a concepirli biologicamente, mentre neanche un briciolo del vostro interesse è stato indirizzato verso la vita psichica, nella quale pure culminano le prestazioni di questo organismo meravigliosamente complesso. Perciò vi è rimasto estraneo il modo di pensare psicologico in generale, essendovi voi abituati a considerarlo con diffidenza, a contestargli il carattere di scientificità e a lasciarlo ai profani, ai poeti, ai filosofi della natura e ai mistici. Questa limitazione costituisce certamente un danno per la vostra attività medica, dal momento che il malato, come sempre avviene nei rapporti umani, vi mostrerà dapprima la sua facciata psicologica, e io temo che sarete costretti, per castigo, a lasciare una parte dell'influsso terapeutico al quale aspirate ai medici dilettanti, ai guaritori empirici e ai mistici, tutta gente che voi disprezzate.
Non mi è ignota la scusante che si può invocare per questa lacuna della vostra preparazione. Manca una scienza ausiliaria filosofica che possa soccorrervi nei vostri intenti medici. Né la filosofia speculativa né la psicologia descrittiva o la cosiddetta psicologia sperimentale connessa alla fisiologia degli organi di senso, così come vengono insegnate nelle scuole, sono in grado di dirvi qualcosa di utile sulla relazione tra il corporeo e lo psichico nonché di fornirvi la chiave per la comprensione di un eventuale disturbo delle funzioni psichiche. Nell'ambito della medicina, la psichiatria si occupa bensì di descrivere i disturbi psichici osservabili e di raggrupparli in determinati quadri clinici, ma nei loro momenti di sincerità gli stessi psichiatri dubitano che le loro esposizioni puramente descrittive meritino il nome di scienza. I sintomi che compongono questi quadri morbosi sono sconosciuti per quanto riguarda la loro origine, il loro meccanismo e i loro reciproci legami, a essi non corrisponde alcuna dimostrabile alterazione dell'organo anatomico della psiche, oppure vi corrispondono alterazioni dalle quali non si può trarre alcun chiarimento. Questi disturbi psichici sono accessibili a un influsso terapeutico solo quando possono venir riconosciuti come effetti collaterali di una qualsiasi altra affezione organica Ecco la lacuna che la psicoanalisi si sforza di colmare. Essa vuole dare alla psichiatria il fondamento psicologico che le manca; spera di scoprire il terreno comune sulla cui base divenga comprensibile la convergenza del disturbo fisico con quello psichico. A questo scopo deve tenersi libera da ogni ipotesi preconcetta di natura anatomica, chimica o fisiologica a essa estranea, e deve operare esclusivamente con concetti ausiliari di natura meramente psicologica; appunto per questo, temo che in un primo tempo vi apparirà peregrina.
Per ciò che riguarda un'ultima difficoltà, non voglio rendere corresponsabili voi, la vostra precedente formazione o il vostro atteggiamento mentale. Con due delle sue affermazioni la psicoanalisi offende il mondo intero e se ne attira l'avversione; una di esse urta contro un pregiudizio intellettuale, l'altra contro un pregiudizio estetico-morale. Dobbiamo stare attenti a non trascurare troppo questi pregiudizi: essi sono potenti, sono sedimenti di evoluzioni utili, o addirittura necessarie, dell'umanità. Vengono mantenuti in vita da forze affettive e la lotta contro di essi è una lotta difficile.
La prima di queste sgradevoli affermazioni della psicoanalisi è che i processi psichici sono di per sé inconsci e che di tutta la vita psichica sono consce soltanto alcune parti e alcune azioni singole. Tenete presente che, al contrario, noi siamo abituati a identificare lo psichico con il cosciente. La coscienza è da noi ritenuta addirittura la caratteristica che definisce lo psichico, la psicologia la dottrina dei contenuti della coscienza. Anzi, questa equiparazione ci sembra talmente ovvia che crediamo di avvertire come un palese controsenso ogni sua contestazione; tuttavia la psicoanalisi non può fare a meno di sollevare questa contestazione, né può accettare l'identità di cosciente e psichico. Secondo la sua definizione, lo psichico consiste in processi quali il sentire, il pensare, il volere ed essa deve sostenere che esiste un pensiero inconscio e un volere di cui si è inconsapevoli. Con questo si è però giocata fin dall'inizio la simpatia di tutti gli amici della sobrietà scientifica e si è attirata il sospetto di essere una fantasiosa dottrina occulta, che vorrebbe costruire al buio e pescare nel torbido. Voi naturalmente, miei ascoltatori, non potete ancora capire con quale diritto io possa tacciare di pregiudizio una proposizione di natura così astratta come "lo psichico è il cosciente"; né potete indovinare per quale strada si sia giunti al disconoscimento dell'inconscio, ammesso che esso esista, e quale vantaggio sia potuto risultare da questo disconoscimento. La questione se si debba far coincidere lo psichico con il cosciente o estenderlo al di là di esso, suona come una vuota disputa verbale; e tuttavia posso assicurarvi che, con l'ammissione di processi psichici inconsci, si è aperto un nuovo, decisivo orientamento nel mondo e nella scienza.
Non può non esservi altrettanto nascosta l'intima connessione che collega questa prima audacia della psicoanalisi alla seconda, di cui sto per parlarvi. Quest'altra proposizione, che la psicoanalisi rivendica come una delle proprie scoperte, afferma che alcuni moti pulsionali, i quali non possono essere chiamati che sessuali, sia in senso stretto che in senso più lato, hanno una grandissima parte, finora non apprezzata a sufficienza, nella determinazione delle malattie nervose e mentali. Afferma inoltre che questi stessi impulsi sessuali forniscono un contributo che non va sottovalutato alle più alte creazioni culturali, artistiche e sociali dello spirito umano.
Stando alla mia esperienza, l'avversione per questo risultato della ricerca psicoanalitica è il più importante motivo della resistenza che essa ha incontrato. Volete sapere come ce lo spieghiamo? Noi riteniamo che la civiltà si sia formata sotto l'urgenza delle necessità vitali a spese del soddisfacimento delle pulsioni, e che essa venga in gran parte continuamente ricreata "ex novo", quando il singolo, che fa il suo primo ingresso nella comunità umana, ripete il sacrificio del soddisfacimento delle pulsioni a favore della società. Tra le forze pulsionali così impiegate, quelle degli impulsi sessuali hanno un ruolo importante; in questo processo esse vengono sublimate, ossia distolte dalle loro mete sessuali e rivolte a mete socialmente superiori, non più sessuali. Questa costruzione però è labile, le pulsioni sessuali sono domate a fatica, in ciascun individuo che debba associarsi all'opera di civilizzazione sussiste il pericolo che le sue pulsioni sessuali si rifiutino di essere impiegate in questo modo. La società crede che non vi sia minaccia più forte alla sua civiltà di quella che deriverebbe dalla liberazione delle pulsioni sessuali e dal loro ritorno alle mete originarie. La società non ama quindi che le si rammenti questa instabile componente del suo fondamento, non ha alcun interesse che venga riconosciuta la forza delle pulsioni sessuali e resa esplicita l'importanza della vita sessuale per il singolo; anzi, con intento educativo, ha seguito la via di distogliere l'attenzione da tutto questo campo. Perciò essa non tollera il risultato della ricerca psicoanalitica che abbiamo testé menzionato, preferirebbe di gran lunga stigmatizzarlo come esteticamente ributtante e moralmente riprovevole o come qualcosa di pericoloso. Ma queste obiezioni non intaccano per nulla quello che pretende di essere il risultato oggettivo di un lavoro scientifico. La contestazione deve essere portata sul piano intellettuale, se vuol farsi sentire. Ora, l'inclinazione a ritenere non vero quello che non piace è propria della natura umana, per cui è facile trovare argomenti che si pongono in contrasto con ciò. La società fa quindi diventare non vero ciò che è spiacevole, contesta le verità della psicoanalisi con argomenti logici e obiettivi, ma scaturiti da fonti affettive, e, trasformandole in pregiudizi, mantiene salde queste obiezioni contro ogni tentativo di confutazione.
Noi tuttavia possiamo affermare, Signore e Signori, che formulando questa proposizione controversa non abbiamo seguìto assolutamente alcun partito preso. Abbiamo inteso soltanto dare espressione a un dato di fatto che ritenevamo di aver stabilito grazie a un lavoro faticoso. Inoltre reclamiamo il diritto di respingere incondizionatamente l'ingerenza di considerazioni pratiche nel lavoro scientifico, ancor prima di aver indagato se il timore che vuol dettarci queste considerazioni sia giustificato o meno.
Queste, dunque, sono alcune delle difficoltà che incontrerete nell'occuparvi di psicoanalisi. Forse sono più che sufficienti per un inizio. Se siete in grado di superare l'impressione che vi hanno fatto, potremo andare avanti.
Signore e Signori, non cominciamo con postulati, ma con un'indagine. Come oggetto di essa scegliamo alcuni fenomeni che sono molto frequenti, molto noti e tenuti in assai poco conto, fenomeni che non hanno nulla a che vedere con le malattie, in quanto possono venir osservati in ogni persona sana. Si tratta dei cosiddetti "atti mancati" cui tutti vanno soggetti. Ciò accade per esempio quando si vuol dire una cosa e al suo posto se ne dice un'altra (LAPSUS VERBALE), o quando succede lo stesso nello scrivere, sia che ci se ne renda conto o no; oppure quando si legge in un foglio stampato o in un manoscritto qualcosa di diverso da quello che vi è scritto (LAPSUS DI LETTERA); o, analogamente, quando si ode in modo errato qualcosa che viene detto (LAPSUS DI ASCOLTO), ovviamente senza l'intervento di una perturbazione organica delle facoltà uditive. Un'altra serie di fenomeni di tal genere ha per base una DIMENTICANZA, non permanente però, ma soltanto temporanea; per esempio, quando non si sa trovare un NOME, che pure si conosce e si riconosce regolarmente, o quando si dimentica di attuare un proposito, di cui più tardi ci si ricorda e che quindi si era dimenticato solo per un determinato momento. In una terza serie viene meno questa condizione di temporaneità, per esempio nello smarrire, quando qualcuno colloca un oggetto in un luogo qualunque e non riesce più a ritrovarlo, o nel caso del tutto analogo del perdere. Ci troviamo qui in presenza di un tipo di dimenticanza che viene trattato diversamente da altre dimenticanze: di esso ci si meraviglia o ci si adira, invece di trovarlo comprensibile. A ciò si riconnettono determinati ERRORI, nei quali compare nuovamente la temporaneità, come quando per un certo periodo si crede qualcosa che pure, prima e dopo, si sa essere differente, e una quantità di fenomeni simili dai nomi diversi.
Tutti questi sono accadimenti la cui natura profondamente affine è testimoniata [in tedesco] dal prefisso comune "ver"; quasi tutti sono irrilevanti, i più assai fuggevoli e privi di significato per la vita degli uomini. Solo di rado uno di essi, come ad esempio la perdita di un oggetto, assume una certa importanza pratica. Per questo gli atti mancati suscitano scarsa attenzione, provocano deboli affetti e così via.
Su questi fenomeni intendo dunque richiamare ora la vostra attenzione. Ma voi mi obietterete infastiditi: "Ci sono tanti grandiosi enigmi nel vasto universo, come in quello più ristretto della vita psichica; tanti fenomeni prodigiosi nel campo dei disturbi psichici, che esigono e meritano un chiarimento, che sembra veramente arbitrario sciupare lavoro e attenzione per simili inezie. Se Lei potesse farci comprendere come mai un uomo sano d'occhi e d'orecchi possa vedere e udire in pieno giorno cose che non esistono, perché un altro improvvisamente si creda perseguitato da persone che fino a quel momento gli erano carissime, o sostenga con le motivazioni più sottili opinioni deliranti che perfino un bambino troverebbe assurde, allora sì avremmo una certa considerazione per la psicoanalisi; ma se questa non sa far altro che indurci a ricercare perché alla fine di un banchetto un oratore dica una parola per un'altra o perché una massaia abbia smarrito la chiave di casa sua, e simili futilità, allora troveremo il modo di impiegare meglio il nostro tempo e il nostro interesse".
Io vi risponderei: Un momento, Signore e Signori! A parer mio la vostra critica non è sulla via giusta. La psicoanalisi, è vero, non può vantarsi di non essersi mai occupata di inezie. Al contrario, la sua materia di osservazione è costituita abitualmente da quei fatti poco appariscenti che le altre scienze mettono da parte come troppo insignificanti: dai rimasugli, per così dire, del mondo dei fenomeni. Ma nella vostra critica non confondete forse la vastità dei problemi con la vistosità degli indizi? Non ci sono cose importantissime, che in determinate condizioni e in determinati momenti possono tradirsi solo tramite indizi estremamente lievi? Potrei citarvi con facilità parecchie di queste situazioni. Da quali minuscoli indizi deducete - mi rivolgo a voi giovanotti - di aver conquistato la simpatia di una signorina? Aspettate per questo un'esplicita dichiarazione d'amore, un abbraccio appassionato, oppure non vi basta forse uno sguardo, che altri difficilmente noterebbero, un movimento fugace, il prolungarsi per un secondo di una stretta di mano? E se, in qualità di agenti investigatori, partecipate alle indagini su un assassinio, vi aspettate davvero di trovare che l'assassino abbia lasciato sul luogo del delitto la sua fotografia con tanto di indirizzo accluso, oppure non vi accontentate necessariamente di tracce relativamente lievi e non molto perspicue della persona ricercata? Non sottovalutiamo quindi i piccoli indizi; forse, a partire da essi, sarà possibile trovarsi sulle tracce di qualcosa di più grande. Del resto, io penso come voi che i grandi problemi del mondo e della scienza hanno diritto per primi al nostro interesse. Ma il più delle volte serve ben poco formulare il preciso proposito di dedicarsi senz'altro all'investigazione di questo o quel grande problema. Spesso, poi, non si sa in che direzione procedere. Nel lavoro scientifico è più promettente affrontare il materiale che ci sta di fronte, per la cui indagine si apre uno spiraglio. Se lo si fa con scrupolo, senza ipotesi o aspettative preconcette, e se si ha fortuna, anche da un lavoro così privo di pretese può scaturire l'appiglio allo studio dei grandi problemi, grazie al nesso che lega tutto con tutto, anche il piccolo col grande.
Così parlerei dunque per tenere avvinto il vostro interesse al problema degli atti mancati, apparentemente così futili, delle persone sane.
Avviciniamo ora una persona qualsiasi, cui la psicoanalisi sia estranea, e chiediamole che spiegazioni si dà di tali fenomeni. A tutta prima essa risponderà certamente: "Oh, non sono cose che val la pena di spiegare, si tratta di piccoli eventi casuali". Che cosa intende con ciò? Vuole forse affermare che accadono cose così insignificanti da rimanere al di fuori dell'universale concatenazione degli eventi e che, come ci sono, potrebbero altrettanto bene non esserci? Chi spezza così il determinismo naturale in un singolo punto, manda all'aria l'intera concezione scientifica del mondo. Gli si può far osservare che perfino la concezione religiosa del mondo è più conseguente giacché dichiara espressamente che nemmeno un passero cade dal tetto senza uno specifico volere di Dio. Penso che il nostro amico non vorrà trarre la conclusione che discende dalla sua prima risposta; cambierà rotta e dirà che, se studiasse queste cose, troverebbe certamente qualche spiegazione; che si tratta di piccole deviazioni funzionali, imprecisioni della prestazione psichica, e che si potrebbe indicare che cos'è che le determina. Una persona che di solito sa parlare correttamente può incorrere in lapsus verbali: 1) quando è leggermente indisposta e affaticata; 2) quando è eccitata; 3) quando è assorbita eccessivamente da altre cose. E' facile trovare conferma a queste affermazioni. I lapsus verbali, in realtà, si presentano con particolare frequenza quando si è affaticati, si ha mal di testa o se incombe un'emicrania. In queste stesse condizioni si verificano facilmente le dimenticanze di nomi propri. Alcune persone sono abituate a riconoscere l'avvicinarsi dell'emicrania da questo loro dimenticare i nomi propri. Anche quando si è eccitati si scambiano spesso le parole - nonché le cose: "si prende una cosa per l'altra ". - La dimenticanza di propositi e tante altre azioni non intenzionali si presentano quando si è distratti, ossia propriamente parlando, quando si è concentrati su qualcos'altro. Un noto esempio di questa distrazione è il Professore del [settimanale umoristico] "Fogli volanti", che dimentica l'ombrello e scambia il suo cappello con quello di un altro perché pensa ai problemi che tratterà nel prossimo libro. Esempi di come si possano dimenticare propositi e promesse, perché nel frattempo qualche avvenimento ci ha intensamente assorbiti, ognuno di noi può ricavarli dalla propria esperienza.
Questo pare del tutto plausibile e sembra anche essere immune da contraddizioni. Forse non è molto interessante o non è quello che ci eravamo aspettati. Guardiamo più da vicino queste spiegazioni degli atti mancati. Le condizioni del manifestarsi di questi fenomeni, che ci vengono indicate, non sono tutte della stessa natura. Indisposizione e disturbo circolatorio danno una giustificazione fisiologica della menomazione della funzione normale; eccitamento, affaticamento, distrazione sono fattori di altro genere, che si potrebbero chiamare psicofisiologici. Questi ultimi si lasciano facilmente tradurre in teoria. Sia l'affaticamento che la distrazione, e forse anche l'eccitazione generale, provocano il ripartirsi dell'attenzione, il che può avere come conseguenza che all'atto m questione si rivolga troppo poca attenzione. E' allora particolarmente facile che questo atto venga disturbato, eseguito in modo impreciso. Un lieve malessere o modificazioni nell'afflusso di sangue all'organo nervoso centrale possono provocare lo stesso effetto poiché influenzano in maniera analoga il fattore determinante, che è il ripartirsi dell'attenzione. Si tratterebbe quindi, in tutti i casi, degli effetti di un disturbo dell'attenzione provocato o da cause organiche o da cause psichiche.
Non sembra che ne venga fuori gran che di promettente ai fini del nostro interesse per la psicoanalisi. Potremmo sentirci tentati ancora una volta di abbandonare l'argomento. Ciò non di meno, se esaminiamo più da vicino i fatti, non tutto torna in questa teoria degli atti mancati basata sull'attenzione o, perlomeno, non tutto ciò che osserviamo ne consegue con naturalezza. Scopriamo che queste azioni mancate e queste dimenticanze si presentano anche in persone che non sono affaticate, distratte o eccitate, ma si trovano nel loro stato normale da ogni punto di vista, a meno che, proprio in conseguenza dell'atto mancato, non si voglia attribuire a posteriori alle persone in questione un'eccitazione che esse però non sono disposte ad ammettere. Le cose possono anche non essere così semplici, tali cioè che l'esecuzione di un atto sia garantita dall'aumentare dell'attenzione rivoltagli e sia compromessa dal diminuire della stessa. Vi è un gran numero di azioni che vengono compiute del tutto automaticamente, con scarsissima attenzione, e tuttavia con assoluta sicurezza. Chi va a passeggio quasi senza sapere dove sta andando, tiene tuttavia la direzione giusta e arriva alla meta senza perdersi. Perlomeno, di regola, le cose vanno così. Il pianista esperto tocca i tasti giusti senza pensarci. Naturalmente, una volta tanto può anche sbagliare, ma se l'automaticità di chi suona aumentasse il rischio di sbagliare, proprio il virtuoso, per il quale suonare è diventato perfettamente automatico a causa del grande esercizio, sarebbe esposto in massimo grado a questo rischio. Al contrario, noi vediamo che molti compiti vengono eseguiti con particolare sicurezza allorché non sono oggetto di un'attenzione particolarmente intensa, e che la disavventura dell'atto mancato tende a verificarsi proprio quando si tiene in modo particolare a una corretta esecuzione; quando dunque la necessaria attenzione non è certamente stata sviata. Si può dire allora che esso è effetto della "eccitazione", ma non comprendiamo perché l'eccitazione non aumenti piuttosto l'attenzione rivolta a ciò che si intende fare con tanto interesse. Il fatto che qualcuno in un discorso importante o in una comunicazione orale dica con un lapsus verbale il contrario di ciò che intende dire, è difficilmente spiegabile in base alla teoria psicofisiologica o dell'attenzione.
In concomitanza con gli atti mancati, inoltre, si verificano tanti piccoli fenomeni collaterali che non si riescono a capire e che non ci sono resi più accessibili dalle spiegazioni finora prese in considerazione. Se, per esempio, abbiamo temporaneamente dimenticato un nome, ce ne adiriamo, vogliamo assolutamente ricordarlo, e non riusciamo a desistere da questo tentativo.
Perché chi è adirato riesce così raramente a volgere la sua attenzione, come tuttavia vorrebbe, sulla parola che, come egli dice, gli sta "sulla punta della lingua" e che riconosce subito quando viene pronunciata in sua presenza? Oppure, si verificano casi in cui gli atti mancati si moltiplicano, si concatenano, si sostituiscono tra loro. La prima volta si è dimenticato un appuntamento; la volta successiva, proprio nell'intenzione di non dimenticarlo, risulta che erroneamente si è preso nota di un'ora diversa. Cerchiamo di ricordare una parola dimenticata per vie traverse, e, ciò facendo, ci sfugge un secondo nome che avrebbe potuto esserci di aiuto nella ricerca del primo. Se si insegue ora questo secondo nome, ce ne sfugge un terzo, e così via. Lo stesso può avvenire, com'è noto, nel caso di errori di stampa, che sono senz'altro da considerarsi atti mancati del compositore. Un ostinato errore di stampa di questo tipo si sarebbe insinuato una volta in un giornale socialdemocratico. Nel resoconto di una certa cerimonia si poteva leggere: "Tra i presenti si notava anche Sua Altezza il Kornprinz [principe del grano (Korn)]". Il giorno seguente si fece un tentativo di correzione. Il giornale si scusò e scrisse: "Naturalmente si intendeva dire il Knorprinz [principe del bernoccolo (Knorr)]" (1). In questi casi si parla volentieri del diavoletto degli errori di stampa, dello spirito maligno della cassetta tipografica, e simili; espressioni che, in ogni caso, vanno ben al di là di una teoria psicofisiologica dell'errore di stampa.
Non so, inoltre, se vi sia noto che il lapsus verbale può essere provocato, o per così dire prodotto, mediante suggestione. Un aneddoto narra in proposito: Una volta che a un novellino della scena era stata affidata nella Pulzella d'Orléans [di Schiller] l'importante parte di annunciare al re che "der Connétable schickt sein Schwert zuruck" [il conestabile manda indietro la sua spada], uno degli attori principali si permise lo scherzo di suggerire ripetutamente durante le prove al timido principiante, invece delle parole del testo, "der Komfortabel schickt sein Pferd zuruck " [il vetturino manda indietro il suo cavallo]; ebbene, costui raggiunse il suo intento. Alla rappresentazione il poveretto debuttò veramente col secondo annuncio, benché ne fosse stato messo sufficientemente in guardia, o forse proprio per questo.
Tutte queste particolarità degli atti mancati non vengono certo chiarite dalla teoria del ritiro di attenzione. Ma non per questo tale teoria è necessariamente errata. Forse le manca qualcosa, un'integrazione, per diventare del tutto soddisfacente. Ma ci sono anche alcuni atti mancati che si prestano a essere considerati sotto un altro aspetto.
Scegliamo tra gli atti mancati il lapsus verbale, come il più adatto per i nostri intenti; potremmo scegliere allo stesso scopo il lapsus di scrittura o quello di lettura. A questo punto dobbiamo pur dirci, una buona volta, che finora ci siamo chiesti soltanto quando, in quali condizioni, si commettano lapsus verbali, ed è solo a questo che abbiamo ricevuto risposta. Ma possiamo volgere il nostro interesse anche in un'altra direzione e voler sapere perché si commetta il lapsus proprio in quel certo modo e non in un altro; e possiamo prendere in esame ciò che risulta da un lapsus verbale. Come vedete, finché non si risponde a questa domanda, finché non si chiarisce l'effetto del lapsus verbale, il fenomeno rimane accidentale per quanto riguarda la sua componente psicologica, anche se può aver trovato una spiegazione fisiologica. Quando mi succede di commettere un lapsus verbale, potrei evidentemente commetterlo in infiniti modi; al posto di una data parola giusta dirne una tra mille altre, far subire innumerevoli deformazioni alla parola giusta. Ora, c'è un qualche cosa che in determinate circostanze, tra tutti i modi possibili, mi induce a commettere il lapsus proprio in un certo modo, oppure ciò è affidato al caso, a una scelta arbitraria, per cui a questo interrogativo non è possibile dare alcuna spiegazione ragionevole?
Due autori, Meringer e Mayer (un filologo e uno psichiatra) hanno appunto fatto, nel 1895, il tentativo di affrontare questo aspetto del problema del lapsus verbale. Essi hanno raccolto esempi e li hanno illustrati, dapprima, da punti di vista puramente descrittivi. E' ovvio che ciò non fornisce ancora una spiegazione, ma può indicare la via che consente di trovarla. Essi suddividono le deformazioni subite dal discorso a causa dei lapsus in scambi, presonanze, risonanze, commistioni(contaminazioni)e rimpiazzamenti (sostituzioni). Vi citerò alcuni esempi tratti da questi gruppi principali. Un caso di scambio si ha quando si dice:
"la Milo di Venere" invece che: "la Venere di Milo" (inversione nell'ordine delle parole); una presonanza: "Mi sentivo il pesso...
petto oppresso"; una risonanza sarebbe il noto infelice brindisi:
"ich fordere Sic auf, auf das Wohl unseres Chefs aufzustossen " ["vi invito a 'ruttare' alla salute del nostro capo", invece di 'brindare' (anzustossen)]. Queste tre forme di lapsus verbale non sono veramente frequenti. Troverete invece un numero di gran lunga superiore di esempi nei quali il lapsus deriva da una contrazione o da una commistione. Per esempio, nel caso di un signore che abbordi una signorina per strada con le parole: "Se permette, signorina, vorrei invultarla" Nella parola composta, oltre all'invitare si è evidentemente inserito anche l'insultare. ( Tra parentesi, il giovanotto non avrà avuto molto successo con la signorina). Come sostituzione, Meringer e Mayer citano il caso in cui uno dica: "ripongo i preparati nella 'cassetta delle lettere (Briefkasten)'" anzichénella"cassettad'incubazione (Brutkasten)".
Il tentativo di spiegazione che i due autori fondano sulla loro raccolta di esempi è del tutto insufficiente. Essi pensano che i suoni e le sillabe di una parola abbiano una diversa valenza e che l'innervazione dell'elemento ad alta valenza possa avere un'influenza perturbatrice su quella dell'elemento a valenza inferiore. In questo essi si basano evidentemente sulle presonanze e risonanze, di per se stesse non tanto frequenti; per altri effetti dei lapsus verbali, queste elettività fonetiche, ammesso pure che esistano, non sono nemmeno da considerare. Comunque, i casi più frequenti di lapsus verbale sono quelli in cui al posto di una parola se ne pronuncia un'altra molto simile, e per molti questa somiglianza è spiegazione sufficiente del lapsus. Per esempio, un professore nella sua prolusione: "E' per me una noia - (gioia) - descrivere i meriti del mio stimato predecessore".
Oppure un altro professore: "Nel caso del genitale femminile, nonostante molte tentazioni... pardon, tentativi...". La forma più comune, e anche la più vistosa, di lapsus verbale è tuttavia quella in cui si dice l'esatto contrario di ciò che si intendeva dire. In questo caso ci si allontana molto dalle relazioni tra i suoni e dagli effetti della somiglianza e, in compenso, ci si può appellare al fatto che gli opposti hanno tra loro una forte affinità concettuale e sono particolarmente vicini l'uno all'altro nell'associazione psicologica. Ci sono esempi storici di questo genere: Un presidente del nostro Parlamento APRl' una volta la seduta con le parole: "Signori, registro la presenza del numero legale e dichiaro quindi CHIUSA la seduta".
La stessa azione insidiosa che si nasconde nel rapporto di contrarietà è esercitata da qualsiasi altra comune associazione, e può far capolino in momenti assolutamente inopportuni. Così si racconta, per esempio, che durante i festeggiamenti in occasione del matrimonio di un figlio di Hermann Helmholtz con una figlia del noto inventore e grande industriale Werner Siemens, era stato dato l'incarico di tenere il discorso ufficiale al famoso fisiologo Du Bois-Reymond. Egli concluse il suo brindisi, che certamente fu brillantissimo, con le parole: "Evviva quindi la nuova ditta Siemens e... Halske!". Questo era naturalmente il nome della vecchia ditta e l'accostamento dei due nomi doveva essere altrettanto familiare ai berlinesi quanto "Riedel und Beutel" ai viennesi.
Alle relazioni tra i suoni e alla somiglianza tra le parole dobbiamo quindi aggiungere anche l'influenza delle associazioni verbali. Ma non basta. In una serie di casi la spiegazione del lapsus non sembra essere possibile se prima non abbiamo preso in considerazione ciò che era stato detto, o anche solo pensato, in una frase precedente. Dunque, nuovamente, un caso di risonanza, come quello messo in rilievo da Meringer, ma di origine più lontana. - Devo confessare che, nel complesso, ho l'impressione che ora ci siamo allontanati più che mai dalla comprensione di quell'atto mancato che è il lapsus verbale.
Spero comunque di non sbagliarmi se affermo che durante l'indagine appena condotta noi tutti abbiamo ricavato una nuova impressione dagli esempi di lapsus verbale, sulla quale potrebbe valere la pena di soffermarsi. Abbiamo esaminato le condizioni più generali nelle quali un lapsus verbale ha luogo, quindi le influenze che determinano il tipo di deformazione provocata dal lapsus, ma finora non abbiamo preso in considerazione l'effetto del lapsus considerato in sé stesso, indipendentemente dalla sua origine. Se ci decidiamo a far questo, dobbiamo finalmente trovare il coraggio di dire che in alcuni degli esempi anche il risultato del lapsus ha un senso. Che cosa vuol dire "ha un senso"? Ebbene, vuol dire che l'effetto del lapsus in quanto tale ha forse il diritto di essere considerato un atto psichico pienamente valido, perseguente un proprio fine, espressione di un contenuto e di un significato.
Finora abbiamo sempre parlato di atti mancati, ma adesso ci sembra che talvolta l'atto mancato sia di per se stesso un'azione del tutto normale che si è messa al posto di un'altra azione attesa o progettata.
Questo senso proprio dell'atto mancato appare in alcuni casi tangibile e inequivocabile. Se il presidente con le prime parole che pronuncia chiude la seduta del Parlamento, invece di aprirla, noi, in base alla nostra conoscenza delle circostanze nelle quali avvenne il lapsus, siamo inclini a ritenere che questo atto mancato abbia un senso. Il presidente non si aspetta niente di buono dalla seduta e sarebbe lieto di poterla interrompere subito.
Indicare questo senso, interpretare questo lapsus, non presenta per noi alcuna difficoltà. Oppure, se una signora chiede a un'altra in tono che sembra di apprezzamento: "Questo nuovo cappellino così grazioso, suppongo l'abbia pasticciato ['aufgepatzt', deformazione di 'aufgeputzt' (guarnito)] Lei stessa", non c'è considerazione scientifica che possa impedirci di scorgere in questo lapsus l'espressione di un giudizio: "Questo cappellino è un pasticcio". Oppure, se una signora nota per la sua energia, racconta: "Mio marito ha chiesto al dottore che dieta deve seguire, ma il dottore gli ha detto che non ha bisogno di una dieta, che può mangiare e bere quel che voglio", ancora una volta questo lapsus è l'espressione inconfondibile di un programma ben preciso che la signora ha in mente.
Signore e Signori, se dovesse risultare che non solo pochi casi di lapsus verbale e di atti mancati in genere hanno un senso, ma che ciò accade per un buon numero di essi, questo senso, di cui finora non si è ancora parlato, diventerà inevitabilmente per noi la cosa di maggior interesse e legittimamente relegherà sullo sfondo ogni altra considerazione. Possiamo pertanto lasciare da parte tutti i fattori fisiologici e psicofisiologici e dedicarci a indagini puramente psicologiche sul senso, cioè sul significato, sull'intenzione, dell'atto mancato. Non trascureremo dunque l'opportunità di esaminare da questo punto di vista il materiale piuttosto abbondante fornitoci dall'osservazione.
Ma, prima di mettere in atto questo proponimento, vorrei invitarvi a seguire con me un'altra traccia. E' avvenuto ripetutamente che un poeta si sia servito del lapsus verbale o di un altro atto mancato come mezzo di rappresentazione poetica. Questo fatto è sufficiente da solo a dimostrarci che egli considera l'atto mancato, ad esempio il lapsus verbale, qualcosa che ha un senso, tant'è che lo produce intenzionalmente. Non accade certo che il poeta commetta per caso un lapsus di scrittura e lo lasci poi sussistere nel suo personaggio sotto forma di lapsus verbale. Con il lapsus, egli vuol farci comprendere qualcosa e noi possiamo verificare di che cosa si tratti, forse un'allusione al fatto che il personaggio in questione è distratto o affaticato o sta per avere un'emicrania. Naturalmente, non intendiamo esagerare l'importanza dell'uso significativo del lapsus da parte del poeta.
E' vero che i lapsus potrebbero essere privi di senso, essere cioè eventi psichici casuali, oppure avere un senso solo in casi molto rari; e il poeta manterrebbe il diritto di spiritualizzarli, dotandoli di senso per servirsene secondo i suoi scopi. Ma non ci sarebbe neanche da meravigliarsi se in fatto di lapsus avessimo da apprendere più dal poeta che dal filologo o dallo psichiatra.
Un esempio di lapsus di questo genere si trova nel "Wallenstein" ("I Piccolomini", atto 1, scena 5). Nella scena precedente Max Piccolomini ha perorato appassionatamente la causa del duca [Wallenstein], esaltando i benefici della pace quali gli si erano rivelati mentre aveva accompagnato al campo la figlia di Wallenstein. Egli lascia la scena mentre suo padre [Ottavio] e il messaggero della Corte, Questenberg, sono costernati. La scena quinta continua:
QUESTENBERG:
Ahi noi! Stanno così le cose?
Amico, e noi lasciamo che con questa illusione Egli se ne vada, e non lo richiamiamo subito Per aprirgli gli occhi All'istante?
OTTAVIO (tornando in sé da profonda meditazione):
A me ora li ha aperti, E ora vedo più di quanto mi piaccia.
QUESTENBERG: Che avete, amico?
OTTAVIO: Maledetto questo viaggio!
QUESTENBERG: Come mai? Di che si tratta?
OTTAVIO: venite! Io devo Tosto seguire la traccia infausta, Vedere coi miei occhi... Venite (vuole condurlo via con sé).
QUESTENBERG: Che dunque? Per dove?
OTTAVIO (impaziente): Da lei!
QUESTENBERG: Da...
OTTAVIO (si corregge): Dal duca! Andiamo!
Ottavio voleva dire "da lui", dal duca, ma commette un lapsus e dicendo "da lei" rivela, almeno a noi, di aver riconosciuto molto bene ciò che ha indotto il giovane guerriero a desiderare ardentemente la pace.
Un esempio ancora più suggestivo è stato scoperto da Otto Rank in Shakespeare. Si trova nel "Mercante di Venezia", nella famosa scena della scelta fra i tre scrigni da parte del fortunato pretendente, e forse non posso fare nulla di meglio che leggervi qui la breve esposizione di Rank.
"Un lapsus verbale avente una sottile motivazione poetica e utilizzato con una tecnica brillante, che al pari di quello segnalato da Freud nel 'Wallenstein' mostra che i poeti ben conoscono il meccanismo e il senso di questi atti mancati e presuppongono che anche gli spettatori li comprendano, si trova nel 'Mercante di Venezia' (atto 3, scena 2) di Shakespeare.
Porzia, vincolata dalla volontà del padre a scegliere lo sposo che a sorte le assegnerà, è finora sfuggita a tutti i pretendenti a lei sgraditi grazie al favore del caso. Avendo finalmente trovato in Bassanio il pretendente che veramente essa ama, deve temere che anche lui sbagli la sorte. Preferirebbe dirgli che anche in tal caso egli potrà essere certo del suo amore, ma ne è impedita dal giuramento compiuto. Di fronte a questo conflitto interiore, il poeta le fa dire al pretendente gradito:
Attendete, vi prego; un giorno o due ancora 'Prima di osare: ché, se la scelta errate, Io vi perdo; perciò indugiate.
Un che mi dice (MA NON E' L'AMORE), Che perdervi non voglio..
... Potrei guidarvi A sceglier giusto, ma verrei meno al voto; Ciò non voglio; potreste dunque perdermi.
E ciò facendo, pentire mi fareste Di non aver mancato al voto. Oh, gli occhi vostri Che nel guardarmi così mi divisero!
META' SON VOSTRA, L'ALTRA META' E' VOSTRA,...
MIA, VOLEVO DIRE; ma se mia, anche vostra, E così tutta vostra'.
Proprio quel che essa vorrebbe soltanto lievemente accennargli, perché anzi dovrebbe tacerglielo del tutto, che essa cioè già prima del responso della sorte è tutta sua e lo ama, il poeta lo fa erompere apertamente nel lapsus verbale con ammirevole finezza psicologica, e riesce in tal modo a calmare con questo artifizio l'insopportabile incertezza dell'amante così come la partecipe tensione dello spettatore circa l'esito della scelta".
Osservate ancora con quanta finezza Porzia alla fine riconcilia le due affermazioni contenute nel lapsus verbale, come risolve la contraddizione tra esse, e come alla fin fine dà ragione al lapsus:
"...ma se mia, anche vostra, E così tutta vostra".
Occasionalmente, anche un pensatore estraneo alla medicina ha scoperto con una sua notazione il senso di un atto mancato e ha prevenuto i nostri sforzi per spiegare questo fenomeno. Voi tutti conoscete l'arguto scrittore satirico Lichtenberg (1742-99), di cui Goethe disse: "Dove fa uno scherzo, è nascosto un problema".
Ora, di tanto in tanto, attraverso lo scherzo viene alla luce anche la soluzione del problema. Nelle sue "Idee spiritose e satiriche" Lichtenberg annota la frase: "Leggeva sempre 'Agamemnon' invece di 'angenommen' [accettato], tanta era la sua dimestichezza con Omero". Questa è davvero la teoria del lapsus di lettura.
La prossima volta esamineremo se possiamo trovarci d'accordo con i poeti sulla concezione degli atti mancati.
NOTE:
Lezione 3 - GLI ATTI MANCATI (CONTINUAZIONE)
Signore e Signori, la volta scorsa eravamo giunti a considerare l'atto mancato non in rapporto alla prestazione progettata e da esso disturbata ma in sé e per sé; abbiamo avuto l'impressione che in certi casi esso possa tradire un senso suo proprio, e ci siamo detti che, se fosse possibile confermare su più vasta scala che l'atto mancato ha un senso, quest'ultimo acquisterebbe subito ai nostri occhi un interesse più grande che non l'indagine delle circostanze nelle quali l'atto mancato si verifica.
Mettiamoci ancora una volta d'accordo su ciò che vogliamo intendere per "senso" di un processo psichico. Nient'altro che l'intenzione alla quale esso serve e la sua posizione in una serie psichica. Per la maggior parte delle nostre indagini possiamo sostituire "senso" anche con "intenzione" o con "tendenza". Era dunque solo un'ingannevole apparenza o un'esaltazione poetica dell'atto mancato, l'aver creduto di riconoscervi un'intenzione?
Restiamo fedeli agli esempi di lapsus verbale e passiamone in rassegna un numero piuttosto considerevole. Troveremo intere categorie di casi nei quali l'intenzione, il senso del lapsus, è assolutamente palese. Anzitutto quelli in cui, al posto di ciò che si intendeva dire, subentra il contrario. Il presidente dice nel discorso di apertura: "Dichiaro chiusa la seduta". Ciò è senz'altro inequivocabile. Senso e intenzione del suo lapsus è che vuol chiudere la seduta. "Il destino gliela fa", si vorrebbe citare al riguardo; non abbiamo che da prenderlo alla lettera. Non interrompetemi adesso con l'obiezione che ciò non è possibile, che sappiamo bene che egli non voleva chiudere la seduta, ma aprirla, e che lui stesso, da noi or ora riconosciuto come suprema istanza, può confermare di aver voluto aprirla. Ciò facendo, dimenticate che abbiamo convenuto di considerare l'atto mancato dapprima per sé stesso; solo più avanti si parlerà del suo rapporto con l'intenzione che esso perturba. Altrimenti vi rendete responsabili di un errore logico, con il quale non fate altro che eludere il problema che stiamo trattando, ciò che in inglese si chiama "begging the question".
In altri casi, in cui non si è sbagliato dicendo l'esatto contrario, nel lapsus può ugualmente manifestarsi un senso opposto. "E' per me una noia descrivere i meriti del mio predecessore". Noia non è il contrario di gioia, ma è un'aperta confessione, in netto contrasto con la situazione nella quale l'oratore dovrebbe parlare.
In altri casi ancora il lapsus verbale aggiunge semplicemente un secondo senso a quello intenzionale. La frase suona allora come una contrazione, un'abbreviazione, una condensazione di più frasi.
Così la signora energica: "Egli può mangiare e bere quel che VOGLIO". E' proprio come se avesse detto: "Egli può mangiare e bere quel che vuole, ma cosa ha mai da volere lui? Sono io che voglio per lui". I lapsus verbali danno spesso l'impressione di abbreviazioni di questo genere. Quando, ad esempio, un professore di anatomia, dopo la sua lezione sulla cavità nasale, chiede se gli ascoltatori hanno veramente capito e, malgrado tutti in coro rispondano di sì, prosegue: "Non credo, perché le persone che capiscono la cavità nasale si possono contare su UN DITO...
pardon, sulle dita di una mano", il discorso abbreviato ha pure il suo senso: esso dice che vi è una sola persona che comprende quell'argomento.
A questi gruppi di casi, nei quali lo stesso atto mancato mette in luce il proprio senso, fanno riscontro altri esempi nei quali il risultato del lapsus verbale non ha alcun senso e che quindi contraddicono decisamente le nostre aspettative. Il fatto che accada molto sovente di storpiare con un lapsus verbale un nome proprio o di emettere successioni di suoni insoliti, sembra già decidere in senso negativo il problema se tutte le azioni mancate abbiano significato. Tuttavia, esaminando tali esempi più da vicino, ci si accorge che una comprensione di queste deformazioni è tutt'altro che impossibile, anzi che la differenza tra questi casi più oscuri e quelli perspicui di prima non è poi così grande.
Un signore, interrogato sullo stato di salute del suo cavallo, risponde: "Bah! TRI... tirerà avanti forse ancora un mese".
Interrogato su che cosa volesse dire in realtà, egli spiega di aver pensato che era una TRISTE faccenda, e che lo scontrarsi di TIRERA' e TRISTE aveva prodotto quel TRI (Meringer e Mayer).
Un altro discorre di certi procedimenti, che biasima, e prosegue:
"Ma poi alcuni fatti vennero in LURCHE..." Dietro richiesta, conferma che voleva designare quei procedimenti come "porcherie".
LUCE e PORCHERIE insieme hanno dato luogo allo strano LURCHE (Meringer e Mayer).
Richiamatevi al caso del giovanotto che voleva INVULTARE la signorina sconosciuta. Ci eravamo presi la libertà di scomporre questa formazione verbale in INVITARE e INSULTARE, e ci sentivamo sicuri di questa interpretazione, senza richiederne conferma. Da questi esempi vedete che anche tali casi più oscuri di lapsus verbale si possono spiegare con la convergenza, l'interferenza, di due diversi propositi verbali; le differenze sorgono solo dal fatto che qualche volta un'intenzione prende completamente il posto dell'altra (la sostituisce), come nei lapsus in cui viene detto il contrario di quel che s'intendeva dire, mentre altre volte deve accontentarsi di deformarla o di modificarla, così che ne risultano formazioni miste, le quali appaiono in se stesse più o meno dotate di senso.
Riteniamo a questo punto di aver afferrato il segreto di un gran numero dl lapsus verbali. Se ci atteniamo a questa intuizione potremo comprendere altri gruppi di lapsus di cui finora non siamo ancora riusciti a scoprire l'enigma. Nel caso della deformazione di nomi, ad esempio, non possiamo supporre che si tratti sempre della competizione tra due nomi simili e tuttavia differenti. Per contro, la seconda intenzione non è difficile da indovinare. La deformazione di un nome al di fuori del lapsus viene usata abbastanza di frequente; essa cerca di rendere il nome cacofonico o tale che rammenti qualcosa di ignobile, ed è un noto modo (o malomodo) di ingiuriare la gente, al quale l'uomo civile impara presto a rinunciare, per quanto a malincuore. Egli se lo permette ancora spesso come "motto di spirito", di livello, a dire il vero, molto basso. Per citare solo un esempio brutto e volgare di questa deformazione di nomi, ricordo che di questi tempi si è trasformato il nome del presidente della Repubblica francese Poincaré in "Schweinskarré" [costoletta di maiale]. Viene quindi spontaneo supporre anche nel lapsus una simile intenzione ingiuriosa, la quale si afferma nella deformazione del nome. Analoghe spiegazioni s'impongono, a proseguimento della nostra concezione, per certi casi di lapsus a effetto comico o assurdo. "Vi invito a 'ruttare' alla salute del nostro capo". Qui un'atmosfera di festa viene turbata inaspettatamente dall'irruzione di una parola che risveglia un'idea disgustosa, e, a giudicare da altre frasi simili, ingiuriose e offensive, difficilmente possiamo evitare di supporre che cerchi di esprimersi una tendenza in netto contrasto con l'ossequiosità ostentata, che vuol dire all'incirca: "Ma non credeteci, non faccio sul serio, me ne infischio di questo tizio", e simili cose. Lo stesso vale anche per lapsus che rendono sconvenienti e oscene parole innocenti, come "apopò" per "à propos" [a proposito], oppure "Eischeissweibchen" [femminuccia- caca-uova] per "Eiweissscheibchen" [dischetto d'albume] (Meringer e Mayer.) Riscontriamo in molti individui tale tendenza a deformare intenzionalmente parole innocenti in oscene, per trarne un certo piacere; la cosa passa per spiritosa, mentre in realtà dovremmo prima informarci dalla persona che ha pronunciato una parola del genere se davvero l'ha fatto con l'intenzione di dire una battuta di spirito, o se invece le è sfuggita come lapsus verbale.
Orbene, con ciò avremmo risolto con uno sforzo relativamente esiguo l'enigma degli atti mancati! Essi non sono eventi casuali, bensì atti psichici seri, aventi un loro proprio senso, che sorgono per l'azione congiunta, o meglio per l'azione contrapposta, di due diverse intenzioni. Ma a questo punto, prima che ci sia lecito gioire per questo primo risultato del nostro lavoro, posso anche capire che vogliate rovesciarmi addosso una quantità di domande che hanno diritto a una risposta, e una miriade di dubbi che devo risolvere. E non sarò certo io a volervi spingere a decisioni affrettate. Consideriamo con calma ogni cosa per ordine, un punto dopo l'altro.
Che volete dunque dirmi? Se ritengo che questa spiegazione valga per tutti i casi di lapsus verbale o solo per un certo numero? Se questa stessa concezione possa essere estesa anche alle molte altre specie di atti mancati, ai lapsus di lettura, di scrittura, alle dimenticanze, alle sbadataggini, agli smarrimenti eccetera?
Che importanza possono ancora avere i fattori dell'affaticamento, dell'eccitazione, della distrazione, o la perturbazione dell'attenzione, considerata la natura psichica degli atti mancati? Inoltre, appare chiaramente che delle due tendenze in competizione negli atti mancati, l'una è sempre palese, l'altra invece non sempre. Che cosa dobbiamo fare allora per scoprire quest'ultima e, quando crediamo di averla scoperta, per dimostrare che non è soltanto verosimile, ma proprio vera? Avete ancora qualche domanda? Se no, continuerò io. Vi ricordo che gli atti mancati non ci importano molto per sé stessi, che dal loro studio volevamo solo apprendere qualcosa di utile per la psicoanalisi.
Perciò pongo l'interrogativo: che specie di intenzioni o tendenze sono queste, che possono in tal modo perturbare le altre, e quali relazioni esistono tra le tendenze perturbatrici e quelle perturbate? Così, non appena risolto il problema, il nostro lavoro ricomincia da capo.
Avete chiesto: è questa la spiegazione di tutti i casi di lapsus verbale? Sono molto propenso a crederlo, e la ragione è che ogni volta che si esamina un caso di lapsus verbale si può trovare una soluzione di questo genere. D'altra parte, direte, non è dimostrabile che un lapsus non possa verificarsi senza questo meccanismo. E sia pure, per noi ciò è indifferente dal punto di vista teorico, poiché le conclusioni che vogliamo trarre per l'introduzione alla psicoanalisi rimangono valide anche se solo una minoranza di casi di lapsus - e non è certo questo il caso dovesse rientrare nella nostra concezione. Alla domanda successiva, se ci sia lecito estendere agli altri tipi di atti mancati quanto ci è risultato per il lapsus verbale, voglio rispondere in anticipo di sì. Ve ne convincerete da voi stessi quando ci volgeremo a prendere in esame esempi di lapsus di scrittura, di sbadataggini e così via. Tuttavia, per ragioni tecniche, vi propongo di rinviare questo lavoro a quando avremo trattato ancora più a fondo il lapsus verbale stesso.
Una risposta più circostanziata merita la domanda sul significato che possono avere ancora per noi, una volta ammesso questo meccanismo psichico del lapsus verbale, i fattori messi in primo piano dai vari autori, cioè i disturbi circolatori, l'affaticamento, l'eccitazione, la distrazione e la teoria della perturbazione dell'attenzione. Notate bene, noi non contestiamo questi fattori. In genere non succede molto spesso che la psicoanalisi contesti qualcosa che viene asserito da altri; di solito essa vi aggiunge soltanto qualcosa di nuovo e, all'occasione, capita effettivamente che questo qualcosa, fin qui trascurato e aggiuntosi solo ora, sia proprio l'essenziale. In rapporto al verificarsi del lapsus verbale va senz'altro riconosciuta l'influenza delle disposizioni fisiologiche provocate da un leggero malessere, da disturbi circolatori, da stati di esaurimento; l'esperienza quotidiana e personale può persuadervi di questo. Ma con ciò si spiegano ben poche cose. Prima di tutto non si tratta di condizioni necessarie per il prodursi dell'atto mancato. Il lapsus è altrettanto possibile in piena salute e nello stato normale. Questi fattori somatici hanno quindi solo il valore di facilitare e favorire il particolare meccanismo psichico del lapsus verbale. Per descrivere questo rapporto mi sono servito una volta di un paragone, che ora ripeterò, perché non so sostituirlo con uno migliore. Supponete che in una notte oscura io passi per un luogo solitario, che lì venga assalito da un furfante, il quale mi porti via l'orologio e il borsellino e che, non avendo visto bene in viso il rapinatore, io presenti lagnanza al più vicino commissariato di polizia con le parole: "La solitudine e l'oscurità mi hanno derubato poco fa dei miei oggetti di valore".
Al che il commissario di polizia può dirmi: "Dalle sue parole sembra che Lei segua a torto una concezione estremamente meccanicistica. Esponiamo piuttosto la situazione così: 'protetto dall'oscurità, favorito dalla solitudine, un ignoto rapinatore Le ha sottratto i suoi oggetti di valore'. Nel suo caso mi sembra che la cosa più importante da fare sia rintracciare il ladro. Forse potremo poi riprendere la refurtiva".
I fattori psicofisiologici, come l'eccitazione, la distrazione, la perturbazione dell'attenzione, contribuiscono evidentemente ben poco a spiegarci l'accaduto. Sono solo modi di dire, paraventi dietro ai quali non dobbiamo aver paura di dare un'occhiata. Il problema che si pone è piuttosto questo: che cosa è stato evocato dall'eccitamento, dalla particolare deviazione dell'attenzione? Si aggiunga l'importanza che dobbiamo riconoscere alle influenze fonetiche, alle affinità tra le parole e alle associazioni che usualmente traggono origine dalle parole. Anch'esse facilitano il lapsus verbale mostrandogli le vie che può seguire. Ma se ho davanti a me una via, diventa per questo automatico che io la percorra? Ho bisogno altresì di un motivo che mi induca a farlo; e non basta, occorre una forza che mi porti avanti su questa via.
Queste relazioni tra suoni e tra parole sono quindi anch'esse, come le disposizioni somatiche, solo fattori che favoriscono il lapsus verbale e non possono darne la spiegazione vera e propria.
Pensate un momento: il mio discorso non viene disturbato, nella stragrande maggioranza dei casi, né dal fatto che le parole da me usate ne rievocano altre per affinità fonetiche né dal fatto che sono intimamente legate ai loro contrari o che da esse provengono associazioni consuete. Si potrebbe ancora, con il filosofo Wundt, trovare la scappatoia che il lapsus verbale si verifica quando, in seguito a spossatezza fisica, le tendenze associative prendono il sopravvento sull'intenzione del discorso. Ciò sarebbe anche convincente, se non fosse contraddetto dall'esperienza, la quale attesta che c'è tutta una serie di casi in cui sono assenti i fattori somatici che favoriscono il lapsus, mentre in altri casi mancano quelli associativi.
Particolarmente interessante per me è la vostra successiva domanda: in che modo vengano accertate le due tendenze che interferiscono tra loro. E' probabile che non riusciate a immaginare quanto questa domanda sia gravida di conseguenze.
Ovviamente una delle due (la tendenza perturbata) è sempre indubbia: la persona che incorre nell'atto mancato la conosce e la ammette. E' solo l'altra, la tendenza perturbatrice che può dare adito a dubbi e a perplessità. Ora, abbiamo già sentito, e voi non lo avete certamente dimenticato, che quest'altra tendenza in moltissimi casi è altrettanto palese. Essa viene denunciata dall'effetto del lapsus verbale, purché abbiamo il coraggio di riconoscere a questo effetto una sua validità. Nel caso del presidente che dice per sbaglio il contrario, è chiaro che egli intende aprire la seduta, ma è altrettanto chiaro che vorrebbe anche chiuderla. Ciò è talmente evidente che non resta più niente da interpretare. Ma negli altri casi, quelli in cui la tendenza perturbatrice si limita a deformare quella originaria senza esprimersi del tutto, come si risale dalla deformazione alla tendenza perturbatrice?
Per una prima categoria di casi in modo molto semplice e sicuro ossia allo stesso modo in cui si determina la tendenza perturbata.
Quest'ultima ce la facciamo comunicare direttamente da colui che ha parlato; dopo il lapsus egli riproduce subito il tenore della frase che originariamente si proponeva di pronunciare: "Tri..., no, tirerà avanti forse ancora un mese". Ora, la tendenza deformante ce la facciamo dire ugualmente da lui. "Perché - gli chiediamo - prima ha detto TRI..?" Egli risponde: "Volevo dire:
questa è una TRISTE faccenda." E allo stesso modo, nell'altro caso del lapsus "lurche", il soggetto vi conferma di aver voluto dire dapprima: "E' una porcheria", ma di essersi poi moderato e di aver ripiegato su un'altra affermazione. Dunque, l'accertamento della tendenza deformante è riuscito qui in modo altrettanto sicuro di quello della tendenza deformata. Non a caso ho portato qui esempi la cui comunicazione e soluzione non provengono né da me né da qualcuno dei miei seguaci. Comunque, in entrambi questi casi, era necessario fare qualcosa per ottenere la soluzione. Si dovette chiedere a colui che aveva parlato perché si fosse sbagliato in quel modo, che cosa sapesse dire sul proprio lapsus. Altrimenti costui avrebbe forse sorvolato sul suo lapsus senza volerlo chiarire. Interrogato, invece, fornì la prima spiegazione che gli venne in mente. E ora osservate come questo piccolo intervento e il suo risultato siano già una psicoanalisi e il modello di ogni indagine psicoanalitica che condurremo in seguito.
Sono troppo diffidente se nutro il sospetto che al momento stesso in cui la psicoanalisi vi compare dinanzi, fa capolino in voi anche la resistenza contro di essa? Non vi viene voglia di obiettarmi che l'informazione della persona interrogata che ha commesso il lapsus non è pienamente probante? Naturalmente pensate - costui desidera aderire all'invito di chiarire il lapsus, e così dice la prima cosa che gli passa per il capo e che gli sembra idonea a fornire la spiegazione richiesta. Con ciò non è affatto dimostrato che il lapsus sia realmente avvenuto così. Potrebbe essersi verificato in quel modo, ma anche in un modo diverso. Alla persona in questione sarebbe potuta venire in mente qualche altra spiegazione, altrettanto adatta, se non di più.
E' sorprendente quanto poco rispetto abbiate, in fondo, per un fatto psichico! Immaginatevi che qualcuno abbia intrapreso l'analisi chimica di una certa sostanza e che a proposito di una sua componente abbia accertato che essa ha un determinato peso, tanti e tali milligrammi. Da questa quantità di cui si conosce il peso si possono trarre conclusioni precise. Credete ora che a un chimico verrebbe mai in mente di trovare da ridire su queste conclusioni col pretesto che la sostanza isolata avrebbe potuto avere anche un altro peso? Ognuno si inchina davanti al fatto che il peso era proprio quello e nessun altro e su di esso costruisce fiduciosamente le sue ulteriori conclusioni. Solo quando vi trovate dinanzi al fatto psichico che all'interrogato è venuta in mente una determinata idea, solo allora ne mettete in dubbio la validità e dite che gli sarebbe anche potuto venire in mente qualcos'altro! Avete l'illusione che esista una libertà psichica e non vi piace rinunciarci. Mi dispiace, ma su questo punto il mio parere è in netto contrasto con il vostro.
Non insisterete oltre a questo proposito, ma solo per riprendere la resistenza a un altro livello. E continuate: "Comprendiamo che la tecnica specifica della psicoanalisi consiste nel farsi dire dagli analizzati la soluzione dei loro problemi. Prendiamo ora un altro esempio, quello nel quale l'oratore invita l'assemblea a 'ruttare' alla salute del capo. Lei dice che in questo caso l'intenzione perturbatrice è quella dell'ingiuria: è questa che si oppone all'espressione di ossequio. Ma si tratta di una pura e semplice interpretazione da parte sua, basata su osservazioni che non hanno nulla a che fare con il lapsus verbale. Se interroga a questo riguardo l'autore del lapsus, egli non confermerà di aver nutrito il proposito di pronunciare un'ingiuria, anzi lo contesterà energicamente. Perché non rinuncia alla sua interpretazione indimostrabile, di fronte a questa chiara protesta?".
Sì, questa volta la forza del vostro argomento non è da poco. Mi sembra di vedere lo sconosciuto oratore: è probabilmente un assistente del capo festeggiato, forse già libero docente, un giovane cui si dischiudono le migliori prospettive. Faccio pressione su di lui per sapere se non ha avvertito in sé qualcosa che possa essersi opposto all'invito di rendere ossequio al capo.
Ma qui tocco un bel tasto! Egli si spazientisce e mi investe improvvisamente: "Ma la smetta una buona volta con i suoi interrogatori, altrimenti mi fa arrabbiare. Mi rovinerà l'intera carriera con i suoi sospetti. Ho detto 'aufstossen' [ruttare] al posto di 'anstossen' [brindare], semplicemente perché già due volte in precedenza ho pronunciato 'auf' nella stessa frase. E' quel che Meringer chiama una risonanza e non c'è nient'altro da sofisticare. Capito? Basta!". Hmm! Ecco una reazione sorprendente, una smentita indubbiamente energica. Vedo che non c'è niente da fare con il giovanotto, ma penso anche tra me che egli tradisce un forte interesse personale a che il suo atto mancato non abbia alcun senso. Forse anche voi non troverete giusto che egli si faccia subito così brusco per un'indagine puramente teorica, ma in definitiva - penserete - dovrà pur sapere che cosa voleva dire e che cosa no.
Deve davvero saperlo? Forse la domanda è ancora aperta.
Adesso, però, credete di tenermi in pugno. "Dunque questa è la Sua tecnica", vi sento dire. "Quando chi ha commesso un lapsus lo commenta in modo che a Lei va bene, costui diventa, a Suo dire, l'autorità suprema che decide in merito. 'Il destino gliela fa'.
Quando invece ciò che dice non Le garba, allora Lei afferma tutt'a un tratto che costui non vale nulla, che non è necessario prestargli fede".
Devo dire che avete ragione. Tuttavia, vi posso presentare un caso simile nel quale le cose si svolgono in modo altrettanto assurdo.
Quando un accusato ammette un'azione davanti al giudice, il giudice crede alla confessione; ma quando non la ammette, il giudice non gli crede. Se le cose andassero diversamente, non ci sarebbe alcuna amministrazione della giustizia e, malgrado errori occasionali, dovete pur ritenere valido questo sistema.
"Allora, Lei è il giudice e colui che ha commesso un lapsus verbale un accusato che Le sta dinanzi? Un lapsus è dunque un reato?''.
Forse non è necessario rifiutare quest'analogia. Ma notate soltanto a quali profonde divergenze siamo giunti esaminando un po' in profondità i problemi, apparentemente così innocui, degli atti mancati. Sono divergenze che per il momento siamo ben lungi dal poter appianare. Vi propongo un temporaneo compromesso, sulla base del paragone del giudice e dell'accusato. Voi dovete accordarmi che il senso di un atto mancato non lascia adito ad alcun dubbio quando è l'analizzato stesso a fornircelo. Io, per contro, converrò con voi che una dimostrazione diretta del significato da noi supposto non è raggiungibile quando l'analizzato rifiuta di darci l'informazione e quando, beninteso, non è in grado di farlo. Allora, come nel caso dell'amministrazione della giustizia, siamo costretti a rifarci agli indizi, i quali talvolta rendono più verosimili le nostre risoluzioni, talaltra meno. In tribunale, per ragioni pratiche, si deve condannare anche su prove indiziarie. Per noi una simile necessità non esiste; ma nemmeno siamo costretti a rinunciare all'utilizzazione di tali indizi. Sarebbe un errore credere che una scienza sia costituita esclusivamente da un certo numero di tesi rigorosamente dimostrate, e ingiusto pretenderlo. Solo uno spirito smanioso di autorità, che ha il bisogno di sostituire il suo catechismo religioso con un altro catechismo, sia pure scientifico, solleva questa esigenza. La scienza ha nel suo catechismo solo poche proposizioni apodittiche; per il resto, essa è costituita di affermazioni che ha spinto fino a certi gradi di probabilità. Indizio di mentalità scientifica è proprio il sapersi accontentare di queste approssimazioni alla certezza, e l'essere capaci di proseguire il lavoro costruttivo nonostante la mancanza di conferme assolute.
Ma, nel caso che la dichiarazione dell'analizzato non chiarisca essa stessa il senso dell'atto mancato, donde traiamo i punti di appoggio per le nostre interpretazioni, gli indizi per la nostra dimostrazione? Da diverse parti. Innanzitutto dall'analogia con fenomeni che si pongono al di fuori degli atti mancati, ad esempio quando affermiamo che la deformazione dei nomi sotto forma di lapsus verbale ha lo stesso significato spregiativo del loro intenzionale storpiamento. Poi dalla situazione psichica nella quale l'atto mancato si verifica, dalla nostra conoscenza del carattere della persona che incorre nell'azione mancata, nonché delle impressioni che hanno colpito in precedenza questa persona, alle quali essa con tale atto mancato probabilmente reagisce. Di norma avviene che noi procediamo all'interpretazione dell'atto mancato sulla base di criteri generali, sicché essa dapprima è solo un'ipotesi, una proposta di interpretazione, di cui poi ci procuriamo conferma attraverso l'esame della situazione psichica.
Talvolta dobbiamo anche aspettare il prodursi di avvenimenti, che si sono per così dire annunciati attraverso l'atto mancato, per trovare conferma alla nostra ipotesi.
Dovendo limitarmi al campo del lapsus verbale, non mi è facile addurvi le prove di quanto ho detto finora, benché anche qui non manchino alcuni buoni esempi. Il giovanotto che vorrebbe INVULTARE una signorina è certamente un timido; la signora il cui marito può mangiare e bere ciò che lei vuole, mi è nota come una di quelle donne volitive che tengono saldamente le redini della casa.
Oppure, prendete il seguente esempio: In un'assemblea generale della "Concordia'', un giovane membro tiene un violento discorso d'opposizione, nel corso del quale apostrofa la direzione dell'Associazione come i signori del "prestito" (Vorschuss), mettendo insieme a quanto pare presidenza (Vorstand) e comitato (Ausschuss). Noi supporremo che contro la sua opposizione si agitasse in lui una tendenza perturbatrice, che potesse appoggiarsi su qualcosa avente a che fare con un prestito. In effetti, apprendiamo dal nostro informatore che l'oratore era costantemente in difficoltà finanziarie e aveva presentato proprio in quel periodo una richiesta di prestito. Quale intenzione perturbatrice possiamo dunque davvero inserire il pensiero:
"Mòderati nella tua opposizione, si tratta delle stesse persone che devono concederti il prestito".
Sono in grado, d'altra parte, di presentarvi una vasta gamma di prove indiziarie del genere se, dal lapsus verbale, passiamo al vasto campo degli altri atti mancati.
Se qualcuno dimentica un nome proprio che normalmente gli è familiare, oppure se, nonostante ogni sforzo, riesce a tenerlo a mente solo con difficoltà, ci viene spontaneo supporre che egli abbia qualcosa contro il portatore di tale nome, tanto che non gli piace pensare a lui. La situazione psichica nella quale subentra questo atto mancato è ulteriormente chiarita dai seguenti esempi.
"Un signor Y s'innamora senza successo di una signora che poco dopo sposa un signor X. Sebbene il signor Y conosca il signor X già da parecchio tempo, e sia anzi in rapporti d'affari con lui, continua a dimenticarne il nome tanto da essere costretto più volte, per sbrigare la sua corrispondenza con il signor X, a rivolgersi ad altri. Evidentemente il signor Y non vuol saper nulla del suo fortunato rivale: "di lui non fia memoria" (1).
Oppure: Una signora chiede al suo medico notizie di una comune conoscente, nominandola però con il suo nome di ragazza poiché ha dimenticato il nome che essa ha acquistato con il matrimonio. La signora ammette poi che non approvava questo matrimonio e che il marito di questa amica le era antipatico (2).
In contesti differenti avremo ancora alcune cose da dire sulla dimenticanza di nomi; adesso ci interessa principalmente la situazione psichica nella quale si verifica la dimenticanza.
La dimenticanza di propositi, in linea generale, può essere ricondotta a una corrente contraria, che non vuole eseguire il proposito. Ma non siamo solo noi psicoanalisti a pensarla così: è la concezione generale alla quale aderiscono tutti nella vita e che solo in teoria viene sconfessata. Il protettore che si scusa con il suo protetto per aver dimenticato una certa richiesta non trova giustificazione agli occhi di quest'ultimo. Il protetto pensa subito: "Non gliene importa nulla. Lo ha promesso, ma in realtà non vuol farlo". Per questo, in certe circostanze dell'esistenza la dimenticanza è vietata, e non sembra più sussistere differenza alcuna tra la concezione popolare e quella psicoanalitica di questi atti. Immaginatevi una padrona di casa che riceva il suo ospite con le parole: ''Come! è venuto oggi?
Avevo dimenticato completamente di averla invitata per oggi".
Oppure il giovanotto che dovesse confessare all'amata di aver dimenticato l'appuntamento fissato la volta precedente. Certamente egli non lo confesserà, e preferirà inventare lì per lì i più inverosimili contrattempi che l'hanno trattenuto e che successivamente l'hanno messo nell'impossibilità di dargliene notizia. Che nella vita militare la scusa di aver dimenticato qualcosa non serva a nulla e non salvi dalla punizione lo sappiamo tutti; né la cosa può sembrarci ingiusta. In questo caso, a un tratto, tutti si trovano d'accordo nel ritenere che un determinato atto mancato abbia un senso, e quale sia questo senso.
Perché tutti costoro non sono abbastanza coerenti da estendere questa concezione, ammettendola senza riserve anche per gli altri atti mancati? Anche per questo, com'è ovvio, esiste una risposta.
Se il significato di questa dimenticanza di propositi è così poco dubbio anche per i profani, tanto meno vi stupirete nell'apprendere che i poeti utilizzano nello stesso senso questi atti mancati. Chi di voi ha visto o letto "Cesare e Cleopatra", di Bernard Shaw, si ricorderà che Cesare, sul punto di partire, nell'ultima scena, è perseguitato dall'idea di essersi proposto di fare qualcosa che in quel momento non riesce a ricordare. Alla fine vien fuori che cos'era: prendere congedo da Cleopatra. Questo piccolo artificio del poeta intende attribuire al grande Cesare una superiorità (nei confronti della regina) che egli in realtà non possedeva e alla quale non aspirava affatto. Dalle fonti storiche si ricava che Cesare fece venire con sé a Roma Cleopatra, e che ivi lei si trovava con il suo piccolo Cesarione quando Cesare fu assassinato ed essa perciò costretta a fuggire dalla città.
I casi di dimenticanza di propositi sono in genere così chiari da essere di scarsa utilità per il nostro intento di trarre degli indizi dalla loro situazione psichica circa il significato dell'atto mancato. Rivolgiamoci perciò a un tipo particolarmente ambiguo e oscuro di azioni mancate, ossia alla perdita e allo smarrimento di oggetti. Che nel perdere, accidente percepito spesso così dolorosamente, siamo implicati noi stessi, con un'intenzione, non vi parrà certo credibile. Eppure abbondano osservazioni come questa. Un giovanotto perde la sua matita, che gli era stata molto cara. Il giorno prima aveva ricevuto da suo cognato una lettera, che terminava con le parole: "Per ora non ho né la voglia né il tempo di soccorrere la tua leggerezza e pigrizia" (3). Ma la matita era proprio un regalo di questo cognato. Senza tale coincidenza, non potremmo naturalmente affermare che ci fosse in questa perdita l'intenzione di disfarsi dell'oggetto. Simili casi sono assai frequenti. Si perdono oggetti quando ci si è inimicati con il loro donatore e non si vuole più pensare a lui, o anche quando non ci piacciono più e ci si vuol creare un pretesto per sostituirli con altri migliori. Alla stessa intenzione, diretta contro l'oggetto, serve naturalmente anche lasciarli cadere, spezzarli, romperli. Si può ritenere un caso che uno scolaro perda, rovini, rompa, proprio prima del suo compleanno, gli oggetti di suo uso personale, per esempio la cartella di scuola o l'orologio?
Chi ha provato un certo numero di volte la pena di non saper ritrovare qualcosa che egli stesso ha riposto, non sarà disposto a credere che anche nello smarrire vi sia il concorso di un'intenzione. E tuttavia non sono affatto rari gli esempi in cui le circostanze che compaiono nello smarrimento indicano una tendenza a eliminare l'oggetto, temporaneamente o permanentemente.
Forse il miglior esempio di questo genere è il seguente.
Un uomo piuttosto giovane mi racconta: "Alcuni anni fa ci furono malintesi nel mio matrimonio. Trovavo mia moglie troppo fredda e, sebbene ne riconoscessi le eccellenti qualità, vivevamo l'uno accanto all'altra senza tenerezza. Un giorno lei portò a casa da una passeggiata un libro che aveva comprato perché poteva interessarmi. La ringraziai di questo segno di 'attenzione', promisi di leggere il libro, lo misi da parte e non lo trovai più.
Passarono così dei mesi: ogni tanto mi ricordavo del libro scomparso e tentavo di ritrovarlo, ma invano. Circa sei mesi dopo si ammalò la mia diletta madre, che non abitava con noi. Mia moglie abbandonò casa nostra per andare a curare la suocera. Le condizioni dell'ammalata divennero gravi dando occasione a mia moglie di mostrare i suoi lati migliori. Una sera ritornai a casa pieno di ammirazione e di gratitudine per quanto mia moglie faceva. Mi avvicinai alla mia scrivania e, senza un'intenzione determinata ma con sicurezza sonnambolica, aprii un determinato cassetto nel quale vidi per prima cosa il libro smarrito e per tanto tempo cercato". Col venir meno del motivo ebbe fine anche lo smarrimento dell'oggetto.
Signore e Signori, potrei accrescere all'infinito questa raccolta di esempi. Ma non voglio farlo qui. Nella mia "Psicopatologia della vita quotidiana" (apparsa per la prima volta nel 1901) troverete in ogni caso una ricchissima casistica per lo studio degli atti mancati (4). Tutti questi esempi danno sempre lo stesso risultato: essi vi rendono verosimile il fatto che gli atti mancati abbiano un senso e vi mostrano come dalle circostanze concomitanti si possa rintracciare o confermare questo senso. Oggi voglio essere più breve, dato che il nostro intento è soltanto quello di trarre dallo studio di questi fenomeni una preparazione alla psicoanalisi. Devo solo esaminare più da vicino due gruppi di osservazioni: gli atti mancati accumulati e combinati, e i casi in cui le nostre interpretazioni sono corroborate dagli eventi che sopravvengono successivamente.
Gli atti mancati accumulati e combinati sono certamente il fior fiore della loro specie. Se ci importasse solo dimostrare che gli atti mancati possono avere un senso, ci saremmo limitati a essi sin dall'inizio poiché il loro senso è inconfondibile anche per una mente ottusa e riesce a imporsi al giudizio più critico.
L'accumularsi delle manifestazioni rivela una pertinacia quale non si presenta quasi mai negli eventi casuali, mentre ben si addice a un proposito. Infine, lo scambio reciproco tra singoli tipi di atti mancati ci mostra che l'importante e l'essenziale dell'atto non è la sua forma o i mezzi che utilizza, bensì il proposito al quale esso serve e che deve essere raggiunto per le vie più svariate. Per questo voglio presentarvi un esempio di dimenticanza ripetuta. Ernest Jones racconta che una volta, per motivi a lui ignoti, aveva lasciato sulla scrivania una lettera per alcuni giorni. Infine si decise a spedirla, ma se la vide ritornare indietro dal "Dead Letter Office" perché aveva dimenticato di scrivere l'indirizzo. Dopo aver messo l'indirizzo, la portò alla posta, ma questa volta senza francobollo. Allora dovette finalmente confessare a sé stesso la propria riluttanza a spedire la lettera.
In un altro caso, una sbadataggine si combina con uno smarrimento.
Una signora fa un viaggio a Roma in compagnia di suo cognato, un celebre artista. Questi è molto festeggiato dalla comunità tedesca di Roma e riceve in dono, fra l'altro, un'antica medaglia d'oro.
La signora è dispiaciuta del fatto che il cognato non sappia apprezzare quel bell'esemplare come meriterebbe. Arriva sua sorella a darle il cambio, ed essa riparte; giunta a casa, scopre nel disfare i bauli di avere portato con sé - come, non lo sa - quella medaglia. Ne dà subito comunicazione per lettera al cognato, annunciandogli che gli avrebbe rispedito a Roma il giorno dopo l'oggetto rapito. Il giorno dopo però la medaglia risulta così abilmente smarrita da essere introvabile e quindi non spedibile, e allora si fa luce nella signora l'intuizione del significato della sua "distrazione", vale a dire il suo desiderio di tenere quell'oggetto per sé (5).
Vi ho già riferito precedentemente un esempio di combinazione di una dimenticanza con un errore, come uno dimentichi una prima volta un appuntamento, e la seconda volta, propostosi di non dimenticarlo assolutamente, si presenti a un'ora diversa da quella convenuta. Un caso del tutto analogo mi è stato raccontato, per sua propria esperienza, da un amico, che oltre a interessi scientifici coltiva anche interessi letterari. "Alcuni anni fa - così dice - accettai di essere eletto nel comitato di una certa associazione letteraria, perché presumevo che questa società potesse un giorno essermi d'aiuto per ottenere una rappresentazione del mio dramma teatrale, e partecipai regolarmente, sebbene senza grande interesse, alle sedute che avevano luogo ogni venerdì. Alcuni mesi fa ottenni la promessa da parte di un teatro di F. che la mia opera sarebbe stata rappresentata, e da allora mi accade regolarmente di dimenticare le sedute di quell'associazione. Quando lessi il vostro scritto su queste cose, mi vergognai della mia dimenticanza, mi rimproverai di agire con bassezza nel mancare alle sedute ora che quella gente non mi serviva più, e decisi di non mancare assolutamente il venerdì successivo. Mi ricordai ripetute volte di questo proponimento, finché lo eseguii e venni a trovarmi davanti alla porta della sala delle sedute. Con mio stupore la trovai chiusa, la seduta era terminata da un pezzo. Infatti mi ero sbagliato nel giorno; eravamo già di sabato!".
Sarebbe divertente continuare con simili osservazioni, ma sarà meglio procedere. Desidero che gettiate uno sguardo su quei casi nei quali la nostra interpretazione deve attendere conferma dal futuro. La condizione principale di questi casi è, ovviamente, che la situazione psichica di quel momento ci sia sconosciuta o non sia accertabile. Allora la nostra interpretazione ha solo il valore di un'ipotesi, cui noi stessi non vogliamo attribuire troppo peso. Più tardi però si verifica qualcosa che ci dimostra come già allora la nostra interpretazione fosse giustificata. Fui una volta ospite di una coppia di novelli sposi e udii la giovane moglie narrare ridendo ciò che le era capitato da ultimo. Il giorno dopo il ritorno dal viaggio di nozze era andata a trovare la sorella nubile per uscire con lei a far compere come nei tempi passati, mentre il marito andava per gli affari suoi. Tutt'a un tratto aveva notato un signore dall'altra parte della strada e aveva gridato alla sorella urtandole il braccio: "Guarda lì il signor L". Aveva dimenticato che questo signore era da alcune settimane il suo legittimo consorte. Sentii freddo a questo racconto, ma non ebbi il coraggio di trarne le conseguenze. Mi ricordai di nuovo di questo episodio anni dopo, quando quel matrimonio ebbe esito infelicissimo.
Alphonse Maeder racconta di una signora che, il giorno prima del suo matrimonio, aveva dimenticato di provare il suo abito da sposa e, con disperazione della sarta, se ne rammentò solo a tarda sera.
Egli mette in rapporto con questa dimenticanza il fatto che, poco tempo dopo, essa era già divorziata dal marito. Conosco una signora, ora divorziata da suo marito, che negli atti di amministrazione del suo patrimonio spesso firmava i documenti col cognome di ragazza, molti anni prima di riassumerlo effettivamente. - So di altre donne che durante il viaggio di nozze hanno perso la fede nuziale, e so anche che lo svolgimento del matrimonio ha conferito significato a questo fatto. - E ora un altro esempio clamoroso, con esito migliore. Di un famoso chimico tedesco si racconta che il suo matrimonio non ebbe luogo, dato che aveva dimenticato l'ora dello sposalizio e invece che in chiesa si era recato in laboratorio. Fu così saggio da accontentarsi di quest'unico tentativo e morì celibe in tarda età.
Forse anche a voi è venuta l'idea che in questi esempi le azioni mancate abbiano preso il posto degli "omina" o presagi degli antichi. Ed effettivamente alcuni "omina" non erano altro che atti mancati, per esempio se si trattava di qualcuno che inciampava o cadeva a terra. E' anche vero che altri "omina" avevano il carattere dell'accadere oggettivo, non dell'agire soggettivo. Ma voi non potete credere quanto sia difficile talvolta decidere, di fronte a un certo avvenimento, se esso appartenga all'uno o all'altro gruppo, tanto spesso il fare sa mascherarsi da esperienza passiva.
Ognuno di noi, che abbia alle sue spalle un'esperienza di vita piuttosto lunga, probabilmente ammetterà che avrebbe risparmiato a sé stesso molte delusioni e dolorose sorprese, se avesse trovato il coraggio e la decisione di interpretare come presagi i piccoli atti mancati sperimentati nei contatti umani, e se avesse saputo avvalersene come segni di intenzioni ancora tenute segrete. Questa è perlopiù una cosa che non osiamo fare; avremmo l'impressione di ridiventare superstiziosi attraverso la via indiretta della scienza. Non tutti i presagi, inoltre, si avverano; ma apprenderete dalle nostre teorie che non c'è bisogno che si avverino proprio tutti.
NOTE:
Lezione 4 - GLI ATTI MANCATI (CONCLUSIONE)
Signore e Signori, che gli atti mancati abbiano un senso è dunque un'affermazione che possiamo presentare come risultato delle indagini sinora svolte e prendere come base per le nostre ulteriori ricerche. Faccio ancora una volta rilevare che noi non affermiamo - né per i nostri fini abbiamo bisogno di farlo - che ogni singolo atto mancato ha un senso, benché io sia convinto che ciò è probabile. Per noi è sufficiente dimostrare la relativa frequenza di tale senso nelle diverse forme di atto mancato.
Queste varie forme, del resto, si comportano diversamente a tale riguardo. Nei lapsus verbali, di scrittura eccetera, possono presentarsi casi con motivazione puramente fisiologica; nei tipi basati sulla dimenticanza (dimenticanza di nomi e di propositi, smarrimenti eccetera) non posso credere che la ragione sia la stessa; molto probabilmente ci sono casi di perdita in cui bisogna ammettere la mancanza d'intenzione. Insomma, gli errori che capitano nella vita rientrano solo fino a un certo punto nello schema da me proposto. Vogliate tenere presenti queste restrizioni, quando d'ora innanzi procederemo dall'affermazione che gli atti mancati sono atti psichici e hanno origine dall'interferenza di due intenzioni.
E' questo il primo risultato della psicoanalisi. Dell'esistenza di tali interferenze e della possibilità che ne conseguano fenomeni di questa natura, la psicologia finora non sapeva nulla. Noi abbiamo ampliato il campo dei fenomeni psichici in misura considerevolissima e abbiamo acquisito alla psicologia fenomeni che prima non erano ritenuti di sua pertinenza.
Soffermiamoci ancora un momento sull'affermazione che gli atti mancati sono "atti psichici". Contiene essa qualcosa di più rispetto all'altra nostra asserzione, ossia che essi hanno un senso? Non lo credo; è piuttosto più indefinita ed equivoca. Tutto ciò che si può osservare nella vita psichica verrà designato per il momento come fenomeno psichico. Il problema diventerà quindi quello di appurare se la singola espressione psichica è scaturita direttamente da influenze somatiche, organiche, materiali, nel qual caso la sua indagine non spetta alla psicologia, oppure se essa deriva in primo luogo da altri processi psichici, dietro ai quali ha pertanto inizio, in qualche punto, la serie delle influenze organiche. E' quest'ultima situazione che abbiamo in mente quando designiamo un fenomeno come processo psichico, e per questo è più appropriato esprimere la nostra asserzione nella forma: il fenomeno è dotato di senso, ha un senso. Per "senso" noi intendiamo significato, intenzione, tendenza e posizione in un concatenarsi di eventi psichici.
Oltre agli atti mancati, ci sono numerosi altri fenomeni, ad essi assai prossimi, per i quali però questo nome non si adatta più.
Sono le cosiddette azioni casuali e sintomatiche. Esse pure sono qualcosa di immotivato, di non appariscente e irrilevante ma, oltre a ciò, hanno un più chiaro carattere di superfluità. Dalle azioni mancate le distingue l'assenza di un'altra intenzione, con la quale si scontrino e che da esse venga disturbata. D'altra parte, sconfinano insensibilmente nei gesti e nei movimenti che noi consideriamo espressione dei moti dell'animo. In queste azioni casuali rientrano tutte quelle operazioni che noi eseguiamo come per gioco, apparentemente senza scopo, sul nostro abbigliamento, su parti del nostro corpo, su oggetti che abbiamo a portata di mano, come pure l'omissione delle stesse e, inoltre, le melodie che canticchiamo tra noi. Il mio parere è che tutti questi fenomeni sono dotati di senso e interpretabili allo stesso modo delle azioni mancate, che essi sono piccoli indizi di altri processi psichici più importanti, e dunque atti psichici pienamente validi. Tuttavia non intendo soffermarmi su questo ulteriore ampliamento del campo dei fenomeni psichici, tornerò invece agli atti mancati, che permettono di elaborare con chiarezza di gran lunga maggiore interrogativi importanti per la psicoanalisi.
I quesiti più interessanti, che abbiamo posto a proposito degli atti mancati e cui non abbiamo ancora dato risposta, sono probabilmente i seguenti: abbiamo asserito che gli atti mancati sono il risultato dell'interferenza di due diverse intenzioni, l'una delle quali può essere detta perturbata, l'altra perturbatrice. Mentre le intenzioni perturbate non danno adito a ulteriori quesiti, a proposito delle altre vogliamo sapere, in primo luogo, che specie di intenzioni siano queste, che si presentano come un elemento di disturbo per altre intenzioni e, in secondo luogo, come si comportino le intenzioni perturbatrici rispetto a quelle perturbate.
Permettetemi di prendere nuovamente il lapsus verbale come rappresentante dell'intera categoria e di rispondere prima alla seconda domanda.
Nel lapsus verbale l'intenzione perturbatrice può essere correlata contenutisticamente con quella perturbata; in questo caso contiene una contraddizione nei suoi riguardi, una rettifica o un'integrazione di essa. Oppure, ed è questo il caso più oscuro e più interessante, l'intenzione perturbatrice non ha niente a che fare con l'intenzione perturbata quanto al contenuto.
Le testimonianze per la prima delle due relazioni possiamo trovarle senza fatica negli esempi a noi già noti e in altri simili. Quasi in tutti i casi di lapsus verbale in cui viene detto l'opposto, l'intenzione perturbatrice esprime il contrario di quella perturbata, e l'atto mancato è la rappresentazione del conflitto tra due aspirazioni inconciliabili: "Io dichiaro aperta la seduta, ma preferirei averla già chiusa", è il senso del lapsus del presidente. Un giornale politico, che è stato accusato di venalità, si difende in un articolo che deve culminare nelle parole: "I nostri lettori ci faranno testimonianza che noi abbiamo sempre difeso il bene pubblico nel modo più DISINTERESSATO". ll redattore incaricato di redigere la difesa scrive: "nel modo più INTERESSATO". Cioè egli pensa: "E' così che devo scrivere, ma so che non è vero". Un rappresentante del popolo, che invita a dire all'imperatore la verità senza riserve ("rückhaltlos"), certamente ha dato ascolto a una voce del suo intimo che, spaventatasi di tanta audacia, con un lapsus verbale ha trasformato il "senza riserve" in "senza spina dorsale (rückgratlos)".
Negli esempi a voi noti, che danno l'impressione di contrazioni e abbreviazioni, si tratta di rettifiche, aggiunte o continuazioni, con le quali una seconda tendenza si fa valere accanto alla prima.
"Alcuni fatti vennero in luce... Ma dillo piuttosto chiaro e tondo che erano PORCHERIE; quindi: alcuni fatti vennero in LURCHE". "Le persone che capiscono questo argomento si possono contare SULLE DITA DI UNA MANO...
Ma no, in realtà, c'è uno solo che lo capisce, quindi: si possono contare SU UN DITO". Oppure: "Mio marito può mangiare e bere quel che vuole. Ma, lo sapete, io non tollero che egli voglia qualcosa; quindi: può mangiare e bere ciò che VOGLIO". In tutti questi casi, dunque, il lapsus verbale scaturisce dal contenuto dell'intenzione disturbata stessa o si riallaccia ad esso.
L'altro tipo di relazione tra le due intenzioni interferenti suscita una strana impressione. Se l'intenzione perturbatrice non ha nulla a che fare con il contenuto dell'intenzione perturbata, da dove viene dunque e da che cosa dipende il fatto che si riveli come elemento di disturbo proprio in quel punto? L'osservazione, che è la sola a poter dare una risposta, permette di riconoscere che l'elemento di disturbo proviene da una sequenza di pensieri che aveva occupato poco prima la mente della persona in questione e che ora, indipendentemente dal fatto che abbia trovato o meno espressione nel discorso, produce un effetto differito. Essa va quindi effettivamente definita come una risonanza, ma non necessariamente come una risonanza di parole pronunciate. Anche qui non manca una connessione associativa tra ciò che perturba e ciò che è perturbato, ma essa non è data nel contenuto, bensì prodotta artificialmente, spesso in grazia di collegamenti molto forzati.
Ascoltate in proposito un semplice esempio, che ho osservato io stesso. Un giorno incontro nelle nostre belle Dolomiti due signore viennesi camuffate da escursioniste. Le accompagno un pezzo e parliamo delle gioie ma anche delle fatiche dell'escursionismo; una delle signore ammette che questa maniera di passare la giornata ha molti aspetti sgradevoli. "E' proprio vero - dice - che non è per niente gradevole marciare tutto il giorno sotto il sole con la blusa e la camicia bagnate di sudore". A un certo punto di questa frase incappa in una lieve esitazione. Poi continua: "Ma quando poi si arriva a casa e ci si può cambiare..." soltanto che invece di "Haus" [casa], dice "Hose" [mutande]. Non abbiamo analizzato questo lapsus, ma penso che possiate facilmente comprenderlo. La signora evidentemente aveva avuto l'intenzione di fare un elenco più completo della biancheria dicendo: blusa, camicia e mutande. Ma si trattenne dal nominare queste ultime per motivi di decenza. Ora nella frase successiva, del tutto indipendente quanto a contenuto, la parola non pronunciata emerse come distorsione della parola dal suono simile "nach Hause" (a casa).
Ora tuttavia possiamo rivolgerci al quesito principale, da tempo tenuto in serbo: che genere di intenzioni siano queste, che si manifestano m modo insolito come elementi di disturbo di altre intenzioni. Orbene ce ne sono evidentemente di diversissimo tipo, ma di esse vogliamo trovare il fattore comune. Se esaminiamo a questo scopo una serie di esempi, distingueremo subito tre gruppi.
Al primo gruppo appartengono i casi in cui la tendenza perturbatrice è nota a colui che parla e inoltre è stata da lui avvertita prima del lapsus. Così, nel lapsus "lurche", l'autore non soltanto ammette di aver formulato il giudizio di "porcherie" sui procedimenti in questione, ma anche di aver avuto l'intenzione, dalla quale poi si è ritratto, di dare a questo giudizio espressione verbale. Un secondo gruppo è costituito da altri casi, nei quali la tendenza perturbatrice viene ugualmente riconosciuta come propria da colui che parla; tuttavia costui non sa nulla del fatto che essa era attiva in lui proprio poco prima del lapsus. Egli accetta quindi la nostra interpretazione del suo lapsus, ma ne rimane in certa misura meravigliato. E' forse più facile trovare esempi di questo comportamento in altri atti mancati che non nel lapsus verbale. In un terzo gruppo l'interpretazione della tendenza perturbatrice viene respinta energicamente da colui che parla; non soltanto egli contesta che tale tendenza fosse viva in lui prima del lapsus, ma afferma addirittura che gli è completamente estranea. Rammentatevi l'esempio del "ruttare" e la smentita addirittura scortese che mi sono attirato dalla persona in questione per aver scoperto l'intenzione perturbatrice. Voi sapete che non abbiamo ancora raggiunto un accordo circa il modo di concepire questi casi. Per parte mia sarei incline a non dare alcuna importanza alla contestazione dell'autore del brindisi e mi atterrei irremovibilmente alla mia interpretazione, mentre voi, penso, siete sotto l'impressione della sua protesta e vi domandate se non si debba rinunciare all'interpretazione di tali atti mancati e attribuire loro il valore di atti puramente fisiologici nel senso preanalitico. Posso immaginare che cosa vi spaventi. La mia interpretazione implica l'ipotesi che in colui che parla possano esternarsi intenzioni di cui egli stesso non sa nulla, ma che io sono in grado di inferire sulla base di indizi. Dinanzi a una supposizione così nuova e densa di conseguenze voi vi fermate. Lo comprendo, e fin qui vi dò ragione. Ma mettiamo in chiaro questo punto: se volete applicare in modo coerente la concezione degli atti mancati corroborata da esempi così numerosi, dovete decidervi ad accettare questa sorprendente ipotesi. Se non ci riuscirete, dovrete anche rinunciare alla comprensione degli atti mancati che avete appena acquisito.
Soffermiamoci ancora su ciò che unisce i tre gruppi, ossia su ciò che accomuna i tre meccanismi di lapsus verbale. Per fortuna quest'elemento è inconfondibile. Nei primi due gruppi la tendenza perturbatrice viene ammessa dall'autore del lapsus; nel primo va aggiunto anche che essa è annunciata immediatamente prima del lapsus. In entrambi i casi però, ESSA E' STATA RICACCIATA INDIETRO. COLUI CHE PARLA SI E' DECISO A NON TRADURLA IN PAROLE, E ALLORA INCORRE NEL LAPSUS VERBALE; ALLORA, CIOE', LA TENDENZA RESPINTA SI TRADUCE IN PAROLE CONTRO LA SUA VOLONTA', O MODIFICANDO L'ESPRESSIONE DELL'INTENZIONE CUI EGLI CONSENTE, O COMBINANDOSI CON ESSA, O PRENDENDONE ADDIRITTURA IL POSTO. E' questo, pertanto, il meccanismo del lapsus verbale.
Dal mio punto di vista posso mettere in perfetto accordo con il meccanismo qui descritto anche ciò che avviene nel nostro terzo gruppo. Occorre solo che ammetta che questi tre gruppi si differenziano per la diversa portata della spinta che ricaccia indietro l'intenzione. Nel primo l'intenzione è presente ed è avvertita da chi parla prima che egli si esprima; solo in un secondo momento essa subisce la ripulsa, per cui si rifà con il lapsus. Nel secondo gruppo la ripulsa ha una portata maggiore; l'intenzione non è già più avvertibile prima dell'espressione verbale. Strano davvero che questo non le impedisca affatto di divenire una delle cause del lapsus! Ma questo comportamento ci facilita la spiegazione di ciò che ha luogo nel terzo gruppo. Avrò l'ardire di supporre che nell'atto mancato può esprimersi anche una tendenza che è respinta da lungo, forse da lunghissimo tempo, tendenza non avvertita che quindi può essere direttamente sconfessata da chi parla. Ma anche lasciando da parte il problema del terzo gruppo, le osservazioni sugli altri casi impongono la conclusione che LA REPRESSIONE DELL'INTENZIONE CHE SI PRESENTA DI DIRE QUALCOSA E' LA CONDIZIONE INDISPENSABILE PERCHE' SI VERIFICHI UN LAPSUS VERBALE.
Possiamo ora affermare di aver fatto ulteriori progressi nella conoscenza degli atti mancati. Non solo sappiamo che essi sono atti psichici nei quali si può riconoscere un senso e un'intenzione, non solo che hanno origine dall'interferenza di due diverse intenzioni, ma anche che una di queste intenzioni, per giungere a esprimersi attraverso la perturbazione dell'altra, dev'essere stata in certo modo trattenuta dall'attuarsi Dev'essere stata perturbata essa stessa, prima di diventare perturbatrice Con ciò, naturalmente, non abbiamo ancora raggiunto una spiegazione completa dei fenomeni che chiamiamo atti mancati. Vediamo subito sorgere altri quesiti e, nell'insieme, sospettiamo che quanto più procederemo nella comprensione, tanto più numerosi si presenteranno gli spunti per nuovi interrogativi. Possiamo chiedere, per esempio, perché le cose non vadano molto più semplicemente. Se esiste l'intenzione di ricacciare indietro una certa tendenza invece che di attuarla, la spinta all'indietro dovrebbe riuscire in modo tale che appunto nulla di quella tendenza giunga a esprimersi; oppure essa potrebbe anche non riuscire, e in tal modo la tendenza respinta procurarsi piena espressione. Gli atti mancati, però, sono risultati di compromesso; essi significano una mezza riuscita e un mezzo fallimento per ognuna delle due intenzioni: l'intenzione messa in pericolo non viene né completamente repressa né - a prescindere da singoli casi - giunge a imporsi del tutto indenne. Possiamo immaginare che debbano esistere particolari condizioni perché si verifichino questi risultati di interferenza o di compromesso, ma non possiamo nemmeno sospettare di che specie possano essere. E non credo che potremo scoprire questi rapporti a noi sconosciuti attraverso un ulteriore approfondimento dello studio degli atti mancati. Sarà piuttosto necessario esplorare prima altri oscuri campi della vita psichica; solo le analogie che ci si faranno innanzi potranno darci il coraggio di formulare le ipotesi che sono necessarie per una spiegazione più approfondita degli atti mancati. E ancora un punto. Anche il lavorare sulla base di piccoli indizi, come usiamo costantemente fare in questo campo, comporta determinati pericoli . C'è una malattia psichica, la "paranoia combinatoria", nella quale l'impiego di tali piccoli indizi viene effettuato in modo illimitato - e io naturalmente non mi farò garante che le inferenze costruite su questo fondamento siano sempre corrette. Da questi pericoli può preservarci solo l'ampia base che sapremo dare alle nostre osservazioni. il ripetersi di impressioni analoghe nei più diversi campi della vita psichica.
Abbandoneremo dunque qui l'analisi degli atti mancati. Ma una cosa devo ancora raccomandarvi: vogliate tenere a mente, come modello, il metodo adottato per trattare questi fenomeni. Da questo esempio potete scorgere quali siano gli intenti della nostra psicologia.
Noi non vogliamo semplicemente descrivere e classificare i fenomeni, ma concepirli come indizi di un gioco di forze che si svolge nella psiche, come l'espressione di tendenze orientate verso un fine, che operano insieme o l'una contro l'altra. Ciò che ci sforziamo di raggiungere è una CONCEZIONE DINAMICA dei fenomeni psichici. Nella nostra concezione i fenomeni percepiti vanno posti in secondo piano rispetto alle tendenze, che pure sono soltanto ipotetiche.
Rinunciando, quindi, ad approfondire ulteriormente gli atti mancati, possiamo tuttavia dare ancora una scorsa all'estensione di questo ambito, nel quale ritroveremo cose note e scopriremo qualcosa di nuovo. Ci atteniamo in questo alla partizione già stabilita all'inizio degli atti mancati in tre gruppi: il lapsus verbale con le forme a esso affini dei lapsus di scrittura, di lettura e di ascolto; la dimenticanza, con le sue suddivisioni a seconda dell'oggetto dimenticato (nomi propri, parole straniere, propositi, impressioni); e la sbadataggine, lo smarrire, il perdere. Gli errori, fintantoché rientrano nella nostra disamina, si riallacciano in parte alle dimenticanze, in parte alle sbadataggini.
Abbiamo ancora qualcosa da aggiungere a proposito del LAPSUS VERBALE, pur avendone già parlato piuttosto diffusamente. Al lapsus verbale si riallacciano fenomeni affettivi minori, che non sono del tutto privi di interesse. Nessuno ammette volentieri di aver commesso un lapsus verbale; inoltre spesso il proprio lapsus sfugge, quello di un altro mai. In un certo senso il lapsus verbale è anche contagioso; non è affatto facile parlare dei lapsus verbali senza incorrervi a propria volta. Le forme più banali di lapsus verbale, quelle cioè che non hanno alcun particolare chiarimento da fornire circa processi psichici nascosti, non sono difficili da comprendere per quanto riguarda la loro motivazione. Se, ad esempio, una certa persona pronuncia come breve una vocale lunga, in seguito a una perturbazione che colpisce questa parola per un qualsiasi motivo, subito dopo allungherà una vocale breve e, nel compensare il primo lapsus, ne commetterà un secondo. Allo stesso modo, se si pronuncia in modo impreciso e sbadato un dittongo, per esempio un "oi" come un "ai", si cercherà di porvi rimedio modificando un "ai" susseguente in "oi". In entrambi i casi sembra essere determinante un riguardo verso l'ascoltatore, il quale non deve credere che a chi parla sia indifferente il modo in cui tratta la lingua materna: la seconda deformazione, quella compensatoria, ha precisamente l'intento di far notare all'ascoltatore la prima deformazione, e di assicurargli che essa non è sfuggita nemmeno a chi parla. I casi più frequenti, più semplici e banali di lapsus verbale consistono in contrazioni e presonanze, che si manifestano in punti insignificanti del discorso. In una frase piuttosto lunga, ad esempio, si può commettere un lapsus anticipando l'ultima parola di quel che s'intende dire. Ciò dà l'impressione di una certa impazienza di finire la frase e attesta, in generale, una certa riluttanza a profferire questa frase o il discorso nel suo insieme. Giungiamo così a casi limite, nei quali le differenze tra la concezione psicoanalitica e la comune concezione fisiologica del lapsus verbale si confondono. Noi supponiamo che in questi casi sia presente una tendenza a disturbare l'intenzione del discorso; ma essa può solo manifestare la sua presenza e non ciò a cui mira. La perturbazione che essa provoca segue poi influssi fonetici o attrazioni associative di un tipo o dell'altro, e può essere concepita come sviamento dell'attenzione dall'intento del discorso. Ma né questa perturbazione dell'attenzione né il fatto che siano diventate operanti le inclinazioni associative colgono l'essenza del processo che, nonostante tutto, è data ancora una volta dall'esistenza a cui si allude di un'intenzione che perturba l'intento del discorso; solo che la natura dell'intenzione perturbatrice questa volta non può essere ricavata dai suoi effetti, come è possibile in tutti i casi di lapsus verbale più spiccatamente caratterizzati.
Passando al LAPSUS DI SCRITTURA, dobbiamo dire che esso collima a tal punto con il lapsus verbale che non abbiamo da aspettarci alcuna novità. Forse ci sarà concessa una breve esemplificazione.
I piccoli lapsus di scrittura tanto diffusi, le contrazioni, le anticipazioni di parole successive, specialmente dell'ultima, rinviano ancora una volta a una generale svogliatezza di scrivere e a impazienza di finire. Effetti più accentuati di lapsus di scrittura permettono di riconoscere natura e intenzione della tendenza perturbatrice. In generale, quando si trova un lapsus in una lettera, è segno che c'era qualcosa che non andava nello scrivente; che cosa si agitasse in lui, non sempre lo si può determinare. Spesso il lapsus di scrittura viene altrettanto poco notato da colui che lo commette quanto il lapsus verbale. Degna di nota è poi la seguente osservazione: ci sono persone che hanno l'abitudine di rileggere per intero ogni lettera prima di spedirla; altri normalmente non lo fanno, ma quando eccezionalmente ciò accade, hanno sempre modo di scoprire, e di correggere, un lapsus vistoso. Come si spiega tutto questo? Sembra quasi che queste persone sappiano di aver sbagliato nel redigere la lettera. Dobbiamo veramente crederlo?
All'importanza pratica del lapsus di scrittura si ricollega un interessante problema. Vi ricorderete forse del caso di quell'assassino, H., abile nel procurarsi da istituti scientifici colture di microbi patogeni estremamente pericolosi, spacciandosi per batteriologo, per poi adoperare queste colture per togliere di mezzo in tale modernissimo modo i suoi conoscenti. Accadde che quest'uomo lamentò una volta presso la direzione di uno di tali istituti l'inefficacia delle colture speditegli, ma nel farlo commise un lapsus di scrittura: al posto delle parole "nei miei esperimenti su topi (Mausen) o cavie (Meerschweillchen)", scrisse chiaramente la frase: "nei miei esperimenti su uomini (Menschen)".
Questo lapsus diede nell'occhio anche ai medici dell'istituto, ma essi, per quanto ne so, non ne trassero alcuna conclusione. Ora, voi che ne pensate? Non avrebbero dovuto piuttosto accogliere il lapsus come una confessione e promuovere un'indagine, con la quale si sarebbe tempestivamente posto fine alle malefatte di quell'uomo? Forse che in questo caso l'ignoranza della nostra concezione degli atti mancati non è divenuta la causa di un'omissione importante dal punto di vista pratico? Per quanto mi riguarda, un tale lapsus di scrittura mi sarebbe certamente apparso molto sospetto; ma qualcosa di importante si frappone alla sua utilizzazione come confessione. La cosa non è così semplice.
Il lapsus di scrittura è sicuramente un indizio, ma non sarebbe stato sufficiente di per sé solo ad avviare un'inchiesta. E' vero che il lapsus dice che l'uomo è occupato dal pensiero di provocare un'infezione in altre persone, ma non permette di decidere se questo pensiero abbia il valore di un chiaro proposito nocivo o quello di una fantasia senza importanza dal punto di vista pratico. E' persino possibile che l'uomo che ha commesso un simile lapsus di scrittura rinneghi, adducendo motivazioni soggettive perfettamente legittime, questa fantasia, o la respinga come qualcosa che gli è completamente estraneo. Quando, più avanti, prenderemo in esame le differenze tra realtà psichica e realtà materiale, potrete comprendere ancora meglio queste eventualità.
Ma questo è di nuovo un caso in cui un atto mancato ha assunto successivamente un'importanza insospettata.
Nel LAPSUS DI LETTURA ci imbattiamo in una situazione psichica che si differenzia nettamente da quella del lapsus verbale e di scrittura. Una delle due tendenze tra loro in concorrenza è qui sostituita da una stimolazione sensoria ed è forse perciò meno resistente. Ciò che si ha da leggere non è una produzione della propria vita psichica come, per esempio, ciò che ci si propone di scrivere. Per questo, nella gran maggioranza dei casi, il lapsus di lettura consiste in una completa sostituzione. Si sostituisce la parola da leggere con un'altra, senza che debba esistere necessariamente un rapporto di contenuto tra il testo e il risultato del lapsus, il quale si basa di regola su una somiglianza di parole. L'esempio di Lichtenberg: "Agamemnon" al posto di "angenommen" è il migliore di questo gruppo. Se si vuol riconoscere la tendenza perturbatrice che ha provocato il lapsus, si deve lasciare completamente da parte il testo letto in modo errato e si può introdurre l'indagine psicoanalitica con due interrogativi: qual è la prima idea che si presenta in rapporto al risultato del lapsus, e in quale situazione è avvenuto il lapsus?
Talvolta la conoscenza di quest'ultima basta da sola a chiarire il lapsus. Per esempio, un tale vaga per una città sconosciuta, spinto da un certo bisogno, e su una grande insegna a un primo piano legge la dicitura "Reparto gabinetti". Ha appena il tempo di meravigliarsi del fatto che l'insegna sia situata così in alto, prima di scoprire che, a essere esatti, c'è scritto "Reparto giovinetti". In altri casi proprio il lapsus di lettura che non ha nulla a che fare col contenuto del testo, richiede un'analisi particolareggiata che non è possibile eseguire senza pratica della tecnica psicoanalitica e senza fiducia in essa. Ma generalmente è piuttosto facile procurarsi la spiegazione di un lapsus di lettura: come nel caso di "Agamemnon", la parola sostituita rivela immediatamente la cerchia di pensieri dalla quale proviene la perturbazione. In questi tempi di guerra, per esempio, ci capita molto frequentemente di leggere i nomi delle città o dei capi dell'esercito o le espressioni militari che ci ronzano continuamente per il capo, ovunque ci si presenti una parola simile. Ciò che ci interessa e ci occupa si mette così al posto di ciò che è estraneo e ancor privo di interesse. Le immagini residue dei nostri pensieri turbano le nuove percezioni.
Non mancano, anche in fatto di lapsus di lettura, casi di altro genere, in cui è il testo stesso di ciò che si legge a risvegliare la tendenza perturbatrice, dalla quale il testo stesso viene perlopiù trasformato nel suo contrario. Si dovrebbe leggere qualcosa di indesiderato, e l'analisi dimostrerà che un intenso desiderio di respingere quanto si è letto è responsabile della sua modificazione.
Nei lapsus di lettura menzionati per primi - e sono i più frequenti - hanno poco risalto due fattori ai quali abbiamo attribuito importanza nel meccanismo degli atti mancati: il conflitto fra due tendenze e la ripulsa di una di esse, la quale si rifà provocando un atto mancato. Non che nel lapsus di lettura si possa rinvenire qualcosa che contrasti con questo, ma la prevalenza del contenuto di pensiero che porta al lapsus di lettura è molto più appariscente della ripulsa che esso può aver subìto in precedenza.
I due fattori testé menzionati si presentano nel modo più tangibile nelle diverse situazioni di atti mancati causati da dimenticanza. La dimenticanza di propositi è davvero inequivoca; la sua interpretazione, come abbiamo visto, non viene contestata nemmeno dal profano. La tendenza che perturba il proposito è ogni volta una controintenzione, un "non volere", di cui ci resta solo da sapere perché non si manifesti diversamente e in modo non dissimulato. La presenza di questa controvolontà è comunque indubbia. Talvolta si riesce anche a intuire qualcosa dei motivi che costringono questa controvolontà a nascondersi; e tutte le volte si vede che essa raggiunge surrettiziamente il suo intento attraverso l'atto mancato, mentre andrebbe certamente incontro a un rifiuto se si presentasse come una palese contraddizione. Se tra il proposito e la sua esecuzione è subentrata un'importante alterazione della situazione psichica, per cui il problema di eseguire il proposito non si pone più, allora la dimenticanza del proposito esorbita dall'ambito degli atti mancati. Non ci si meraviglia più di averlo dimenticato e ci si rende conto che sarebbe stato superfluo ricordarlo; quindi esso è venuto meno per sempre o temporaneamente. La dimenticanza del proposito può essere chiamata atto mancato solo quando non possiamo credere che il proposito sia stato interrotto in questo modo.
I casi di dimenticanza di propositi sono, in generale, così uniformi e trasparenti da non avere, appunto per questo, alcun interesse per la nostra indagine. In due punti, però, possiamo apprendere qualcosa di nuovo dallo studio di questi atti mancati.
Come abbiamo detto, la dimenticanza, ossia la non esecuzione di un proposito, indica la presenza di una controvolontà che gli è ostile. Detto questo, va però precisato che la controvolontà, secondo quanto asseriscono le nostre ricerche, può essere di due specie: diretta o mediata. Che cosa si intenda per quest'ultima, può essere meglio illustrato con uno o due esempi. Se il protettore dimentica di mettere una buona parola per il suo protetto presso una terza persona, questo può succedere perché il protetto in realtà non gli interessa molto e quindi non ha una gran voglia di raccomandarlo. In ogni caso, è in questo senso che il protetto interpreterà la dimenticanza del protettore. Ma le cose possono essere anche più complicate. La controvolontà del protettore nei riguardi dell'esecuzione del proposito può avere altra origine e concernere un punto del tutto diverso. Può non aver niente a che fare con il protetto, ma rivolgersi magari contro colui al quale va diretta la raccomandazione. Vedete dunque quali perplessità si oppongano anche qui all'applicazione pratica delle nostre interpretazioni. Nonostante la giusta interpretazione della dimenticanza, c'è il pericolo che il protetto sia troppo diffidente e faccia un grave torto al suo protettore. Oppure: se qualcuno dimentica l'appuntamento che aveva promesso a un altro, e proposto a sé stesso, di osservare, la ragione più frequente sarà senz'altro la riluttanza a incontrarsi con questa persona. Ma l'analisi potrebbe fornire qui la dimostrazione che la tendenza perturbatrice non riguarda la persona, ma è rivolta contro il luogo in cui l'incontro deve avvenire, luogo che viene evitato a causa di un ricordo penoso a esso collegato. Oppure: se uno dimentica di spedire una lettera, la controtendenza può basarsi sul contenuto stesso della lettera; ma non è assolutamente escluso che la lettera sia di per sé innocua e soccomba alla controtendenza solo perché qualcosa che la riguarda ricorda un'altra lettera scritta in precedenza, la quale offriva veramente alla controvolontà un preciso aggancio. Si può dire allora che qui la controvolontà si è trasferita dalla lettera precedente, in cui era giustificata, su quella attuale, con la quale in realtà non ha niente a che fare. Vedete dunque che nell'utilizzazione delle nostre pur fondate interpretazioni si deve usare riserbo e prudenza: fatti psicologicamente equivalenti possono avere in pratica una grande varietà di significati .
Fenomeni come questi vi appariranno molto inconsueti. Forse siete inclini a supporre che la controvolontà "indiretta" caratterizzi il processo come già patologico. Ma vi posso assicurare che essa si presenta anche nell'ambito della normalità e della sanità.
D'altra parte non fraintendetemi. Non intendo in alcun modo essere io stesso ad ammettere l'inattendibilità delle nostre interpretazioni analitiche. La suddetta molteplicità di significati della dimenticanza di propositi sussiste infatti soltanto finché non avremo intrapreso un'analisi del caso, e finché ci limitiamo a interpretare sulla base di premesse generali. Eseguendo l'analisi, apprendiamo ogni volta con sufficiente certezza se la controvolontà è diretta o, comunque, donde essa tragga origine.
Un secondo punto è il seguente. Se in una grande maggioranza di casi troviamo confermato che la dimenticanza di un proposito risale a una controvolontà, trarremo da ciò il coraggio di estendere questa soluzione anche a un'altra serie di casi, nei quali la persona analizzata non conferma la controvolontà da noi dedotta, ma anzi la smentisce. Prendete come esempi di ciò i casi oltremodo frequenti in cui si dimentica di restituire libri presi a prestito, di pagare conti o debiti. Noi saremo così audaci da rinfacciare all'individuo in questione che in lui esiste l'intenzione di tenersi i libri e di non pagare i debiti, mentre egli sconfesserà questa intenzione pur non essendo in grado di darci un'altra spiegazione del suo comportamento. Al che noi proseguiamo dicendo che egli nutre quest'intenzione, pur non sapendone nulla, ma che per noi è sufficiente che essa si tradisca in lui attraverso l'effetto della dimenticanza. Egli può ripeterci di aver appunto dimenticato. Riconoscerete una situazione che già una volta abbiamo discusso. Se vogliamo portare innanzi in modo conseguente il nostro discorso sugli atti mancati, che già più volte si è rivelato fondato, siamo inevitabilmente spinti ad ammettere che ci sono nell'uomo tendenze le quali possono agire senza che egli lo sappia. Con questo però ci mettiamo in contrasto con tutte le opinioni che dominano la vita e la psicologia.
La DIMENTICANZA DI NOMI PROPRI E DI NOMI STRANIERI, come pure di parole straniere, può ugualmente essere ricondotta a una controintenzione, rivolta direttamente o indirettamente contro quel nome. Già in precedenza vi ho portato diversi esempi di tale avversione diretta. Ma in questo campo la determinazione indiretta è particolarmente frequente e il suo accertamento richiede perlopiù accurate analisi. Così, ad esempio, in questo tempo di guerra, che ci ha costretto a rinunciare a tante delle nostre inclinazioni precedenti, anche la capacità di ricordare nomi propri ha sofferto molto, in seguito ai nessi più strani. Poco tempo fa mi è successo di non poter riprodurre il nome dell'innocua città morava di BISENZ, e dall'analisi è risultato che non ne era responsabile alcuna ostilità diretta, ma la sua assonanza con il nome del palazzo BISENZI di Orvieto, nel quale per altro ho alloggiato con piacere varie volte. Come motivo della tendenza rivolta contro il ricordo di questo nome si presenta qui, per la prima volta, un principio che ci si svelerà più tardi in tutta la sua enorme importanza nell'etiologia dei sintomi nevrotici: l'avversione della memoria a ricordare qualcosa che sia legato a sensazioni di dispiacere e la cui riproduzione rinnoverebbe questo dispiacere. Questa intenzione di evitare un dispiacere proveniente dal ricordo o da altri atti psichici, la fuga psichica dal dispiacere, dev'essere da noi riconosciuta come la causa efficiente ultima non solo della dimenticanza di nomi, ma di molti altri atti mancati, come le omissioni, gli errori e così via.
La dimenticanza di nomi sembra però essere particolarmente facilitata sotto il profilo psicofisiologico e si presenta quindi anche in casi che non permettono di confermare l'inframmettenza di un motivo di dispiacere. Se qualcuno tende a dimenticare nomi, potrete costatare in lui, attraverso l'indagine analitica, che i nomi non gli sfuggono solo perché non gli piacciono o gli fanno venire in mente cose sgradevoli, ma anche perché per lui quel nome appartiene a un'altra cerchia di associazioni, con la quale ha rapporti più intimi. Il nome viene, per così dire, ivi trattenuto, e rifiutato alle altre associazioni momentaneamente attivate. Se pensate agli espedienti della mnemotecnica, rileverete con una certa sorpresa che i nomi si dimenticano a causa degli stessi nessi che di solito vengono approntati appositamente per preservarli dalla dimenticanza. L'esempio più evidente a questo proposito è dato dai nomi propri di persona i quali, com'è comprensibile, possiedono a seconda delle persone una valenza psichica del tutto diversa. Prendete, ad esempio, un nome come Teodoro. Per uno di voi non significherà nulla di particolare; per un altro è il nome del padre, del fratello, dell'amico, o il proprio. L'esperienza analitica vi mostrerà allora che il primo non corre il pericolo di dimenticare che una certa persona estranea porta questo nome, mentre gli altri saranno costantemente inclini a rifiutare all'estraneo un nome che sembra loro riservato a relazioni particolarmente intime. Supponete ora che questa inibizione associativa possa coincidere con l'azione del principio di dispiacere e, inoltre, con un meccanismo indiretto: sarete così in grado di farvi un'idea esatta della complessità delle cause che determinano la dimenticanza temporanea di nomi. Tuttavia un'analisi appropriata vi sbroglierà perfettamente questa matassa.
Le DIMENTICANZE DI IMPRESSIONI ED ESPERIENZE mettono in rilievo la tendenza ad allontanare dalla memoria ciò che è sgradevole con una evidenza ed esclusività ancora maggiore della dimenticanza di nomi. Non tutte queste dimenticanze rientrano naturalmente negli atti mancati, ma solo quelle che, valutate col metro della nostra abituale esperienza, ci sembrano particolarmente appariscenti e ingiustificate; quindi, ad esempio, allorché la dimenticanza riguarda impressioni troppo fresche o significative, o tali per cui il loro venir meno apre una lacuna in un contesto che è altrimenti ben ricordato. Perché e in che modo possiamo dimenticare, tra le altre, esperienze che certamente hanno suscitato in noi impressioni profondissime, come gli avvenimenti dei primi anni della nostra infanzia, è un problema del tutto diverso, nel quale la difesa contro impulsi spiacevoli ha una certa parte, ma è ben lungi dallo spiegare tutto. Che impressioni sgradevoli vengano facilmente dimenticate è un dato di fatto da non mettere in dubbio. Diversi psicologi lo hanno notato e il grande Darwin ne fu colpito così profondamente che si impose la "regola aurea" di annotare con particolare cura le osservazioni che apparivano sfavorevoli alla sua teoria, perché si era persuaso che proprio queste non volessero fissarsi nella sua memoria.
Chi sente parlare per la prima volta di questo principio della difesa dai ricordi spiacevoli per mezzo della dimenticanza, raramente trascura di sollevare l'obiezione di aver piuttosto fatto l'esperienza che proprio ciò che è penoso è difficile da dimenticare, poiché ritorna sempre a tormentare la persona contro la sua volontà, per esempio il ricordo di offese e umiliazioni.
Anche questo è giusto, eppure l'obiezione non colpisce nel segno.
E' importante che si cominci per tempo a tener conto del fatto che la vita psichica è un campo d'azione e di battaglia di tendenze contrastanti o, per esprimerci in forma non dinamica, è fatta di contraddizioni e di coppie di opposti. La dimostrazione che esiste una determinata tendenza non è sufficiente per escludere l'esistenza di una tendenza contrastante: c'è posto per entrambe.
Ciò che importa è solo quale posizione reciproca assumano i contrari, quali effetti derivino dall'uno e quali dall'altro.
Il PERDERE e lo SMARRIRE sono per noi particolarmente interessanti per la molteplicità dei loro significati, ossia per la varietà delle tendenze al cui servizio possono mettersi questi atti mancati. Comune a tutti i casi è che si voleva perdere qualcosa, diverso ne è invece il motivo e lo scopo. Si perde una cosa quando è diventata difettosa, quando si ha l'intenzione di sostituirla con una migliore, quando ha cessato di esserci cara, quando proviene da una persona con la quale i rapporti si sono guastati, o quando è stata acquistata in circostanze alle quali non si vuol più pensare. Allo stesso scopo può servire anche il lasciar cadere, il danneggiare, il rompere un oggetto. Nell'ambito della vita sociale sembra che sia stato sperimentato che i figli non voluti e illegittimi sono notevolmente più fragili di quelli concepiti legittimamente. Perché si ottenga questo risultato non occorre la tecnica grossolana delle cosiddette fabbricatrici di angeli: una certa negligenza nella cura del bambino sarà del tutto sufficiente. Per quanto riguarda la conservazione degli oggetti, le cose potrebbero andare come per la custodia dei bambini.
Tuttavia, certe cose potrebbero essere destinate alla perdita senza che ne sia stato diminuito il valore, quando cioè esiste l'intenzione di sacrificare qualcosa al destino per scansare un'altra perdita di cui si ha timore. A quanto asserisce l'analisi, simili scongiuri contro il destino sono ancora molto frequenti tra noi; il nostro perdere è quindi spesso un volontario sacrificare. Il perdere può altresì mettersi al servizio di un atteggiamento di sfida e di autopunizione; in breve, infinite e remotissime possono essere le motivazioni della tendenza a perdere una cosa per allontanarla da sé.
La SBADATAGGINE, come altri errori, viene impiegata spesso allo scopo di appagare desideri che ci si deve interdire. L'intenzione si maschera in questo caso da combinazione fortunata. Così, ad esempio quando, chiaramente controvoglia, si deve andare a fare una visita in ferrovia nelle vicinanze della città, come accadde a uno dei nostri amici, e poi alla stazione in cui bisogna cambiare treno si sale per errore su quello che ci riporta nuovamente in città; oppure quando, in viaggio, si vorrebbe assolutamente fare una sosta più lunga in una stazione intermedia, ma non si può farla a causa di determinati impegni, e allora non ci si accorge di una certa coincidenza o la si perde, per cui si è costretti all'interruzione desiderata. Oppure, come avvenne a uno dei miei pazienti, cui avevo proibito di chiamare per telefono la sua amata, il quale però, volendo telefonare a me, richiese "erroneamente", "soprappensiero", un numero sbagliato, così che si trovò improvvisamente collegato con la ragazza. Un bell'esempio di sbadataggine diretta, di importanza anche pratica, è dato dall'osservazione di un tecnico che racconta che cos'era accaduto prima di un danneggiamento d'oggetto:
"Tempo fa lavoravo con alcuni colleghi nel laboratorio del Politecnico attorno a una serie di complicate esperienze sull'elasticità; ci eravamo assunti il lavoro volontariamente ma esso cominciava a portarci via più tempo del previsto. Un bel giorno, mentre mi stavo recando al laboratorio col mio collega F., questi disse che gli rincresceva perdere tanto tempo proprio quel giorno, che aveva tante altre cose da fare in casa; io non potei che mostrarmi d'accordo, e aggiunsi, quasi scherzando, alludendo a un fatto della settimana precedente: 'Speriamo che la macchina s'inceppi di nuovo, così che possiamo interrompere il lavoro e tornare a casa più presto!' Nella distribuzione del lavoro, al collega F. viene assegnato il compito di comandare la valvola della pressa, vale a dire gli tocca far entrare lentamente il liquido di pressione nel cilindro della pressa idraulica dall'accumulatore, aprendo cautamente la valvola. Il direttore dell'esperimento osserva il manometro e quando è raggiunta la pressione voluta grida: 'Alt!'. A questo comando F. dà di piglio alla valvola girandola con tutta forza...
a sinistra (tutte le valvole senza eccezione si chiudono girando verso destra). Con ciò tutta la pressione dell'accumulatore viene di colpo ad agire nella pressa, e siccome la tubazione non è predisposta per una pressione così alta, un raccordo scoppia: un piccolo guasto tecnico che ci costringe tuttavia a sospendere il lavoro per quel giorno e a tornarcene a casa.
E' del resto caratteristico che qualche tempo dopo, conversando di questo incidente, l'amico F. non volle ricordarsi assolutamente della mia frase scherzosa, che io però ricordavo con sicurezza".
In base a questo potete giungere a supporre che non è sempre il caso innocente a trasformare le mani del personale domestico in nemici così pericolosi per gli oggetti della vostra casa. Potete però del pari chiedervi se, quando uno nuoce a sé stesso e mette in pericolo la propria incolumità, ciò sia sempre dovuto al caso.
Si tratta di suggerimenti del cui valore potete rendervi conto volta per volta analizzando vostre osservazioni.
Egregi ascoltatori, questo è lungi dall'essere tutto ciò che ci sarebbe da dire sugli atti mancati. C'è ancora molto da ricercare e da discutere. Ma sarò contento se le discussioni che precedono saranno riuscite a scuotere in parte le opinioni da voi fin qui condivise, predisponendovi in qualche misura ad accettarne di nuove. Per il resto mi rassegno a lasciarvi in presenza di uno stato di cose non chiarito. Lo studio degli atti mancati non ci consente di dimostrare tutte le nostre tesi; nessuna dimostrazione inoltre ci rinvia esclusivamente a questo materiale. Il grande valore degli atti mancati per i nostri scopi consiste nel fatto che si tratta di fenomeni molto frequenti, facilmente osservabili sulla propria persona, il cui verificarsi non presuppone in alcun modo uno stato morboso. Vorrei da ultimo menzionare ancora una sola delle vostre domande che non hanno ricevuto risposta: se gli uomini, come abbiamo visto in molti esempi, si avvicinano tanto alla comprensione degli atti mancati e si comportano spesso come se ne intravedessero il senso, com'è possibile che essi considerino questi fenomeni in via del tutto generale come casuali, privi di senso e di importanza, e si oppongano tanto energicamente alla spiegazione psicoanalitica dei medesimi?
Avete ragione, è una cosa che colpisce e che richiede uni spiegazione. Tuttavia non ve la darò, ma vi condurrò gradualmente a cogliere i nessi a partire dai quali la spiegazione vi s'imporrà senza il mio intervento.
NOTE:
Lezione 5 - DIFFICOLTA' E PRIMI APPROCCI
Signore e Signori, un giorno qualcuno fece la scoperta che i sintomi patologici di certi pazienti nervosi hanno un senso (1).
Su tale scoperta fu fondato il procedimento terapeutico psicoanalitico. Durante questo trattamento avvenne che gli ammalati, al posto dei loro sintomi, producessero anche sogni.
Nacque così il sospetto che anche questi sogni avessero un senso.
Noi però non procederemo secondo questo cammino storico, ma prenderemo la strada opposta. Vogliamo dimostrare il senso dei sogni a titolo di preparazione allo studio delle nevrosi. Questa inversione è giustificata, poiché non soltanto lo studio del sogno è la migliore preparazione a quello delle nevrosi, ma il sogno stesso è anche un sintomo nevrotico e precisamente un sintomo che ha il vantaggio, per noi inestimabile, di presentarsi in tutte le persone sane. Anzi, se tutti gli uomini fossero sani e sognassero soltanto, noi potremmo desumere dai loro sogni quasi tutte le scoperte alle quali ha condotto l'investigazione delle nevrosi.
Il sogno diventa dunque in tal modo oggetto d'indagine psicoanalitica: abbiamo qui ancora una volta un fenomeno usuale, tenuto in poca considerazione e apparentemente senza valore pratico come gli atti mancati, con i quali il sogno ha in comune il fatto di verificarsi nelle persone sane. Ma, quanto al resto, le condizioni per il nostro lavoro sono assai più sfavorevoli. Gli atti mancati erano stati trascurati dalla scienza, ci si era poco interessati a essi, ma, in fin dei conti, non era una vergogna occuparsene. La gente diceva che esistono cose più importanti, ma che forse anche da questi atti si può trarre qualche insegnamento.
Occuparsi del sogno, invece, non è giudicato semplicemente un fatto superfluo e privo di valore pratico, ma qualcosa di decisamente riprovevole che attira l'odio riservato a ciò che non è scientifico e risveglia il sospetto di un'inclinazione personale al misticismo. Possibile che un medico debba interessarsi del sogno mentre nella stessa neuropatologia e psichiatria ci sono tante cose più serie: tumori che raggiungono la grossezza di una mela e che comprimono l'organo della vita mentale, travasi di sangue, infiammazioni croniche, ove le alterazioni dei tessuti possono essere dimostrate al microscopio! No, il sogno è troppo insignificante e non merita di essere fatto oggetto d'indagine.
Il sogno è per di più una cosa la cui stessa natura contrasta con tutti i requisiti di una ricerca esatta, perché nella sua indagine, oltre tutto non si è nemmeno sicuri dell'oggetto.
Un'idea delirante, per esempio, si presenta in modo chiaro e con contorni definiti. "Io sono l'imperatore della Cina", dice esplicitamente il paziente. Ma il sogno? Perlopiù non lo si può affatto raccontare. Quando qualcuno racconta un sogno, ha forse una garanzia di averlo raccontato esattamente e di non averlo invece modificato nel raccontarlo, di non avervi aggiunto qualcosa d'inventato, costretto dall'indeterminatezza del proprio ricordo?
La maggior parte dei sogni non possono venire ricordati affatto, sono dimenticati a eccezione di alcuni piccoli frammenti. E sull'interpretazione di questo materiale si dovrebbe fondare una psicologia scientifica o un metodo per curare gli ammalati?
Una critica in qualche modo eccessiva finisce col metterci in sospetto. Le obiezioni contro il sogno quale oggetto d'indagine vanno palesemente troppo in là. Del problema dell'irrilevanza ci siamo già occupati a proposito degli atti mancati. Grandi cose, ci siamo detti, possono manifestarsi anche con piccoli indizi. Per ciò che riguarda l'indeterminatezza del sogno, essa è per l'appunto un carattere come un altro; non si può prescrivere alle cose di avere un certo carattere. Del resto ci sono anche sogni chiari e distinti. Esistono anche altri oggetti dell'indagine psichiatrica che hanno lo stesso carattere di indeterminatezza; in molti casi, per esempio, le rappresentazioni ossessive, delle quali, dopo tutto, si sono occupati psichiatri rispettabili ed eminenti. Voglio ricordare l'ultimo caso che mi si è presentato nella mia attività di medico. L'ammalata esordì con le parole: "Ho una certa sensazione, come di aver fatto del male o di aver voluto fare del male a un essere vivente... a un bambino? ma no, a un cane piuttosto... forse di averlo spinto giù da un ponte.. o qualcos'altro". Allo svantaggio dell'incertezza nel ricordare i sogni si può rimediare: basta stabilire che come sogno debba valere precisamente ciò che il sognatore racconta, a prescindere da tutto ciò che egli può aver dimenticato o modificato nel ricordo. Infine, non è nemmeno giusto affermare in maniera così generale che il sogno è qualcosa di irrilevante. Ci è noto per nostra personale esperienza che lo stato d'animo nel quale ci si sveglia da un sogno può protrarsi per l'intera giornata; i medici hanno osservato casi nei quali una malattia mentale ha tratto origine da un sogno e un'idea delirante originata da questo sogno si è conservata; di personaggi storici si narra che abbiano attinto da sogni l'incitamento a imprese memorabili. Chiediamoci dunque donde provenga il disprezzo dei circoli scientifici per il sogno.
A mio parere si tratta di una reazione alla sopravvalutazione dei sogni in epoche precedenti. La ricostruzione del passato non è facile, come è noto, ma possiamo presumere con certezza - mi si passi la battuta - che già i nostri antenati di tremila e più anni fa abbiano sognato in modo simile al nostro. Per quanto ne sappiamo, tutti gli antichi popoli hanno attribuito ai sogni una grande importanza e li hanno ritenuti utilizzabili da un punto di vista pratico. Ne hanno tratto indizi per il futuro, vi hanno cercato presagi. Probabilmente per i Greci e per gli altri popoli orientali una campagna militare senza interpreti di sogni era inconcepibile, così come al giorno d'oggi lo sarebbe senza ricognizione aerea. Quando Alessandro Magno intraprese la sua campagna di conquiste, al suo seguito si trovavano i più famosi interpreti di sogni. La città di Tiro, che a quei tempi si trovava ancora su un'isola, oppose al re una resistenza così violenta che a costui venne in mente di rinunciare all'assedio. Ma una notte sognò un satiro che ballava come in trionfo, e quando riferì questo sogno ai suoi interpreti, gli venne risposto che gli era stata annunciata la vittoria sulla città. Ordinò l'assalto e occupò Tiro. Presso gli Etruschi e i Romani erano in uso altri metodi per scrutare il futuro, ma durante tutto il periodo ellenistico-romano l'interpretazione dei sogni fu praticata e tenuta in alta considerazione. Della letteratura che se ne è occupata ci è rimasta fortunatamente l'opera principale, il libro di Artemidoro di Daldi che visse presumibilmente durante il regno dell'imperatore Adriano. Come sia avvenuto poi che l'arte dell'interpretazione onirica decadesse e il sogno venisse in discredito, non so dirvelo. La rinascita della cultura non può avervi avuto gran parte, poiché l'oscura età di mezzo ha conservato fedelmente cose ben più assurde dell'antica interpretazione dei sogni. Fatto è che l'interesse per il sogno decadde a poco a poco al rango di superstizione e poté sussistere solo nelle persone incolte. L'ultimo abuso dell'interpretazione onirica, ancora ai giorni nostri, è quello che cerca di sapere dai sogni i numeri che saranno estratti al lotto. Per contro, la scienza esatta dell'epoca attuale si è occupata ripetutamente del sogno, ma sempre soltanto con l'intento di applicarvi le sue teorie fisiologiche. Per i medici, naturalmente, il sogno ha il valore di un atto che non è psichico, di un'espressione di stimoli somatici nella vita mentale. Binz (2) definisce il sogno come "un processo somatico, in tutti i casi inutile, in molti casi addirittura morboso, rispetto al quale l'anima dell'universo e l'immortalità sono tanto in alto quanto l'azzurro etere rispetto a un terreno sabbioso coperto di erbacce situato nella più bassa depressione". Maury lo paragona ai sobbalzi disordinati del ballo di san Vito confrontati con i movimenti coordinati della persona normale. Un antico paragone fa un parallelo tra il contenuto del sogno e i suoni che produrrebbero "le dieci dita di una persona del tutto ignara di musica che scorrono sulla tastiera dello strumento".
Interpretare significa trovare un senso nascosto. Naturalmente non si può parlare di interpretazione qualora si valuti nel modo su riportato l'attività onirica. Andate a leggere le descrizioni del sogno fatte da Wundt, da Jodl e da altri filosofi più recenti; esse si accontentano di fare un'elencazione dei punti di divergenza fra la vita onirica e il pensiero vigile con un intento svalutativo nei riguardi del sogno, e mettono in risalto lo sgretolamento delle associazioni, la sospensione della critica, l'esclusione di ogni sapere, e altri segni di impoverimento delle funzioni psichiche. L'unico prezioso contributo alla conoscenza del sogno di cui siamo debitori alla scienza esatta si riferisce all'influenza che sul contenuto del sogno hanno determinati stimoli somatici attivi durante il sonno. Possediamo due grossi volumi di ricerche sperimentali sul sogno di un autore norvegese morto da poco, J. Mourly Vold (3), che trattano quasi esclusivamente degli effetti prodotti sul sogno dai cambiamenti di posizione delle membra. Questi libri ci vengono decantati come modelli di ricerca esatta sul sogno. Potete ora figurarvi che cosa direbbe la scienza esatta se apprendesse che vogliamo fare il tentativo di trovare il senso dei sogni! Può darsi persino che si sia già espressa al riguardo. Tuttavia non ci lasceremo intimidire. Se gli atti mancati potevano avere senso, anche il sogno può averlo, e in moltissimi casi gli atti mancati hanno un senso che è sfuggito alla ricerca esatta. Atteniamoci quindi al pregiudizio degli antichi e del popolo e seguiamo le orme degli antichi interpreti dei sogni.
Innanzitutto dobbiamo trovare il modo di orientarci circa il compito che ci sta di fronte e guardarci intorno nel campo dei sogni. Che cos'è dunque un sogno? E' difficile dirlo in una frase.
Ma non vogliamo tentare una definizione quando può bastare un accenno a qualcosa che tutti conoscono. E' piuttosto nostro dovere mettere in rilievo ciò che è essenziale nel sogno. Dove trovarlo?
Ci sono diversità talmente enormi entro la cornice del nostro campo, e queste diversità le scopriamo ovunque volgiamo lo sguardo. Essenziale sarà ciò che avremo indicato come comune a tutti i sogni.
Ebbene, il primo tratto comune a tutti i sogni potrebbe essere il fatto che nel sognare dormiamo. Il sogno costituisce evidentemente la vita della psiche durante il sonno, vita che ha certe somiglianze con quella della veglia e che d'altra parte se ne discosta per grandi differenze. Questa era già la definizione di Aristotele. Ma forse tra sogno e sonno esistono relazioni ancora più strette. Da un sogno si può venir destati; si ha molto spesso un sogno quando ci si sveglia spontaneamente o quando si viene strappati violentemente dal sonno. Il sogno sembra quindi essere uno stato intermedio tra sonno e veglia. Così la nostra attenzione viene richiamata sul problema del sonno. Che cos'è dunque il sonno?
E' questo un problema fisiologico o biologico che ha ancora molti aspetti controversi. Su questo punto non possiamo decidere nulla, anche se penso che possiamo tentare una caratterizzazione psicologica del sonno. Il sonno è uno stato nel quale io non voglio sapere nulla del mondo esterno, ho ritirato da esso il mio interesse. Nel mettermi a dormire mi ritraggo dal mondo esterno e tengo lontani da me i suoi stimoli. Mi addormento, anche, quando ne sono stanco. Nell'addormentarmi dico dunque al mondo esterno:
lasciami in pace perché voglio dormire. Il bambino al contrario dice: non vado ancora a dormire, non sono stanco, voglio avere qualche altra esperienza. La tendenza biologica del sonno sembra essere quindi il ristoro, il suo carattere psicologico il venir meno dell'interesse per il mondo. Il nostro rapporto con il mondo, nel quale siamo entrati così malvolentieri, sembra implicare il fatto che non lo sopportiamo senza interruzioni. Ci ritiriamo perciò di tanto in tanto nello stato prenatale, ossia nell'esistenza endouterina. O almeno, ci creiamo condizioni del tutto simili a quelle di allora: calore, oscurità e assenza di stimoli. Alcuni di noi si raggomitolano ancora strettamente in sé stessi e assumono per dormire una posizione corporea simile a quella assunta nel grembo materno. Sembra quasi che il mondo non ci possegga interamente, anche noi adulti, ma solo per due terzi; per un terzo non siamo ancora nati. Ogni risveglio al mattino è come una nuova nascita. Infatti indichiamo lo stato che succede al sonno con le parole: "è come se fossimo appena nati", ma è questa un'asserzione, circa le sensazioni del neonato, probabilmente sbagliatissima, poiché è da supporre che questi si senta invece molto a disagio. Del nascere diciamo anche: "venire alla luce" del mondo.
Se questo è il sonno, il sogno non rientra affatto nel suo programma; esso sembra piuttosto un ingrediente indesiderato. E' anche opinione comune che il sonno privo di sogni sia il migliore, l'unico veramente tale. Nel sonno non deve esserci alcuna attività psichica; e se invece c'è lo stesso, vuol dire che l'attuazione dello stato di quiete fetale non è riuscita; non si sono potuti evitare completamente residui di attività psichica. Questi residui sono presumibilmente il sogno. Ma allora sembra realmente che non sia necessario che il sogno abbia un senso. Nel caso degli atti mancati la situazione era diversa: si trattava dopo tutto di attività svolte durante la veglia. Quando invece io dormo, quando ho sospeso completamente l'attività psichica, senza riuscire però a reprimerne certi residui, allora non è affatto necessario che questi residui abbiano un senso. Non saprei neanche che farmene di un tale senso, poiché il resto della mia vita psichica dorme. In realtà non può trattarsi che di una specie di reazione di soprassalto, che di fenomeni psichici risultanti direttamente da stimoli somatici. I sogni sarebbero quindi i residui dell'attività psichica della veglia che disturbano il sonno, e potremmo prendere la risoluzione di abbandonare quanto prima questo argomento non adatto per la psicoanalisi.
Ciò nondimeno, anche se è superfluo, il sogno esiste lo stesso e possiamo tentare di renderci ragione di questa esistenza. Perché la vita psichica non si addormenta? Probabilmente perché qualcosa non lascia in pace la psiche. Su di essa agiscono stimoli ai quali bisogna reagire. Il sogno è quindi il modo con il quale la psiche reagisce agli stimoli che agiscono durante lo stato di sonno.
Notiamo qui una prima via d'accesso alla comprensione del sogno.
Possiamo ora cercare in diversi sogni quali siano gli stimoli che vogliono disturbare il sonno e ai quali si reagisce sognando. Fin qui ci ha condotto l'esame di ciò che sembrerebbe il primo tratto comune a tutti i sogni.
Esiste un altro tratto comune? Sì, ed è un tratto inconfondibile, ma molto più difficile da afferrare e da descrivere. I processi psichici nel sonno hanno anche un carattere del tutto diverso da quelli della veglia. Nel sogno si sperimentano ogni sorta di fatti, e a essi si crede, mentre in effetti non si è sperimentato nulla tranne forse quell'unico stimolo perturbatore.
Prevalentemente si vive il sogno in immagini visive; possono esservi anche sentimenti, qua e là anche pensieri; anche gli altri sensi possono esperire qualcosa, ma in prevalenza si tratta di immagini. Una parte delle difficoltà nel raccontare il sogno proviene dal fatto che queste immagini devono essere tradotte in parole. "Potrei disegnarlo ci dice spesso il sognatore - ma non so come dirlo". Non si tratta dunque, in realtà, di un'attività psichica ridotta, come quella del deficiente in confronto al genio; è qualcosa di qualitativamente diverso, ma è difficile dire dove stia la differenza. Fechner formulò una volta l'ipotesi che la scena sulla quale si svolgono i sogni (nella psiche) sia diversa da quella della vita rappresentativa vigile. A dire il vero, questo non lo comprendiamo, non sappiamo cosa pensarne, però rende l'impressione di stranezza che ci dà la maggior parte dei sogni. Nemmeno il paragone fra l'attività onirica e le prestazioni di una mano ignara di musica qui regge. Il pianoforte risponderà pur sempre con le stesse note, anche se non con melodie, non appena il caso scorra con la mano sui suoi tasti. Teniamo accuratamente presente questo secondo tratto comune a tutti i sogni, anche se possiamo non averlo compreso.
Ce n'è altri, di aspetti comuni? Io non ne trovo; vedo dappertutto solo differenze, e sotto ogni profilo: tanto per ciò che si riferisce alla durata apparente, quanto anche alla chiarezza, alla partecipazione affettiva, alla possibilità di ritenzione, e altro.
Tutto ciò non è propriamente quanto avremmo potuto aspettarci dalla reazione di difesa contro uno stimolo, reazione necessitata, povera, del tipo a sobbalzi. Per ciò che concerne la dimensione dei sogni, ce ne sono di molto brevi, che contengono solo una o poche immagini, un pensiero, persino solo una parola; altri che sono straordinariamente ricchi di contenuto, che mettono in scena interi romanzi e sembrano durare a lungo. Ci sono sogni chiari come l'esperienza concreta, così chiari che per un bel tratto dopo il risveglio continuiamo a non riconoscerli come sogni; altri che sono indicibilmente tenui, nebulosi e vaghi; in uno stesso e medesimo sogno possono anzi alternarsi parti fortemente marcate e parti indistinte, a malapena afferrabili. Alcuni sogni possono essere perfettamente sensati o perlomeno coerenti, anzi perfino spiritosi, belli in modo fantastico; altri, invece, sono confusi, quasi idioti, assurdi, spesso addirittura pazzi. Ci sono sogni che ci lasciano completamente freddi, altri in cui tutti gli affetti si fanno sentire con forza, un dolore fino a piangere, un'angoscia fino a svegliarsi, meraviglia, rapimento eccetera. I sogni vengono perlopiù dimenticati rapidamente dopo il risveglio, oppure resistono per una giornata così da venir ricordati fino a sera, ma sempre più vagamente e con sempre maggiori lacune; altri, ad esempio certi sogni infantili, si conservano così bene da essere presenti alla memoria, trent'anni dopo, come un'esperienza recente. I sogni, come gli individui, possono comparire un'unica volta e mai più, oppure ripresentarsi immutati o con piccole varianti nella stessa persona. In breve, questo briciolo di attività psichica notturna dispone di un gigantesco repertorio, ed è ancora capace, in effetti, di tutto ciò che la psiche produce durante il giorno; tuttavia non è mai la stessa cosa.
Si potrebbe tentare di rendere ragione di queste varietà di aspetti del sogno supponendo che essi corrispondano a diversi stadi intermedi tra il sonno e la veglia, a diversi gradi di sonno incompleto. Sì, ma allora assieme al valore, al contenuto e alla chiarezza della produzione onirica, anche la certezza che si tratta di un sogno dovrebbe aumentare dal momento che in sogni di questo genere la psiche si avvicina al risveglio, e non dovrebbe succedere che immediatamente accanto a un frammento onirico logico e chiaro ne emerga un altro privo di senso o indistinto, al quale segua poi nuovamente un pezzo di lavoro ben fatto. La psiche non può certamente cambiare con tanta rapidità la profondità del suo sonno. Pertanto, questa spiegazione non porta a nulla; le cose non sono così semplici.
Rinunciamo provvisoriamente al "senso" del sogno e tentiamo invece di aprirci una via verso una migliore comprensione dei sogni partendo da quanto abbiamo trovato in essi di comune. Dal rapporto dei sogni con lo stato di sonno abbiamo concluso che il sogno è la reazione a uno stimolo che disturba il sonno. Come abbiamo visto, questo è anche l'unico punto sul quale la psicologia sperimentale, esatta, può venirci in aiuto; essa fornisce la dimostrazione che stimoli provocati durante il sonno compaiono nel sogno. Molte ricerche di questo genere sono state condotte, oltre a quelle del già menzionato Mourly Vold; anche ognuno di noi ha probabilmente avuto l'opportunità di confermare questo risultato con proprie occasionali osservazioni. Maury fece eseguire tali esperimenti sulla propria persona. Durante il sonno gli fu fatta odorare dell'acqua di colonia: sognò di essere al Cairo nel negozio di Giovanni Maria Farina, e seguirono altre straordinarie avventure.
Oppure, gli si pizzicò lievemente la nuca: sognò che gli applicavano un cataplasma bollente, e di un medico che lo aveva curato da bambino. Ancora, gli versarono una goccia d'acqua sulla fronte: si trovava in Italia, sudava abbondantemente e beveva vino bianco d'Orvieto.
Quello che ci colpisce in questi sogni prodotti sperimentalmente potremo afferrarlo forse ancor più chiaramente in un'altra serie di sogni provocati da stimoli. Si tratta di tre sogni riferiti da uno spiritoso osservatore, Hildebrandt, consistenti tutti in reazioni al rumore della sveglia:
"Sogno dunque di andarmene pian piano a passeggio una mattina di primavera per i campi rigogliosi, finché arrivo a un villaggio lì vicino, dove vedo gli abitanti vestiti a festa, col libro di preghiere in mano, avviarsi in gran numero verso la chiesa. E' vero! Oggi è domenica e sta per incominciare la funzione del mattino. Decido di assistervi, ma prima, essendo un po' accaldato, vado a prendere il fresco nel cimitero che circonda la chiesa.
Mentre sto leggendo alcune epigrafi, sento il campanaro salire sul campanile e lassù scorgo la piccola campana del paese che segnerà l'inizio della funzione. Per un po' rimane immobile, poi incomincia a dondolare: improvvisamente i suoi rintocchi risuonano chiari e penetranti, tanto chiari e penetranti da porre fine al mio sonno. Ma lo scampanio proviene dalla sveglia.
Seconda combinazione. E' una chiara giornata d'inverno, le strade sono coperte da un alto strato di neve e io ho accettato di prender parte a una corsa in slitta, ma devo attendere a lungo, finché mi si dice che la slitta è alla porta. Ecco ora i preparativi per salirvi - indosso la pelliccia, tiro fuori il sacco a pelo per i piedi - e sono pronto, seduto al mio posto. La partenza ritarda ancora, ma finalmente le redini danno il via ai cavalli in attesa: i campanelli scossi con forza attaccano la loro ben nota musica turca con un'intensità che lacera immediatamente la lieve trama del mio sogno. Anche questa volta, è solo il trillo della sveglia.
Ecco il terzo esempio. Vedo passare per il corridoio una sguattera che si dirige verso la sala da pranzo con qualche dozzina di piatti messi l'uno sopra l'altro. Ho l'impressione che la colonna di porcellana che essa regge sulle braccia stia per perdere l'equilibrio. 'Attenta - le grido - finirà tutto per terra'.
Naturalmente non manca la risposta d'obbligo: è già abituata a questi lavori, e così via. Preoccupato, continuo a seguirla con lo sguardo ed ecco, giunta davanti alla porta, la ragazza incespica, le fragili stoviglie cadono rovinando fragorosamente in mille pezzi sul pavimento. Ma il suono che si propaga senza fine non è, me ne accorgo ben presto, di stoviglie in frantumi, bensì un autentico trillo: il trillo, come ora chi è desto può riconoscere, della sveglia che fa il suo dovere".
Questi sogni sono davvero graziosi, perfettamente sensati, nient'affatto incoerenti come sono di solito i sogni. Non vogliamo criticarli per questo. Ciò che li accomuna è il fatto che la situazione si risolve ogni volta in un rumore che al risveglio viene riconosciuto per quello della sveglia. Qui vediamo dunque come viene prodotto un sogno, ma apprendiamo anche qualcos'altro.
Il sogno non riconosce la sveglia - questa non compare neppure, nel sogno - ma sostituisce il rumore della sveglia con un altro rumore, interpreta lo stimolo che fa cessare il sonno ma lo interpreta ogni volta in un modo diverso. Perché? A questa domanda non c'è risposta, sembra trattarsi di un fatto arbitrario.
Comprendere il sogno, però, significa poter indicare perché esso abbia scelto proprio questo rumore e nessun altro per interpretare lo stimolo provocato dalla sveglia. In modo del tutto analogo, agli esperimenti di Maury si deve obiettare che pur mostrando bene che lo stimolo indotto si presenta nel sogno, non dicono tuttavia perché esso si presenti proprio in quella forma, e il perché non sembra affatto dipendere dalla natura dello stimolo che disturba il sonno. Inoltre, negli esperimenti di Maury, all'effetto diretto dello stimolo si riconnette perlopiù una gran messe di altro materiale onirico - per esempio, le straordinarie avventure nel sogno dell'acqua di Colonia - di cui non si sa render ragione.
Vogliate ora considerare che i sogni di risveglio offrono le migliori possibilità di rilevare l'influenza di stimoli esterni perturbanti il sonno. Nella maggior parte degli altri casi ciò sarà più difficile. Non da tutti i sogni si viene risvegliati, e se al mattino si ricorda un sogno della notte, come si farà a scoprire uno stimolo perturbatore che forse ha agito durante la notte? Sono riuscito una volta a costatare a posteriori uno stimolo sonoro di questo genere, naturalmente solo grazie a particolari circostanze. Mi svegliai un mattino in una località d'alta montagna del Tirolo sapendo d'aver sognato che il Papa era morto. Non ero capace di chiarirmi il sogno, ma poi mia moglie mi chiese: "Hai sentito verso mattina il terribile scampanio che si è diffuso da tutte le chiese e cappelle?". No, non avevo udito nulla, il mio sonno è più resistente, ma grazie a questa informazione compresi il mio sogno. Con quale frequenza stimolazioni di questo tipo possono indurre il dormiente a sognare, senza che costui in seguito se ne renda conto? Forse molto spesso e forse no. Se lo stimolo non può più essere dimostrato, è impossibile persuadersi della sua esistenza.
Indipendentemente da questo, ci siamo ricreduti circa l'importanza degli stimoli esterni che disturbano il sonno da quando sappiamo che essi possono chiarirci solo una piccola parte del sogno e non l'intera reazione onirica.
Non occorre per questo che abbandoniamo completamente tale teoria.
Tanto più che essa è passibile di essere portata oltre. E' chiaro che è indifferente che cosa possa disturbare il sonno e spingere la psiche a sognare. Se non può essere ogni volta uno stimolo sensoriale proveniente dall'esterno, al suo posto può subentrare uno stimolo proveniente dagli organi interni, uno stimolo cosiddetto corporeo. Questa supposizione risulta molto ovvia; essa corrisponde anche all'opinione più popolare sull'origine dei sogni: "i sogni provengono dallo stomaco", si sente dire spesso.
Purtroppo anche qui è da supporre frequente il caso che uno stimolo corporeo che ha agito durante la notte non sia più accertabile dopo il risveglio e sia quindi diventato indimostrabile. Non vogliamo con ciò trascurare tutte quelle valide esperienze che appoggiano la provenienza dei sogni da stimoli corporei. E' indubbio che, in genere, lo stato degli organi interni può influire sul sogno. Il rapporto del contenuto di alcuni sogni con un eccessivo riempimento della vescica o con uno stato di eccitamento degli organi genitali è tanto chiaro che non può venir disconosciuto. Da questi casi trasparenti si giunge ad altri, nei quali dal contenuto del sogno si può se non altro dedurre fondatamente che abbiano agito stimoli corporei di tal genere, poiché nel contenuto onirico c'è qualcosa che può essere concepito come rielaborazione, raffigurazione, interpretazione di questi stimoli. Scherner, uno studioso dei sogni, ha sostenuto con particolare vigore la derivazione di essi da stimoli organici e ne ha portato alcuni begli esempi (4). Quando egli per esempio vede in un sogno: "due file di bei ragazzi biondi e dalla carnagione delicata fronteggiarsi con desiderio di lotta, scagliarsi gli uni contro gli altri, afferrarsi reciprocamente, svincolarsi di nuovo, riprendere la posizione di prima e ripetere da capo l'intera operazione", interpretare queste due file di ragazzi come quelle dei denti è plausibile di per sé e sembra trovare piena convalida quando, dopo questa scena, il sognatore "estrae dalla sua mascella un lungo dente". Anche il fatto che "lunghi, stretti, tortuosi corridoi" siano un'allusione a stimoli intestinali sembra reggere e confermare la tesi di Scherner che il sogno cerchi soprattutto di rappresentare l'organo che provoca lo stimolo per mezzo di oggetti a esso simili.
Dobbiamo quindi essere pronti ad ammettere che gli stimoli interni possono svolgere per il sogno la stessa funzione di quelli esterni. Purtroppo anche il giudizio sul loro valore soggiace alle stesse obiezioni. In un gran numero di casi la nostra interpretazione dello stimolo corporeo rimane incerta o indimostrabile. Non tutti i sogni, ma solo una certa parte di essi desta il sospetto che nella loro formazione siano implicati stimoli organici interni. Infine, lo stimolo corporeo interno, proprio come lo stimolo sensoriale esterno, sarà in grado di spiegare solo quella parte del sogno che corrisponde a una reazione diretta allo stimolo stesso; da dove provenga poi il resto del sogno, rimane oscuro.
Teniamo però presente una peculiarità della vita onirica che viene alla luce studiando questi effetti degli stimoli. Il sogno non riproduce semplicemente lo stimolo, ma lo rielabora, vi allude, lo inserisce in un contesto, lo sostituisce con qualcos'altro. E' questo un aspetto del lavoro onirico che deve interessarci, perché forse conduce più vicino all'essenza del sogno. Se un individuo fa qualcosa spintovi da uno stimolo, non è detto che questo stimolo sia sufficiente a dar ragione di tutto ciò che egli fa. Il "Macbeth" di Shakespeare, per esempio, è un dramma d'occasione, composto per l'ascesa al trono del re che per la prima volta riuniva sul suo capo le corone dei tre paesi. Ma questo spunto storico corrisponde al contenuto del dramma, ce ne spiega la grandezza e gli enigmi? Forse anche gli stimoli esterni e interni che agiscono sul dormiente suggeriscono soltanto il sogno e nulla ci rivelano della sua essenza.
L'altro aspetto comune ai sogni, la loro peculiarità psichica, mentre da una parte è difficilmente afferrabile, dall'altra non offre alcun punto di appoggio per procedere ulteriormente.
Perlopiù nel sogno sperimentiamo qualcosa in forme visive. Possono gli stimoli darci una spiegazione di questo? Ciò che noi viviamo è davvero lo stimolo? Perché allora l'esperienza è di tipo visivo, se solo in rarissimi casi è stata una stimolazione ottica a suggerire il sogno? Oppure, quando ascoltiamo in sogno dei discorsi, è davvero accertabile che durante il sonno siano giunti al nostro orecchio una conversazione o rumori a essa somiglianti?
Credo di poter respingere decisamente questa eventualità.
Se ciò che i sogni hanno in comune non ci consente di procedere, tentiamo di farlo con le loro diversità. E' vero che i sogni sono spesso insensati, confusi, assurdi, ma ce ne sono anche di sensati, lucidi, logici. Cerchiamo di vedere se questi ultimi, i sogni sensati, possono darci qualche schiarimento su quelli insensati. Vi riferisco l'ultimo sogno ragionevole che mi è stato raccontato, il sogno di un giovane: "Sono andato a passeggio per la Kärntnerstrasse, là ho incontrato il signor X., al quale mi sono accompagnato per un tratto di strada, quindi sono andato al ristorante. Due donne e un uomo si sono seduti al mio tavolo.
Dapprima mi sono seccato per questo e non ho voluto guardarli. Poi li ho guardati e ho trovato che erano simpatici". Il sognatore osserva in proposito che la sera precedente il sogno era andato veramente nella Kärntnerstrasse, che è la strada che fa solitamente, e vi aveva incontrato il signor X. L'altra parte del sogno non è una reminiscenza diretta, ma ha solo una certa somiglianza con un episodio di parecchio tempo prima. Oppure, ecco qui un altro sogno lucido, di una signora: "Suo marito chiede:
'Non è il caso di far accordare il pianoforte?'. Lei: 'Non ne vale la pena; tanto bisogna far ricoprire i martelletti'". Questo sogno ripete senza modificarla molto, una conversazione che si è svolta il giorno prima del sogno tra la signora e suo marito. Che cosa apprendiamo da questi due sogni lucidi? Nient'altro se non che in essi si trovano ripetizioni di avvenimenti della vita quotidiana o riferimenti a essa. Sarebbe già qualcosa se si potesse dire lo stesso dei sogni in genere. Neanche da parlarne! Anche questo vale solo per una minoranza di sogni; nella maggior parte di essi non si trova alcun riferimento al giorno precedente, e non scaturisce di qui alcuna luce sui sogni insensati e assurdi. Tutto quel che sappiamo è che ci siamo imbattuti in un nuovo compito. Non solo vogliamo sapere ciò che un sogno dice, ma quando (come nei nostri esempi) un sogno dice qualcosa chiaramente, vogliamo sapere altresì perché e a che scopo il materiale noto e vissuto di recente viene ripetuto nel sogno.
Penso che sarete stanchi quanto me di continuare con tentativi come questi da noi fatti sinora. Abbiamo qui la conferma che non basta avere un grande interesse per un problema se non si sa quale via imboccare per giungere alla sua soluzione. Finora questa via non l'abbiamo trovata. La psicologia sperimentale non ci ha fornito nulla all'infuori di alcune pregevoli indicazioni sull'importanza degli stimoli che istigano il sogno. Dalla filosofia non abbiamo da aspettarci nulla, se non che ci rinfacci ancora una volta altezzosamente l'inferiorità intellettuale del nostro oggetto d'indagine; alle scienze occulte non vogliamo certo chiedere alcun prestito. La storia e l'opinione popolare ci dicono che il sogno ha un senso e un significato; che getta uno sguardo nel futuro: tutte cose difficili da ammettere e certamente non dimostrabili. Così il nostro primo sforzo ci lascia completamente sconcertati.
Inaspettatamente ci giunge un'indicazione da una parte verso cui non abbiamo finora guardato. L'uso linguistico - il quale non è affatto qualcosa di casuale, ma è il sedimento di antiche conoscenze il cui impiego non può certamente essere incauto - il nostro linguaggio, dunque, conosce qualcosa che chiama stranamente "sognare a occhi aperti". I sogni a occhi aperti sono fantasie (prodotti dalla fantasia); sono fenomeni molto generali, osservabili anch'essi tanto in persone sane che malate e facilmente accessibili allo studio sulla propria persona. Ciò che più colpisce in queste formazioni della fantasia è che abbiano ricevuto il nome di "sogni a occhi aperti", poiché non hanno nulla in sé dei due aspetti comuni ai sogni. Già il nome nega una loro relazione con lo stato di sonno e, per quanto riguarda il secondo aspetto comune, in esse non c'è alcuna esperienza, alcuna allucinazione, bensì la rappresentazione di qualcosa; si sa di fantasticare, non si vede nulla ma si pensa. Questi sogni a occhi aperti fanno apparizione nella prepubertà, spesso già nella tarda infanzia, persistono fino agli anni della maturità, poi vengono o abbandonati o mantenuti fino all'età più avanzata. Il contenuto di queste fantasie è dominato da una motivazione molto trasparente.
Sono scene e avvenimenti in cui trovano soddisfacimento i bisogni egoistici, di ambizione e di potenza, oppure i desideri erotici della persona. Nei giovani uomini prevalgono perlopiù le fantasie ambiziose; nelle donne, che usano riversare la loro ambizione nei successi amorosi, quelle erotiche. Ma abbastanza spesso anche negli uomini il bisogno erotico fa apparizione sullo sfondo; tutte le gesta eroiche e i successi mirano sempre e soltanto a ottenere l'ammirazione e il favore delle donne. Peraltro questi sogni a occhi aperti sono molto vari e subiscono alterne vicende: o vengono abbandonati, uno a uno, dopo breve tempo e sostituiti con nuove fantasie, oppure vengono conservati, sviluppati in lunghe vicende e adattati ai mutamenti delle circostanze della vita.
Essi, per così dire, vanno di pari passo con il tempo e ne ricevono una impronta, che attesta l'influsso di ogni nuova situazione. Sono il materiale grezzo della produzione poetica, poiché dai suoi sogni a occhi aperti il poeta, mediante certi rimodellamenti, travestimenti e omissioni, crea le situazioni che inserisce nelle sue novelle, nei suoi romanzi, nei lavori teatrali. L'eroe dei sogni a occhi aperti è però sempre la persona stessa del poeta, sia direttamente sia in trasparente identificazione con un'altra persona.
Forse i sogni a occhi aperti portano questo nome perché hanno la medesima relazione con la realtà; per indicare che il loro contenuto è da ritenersi tanto poco reale quanto quello dei sogni.
Forse però questa comunanza di nome è basata su una caratteristica psichica del sogno a noi ancora sconosciuta, una di quelle che stiamo cercando. Può anche darsi che abbiamo torto a volerci servire di questa simiglianza di denominazione come se fosse significativa. Tutte cose che comunque potranno venir chiarite solo in seguito.
NOTE:
Lezione 6 - PREMESSE E TECNICA DELL'INTERPRETAZIONE
Signore e Signori, abbiamo dunque bisogno di una nuova strada, di un metodo per procedere nell'indagine sul sogno. Vi faccio una proposta semplicissima. Poniamo come premessa a quanto segue che IL SOGNO NON SIA UN FENOMENO SOMATICO, MA PSICHICO. Voi sapete cosa ciò significhi; ma che cosa ci autorizza a questa supposizione? Nulla, ma nulla anche ci impedisce di farla. Le cose stanno così: se il sogno è un fenomeno somatico, non ci riguarda; esso può interessarci solo se vale la premessa che si tratta di un fenomeno psichico. Procediamo quindi in base alla premessa che esso sia veramente tale, e vediamo cosa ne vien fuori. Sarà il risultato del nostro lavoro a decidere se abbiamo il diritto di attenerci a questa ipotesi, e di considerarla pertanto un dato acquisito. Ma cosa vogliamo raggiungere in effetti? a che cosa mira il nostro lavoro? Aspiriamo a ciò cui mira in genere la scienza: comprendere i fenomeni, istituire delle connessioni fra di essi, e in ultima istanza, dove ciò sia possibile, ampliare il nostro potere su di essi.
Procediamo dunque nel nostro lavoro con l'ipotesi che il sogno sia un fenomeno psichico. In tal caso esso è una produzione e un'espressione del sognatore, tale però da non dirci nulla, da risultarci incomprensibile. Ora, cosa fate voi nel caso che io mi esprima in modo per voi incomprensibile? Mi interrogate, non è vero? Perché non dovremmo fare lo stesso e CHIEDERE AL SOGNATORE CHE COSA IL SUO SOGNO SIGNIFICHI?
Vi ricorderete che già un'altra volta ci siamo trovati in questa situazione. Fu nell'esame di certi atti mancati, in un caso di lapsus verbale. Qualcuno aveva detto: "Poi alcuni fatti vennero in LURCHE", al che noi gli chiedemmo - anzi, per fortuna, non noi, ma altri che sono del tutto estranei alla psicoanalisi, gli chiesero che cosa intendesse con questo discorso incomprensibile. Egli rispose subito di avere avuto l'intenzione di dire che erano "porcherie", ma che aveva cacciato indietro questa intenzione in favore della versione attenuata: "Poi alcuni fatti vennero in luce". Già vi spiegai che questa raccolta di informazioni è il modello di ogni indagine psicoanalitica, e voi comprendete adesso che la psicoanalisi segue la tecnica di farsi comunicare da coloro stessi che vengono esaminati, almeno per quanto è possibile, la soluzione dei loro enigmi. Così, anche il sognatore deve dirci cosa significhi il suo sogno.
Ma questo, come è noto, non è così semplice nel caso del sogno.
Negli atti mancati tale metodo funzionò per un certo numero di esempi; poi ci se ne presentarono altri in cui l'interrogato non voleva dire nulla, anzi rifiutava addirittura indignato la risposta che gli suggerivamo. Nel caso del sogno ci mancano completamente gli esempi della prima specie; il sognatore dice sempre di non sapere nulla. Rifiutare la nostra interpretazione non può, dal momento che non abbiamo alcuna interpretazione da prospettargli. Dovremmo dunque abbandonare di nuovo il nostro tentativo? Dal momento che il sognatore non sa nulla, noi non sappiamo nulla e una terza persona meno che mai può saperne qualcosa, non c'è prospettiva di venire a capo di alcunché.
Ebbene, se volete, rinunciate pure al tentativo. Ma se invece non è questa la vostra intenzione, potete proseguire il cammino con me. Io vi dico infatti che è effettivamente possibile, anzi molto probabile, che il sognatore sappia che cosa significhi il suo sogno, SOLO NON SA DI SAPERLO E PER QUESTO CREDE DI NON SAPERLO.
Mi farete osservare che a questo punto introduco nuovamente una ipotesi, già la seconda in questo breve contesto, e che riduco enormemente le pretese di credibilità del mio procedimento. Posta la premessa che il sogno sia un fenomeno psichico, e l'ulteriore premessa che esistano nell'uomo fatti psichici che egli conosce senza sapere di conoscerli... e così via. A questo punto sarà sufficiente considerare l'intrinseca inverosimiglianza di queste due premesse per distogliere tranquillamente il proprio interesse dalle conclusioni che ne scaturiscono.
Sia chiaro, Signore e Signori, che non vi ho fatto venire qui per darvi a intendere o nascondervi qualcosa. Ho annunciato, è vero, delle "lezioni elementari di introduzione alla psicoanalisi", ma non ho inteso con ciò un'esposizione "in usum delphini' ove tutto corra liscio, ove siano state nascoste accuratamente tutte le difficoltà, riempite le lacune, ritoccati i dubbi, tale che voi possiate credere con animo tranquillo di aver appreso qualcosa di nuovo. No, proprio perché voi siete principianti, ho voluto mostrarvi la nostra scienza così com’essa è, con i suoi dislivelli e asperità, le sue esigenze e le sue perplessità. So che, particolarmente agli inizi, in nessuna scienza le cose vanno, né possono andare diversamente. So anche che di solito l'insegnamento si sforza a tutta prima di nascondere queste difficoltà e imperfezioni a chi impara. Ma ciò non è possibile nella psicoanalisi. Io ho posto realmente due premesse, una all'interno dell'altra, e se a qualcuno tutto ciò riesce troppo faticoso e incerto, o se vi è chi è abituato a più alte certezze e a più eleganti deduzioni, costui consideri che non ha bisogno di proseguire con me. Penso, tuttavia, che dovrebbe tralasciare i problemi psicologici in genere, perché c'è da temere che qui trovi vie impraticabili, e non le strade precise e sicure che è disposto a percorrere. D'altronde è del tutto superfluo che una scienza che ha qualcosa da offrire vada in cerca di uditorio e di seguaci:
saranno i suoi risultati a crearle intorno un'atmosfera favorevole, ed essa può ben aspettare finché questi si saranno accattivati l'attenzione del pubblico.
A quelli di voi che vogliono perseverare nell'argomento desidero ricordare che le mie due ipotesi non sono equivalenti. La prima, che il sogno sia un fenomeno psichico, è la premessa che vogliamo dimostrare per mezzo del risultato del nostro lavoro; l'altra è già stata dimostrata in un altro campo e io mi prendo semplicemente la libertà di trasportarla ai nostri problemi.
Dove, in quale campo è stata portata la prova che c'è un sapere di cui l'uomo non sa nulla, come abbiamo stabilito di supporre nel caso del sognatore? Se ciò è vero, si tratterebbe di un fatto singolare, sorprendente, tale da mutare la nostra concezione della vita psichica e che non avrebbe bisogno di nascondersi: un fatto, tra l'altro, che si annullerebbe nella sua stessa denominazione, e che tuttavia vorrebbe essere qualcosa di reale, una "contradictio in adjecto". Ebbene, questo fatto non fa nulla per nascondersi.
Non è colpa sua se la gente non lo conosce per niente o se non se ne cura abbastanza. Così come non è colpa nostra se tutti questi problemi psicologici vengono giudicati negativamente da persone che si sono mantenute estranee a tutte le osservazioni e le esperienze decisive in proposito.
La prova è stata portata nel campo dei fenomeni ipnotici. Quando, nell'anno 1889, assistetti alle dimostrazioni straordinariamente impressionanti di Liébeault e Bernheim a Nancy, fui anche testimone del seguente esperimento. Un uomo veniva trasposto in stato di sonnambulismo e in tale stato gli si faceva vivere in forma allucinatoria ogni possibile esperienza. Poi lo si svegliava, e dapprima egli sembrava non sapere nulla di quanto era avvenuto durante il sonno ipnotico. Bernheim lo invitava allora direttamente a raccontare che cosa gli fosse accaduto durante l'ipnosi. Egli affermava di non poter ricordare nulla. Ma Bernheim insisteva, faceva pressione su di lui, gli assicurava che lo sapeva, che doveva ricordarsene; ed ecco, l'uomo diveniva titubante, cominciava a riflettere, si ricordava dapprima nebulosamente una delle esperienze suggeritegli, poi un altro pezzo, il ricordo diveniva sempre più chiaro, sempre più completo, e alla fine veniva portato alla luce senza lacune. Ma, poiché dopo costui sapeva, nonostante nel frattempo non avesse appreso alcunché da nessun'altra fonte, è giustificato concludere che anche prima egli sapesse di questi ricordi. Essi gli erano solo inaccessibili, non sapeva di saperli, credeva di non saperli.
Dunque, in tutto e per tutto il caso che noi supponiamo nel sognatore.
Spero che vi sorprenda che questo fatto sia stato accertato e che mi domandiate: "Perché Lei non si è richiamato a questa prova già precedentemente, a proposito degli atti mancati, quando a un certo punto attribuimmo al discorso dell'uomo che aveva commesso un lapsus verbale intenzioni di cui egli non sapeva nulla e che smentiva? Se una persona crede di non sapere nulla di certe esperienze delle quali tuttavia porta in sé il ricordo, il fatto che non sappia nulla anche di altri processi psichici del suo intimo cessa di essere inverosimile. Questo argomento avrebbe senza dubbio fatto impressione su di noi e ci avrebbe avvantaggiati nella comprensione degli atti mancati". Certo, avrei potuto richiamarmi a questo fatto già allora, ma lo tenni in serbo per un'altra occasione, in cui fosse più necessario. Alcuni atti mancati si sono spiegati in parte da sé; quanto agli altri ne abbiamo ricavato il suggerimento che, al fine di preservare l'interconnessione tra i fenomeni, occorre supporre l'esistenza di processi psichici di cui non si sa nulla. Nel caso del sogno siamo costretti ad attingere spiegazioni altrove, e inoltre conto sul fatto che qui voi ammetterete più facilmente una trasposizione dall'ipnosi al nostro campo. Lo stato nel quale viene eseguito un atto mancato non può non apparirvi normale; si tratta invero di uno stato che non ha alcuna somiglianza con quello ipnotico. Una chiara affinità, al contrario, esiste tra lo stato ipnotico e lo stato di sonno, il quale è la condizione necessaria per sognare.
L'ipnosi viene chiamata, anzi, un sonno artificiale; alla persona che ipnotizziamo diciamo: "dorma", e le suggestioni che ad essa provengono da parte nostra sono paragonabili ai sogni del sonno naturale. Le situazioni psichiche in entrambi i casi sono realmente analoghe. Nel sonno naturale ritiriamo il nostro interesse da tutto il mondo esterno; in quello ipnotico lo ritiriamo ugualmente da tutto il mondo, a eccezione di quell'unica persona che ci ha ipnotizzato, con la quale rimaniamo in rapporto.
Del resto il cosiddetto "sonno della nutrice", durante il quale la nutrice rimane in rapporto con il bambino e può essere svegliata solo da lui, è un corrispettivo normale del sonno ipnotico. Non sembra quindi un'idea tanto azzardata quella di trasporre una situazione dall'ipnosi al sonno naturale. La supposizione che anche nel sognatore esista una conoscenza circa il proprio sogno, conoscenza che gli resta inaccessibile tanto che egli non ci crede, non è completamente campata in aria. Prendiamo nota, inoltre, che a questo punto si apre una terza via di accesso allo studio del sogno: dopo gli stimoli che turbano il sonno, dopo i sogni a occhi aperti, ora anche i sogni indotti dello stato ipnotico.
Ora torniamo, forse con maggior fiducia, al nostro compito. E' dunque molto probabile che il sognatore sappia qualcosa del suo sogno; si tratta solo di metterlo in grado di scoprire quello che sa e di comunicarcelo. Non pretendiamo che ci dica subito il senso del suo sogno, ma egli potrà scoprirne l'origine, la cerchia di pensieri e di interessi da cui proviene. Ricordate che nel caso dell'atto mancato fu chiesto al soggetto come fosse giunto alla parola sbagliata "lurche" e la prima idea che ci fu comunicata chiarì il lapsus. La nostra tecnica nel caso del sogno è dunque molto semplice, ricalcata su questo esempio. Anche qui, chiederemo al sognatore come sia giunto a quel determinato sogno e, di nuovo, la sua prima affermazione dovrà essere considerata come una spiegazione. Pertanto sorvoliamo sulla distinzione se egli creda o non creda di sapere qualcosa e trattiamo entrambi i casi allo stesso modo.
Questa tecnica è certamente molto semplice, ma temo che susciterà la vostra più netta opposizione. Voi direte: "Una nuova ipotesi, la terza! E' la più inverosimile di tutte! Se io chiedo al sognatore che cosa gli viene in mente a proposito del sogno, dev'essere proprio la sua prima idea a fornire la spiegazione desiderata? Non è affatto necessario che gli venga un'idea, oppure può passargli per la testa Dio sa che cosa. Non possiamo comprendere su che basi si regga una simile aspettativa. Ciò significa veramente mostrare troppa fiducia nella Provvidenza quando sarebbe meglio avere un po' più di senso critico. Oltre a ciò, un sogno non è una singola parola sbagliata, ma si compone di molti elementi. E allora, su quale idea che passa per la mente del sognatore ci baseremo?".
Avete ragione in tutto ciò che è secondario. Un sogno si differenzia da un lapsus verbale anche per la molteplicità dei suoi elementi. Di questo la tecnica deve tener conto. Vi propongo quindi di scomporre il sogno nei suoi elementi e di esaminare ogni elemento separatamente; in tal modo viene ristabilita l'analogia con il lapsus verbale. Avete ragione anche nel fatto che la persona interrogata sui singoli elementi del sogno può rispondere che non le viene in mente nulla. Ci sono casi in cui accettiamo come valida questa risposta e apprenderete in seguito quali sono; val la pena di osservare che si tratta di casi nei quali idee ben definite possono venire in mente a noi. In generale, però, contraddiremo il sognatore quando afferma di non avere alcuna idea, faremo pressione su di lui, gli assicureremo che non può non venirgli in mente qualcosa e... ci darà ragione. Egli produrrà un'idea in proposito, una qualsiasi, per noi è indifferente quale.
Certi ragguagli, che si possono chiamare "storici", li comunicherà con particolare facilità. Dirà: "Si tratta di qualcosa che è successo ieri" (come nei due sogni "lucidi" che ci sono noti; oppure: "Ciò mi ricorda qualcosa che è accaduto poco tempo fa", e in questo modo noteremo che i legami dei sogni con impressioni degli ultimi giorni sono di gran lunga più frequenti di quanto abbiamo creduto inizialmente. Infine, a partire dal sogno, egli si ricorderà anche di avvenimenti più lontani, eventualmente persino di avvenimenti che appartengono a epoche assai remote.
In ciò che è essenziale, però, avete torto. Se pensate che sia arbitrario supporre che la prima idea che viene in mente al sognatore debba fornire proprio l'elemento ricercato o condurre a esso, e ritenete invece che tale idea possa essere del tutto fortuita e senza connessione con ciò che si cerca, e che l'aspettarsi qualcosa di diverso sia, da parte mia, solo un'espressione di fiducia nella Provvidenza, allora vi sbagliate di grosso. Già una volta mi sono preso la libertà di farvi osservare che in voi c'è una fede profondamente radicata nella libertà psichica e nell'arbitrio, fede però che non ha nulla di scientifico e deve ammainare le vele di fronte all'esigenza di un determinismo che domina anche la vita psichica. Alla persona interrogata è venuta in mente questa cosa e non un'altra, e io vi prego di rispettare ciò come un dato di fatto. Però non contrappongo a una fede un'altra fede, giacché è possibile dimostrare che l'idea prodotta dalla persona interrogata non è arbitraria, indeterminabile, priva di connessione con ciò che cerchiamo. Ho anzi appreso non molto tempo fa - senza del resto annettervi troppo valore - che anche la psicologia sperimentale ha addotto tali prove.
Data l'importanza dell'argomento che segue, chiedo che mi prestiate un'attenzione particolare. Quando invito qualcuno a dire ciò che gli viene in mente a proposito di un determinato elemento del sogno, è come se pretendessi da lui che si abbandoni all'associazione libera tenendo fissa una rappresentazione iniziale. Questo richiede uno speciale atteggiamento dell'attenzione, che è del tutto diverso da quello che si ha nella riflessione e che esclude la riflessione. Alcuni assumono facilmente tale atteggiamento; altri, quando ci si provano, si rivelano incredibilmente e sommamente incapaci. Ora, vi è un più alto grado di libertà d'associazione, e cioè io posso lasciar cadere l'insistenza su una rappresentazione iniziale e stabilire magari solo il genere e la specie dell'idea che richiedo al soggetto (per esempio stabilisco che egli debba pensare liberamente un nome proprio o un numero). L'idea che allora gli si presenta dovrebbe essere ancora più arbitraria, ancora più imprevedibile di quella utilizzata dalla nostra tecnica. E' possibile però dimostrare che essa viene ogni volta rigorosamente determinata da importanti atteggiamenti interni, i quali non ci sono noti nel momento in cui agiscono, o tanto poco noti quanto lo sono le tendenze perturbatrici degli atti mancati e le tendenze che provocano le azioni casuali.
Io e molti altri dopo di me abbiamo svolto ripetute ricerche di questo genere su nomi e numeri lasciati affiorare senza alcun punto di riferimento, e alcune di queste ricerche sono state anche pubblicate. In esse si procede in modo da risvegliare continue associazioni con il nome che è emerso; tali associazioni non sono dunque più completamente libere, ma hanno un vincolo, come le idee connesse con gli elementi del sogno. Si continua così finché si trova che l'impulso è esaurito; ma a questo punto si sono chiariti anche la motivazione e il significato del nome liberamente presentatosi. Gli esperimenti riescono sempre tutti allo stesso modo; il risultato comprende spesso un ricco materiale e rende necessari commenti circostanziati. Le associazioni connesse con numeri liberamente emersi sono forse quelle più probanti: esse procedono così velocemente, si lanciano con tanta incredibile sicurezza verso un obiettivo nascosto, da fare un effetto veramente sbalorditivo. Voglio riferirvi solo un esempio di un'analisi di questo genere riferita a un nome, dal momento che fortunatamente il materiale necessario a liquidarla è scarso.
Nel corso della cura di un giovanotto, vengo a parlare di questo argomento e accenno alla tesi che, nonostante l'apparente arbitrarietà, non è possibile farsi venire in mente nome alcuno che non si dimostri strettamente condizionato dalle immediate circostanze, dalle particolarità del soggetto esaminato e dalla sua situazione attuale. Poiché egli manifesta delle perplessità, gli propongo di sottoporsi senza indugio a un esperimento del genere. So che intrattiene un numero particolarmente elevato di relazioni di ogni tipo con donne e ragazze, e penso perciò che avrà una scelta particolarmente vasta se dovrà farsi venire in mente un nome di donna. E' d'accordo. Con mio, o forse con suo stupore, a questo punto egli non m'investe affatto con una valanga di nomi femminili, ma rimane per un tratto silenzioso e confessa poi che un unico nome gli è venuto in mente e nessun altro:
Albina. "Che strano! Ma che cosa si collega per Lei con questo nome? Quante Albine conosce?". Curioso! non conosceva nessuna Albina e anche in seguito non riuscì ad associare nulla con questo nome. Si poteva così supporre che l'analisi fosse fallita; invece no, semplicemente era già terminata, non occorrevano altri elementi. Il giovanotto aveva colori straordinariamente chiari e nei colloqui durante la cura io lo avevo varie volte chiamato per scherzo "Albino". Noi eravamo per l'appunto intenti a determinare la parte femminile della sua costituzione. Egli stesso era dunque questa "Albina", la donna che in quel momento più lo interessava.
Allo stesso modo si rivelano condizionate, e appartenenti a un giro di pensieri che ha diritto a occupare l'individuo senza che egli sappia di questa attività, le melodie che gli risuonano dentro all'improvviso. E' facile dimostrare che la relazione con la melodia è basata sul testo o sulla provenienza della melodia stessa. Ammetto però che questa affermazione non va estesa ai veri intenditori di musica, sui quali si dà il caso che non abbia alcuna esperienza. Può darsi che in tali persone sia il contenuto musicale della melodia ciò che determina il suo affiorare.
Certamente è più frequente il primo caso. So, ad esempio, di un giovanotto che per un certo tempo fu addirittura perseguitato dalla melodia, invero deliziosa, del canto di Paride nella "Belle Hélène", finché l'analisi non gli fece rivolgere l'attenzione sulla "Ida" e la "Elena" che si contendevano a quell'epoca il suo interesse.
Se dunque le idee che affiorano del tutto liberamente sono condizionate in tal modo e sono inserite in un determinato contesto, concluderemo certamente a ragione che le idee che sono sottoposte a un unico vincolo, quello con una rappresentazione iniziale, non possono esserlo di meno. L'indagine mostra in realtà che, oltre al collegamento che abbiamo assegnato loro con la rappresentazione iniziale, esse consentono di individuare una seconda dipendenza da cerchie di pensieri e interessi potenti dal punto di vista affettivo, da complessi il cui concorso non è noto al momento, ossia è inconscio.
Il presentarsi di idee con collegamenti di questo genere è stato fatto oggetto di indagini sperimentali molto istruttive, che hanno svolto un ruolo notevole nella storia della psicoanalisi. La scuola di Wundt aveva introdotto il cosiddetto "esperimento associativo", nel quale viene prescritto al soggetto di rispondere il più rapidamente possibile con una reazione qualsiasi a una parola-stimolo propostagli. E' allora possibile studiare l'intervallo che corre tra stimolo e reazione, la natura della risposta data come reazione, l'eventuale errore in una successiva ripetizione dello stesso esperimento, e via dicendo. La scuola di Zurigo, sotto la guida di Bleuler e Jung ha fornito la spiegazione delle reazioni che hanno luogo nell'esperimento associativo. A questo scopo, quando le reazioni di un soggetto presentavano qualcosa che dava nell'occhio, essi lo invitavano a chiarirle mediante successive associazioni. Ne risultò allora che queste reazioni appariscenti erano determinate in modo nettissimo dai complessi del soggetto. Bleuler e Jung avevano con ciò gettato il primo ponte che dalla psicologia sperimentale porta alla psicoanalisi .
Avendo ottenuto questi chiarimenti, potreste dire: "Adesso riconosciamo che le idee che si presentano liberamente sono determinate, non arbitrarie come abbiamo creduto. Ammettiamo che le cose stiano così anche per le idee che si presentano a proposito degli elementi del sogno. Ma non è questo quello che ci interessa. Lei infatti afferma che l'idea che si presenta a proposito di un elemento del sogno sarà determinata dallo sfondo psichico, a noi sconosciuto, di quel particolare elemento. Ciò non ci sembra dimostrato. Siamo pronti ad aspettarci che quel che viene in mente in relazione all'elemento del sogno si mostri determinato da uno dei complessi del sognatore, ma questo a che ci serve? Non ci porta alla comprensione del sogno bensì, come l'esperimento associativo, alla conoscenza di questi cosiddetti complessi. Ma cosa hanno a che fare questi ultimi con il sogno?".
Avete ragione, ma trascurate un fattore. Proprio quello, del resto, a causa del quale non ho scelto l'esperimento associativo come punto di partenza per questa esposizione. In tale esperimento una delle due determinanti della reazione, ossia la parola- stimolo, viene scelta da noi arbitrariamente. La reazione è quindi una mediazione tra questa parola-stimolo e il complesso destato in quel momento nella persona esaminata. Nel sogno la parola-stimolo è sostituita da qualche cosa che proviene essa stessa dalla vita psichica del sognatore, da fonti a lui sconosciute, che quindi a sua volta potrebbe essere molto facilmente un "derivato del complesso". Per questo non è irragionevole aspettarsi che anche le ulteriori idee che si ricollegano agli elementi del sogno siano determinate dallo stesso complesso di cui fa parte l'elemento onirico portino alla sua scoperta.
Permettetemi di dimostrare con un altro esempio che le cose rispondono effettivamente alle nostre aspettative. La dimenticanza di nomi propri è in effetti un eccellente modello per l'analisi del sogno; con la differenza che là si trova riunito in una sola persona ciò che nell'interpretazione onirica è ripartito tra due persone. Se dimentico temporaneamente un nome, ho pur tuttavia l'intima certezza di sapere quel nome, mentre questa certezza, nel caso di chi sogna, è acquisibile, come abbiamo visto, solo per la via traversa dell'esperimento di Bernheim. Il nome obliato e tuttavia conosciuto mi è, però, inaccessibile. L'esperienza mi dice subito che il rifletterci, per quanto mi sforzi non serve a nulla. Ogni volta posso però, al posto del nome dimenticato, farmi venire in mente uno o più nomi sostitutivi. A questo punto, quando mi si è presentato spontaneamente un nome sostitutivo, diviene evidente la conformità di questa situazione con quella dell'analisi del sogno. Anche l'elemento onirico non è l'elemento vero, ma solo un sostituto di qualcos'altro, della cosa vera e propria, che io non conosco e che devo scoprire attraverso l'analisi del sogno. La differenza sta ancora una volta solo nel fatto che nel caso della dimenticanza di un nome riconosco senza esitare il sostituto come improprio, mentre per l'elemento onirico abbiamo dovuto conquistarci questa nozione a fatica. Ora, anche nella dimenticanza di un nome, esiste una via per giungere dal sostituto alla cosa vera e propria che è inconscia, al nome dimenticato. Se rivolgo la mia attenzione a questi nomi sostitutivi e mi faccio venire in mente altre associazioni riguardo a essi giungo, dopo giri più o meno lunghi, al nome dimenticato, e trovo allora che i nomi sostitutivi spontanei, non meno di quelli da me evocati, sono connessi col nome dimenticato, e sono stati da esso determinati.
Vi presenterò un'analisi di questo genere. Un giorno mi accorgo di non riuscire a ricordare il nome di quel minuscolo stato in Riviera che ha per capitale MONTECARLO. E' davvero irritante, ma è così. Mi sprofondo in tutto quanto so di questo paese, penso al principe Alberto della casa dei Lusignano, ai suoi matrimoni, alla sua predilezione per le esplorazioni delle profondità marine e a quant'altro so mettere insieme, ma non mi serve a nulla. Rinuncio quindi a riflettere e, al posto di quello dimenticato, mi faccio venire in mente nomi sostitutivi. Vengono rapidamente: lo stesso MONTECARLO, poi PIEMONTE, ALBANIA, MONTEVIDEO, COLICO. In questa serie mi colpisce dapprima Albania, che viene sostituita subito da Montenegro, certo per la contrapposizione di "bianco" [albus] e "nero". Poi vedo che quattro di questi nomi sostitutivi contengono la stessa sillaba MON; improvvisamente afferro la parola dimenticata ed esclamo ad alta voce: "MONACO!". I nomi sostitutivi sono dunque veramente scaturiti da quello dimenticato: i primi quattro dalla prima sillaba mentre l'ultimo riproduce la sequenza delle sillabe e l'intera sillaba finale. Inoltre sono in grado anche di trovare facilmente che cosa mi ha temporaneamente sottratto il nome. MONACO, in italiano, è anche il nome di "München [Monaco di Baviera]; è questa città che ha esercitato l'influsso inibitorio.
L'esempio è certamente bello, ma troppo semplice. Ci sono casi in cui occorre far ricorso a una serie più ampia di idee associate ai primi nomi sostitutivi, e allora l'analogia con l'analisi del sogno appare più evidente. Ho fatto anche esperienze di questo genere. Una volta che uno straniero mi invitò a bere con lui del vino italiano, avvenne che, nella locanda, egli dimenticò il nome del vino di cui gli era rimasto un ottimo ricordo e che intendeva ordinare. Dai numerosi e disparati pensieri sostitutivi che gli vennero in mente al posto del nome dimenticato potei trarre la conclusione che il nome del vino gli era stato sottratto da un riguardo per una certa Edvige. Egli, in realtà, non solo confermò che aveva assaggiato questo vino per la prima volta in compagnia di una donna così chiamata, ma per merito di questa scoperta ne ritrovò anche il nome. Egli era allora felicemente sposato e quella Edvige apparteneva a tempi precedenti, che non ricordava volentieri.
Ciò che è possibile nel caso dell'oblio di un nome deve poter riuscire anche nell'interpretazione dei sogni: rendere cioè accessibile il materiale autentico e nascosto procedendo dal sostituto attraverso associazioni che si ricollegano a tale materiale. Seguendo l'esempio della dimenticanza di nomi, possiamo supporre che le idee associate all'elemento onirico saranno determinate sia dall'elemento onirico stesso sia dal materiale inconscio che gli sta dietro. Ne risulterebbe quindi una certa giustificazione della nostra tecnica.
Lezione 7 - CONTENUTO MANIFESTO DEL SOGNO E PENSIERI ONIRICI LATENTI
Signore e Signori, vedete bene che lo studio degli atti mancati non è stato inutile. Grazie ai nostri sforzi siamo approdati sulla base delle premesse che vi ho indicato - a due risultati: a una concezione dell'elemento onirico e a una tecnica dell'interpretazione dei sogni. La nostra concezione dell'elemento onirico afferma che esso è qualcosa di inautentico, un sostituto di qualcos'altro che al sognatore è sconosciuto (simile in ciò alla tendenza dell'atto mancato), un sostituto di qualcosa la cui conoscenza è presente nel sognatore ma gli è inaccessibile.
Secondo noi, dev'essere possibile trasporre la stessa concezione a tutto il sogno, il quale si compone di elementi siffatti. La nostra tecnica consiste nel far emergere, per mezzo di associazioni libere con questi elementi, altre formazioni sostitutive che ci permettano di scoprire ciò che è nascosto.
Vi propongo ora di introdurre un cambiamento nella nostra nomenclatura, il quale ci faciliterà la libertà di movimento.
Invece di "nascosto", "inaccessibile", "inautentico", diremo, dandone la descrizione esatta, "inaccessibile alla coscienza del sognatore" o "inconscio". Con questo termine intendiamo esclusivamente ciò che può suggerirvi il far riferimento alla parola che vi è sfuggita o alla tendenza perturbatrice dell'atto mancato, intendiamo cioè "inconscio in un determinato momento".
Naturalmente, per contrapposizione a ciò, possiamo chiamare "consci" gli elementi onirici stessi e le nuove rappresentazioni sostitutive acquisite mediante associazione. Per ora nessuna costruzione teorica è collegata con questa nomenclatura. L'impiego della parola "inconscio" quale descrizione adeguata e facilmente comprensibile è ineccepibile.
Se dal singolo elemento trasponiamo la nostra concezione all'intero sogno, ne risulta allora che il sogno nel suo complesso è il sostituto deformato di qualcos'altro, di qualcosa d'inconscio, e che il compito dell'interpretazione del sogno è scoprire questo materiale inconscio. Ne conseguono però subito tre regole importanti cui deve uniformarsi il nostro lavoro di interpretazione onirica:
1) non ci si preoccupi di ciò che il sogno sembra dire, sia esso intelligibile o assurdo, chiaro o confuso, poiché ciò non è in alcun caso il materiale inconscio da noi cercato (un'ovvia restrizione di questa regola ci si imporrà in seguito); 2) si limiti il lavoro a destare le rappresentazioni sostitutive per ogni elemento, non si rifletta su di esse, non le si esamini per vedere se contengano qualcosa di adatto, non ci si preoccupi di quanto ci portino lontano dall'elemento onirico; 3) si aspetti finché il materiale inconscio nascosto e cercato si presenti da sé, così come fece la parola "Monaco" che mi era sfuggita, nei tentativi sopra descritti.
A questo punto comprendiamo anche che è del tutto indifferente se il sogno viene ricordato poco o molto e, soprattutto, fedelmente o in maniera incerta. Il sogno ricordato non è infatti il materiale autentico, ma un suo sostituto deformato che deve aiutarci (destando altre formazioni sostitutive) a giungere più vicino al materiale vero e proprio, a rendere conscio quel che c'è di inconscio nel sogno. Se dunque il nostro ricordo era infedele, esso ha semplicemente operato un'ulteriore deformazione di questo sostituto, deformazione che d'altronde non può essere immotivata.
Il lavoro interpretativo può essere compiuto sia su sogni propri sia su sogni altrui. Sui propri si impara persino di più; il procedimento riesce più convincente. Facendo questo tentativo, si osserva che qualcosa si oppone al lavoro. All'interprete dei propri sogni vengono in mente parecchie idee, ma egli non le lascia agire tutte. In lui si fanno valere certi influssi che vagliano e selezionano. Di una data idea dice: "No, questa non va bene, non c'entra"; di un'altra: "non ha nessun senso"; di una terza: "è del tutto secondaria". Si può inoltre osservare come, con tali obiezioni, egli soffoca le idee ancor prima che siano diventate del tutto chiare e alla fine le scaccia addirittura.
Quindi, da una parte, egli si tiene troppo attaccato alla rappresentazione iniziale, all'elemento onirico e, dall'altra, turba, compiendo una scelta, l'esito dell'associazione libera. Se non siamo soli durante l'interpretazione del sogno, se ci facciamo interpretare il nostro sogno da un altro, ci rendiamo conto chiaramente che un altro motivo si fa valere in noi per compiere questa illecita scelta, giacché, in certi casi, diciamo a noi stessi: "No, è un'idea troppo sgradevole, non voglio o non posso riferirla".
Queste obiezioni minacciano palesemente di guastare il successo del nostro lavoro. Ci si deve proteggere contro di esse. Se si tratta della propria persona, lo si fa mediante il fermo proposito di non assecondarle; se si interpreta il sogno di un altro, occorre prescrivergli la regola inviolabile di non escludere dalla comunicazione nulla di quanto gli passa per la mente, anche se si presta a una delle quattro obiezioni: che è irrilevante, che non ha senso, che non c'entra o che è spiacevole da riferirsi. Egli prometterà di osservare questa regola, e noi avremo probabilmente ragione di arrabbiarci per il pessimo modo in cui, alla prima occasione, terrà fede alla parola data. Dapprima, a mo' di spiegazione, ricorreremo all'ipotesi che, nonostante le nostre autorevoli assicurazioni, non gli è parsa plausibile la fondatezza dell'associazione libera, e ci illuderemo forse di cominciare a conquistarlo per via teorica, dandogli scritti da leggere o mandandolo a qualche conferenza, nella speranza di trasformarlo in un fautore delle nostre vedute sull'associazione libera. Per evitare di prendere questa cantonata, ci basterà osservare che anche in noi stessi e qui possiamo essere certi della convinzione in merito vengono a galla le medesime obiezioni critiche contro certe idee che ci vengono in mente, e queste obiezioni vengono eliminate solo in seguito, in certo qual modo in seconda istanza.
Invece di arrabbiarci per la disobbedienza del sognatore, facciamo tesoro di questa esperienza per imparare qualcosa di nuovo, che è tanto più importante quanto meno vi eravamo preparati. Rendiamoci conto che il lavoro di interpretazione del sogno si effettua contro una resistenza che si oppone a questo lavoro e che si esprime mediante le obiezioni critiche di cui abbiamo parlato.
Questa resistenza è indipendente dal convincimento teorico del sognatore. Anzi, impariamo qualcosa di più; apprendiamo cioè che nessuna obiezione critica del genere è mai giustificata. Al contrario, le idee che si vorrebbero in tal modo reprimere si rivelano senza eccezione le più importanti, quelle decisive per la scoperta del materiale inconscio. Anzi, se un'idea viene accompagnata da un'obiezione del genere, ciò costituisce un suo segno distintivo particolare. Questa resistenza è qualcosa di completamente nuovo, un fenomeno di cui siamo venuti a conoscenza in base alle nostre premesse senza che fosse implicito in esse.
Non è una sorpresa piacevole, questo nuovo fattore che entra in gioco. Presagiamo che non ci faciliterà il lavoro. Anzi potrebbe indurci nella tentazione di abbandonare tutti i nostri sforzi intorno al sogno. Già il sogno è così irrilevante, e per giunta tutte queste difficoltà, invece di una tecnica agevole! Ma, per altro verso, chissà che queste difficoltà non ci stimolino e non ci facciano venire il sospetto che il lavoro meriti lo sforzo. Le resistenze ci si fanno innanzi invariabilmente quando vogliamo procedere dal sostituto, ossia dall'elemento onirico, al materiale inconscio nascosto dietro di esso. Possiamo quindi pensare che dietro al sostituto si celi qualcosa di importante. A che scopo, altrimenti, tutte queste difficoltà intese a tenerlo nascosto?
Quando un bambino non vuol aprire il pugno chiuso, per far vedere che cosa c'è dentro, certamente si tratta di qualcosa che non va e che non dovrebbe avere.
Nel momento stesso in cui introduciamo nel nostro contesto la rappresentazione dinamica di una resistenza, dobbiamo anche pensare che questo fattore sia qualcosa di quantitativamente variabile. Le resistenze possono essere più o meno cospicue, e siamo preparati all'evenienza che queste differenze si presentino anche nel corso del nostro lavoro. A questo fatto possiamo forse collegare un'altra esperienza, che pure facciamo durante il lavoro di interpretazione dei sogni. Talvolta, cioè, una sola o poche idee improvvise bastano a portarci dall'elemento onirico al suo materiale inconscio, mentre altre volte, per ottenere questo risultato, sono necessarie lunghe catene di associazioni e il superamento di molte obiezioni critiche. Queste diversità, diremo a noi stessi, sono connesse con le grandezze variabili della resistenza, e probabilmente avremo colto nel segno. Quando la resistenza è scarsa, anche il sostituto non è molto lontano dal materiale inconscio; una cospicua resistenza implica invece grandi deformazioni del materiale inconscio e quindi un lungo cammino a ritroso dal sostituto verso il materiale inconscio.
E' forse giunto il momento di prendere in esame un sogno e di sperimentare su di esso la nostra tecnica, per vedere se le nostre aspettative trovano conferma. Già, ma che sogno dobbiamo scegliere a questo scopo? Non potete immaginare quanto difficile mi riesca questa decisione, anche se non è ancora possibile farvi vedere dove stia la difficoltà. Evidentemente devono esserci sogni che in complesso hanno subìto una piccola deformazione, e meglio di tutto sarebbe cominciare con questi. Ma quali sono i sogni meno deformati? Quelli intelligibili e non confusi, di cui vi ho già presentato due esempi? Saremmo totalmente fuori strada. L'indagine mostra che questi sogni hanno subìto un grado di deformazione eccezionalmente elevato. Se invece, rinunciando a particolari condizioni, scegliessi un sogno qualsiasi, sareste probabilmente molto delusi. Magari ci toccherebbe notare o registrare una tale abbondanza di idee a proposito dei singoli elementi onirici, che diverrebbe impossibile raccapezzarsi nel lavoro. Quando mettiamo per iscritto un sogno e lo confrontiamo con l'annotazione di tutte le idee che si presentano in associazione a esso, è facile che, dei due testi, il secondo sia notevolmente più lungo. Sembrerebbe quindi preferibile scegliere per l'analisi parecchi sogni brevi, ciascuno dei quali possa almeno dirci o confermarci qualcosa. E a questo ci risolveremo, a meno che l'esperienza ci indichi dove possiamo trovare realmente sogni poco deformati.
Conosco tuttavia un modo di semplificare le cose che, per giunta, si trova sul nostro cammino. Invece di affrontare l'interpretazione di interi sogni, limitiamoci a singoli elementi onirici e vediamo, in una serie di esempi, come essi trovino spiegazione applicando la nostra tecnica.
a) Una signora racconta di aver sognato molto spesso da bambina che "il buon Dio aveva in testa un cappello di carta a punta".
Come capirci qualcosa senza l'aiuto della sognatrice? Ha tutta l'aria di non aver senso. Comincia ad averlo quando la signora ci riferisce che da bambina, a tavola, solevano metterle in testa un cappello simile, perché non la smetteva di sbirciare nei piatti dei fratelli e delle sorelle per vedere se qualcuno avesse ricevuto più cibo di lei. Il cappello doveva quindi funzionare da paraocchi. Per inciso, si tratta di un'informazione "storica", data senza alcuna difficoltà. L'interpretazione di questo elemento e al tempo stesso di tutto il breve sogno risulta facilitata da una successiva affermazione della sognatrice. "Poiché avevo sentito dire che il buon Dio è onnisciente e vede tutto - dice - il sogno non può significare altro se non che io so tutto e vedo tutto come il buon Dio, anche se si vuole impedirmelo". Questo esempio è fin troppo semplice.
b) Una paziente scettica (nei confronti della psicoanalisi) fa un sogno piuttosto lungo, nel quale càpita che certe persone le parlino del mio libro sul "Motto di spirito" (1905) lodandolo molto. Poi si accenna a qualche cosa di un "canale", FORSE UN ALTRO LIBRO NEL QUALE SI PARLA DI UN CANALE, O ALTRIMENTI QUALCHE COSA CON UN CANALE... LEI NON LO SA... E' MOLTO CONFUSO...
Ora sarete di certo propensi a credere che l'elemento "canale" si sottrarrà all'interpretazione, essendo tanto indeterminato. Avete ragione nel supporre una difficoltà, ma la cosa non è difficile perché poco chiara, ma è poco chiara per un altro motivo, quello stesso che rende difficile anche l'interpretazione. Alla sognatrice non viene in mente nulla per "canale", e anch'io naturalmente, non so cosa dire. Qualche tempo dopo, per la verità il giorno dopo, racconta che le è venuto in mente qualche cosa che forse è in rapporto con quest'elemento. Si tratta precisamente di un motto di spirito che ha sentito raccontare. Su una nave tra Dover e Calais, un noto scrittore s'intrattiene con un inglese che a un certo punto cita la frase: "Du sublime au ridicule il n'y a qu'un pas" [Dal sublime al ridicolo non c'è che un passo]. "Oui, le pas de Calais" [Sì, il passo di Calais], risponde lo scrittore, intendendo dire che per lui la Francia è sublime e l'Inghilterra ridicola. Ma il Pas de Calais è pure un "canale" e precisamente il Canale della Manica.
Penso forse che questa associazione abbia a che vedere col sogno?
Penso proprio di sì; essa in verità fornisce la soluzione dell'enigmatico elemento onirico. O forse volete mettere in dubbio che questo motto di spirito sia esistito già prima del sogno, quale base inconscia dell'elemento "canale"? Preferite supporre che esso si sia aggiunto come invenzione successiva? In realtà, è un'idea che rivela lo scetticismo che si cela nella paziente dietro un'ammirazione ostentata; e la resistenza è di certo il motivo comune sia del fatto che l'associazione si presenta in lei in modo tanto esitante, sia della forma così indeterminata in cui si è realizzato l'elemento onirico. Osservate anche a questo punto la relazione dell'elemento onirico con la sua base inconscia. Esso ne è in certo modo una particella, un'allusione; per essersi così frammentato è diventato incomprensibile.
c) Un paziente sogna in un contesto più ampio: INTORNO A UN TAVOLO DI FORMA PARTICOLARE SONO SEDUTI ALCUNI MEMBRI DELLA SUA FAMIGLIA ECCETERA. A proposito di questo tavolo gli viene in mente di aver visto un mobile simile in occasione di una visita a una determinata famiglia. Poi i suoi pensieri proseguono: in questa famiglia vi è stato un particolare rapporto tra padre e figlio; e subito aggiunge che, in effetti, tra lui e suo padre le cose vanno allo stesso modo. Il tavolo è stato quindi accolto nel sogno per designare questo parallelo.
Questo paziente conosceva da tempo ciò che è richiesto dall'interpretazione dei sogni. Un altro si sarebbe forse scandalizzato che un dettaglio così futile come la forma di un tavolo fosse fatto oggetto di un'indagine. In verità secondo noi nulla è casuale o indifferente nel sogno e ci attendiamo di trarre informazioni proprio dalla spiegazione di dettagli così futili e apparentemente senza scopo. Vi meraviglierà forse anche che per esprimere il pensiero "da noi le cose vanno tali e quali come da loro" il lavoro onirico scelga proprio il tavolo ["TISCH"]. Anche questo però si spiega, allorché si apprende che il cognome della famiglia dei conoscenti è TISCHLER. Facendo prendere posto ai suoi familiari attorno a questo tavolo, il sognatore dice che sono anch'essi dei Tischler. Notate, tra l'altro, come nel riferire simili interpretazioni di sogni si deve per forza diventare indiscreti. Non vi sfuggirà che è questa una delle difficoltà cui ho accennato a proposito della scelta degli esempi. Avrei potuto facilmente sostituire questo esempio con un altro, ma avrei probabilmente evitato questa indiscrezione solo a costo di commetterne un'altra .
Mi sembra giunto il momento di introdurre due termini che avremmo potuto usare da molto tempo. Chiameremo CONTENUTO ONIRICO MANIFESTO ciò che il sogno racconta, e PENSIERI ONIRICI LATENTI ciò che è nascosto, cui dobbiamo giungere seguendo le idee che vengono in mente al sognatore. Vi prego di fare attenzione alle relazioni tra il contenuto onirico manifesto e i pensieri onirici latenti, quali si mostrano negli esempi citati. Possono esistere svariatissime relazioni di questo genere. Negli esempi a) e b) l'elemento manifesto è anche una parte costitutiva dei pensieri latenti, ma solo un piccolo brano di questi pensieri. Un pezzettino di una grande e complicata struttura psichica presente nei pensieri onirici inconsci è pervenuto nel sogno manifesto, come un frammento di essi o, in altri casi, come un'allusione a essi, come un richiamo, un'abbreviazione in stile telegrafico. Il lavoro d'interpretazione ha il compito di riportare a unità, integrandole, queste briciole o questi accenni, come è riuscito particolarmente bene nell'esempio b). Un tipo di deformazione, nella quale consiste il "lavoro onirico", è quindi la sostituzione mediante un frammento o un'allusione. In c) è riconoscibile anche un'altra relazione, che vediamo espressa più nettamente e chiaramente negli esempi seguenti
d) Il sognatore ESTRAE UNA SIGNORA (ben individuata, a lui conosciuta) DA DIETRO IL LETTO. Egli trova da sé, con la prima cosa che gli viene in mente, il senso di questo elemento onirico.
Significa: preferisce questa signora ["hervorziehen" = estrarre; "vorziehen" = preferire].
e) Un altro sogna che SUO FRATELLO STA IN UN ARMADIO. La prima idea venutagli in mente sostituisce "armadio" con stipo, e la seconda dà quindi l'interpretazione: il fratello è stipato in ristrettezze.
f) Il sognatore SALE SU UNA MONTAGNA, DA CUI GODE UNA VISTA STRAORDINARIA, AMPLISSIMA. Qui tutto appare razionale: forse non c'è nulla da interpretare, ma solo da appurare da quale reminiscenza proviene il sogno e per quale motivo essa si è risvegliata a questo punto. Ma vi sbagliate; risulta che questo sogno ha bisogno di essere interpretato come qualsiasi altro, ben più confuso. Al sognatore, infatti, non viene in mente nulla che riguardi proprie escursioni in montagna; si rammenta invece della circostanza che un suo conoscente pubblica una rivista che si occupa delle nostre relazioni con le parti estreme della terra. Il pensiero onirico latente quindi, in questo caso, è una identificazione del sognatore con chi pubblica la rivista.
Trovate qui un nuovo tipo di relazione tra l'elemento onirico manifesto e quello latente. Il primo non è tanto una deformazione del secondo quanto una sua raffigurazione, un modo immaginifico, plastico, concreto di rappresentarlo, che prende lo spunto dal significato letterale della parola. In verità è proprio per questo che si tratta pur sempre di una deformazione, perché da molto tempo abbiamo dimenticato da quale immagine concreta sia scaturita la parola e, di conseguenza, non la riconosciamo nell'immagine che ne prende il posto. Considerando che il sogno manifesto consiste prevalentemente di immagini visive, e più raramente di pensieri e di parole, si vede subito che a questo tipo di relazione spetta una particolare importanza per la formazione del sogno. Vedete anche che diventa possibile, in questo modo, creare nel sogno manifesto immagini sostitutive per tutta una serie di pensieri astratti, immagini che servono contemporaneamente all'intento di nascondere. E' questa la tecnica del ben noto rebus. Donde provenga quel certo che di spiritoso che è proprio di simili figurazioni, è una questione particolare che non occorre toccare qui.
C'è un quarto tipo di relazione tra elemento manifesto ed elemento latente di cui per ora non posso ancora parlarvi, ma che verrà richiamato quando considereremo la tecnica. Neppure allora la nostra enumerazione sarà completa, ma per i nostri scopi potrà bastare.
Ve la sentite ora di cimentarvi nell'interpretazione di un sogno intero? Proviamo a vedere se siamo sufficientemente preparati per questo compito. Naturalmente non sceglierò uno dei sogni più oscuri, ma uno che mostri in maniera ben spiccata le proprietà del sogno.
Dunque, una giovane signora, che però è già sposata da molti anni, sogna: SI TROVA CON SUO MARITO A TEATRO, UNA PARTE DELLA PLATEA E' COMPLETAMENTE VUOTA. SUO MARITO LE RACCONTA CHE ANCHE ELISE L. E IL SUO FIDANZATO AVREBBERO VOLUTO VENIRCI, MA AVEVANO TROVATO SOLO BRUTTI POSTI, TRE PER 1 FIORINO E 50 CENTESIMI, E NON POTEVANO CERTO PRENDERLI. LEI E' DEL PARERE CHE NON SAREBBE POI STATA UNA DISGRAZIA.
La prima cosa che la sognatrice ci riferisce è che lo spunto del sogno è accennato nel suo contenuto manifesto. Suo marito le aveva effettivamente raccontato che Elise L., una conoscente a lei pressappoco coetanea, si era appena fidanzata allora. Il sogno è la reazione a questa comunicazione. Sappiamo già che per molti sogni è facile indicare uno spunto come questo tratto dal giorno prima, e che questa provenienza viene riferita spesso senza difficoltà dal sognatore. Informazioni dello stesso genere ci vengono messe a disposizione dalla sognatrice anche per altri elementi del sogno manifesto. Da dove proviene il particolare che una parte della platea è vuota? Si tratta di un'allusione a un fatto reale della settimana precedente. Essa si era proposta di andare a una certa rappresentazione teatrale e a tal fine aveva preso i biglietti per tempo, tanto per tempo che dovette pagare la tariffa di prenotazione. Quando giunsero a teatro, si dimostrò quanto superflua era stata la sua preoccupazione, perché UN LATO DELLA PLATEA ERA QUASI VUOTO. Avrebbe fatto in tempo se avesse comprato i biglietti il giorno stesso della rappresentazione. Il marito non tralasciò di punzecchiarla per questa precipitazione.
Da dove vengono le cifre: 1 fiorino e 50 centesimi? Da un nesso del tutto diverso, che non ha nulla a che vedere col precedente, ma che allude ugualmente a una notizia del giorno prima. Sua cognata aveva ricevuto in dono dal marito 150 fiorini e non aveva trovato nulla di più urgente da fare, quell'oca, che correre dal gioielliere e farsi dare un gioiello al posto del denaro. - Donde viene il "tre"? A questo proposito essa non sa nulla, a meno che non si voglia accettare per buona l'idea che la fidanzata, Elise L., è di soli tre mesi più giovane di lei, sposata ormai da quasi dieci anni. E l'assurdità di prendere tre biglietti se si è solo in due? Riguardo a ciò essa non dice nulla e rifiuta ogni ulteriore associazione e informazione.
Tuttavia, nelle sue poche associazioni, la sognatrice ci ha fornito tanto materiale che in base a esso diventa possibile individuare i pensieri onirici latenti. Non può non colpirci il fatto che in parecchi punti delle sue comunicazioni relative al sogno appaiono determinazioni di tempo, le quali attestano l'esistenza di un carattere comune tra diverse parti del materiale. Essa ha provveduto ai biglietti per il teatro troppo presto, li ha presi PRECIPITOSAMENTE, tanto da doverli pagare di più; similmente, la cognata si è AFFRETTATA a portare il suo denaro dal gioielliere per comprarsi un gioiello, quasi che questo altrimenti le sfuggisse. Se al tanto accentuato "troppo presto", "precipitosamente", aggiungiamo lo spunto del sogno la notizia che l'amica PIU' GIOVANE di soli tre mesi ha tuttavia trovato ora un buon marito - e la critica espressa nell'ingiuria rivolta alla cognata, cioè che era stato ASSURDO precipitarsi a quel modo, ci si presenta quasi spontaneamente la seguente ricostruzione dei pensieri onirici latenti, dei quali il sogno manifesto è un sostituto fortemente deformato:
" E' stato ASSURDO da parte mia affrettarmi tanto a sposarmi!
L'esempio di Elise mi fa vedere che avrei trovato un marito anche più tardi". (La precipitazione è rappresentata dal suo comportamento nell'acquisto dei biglietti e da quello della cognata nell'acquisto del gioiello. Come sostituto dello sposarsi subentra l'andare a teatro). Questo sarebbe il pensiero principale; forse possiamo proseguire - benché con minor sicurezza perché l'analisi dovrebbe basarsi anche in questi punti su osservazioni della sognatrice -: "E con quel denaro ne avrei trovato uno cento volte migliore!" ( 150 fiorini è cento volte l fiorino e 50 centesimi). Se al posto del denaro potessimo mettere la dote, ciò significherebbe che ci si compra il marito con la dote; tanto il gioiello quanto i cattivi biglietti starebbero al posto del marito. Sarebbe ancora più desiderabile se proprio l'elemento "tre biglietti" avesse qualcosa a che fare con un uomo.
Ma la nostra comprensione non giunge ancora fino a questo punto.
Abbiamo scoperto soltanto che il sogno esprime la SVALUTAZIONE del proprio marito e il rimpianto di essersi SPOSATA TANTO PRESTO.
A mio giudizio, più che soddisfatti saremo sorpresi e sconcertati dal risultato di questa prima interpretazione onirica. Troppe cose in una sola volta ci piombano addosso, più di quante possiamo per ora padroneggiarne. Ci rendiamo subito conto che non riusciremo a sfruttare tutti gli insegnamenti di questa interpretazione.
Affrettiamoci a sceverare gli elementi conoscitivi nuovi che riusciamo a individuare con certezza.
Primo: è strano come nei pensieri latenti l'accento cada principalmente sull'elemento della precipitazione; nel sogno manifesto non ve n'è traccia. Senza l'analisi non avremmo potuto avere alcun sospetto che questo fattore svolga un qualsiasi ruolo.
Sembra dunque possibile che nel sogno manifesto manchi proprio la cosa principale, il punto centrale dei pensieri inconsci. Ciò non può non mutare sostanzialmente l'impressione suscitata dal sogno nel suo complesso. Secondo: nel sogno si trova una combinazione assurda, tre per 1 fiorino e 50 centesimi; nei pensieri onirici indoviniamo la proposizione: "è stato assurdo (sposarsi così presto)". Si può negare forse che questo pensiero, "è stato assurdo", venga raffigurato nel sogno manifesto proprio per mezzo dell'introduzione di un elemento assurdo? Terzo: uno sguardo comparativo insegna che la relazione tra elementi manifesti e latenti non è semplice, in nessun caso è una relazione tale per cui un elemento manifesto sostituisce sempre un elemento latente.
Tra i due campi deve piuttosto esserci una relazione d'insieme, entro la quale un elemento manifesto può rappresentare vari elementi latenti e uno latente può essere sostituito da più elementi manifesti.
Per quanto riguarda il senso del sogno e l'atteggiamento della sognatrice nei suoi confronti, ci sarebbero ugualmente molte cose sorprendenti da dire. Essa accetta l'interpretazione, ma se ne meraviglia. Non sapeva di avere così poca stima per suo marito e non sa nemmeno perché dovrebbe stimarlo così poco. Rimangono quindi molti aspetti incomprensibili. Credo davvero che non abbiamo ancora un'attrezzatura sufficiente per interpretare un sogno e che ci occorre un'ulteriore istruzione e preparazione.
Lezione 8 - SOGNI INFANTILI
Signore e Signori, abbiamo la sensazione di aver proceduto troppo rapidamente. Torniamo quindi un passo indietro. Prima del nostro ultimo tentativo di superare mediante la nostra tecnica la difficoltà della deformazione onirica, ci eravamo detti che la miglior cosa sarebbe stata di aggirarla attenendoci a quei sogni - ammesso che ce ne siano - nei quali la deformazione manchi o sia presente solo in scarsissima misura. Il seguire questa via ci porta di nuovo lontano dallo sviluppo storico delle nostre conoscenze poiché in realtà fu solo dopo aver applicato conseguentemente la tecnica interpretativa e aver compiuto l'analisi dei sogni deformati che ci si accorse dell'esistenza di sogni esenti da deformazione.
I sogni che cerchiamo si trovano nei bambini. Essi sono brevi, chiari, coerenti, facili da comprendere, inequivocabili, eppure sono indubbiamente sogni. Non crediate però che tutti i sogni di bambini siano di questa specie. La deformazione onirica comincia a manifestarsi molto presto nell'infanzia e sono stati segnalati sogni di bambini dai cinque agli otto anni che portano in sé già tutti i caratteri dei sogni che si fanno più tardi. Se però vi limitate all'età che va dall'inizio dell'attività psichica osservabile fino al quarto o quinto anno, raccoglierete una serie di sogni dalle caratteristiche che possono essere definite "infantili", e alcuni della stessa specie potrete trovarli negli anni successivi dell'infanzia. Invero, in particolari condizioni, anche in persone adulte si verificano sogni che sono del tutto simili a quelli tipicamente infantili.
Da questi sogni di bambini possiamo trarre con facilità e sicurezza delucidazioni sulla natura del sogno che, vogliamo sperare, si dimostreranno decisive e universalmente valide.
1. Per la comprensione di questi sogni non occorre alcuna analisi né l'applicazione di alcuna tecnica. Non c'è bisogno di interrogare il bambino che racconta il suo sogno: Vi si deve aggiungere però una breve informazione sulla vita del bambino. C'è sempre un'esperienza del giorno prima che ci spiega il sogno. Il sogno è la reazione della vita psichica nel sonno a questa esperienza diurna.
Ascoltiamo alcuni esempi, sui quali appoggiare le nostre ulteriori conclusioni . ' a) Un bambino di 22 mesi, nel fare gli auguri, deve offrire in dono un cestino di ciliegie. Lo fa manifestamente molto a malincuore, benché gli si prometta che anche lui ne riceverà qualcuna. Il mattino seguente racconta di aver sognato: "HE(R)MANN MANGIATO TUTTE LE CILIEGIE".
b) Una bambina di 3 anni e 3 mesi attraversa per la prima volta un lago. Al momento di scendere non vuole lasciare la barca e si mette a piangere amaramente. Il tempo della traversata le sembra essere passato troppo in fretta. Il mattino seguente: "STANOTTE SONO STATA SUL LAGO". Per parte nostra possiamo completare che verosimilmente quest'ultima traversata è durata più a lungo.
c) Un bambino di 5 anni e 3 mesi viene portato in gita nella valle dell'Eschern, presso Hallstatt. Egli aveva sentito dire che Hallstatt si trova ai piedi del Dachstein. Per questa montagna aveva dimostrato molto interesse. Dalla sua casa ad Aussee si godeva una bella veduta del Dachstein e con il cannocchiale vi si poteva scorgere il Rifugio Simony. Il bambino si era ripetutamente sforzato di vederlo con il cannocchiale, non si sa con quale risultato. La gita iniziò in un'atmosfera festosa e piena di aspettative. Ogni volta che appariva un nuovo rilievo, il bambino chiedeva: "E' il Dachstein, questo?". Egli diveniva sempre più di cattivo umore ogniqualvolta veniva risposto negativamente a questa domanda, poi s'imbronciò del tutto e non volle seguirci per un piccolo sentiero che portava alla cascata. Si pensò che fosse stanco, ma il mattino dopo raccontò tutto beato: "Stanotte ho sognato che SIAMO STATI AL RIFUGIO SIMONY". Era dunque con questa aspettativa che aveva preso parte alla gita. Quanto a dettagli, riferì solo quello che aveva sentito dire in precedenza: "Si salgono scalini per sei ore.
Questi tre sogni possono bastare a fornire tutti gli schiarimenti desiderati .
2. Come si vede, questi sogni di bambini non sono privi di senso; sono ATTI PSICHICI INTELLIGIBILI, PIENAMENTE VALIDI. Ricordatevi di ciò che vi ho presentato come il giudizio medico sul sogno, della similitudine delle dita ignare di musica che scorrono sui tasti del pianoforte. Vi renderete conto che questi sogni infantili si oppongono nettamente a tale concezione. Sarebbe però fin troppo strano se proprio il bambino fornisse nel sonno prestazioni psichiche complete allorché l'adulto nello stesso caso si accontenta di reazioni a sobbalzi. Tra i due, abbiamo tutte le ragioni di attribuire al bambino il sonno migliore e più profondo.
3. Questi sogni sono esenti da deformazione onirica e non necessitano quindi di alcun lavoro di interpretazione. Qui sogno manifesto e sogno latente coincidono. LA DEFORMAZIONE ONIRICA NON APPARTIENE DUNQUE ALL'ESSENZA DEL SOGNO. Suppongo che ciò vi toglierà un peso dal cuore. Ma, da una più attenta considerazione, anche a questi sogni accorderemo un briciolo di deformazione onirica, una certa differenza tra il contenuto onirico manifesto e i pensieri onirici latenti.
4. Il sogno infantile è la reazione a un'esperienza diurna che ha lasciato dietro di sé un rammarico, una nostalgia, un desiderio irrisolto. IL SOGNO RECA L'APPAGAMENTO DIRETTO, SCOPERTO, DI QUESTO DESIDERIO. Pensate ora alle nostre discussioni sul ruolo degli stimoli corporei esterni o interni quali perturbatori del sonno e promotori del sogno: a questo riguardo eravamo venuti a conoscenza di fatti assolutamente certi, in grado, tuttavia, di spiegarci solo un piccolo numero di sogni. In questi sogni infantili non vi è nulla che accenni all'influenza di tali stimoli somatici; non possiamo sbagliarci in questo, poiché i sogni sono pienamente intelligibili e facilmente afferrabili nel loro insieme. Ma non per questo siamo costretti a rinunciare a una loro etiologia da stimoli: ci tocca solo chiederci perché, all'inizio, abbiamo dimenticato che, oltre a quelli somatici, ci sono anche stimoli psichici che disturbano il sonno. Eppure sappiamo che la responsabilità di perturbare il sonno dell'adulto, impedendogli di attuare in sé la condizione psichica necessaria per addormentarsi, ossia il ritiro dell'interesse dal mondo, va attribuita perlopiù a eccitamenti di questo genere. L'adulto non vorrebbe interrompere la vita, anzi preferirebbe continuare a lavorare alle cose che lo interessano: perciò non si addormenta. Per il bambino un simile stimolo psichico perturbatore del sonno è dunque il desiderio irrisolto, al quale egli reagisce con il sogno.
5. Di qui otteniamo per la via più breve schiarimenti sulla funzione del sogno. Come reazione allo stimolo psichico, il sogno deve avere il valore di una liquidazione di questo stimolo, così che esso venga eliminato e il sonno possa continuare. Sul piano dinamico non sappiamo ancora come questa liquidazione per mezzo del sogno sia resa possibile, ma notiamo già che IL SOGNO NON E' IL PERTURBATORE DEL SONNO, come lo si descrive, BENSI' IL CUSTODE DEL SONNO, CIO' CHE ELIMINA LE PERTURBAZIONI DEL SONNO. Noi diciamo che avremmo dormito meglio se non ci fosse stato il sogno, ma abbiamo torto; in realtà, senza l'aiuto del sogno non avremmo dormito affatto. E' merito suo se abbiamo dormito così bene. Esso non ha potuto evitare di disturbarci un po', così come il guardiano notturno spesso non può non fare qualche rumore mentre scaccia i disturbatori della quiete che vogliono svegliarci col loro fracasso.
6. Suscitatore del sogno è un desiderio, contenuto del sogno è l'appagamento di questo desiderio: ecco uno dei caratteri fondamentali del sogno. L'altro carattere, non meno costante, è che il sogno non esprime semplicemente un pensiero, ma rappresenta questo desiderio come appagato in forma di esperienza allucinatoria. "VORREI ANDARE SUL LAGO", è il desiderio che suscita il sogno; il sogno stesso ha come contenuto: "VADO SUL LAGO". Anche in questi semplici sogni di bambini sussiste quindi una differenza tra sogno latente e sogno manifesto, una deformazione del pensiero onirico latente: LA TRASPOSIZIONE DEL PENSIERO IN ESPERIENZA VISSUTA. Nell'interpretazione del sogno si deve anzitutto far recedere questa alterazione. Se ciò dovesse risultare un carattere generalissimo del sogno, il frammento onirico riferito più sopra: "VEDO MIO FRATELLO IN UNO STIPO" non sarebbe dunque da tradurre "mio fratello è stipato in ristrettezze", ma "vorrei che mio fratello si stipasse, mio fratello deve fare economia". Dei due caratteri generali del sogno qui menzionati, il secondo ha evidentemente maggiori prospettive del primo di venir ammesso senza obiezioni. Solo attraverso indagini molto estese potremo stabilire se suscitatore del sogno debba sempre essere un desiderio, e non possa essere invece anche una preoccupazione, un proposito o un rimprovero; questo non intaccherà però l'altro carattere, cioè che il sogno non riproduce semplicemente questo stimolo, ma l'abolisce, l'elimina, lo liquida per mezzo di una sorta di esperienza vissuta.
7. In correlazione con questi caratteri del sogno possiamo riprendere nuovamente anche il confronto del sogno con l'atto mancato. In quest'ultimo distinguemmo una tendenza perturbatrice e una tendenza perturbata, fra le quali l'atto mancato costituiva un compromesso. Nello stesso schema si inserisce anche il sogno. In esso l'intenzione perturbata non può essere che quella di dormire.
Quella perturbatrice va sostituita con lo stimolo psichico, ovverosia con il desiderio che preme verso la propria risoluzione, giacché finora non siamo venuti a conoscenza di nessun altro stimolo psichico che disturbi il sonno. Anche il sogno è il risultato di un compromesso. Si dorme, eppure si esperisce l'eliminazione di un desiderio; si soddisfa un desiderio, ma intanto si continua a dormire. Entrambe le intenzioni vengono in parte realizzate e in parte abbandonate.
8. Ricorderete che in un'occasione precedente abbiamo sperato di ricavare una via di accesso alla comprensione dei problemi del sogno dal fatto che certe creazioni della fantasia, per noi molto trasparenti, vengono chiamate "sogni a occhi aperti". Ora, questi sogni a occhi aperti sono realmente appagamenti di desideri, appagamenti di desideri ambiziosi ed erotici che ci sono ben noti; essi però, seppure rappresentati in modo vivido, sono pensati e mai vissuti in forma allucinatoria. Dei due caratteri principali del sogno, quindi, in questo caso viene mantenuto quello meno sicuro, mentre l'altro, che dipende dallo stato di sonno e non è realizzabile nella vita vigile, viene totalmente meno. Nell'uso linguistico è dunque adombrato il fatto che l'appagamento di un desiderio è uno dei caratteri principali del sogno. Tra l'altro, se l'esperienza vissuta nel sogno è solo un modo diverso di immaginare, reso possibile dalle condizioni dello stato di sonno, quindi un "sognare a occhi aperti notturno", già comprendiamo che il processo di formazione del sogno può far cessare lo stimolo notturno e apportare soddisfacimento, poiché anche il sognare a occhi aperti è un'attività congiunta a soddisfacimento ed è solo per questa ragione che viene praticata.
Non solo questo, ma anche altri usi linguistici si esprimono nello stesso senso. Noti proverbi dicono: "Il porco sogna le ghiande, l'oca il granturco"; oppure chiedono: "Che cosa sogna il pollo? Il miglio". Il proverbio si spinge dunque ancora più in là di noi, dal bambino all'animale, e afferma che il contenuto del sogno è il soddisfacimento di un bisogno. Tanti modi di dire sembrano alludere alla stessa cosa, per esempio: "bellissimo: un sogno", "non mi sarebbe venuto in mente neppure in sogno", "non me lo sarei immaginato neppure nei miei sogni più audaci". C'è qui una palese presa di posizione dell'uso linguistico. Ovviamente esistono anche sogni angosciosi e sogni dal contenuto penoso o indifferente, ma non hanno ispirato l'uso linguistico. Questo conosce sogni "brutti", ma il sogno puro e semplice è per esso solo il dolce appagamento di un desiderio. Né c'è alcun proverbio che ci assicuri che il porco o l'oca sognino di venir macellati.
Naturalmente sarebbe inconcepibile che il carattere di appagamento di desiderio del sogno non fosse stato notato dagli autori che si sono occupati del sogno. Ciò, al contrario, è avvenuto spesso, ma a nessuno di costoro è venuto in mente di riconoscere questo carattere come generale e di prenderlo come cardine per la spiegazione del sogno. Possiamo senz'altro immaginare - e approfondiremo anche questo punto - che cosa possa averli trattenuti.
Ma guardate ora che congerie di spiegazioni abbiamo ricavato dall'esame dei sogni infantili, e quasi senza fatica! La funzione del sogno quale custode del sonno; la sua origine da due tendenze in conflitto, una delle quali, l'esigenza di dormire, rimane costante, l'altra aspira a soddisfare uno stimolo psichico; la dimostrazione che il sogno è un atto psichico dotato di senso; i suoi due caratteri principali: appagamento di desiderio ed esperienza allucinatoria. E intanto ci siamo quasi dimenticati che ci occupiamo di psicoanalisi. A parte il fatto di riallacciarsi agli atti mancati, il nostro lavoro non ha avuto alcuna impronta specifica. Qualsiasi psicologo che non sapesse nulla delle premesse della psicoanalisi avrebbe potuto dare questa spiegazione dei sogni infantili. Perché non è stato fatto?
Se ci fossero solo sogni come quelli infantili, il problema sarebbe risolto, il nostro compito esaurito, e tutto ciò senza interrogare il sognatore, senza tirare in campo l'inconscio e senza ricorrere all'associazione libera. Ebbene, è qui che sta evidentemente il proseguimento del nostro compito. Abbiamo già ripetutamente sperimentato che certi caratteri, dati per universalmente validi, si sono poi confermati tali solo per un certo genere e numero di sogni. Si tratta quindi ora di vedere se i caratteri generali dedotti dai sogni infantili siano costanti, se valgano anche per quei sogni che non sono trasparenti, il cui contenuto manifesto non lascia intravedere alcun rapporto con un desiderio che risale al giorno prima. La nostra idea è che questi altri sogni abbiano subìto un'ampia deformazione e che perciò non possano essere valutati di primo acchito. Abbiamo anche il sospetto che per spiegare questa deformazione dovremo far ricorso alla tecnica psicoanalitica, di cui potremmo fare a meno ai fini della comprensione testé raggiunta dei sogni infantili.
C'è, in ogni caso, un'altra categoria di sogni che non sono deformati e che come i sogni infantili si lasciano riconoscere facilmente come appagamenti di desideri. Sono quelli che vengono provocati durante tutta la vita dai bisogni imperativi del corpo- la fame, la sete, il bisogno sessuale, - che sono quindi appagamenti di desideri, in quanto reazioni a stimoli interni del corpo. Ho annotato, ad esempio, un sogno di una bambina di 19 mesi, il quale consisteva in un menu con l'aggiunta del proprio nome (ANNA F..., F.AGOLE, F.AGOLONI, F.ITTATA, PAPPA), come reazione a un giorno di digiuno a causa di una indigestione, indisposizione che era stata fatta risalire proprio al frutto che compare due volte nel sogno. Contemporaneamente anche la nonna, la cui età sommata a quella della nipotina toccava giusto i settanta, dovette digiunare per un giorno a causa dell'irrequietezza del suo rene mobile e nella stessa notte sognò di essere "invitata" e di vedersi presentare i migliori manicaretti.
Osservazioni sui prigionieri cui viene fatta soffrire la fame e su persone che devono sopportare privazioni durante viaggi e spedizioni insegnano che in tali condizioni si sogna regolarmente il soddisfacimento di questi bisogni. Così Otto Nordenskjold riferisce sull'equipaggio che svernò con lui (2): "I nostri sogni, che mai furono più vividi e più numerosi di allora, erano molto significativi dal punto di vista del corso dei nostri pensieri più intimi. Persino certi nostri compagni che sognavano solo eccezionalmente, avevano ora lunghe storie da raccontare, quando al mattino ci scambiavamo le nostre esperienze di quel mondo fantastico. Si riferivano tutte al mondo esterno, lontanissimo da noi ma spesso adattato alla nostra situazione di quel momento (...) Del resto, mangiare e bere erano i punti centrali intorno ai quali più frequentemente giravano i nostri sogni. Uno di noi, che si era specializzato nell'arte di partecipare durante la notte a grandi banchetti, era felice quando poteva raccontare al mattino d'aver consumato un pranzo di tre portate, un altro sognava tabacco, intere montagne di tabacco; altri ancora la nave che avanzava a vele spiegate verso di noi sul mare aperto. Da ricordare anche questo sogno: il postino arriva con la posta e spiega a lungo la ragione del ritardo: ha sbagliato nel consegnarla e solo con molta fatica è riuscito a riaverla.
Beninteso nei sogni ci occupavamo di cose anche più impossibili, ma in quasi tutti, sia miei che degli altri, ciò che colpiva era la mancanza di fantasia. Annotati, questi sogni sarebbero sicuramente di grande interesse psicologico. Si capirà facilmente quanto desiderassimo il sonno, dal momento che esso era in grado di appagare tutto ciò che ciascuno di noi desiderava più ardentemente". Cito ancora da Du Prel: "Durante un viaggio in Africa, Mungo Park, quasi morto di sete, sognava continuamente le valli e i prati irrigui della sua patria. Così Trenck, rinchiuso nella specola di Magdeburgo, tormentato dalla fame si vedeva circondato da piatti prelibati, e George Back, uno dei partecipanti alla prima spedizione di Franklin, prossimo a morir di fame per le terribili privazioni subìte, sognava sempre e regolarmente pasti abbondanti".
Chi, consumando a cena cibi piccanti, si fa venir sete la notte, sogna poi spesso di bere. Naturalmente è impossibile eliminare mediante il sogno un bisogno piuttosto forte di mangiare o di bere; da tali sogni ci si sveglia assetati e si deve bere veramente. In questo caso la prestazione del sogno è irrilevante dal punto di vista pratico; non è tuttavia meno chiaro che fu fatto ricorso a essa allo scopo di preservare il sonno dallo stimolo che spinge al risveglio e all'azione. Quando l'intensità di questi bisogni è minore, i sogni di soddisfacimento aiutano spesso a vincerli.
Analogamente, sotto l'influsso degli stimoli sessuali il sogno procura soddisfacimenti che presentano però particolarità degne di menzione. Poiché la pulsione sessuale ha la proprietà di dipendere dal suo oggetto di un grado in meno rispetto alla fame e alla sete, nel sogno di polluzione il soddisfacimento può essere reale e - in conseguenza di certe difficoltà, di cui faremo menzione più tardi, nel rapporto con l'oggetto - avviene particolarmente spesso che il soddisfacimento reale si associ nondimeno a un contenuto onirico indistinto o deformato. Questa peculiarità dei sogni di polluzione ne fa, come ha notato Otto Rank, oggetti propizi allo studio della deformazione onirica. D'altronde, tutti i sogni di adulti provocati da bisogni sono soliti contenere, oltre al soddisfacimento, anche qualcos'altro, che scaturisce da fonti di stimolazione puramente psichiche e che, per essere compreso, richiede l'interpretazione.
Non vogliamo del resto affermare che i sogni di appagamento di desiderio degli adulti, foggiati secondo il modulo infantile, si presentano solo come reazioni ai suddetti bisogni imperativi.
Conosciamo parimenti sogni brevi e chiari di questo tipo, sorti sotto l'influsso di certe situazioni dominanti, che muovono indubbiamente da fonti di stimolazione psichiche. Così, ad esempio, i sogni di impazienza, quando qualcuno ha fatto i preparativi per un viaggio, per uno spettacolo per lui importante, per una conferenza, per una visita e ora sogna in anticipo l'adempimento della sua aspettativa, si vede la notte prima dell'avvenimento giunto alla meta, a teatro, in conversazione con la persona che deve andare a trovare. Oppure i sogni chiamati, a ragione, "di comodità", quando qualcuno che ama prolungare il sonno sogna che si è già alzato, che si lava o che si trova a scuola, mentre in realtà continua a dormire e quindi preferisce alzarsi in sogno invece che davvero. Il desiderio di dormire, di cui abbiamo riconosciuto l'invariabile concorso nella formazione del sogno, diventa palese in questi sogni e se ne mostra l'autore essenziale. Il bisogno di dormire si affianca a buon diritto agli altri grandi bisogni corporei.
Vi mostro qui, nella riproduzione di un quadro di Schwind che si trova nella galleria Schack di Monaco, con quale esattezza il pittore abbia colto il sorgere di un sogno da una situazione dominante. E' il "Sogno di un prigioniero", il quale non può avere per contenuto nient'altro che la sua liberazione. Un tratto felice mostra che la fuga è sognata attraverso la finestra, perché attraverso la finestra è penetrato lo stimolo luminoso che mette fine al sonno del prigioniero. Gli gnomi l'uno sopra l'altro rappresentano senza dubbio le successive posizioni che egli stesso dovrebbe assumere nell'arrampicarsi all'altezza della finestra, e, se non erro, se non attribuisco con ciò all'artista troppa intenzionalità, lo gnomo che sta più in alto, quello che sega l'inferriata - ossia fa ciò che il prigioniero stesso vorrebbe fare - ha la stessa fisionomia di quest'ultimo .
In tutti gli altri sogni, eccettuati quelli dei bambini e quelli di tipo infantile, l'ostacolo della deformazione onirica, come abbiamo detto, ci intralcia il cammino. A tutta prima non possiamo dire se siano anch'essi come supponiamo, appagamenti di desideri; dal loro contenuto manifesto non indoviniamo a quale stimolo psichico debbano la loro origine e non possiamo dimostrare che anch'essi si adoperano per scacciare o liquidare questo stimolo.
Essi vanno interpretati (cioè tradotti), la loro deformazione va fatta recedere e il loro contenuto manifesto va sostituito con quello latente: solo in seguito a ciò potremo formarci un giudizio se ciò che abbiamo scoperto a proposito dei sogni infantili possa pretendere di esser considerato valido per tutti i sogni.
NOTE:
Lezione 9 - LA CENSURA ONIRICA
Signore e Signori, dallo studio dei sogni infantili abbiamo ricavato la conoscenza dell'origine, della natura e della funzione del sogno. I SOGNI SONO ELIMINAZIONI, MEDIANTE SODDISFACIMENTO ALLUCINATORIO, DI STIMOLI (PSICHICI) CHE DISTURBANO IL SONNO. Dei sogni degli adulti, a dire il vero, abbiamo potuto spiegarne solo un gruppo, quelli che abbiamo designato come sogni di tipo infantile. Come stiano le cose con gli altri, non lo sappiamo ancora, ma è un fatto che non li comprendiamo. Tuttavia abbiamo ottenuto provvisoriamente un risultato di cui non sottovaluteremo l'importanza: ogniqualvolta un sogno ci è pienamente comprensibile, esso si rivela l'appagamento allucinatorio di un desiderio. Questa coincidenza non può essere né casuale né priva d'importanza.
Circa i sogni di altro genere, abbiamo supposto, sulla base di varie considerazioni e in analogia con la concezione degli atti mancati, che essi siano un sostituto deformato di un contenuto ignoto e che debbano prima venir ricondotti a questo contenuto.
L'esame, la comprensione di questa DEFORMAZIONE ONIRICA è dunque il nostro prossimo compito.
La deformazione onirica è ciò che ci fa apparire il sogno strano e incomprensibile. Di essa vogliamo sapere parecchie cose: primo, da dove provenga (la sua dinamica); secondo, che cosa faccia; e infine come lo faccia. Possiamo anche dire che la deformazione onirica è l'opera del lavoro onirico. Descriveremo il lavoro onirico e lo ricondurremo alle forze in esso operanti.
E ora ascoltate il seguente sogno. E' stato segnalato da una signora del nostro gruppo (1) e proviene, a quanto essa ci informa, da una signora piuttosto anziana, molto colta e stimata.
Un'analisi di questo sogno non è stata intrapresa. La nostra informatrice osserva che per uno psicoanalista esso non abbisogna di alcuna interpretazione. Nemmeno la sognatrice stessa l'ha interpretato, ma lo ha valutato e condannato come se sapesse interpretarlo. Essa infatti osservò in proposito: "E questa orribile, stupida roba la sogna una donna di cinquant'anni, che non ha altro in mente giorno e notte che la preoccupazione per suo figlio!".
Ecco ora il sogno dei "servizi d'amore". "La signora si reca all'Ospedale di guarnigione Numero 1 e dice alla sentinella al cancello di dover parlare con il medico primario... (dice un nome a lei sconosciuto) perché intende prestar servizio all'ospedale.
Così dicendo, pone l'accento sulla parola 'servizio' in modo tale che il sottufficiale capisce subito che sono 'servizi d'amore'.
Trattandosi di una signora anziana, dopo qualche esitazione la fa passare. Ma, anziché raggiungere il medico primario, essa arriva in un grande, tetro stanzone nel quale si trovano in piedi o seduti intorno a un lungo tavolo molti ufficiali e medici militari. Rivolge la sua offerta a un capitano medico che la capisce a volo. Essa dice testualmente: 'Io e numerose signore e giovani ragazze di Vienna siamo pronte a offrire ai soldati, non importa se della truppa o ufficiali...'. A questo punto nel sogno segue un borbottio. Ma l'espressione del volto degli ufficiali, in parte imbarazzati, in parte beffardi, le dimostra che il borbottio è stato ben compreso da tutti gli astanti. La signora continua:
'So che la nostra decisione può sembrare strana, ma è molto seria.
Anche al soldato al fronte non si chiede se vuole o non vuole morire'. Segue un lungo, penoso silenzio. Il capitano medico le cinge la vita col braccio e dice: 'Gentile signora, supponga che si arrivi effettivamente a questo...' (borbottio). Essa si svincola dal suo braccio, pensando: 'Sono proprio tutti uguali', e risponde: 'Mio Dio, sono una donna anziana e forse non mi troverò mai in una situazione del genere. Del resto bisognerebbe rispettare una condizione: l'età, in modo che una donna attempata e un ragazzo giovanissimo non... (borbottio). Sarebbe spaventoso'.
Il capitano medico: 'Capisco perfettamente'. Alcuni ufficiali, tra i quali uno che da giovane le ha fatto la corte, scoppiano a ridere e la signora esprime il desiderio di essere condotta dal medico primario che conosce, per mettere ogni cosa in chiaro. Con enorme costernazione, si accorge di non conoscerne il nome.
Ciononostante il capitano medico, molto gentile, le indica una strettissima scala a chiocciola, di ferro, che dallo stanzone porta direttamente ai piani superiori. Salendo, ode le parole di un ufficiale: 'E' una decisione formidabile, giovane o vecchia che sia; i miei rispetti!'. Certa di fare semplicemente il suo dovere, essa sale un'interminabile scala.
Nel giro di poche settimane, il sogno si ripete altre due volte, con variazioni, come rileva la signora, del tutto insignificanti e assurde".
Nel suo svolgimento il sogno corrisponde a una fantasia diurna: ha solo poche interruzioni, e alcuni dettagli del suo contenuto avrebbero potuto essere chiariti richiedendo delucidazioni, cosa che, come sapete, non è stata fatta. Quello che ci colpisce e ci interessa è però che il sogno presenta parecchie lacune, lacune non del ricordo ma del contenuto. In tre punti il contenuto è come cancellato; i discorsi in cui si presentano queste lacune vengono interrotti da un borbottio. Non avendo noi effettuato alcuna analisi di questo sogno, non abbiamo, a rigore, nemmeno il diritto di dire qualcosa circa il suo senso. Ci sono tuttavia allusioni dalle quali qualcosa si può dedurre - per esempio, nella parola "servizi d'amore" - e, soprattutto, i brani dei discorsi che precedono immediatamente i borbottii obbligano a colmare le lacune in modi che non possono riuscire che univoci. Se colmiamo le lacune, ne risulta una fantasia avente come contenuto che la sognatrice è pronta, nell'adempimento di un dovere patriottico, a mettere a disposizione la sua persona per il soddisfacimento dei bisogni amorosi dell'esercito, ufficiali e truppa. Questo è certo estremamente sconveniente, un campione di fantasia sfacciatamente libidinosa, ma... nel sogno ciò non compare affatto. Proprio là dove il contesto esigerebbe questa ammissione, nel sogno manifesto si trova un borbottio indistinto: qualcosa è andato perduto o è stato soppresso.
Spero che riconosciate come cosa ovvia che il motivo della soppressione di questi punti è stato proprio il loro carattere sconveniente. Ma dove trovare un'analogia con questo fatto? Di questi tempi non occorre cercare lontano. Prendete in mano un qualsiasi giornale politico e troverete che di tanto in tanto il testo è stato tralasciato e al suo posto spicca il candore della carta. Si tratta, come sapete, dell'opera della censura sulla stampa. In questi punti rimasti vuoti c'era qualcosa che era sgradito alle alte autorità censorie e che perciò è stato eliminato. "Peccato, - pensate, - sarà stato certo il punto più interessante, il pezzo migliore".
Altre volte la censura non è intervenuta su una proposizione compiuta. L'autore ha previsto in quali punti ci si dovesse aspettare una contestazione della censura e li ha quindi preventivamente mitigati, leggermente modificati, oppure si è accontentato di approssimazioni e allusioni a ciò che in effetti voleva uscirgli dalla penna. Il foglio non ha allora alcun punto vuoto, tuttavia potrete indovinare da certe circonlocuzioni e oscurità di espressione il riguardo preventivo usato verso la censura.
Ebbene, teniamo fermo questo parallelo. Noi diciamo che anche i discorsi omessi nel sogno, coperti da un borbottio, sono stati sacrificati alla censura. Parliamo direttamente di una CENSURA ONIRICA, cui bisogna assegnare una certa partecipazione alla deformazione del sogno. Ovunque ci sono lacune nel sogno manifesto, la censura onirica ne è responsabile. Dovremmo andare ancora oltre e ravvisare sempre una manifestazione della censura laddove un elemento onirico viene ricordato inmodo particolarmente debole, indeterminato e dubbio, tra altri più chiaramente strutturati. Solo raramente però questa censura si manifesta in modo così palese, così ingenuo vorremmo dire, come nell'esempio del sogno dei "servizi d'amore". Molto più spesso la censura si fa valere nella sua seconda forma, provocando smorzamenti, approssimazioni, allusioni, in luogo del materiale autentico.
Per quanto riguarda un terzo modo di operare della censura onirica non saprei trovare alcun parallelo tratto dal funzionamento della censura sulla stampa; ma sono in grado di dimostrarlo proprio a partire dall'unico esempio di sogno finora analizzato. Ricorderete il sogno dei "tre brutti biglietti teatrali per 1 fiorino e 50 centesimi". In primo piano nei pensieri latenti di questo sogno stava l'elemento "precipitosamente, troppo presto". Significava: è stato assurdo sposarsi tanto presto; è stato assurdo anche procurarsi i biglietti per il teatro tanto presto; è stato ridicolo da parte della cognata spendere il suo denaro così in fretta per comprarsi un gioiello. Nulla di questo elemento centrale dei pensieri onirici è passato nel sogno manifesto nel quale la posizione centrale è stata assunta dall"'andare a teatro" e dal "prendere i biglietti". Mediante questo spostamento d'accento, questa ristrutturazione degli elementi del contenuto, il sogno manifesto diventa talmente dissimile dai pensieri onirici latenti, che nessuno sospetterebbe la presenza di questi ultimi dietro al primo. Questo spostamento di accento è uno dei principali mezzi della deformazione onirica e conferisce al sogno quel carattere di stranezza a causa del quale il sognatore non vorrebbe riconoscerlo come propria produzione.
Omissione, modificazione, ristrutturazione del materiale sono quindi gli effetti della censura onirica e i mezzi della deformazione onirica. La censura onirica stessa è la causa prima, o una delle cause principali della deformazione onirica, del cui esame ci stiamo ora occupando. Modificazione e riordinamento siamo abituati anche a sussumerli nel termine "spostamento".
Dopo queste osservazioni sugli effetti della censura onirica, rivolgiamoci ora alla sua dinamica. Spero che non assumerete questo termine con un significato troppo antropomorfico e non vi figurerete il censore dei sogni come un piccolo ometto rigoroso o uno spirito che abita in uno stanzino del cervello e da lì esercita le sue funzioni; ma nemmeno in forma troppo localizzante, pensando a un "centro del cervello" dal quale promani questo influsso censorio, il quale verrebbe meno con il danneggiamento o l'allontanamento di questo centro. Per il momento la censura onirica non è niente di più di un termine che ben si presta a designare una relazione dinamica. Questo vocabolo non ci impedisce di chiedere da e contro quali tendenze questo influsso venga esplicato. E non saremo sorpresi di apprendere che ci siamo imbattuti già una volta in precedenza nella censura onirica, forse senza riconoscerla.
Così è stato in effetti. Ricorderete che facemmo un'esperienza sorprendente quando cominciammo ad applicare la nostra tecnica dell'associazione libera. Ci fu dato allora di accorgerci che una RESISTENZA si opponeva ai nostri sforzi di pervenire all'elemento inconscio a partire dall'elemento onirico che ne è il sostituto.
Questa resistenza, dicemmo, può essere di grandezza variabile, una volta enorme, un'altra assolutamente irrilevante. In quest'ultimo caso, per il nostro lavoro d'interpretazione, dobbiamo passare soltanto per pochi anelli intermedi; quando invece la resistenza è grande, dobbiamo percorrere lunghe catene associative a partire dall'elemento onirico, siamo sospinti lungi da esso e dobbiamo superare lungo il cammino tutte le difficoltà che si presentano in forma di obiezioni critiche contro l'idea che ci è venuta in mente. Ciò che durante il lavoro d'interpretazione ci si para innanzi in forma di resistenza, dobbiamo ora farlo rientrare nel lavoro onirico come censura del sogno. La resistenza all'interpretazione è soltanto l'oggettivazione della censura onirica. Essa ci dimostra anche che la forza della censura non si è esaurita nel produrre la deformazione del sogno e non è estinta da quel momento, ma che questa censura sussiste come istituzione permanente con l'intento di mantenere la deformazione. Del resto, come durante l'interpretazione la resistenza variava di intensità per ogni elemento, così anche la deformazione prodotta dalla censura riesce di grandezza diversa per ogni elemento nello stesso sogno. Se si confrontano sogno manifesto e sogno latente, si vede che alcuni elementi latenti sono stati completamente eliminati, altri più o meno modificati, altri ancora sono stati accolti nel contenuto onirico manifesto immutati, forse addirittura rafforzati.
Noi volevamo però esaminare da quali e contro quali tendenze sia esercitata la censura. E' questo un interrogativo fondamentale per la comprensione del sogno, forse addirittura per la vita umana, ed è facile rispondere se passiamo in rassegna i sogni che siamo riusciti a interpretare. Le tendenze che esercitano la censura sono quelle che vengono riconosciute dal giudizio vigile del sognatore, e con le quali egli si sente solidale. Quando respingete un'interpretazione correttamente eseguita di un vostro sogno, lo fate, siatene certi, per gli stessi motivi per i quali fu esercitata la censura, fu prodotta la deformazione del sogno e fu resa necessaria l'interpretazione. Pensate al sogno della nostra signora cinquantenne. Senza averlo analizzato, essa trovò orribile il suo sogno e ne sarebbe stata ancora più indignata se la dottoressa von Hug-Hellmuth le avesse comunicato qualcosa della sua inequivocabile interpretazione; ebbene, proprio a causa di questa condanna, nel suo sogno i punti più scabrosi sono stati sostituiti da un borbottio.
Le tendenze contro le quali si rivolge la censura onirica devono essere descritte innanzitutto dal punto di vista di questa stessa istanza. In tal caso si può dire soltanto che esse sono di natura assolutamente riprovevole, sconvenienti sotto il profilo etico, estetico, sociale, cose alle quali non si osa pensare o si pensa solo con ribrezzo. Questi desideri censurati giunti nel sogno a un'espressione deformata sono prima di tutto manifestazioni di un egoismo senza limiti e senza scrupoli. E, per la verità, il proprio Io compare in ogni sogno e in ogni sogno recita la parte del protagonista, anche se sa nascondersi bene per il contenuto manifesto. Questo "sacro egoismo'' [in italiano nel testo] del sogno non è certamente privo di connessione con l'atteggiamento che si assume per dormire, il quale consiste precisamente nel ritiro dell'interesse da tutto quanto il mondo esterno.
L'Io, sbarazzato da tutti i vincoli etici, si sente anche solidale con tutte le pretese del desiderio sessuale, pretese che da lungo tempo sono state condannate dalla nostra educazione estetica e che contrastano con tutte le esigenze restrittive della morale. La tendenza al piacere - la libido, come noi diciamo - sceglie i suoi oggetti senza inibizioni, e di preferenza proprio quelli proibiti.
Non solo la donna altrui, ma soprattutto oggetti incestuosi, consacrati dalla convenzione umana, la madre e la sorella per l'uomo, il padre e il fratello per la donna. (Anche il sogno della nostra signora cinquantenne è un sogno incestuoso, la sua libido è inconfondibilmente rivolta verso il figlio). Appetiti che crediamo estranei alla natura umana si mostrano abbastanza forti da suscitare sogni. Anche l'odio si sfoga illimitatamente. Desideri di vendetta e di morte nei riguardi delle persone più prossime, più care nella vita, i genitori, i fratelli e le sorelle, il coniuge, i propri figli, non sono affatto insoliti. Questi desideri censurati sembrano salire da un vero e proprio inferno; da svegli, dopo l'interpretazione, nessuna censura contro di essi ci sembra abbastanza severa.
Per questo brutto contenuto non dovete tuttavia rivolgere alcun rimprovero al sogno in quanto tale. Non dimenticate che esso ha l'innocua, anzi utile funzione di preservare il sonno da perturbazioni. Tale malvagità non è insita nella natura del sogno.
Voi sapete, anzi, che ci sono sogni che si lasciano riconoscere come il soddisfacimento di desideri giustificati e di impellenti bisogni fisici. Questi sogni, a dire il vero, non presentano alcuna deformazione: del resto non ne hanno bisogno, possono assolvere la loro funzione senza offendere le tendenze etiche ed estetiche dell'Io. Tenete presente inoltre che la deformazione del sogno si sviluppa in proporzione diretta con due fattori: da una parte essa diventa tanto più grande quanto più malvagio è il desiderio da censurare, ma dall'altra, anche quanto più severe si presentano le esigenze della censura in quel determinato momento.
Una giovinetta ritrosa, educata severamente, deformerà perciò con inesorabile censura impulsi onirici che noi medici, per esempio, dovremmo riconoscere come innocui e ammissibili desideri libidici che la sognatrice stessa giudicherà tali un decennio più tardi.
Resta da dire che siamo ancora ben lontani dal poterci scandalizzare per questo risultato del nostro lavoro interpretativo. E' un risultato che non comprendiamo ancora bene, credo; ma prima di tutto abbiamo l'obbligo di difenderlo da certe calunnie per le quali è fin troppo facile trovare un appiglio. Le nostre interpretazioni di sogni sono condotte sulla base delle premesse che abbiamo stabilito in precedenza: che il sogno in generale abbia un senso, che sia lecito trasporre dal sonno ipnotico a quello normale l'esistenza di processi psichici inconsci in un determinato momento, e che tutte le associazioni siano determinate. Se, sulla base di queste premesse, fossimo giunti a risultati plausibili nell'interpretazione dei sogni, avremmo concluso a ragione che tali premesse erano esatte. Ma se questi risultati appaiono così come li ho appena descritti? In questo caso viene spontaneo dire che si tratta di risultati impossibili, assurdi, perlomeno molto inverosimili, e che quindi qualcosa era sbagliato nelle premesse. O il sogno non è un fenomeno psichico, oppure non c'è nulla di inconscio nello stato normale, oppure la nostra tecnica ha una falla in qualche punto.
Non è forse più facile e soddisfacente ammettere questo piuttosto che tutti gli orrori che presumiamo di avere scoperto in base alle nostre premesse?
Certamente! Più facile e anche più soddisfacente, ma non per questo necessariamente più esatto. Diamoci tempo, la cosa non è ancora matura per un giudizio. Innanzitutto possiamo rafforzare ancora la critica contro le nostre interpretazioni di sogni. Il fatto che i loro risultati siano così spiacevoli e disgustosi potrebbe non avere tanto peso. Un argomento più forte è che i sognatori ai quali, in base all'interpretazione dei loro sogni, attribuiamo tali propensioni, le respingono da sé nel modo più energico e con buone ragioni. "Come? - dice uno. - Vuole dimostrarmi in base al sogno che mi dispiace per le somme che ho speso per la dote di mia sorella e l'educazione di mio fratello?
Ma questo davvero non può essere; lavoro solo per i miei fratelli, non ho altro interesse nella vita che adempiere ai miei doveri verso di essi, come, essendo il maggiore, ho promesso alla nostra povera mamma". Oppure dice una sognatrice: "Io dovrei augurare la morte a mio marito? Ma è un assurdità rivoltante! Non solo abbiamo una vita coniugale felicissima - in questo Lei probabilmente non mi crederà - ma la sua morte mi farebbe perdere anche tutto ciò che possiedo al mondo". Oppure un altro ci ribatte: "Io dovrei rivolgere su mia sorella desideri sensuali? Questo è ridicolo; non m'importa nulla di lei; siamo in cattivi rapporti e da anni non scambio più una parola con lei". Forse, se questi sognatori non confermassero né smentissero le tendenze a essi attribuite con l'interpretazione, prenderemmo ancora la faccenda alla leggera; potremmo dire che si tratta di cose che appunto essi non sanno di se stessi. Se essi però avvertono in sé l'esatto contrario del desiderio interpretato e ci possono dimostrare con la loro condotta la predominanza di questo contrario, questo è un fatto che alla fin fine deve pur renderci perplessi. Non sarebbe tempo ormai di gettar da parte l'intero lavoro di interpretazione dei sogni come qualcosa che è portato "ad absurdum" dai suoi stessi risultati?
No, non ancora. Anche questo più solido argomento crolla, se lo affrontiamo criticamente. Ammesso che esistano nella vita psichica tendenze inconsce, il fatto che nella vita cosciente possa essere dimostrato il predominio delle tendenze a esse opposte non ha alcuna forza probante. Forse nella vita psichica c'è posto anche per tendenze antitetiche, per contraddizioni che coesistono l'una accanto all'altra; anzi, proprio la predominanza di un impulso è presumibilmente una condizione perché il suo contrario permanga inconscio. Le obiezioni, quindi, restano quelle sollevate all'inizio: che i risultati dell'interpretazione del sogno non sono semplici e che sono molto sgradevoli. Alla prima si deve replicare che, con tutto il vostro entusiasmo per la semplicità, non siete in grado di risolvere uno solo dei problemi del sogno; in questo campo dovete acconciarvi sin d'ora ad ammettere situazioni più complicate. Quanto alla seconda, vi dirò che avete palesemente torto a servirvi di una simpatia o di una repulsione come motivo per un giudizio scientifico. Che importa se i risultati dell'interpretazione dei sogni vi appaiono sgradevoli, o addirittura vergognosi e ripugnanti? "ça n'empêche pas d'exister" [Questo non impedisce loro di esistere], ho sentito dire in un caso analogo, quand'ero un giovane medico, dal mio maestro Charcot. Occorre essere umili, mettere bellamente da parte le proprie simpatie e antipatie, se si vuole apprendere che cosa è reale in questo mondo. Se un fisico potesse dimostrarvi che entro breve termine la vita organica di questa terra è destinata a finire per totale assideramento, osereste forse replicare anche a lui: "Ciò non può essere, questa prospettiva è troppo sgradevole?". Penso che stareste zitti in attesa che un altro fisico segnalasse al primo un errore nelle sue premesse o nei suoi calcoli. Se respingete ciò che vi è sgradito, non fate altro che RIPETERE il meccanismo della formazione del sogno invece di comprenderlo e di superarlo.
Può darsi che ora promettiate di prescindere dal carattere repellente dei desideri onirici censurati e ripieghiate sull'argomento che in fin dei conti è inverosimile che al male vada attribuita una parte così grande nella costituzione dell'uomo. Ma le vostre esperienze personali vi autorizzano davvero a parlare così? Non mi riferisco a come voi possiate apparire a voi stessi, ma avete trovato davvero tanta benevolenza nei vostri superiori e concorrenti, tanta cavalleria nei vostri nemici e così scarsa invidia nella società di cui fate parte, da sentirvi obbligati a pronunciarvi contro la componente egoistica e malvagia della natura umana? Non vi è noto quanto l'uomo medio sia incapace di dominarsi e indegno di affidamento in tutte le faccende della vita sessuale? O forse non sapete che tutte le soverchierie e le trasgressioni di cui sogniamo durante la notte vengono compiute davvero quotidianamente da uomini svegli in forma di delitti? Che altro fa qui la psicoanalisi se non confermare l'antico detto di Platone secondo il quale i buoni sono coloro che si accontentano di sognare ciò che gli altri, i cattivi, fanno realmente?
E ora, prescindendo dagli aspetti individuali, volgete lo sguardo alla grande guerra che continua a devastare l'Europa; pensate all'eccesso di brutalità, di crudeltà e di falsità che dilaga attualmente nel mondo civile. Credete veramente che un pugno di arrivisti e di corruttori senza coscienza sarebbe riuscito a scatenare tutti questi spiriti maligni, se milioni di uomini al loro seguito non avessero anch'essi la loro parte di colpa? Osate anche in queste circostanze spezzare una lancia in favore dell'esclusione del male dalla costituzione psichica dell'uomo?
Replicherete che giudico la guerra unilateralmente; che essa ha messo in luce anche la parte più bella e più nobile degli uomini, il loro eroismo, il sacrificio di sé, il loro senso sociale.
Questo è vero; tuttavia non rendetevi qui complici dell'ingiustizia che si è commessa così spesso nei riguardi della psicoanalisi, rimproverandole di rinnegare una cosa perché ne afferma un'altra. Non è nostra intenzione misconoscere le nobili aspirazioni della natura umana, né abbiamo mai fatto alcunché per diminuirne il valore. Al contrario; io non vi mostro soltanto i desideri cattivi censurati nel sogno, ma anche la censura che li reprime e li rende irriconoscibili. Ci soffermiamo con maggior insistenza sulla malvagità dell'uomo solo perché gli altri non vogliono ammetterla, con il risultato non di rendere migliore la psiche umana, ma di renderla incomprensibile. Se rinunceremo alla valutazione unilateralmente etica, potremo certamente trovare una formula più corretta per quanto riguarda il rapporto tra il bene e il male nella natura umana.
Dunque, siamo intesi. Non occorre che rinunciamo ai risultati del nostro lavoro sull'interpretazione del sogno, anche se ci tocca trovarli strani. Forse possiamo avvicinarci più tardi, per un'altra via, alla loro comprensione. Per il momento atteniamoci a questo: la deformazione onirica è una conseguenza della censura, la quale viene esercitata da tendenze di cui l'Io si assume la paternità contro moti di desiderio in qualche modo sconvenienti che si agitano in noi nottetempo, durante il sonno. Perché proprio nottetempo e donde traggano origine questi desideri riprovevoli sono ovviamente questioni ancora aperte e suscettibili di molti approfondimenti.
Sarebbe però sbagliato se trascurassimo di mettere debitamente in rilievo un altro risultato delle nostre indagini. I desideri onirici che vogliono disturbarci nel sonno ci sono sconosciuti; infatti ne abbiamo cognizione solo attraverso l'interpretazione dei sogni. Essi devono quindi venir definiti come inconsci in un certo momento, nel senso discusso. Dobbiamo però dirci che essi sono inconsci anche più che in quel determinato momento. Il sognatore infatti, come abbiamo visto in tanti casi, li rinnega anche dopo che ne è venuto a conoscenza attraverso l'interpretazione del sogno. Si ripete quindi il caso in cui ci siamo imbattuti per la prima volta interpretando il lapsus verbale "ruttare", quando l'autore del brindisi assicurò indignato che né allora né mai prima di allora aveva avuto coscienza di un impulso irriverente contro il proprio capo. Già allora avevamo dubitato del valore di questa asserzione e l'avevamo sostituita con la supposizione che l'oratore non sapesse e non avesse mai saputo nulla di tale impulso presente in lui. Questo fatto si ripete ora ogni volta quando interpretiamo un sogno fortemente deformato, e acquista pertanto un significato maggiore ai fini della nostra concezione. Siamo ora pronti ad ammettere che nella vita psichica esistono processi e tendenze di cui il soggetto non sa assolutamente nulla, non sa nulla da lungo tempo, forse addirittura non ha mai saputo nulla. Con ciò l'inconscio acquista per noi un nuovo senso: il "determinato momento" e il "temporaneamente" scompaiono dalla sua essenza; il suo significato può essere: "PERMANENTEMENTE inconscio", e non solo: "latente in un determinato momento". Su questo com'è ovvio, dovremo tornare in seguito.
NOTE:
Lezione 10 - IL SIMBOLISMO NEL SOGNO
Signore e Signori, abbiamo scoperto che la deformazione onirica, che ci ostacola nella comprensione del sogno, è il risultato di un'attività censoria che si rivolge contro gli impulsi di desiderio inconsci e inaccettabili. Naturalmente però non abbiamo affermato che la censura è l'unica responsabile della deformazione onirica; e in effetti, con lo studio ulteriore del sogno, è possibile scoprire anche altri fattori che vi sono implicati. Vale a dire che se anche la censura onirica venisse esclusa non saremmo ugualmente in grado di comprendere i sogni, il sogno manifesto non sarebbe ancora identico ai pensieri onirici latenti.
Questo altro fattore che rende impenetrabile il sogno, questo nuovo contributo alla deformazione onirica, noi lo scopriamo nel momento in cui ci rendiamo conto di una lacuna della nostra tecnica. Vi ho già concesso che talvolta alle persone in analisi può non venire in mente nulla in relazione ai singoli elementi del sogno. In verità, ciò non avviene così di frequente come esse affermano; in moltissimi casi, insistendo, si riesce a strappare qualche cosa. Certamente però rimangono casi in cui l'associazione non viene o, se strappata a forza, non fornisce quanto da essa ci aspettavamo. Se questa evenienza si verifica durante un trattamento psicoanalitico ad essa va attribuito un significato particolare di cui non intendo occuparmi qui. Ma il fatto è che essa si verifica anche nell'interpretazione di sogni di persone normali o di sogni nostri. Se ci si convince che in simili casi a nulla servono le pressioni, si finisce col fare la scoperta che l'indesiderato accidente si presenta sempre in relazione a determinati elementi onirici, e si comincia a riconoscere una nuova regolarità là dove in un primo tempo si credeva di assistere solo un insuccesso anomalo della tecnica.
Viene in tal modo la tentazione di interpretare questi elementi onirici "muti", di intraprenderne la traduzione con i nostri mezzi. Sta di fatto che, ogniqualvolta si osa fare questa sostituzione, si ottiene un senso soddisfacente, mentre finché non ci si decide a questo intervento, il sogno rimane senza senso e il nesso è interrotto. Col ripetersi di molti casi assolutamente simili, il nostro tentativo, dapprima timido, acquisterà la necessaria sicurezza.
Espongo tutto questo un po' schematicamente; ma ciò è pur lecito a scopi didattici, tanto più che le cose non sono falsate, ma solo semplificate .
Procedendo in questo modo si ottengono traduzioni costanti per una serie di elementi onirici, proprio come fanno i nostri popolari "libri dei sogni" per tutto ciò che sogniamo. Non dimenticate, per contro, che usando la nostra tecnica associativa, non vengono mai in luce sostituzioni costanti degli elementi onirici.
Direte subito che questa via per giungere all'interpretazione vi appare ancora più insicura e contestabile della precedente, basata sulle associazioni libere. Ma c'è qualcos'altro. Infatti, quando con l'esperienza si è raccolto un numero sufficiente di sostituzioni costanti, a un bel momento ci si accorge che in effetti avremmo dovuto ricavare questi pezzi di interpretazione del sogno dalle nostre conoscenze, e che in realtà essi potevano essere compresi senza le associazioni del sognatore. Da che cosa avremmo dovuto conoscere il loro significato, risulterà dalla seconda parte della nostra discussione.
Chiamiamo "simbolica" una simile relazione costante fra un elemento onirico e la sua traduzione, e "simbolo" del pensiero onirico inconscio l'elemento onirico stesso. Vi ricorderete che in precedenza, esaminando le relazioni esistenti tra gli elementi onirici e ciò che di "autentico" gli sta dietro, ho distinto tre di queste relazioni: quella della parte per il tutto, quella dell'allusione e quella della rappresentazione per immagini. Ve ne annunciai allora una quarta, ma non ve la nominai. Questa quarta è dunque la relazione simbolica qui introdotta. A essa si riallacciano discussioni molto interessanti, sulle quali è opportuno soffermarsi prima di esporre le nostre particolari osservazioni sul simbolismo.
Il simbolismo è forse il capitolo più singolare della teoria del sogno. Innanzitutto, essendo traduzioni immutabili, i simboli realizzano in certa misura l'ideale dell'antica interpretazione dei sogni, non meno che di quella popolare, ideale dal quale noi con la nostra tecnica ci eravamo molto allontanati. Essi ci permettono, in certe circostanze, di interpretare un sogno senza interrogare il sognatore, il quale, comunque, nulla sa dire a proposito del simbolo. Se si conoscono i simboli onirici usuali e inoltre la persona del sognatore, le circostanze nelle quali vive e le impressioni che hanno preceduto il sogno, si è spesso in condizione di interpretare senz'altro un sogno, di tradurlo per così dire a prima vista. Un simile virtuosismo lusinga l'interprete del sogno e fa impressione al sognatore; esso contrasta piacevolmente con la faticosa incombenza di interrogare il sognatore. Ma non lasciatevi sviare da ciò. Non è nostro compito produrci in virtuosismi. L'interpretazione basata sulla conoscenza dei simboli non è una tecnica che possa sostituire quella associativa o competere con essa. E' un'integrazione della tecnica associativa e solo se inserita in questa fornisce risultati apprezzabili. Per quanto riguarda invece la conoscenza della situazione psichica del sognatore, dovete considerare che non avete da interpretare solo sogni di persone a voi ben note, che di regola non conoscete gli avvenimenti diurni che hanno suscitato il sogno, e infine che le associazioni dell'analizzato vi apportano precisamente la conoscenza di ciò che si chiama la situazione psichica.
Inoltre è particolarmente notevole - anche con riferimento ad argomenti che saranno menzionati in seguito - il fatto che anche contro l'esistenza della relazione simbolica tra sogno e inconscio sono state rese esplicite le più violente resistenze. Perfino persone stimabili e intelligenti, che pure hanno percorso un lungo tratto di cammino con la psicoanalisi, giunte a questo punto hanno rifiutato di seguirci. Tanto più singolare è questo comportamento in quanto, in primo luogo, il simbolismo non è peculiare solo al sogno o caratteristico di esso e, in secondo luogo, il simbolismo che si ritrova nel sogno non è stato scoperto dalla psicoanalisi, nonostante essa vada fiera di un numero non esiguo di scoperte sorprendenti. Quale scopritore del simbolismo onirico, se proprio vogliamo a esso attribuire un inizio nei tempi moderni, va citato il filosofo K. A. Scherner (1). La psicoanalisi ha confermato le scoperte di Scherner anche se va detto che le ha modificate in modo decisivo.
Immagino che desideriate ora sentire qualcosa sulla natura del simbolismo onirico e averne alcuni esempi. Vi riferirò volentieri ciò che so, ma vi confesso che la nostra comprensione non giunge così lontano come vorremmo.
L'essenza della relazione simbolica è un paragone, ma non un paragone qualsiasi. Intuiamo che esso è soggetto a un particolare condizionamento, ma non sappiamo dire in che cosa questo consista.
Non tutto ciò cui possiamo paragonare un oggetto o un processo compare come suo simbolo nel sogno. Né il sogno, d'altra parte, simbolizza qualsiasi cosa, ma solo determinati elementi dei pensieri onirici latenti. Quindi vi sono limitazioni sotto tutti e due gli aspetti. Dobbiamo anche ammettere che attualmente il concetto di simbolo non può essere delimitato nettamente; esso si confonde con la nozione di sostituzione, di raffigurazione eccetera, e si avvicina perfino a quella di allusione. In un certo numero di simboli il paragone sotteso è evidente: accanto a questi, ce ne sono altri per i quali dobbiamo porci la domanda dove si debba cercare l'elemento comune, il "tertium comparationis" di questo presunto paragone: grazie a una riflessione più approfondita possiamo scoprirlo, oppure no, e in questo caso esso rimane davvero celato ai nostri occhi. E' inoltre strano che, se il simbolo è un paragone, quest'ultimo non si lasci svelare dall'associazione, e anche che il sognatore non conosca il paragone, che se ne serva senza averne conoscenza; anzi, ancor più, che il sognatore non abbia neppure voglia di riconoscere questo paragone dopo che gli è stato indicato. Vedete dunque che una relazione simbolica è una comparazione di tipo tutto particolare, il cui fondamento non è stato da noi ancora colto chiaramente. Ma forse, più avanti, emergerà qualche indicazione su questo elemento sconosciuto.
L'ambito delle cose che trovano rappresentazione simbolica nel sogno non è grande: il corpo umano nel suo insieme, i genitori, i figli, i fratelli, la nascita, la morte, la nudità... e ancora un'altra cosa. La figura umana nel suo insieme è oggetto di un'unica raffigurazione tipica, ossia regolare, che è la casa, come ha riconosciuto Scherner, il quale volle addirittura attribuire a questo simbolo un'importanza predominante, che invece non gli spetta. Accade nel sogno di calarsi lungo la facciata di una casa, ora provando piacere ora angoscia. Le case coi muri completamente lisci sono uomini; quelle provviste di sporgenze e davanzali, ai quali ci si può appigliare, sono donne. I genitori appaiono in sogno come IMPERATORE e IMPERATRICE, RE e REGINA, o come altre persone di riguardo; dunque, in questo caso, il sogno è pieno di devozione filiale. I sogni trattano invece con meno delicatezza i bambini e i fratelli, che vengono simbolizzati da PICCOLI ANIMALI, INSETTI. La nascita è quasi sempre rappresentata mediante una relazione con l'ACQUA: si sogna qualcuno che precipita nell'acqua oppure ne emerge, salva una persona dall'acqua o viene salvato da una persona, ossia ha con essa un rapporto materno. Il morire viene sostituito nel sogno con il PARTIRE, con l'ANDARE IN TRENO; l'essere morto, con diverse allusioni oscure, quasi timide; la nudità con ABITI e UNIFORMI.
Vedete come qui i confini tra rappresentazione simbolica e allusiva si confondano.
In confronto alla povertà di questa enumerazione non può non sorprendere il fatto che oggetti e contenuti di altro genere vengono rappresentati mediante un simbolismo straordinariamente ricco. E' questo il campo della vita sessuale, dei genitali, dei processi e dei rapporti sessuali. Nel sogno la stragrande maggioranza dei simboli è costituita da simboli sessuali. Risulta evidente qui una singolare sproporzione. I contenuti che ho indicato sono pochi, ma i simboli che li rappresentano sono straordinariamente numerosi, così che ognuna di queste cose può venire espressa da moltissimi simboli pressappoco equivalenti.
L'interpretazione darà poi risultati tali da suscitare lo scandalo generale. In contrasto con la varietà delle raffigurazioni oniriche, le interpretazioni dei simboli sono molto monotone.
Questo spiace a quanti ne vengono a conoscenza; ma che farci?
Poiché è la prima volta che in questa lezione si parla di contenuti della vita sessuale, mi sento in dovere di dirvi qualcosa a proposito del modo in cui intendo trattare questo tema.
La psicoanalisi non trova alcun motivo per dissimulare e alludere, non ritiene necessario vergognarsi perché si occupa di questa importante materia, pensa che sia corretto e decente chiamare tutto con il suo vero nome, e spera che questo sia il modo migliore per tenere lontani secondi pensieri importuni. Il fatto che si parli davanti a un pubblico composto di persone di entrambi i sessi non può cambiare nulla di quanto abbiamo detto. Come non c'è una scienza "in usum delphini", così non ce n'è una per educande, e le signore che si trovano fra voi hanno fatto capire con la loro presenza in quest'aula che vogliono essere equiparate agli uomini.
Per il genitale maschile, dunque, il sogno ha una quantità di rappresentazioni che debbono definirsi simboliche, nelle quali l'elemento comune che dà luogo al paragone è perlopiù molto evidente. Cominciamo con l'osservare che per il genitale maschile nel suo insieme è simbolicamente significativo il numero sacro.
Poi, la parte del genitale più appariscente e curiosa per entrambi i sessi, il membro virile, trova sostituzione simbolica, in primo luogo, in cose che gli sono simili nella forma, ossia lunghe ed erette, come: BASTONI, OMBRELLI, VERGHE, ALBERI e simili; inoltre, in oggetti che con ciò che raffigurano hanno in comune la proprietà di penetrare nel corpo e di ferire, ossia ARMI appuntite di ogni genere, COLTELLI, PUGNALI, LANCE, SCIABOLE; ma anche armi da fuoco: FUCILI, PISTOLE e la RIVOLTELLA, così adatta allo scopo per la sua forma. Nei sogni d'angoscia delle fanciulle, l'inseguimento da parte di un uomo che impugna un coltello o un'arma da fuoco ha un'ampia parte. E' questo il caso di simbolismo onirico forse più frequente e che ora siete in grado facilmente di tradurvi. Senz'altro comprensibile è anche la sostituzione del membro virile con oggetti dai quali scorre dell'acqua - RUBINETTI, ANNAFFIATOI, FONTANE - e altri oggetti che possono essere allungati, come LAMPADE A SALISCENDI, MATITE RIENTRABILI eccetera. Un aspetto altrettanto ovvio dell'organo è alla base del fatto che MATITE, PORTAPENNE, LIME PER UNGHIE, MARTELLI e altri strumenti sono indubbi simboli sessuali maschili.
La singolare proprietà del membro di potersi sollevare contro la forza di gravità, uno degli aspetti del fenomeno dell'erezione, porta alla rappresentazione simbolica mediante AEROSTATI, MACCHINE VOLANTI e, recentissimamente, mediante DIRIGIBILI ZEPPELIN. Il sogno però conosce un altro modo ancora, di gran lunga più espressivo, per simbolizzare l'erezione. Esso fa del membro sessuale la parte essenziale dell'intera persona che viene essa stessa fatta VOLARE. Non prendetevela se i sogni di volo, spesso così belli, che noi tutti conosciamo, devono essere interpretati come sogni di eccitazione sessuale generalizzata, come sogni di erezione. Tra gli studiosi di psicoanalisi Paul Federn ha accertato contro ogni dubbio questa interpretazione. Ma alla stessa conclusione è giunto con le sue ricerche anche Mourly Vold, tanto lodato per la sua sobrietà, il quale ha condotto gli esperimenti sul sogno di cui vi ho parlato, facendo assumere ai suoi soggetti posizioni artificiali delle braccia e delle gambe; ed egli era veramente lontano dalla psicoanalisi e forse non ne sapeva nulla. Non venitemi poi a dire che ciò non è vero dato che le donne possono avere gli stessi sogni di volo. Ricordate piuttosto che i nostri sogni vogliono essere appagamenti di desiderio, e che il desiderio di essere un uomo è presente molto spesso, in forma cosciente o inconscia, nella donna. Che alla donna sia possibile realizzare questo desiderio con le stesse sensazioni dell'uomo non può essere motivo di sconcerto per chi sa di anatomia. Anche la donna infatti possiede nei suoi genitali un piccolo membro a somiglianza di quello maschile, e questo piccolo membro, la clitoride, svolge nell'infanzia e nell'età che precede i rapporti sessuali la medesima parte del membro più grande dell'uomo.
Ai simboli sessuali maschili meno facilmente comprensibili appartengono certi RETTILI e PESCI, soprattutto il famoso simbolo del SERPENTE. Non è certo facile indovinare perché il CAPPELLO e il MANTELLO abbiano trovato lo stesso impiego, ma questo loro significato simbolico è assolutamente indubitabile. Ci si può ancora chiedere, infine, se si possa designare come simbolica la sostituzione del membro virile con un altro membro, il piede o la mano. Io credo che vi siamo costretti dal contesto e dai corrispettivi simboli femminili.
Il genitale femminile viene rappresentato simbolicamente da tutti quegli oggetti che ne condividono la proprietà di racchiudere una cavità che può accogliere in sé qualcosa, quindi con POZZI, FOSSE e CAVERNE, con RECIPIENTI e BOTTIGLIE, con SCATOLE, ASTUCCI, VALIGIE, BARATTOLI, CASSE, BORSE e così via. Anche la NAVE rientra in questa serie. Alcuni simboli, più che con il genitale della donna, hanno riferimento con il grembo materno, così ARMADI, FORNI e soprattutto la STANZA. Il simbolismo della stanza si congiunge qui con il simbolismo della casa: PORTA e PORTONE diventano a loro volta simboli dell'orifizio genitale. Tuttavia anche certi materiali sono simboli della donna: il LEGNO, la CARTA e certi oggetti che sono fatti con questi materiali, come il TAVOLO e il LIBRO. Tra gli animali vanno citati come innegabili simboli femminili almeno la CHIOCCIOLA e la CONCHIGLIA; tra le parti del corpo, la BOCCA quale sostituto dell'orifizio genitale; tra gli edifici, la CHIESA e la CAPPELLA. Non tutti i simboli, come vedete, sono ugualmente comprensibili.
Tra i genitali bisogna annoverare le mammelle che, così come gli emisferi maggiori del corpo femminile, trovano la loro rappresentazione in MELE, PESCHE, FRUTTI in genere. La peluria pubica di entrambi i sessi viene descritta dal sogno come BOSCO e CESPUGLIO. La complicata topografia delle parti genitali femminili fa comprendere perché esse vengano rappresentate molto spesso come paesaggi con rocce, boschi e acqua, mentre l'imponente meccanismo dell'apparato genitale maschile fa sì che ne diventino simboli tutte le specie di MACCHINE complicate e difficili da descrivere.
Un simbolo del genitale femminile degno di menzione è ancora lo SCRIGNO DEI GIOIELLI; GIOIA e TESORO sono designazioni della persona amata anche nel sogno; i DOLCIUMI una frequente rappresentazione del godimento sessuale. Il soddisfacimento ottenuto sul proprio genitale viene accennato mediante ogni specie di attività musicale, anche col SUONARE IL PIANOFORTE.
Rappresentazioni simboliche per eccellenza dell'onanismo sono lo SCIVOLARE e lo SDRUCCIOLARE, come pure lo STRAPPARE UN RAMO. Un simbolo onirico particolarmente degno di nota è la CADUTA o l'ESTRAZIONE DI DENTI. Certamente esso significa innanzitutto l'evirazione, quale punizione per l'onanismo. Meno numerose di quanto ci si potrebbe aspettare dopo quanto vi ho finora comunicato sono nel sogno le raffigurazioni specifiche del rapporto fra i sessi. Vanno menzionate qui attività ritmiche come il BALLARE, il CAVALCARE e il SALIRE, e anche esperienze violente, come l'ESSERE INVESTITI. Inoltre certi mestieri manuali e, naturalmente, la MINACCIA A MANO ARMATA.
Non dovete immaginarvi l'impiego e la traduzione di questi simboli come qualcosa di semplice e lineare. Avvengono a questo proposito ogni sorta di cose che contraddicono le nostre aspettative. Così, ad esempio, sembra quasi incredibile che spesso in queste rappresentazioni simboliche le differenze tra i sessi non siano rigorosamente osservate. Alcuni simboli - per esempio il bambino PICCOLO, il figlio PICCINO o la figlia PICCINA - significano un genitale in genere, non importa se maschile o femminile. Altre volte un simbolo prevalentemente maschile può essere impiegato per un genitale femminile o viceversa. Questo non si capisce se prima non ci si è fatti una certa idea dello sviluppo delle rappresentazioni sessuali negli uomini. In alcuni casi questa ambiguità dei simboli può essere solo apparente; i simboli più lampanti, come ARMI, BORSE, CASSE, sono esclusi da questo impiego bisessuale.
Intendo ora prendere le mosse non più da ciò che viene rappresentato, bensì dal simbolo, per dare una prospettiva generale dei campi dai quali i simboli sessuali vengono, per la maggior parte, attinti e per aggiungere alcune osservazioni supplementari con particolare riguardo ai simboli in cui l'elemento comune del paragone rimane incompreso. Un simbolo oscuro di tal genere è il CAPPELLO, o forse il copricapo in genere, che di norma ha un significato maschile, ma può anche averne uno femminile. Analogamente, il MANTELLO significa un uomo, forse non sempre con riferimento ai genitali. Siete liberi di cercarne il perché. La CRAVATTA, che pende giù e che non viene portata dalla donna, è un simbolo chiaramente maschile. La BIANCHERIA, e la TELA in genere, sono femminili; ABITI, UNIFORMI sono, come abbiamo già detto, sostituti della nudità, delle forme del corpo; la SCARPA, la PANTOFOLA, un genitale femminile; TAVOLO e LEGNO sono stati già menzionati come simboli enigmatici, ma sicuramente femminili. SCALE A PIOLI, GRADINATE, SCALE, o per meglio dire l'andare su di esse, sono simboli certi del rapporto sessuale: a una più attenta considerazione ci salterà agli occhi, quale elemento comune, il ritmo di questo andare, forse anche il crescere dell'eccitazione, l'affanno, quanto più in alto si sale.
Abbiamo già menzionato il paesaggio quale rappresentazione del genitale femminile. MONTAGNA e ROCCIA sono simboli del membro maschile; il GIARDINO, un frequente simbolo del genitale femminile. Il FRUTTO non sta per il bambino, ma per il seno. Gli ANIMALI FEROCI significano persone sensualmente eccitate, e inoltre pulsioni cattive, passioni. FIORITURE e FIORI designano il genitale della donna o, più specificamente, la verginità. Non dimenticate che i fiori sono realmente i genitali delle piante.
Conosciamo già la STANZA come simbolo. Qui la rappresentazione può proseguire, in quanto le finestre, le entrate e le uscite della stanza assumono il significato di orifizi del corpo. Anche il fatto che la stanza sia aperta o chiusa si inserisce in questo simbolismo, e la CHIAVE, che apre, è certamente un simbolo maschile.
Ecco dunque del materiale per il simbolismo del sogno. L'elenco non è completo e potrebbe venire approfondito nonché esteso. Penso però che vi sembrerà più che sufficiente, forse vi irriterà. Mi pare di sentire la vostra domanda: "Vivo davvero in mezzo a simboli sessuali? Tutti gli oggetti che mi circondano, tutti i vestiti che indosso, tutte le cose che prendo in mano, sono sempre simboli sessuali e nient'altro?". Abbiamo effettivamente ragioni sufficienti per meravigliarci e investigare, e la prima domanda che ci porremo sarà: Da che cosa propriamente veniamo a conoscere il significato di questi simboli onirici, intorno ai quali il sognatore stesso non ci fornisce che ragguagli insufficienti o addirittura non sa dirci nulla?
Rispondo: Da fonti molto diverse, dalle fiabe e dai miti, da facezie e motti di spirito, dal folklore (cioè dallo studio dei costumi, degli usi, dei proverbi e delle canzoni popolari), dall'uso linguistico poetico e colloquiale. In tutti questi campi si riscontra lo stesso simbolismo e in alcuni di essi lo comprendiamo senza bisogno di ulteriori delucidazioni. Esaminando una per una queste fonti, troveremo tanti di quei paralleli con il simbolismo del sogno da non poter più dubitare delle nostre interpretazioni .
Secondo Scherner, come dicevamo, il corpo umano viene raffigurato spesso nel sogno mediante il simbolo della casa. Proseguendo questa raffigurazione, abbiamo visto che le finestre, le porte e i portoni sono gli accessi alle cavità corporee, e che le facciate sono lisce o provviste di davanzali e sporgenze che servono d'appiglio. Lo stesso simbolismo si trova nell'uso linguistico tedesco, che saluta confidenzialmente un buon conoscente chiamandolo "altes Haus" [vecchia casa], parla di dare a uno una pacca "aufs Dachl" [sul tetto (sulla testa)], o afferma di un altro che non è a posto "im Oberstübchen" [nella soffitta; cioè non ha la testa a posto]. In anatomia gli orifizi del corpo si chiamano esplicitamente "Leibespforten" [porte del corpo].
Incontrare in sogno i genitori come coppia imperiale o reale sembra a tutta prima sorprendente. Ma ha il suo parallelo nelle favole. Non ci balugina forse l'idea che le molte favole che cominciano con "C'era una volta un re e una regina" non vogliano dire nient'altro che "c'era una volta un padre e una madre"? In famiglia i figli vengono chiamati scherzosamente "principini" e il maggiore "principe ereditario". Il re chiama se stesso "padre della patria". I bambini piccoli vengono scherzosamente denominati "Wurmer" [vermi] e si dice compassionevolmente: "das arme Wurm" [il povero verme].
Ritorniamo al simbolismo della casa. Se nel sogno utilizziamo le sporgenze delle case per aggrapparci, non ci viene forse in mente la definizione volgare per un petto fortemente sviluppato: "Quella lì ha un bel davanzale"? A questo proposito c'è in tedesco un'altra espressione volgare: "Quella lì ha molta legna davanti alla casa", che sembra voler suffragare la nostra interpretazione del legno come simbolo femminile, materno.
Sempre a proposito del legno, non è facile comprendere come questo materiale sia giunto a rappresentare la maternità, la femminilità.
Qui può venirci in aiuto il raffronto tra le lingue. La parola tedesca "Holz" [legno] è probabilmente dello stesso ceppo della parola greca "yle", che significa materia, materiale grezzo. Qui ci troveremmo davanti al caso non raro in cui il nome generico di un materiale è stato alla fine riservato a un particolare materiale. Ora, c'è un'isola nell'oceano che porta il nome di "Madeira": questo nome le fu dato dai portoghesi quando la scoprirono, perché allora era coperta da cima a fondo di boschi; infatti in portoghese madeira significa "legno". Voi certo riconoscete che MADEIRA non è nient'altro che la parola latina MATERIA un po' modificata. Ora, materia deriva da MATER, "madre,".
La materia di cui qualcosa è costituito è, per così dire, la sua parte materna. Questa antica concezione sussiste quindi nell'uso simbolico del legno al posto di "donna", "madre".
La nascita viene regolarmente espressa nel sogno mediante un riferimento all'acqua: ci si precipita in acqua o si esce dall'acqua, cioè si partorisce o si è partoriti. Ora non dimentichiamo che questo simbolo può far riferimento in due modi alla realtà della storia evolutiva: non solo tutti i mammiferi terrestri, compresi i progenitori dell'uomo, hanno avuto origine da animali acquatici - questo sarebbe il dato di fatto più remoto -, ma anche ogni singolo mammifero, ogni uomo, ha trascorso nell'acqua la prima fase della propria esistenza, cioè ha vissuto come embrione nel liquido amniotico nel grembo della madre e con la nascita è uscito dall'acqua. Non voglio affermare che il sognatore sappia questo; sostengo, al contrario, che non occorre che lo sappia. C'è un'altra cosa che il sognatore probabilmente sa perché gli è stata detta nell'infanzia; e tuttavia affermo che questa conoscenza non gli è servita per formare il simbolo. Da piccolo gli si è raccontato che la cicogna porta i bambini; ma dove li prendeva? Dallo stagno, dal pozzo, quindi ancora una volta dall'acqua. Uno dei miei pazienti cui da bambino era stata data questa spiegazione - era figlio di un conte - scomparve subito dopo per un intero pomeriggio. Alla fine lo si trovò disteso sulla riva dello stagno del castello, il visino inclinato sullo specchio d'acqua, a spiare attentamente se poteva scorgere i bambini nel fondo dell'acqua.
Nei miti della nascita dell'eroe che Otto Rank ha sottoposto a uno studio comparativo - il più antico è quello del re Sargon di Agade, intorno al 2800 avanti Cristo, - l'abbandono nell'acqua e il salvataggio dall'acqua hanno una parte predominante. Rank ha mostrato che queste sono raffigurazioni della nascita, analoghe a quelle consuete nel sogno. Quando in sogno si salva una persona dall'acqua, ci si rende madre di quella persona, o madre in genere; nel mito una persona che salva un bambino dall'acqua riconosce di essere la vera madre del bambino. In un noto aneddoto scherzoso si chiede a un intelligente ragazzo ebreo chi fosse la madre di Mosè. "La principessa", risponde senza esitare. "Ma no, - gli si ribatte, - lei lo ha soltanto tratto fuori dall'acqua".
"Questo è quello che dice LEI", replica il ragazzo, dimostrando così di aver trovato la giusta interpretazione del mito.
In sogno, partire significa morire. C'è l'usanza di dire al bambino, che s'informa dove sia un morto di cui sente la mancanza, che è "partito". Anche qui, vorrei contestare la credenza che il simbolo onirico abbia origine da questo espediente verbale che si usa col bambino. Il poeta si serve della stessa relazione simbolica quando parla dell'aldilà come di un "paese non ancora scoperto dal cui confine nessun viaggiatore ('no traveller') ritorna'' [Shakespeare, Amleto, atto 3, scena 1]. Anche nella vita di ogni giorno è per noi del tutto comune parlare dell"'ultimo viaggio". Ogni conoscitore degli antichi riti sa quanto seriamente venisse presa, ad esempio nella religione dell'antico Egitto, la rappresentazione di un viaggio nel paese della morte. Ci sono rimasti conservati molti esemplari del "Libro dei morti", che veniva dato alla mummia come se fosse un Baedeker per il suo viaggio. Da quando i luoghi di sepoltura sono stati separati da quelli di abitazione, anche l'ultimo viaggio del defunto è diventato una realtà.
Nemmeno il simbolismo genitale è qualcosa di esclusiva pertinenza del sogno. Ognuno di voi sarà stato almeno una volta tanto scortese da chiamare una donna "vecchia ciabatta", forse senza sapere di servirsi in tal modo di un simbolo genitale. Nel Nuovo Testamento, la donna è "un fragile vaso". Le sacre Scritture degli ebrei, nel loro stile così vicino alla poesia, sono piene di espressioni simboliche sessuali, che non sempre sono state comprese esattamente e la cui esegesi (per esempio nel caso del "Cantico dei cantici") ha condotto a parecchi fraintendimenti.
Nella letteratura ebraica più tarda, la rappresentazione della donna come casa, ove la porta sta per l'orifizio genitale, è molto diffusa. L'uomo si lamenta, per esempio, nel caso di mancata verginità, di aver trovato "la porta aperta". Anche il simbolo di tavola per donna è noto a questa letteratura. La moglie dice del marito: "Gli preparai la tavola, ma egli la capovolse". I bambini storpi dovrebbero la loro origine al fatto che l'uomo "capovolge la tavola" (2).
Che anche le navi abbiano nel sogno il significato di donne ci è reso credibile dagli etimologi, i quali affermano che "Schiff" [nave] è stato originariamente il nome di un recipiente d'argilla ed è la stessa parola di "Schaff" [mastello, in dialetto]. Il fatto che il forno sia una donna e un grembo materno ci viene confermato dalla leggenda greca di Periandro di Corinto e di sua moglie Melissa: allorché, secondo il racconto di Erodoto, il tiranno evocò l'ombra della consorte ardentemente amata, ma da lui uccisa per gelosia, al fine di avere da lei una informazione, la morta si diede a conoscere con l'affermazione che egli "aveva gettato i pani nel forno freddo", alludendo oscuramente a un fatto che non poteva essere noto ad altri. Nella rivista "Anthropophyteia", diretta da F. S. Krauss, una fonte insostituibile per tutto quanto riguarda la vita sessuale dei popoli, leggiamo che in una certa regione tedesca di una donna che si è sgravata si dice: "le è crollato il forno". La preparazione del fuoco e tutto ciò che con esso è in rapporto sono intimamente intessuti di simbolismo sessuale. La fiamma è sempre un genitale maschile e il posto dove arde il fuoco, il focolare, un grembo femminile.
Se, com'è probabile, il fatto che nel sogno vengono impiegati tanto spesso paesaggi per rappresentare il genitale femminile ha destato il vostro stupore, lasciatevi dire dagli studiosi di mitologia quale parte abbia avuto la Madre Terra nelle credenze e nei culti dei tempi antichi, e come questo simbolismo abbia determinato la concezione dell'agricoltura. Che la stanza ("Zimmer") rappresenti in sogno una donna, sarete inclini a dedurlo dall'uso della lingua tedesca che, al posto di "Frau" ammette di dire "Frauenzimmer", ossia fa in modo che la persona umana sia rappresentata dal locale a essa destinato. Analogamente, noi parliamo della ''Sublime Porta", intendendo con ciò riferirci al Sultano e al suo governo; anche il nome del sovrano dell'antico Egitto, Faraone, non significava altro che "grande cortile" (nell'antico Oriente i cortili tra le doppie porte della città erano luoghi di incontro, come nel mondo classico le piazze del mercato). Tuttavia io penso che questa derivazione sia troppo superficiale: mi sembra più verosimile che la stanza sia diventata simbolo della donna in quanto spazio racchiudente l'essere umano.
La casa ci è già nota sotto questo significato; dalla mitologia e dallo stile poetico possiamo aggiungere, come ulteriori simboli della donna, CITTA', ROCCAFORTE, CASTELLO, FORTEZZA. La questione sarebbe facilmente risolvibile sulla base dei sogni di quelle persone che non parlano il tedesco e non lo comprendono. Negli ultimi anni ho curato prevalentemente pazienti di lingua straniera e credo di ricordarmi che anche nei loro sogni "stanza" significava "donna" benché la loro lingua non comportasse un uso analogo al nostro. Abbiamo ancora altri indizi che la relazione simbolica può esorbitare dai confini linguistici, ciò che del resto aveva già affermato il vecchio studioso di sogni Schubert.
Nessuno dei miei sognatori, tuttavia, ignorava completamente il tedesco, così che devo lasciare ogni decisione in merito a quegli psicoanalisti che in altri paesi possono raccogliere dati su persone che parlano una sola lingua.
Tra le rappresentazioni simboliche del genitale maschile, difficilmente ne troveremo una che non ricorra nell'uso linguistico scherzoso, volgare o poetico, specialmente dei poeti classici. In questi ultimi casi però entrano in gioco non soltanto i simboli che compaiono nel sogno ma anche altre raffigurazioni, per esempio attrezzi per svariate operazioni, l'aratro innanzitutto. Del resto, con la rappresentazione simbolica della virilità, ci avviciniamo a un campo molto esteso e assai discusso, da cui vogliamo tenerci lontani per motivi di economia espositiva.
Ancora alcune osservazioni vorrei dedicare al solo simbolo del 3 che esula in un certo senso da questa categoria. Se questo numero debba eventualmente a questa relazione simbolica il suo carattere sacro, è una questione ancora aperta. Sembra però accertato che parecchie cose tripartite che compaiono in natura, per esempio il trifoglio, derivano da questo significato simbolico il loro impiego in stemmi ed emblemi. Anche il cosiddetto giglio francese tripartito e il singolare stemma di due isole così lontane tra loro come la Sicilia e l'isola di Man, il "triscele" (tre gambe semipiegate che si dipartono da un comune centro), sembrano essere solo stilizzazioni del genitale maschile. Nell'antichità le effigi del membro maschile erano ritenute i più potenti mezzi apotropaici, cioè di difesa contro gli influssi malefici, e con ciò si connette il fatto che gli amuleti portafortuna del nostro tempo sono nell'insieme facilmente riconoscibili come simboli genitali o sessuali. Consideriamo una raccolta di cose del genere, portate ad esempio in forma di piccoli ciondoli d'argento: un quadrifoglio, un maiale, un fungo, un ferro di cavallo, una scala a pioli, uno spazzacamino. Il quadrifoglio è subentrato al posto del trifoglio, che sarebbe simbolo più adatto; il maiale è un antico simbolo di fecondità; il fungo è un indubbio simbolo del pene, ci sono funghi che debbono il loro nome sistematico alla loro inconfondibile somiglianza con il membro maschile ("phallus impudicus"); il ferro di cavallo ripete il contorno dell'orifizio genitale femminile. Infine lo spazzacamino, che porta la scala, rientra in questa compagnia perché fa una cosa alla quale viene volgarmente paragonato il rapporto sessuale (vedi 1a rivista "Anthropophiteia"): nel sogno abbiamo incontrato la sua scala come simbolo sessuale e su questo punto ci soccorre l'uso linguistico, il quale ci mostra come la parola "steigen" [salire, montare] abbia un significato squisitamente sessuale. Si dice: "den Frauen nachsteigen" [correr dietro (letteralmente: salire, montare dietro) alle donne] e "ein alter Steiger" [un vecchio donnaiolo, letteralmente: 'montatore']. Nella lingua francese nella quale il gradino si chiama la "marche", troviamo l'esatto analogo di quest'ultima espressione: "un vieux marcheur". Verosimilmente qui c'entra l fatto che l'atto sessuale di molti grandi animali presuppone il salire, il "montare" sulla femmina.
Lo strappare un ramo, quale raffigurazione simbolica dell'onanismo, non solo concorda con designazioni volgari dell'atto onanistico ["strapparsene uno"], ma si presta altresì ad ampi paralleli mitologici. Particolarmente degna di nota perché trova un riscontro nell'etnologia, cosa che probabilmente è nota a pochissimi sognatori - è però la raffigurazione dell'onanismo o meglio della sua punizione, l'evirazione, mediante la caduta o l'estrazione di denti. Mi sembra fuori di dubbio che la circoncisione, in uso presso tanti popoli, sia un equivalente e una sostituzione dell'evirazione; e ora ci viene riferito che in Australia certe stirpi primitive praticano la circoncisione come rito della pubertà (per festeggiare la raggiunta maturità sessuale dei giovani), mentre altre stirpi, confinanti, hanno sostituito questo atto con l'estrazione di un dente.
Con questi esempi termino la mia esposizione. Sono soltanto degli esempi; ne sappiamo di più su questo argomento, e potete immaginare quanto più ricca e interessante riuscirebbe una raccolta di questo genere che non fosse fatta da dilettanti come noi, ma da veri specialisti in mitologia, antropologia, linguistica e folklore.
Ci preme trarre alcune conclusioni, che non possono essere esaurienti, ma che ci daranno molto da pensare.
Per prima cosa ci troviamo dinanzi al dato di fatto che il sognatore ha a disposizione una forma di espressione simbolica che nella veglia non conosce e non riconosce. Ciò è davvero stupefacente; è come se scopriste che la vostra cameriera capisce il sanscrito, benché sappiate che è nata in un villaggio boemo e non lo ha mai appreso. Non è facile venire a capo di questo dato sicuro per mezzo delle nostre concezioni psicologiche. Possiamo soltanto dire che nel sognatore la conoscenza del simbolismo è inconscia, appartiene alla sua vita intellettuale inconscia.
Nemmeno questa supposizione però ci soddisfa. Fin qui è stato necessario solo ammettere aspirazioni inconsce, aspirazioni di cui temporaneamente o permanentemente non si sa nulla. Ora però si tratta di qualcosa di più, addirittura di conoscenze inconsce, di connessioni mentali, di comparazioni fra oggetti differenti, che fanno sì che un oggetto possa invariabilmente prendere il posto di un altro. Queste comparazioni non vengono fatte ogni volta ex novo, ma sono già predisposte, sono pronte una volta per tutte; ciò risulta infatti dalla loro concordanza in persone diverse, concordanza che esiste forse anche malgrado le diversità di lingua. Da dove dovrebbe provenire la conoscenza di queste relazioni simboliche? L'uso linguistico non ne copre che una piccola parte. I molteplici paralleli da altri campi sono perlopiù sconosciuti al sognatore; noi stessi ci siamo dovuti sottoporre a un paziente lavoro per raccoglierli.
In secondo luogo, queste relazioni simboliche non contengono in sé nulla di peculiare al sognatore o al lavoro onirico attraverso cui giungono a espressione. Come abbiamo visto, dello stesso simbolismo si servono miti e favole, il popolo nei suoi detti e nelle sue canzoni, l'uso linguistico colloquiale e la fantasia poetica. Quello del simbolismo è un ambito straordinariamente vasto di cui il simbolismo onirico costituisce solo una piccola parte: non è nemmeno opportuno affrontare l'intero problema partendo dal sogno. Molti dei simboli usuali altrove non compaiono nel sogno o compaiono solo raramente; alcuni dei simboli onirici non si ritrovano in tutti gli altri campi ma, come avete visto, solo qua e là. Si ha l'impressione di essere in presenza di una forma di espressione antica e tramontata, di cui parecchi elementi si sono conservati in ambiti diversi, uno solo qua, l'altro solo là, un terzo magari in più di un ambito con forme leggermente modificate. Mi viene qui da pensare alla fantasia di un malato mentale molto interessante, il quale aveva immaginato una "lingua fondamentale" della quale tutti questi rapporti simbolici sarebbero stati i residui.
In terzo luogo, deve colpirvi il fatto che negli altri campi che ho menzionato il simbolismo non è affatto soltanto sessuale, mentre invece nel sogno i simboli vengono impiegati quasi esclusivamente per portare a significazione oggetti e relazioni sessuali. Anche questo non è facilmente spiegabile. Forse che simboli di significato originariamente sessuale sarebbero in seguito stati utilizzati diversamente, e con ciò sarebbe magari connessa l'attenuazione della raffigurazione simbolica e la sua trasformazione in una raffigurazione di tipo diverso? Non si può evidentemente rispondere a questi interrogativi se ci si è occupati solo del simbolismo onirico. L'unica cosa che si può fare è attenersi all'ipotesi che tra i simboli veri e propri e la sessualità esista una relazione particolarmente intima.
Un'importante indicazione ci è stata data a questo riguardo negli ultimi anni. Un glottologo, Hans Sperber di Uppsala, che lavora indipendentemente dalla psicoanalisi, ha avanzato la tesi che nell'origine e nel successivo sviluppo del linguaggio, la parte più grande l'abbiano avuta i bisogni sessuali. I suoni linguistici servirono inizialmente alla comunicazione sessuale e al richiamo del compagno; l'ulteriore evoluzione delle radici linguistiche si sarebbe avuta con l'attività lavorativa degli uomini primitivi.
Questi lavori sarebbero stati svolti collettivamente e accompagnati da espressioni verbali ritmicamente ripetute. Con ciò sarebbe stato trasferito sul lavoro un interesse sessuale. L'uomo primitivo si sarebbe, per così dire, reso accettabile il lavoro trattandolo come un equivalente e come un sostituto dell'attività sessuale. La parola pronunciata durante il lavoro comune avrebbe avuto così due significati: avrebbe designato l'attività sessuale e al tempo stesso l'attività lavorativa a quella equiparata. Con il tempo la parola si sarebbe svincolata dal significato sessuale e fissata a quel determinato lavoro. La stessa cosa sarebbe accaduta, alcune generazioni più tardi, con una nuova parola, che aveva significato sessuale e che sarebbe stata applicata a un nuovo genere di lavoro. In tal modo si sarebbe formato un gran numero di radici linguistiche, che erano tutte di provenienza sessuale e che avrebbero abbandonato il loro significato sessuale.
Se l'esposizione qui abbozzata è corretta, si dischiude certamente per noi una possibilità di comprendere il simbolismo onirico.
Comprenderemmo perché nel sogno, il quale conserva qualcosa di queste antichissime condizioni, esista una così straordinaria quantità di simboli riguardanti ciò che è sessuale, perché in generale le armi e gli strumenti stiano sempre per ciò che è maschile e i materiali e le cose lavorate per ciò che è femminile.
La relazione simbolica sarebbe il residuo dell'antica identità verbale; cose che venivano una volta chiamate nel medesimo modo del genitale, possono ora comparire nel sogno come suoi simboli.
Dai paralleli che abbiamo scoperto per il simbolismo onirico si può anche ricavare una valutazione su quel carattere della psicoanalisi che le ha consentito di attrarre l'interesse generale come né la psicologia né la psichiatria sono riuscite a fare. Nel corso del lavoro psicoanalitico si stabiliscono rapporti con numerosissime altre discipline; ebbene, esplorando questi rapporti si ottengono preziosissimi chiarimenti: sono i rapporti con la mitologia, con la linguistica, con il folklore, con la psicologia sociale e con la filosofia della religione. Non vi stupirete quindi che sul terreno psicoanalitico sia nata una rivista, "Imago", fondata nel 1912 e diretta da Hanns Sachs e Otto Rank, la quale si è posta il compito esclusivo di coltivare questi rapporti. In essi la psicoanalisi ha essenzialmente la parte di chi dà, raramente di chi riceve. Certo, la psicoanalisi trae il vantaggio che, per il fatto di ritrovarli in altri campi, gli esiti peregrini della sua indagine ci diventano più familiari; ma, tutto sommato, è essa a fornire i metodi tecnici e i punti di vista la cui applicazione si dimostrerà feconda negli altri campi.
Grazie all'indagine psicoanalitica la vita psichica dell'individuo singolo fornisce le delucidazioni atte a risolvere, o almeno a mettere in giusta luce, parecchi enigmi che si presentano nelle grandi comunità umane.
Non vi ho ancora detto, del resto, a quali condizioni possiamo ottenere la comprensione più profonda di quella supposta "lingua fondamentale", e in quale campo essa si sia conservata meglio.
Finché ciò non vi è noto, non potete neanche apprezzare tutta l'importanza dell'argomento. Questo campo è infatti quello delle nevrosi, e il suo materiale sono i sintomi e le altre manifestazioni dei nevrotici, per il cui chiarimento e trattamento è in effetti stata creata la psicoanalisi.
Il quarto punto di vista cui voglio accennare ci riporta nuovamente agli esordi e rientra nella via che ci siamo tracciati.
Abbiamo detto che se anche non esistesse la censura onirica, il sogno non sarebbe facilmente intelligibile ai nostri occhi, poiché ci troveremmo comunque di fronte al problema di tradurre il linguaggio simbolico del sogno in quello del nostro pensiero vigile. Il simbolismo è dunque un secondo e indipendente fattore della deformazione onirica, accanto alla censura onirica. Pare logico tuttavia supporre che alla censura onirica faccia comodo servirsi del simbolismo, dato che questo tende al suo stesso fine, alla stranezza e all'incomprensibilità del sogno.
Si vedrà tra poco se nell'ulteriore studio del sogno ci imbatteremo in un nuovo fattore che contribuisce alla deformazione onirica. Non vorrei tuttavia abbandonare il tema del simbolismo onirico senza menzionare ancora una volta il problema seguente:
com'è possibile che esso abbia incontrato una così violenta resistenza da parte delle persone colte, dal momento che la diffusione dei simboli nel mito, nella religione, nell'arte e nel linguaggio è assolutamente fuori discussione? Che di questo enigma sia responsabile ancora una volta il rapporto con la sessualità?
NOTE:
Lezione 11 - IL LAVORO ONIRICO
Signore e Signori, se siete venuti a capo della censura onirica e della rappresentazione per simboli, pur non avendo ancora sconfitto definitivamente la deformazione onirica, siete comunque in grado di comprendere la maggior parte dei sogni. Vi servirete a questo scopo delle due tecniche, fra loro complementari, di evocare le associazioni del sognatore finché dal sostituto riuscirete a cogliere il materiale autentico, e di sostituire, in base alle vostre conoscenze, i simboli con il relativo significato. Tratteremo in seguito alcuni problemi risultanti da tale accostamento.
Possiamo ora riprendere un compito che ci proponemmo a suo tempo con mezzi insufficienti, allorché studiammo le relazioni tra gli elementi onirici e il materiale autentico che a essi corrisponde.
Rilevammo allora quattro di queste relazioni principali: quella della parte con il tutto, quella dell'approssimazione o allusione, la relazione simbolica, e la raffigurazione plastica di parole.
Vogliamo intraprendere la stessa ricerca su più vasta scala confrontando, nel suo insieme, il contenuto manifesto del sogno con il sogno latente che abbiamo scoperto mediante l'interpretazione.
Spero che non scambierete mai più tra loro queste due cose. Se davvero ci riuscite, siete probabilmente più avanti, nella comprensione del sogno, della maggior parte dei lettori della mia "Interpretazione dei sogni". Lasciatemi ripetere ancora una volta che il lavoro che trasforma il sogno latente in sogno manifesto si chiama LAVORO ONIRICO. Il lavoro che procede in direzione opposta, quello che si sforza di giungere dal sogno manifesto a quello latente, è il nostro LAVORO D'INTERPRETAZIONE. Il lavoro d'interpretazione si propone di annullare il lavoro onirico. I sogni di tipo infantile, per quanto riconoscibili come evidenti appagamenti di desiderio, sono stati sottoposti anch'essi a un tanto di lavoro onirico, e precisamente alla trasposizione della forma desiderativa in qualcosa di reale e, perlopiù, alla trasposizione dei pensieri in immagini visive. In questo caso non c'è bisogno d'interpretazione, ma solo di far recedere queste due trasposizioni. Quel tanto di lavoro onirico che viene ad aggiungersi negli altri sogni è da noi chiamato deformazione onirica, ed è questa che va fatta recedere mediante il nostro lavoro d'interpretazione.
L'aver confrontato molte interpretazioni di sogni mi mette in grado di indicarvi succintamente come il lavoro onirico manipola il materiale dei pensieri onirici latenti. Non tentate però di capirne troppo. E' una descrizione, e come tale va ascoltata con tranquilla attenzione.
Il primo risultato del lavoro onirico è la CONDENSAZIONE.
Intendiamo con ciò il fatto che il sogno manifesto contiene meno del sogno latente, ed è quindi una sorta di traduzione abbreviata di quest'ultimo. Può accadere che qualche volta la condensazione manchi; ma di solito è presente e molto spesso è enorme. Essa non si muta mai nel proprio contrario, ossia non avviene che il sogno manifesto sia più ricco di quello latente in estensione e in contenuto. La condensazione si attua perché: 1) certi elementi latenti vengono omessi del tutto; 2) di alcuni complessi del sogno latente solo una briciola passa in quello manifesto; 3) elementi latenti che hanno qualcosa in comune vengono combinati, fusi in unità nel sogno manifesto.
Se volete, potete riservare il termine "condensazione" soltanto a quest'ultimo processo, i cui effetti sono particolarmente evidenti. Vi ricorderete senza fatica di aver sognato voi stessi diverse persone condensate in una sola. Una simile persona composita ha, per esempio, l'aspetto di A, è però vestita come B, compie un'operazione che si ricorda esser stata compiuta da C, e per giunta pare di capire che si tratta della persona D. Mediante questa formazione mista viene messo in particolare rilievo, naturalmente, qualcosa che le quattro persone hanno in comune.
Oltre che con persone, formazioni miste possono essere realizzate con oggetti o con località, purché sia assolta la condizione che i singoli oggetti e località abbiano in comune qualcosa, che viene accentuato dal sogno latente. E' come una nuova formazione concettuale transitoria, che ha come nucleo questo elemento comune. Dalla sovrapposizione delle singole unità condensate scaturisce di norma un'immagine vaga, confusa, così come succede scattando varie fotografie sulla medesima lastra.
La produzione di formazioni miste è certamente essenziale per il lavoro onirico, dato che possiamo dimostrare che, nei casi in cui in un primo tempo mancano i caratteri comuni necessari, essi vengono prodotti deliberatamente, per esempio mediante la scelta di una parola al posto di un pensiero. Abbiamo già fatto la conoscenza di condensazioni e formazioni miste come queste: esse svolgevano un ruolo nella produzione di alcuni lapsus verbali ( vi ricorderete di quel giovanotto che voleva ''invultare'' una signorina. Oltre a questo ci sono motti di spirito la cui tecnica si basa su una condensazione del genere. A parte questi casi, si può però affermare che tale processo è assolutamente insolito e peregrino. La formazione delle persone miste del sogno trova, a dire il vero, corrispettivi in talune creazioni della nostra fantasia, la quale compone facilmente in unità elementi che nell'esperienza non formano un tutto unico, come per esempio nel caso dei centauri e degli animali favolosi dell'antica mitologia o dei quadri di Böcklin. La fantasia "creatrice" non è in grado di inventare assolutamente nulla, ma solo di mettere insieme elementi estranei tra loro. Ma ciò che vi è di singolare nel procedimento del lavoro onirico è quanto segue: il materiale che è a disposizione del lavoro onirico è costituito da pensieri; pensieri, che, in parte, possono essere sconvenienti e inaccettabili, ma che sono formati ed espressi correttamente.
Questi pensieri vengono trasposti dal lavoro onirico in un'altra forma, ed è curioso e incomprensibile che in questa traduzione (una sorta di resa in un'altra scrittura o lingua) trovino impiego i mezzi della fusione e della combinazione. Una traduzione cerca di solito di rispettare le distinzioni date nel testo e di tenere separate proprio le somiglianze. Il lavoro onirico, proprio al contrario, si sforza di condensare due pensieri differenti, scegliendo, analogamente al motto di spirito, una parola ambigua, nella quale i due pensieri possano incontrarsi. Senza pretendere di capire subito questa caratteristica, va detto che essa può diventare importante per spiegare il lavoro onirico.
Benché la condensazione renda impenetrabile il sogno, non si ha tuttavia l'impressione che essa sia un effetto della censura onirica. Siamo piuttosto propensi a ricondurla a fattori meccanici o economici; comunque la censura trae da essa un vantaggio.
I risultati della condensazione possono essere veramente straordinari. Con il suo aiuto diventa talora possibile riunire in un sogno manifesto due processi di pensiero totalmente diversi, cosicché si può ottenere un'interpretazione onirica apparentemente sufficiente, ma nel contempo ci si può lasciare sfuggire una possibile "sovrainterpretazione".
Anche per quanto riguarda i rapporti tra il sogno latente e quello manifesto, la condensazione ha la conseguenza di non lasciar sussistere relazioni semplici tra gli elementi dell'uno e quelli dell'altro. Un elemento manifesto corrisponde simultaneamente a parecchi elementi latenti e, viceversa, un elemento latente può concorrere alla formazione di parecchi elementi manifesti, in una specie di rapporto incrociato. Nel corso dell'interpretazione del sogno si vede anche che le associazioni relative a un unico elemento manifesto non affluiscono necessariamente in successione ordinata. Spesso si deve aspettare che l'intero sogno sia interpretato.
Il lavoro onirico procede dunque a un genere molto insolito di trascrizione dei pensieri onirici: non a una traduzione parola per parola o segno per segno, e neppure a una scelta secondo una regola determinata (come se venissero riprodotte solo le consonanti di una parola e venissero omesse le vocali), e nemmeno a ciò che si potrebbe chiamare una scelta rappresentativa (il fatto che al posto di parecchi elementi ne sia estratto sempre uno solo) bensì a qualcosa di diverso e di gran lunga più complicato.
Il secondo risultato del lavoro onirico è lo SPOSTAMENTO.
Fortunatamente, abbiamo già preparato il terreno per questo; sappiamo infatti che esso è in tutto e per tutto opera della censura onirica. Le sue due manifestazioni sono: primo, che un elemento latente viene sostituito non da una propria componente, bensì da qualcosa di più lontano, ossia da un'allusione; e, secondo, che l'accento psichico passa da un elemento importante a un elemento irrilevante, così che il sogno appare strano e diversamente centrato.
La sostituzione mediante un'allusione è nota anche al nostro pensiero vigile, ma c'è una differenza. Nel pensiero vigile l'allusione deve essere facilmente comprensibile e il sostituto deve stare in rapporto di contenuto con il materiale autentico corrispettivo. Anche il motto di spirito si serve spesso dell'allusione, ma lascia cadere la condizione dell'associazione di contenuto e la sostituisce con associazioni estrinseche inusitate, come l'omofonia, l'uso di parole ambigue, e così via.
Esso mantiene tuttavia ferma la condizione della comprensibilità; il motto di spirito verrebbe a perdere ogni effetto se la via di ritorno dall'allusione alla cosa cui si vuole alludere non si presentasse agevolmente. L'allusione al servizio dello spostamento si è invece liberata nel sogno da entrambe le limitazioni. Essa ha con l'elemento da lei sostituito le relazioni più estrinseche e più lontane ed è quindi incomprensibile; una volta risolta, la sua interpretazione dà l'impressione di un motto di spirito mal riuscito o di una spiegazione forzata, stentata, tirata per i capelli. La censura onirica ha raggiunto appunto il suo fine se è riuscita a rendere introvabile la via di ritorno dall'allusione al materiale autentico .
Lo spostamento di accento non è un mezzo cui si faccia ricorso per esprimere un pensiero. Nel pensiero vigile lo usiamo talvolta per ottenere un effetto comico. Posso forse darvi un'idea dell'effetto sconcertante che esso provoca ricordandovi un aneddoto. Un fabbro in un villaggio si era macchiato di un crimine meritevole della pena di morte. Il tribunale decise che la colpa venisse espiata, ma poiché il fabbro era l'unico del villaggio ed era indispensabile, mentre di sarti ce n'erano tre, al suo posto fu impiccato uno di questi tre.
Il terzo risultato del lavoro onirico è quello più interessante sotto il profilo psicologico. Esso consiste nella trasposizione dei pensieri in immagini visive. Teniamo presente che nei pensieri onirici non tutto subisce questa trasposizione; qualcosa conserva la sua forza e compare anche nel sogno manifesto come pensiero o come conoscenza; le immagini visive, inoltre, non sono l'unica forma in cui vengono trasposti i pensieri. Nondimeno esse sono l'essenziale della formazione del sogno; questa parte del lavoro onirico è, come già sappiamo, una delle due caratteristiche più costanti del sogno e del resto, a proposito di singoli elementi del sogno, già conosciamo la "raffigurazione plastica di parole".
E' chiaro che non è un risultato che si ottiene facilmente. Per farvi un'idea delle sue difficoltà, dovete immaginarvi di esservi assunti il compito di sostituire un articolo politico di fondo di un giornale con una serie di illustrazioni. Dovreste in un certo qual modo tornare dalla scrittura alfabetica a quella ideografica.
Vi sarà facile, e forse addirittura vantaggioso, sostituire con immagini le persone e gli oggetti concreti menzionati nell'articolo, ma grandi difficoltà vi attendono quando si tratterà di raffigurare tutte le parole astratte e tutte le parti del discorso che indicano relazioni di pensiero, come le particelle, le congiunzioni e simili. Nel caso delle parole astratte potrete aiutarvi con ogni specie di accorgimenti. Vi sforzerete, ad esempio, di trasporre il testo dell'articolo in un'altra formulazione verbale, che può forse apparire più insolita, ma che contiene un maggior numero di elementi concreti e suscettibili di raffigurazione. Vi ricorderete poi che la maggior parte delle parole astratte sono parole concrete sbiadite, e risalirete quindi, ogniqualvolta vi sarà possibile, all'originario significato concreto di queste parole. Eccovi felici di poter rappresentare il "possedere un oggetto" mediante un vero e proprio "sedercisi sopra" fisicamente. Così opera anche il lavoro onirico.
Date queste circostanze, è inutile avere grandi pretese per quel che riguarda la precisione della raffigurazione. Vi toccherà lasciar correre se il lavoro onirico, per esempio, sostituisce un elemento così difficile da ridurre in immagine come l'adulterio ["Ehebruch", letteralmente: rottura di matrimonio] con un'altra rottura, quella di una gamba ("Beinbruch) (1).
Riuscirete così, in certa misura, a compensare le goffaggini della scrittura ideografica costretta a sostituire la scrittura alfabetica.
Per raffigurare le parti del discorso che indicano relazioni tra pensieri ("perché, perciò, ma" eccetera) non avete a disposizione alcuna risorsa di tal genere; queste componenti del testo andranno quindi perdute, per quanto riguarda la loro trasposizione in immagini. Analogamente, il lavoro onirico riduce il contenuto dei pensieri onirici al loro materiale grezzo di oggetti e di attività. Sarà già tanto se vi si offrirà la possibilità di accennare in qualche modo,mediante una più sottile caratterizzazione delle immagini, a certe relazioni per sé stesse non raffigurabili. Allo stesso modo il lavoro onirico riesce a esprimere parecchi tratti del contenuto dei pensieri onirici latenti mediante peculiarità formali del sogno manifesto, mediante la sua chiarezza o la sua oscurità, la sua scomposizione in più parti, e così via. Il numero di parti in cui è suddiviso un sogno corrisponde di norma al numero dei temi principali, alle sequenze di pensieri presenti nel sogno latente; spesso un breve sogno di apertura sta, rispetto al successivo e particolareggiato sogno principale, in un rapporto di introduzione o di motivazione, una tesi accessoria presente nei pensieri onirici viene sostituita inserendo un mutamento di scena nel sogno manifesto eccetera. La forma assunta dai sogni è quindi tutt'altro che priva di significato e invita anch'essa all'interpretazione. Più sogni fatti nella stessa notte hanno spesso lo stesso significato e indicano lo sforzo di dominare sempre meglio uno stimolo di crescente intensità. In un sogno singolo un elemento particolarmente difficile può trovare la sua raffigurazione in "doppioni", o simboli molteplici.
Il continuo confronto fra i pensieri onirici e i sogni manifesti che li sostituiscono ci rivela ogni sorta di cose alle quali non eravamo preparati: per esempio che anche l'insensatezza e l'assurdità dei sogni ha un preciso significato. Anzi, in questo punto il contrasto tra la concezione medica e quella psicoanalitica del sogno diventa acuto in misura non raggiunta altrove. Secondo la prima, il sogno è insensato perché l'attività psichica ha perduto durante il sogno ogni capacità critica; secondo la nostra concezione, invece, il sogno diventa insensato quando deve essere data rappresentazione a una critica contenuta nei pensieri onirici, al giudizio: "ciò è insensato". Ne è un buon esempio il sogno a voi noto dell'andata a teatro (tre biglietti per 1 fiorino e 50). Il giudizio così espresso era: "è stato assurdo sposarmi così presto".
Nel corso del lavoro interpretativo apprendiamo, parimenti, che cosa corrisponde ai dubbi e alle incertezze, così spesso riferiti dal sognatore, se un certo elemento sia comparso nel sogno, se sia stato proprio quello o non piuttosto un altro. Di solito, nulla corrisponde nei pensieri onirici latenti a questi dubbi e incertezze, i quali provengono esclusivamente dall'azione della censura onirica e sono da equiparare a un tentativo di eliminazione non completamente riuscito.
Fra le scoperte più sorprendenti rientra il modo in cui il lavoro onirico tratta gli opposti presenti nel sogno latente. Sappiamo già che le concordanze nel materiale latente vengono sostituite nel sogno manifesto mediante condensazioni. Ebbene, le contrapposizioni vengono trattate allo stesso modo delle concordanze, vengono espresse, con particolare predilezione, mediante il medesimo elemento manifesto. Un elemento del sogno manifesto che sia in grado di avere un contrario può dunque significare ugualmente sé stesso e il suo contrario, oppure entrambi nello stesso tempo: solo il senso può decidere quale traduzione si debba scegliere. Connesso con questo è poi il fatto che non si trova nel sogno una rappresentazione del "no", perlomeno non una rappresentazione inequivocabile.
Un'analogia, che ci giunge gradita, con questo singolare comportamento del lavoro onirico ci viene fornita dall'evoluzione del linguaggio. Alcuni glottologi hanno sostenuto la tesi che nelle lingue più antiche opposti quali "forte-debole", "chiaro- scuro", "grande-piccolo", venissero espressi con la medesima radice linguistica ("il significato opposto delle parole primordiali"). Così, nell'antico egizio, KEN significava originariamente "forte" e "debole". Nel parlare ci si salvaguardava da malintesi, provenienti dall'uso di simili parole ambivalenti, per mezzo dell'intonazione e di gesti accompagnatori; nello scrivere, con l'aggiunta di un cosiddetto determinativo, cioè di un disegno che non era destinato a essere pronunciato.
"Ken = forte" veniva dunque scritto aggiungendo dopo i segni alfabetici, la figura di un omino in piedi; se si intendeva "ken = debole", allora seguiva la figura di un uomo negligentemente accovacciato. Soltanto più tardi, attraverso lievi modificazioni della parola originaria omofona, si ottennero due designazioni per gli opposti in essa contenuti. Così da "ken", forte-debole, nacque un "ken" forte e un "kan" debole. Non solo le lingue più antiche negli ultimi stadi del loro sviluppo, ma anche lingue di gran lunga più recenti e vive ancor oggi avrebbero conservato abbondanti residui di questo antico significato opposto delle parole. Ve ne riferirò alcuni esempi, tratti da Karl Abel (2).
Nel latino ci sono alcune di queste parole rimaste ambivalenti:
"altus" (alto-profondo) e "sacer" (sacro-sacrilego).
Come esempi di modificazioni della stessa radice posso citare:
"clamare" (gridare) "clam" (piano, silenziosamente, segretamente); "siccus" (asciutto) "succus" (succo). Inoltre, dal tedesco, "Stimme" [voce] - "stumm" [muto].
Se si mettono in relazione tra loro lingue affini, ne risultano abbondanti esempi. Inglese "lock" (serrare) - tedesco: "Loch" [buco], "Lucke" [apertura]. Inglese: "cleave" (spaccare) tedesco:
"kleben" [attaccare].
L'inglese "without" (propriamente: con-senza) viene oggi impiegato per "senza"; che "with" avesse, oltre a quello di aggiunzione anche un significato di privazione, risulta evidente anche dai composti "withdraw" [ritirare] e "withhold" [trattenere]. Lo stesso vale per il tedesco" wieder" ["insieme con"; e "wider", "contro"].
Ancora un'altra peculiarità del lavoro onirico trova riscontro nell'evoluzione del linguaggio. Nella lingua egizia, come in altre successive, accadeva che la successione dei suoni delle parole venisse invertita, pur conservando lo stesso significato. Esempi di questo genere in inglese e tedesco sono: "topf" [tedesco pentola] - pot [inglese pentola]; "boat" [inglese barca] "tub" [inglese barcaccia]; "hurry" [inglese fretta] "Ruhe" [tedesco calma]; "Balken" [tedesco trave] - "Kloben" [tedesco ceppo] e "club" [inglese mazza]; "wait" [inglese aspettare] - "tauwen" [tedesco indugiare]. Tra il latino e il tedesco: "capere"-"packen" [afferrare]; "ren"-"Niere" [rene].
Inversioni di questo genere, considerate qui a proposito di singole parole, si riscontrano in diverse forme nel lavoro onirico. Il rovesciamento del significato, la sostituzione mediante il contrario, ci è già nota. Inoltre, si trovano nei sogni rovesciamenti della situazione, del rapporto tra due persone: un vero "mondo alla rovescia"; abbastanza spesso nel sogno è la lepre che spara sul cacciatore. E ancora, inversioni nell'ordine di successione degli eventi, così che la premessa viene nel sogno posposta alla conseguenza; è come la rappresentazione di un dramma da parte di una compagnia scadente, dove prima cade a terra l'eroe e soltanto dopo viene sparato dietro le quinte il colpo che lo uccide. Oppure ci sono sogni in cui l'intero ordine degli elementi è invertito, così che nell'interpretazione, per ottenere un senso, si deve prendere per primo l'ultimo elemento e per ultimo il primo. Vi ricorderete anche, dai nostri studi sul simbolismo onirico, che l'entrare o il cadere in acqua significano la stessa cosa dell'uscirne, ossia partorire o venire partorito; e che salire una scala, o una scala a pioli, significa la stessa cosa che scenderla. E' evidente il vantaggio che la deformazione onirica può trarre da una simile libertà di raffigurazione.
Queste caratteristiche del lavoro onirico possono essere definite arcaiche. Esse sono pure inerenti agli antichi sistemi di espressione, lingue e scritture, e comportano le stesse difficoltà, di cui torneremo a parlare da un punto di vista critico.
Qualche considerazione ancora. E' chiaro che nel lavoro onirico si tratta di trasporre i pensieri latenti, concepiti in parole, in immagini sensoriali, perlopiù di natura visiva. Ora, i nostri pensieri hanno avuto origine da immagini sensoriali di tal genere; il loro primo materiale e i loro stadi preliminari consistettero in impressioni dei sensi o, più esattamente, nelle immagini mnestiche di queste impressioni. Solo successivamente, a esse vennero abbinate parole e queste collegate poi in pensieri. Il lavoro onirico sottopone dunque i pensieri a un trattamento REGRESSIVO, fa retrocedere la loro evoluzione, e in questa regressione deve esser lasciato cadere tutto ciò che si è aggiunto come nuova acquisizione nel corso dello sviluppo delle immagini mnestiche a pensieri.
Tale è dunque, a quanto pare, il lavoro onirico. Rispetto ai processi che in esso abbiamo imparato a conoscere, l'interesse per il sogno manifesto ha dovuto per forza recedere. Ciononostante intendo dedicare a quest'ultimo, che è dopo tutto l'unica cosa di cui abbiamo conoscenza immediata, ancora alcune osservazioni.
E' naturale che il sogno manifesto perda per noi di importanza.
Non dovrebbe importarci granché se esso sembra il frutto di una composizione coerente o se invece è costituito da una serie sconnessa di immagini singole. Persino quando il suo aspetto esteriore è apparentemente sensato noi sappiamo che è dovuto alla deformazione onirica e che con il contenuto intrinseco del sogno esso può avere un rapporto assai poco organico, come la facciata di una chiesa italiana con la sua struttura e la sua pianta. Può succedere che anche questa facciata del sogno abbia la sua importanza, in quanto riproduce in forma poco o nulla deformata un'importante componente dei pensieri onirici latenti. Ma non possiamo saperlo prima di aver sottoposto il sogno a interpretazione e averne tratto un giudizio circa il grado di deformazione che ha avuto luogo. Un dubbio analogo vale per il caso in cui due elementi del sogno sembrano posti in stretta relazione reciproca. In questo può essere contenuta un'indicazione preziosa relativa al fatto che è lecito mettere insieme ciò che corrisponde a questi elementi nel sogno latente; ma altre volte perveniamo invece al convincimento che ciò che nei pensieri appartiene allo stesso contesto, nel sogno è stato sparpagliato.
In generale è meglio rinunciare a chiarire una parte del sogno manifesto per mezzo di un'altra sua parte, come se il sogno fosse concepito coerentemente e fosse una descrizione fatta a regola d'arte. Esso è perlopiù paragonabile a una breccia, formata da diversi frantumi di roccia cementati insieme, così che i disegni che ne risultano non appartengono alle rocce originarie che vi sono state incluse. C'è in effetti una parte del lavoro onirico, la cosiddetta elaborazione secondaria, alla quale spetta di ricavare dai primi prodotti del lavoro onirico stesso qualcosa di compiuto e più o meno coerente. In tal modo il materiale viene ordinato secondo un senso che è spesso completamente ingannevole, e, dove sembra necessario, vengono effettuate in esso delle interpolazioni.
D'altra parte non si deve nemmeno sopravvalutare il lavoro onirico attribuendogli capacità eccessive. La sua attività si esaurisce con le prestazioni sopraelencate; più che condensare, spostare, raffigurare plasticamente e sottoporre poi il tutto a una elaborazione secondaria, esso non può fare. Le valutazioni, le critiche, le espressioni di meraviglia e le deduzioni che si trovano nel sogno, non sono prestazioni del lavoro onirico e solo molto di rado dimostrano una riflessione sul sogno; si tratta invece perlopiù di frammenti di pensieri onirici latenti che sono passati nel sogno manifesto più o meno modificati e adattati al contesto. Il lavoro onirico non è nemmeno in grado di comporre discorsi. A parte poche eccezioni precisabili, i discorsi dei sogni sono copie e combinazioni di discorsi che sono stati uditi o fatti il giorno del sogno e che si sono inseriti nei pensieri latenti come materiale o come l'elemento che ha suscitato il sogno. Tanto meno può il lavoro onirico eseguire calcoli; quelli che si trovano nel sogno manifesto sono perlopiù combinazioni di numeri, pseudocalcoli, totalmente privi di senso come tali e anch'essi solo copie di calcoli presenti nei pensieri onirici latenti. Stando così le cose, non c'è da meravigliarsi se l'interesse che è stato rivolto al lavoro onirico presto tende ad allontanarsene, per rivolgersi verso i pensieri onirici latenti quali si rivelano, in forma più o meno deformata, attraverso il sogno manifesto. Non è giusto però spingere questo mutamento d'interesse fino al punto che nella considerazione teorica i pensieri onirici latenti prendano il posto del sogno in genere, e asserire riguardo al secondo cose che possono valere solo per i primi. E' strano che i risultati della psicoanalisi abbiano potuto essere malamente adoperati per una simile confusione. "Sogno" può essere denominato soltanto il prodotto del lavoro onirico, vale a dire la FORMA nella quale i pensieri onirici latenti sono stati trasfigurati dal lavoro onirico.
Il lavoro onirico è un processo di tipo singolarissimo, di cui finora non si è conosciuto l'uguale nella vita psichica. Simili condensazioni, spostamenti, trasposizioni regressive di pensieri in immagini sono novità la cui scoperta ha già abbondantemente compensato le fatiche della psicoanalisi. Potete costatare ancora una volta, dai paralleli col lavoro onirico, le connessioni che sono state scoperte tra gli studi psicoanalitici e altri campi, in special modo quelle relative all'evoluzione del linguaggio e del pensiero. Ma dell'ulteriore importanza di queste scoperte potrete farvi un'idea solo quando apprenderete che i meccanismi della formazione del sogno prefigurano il modo in cui si formano i sintomi nevrotici.
So anche che non siamo ancora in grado di elencare tutte le nuove acquisizioni che da questi lavori risultano per la psicologia.
Vogliamo soltanto sottolineare che nuove prove sono emerse riguardo all'esistenza di atti psichici inconsci - tali sono infatti i pensieri onirici latenti - e che l'interpretazione dei sogni ci promette un accesso che non sospettavamo così ampio alla conoscenza della vita psichica inconscia.
Ora però sarà tempo che, mediante diversi brevi esempi di sogni, vi dimostri nei particolari ciò a cui vi ho preparato nell'insieme.
NOTE:
"IL CASTIGO Dl DIO (Un braccio rotto per una rottura di matrimonio).
La signora Anna M., moglie di un milite territoriale, ha sporto querela per adulterio contro la signora Klementine K. Nell'accusa si dice che la K. ha intrattenuto una relazione illecita con Karl M. mentre suo marito si trovava al campo e perfino le spediva mensilmente di là settanta corone. La K. avrebbe ricevuto già parecchio denaro dal marito della querelante, mentre questa sarebbe costretta a soffrire la fame e la miseria assieme al suo bambino. Commilitoni di suo marito le avevano riferito che la K.
avrebbe frequentato osterie insieme con M. e avrebbe gozzovigliato fino a tarda notte. Una volta l'accusata avrebbe addirittura chiesto al marito della querelante, in presenza di parecchi soldati di fanteria, quando si decideva a divorziare dalla sua 'vecchia' per andare a stare con lei. Anche la fantesca della K.
avrebbe visto ripetutamente il marito della querelante nell'abitazione della K. in abiti assai succinti.
Ieri la K. negò, davanti a un giudice di Leopoldstadt, di conoscere M.: tanto meno era il caso di parlare di rapporti intimi.
La teste Albertine M. ammise tuttavia che la K. aveva baciato il marito della querelante e che in tale atto venne da lei sorpresa.
M., interrogato come testimone già in una precedente udienza, aveva in quell'occasione negato l'esistenza di rapporti intimi con l'accusata. Ieri giunse al giudice una lettera, in cui il teste ritrattava le dichiarazioni fatte nella prima udienza e ammetteva di aver intrattenuto fino allo scorso giugno una relazione amorosa con la K. Nell'udienza precedente aveva negato i suoi rapporti con l'imputata semplicemente perché questa si era presentata da lui prima dell'udienza e lo aveva pregato in ginocchio di salvarla e di non rivelare nulla. 'Oggi - scriveva il teste - mi sento spinto a fare al tribunale una piena confessione, perché mi sono rotto il braccio sinistro e questo mi sembra un castigo di Dio per il mio comportamento'.
Il giudice accertava che il reato è caduto in prescrizione, al che la querelante ritirava la sua accusa e seguiva l'assoluzione dell'imputata".
Lezione 12 - ESEMPI DI SOGNI E LORO ANALISI
Signore e Signori, non siate delusi se ancora una volta vi presento frammenti di interpretazioni di sogni, invece di invitarvi a partecipare all'interpretazione di un sogno bello e lungo. Direte che, dopo tanta preparazione, ne avreste il diritto, ed esprimerete il convincimento che essendo state interpretate con successo tante migliaia di sogni, dovrebbe esser possibile da tempo effettuare una selezione di ottimi sogni coi quali dimostrare tutte le nostre affermazioni sul lavoro onirico e sui pensieri onirici. E' così, ma troppe sono le difficoltà che si frappongono all'appagamento di questo vostro desiderio.
Devo innanzitutto confessarvi che nessuno di noi ha come principale occupazione quella di interpretare i sogni. Quand'è, infatti, che capita di farlo? Accade di occuparsi occasionalmente, senza particolare intenzione, dei sogni di una persona amica; oppure per un certo periodo si lavora sui propri sogni, per esercitarsi nel lavoro psicoanalitico; perlopiù tuttavia, si ha a che fare con i sogni di persone nervose, che sono in trattamento psicoanalitico. Questi ultimi sogni sono un materiale eccellente e non sono inferiori sotto nessun profilo a quelli delle persone sane; tuttavia la tecnica del trattamento ci costringe a subordinare l'interpretazione dei sogni agli intenti terapeutici e a trascurare un gran numero di sogni dopo averne tratto qualcosa di utile per il trattamento. Alcuni dei sogni che avvengono durante la cura si sottraggono interamente a un'interpretazione compiuta; avendo avuto origine dalla massa informe del materiale psichico che ci è ancora sconosciuto, la loro comprensione sarà possibile solo dopo la conclusione della cura. Comunicarvi tali sogni implicherebbe rivelare anche tutti i segreti di una nevrosi; e questo non fa per noi, che abbiamo affrontato il sogno proprio come preparazione allo studio delle nevrosi.
Quanto a voi, rinuncereste volentieri a questo materiale e preferireste sentirvi spiegare sogni di persone sane o sogni vostri. Questo però non è possibile a causa del loro contenuto.
Non possiamo esporci né compromettere irriguardosamente chi in noi ha riposto la sua fiducia; e ciò sarebbe inevitabile qualora interpretassimo in profondità i suoi sogni, i quali, come sapete, hanno a che fare con la parte più intima di ciascuno di noi. Oltre a questa difficoltà di procurarsi il materiale, ce n'è da considerare un'altra. Il sogno, come sapete, appare strano al sognatore stesso, tanto più dunque a un altro, cui la persona del sognatore sia sconosciuta. La nostra letteratura non scarseggia di buone ed esaurienti analisi di sogni, io stesso ne ho pubblicato alcune nell'ambito dei miei casi clinici. Il più bell'esempio di interpretazione di un sogno è forse quello riferito da Otto Rank:
due sogni di una ragazzina, tra loro collegati, che occupano circa due pagine a stampa; ma la relativa analisi comprende settantasei pagine. Impiegherei qualcosa come un intero anno accademico per guidarvi attraverso un simile lavoro. Se si mette mano a un sogno qualsiasi, piuttosto lungo e fortemente deformato, tante sono le spiegazioni che bisogna fornire, tanto è il materiale di associazioni e ricordi che va considerato, tante sono le strade secondarie che bisogna imboccare, che una sola lezione su questo sogno riuscirebbe quanto mai confusa e insoddisfacente. Vogliate dunque accontentarvi di ciò che è più facile ottenere: pezzetti di sogni di persone nevrotiche, in cui è possibile riconoscere, uno per volta, questo o quell'elemento. Più facili da dimostrare sono i simboli onirici, poi vengono certe particolarità della raffigurazione onirica regressiva. Per ognuno dei sogni che seguiranno ora, vi indicherò perché l'ho ritenuto degno di essere riferito.
1. Il primo sogno consiste solo di due brevi immagini: "Suo zio fuma una sigaretta, benché sia sabato. Una donna lo accarezza [il sognatore] e lo coccola come se fosse suo figlio".
Riguardo alla prima immagine, il sognatore (ebreo) osserva che suo zio è un uomo pio, che non ha mai commesso e mai commetterebbe una cosa così peccaminosa. Riguardo alla donna della seconda immagine, non gli viene in mente nient'altro che sua madre. Queste due immagini o pensieri sono evidentemente da porre in rapporto tra loro. Ma come? Dal momento che egli ha espressamente contestato la realtà dell'azione dello zio, viene spontaneo introdurre un "se".
"Se mio zio, quel sant'uomo, fumasse una sigaretta di sabato, allora anch'io potrei farmi coccolare dalla mamma". Ciò significa evidentemente che anche essere coccolato dalla madre è qualcosa di illecito come il fumare di sabato per l'ebreo devoto. Vi ricorderete che vi dissi che nel lavoro onirico tutte le relazioni tra i pensieri onirici vengono a cadere: questi vengono risolti nel loro materiale grezzo, ed è compito dell'interpretazione reinserire le relazioni omesse.
2. In seguito alle mie pubblicazioni sul sogno, sono diventato in un certo senso consulente pubblico in materia di sogni e da molti anni ricevo lettere di provenienza svariatissima, nelle quali mi vengono comunicati o sottoposti a giudizio dei sogni. Sono naturalmente grato a tutti coloro che, o aggiungono al sogno tanto materiale da rendere possibile una interpretazione, o forniscono essi stessi tale interpretazione. In questa categoria rientra il seguente sogno di uno studente di medicina di Monaco, fatto nell'anno 1910. Ve lo espongo perché può dimostrarvi quanto un sogno sia in generale inaccessibile alla comprensione prima che il sognatore abbia fornito le relative informazioni. Ho infatti il sospetto che voi, in fondo, riteniate che l'interpretazione ideale sia quella fondata sul significato simbolico, mentre vorreste mettere in disparte la tecnica delle associazioni da produrre in relazione al sogno; ed è mia intenzione liberarvi da questo errore dannosissimo.
"13 luglio 1910. Verso mattina sogno: A Tubinga vado in bicicletta per una strada in discesa, allorché un bassotto marrone si mette a corrermi dietro furiosamente e mi afferra a un calcagno. Percorso un tratto scendo, mi siedo su un gradino e incomincio a riempire di botte la bestia ostinata a tener duro. (Del morso e dell'intera scena non ho sensazioni sgradevoli). Di fronte sono sedute due signore piuttosto anziane, che mi osservano sogghignando. Allora mi sveglio e, come già spesse volte, in questo momento del passaggio alla veglia l'intero sogno mi appare chiaro".
Poco si può concludere qui con i simboli. Il sognatore però ci racconta: "Negli ultimi tempi mi sono innamorato di una ragazza, solo così per averla vista per strada, ma non ho mai avuto modo di abbordarla. Il pretesto più facile sarebbe stato il suo bassotto, tanto più che io sono un grande amico degli animali e mi aveva fatto piacere trovare questa inclinazione anche nella ragazza".
Aggiunge anche di essere intervenuto varie volte con gran destrezza, e spesso tra lo stupore degli astanti, nelle zuffe fra cani. Apprendiamo quindi che la ragazza che gli piaceva si faceva sempre vedere in compagnia di quel particolare cane. Questa ragazza, però, è stata eliminata nel sogno manifesto in cui è rimasto solo il cane a lei associato. Forse al posto della ragazza sono subentrate le signore anziane che lo guardano sogghignando.
Quanto egli riferisce ancora, non basta comunque per chiarire questo punto. Il fatto che nel sogno egli vada in bicicletta, è la diretta ripetizione della situazione ricordata. Tutte le volte che aveva incontrato la ragazza con il cane stava andando in bicicletta.
3. Quando uno ha perso un caro congiunto, per parecchio tempo dopo fa sogni di tipo particolare, nei quali la consapevolezza della morte giunge ai più strani compromessi con il bisogno di richiamare in vita il morto. Talora il defunto è morto e tuttavia continua a vivere, perché non sa di essere morto e solo se lo sapesse morirebbe del tutto; talaltra è a metà morto e a metà vivo, e ognuno di questi stati è indicato in modo particolare.
Questi sogni non devono essere definiti semplicemente come assurdi: il sogno ammette benissimo che qualcuno risusciti, così come lo ammettono, per esempio, le favole, dove questo è un evento comunissimo. Per quanto ho potuto analizzare sogni del genere, ne è risultato che sono suscettibili di una soluzione ragionevole, ma che il pietoso desiderio di richiamare in vita il morto sa operare con i mezzi più insoliti. Vi espongo qui un sogno di questo tipo, piuttosto strano e insensato, la cui analisi vi mostrerà molte delle cose alle quali siete stati preparati dalle nostre esposizioni teoriche. E' il sogno di un uomo che aveva perso il padre da parecchi anni.
"Il padre è morto, ma è stato esumato e ha un brutto aspetto. Da allora continua a vivere e il sognatore fa di tutto perché non se ne accorga" (poi il sogno passa ad altre cose, in apparenza lontanissime).
Il padre è morto, questo lo sappiamo. Il fatto che sia stato esumato non corrisponde alla realtà, che naturalmente non è presa in considerazione neppure nel resto del sogno. Ma il sognatore racconta: Dopo che era tornato dalla sepoltura del padre, un dente cominciò a dolergli. Voleva trattare questo dente secondo il precetto della dottrina ebraica: "Se il tuo dente ti infastidisce strappalo" e si recò dal dentista. Ma questi disse: "Un dente non va strappato, bisogna aver pazienza con lui. Gli metterò dentro qualcosa per farlo morire; venga di nuovo fra tre giorni e allora lo estrarrò".
"Questo 'estrarre' - dice improvvisamente il sognatore - è l'esumare".
Che il sognatore abbia ragione? Per la verità, non tutto quadra perfettamente, ma solo all'incirca, giacché non è il dente che viene estratto bensì qualcosa che in esso è morto. Ma simili imprecisioni si possono senz'altro attribuire al lavoro onirico, sulla base di altre esperienze. Il sognatore avrebbe dunque condensato, fuso in unità il padre defunto con il dente morto e tuttavia conservato. Nessuna meraviglia quindi che nel sogno manifesto risulti qualcosa che non ha senso, poiché non tutto quanto viene detto del dente si può adattare al padre. In cosa consisterà mai il "tertium comparationis" tra il dente e il padre, che rende possibile questa condensazione?
Eppure il sognatore deve aver ragione, tanto è vero che prosegue affermando di sapere che, quando si sogna di un dente caduto, ciò significa che si perderà un membro della famiglia.
Sappiamo che questa interpretazione popolare è inesatta o, perlomeno, è esatta solo in un senso scurrile. Tanto più ci sorprenderà, allora, che il tema così accennato ricompaia dietro le altre parti del contenuto onirico.
Senza ulteriori esortazioni, il sognatore comincia ora a raccontare della malattia e della morte del padre, come pure dei suoi rapporti con lui. Il padre fu ammalato per lungo tempo, l'assistenza e le cure dell'ammalato costarono a lui, il figlio, molto denaro. Eppure nulla gli parve mai troppo, non si spazientì mai, non ebbe mai il desiderio che la cosa una buona volta potesse avere fine. Si vanta di vera pietà ebraica verso il padre, di aver osservato rigorosamente la legge ebraica. Non ci colpisce qui una contraddizione nei pensieri attinenti al sogno? Egli aveva identificato il padre con il dente. Nei confronti del dente voleva procedere secondo la legge ebraica, che comportava la sentenza di strapparlo quando procurasse dolore e fastidio. Anche nei confronti del padre pretendeva di aver proceduto secondo il precetto della legge, la quale in questo caso raccomanda invece di non badare a spese e a fastidi, di addossarsi ogni peso e non lasciar emergere alcuna intenzione ostile nei riguardi dell'oggetto che procura il dolore. Non sarebbe di gran lunga più perentoria la concordanza, se egli avesse effettivamente sviluppato verso il padre malato sentimenti simili a quelli verso il dente malato, se avesse cioè desiderato che una morte repentina mettesse fine alla sua esistenza superflua, dolorosa e costosa?
Non dubito che questo sia stato realmente il suo atteggiamento nei riguardi del padre durante la lunga malattia, e che le assicurazioni ostentate della sua devota pietà siano intese a stornare l'attenzione da questi ricordi. Il desiderio di morte riferito al genitore suole presentarsi in simili circostanze e coprirsi con la maschera di una considerazione compassionevole del tipo: "per lui sarebbe solo una liberazione". Notate però che qui abbiamo superato una barriera che è negli stessi pensieri onirici latenti: infatti anche se una prima parte di essi era inconscia solo temporaneamente, cioè durante la formazione del sogno, i moti ostili verso il padre dovevano essere stati inconsci permanentemente, trarre origine forse dal tempo dell'infanzia ed essersi occasionalmente insinuati nella coscienza in forma timida e mascherata, durante la malattia del padre. Questo possiamo affermarlo con sicurezza ancora maggiore di altri pensieri latenti che hanno innegabilmente contribuito al contenuto del sogno. Certo nel sogno nulla si può scoprire dei moti ostili verso il padre. Ma se cerchiamo nella vita infantile la radice di questa ostilità verso il padre, ci ricordiamo che la paura del proprio padre si determina perché questi, già nei primissimi anni, si oppone all'attività sessuale del ragazzo, non diversamente da come è obbligato a opporvisi di nuovo, per motivi sociali, nell'età che segue la pubertà. Questa relazione con il padre vale anche per il nostro sognatore; il suo amore per lui era intessuto di rispetto e di angoscia, scaturiti dalla fonte della precoce intimidazione sessuale.
Sulla base del complesso onanistico si spiegano ora le ulteriori proposizioni del sogno manifesto. "Ha un brutto aspetto", allude in verità a un altro discorso del dentista, il quale aveva osservato che si ha un brutto aspetto quando si perde un dente in quel punto; ma si riferisce contemporaneamente al brutto aspetto con il quale il giovane nella pubertà tradisce o teme di tradire la sua smodata attività sessuale. Non è senza sollievo che il sognatore, nel contenuto manifesto, ha spostato il brutto aspetto dalla propria persona su quella del padre: uno dei ribaltamenti del lavoro onirico a voi noti. "Da allora continua a vivere" coincide con il desiderio che il padre torni in vita, come pure con la promessa del dentista che il dente si conserverà. Invece la frase "Il sognatore fa di tutto perché (il padre) non se ne accorga", è apprestata con grande sottigliezza per indurci a completare: "che è morto", ma anche qui l'unico completamento che abbia significato risulta dal complesso onanistico, dove è ovvio che il giovanetto fa di tutto per nascondere al padre la propria vita sessuale. Ricordatevi infine che i cosiddetti "sogni da stimolo dentario" li abbiamo sempre dovuti ricondurre all'onanismo e alla temuta punizione per esso.
Vedete dunque come si è formato questo sogno incomprensibile:
attuando una strana e fuorviante condensazione, omettendo tutti i pensieri che erano al centro del processo ideativo latente e creando formazioni sostitutive polivalenti per i pensieri più profondi e cronologicamente più remoti.
4. Abbiamo già tentato varie volte di accostarci a quei sogni lucidi e banali che non hanno in sé nulla di assurdo o di peregrino, ma riguardo al quali sorge la domanda: a che scopo si sognano delle cose tanto insignificanti?. Vi presenterò dunque un nuovo esempio di questo genere: tre sogni di una giovane signora, avvenuti in una sola notte e interconnessi tra loro.
a) "Attraversando l'atrio della sua casa picchia con la testa contro il lampadario che pende molto basso, e perde sangue".
Nessuna reminiscenza, nulla che sia accaduto realmente. Le sue informazioni in proposito conducono in tutt'altre direzioni. "Lei sa in che gran quantità mi cadono i capelli. 'Figlia mia mi ha detto ieri mia madre - se le cose continuano così ti verrà la testa come un popò'". La testa sta dunque qui per l'altra estremità del corpo. Il lampadario possiamo intenderlo simbolicamente senz'altro aiuto: tutti gli oggetti suscettibili di allungamento sono simboli del membro virile. Si tratta quindi di una emorragia alla parte inferiore del corpo, che ha origine dallo scontro col pene. Ciò potrebbe avere anche ulteriori significati:
le sue successive associazioni mostrano che si tratta della credenza che l'emorragia mestruale abbia origine dai rapporti sessuali con l'uomo; è questo un tratto di teoria sessuale che ha molte seguaci tra le fanciulle immature.
b) "Vede nella vigna una profonda fossa, che sa essere stata prodotta dallo sradicamento di un albero". Si aggiunga la sua osservazione che l'albero "le mancava". Essa ritiene di non aver visto l'albero nel sogno, ma la stessa locuzione serve a esprimere un altro pensiero, che convalida interamente l'interpretazione simbolica. Il sogno si riferisce a un altro tratto delle teorie sessuali infantili, ossia alla credenza che le bambine originariamente avessero lo stesso genitale dei maschietti e che la successiva conformazione del loro genitale sia dovuta all'evirazione (sradicamento di un albero).
c) "Si trova davanti al cassetto della sua scrivania, che conosce così bene da sapere subito se qualcuno vi ha messo le mani". Il cassetto della scrivania - come ogni cassetto, cassa, scatola - è il genitale femminile. Lei sa che sul genitale si possono riconoscere i segni dei rapporti sessuali (secondo lei, anche dei toccamenti) e per tanto tempo ha temuto una dimostrazione del genere. Penso che in tutti e tre questi sogni l'accento debba essere messo sul SAPERE. Essa pensa al tempo delle sue esplorazioni sessuali infantili, dei cui risultati era allora molto fiera.
5. Ancora qualcosa sul simbolismo. Ma questa volta devo premettere un breve resoconto sulla situazione psichica. Un signore, che ha trascorso una notte d'amore con una donna, descrive la sua compagna come una di quelle nature materne, nelle quali durante i rapporti amorosi con l'uomo irrompe irresistibilmente il desiderio di avere un bambino. Le circostanze di quell'incontro rendono però necessaria una precauzione grazie alla quale l'emissione seminale fecondatrice viene tenuta lontana dal grembo femminile. Al risveglio dopo la stessa notte, la donna racconta il seguente sogno:
"Un ufficiale con una cappa rossa la insegue per la strada. Essa fugge davanti a lui, sale di corsa la scala, e lui sempre dietro.
Senza fiato essa raggiunge la sua abitazione, sbatte la porta dietro di sé e la chiude a chiave. Egli rimane fuori e, quando essa guarda attraverso lo spioncino, è seduto fuori su una panca e piange".
Nell'inseguimento da parte dell'ufficiale con la cappa rossa e nella salita a perdifiato, voi riconoscete di certo la raffigurazione dell'atto sessuale. Il fatto che la sognatrice si chiuda a chiave davanti all'inseguitore può servirvi come esempio dei rovesciamenti così di frequente applicati nel sogno; infatti in realtà era stato l'uomo a sottrarsi al compimento dell'atto sessuale. Analogamente, la sua tristezza è spostata sul compagno:
è lui infatti che piange nel sogno, e con ciò si allude contemporaneamente all'emissione seminale.
Avrete certo sentito dire qualche volta che nella psicoanalisi si afferma che tutti i sogni hanno un significato sessuale. Ora voi stessi siete in grado di formarvi un giudizio sull'illegittimità di questo rimprovero. Avete fatto la conoscenza dei sogni di desiderio, che trattano del soddisfacimento dei bisogni più evidenti - la fame, la sete, la brama di libertà, - dei sogni di comodità e di impazienza, e anche dei sogni puramente avidi ed egoistici. Ma che i sogni fortemente deformati diano espressione prevalentemente ripetiamo, non esclusivamente - a desideri sessuali, potete senz'altro tenerlo a mente come un risultato dell'indagine psicoanalitica.
6. Ho un particolare motivo per accumulare esempi di impiego dei simboli nel sogno. Nel nostro primo incontro mi sono lamentato di quanto sia difficile, nell'insegnamento della psicoanalisi, dare dimostrazioni e quindi suscitare convinzioni; e sono sicuro che da quel momento in poi vi siete trovati d'accordo con me. Tuttavia le singole affermazioni della psicoanalisi sono così intimamente congiunte le une alle altre che la convinzione può facilmente estendersi da un punto a una più vasta parte del tutto. Si potrebbe dire della psicoanalisi che se uno le dà il mignolo, essa gli afferra subito tutta la mano. Persino colui al quale è parsa plausibile la spiegazione degli atti mancati non può più logicamente esimersi dal credere a tutto il resto. Un secondo punto altrettanto accessibile, è dato dal simbolismo onirico. Vi esporrò il sogno, già pubblicato, di una popolana, il cui marito è una guardia, e che certamente non ha mai sentito nulla del simbolismo onirico e della psicoanalisi. Giudicherete voi stessi se la spiegazione di questo sogno con l'aiuto di simboli sessuali possa essere definita arbitraria e forzata.
" ...Poi qualcuno è penetrato nell'abitazione e lei ha chiamato angosciosamente una guardia. Ma questa, d'accordo con due vagabondi, si era recata in una chiesa, cui si giungeva salendo diversi gradini. Dietro la chiesa c'era una montagna e in alto una fitta foresta. La guardia portava un elmetto, una gorgiera e un mantello. Aveva una lunga barba scura. I due vagabondi, che si accompagnavano pacificamente alla guardia, avevano allacciati intorno ai fianchi grembiuli rialzati a sacco. Davanti alla chiesa un sentiero portava al monte. Esso era interamente coperto ai lati da erbe e cespugli, che si facevano sempre più fitti e alla sommità della montagna formavano un bosco vero e proprio".
Riconoscerete senza fatica i simboli impiegati. Il genitale maschile è rappresentato da una triade di persone, quello femminile da un paesaggio con cappella, montagna e bosco. Ancora una volta incontrate gli scalini come simbolo dell'atto sessuale.
Ciò che nel sogno è stato definito monte si chiama così anche in anatomia, e cioè "Mons Veneris", il monte del pube.
7. Ancora un sogno da risolvere per mezzo dell'applicazione dei simboli. Intanto esso è notevole e convincente in quanto il sognatore stesso ne ha tradotto tutti i simboli, benché non possedesse alcuna nozione teorica propedeutica all'interpretazione dei sogni. Questo comportamento è veramente insolito e le condizioni che lo determinano non sono conosciute con esattezza.
"Va a passeggio con suo padre in un luogo che è certamente il Prater [Parco di Vienna], perché si vede la Rotonda e, davanti a questa, un piccolo fabbricato sporgente, al quale è attaccato un pallone frenato, che però sembra piuttosto floscio. Suo padre gli chiede a che cosa serva tutto questo. Se ne stupisce, ma gliene dà la spiegazione. Poi arrivano in un cortile, nel quale è distesa una grande piastra di latta. Suo padre vuole strapparsene un grosso pezzo, ma prima si guarda in giro per accertarsi che nessuno possa vederlo. Lui gli dice che basta dirlo al guardiano, poi potrà prendersene senz'altro un pezzo. Da questo cortile una scala conduce in un pozzo, le cui pareti sono morbidamente imbottite, pressappoco come una poltrona di pelle. Alla fine del pozzo c'è una piattaforma, piuttosto lunga, e poi comincia un altro pozzo...".
Il sognatore stesso interpreta: la Rotonda è il mio organo genitale, il pallone frenato davanti a essa il mio pene, della cui flaccidità ho ragione di lamentarmi. Si può dunque fare una traduzione più penetrante: la Rotonda è il sedere - che, per il bambino, fa regolarmente parte dell'organo genitale, - il piccolo fabbricato sporgente, lo scroto. Nel sogno il padre gli chiede a che cosa serva tutto questo, cioè gli chiede lo scopo e le funzioni dei genitali. Viene spontaneo di rovesciare la situazione, e allora è il paziente a fare la domanda. Dato che in realtà una domanda di questo tipo, rivolta al padre, non è mai avvenuta, bisogna considerare il pensiero del sogno come un desiderio oppure eventualmente prenderlo in senso condizionale:
"Se avessi chiesto a mio padre spiegazioni sessuali". Troveremo presto, in un altro punto, la continuazione di questo pensiero.
Il cortile nel quale è distesa la piastra di latta non va considerato in primo luogo come simbolico: esso deriva dai magazzini commerciali del padre. Per ragioni di discrezione, ho sostituito con latta il materiale di cui fa commercio il padre, senza peraltro nulla cambiare al testo del sogno. Il paziente è entrato nella ditta del padre ed è rimasto profondamente scandalizzato dalle operazioni piuttosto scorrette sulle quali è fondata gran parte del suo guadagno. Quindi la continuazione del pensiero, che abbiamo citato, potrebbe essere questa: "(Se lo avessi interrogato), mi avrebbe ingannato come inganna i suoi clienti". Per l'atto di "strappare", che serve a rappresentare la scorrettezza commerciale, è lo stesso sognatore a dare la seconda spiegazione, dicendo che significa l'onanismo. Questo non solo ci è noto da molto tempo, ma concorda anche assai bene col fatto che la segretezza dell'onanismo è espressa dal contrario (si può cioè fare apertamente). Che poi l'attività onanistica venga anch'essa attribuita al padre, come già la domanda nella prima scena del sogno, corrisponde a ogni attesa. Richiamandosi alla morbida imbottitura delle pareti, egli interpreta immediatamente il pozzo come vagina. Di mia iniziativa aggiungo che lo scendere, come del resto il salire, intendono descrivere l'atto del coito nella vagina.
Egli stesso spiega biograficamente i particolari del primo pozzo, al quale seguono una piattaforma piuttosto lunga e poi un nuovo pozzo. Per un certo periodo di tempo egli ha praticato il coito, poi, in seguito a inibizioni, ha interrotto il rapporto sessuale e ora spera di poterlo riprendere con l'aiuto della cura.
8. Vi riferisco i due sogni seguenti, fatti da uno straniero con forte inclinazione alla poligamia, a prova dell'affermazione che il proprio Io compare in ogni sogno, anche quando si è nascosto nel contenuto manifesto. Nei sogni le valigie sono simboli della donna.
a) "Parte; il suo bagaglio viene portato alla stazione con una vettura: sono molte valigie accatastate, tra cui due grandi e nere, simili a valigie di campionari. Dice a qualcuno per consolarlo: "Suvvia, quelle lì ci seguono solo fino alla stazione".
In realtà egli suole viaggiare con moltissimo bagaglio; ma anche nella cura si porta dietro una gran quantità di storie di donne.
Le due valigie nere corrispondono a due donne brune, che in quel momento hanno la parte principale nella sua vita. Una di esse voleva raggiungerlo a Vienna; egli le aveva telegrafato, su mio consiglio, di non farlo.
b) Una scena alla dogana: "Un compagno di viaggio apre la sua valigia e dice, fumando con indifferenza una sigaretta: 'Qui dentro non c'è niente'. Il doganiere sembra credergli, ma vi caccia dentro ancora una volta le mani e trova qualcosa di particolarmente proibito. Il viaggiatore dice allora rassegnato:
'Non c'è niente da fare'". Il viaggiatore è lui stesso, io il doganiere. Di solito egli è molto sincero nelle sue confessioni, ma si era proposto di tacermi una relazione da poco allacciata con una signora, perché poteva supporre, a ragione, che quest'ultima non mi fosse sconosciuta. La situazione penosa del venire scoperti è da lui spostata su una persona estranea, così che egli stesso non sembra comparire in questo sogno.
9. Ecco un esempio relativo a un simbolo che non ho ancora menzionato:
"Incontra sua sorella in compagnia di due amiche, che sono sorelle tra loro. Dà la mano a entrambe, ma non alla sorella".
Nessun nesso con un fatto realmente accaduto. I suoi pensieri lo portano piuttosto a un periodo in cui lo preoccupava l'osservazione che il seno delle ragazze si sviluppa così tardi.
Le due sorelle sono quindi i seni: egli li toccherebbe volentieri con le mani, se solo non si trattasse di sua sorella.
10. Ecco un esempio del simbolismo onirico relativo alla morte:
"Assieme a due persone, di cui sa il nome ma l'ha dimenticato al risveglio, passa su un ponticello di ferro, ripido e molto alto.
Improvvisamente i due non ci sono più ed egli vede un uomo fantasma con una cappa e un vestito di tela. Gli chiede se è il fattorino del telegrafo... No. E' forse il traghettatore? No.
Allora egli prosegue. Nel sogno prova anche molta angoscia e dopo il risveglio continua il sogno con la fantasia che improvvisamente il ponte di ferro si spezzi ed egli precipiti nell'abisso".
Le persone a proposito delle quali si sottolinea che ci sono sconosciute, che si è dimenticato il loro nome, perlopiù ci sono molto vicine. Il sognatore ha un fratello e una sorella; se dovesse aver augurato la morte a questi due, gli starebbe proprio bene essere afflitto lui stesso da un'angoscia di morte. A proposito del fattorino del telegrafo, egli osserva che questa gente porta sempre notizie funeste. Dall'uniforme avrebbe potuto essere anche un lampionaio; il quale però è anche colui che spegne i lampioni, così come il genio della morte spegne la fiaccola. Al traghettatore egli associa la poesia di Uhland della traversata di re Carlo, e ricorda una pericolosa traversata con due compagni, durante la quale egli ebbe la parte che nella poesia ha il re.
Riguardo al ponte di ferro, gli viene in mente un incidente degli ultimi tempi e lo stupido detto: "La vita è un ponte sospeso".
11. Come ulteriore esempio della raffigurazione della morte può valere il sogno:
"Un signore sconosciuto lascia per lui un biglietto da visita listato di nero".
12. Il seguente sogno - nelle cui premesse rientra, peraltro, anche uno stato nevrotico - vi interesserà sotto molteplici punti di vista.
"Viaggia in ferrovia. Il treno si ferma in aperta campagna. Crede che sia imminente un incidente, si deve pensare a fuggire.
Attraversa tutti gli scompartimenti del treno e uccide tutti quelli che incontra, controllore, macchinista eccetera".
A ciò si allaccia il ricordo del racconto di un amico. Su una linea ferroviaria in Italia veniva trasportato un mentecatto in un piccolo scompartimento, nel quale per errore fu ammesso un viaggiatore. Il pazzo uccise il compagno di viaggio. Egli si identifica dunque con questo pazzo e fonda il suo diritto a farlo con l'ossessione, che lo tormenta saltuariamente, di doversi "liberare di tutti i testimoni". Ma poi trova una motivazione addirittura migliore, che porta allo spunto del sogno. Ieri ha rivisto a teatro la ragazza che voleva sposare, ma che però ha lasciato perché gli ha dato motivo di gelosia. Data l'intensità che raggiunge in lui la gelosia, sarebbe stato veramente pazzo a volerla sposare. Cioè, egli la ritiene così indegna di fiducia, che sarebbe costretto a uccidere per gelosia tutte le persone che gli capitassero a tiro. Abbiamo già conosciuto l'andare attraverso una serie di stanze, qui di scompartimenti, quale simbolo dell'essere sposati (il simbolo, per contrasto, diviene quello della monogamia).
Riguardo all'arresto del treno in aperta campagna e al timore di un incidente, egli racconta: una volta che durante un viaggio in ferrovia si verificò un simile arresto improvviso al di fuori di una stazione, una giovane signora che viaggiava con lui dichiarò che forse stava per avvenire uno scontro, e in quel caso la precauzione più opportuna era di sollevare le gambe in alto.
Questo "le gambe in alto" aveva però avuto un ruolo anche nelle molte passeggiate ed escursioni in aperta campagna che egli aveva intrapreso con quella fanciulla durante i primi tempi felici del loro amore. Un nuovo argomento a convalida del fatto che dovrebbe essere pazzo per sposarla ora. Che un desiderio di essere così pazzo sussistesse tuttavia in lui, avevo motivo di darlo per certo in base alla mia conoscenza della situazione.
Lezione 13 - TRATTI ARCAICI E INFANTILISMO DEL SOGNO
Signore e Signori, ricolleghiamoci al risultato da noi raggiunto, secondo il quale il lavoro onirico, sotto l'influsso della censura onirica traspone i pensieri latenti del sogno in un altro modo di espressione. I pensieri latenti non sono diversi dai pensieri consci della nostra vita vigile, a noi ben noti. Il nuovo modo di espressione ci è però incomprensibile per molti suoi tratti.
Abbiamo detto che esso risale a stadi del nostro sviluppo intellettuale che da gran tempo abbiamo superato, al linguaggio figurato, alla relazione simbolica, forse a condizioni che sono esistite prima dello sviluppo del nostro linguaggio concettuale.
Per questo abbiamo chiamato ARCAICO o REGRESSIVO il modo di esprimersi del lavoro onirico.
Da ciò potreste concludere che attraverso uno studio più approfondito del lavoro onirico dovremmo riuscire a ottenere preziosi chiarimenti sui non ben conosciuti inizi del nostro sviluppo intellettuale. Mi auguro che questo sia possibile, ma finora questo lavoro non è stato ancora iniziato. La preistoria cui il lavoro onirico ci riconduce è di due specie: in primo luogo la preistoria dell'individuo, l'infanzia; in secondo luogo, in quanto ciascun individuo nella sua infanzia ripete in certo qual modo in forma abbreviata l'intero sviluppo della specie umana, anche quest'altra preistoria, quella filogenetica. Si riuscirà a distinguere quale parte dei processi psichici latenti provenga dalla preistoria individuale e quale da quella filogenetica? Non lo ritengo impossibile. Mi pare, ad esempio, che la relazione simbolica, mai insegnata al singolo, abbia i requisiti per venir considerata un'eredità filogenetica.
Non è questo, tuttavia, l'unico carattere arcaico del sogno. Tutti voi conoscete bene, per personale esperienza, la singolare amnesia concernente l'infanzia. Intendo il fatto che i primi anni di vita, fino al quinto, sesto o ottavo anno, non lasciano tracce nella memoria, al contrario delle esperienze vissute successivamente. E' vero che ci si imbatte in singole persone che possono vantare un ricordo ininterrotto dai loro primi esordi al momento presente; ma l'altro comportamento, caratterizzato da lacune mnestiche, è incomparabilmente più frequente. Ritengo che non ci si sia meravigliati a sufficienza di questo fatto. Il bambino è in grado di parlare bene a due anni, dimostra presto di raccapezzarsi in situazioni psichiche complicate, ha delle uscite che molti anni più tardi gli verranno raccontate, ma che avrà dimenticato. Con tutto ciò la memoria è migliore nei primi anni, perché meno sovraccarica che in seguito. Non c'è nemmeno motivo di ritenere la funzione mnemonica una prestazione mentale particolarmente elevata o difficile; al contrario, si può riscontrare una buona memoria anche in persone di livello intellettuale molto basso.
Aggiungete a questo fatto una seconda particolarità degna di nota, e cioè che dal vuoto mnemonico che avvolge i primi anni dell'infanzia emergono singoli ricordi ben conservati, perlopiù percepiti in forma plastica, che non si capisce perché abbiano potuto, appunto, conservarsi. La nostra memoria fa una selezione nella massa di impressioni che ci colpiscono più tardi, ossia conserva ciò che per qualche verso è importante e lascia cadere l'irrilevante. Le cose si svolgono in tutt'altro modo coi ricordi infantili che sono stati conservati. Essi non corrispondono necessariamente a esperienze importanti degli anni infantili e nemmeno a quelle che avrebbero dovuto apparire tali dal punto di vista del bambino. Sono spesso talmente banali e insignificanti che non possiamo fare a meno di domandarci stupiti perché proprio quel singolo dettaglio è sfuggito all'oblio. Ho cercato a suo tempo, con l'aiuto dell'analisi, di affrontare l'enigma dell'amnesia infantile e dei residui mnestici che la interrompono, e sono giunto al risultato che anche il bambino ha conservato nel ricordo solamente ciò che è importante; solo che, attraverso i processi a voi già noti della condensazione, e in special modo dello spostamento, questi fatti importanti sono nel ricordo sostituiti da altri fatti, che appaiono irrilevanti. Per questo ho chiamato tali ricordi infantili RICORDI DI COPERTURA; mediante un'analisi radicale è possibile ricavare da essi tutto il materiale che è stato dimenticato.
Nei trattamenti psicoanalitici si pone invariabilmente il compito di colmare questa lacuna della memoria infantile, e nei casi in cui la cura ha un certo successo, quindi con estrema frequenza, siamo effettivamente in grado di riportare alla luce il contenuto di quegli anni infantili coperti dall'oblio. Queste impressioni non sono mai state realmente dimenticate: erano solo inaccessibili, latenti, appartenevano all'inconscio. Tuttavia accade altresì che esse emergano spontaneamente dall'inconscio, e ciò avviene precisamente in rapporto con certi sogni. Dunque la vita onirica sa trovare l'accesso a questi ricordi infantili latenti. Begli esempi di ciò sono riportati nella letteratura e io stesso ho potuto fornire un contributo del genere. Sognai una volta, in un certo contesto, di una persona che doveva avermi reso un servizio e che vedevo distintamente davanti a me. Si trattava di un uomo privo di un occhio, di piccola statura, grasso, la testa profondamente incassata nelle spalle. Dal contesto stabilii che era un medico. Per fortuna potei chiedere a mia madre, ancora vivente, che aspetto avesse il medico del mio paese natale, da me lasciato a tre anni, e appresi da lei che era privo di un occhio, piccolo, grasso, la testa profondamente incassata nelle spalle; appresi anche in occasione di quale infortunio da me dimenticato egli mi aveva prestato aiuto. Questo poter disporre del materiale dimenticato dei primi anni infantili è quindi un altro tratto arcaico del sogno.
Lo stesso chiarimento vale per un altro degli enigmi nei quali ci siamo finora imbattuti. Vi ricorderete la nostra sorpresa quando scoprimmo che i sogni sono suscitati da desideri fortemente malvagi e licenziosamente sessuali, i quali hanno reso necessarie la censura e la deformazione onirica. Quando interpretiamo al sognatore un sogno di questo tipo, anche se, nel migliore dei casi, egli non attacca la nostra interpretazione, pone però sempre la domanda di dove gli sia venuto un tal desiderio, dal momento che lo percepisce come estraneo ed è consapevole del suo opposto.
Possiamo dimostrare questa provenienza senza esitazione. Questi impulsi di desiderio cattivi provengono dal passato, spesso da un passato che non c poi lontanissimo. E' possibile provare che una volta essi erano noti e coscienti, anche se oggi non lo sono più.
La donna, il cui sogno significa che vorrebbe vedere dinanzi a sé morta la sua unica figlia, ora diciassettenne, scopre sotto la nostra guida di aver effettivamente nutrito un tempo questo desiderio di morte. La figlia è il frutto di un matrimonio fallito, subito sciolto. Una volta, quando ancora portava la figlia in seno, dopo una violenta scenata col marito, in una crisi di rabbia si era percossa il ventre coi pugni per uccidere il bambino. Quante madri che oggi amano teneramente, forse troppo teneramente i loro figli, li hanno concepiti malvolentieri e hanno desiderato che la vita che portavano in sé potesse non svilupparsi! Anzi, hanno anche tradotto questo desiderio in azioni svariate, fortunatamente innocue. Il loro desiderio di morte nei riguardi della persona amata, che in seguito appare così misterioso, trae quindi origine dai primi tempi del loro rapporto con quella persona.
Anche il padre il cui sogno dimostra che egli desidera la morte del figlio maggiore, il prediletto, sarà indotto a ricordare che questo desiderio una volta non gli fu estraneo. Quando questo figlio era ancora lattante, egli aveva spesso pensato, scontento della propria scelta matrimoniale, che se il piccolo essere, il quale non significava nulla per lui, fosse morto, egli sarebbe stato di nuovo libero e avrebbe fatto miglior uso della propria libertà. La medesima origine può essere rintracciata per un gran numero di analoghi impulsi d'odio; essi sono ricordi di qualcosa che appartiene al passato, che una volta fu presente alla coscienza ed ebbe il suo peso nella vita psichica. Sarete propensi a concludere che tali desideri e sogni non possono presentarsi se non sono intervenuti mutamenti di un certo tipo nei rapporti con una persona, se questi rapporti sono rimasti uguali fin dall'inizio. Sono pronto a seguirvi in questa vostra deduzione, voglio soltanto avvertirvi di non prendere in considerazione la lettera del sogno, ma il suo significato a interpretazione avvenuta. Può accadere che il sogno manifesto della morte di una persona amata abbia soltanto assunto una maschera spaventosa ma significhi qualcosa di completamente diverso, oppure che la persona amata vada intesa come l'ingannevole sostituto di qualcun altro.
Sempre a questo proposito, vi verrà spontanea un'altra domanda, molto più seria, che è la seguente: "Anche se questo desiderio di morte fu una volta presente e viene confermato dal ricordo, ciò non è ancora una spiegazione. Esso è da lungo tempo superato, oggi può essere presente nell'inconscio, ma solo come un ricordo sprovvisto di affetti, non come un impulso possente. Nulla parla in favore di quest'ultimo. Perché mai dunque viene ricordato dal sogno?". Questa domanda è veramente legittima. Ogni tentativo di risposta ci porterebbe troppo lontano e ci costringerebbe a prendere posizione nei confronti di uno dei punti più importanti della teoria del sogno. E io sono obbligato a rimanere nell'ambito della nostra discussione e a stringere il discorso. Preparatevi quindi a una rinuncia provvisoria. Accontentiamoci di prendere atto che la dimostrazione del promovimento del sogno da parte di questo desiderio superato è possibile, e continuiamo a indagare se anche altri desideri cattivi ammettano la stessa derivazione dal passato.
Rimaniamo ai desideri di eliminazione di persone, che possiamo perlopiù far risalire all'illimitato egoismo del sognatore. Si può dimostrare spessissimo che il sogno si struttura in base a un desiderio di tal genere. Ogni volta che nella vita qualcuno ci ostacola il cammino - e quanto spesso ciò è inevitabile, data la complessità dei rapporti umani! - il sogno è subito pronto a farlo morire, si tratti pure del padre, della madre, di un fratello, di un coniuge e così via. A suo tempo ci stupimmo parecchio di questa malvagità della natura umana e non eravamo certamente disposti ad ammettere senz'altro l'esattezza di questo risultato dell'interpretazione dei sogni. Ma non appena fummo indotti a cercare nel passato l'origine di tali desideri, scoprimmo che c'è un periodo, nel passato di ognuno di noi, nel quale questo egoismo e questi impulsi di desiderio, rivolti persino contro le persone più prossime, non hanno niente di sconcertante. Il bambino, proprio in quei primi anni che più tardi vengono avvolti da amnesia, mostra questo egoismo spesso in forma estremamente marcata e invariabilmente ne pone in risalto rudimenti o, più esattamente, residui. Il bambino, per l'appunto, ama innanzitutto sé stesso e solo più tardi impara ad amare gli altri, a sacrificare agli altri qualcosa del proprio Io. Anche le persone che sembra amare fin dall'inizio, le ama innanzitutto perché di esse ha bisogno, perché non ne può fare a meno, dunque di nuovo per motivi egoistici. Solo più tardi l'impulso ad amare si rende indipendente dall'egoismo. In effetti EGLI HA IMPARATO AD AMARE DALL'EGOISMO.
A questo proposito può essere istruttivo confrontare l'atteggiamento del bambino verso i fratelli con quello verso i genitori. Il bambino piccolo non ama necessariamente i suoi fratelli, spesso palesemente non li ama affatto. E' indubbio che egli odia in essi i propri concorrenti, ed è noto quanto spesso questo atteggiamento permanga ininterrottamente per molti anni, fino al tempo della maturità e persino più in là ancora.
Abbastanza spesso a esso si sostituisce o, per meglio dire, si sovrappone un atteggiamento più affettuoso; ma quello ostile sembra essere con assoluta regolarità il più antico. Si può osservarlo con maggior facilità in bambini da due anni e mezzo fino a quattro o cinque anni, quando sopravviene un nuovo fratellino. Questi ha perlopiù un'accoglienza molto scortese.
Espressioni quali: "Non mi piace, voglio che la cicogna se lo riporti via" sono assai frequenti. In seguito ogni occasione sarà buona per denigrare il nuovo arrivato, e tentativi di fargli persino del male, veri e propri attentati, non sono niente di inaudito. Se la differenza di età è minore, il bambino si trova già davanti il concorrente quando in lui si risveglia un'attività psichica più intensa, e gli è più facile adattarsi. Se la differenza è maggiore, il nuovo bambino può risvegliare fin dall'inizio una certa simpatia come oggetto interessante, come una specie di bambola vivente, e con una differenza di età di otto e più anni possono già entrare in gioco, specie nelle femmine, impulsi premurosi, materni. Ma diciamo il vero: se dietro il sogno di un adulto si scopre il desiderio della morte dei fratelli, raramente è il caso di trovarlo enigmatico e si può indicarne senza difficoltà il prototipo nell'infanzia o anche, abbastanza spesso, negli anni successivi della convivenza.
Non esiste probabilmente nessuna stanza dei giochi senza violenti conflitti tra i suoi ospiti. I motivi sono la rivalità per l'amore dei genitori, per la proprietà comune, per lo spazio in cui muoversi. Gli impulsi ostili si rivolgono sia verso i fratelli maggiori, sia verso i minori. Credo sia stato Bernard Shaw a formulare il detto:' "Di regola c'è solo una persona che una ragazza inglese odia più di sua madre; ed è la sorella maggiore".
In questa enunciazione c'è però qualcosa che ci sconcerta.
Ammettiamo pure, se proprio è indispensabile, che l'odio e la rivalità tra fratelli siano comprensibili, ma com'è possibile che sentimenti d'odio s'introducano nel rapporto tra figlia e madre, tra genitori e figli?
Questo rapporto è senza dubbio più favorevole dell'altro, anche dal punto di vista del bambino. Ed è quanto noi ci aspettiamo; troviamo molto più scandaloso se manca l'amore tra genitori e figli che non se manca tra fratelli. Nel primo caso abbiamo, per così dire, reso sacro qualcosa che nell'altro abbiamo lasciato profano. Ciò nondimeno l'osservazione quotidiana ci mostra quanto spesso le relazioni emotive tra genitori e figli adulti restino inferiori all'ideale innalzato dalla società, quanto spesso l'ostilità sia lì pronta e verrebbe espressa se non venisse trattenuta da un misto di affetto e di pietà filiale. I motivi di ciò sono universalmente noti e mostrano una tendenza alla separazione tra gli individui dello stesso sesso, la figlia dalla madre, il figlio dal padre. La figlia trova nella madre l'autorità che limita il suo volere e che è investita del compito di imporle la rinuncia alla libertà sessuale, richiesta dalla società; inoltre nella madre trova, in alcuni casi, anche la rivale che lotta per non essere soppiantata. La stessa cosa si ripete, in modo ancor più acuto, tra figlio e padre. Per il figlio è personificata nel padre ogni costrizione sociale sopportata controvoglia; il padre gli sbarra l'accesso all'esercizio della propria volontà, al godimento sessuale in giovane età, e, dove esistono beni familiari comuni, al godimento di questi. L'attesa della morte del padre raggiunge, nel caso dell'erede al trono, un'intensità che sfiora la tragedia. Meno minacciati appaiono i rapporti tra padre e figlia, tra madre e figlio. Quest'ultimo offre gli esempi più puri di un affetto immutabile, non turbato da alcuna considerazione egoistica.
Perché parlo di queste cose che in fin dei conti sono luoghi comuni che tutti sanno? Perché esiste un'innegabile inclinazione a smentire che esse abbiano importanza nella vita e a spacciare per adempiuto, molto più di quanto realmente sia, l'ideale richiesto dalla società. Comunque è preferibile che sia lo psicologo a dire la verità e che questo compito non sia lasciato al cinico. D'altra parte la gente smentisce queste cose solo nella vita reale, mentre all'arte narrativa e drammatica è concesso servirsi della tematica che sorge dal turbamento di questo ideale.
In numerosissimi casi non abbiamo quindi di che meravigliarci se il sogno rivela il desiderio di eliminare i genitori, particolarmente il genitore dello stesso sesso. E' lecito supporre che tale desiderio sia presente anche nella vita vigile e talvolta sia addirittura cosciente, quando può mascherarsi sotto un altro motivo come, nel caso del nostro sognatore dell'esempio 3, sotto la compassione per l'inutile sofferenza del padre. Di rado l'ostilità domina il rapporto in modo esclusivo, molto più spesso essa recede dinanzi a impulsi più affettuosi, dai quali viene repressa, e deve attendere fino a che un sogno, per così dire, la isoli. Ciò che nel sogno, in seguito a questo isolamento, si mostra in proporzioni enormi torna poi a rimpicciolirsi quando è reinserito dalla nostra interpretazione nel contesto della vita (1). Troviamo però questo desiderio onirico anche là dove non ha alcun sostegno nella vita e dove l'adulto non è mai costretto ad ammetterlo nello stato vigile. Ciò dipende dal fatto che il motivo più profondo e più costante dell'estraniamento, specie tra le persone del medesimo sesso, si è fatto valere già nell'infanzia.
Mi riferisco alla competizione amorosa, con chiara accentuazione del carattere sessuale. Già da piccolo, il figlio comincia a sviluppare un'affettuosità particolare per la madre, che considera come cosa propria, e ad avvertire nel padre un rivale che gli contrasta questo possesso esclusivo; e, allo stesso modo, la figlioletta vede nella madre una persona che disturba il suo affettuoso rapporto con il padre e che tiene un posto che lei stessa potrebbe occupare molto bene. Apprendiamo dall'osservazione quanto sia precoce l'età cui risalgono questi atteggiamenti. Li designiamo col nome di "complesso edipico", perché la leggenda di Edipo realizza con un'attenuazione minima i due desideri estremi risultanti dalla situazione del figlio: uccidere il padre e prendere in moglie la madre. Non intendo sostenere che il complesso edipico esaurisca la relazione dei figli con i genitori; nulla di più facile che tale relazione sia molto più complicata.
Inoltre il complesso edipico può essere più o meno pronunciato e può addirittura essere rovesciato; ma è un fattore che compare regolarmente e ha una grande importanza nella vita psichica infantile; è maggiore il pericolo di sottovalutare il suo influsso e quello degli sviluppi che ne conseguono, che non di sopravvalutarlo. Del resto spesso i bambini reagiscono con l'atteggiamento edipico a una sollecitazione dei genitori, i quali, nella loro predilezione, si lasciano guidare abbastanza spesso dalla differenza di sesso, così che il padre preferisce la figlia, la madre il figlio, oppure, nel caso di cattiva riuscita del matrimonio, li prendono come sostituto dell'oggetto del loro amore, che ha perso il suo valore.
Non si può certo dire che il mondo sia stato riconoscente alla ricerca psicoanalitica per la scoperta del complesso edipico. Al contrario, questa ha suscitato la più violenta opposizione degli adulti, e certuni che avevano trascurato di partecipare al generale ripudio di questa relazione emotiva proscritta, o colpita da tabù, più tardi hanno riparato alla propria colpa sottraendo al complesso il suo valore per mezzo delle loro interpretazioni distorte. Secondo la mia immutata convinzione non c'è qui niente da smentire, niente da ammantare. C'è solo da familiarizzarsi con un fatto, che la stessa leggenda greca ha riconosciuto come nostro ineluttabile destino. E' interessante d'altronde che il complesso edipico, espulso dalla vita, sia stato lasciato alla poesia, messo per così dire a sua completa disposizione. Rank ha mostrato in uno studio accurato come proprio il complesso edipico abbia fornito all'arte drammatica una ricca tematica in infinite varianti, attenuazioni e travestimenti, ossia in quelle deformazioni che già conosciamo come opera della censura. Noi pertanto potremo attribuire questo complesso edipico anche a quei sognatori che sono stati così fortunati da sottrarsi ai conflitti coi propri genitori nella vita successiva. Intimamente legato a esso troviamo ciò che chiamiamo il COMPLESSO DI EVIRAZIONE, la reazione all'intimidazione sessuale o imbrigliamento dell'attività sessuale dell'infanzia, attribuiti al padre.
Indirizzati dalle indagini sinora condotte allo studio della vita psichica infantile, potremo ragionevolmente aspettarci di trovare colà anche la spiegazione dell'origine degli altri desideri onirici proibiti, cioè degli eccessivi impulsi sessuali.
Avvertiamo quindi l'urgenza di studiare anche lo sviluppo della vita sessuale infantile e apprendiamo da parecchie fonti quanto segue.
E' innanzitutto un errore insostenibile asserire che il bambino non ha una vita sessuale e supporre che la sessualità inizi soltanto al tempo della pubertà, con la maturazione dei genitali.
Al contrario, il bambino ha fin dall'inizio una ricca vita sessuale, che si differenzia in molti punti da quella ritenuta in seguito normale. Ciò che noi chiamiamo "perverso" nella vita degli adulti, si scosta dalla normalità nei seguenti punti: primo, per l'incuranza della barriera tra le specie (dell'abisso tra uomo e animale); secondo, per lo scavalcamento della barriera del disgusto; terzo, di quella dell'incesto (del divieto di ricercare soddisfacimento sessuale con stretti consanguinei); quarto, di quella dell'uguaglianza di sesso; e, quinto, per il trasferimento del ruolo dei genitali ad altri organi e parti del corpo. Tutte queste barriere non esistono fin dall'inizio, ma vengono erette solo a poco a poco nel corso dello sviluppo e dell'educazione. Il bambino piccolo ne è libero. Egli non conosce ancora il grande abisso tra uomo e animale; l'orgoglio con cui l'uomo si separa dall'animale cresce in lui solo più tardi. Inizialmente non mostra alcun disgusto di fronte agli escrementi, ma lo apprende lentamente, indottovi dall'educazione; non dà alcun particolare valore alla differenza tra i sessi, e attribuisce anzi ai due sessi la stessa conformazione dei genitali; rivolge le sue prime brame sessuali e la sua curiosità sulle persone a lui più vicine e, per altri motivi, più care: sui genitori, sui fratelli, su chi ha cura di lui; e infine si evidenzia in lui - ciò che più tardi proromperà di nuovo al culmine del rapporto amoroso - il fatto che egli non si aspetta piacere solo dalle parti sessuali, ma che molte altre parti del corpo reclamano per sé la medesima sensibilità, permettono analoghe sensazioni di piacere e possono quindi svolgere il ruolo di genitali. Il bambino può quindi venir definito "perverso polimorfo" e, se esercita tutti questi impulsi solo in forma rudimentale, ciò dipende, da una parte, dalla loro minor intensità rispetto a periodi successivi della vita, e dall'altra, dal fatto che l'educazione reprime subito energicamente tutte le manifestazioni sessuali del bambino. Questa repressione prosegue poi, per così dire, nella teoria, in quanto gli adulti si sforzano di non vedere una parte delle manifestazioni sessuali infantili e di spogliare le altre, travisandole, della loro natura sessuale fino al punto in cui riescono finalmente a sconfessare il tutto. Sono spesso le stesse persone che prima, stando con i bambini, infieriscono contro tutti i loro vizietti sessuali quelle che poi, a tavolino, ne difendono la purezza sessuale. Nel caso in cui siano lasciati a sé stessi, o sotto l'influenza di una seduzione, i bambini si esibiscono spesso in prestazioni notevolissime di attività sessuale perversa.
Naturalmente gli adulti hanno ragione a non prenderle sul serio, considerandole "bambinate" e "giochetti", perché il bambino non può essere ritenuto pienamente capace e responsabile né davanti al tribunale della morale né davanti alla legge; ma intanto queste cose esistono, hanno la loro importanza sia come indizi di costituzione innata, sia come cause e premesse di sviluppi successivi, ci danno informazioni sulla vita sessuale infantile e quindi sulla vita sessuale dell'uomo in genere. Se dunque dietro i nostri sogni deformati ritroviamo tutti questi impulsi di desideri perversi, ciò significa soltanto che il sogno ha compiuto anche in questo campo il cammino a ritroso verso la condizione infantile.
Un particolare rilievo meritano ancora, tra questi desideri proibiti, quelli incestuosi, cioè rivolti al rapporto sessuale con genitori e fratelli. Sapete quale ribrezzo venga provato, o perlomeno professato, nella società umana verso un rapporto simile, e come siano insistenti i divieti contro di esso. Si sono fatti gli sforzi più immani per spiegare questo orrore per l'incesto. Gli uni hanno supposto che si tratti di preveggenza della natura riguardo alla riproduzione, preveggenza che avrebbe trovato in questo divieto la propria rappresentanza psichica, dato che i contatti tra consanguinei peggiorerebbero i caratteri della razza; gli altri hanno sostenuto che, attraverso la convivenza fin dall'infanzia, le brame sessuali vengono distolte dalle persone in questione. In ambedue i casi, peraltro l'elusione dell'incesto sarebbe assicurata automaticamente e non si comprenderebbe perché siano necessarie severe proibizioni, che indicano piuttosto la presenza di un'intensa aspirazione ad attuarlo. Dalle ricerche psicoanalitiche è inequivocabilmente risultato che la scelta amorosa incestuosa si instaura invece per prima e invariabilmente, e che solo più tardi ha inizio contro di essa una resistenza, la cui derivazione dalla psicologia individuale è peraltro da respingere.
Riassumiamo quanto abbiamo ricavato per la comprensione del sogno dall'approfondimento della psicologia infantile. Non soltanto abbiamo trovato che il materiale delle esperienze infantili dimenticate è accessibile al sogno, ma abbiamo anche visto che la vita psichica del bambino, con tutte le sue peculiarità, il suo egoismo, la sua scelta amorosa incestuosa eccetera, continua a sussistere nel sogno, ossia nell'inconscio, e che il sogno ci riconduce ogni notte a questo stadio infantile. Ci viene così convalidato che ciò che nella vita psichica è inconscio è infantile. L'impressione così sconcertante, che ci sia nell'uomo tanta malvagità, comincia a venir meno. Questa spaventosa malvagità è semplicemente il tratto iniziale, primitivo, infantile, della vita psichica, che possiamo trovare operante nel bambino, ma che in lui in parte non notiamo per le sue piccole dimensioni, in parte non prendiamo sul serio perché non pretendiamo dal bambino alcuna elevatezza morale. Il sogno, regredendo a questo stadio, desta l'impressione di aver portato alla luce la malvagità che è in noi. Ma ci siamo lasciati spaventare da qualcosa che non è altro che un'ingannevole apparenza. Non siamo così cattivi come eravamo indotti a supporre dall'interpretazione dei sogni.
Se gli impulsi cattivi dei sogni sono soltanto infantilismi, sono cioè un ritorno agli inizi del nostro sviluppo etico (dal momento che il sogno ci rifà semplicemente bambini nel pensare e nel sentire), allora, a essere ragionevoli, non abbiamo bisogno di vergognarci di questi sogni cattivi. Ma l'essere ragionevoli costituisce una parte soltanto della vita psichica, al di là della quale accadono nella psiche ogni sorta di cose che non sono ragionevoli; e accade così che, irragionevolmente e nonostante tutto, ci vergogniamo di questi sogni. Li sottoponiamo alla censura onirica, ci vergogniamo e ci arrabbiamo se, eccezionalmente, uno di questi desideri è riuscito a penetrare nella coscienza in forma talmente inalterata che siamo obbligati a riconoscerlo; anzi, talvolta ci vergogniamo perfino dei sogni deformati proprio come se li comprendessimo. Pensate soltanto all'indignato giudizio di quella brava signora, piuttosto anziana, sul suo sogno non interpretato dei "servizi d'amore". Il problema non è dunque ancora risolto e rimane la possibilità che, occupandoci ulteriormente della malvagità del sogno, perveniamo a un altro giudizio e a un altro apprezzamento della natura umana.
Come risultato dell'intera indagine, atteniamoci a due punti fermi, i quali significano però soltanto l'inizio di nuovi enigmi e di nuovi dubbi. Primo: la regressione del lavoro onirico non è soltanto formale, ma anche materiale. Essa non solo traduce i nostri pensieri in una forma primitiva di espressione, ma risveglia anche la peculiarità della nostra vita psichica primitiva, l'antica strapotenza dell'Io, gli impulsi iniziali della nostra vita sessuale, e addirittura il nostro antico patrimonio intellettuale, se tale possiamo considerare la relazione simbolica. E, secondo: tutti questi antichi tratti infantili, che una volta erano dominanti, e i soli dominanti, dobbiamo oggi ascriverli all'inconscio, modificando e allargando le nostre rappresentazioni di esso. "Inconscio" non è più un nome che indica ciò che è latente in un determinato momento; l'inconscio è un particolare regno della psiche con impulsi di desiderio propri, con una propria forma espressiva e con propri caratteristici meccanismi psichici che non vigono altrove. I pensieri onirici latenti, che abbiamo scoperto attraverso l'interpretazione del sogno, non appartengono però a questo regno; sono piuttosto simili a quelli che avremmo potuto pensare anche nello stato di veglia. Eppure sono inconsci; come si risolve dunque questa contraddizione? Cominciamo a intuire che qui bisogna procedere a una distinzione. Qualcosa che ha origine dalla nostra vita cosciente e ne condivide i caratteri - noi lo chiamiamo " residui diurni"- si incontra, per formare il sogno, con qualcos'altro che proviene dal regno dell'inconscio di cui abbiamo parlato. Tra queste due componenti si effettua il lavoro onirico.
L'influsso esercitato sui residui diurni dal sopravvenire dell'inconscio implica certamente il determinarsi della regressione. E' questa l'intuizione più profonda circa la natura del sogno alla quale possiamo giungere qui, prima di aver esplorato altri campi psichici. Ma fra poco sarà tempo di applicare un altro nome al carattere inconscio dei pensieri onirici latenti, per distinguerlo dall'inconscio proveniente da quel regno dell'infantile.
Possiamo naturalmente sollevare anche la questione seguente: cosa obbliga l'attività psichica durante il sonno a effettuare questa regressione? perché non liquida in altro modo gli stimoli psichici che disturbano il sonno? e se, per i motivi propri della censura onirica, è costretta a servirsi del travestimento offerto dall'antica forma espressiva ora incomprensibile, a che le serve la reviviscenza di antichi impulsi psichici, di desideri e tratti del carattere ormai superati, ovverosia la regressione materiale che viene ad aggiungersi a quella formale? L'unica risposta che ci potrebbe soddisfare sarebbe che solo in tal modo può venir formato un sogno, che, dal punto di vista dinamico, l'abolizione dello stimolo del sogno non è possibile altrimenti. Ma per ora non abbiamo il diritto di dare una simile risposta.
NOTE:
Lezione 14 - L'APPAGAMENTO DI DESIDERIO
Signore e Signori, devo farvi presente ancora una volta il cammino che abbiamo finora percorso? Come, applicando la nostra tecnica, ci siamo imbattuti nella deformazione onirica, come dapprima abbiamo pensato di eluderla, e come abbiamo ricavato le informazioni decisive sulla natura del sogno dai sogni infantili?
Come, dopo di ciò, armati dei risultati di questa indagine, abbiamo affrontato direttamente la deformazione onirica e, spero, siamo riusciti a poco a poco a superarla? Ora però dobbiamo dire a noi stessi che quanto abbiamo scoperto per una via non concorda completamente con quanto abbiamo scoperto per l'altra. Diventa nostro compito mettere insieme e conciliare tra loro i due risultati.
Da ambedue i lati ci è risultato che il lavoro onirico consiste essenzialmente nella trasposizione dei pensieri in una esperienza allucinatoria. Come ciò possa avvenire è abbastanza misterioso, ma si tratta di un problema della psicologia generale di cui non dobbiamo occuparci qui. Dai sogni infantili abbiamo appreso che il lavoro onirico si propone di eliminare uno stimolo psichico che disturba il sonno mediante l'appagamento di un desiderio. Non potevamo dire nulla di simile a proposito dei sogni deformati, se prima non scoprivamo il modo di interpretarli; comunque fin dall'inizio ci attendevamo di riuscire a vedere i sogni deformati dallo stesso angolo visuale di quelli infantili. La prima conferma di tale aspettativa ci venne dalla scoperta che in realtà tutti i sogni sono... sogni di bambini, lavorano con materiale infantile, con impulsi psichici e meccanismi infantili. Adesso che riteniamo di aver superato la deformazione onirica, dobbiamo proseguire nell'indagine se la concezione dei sogni come appagamenti di desideri abbia validità anche per i sogni deformati.
Poco fa abbiamo sottoposto a interpretazione una serie di sogni, lasciando però completamente da parte l'appagamento di desiderio.
Sono convinto che già più volte vi si è posto il problema: "Ma dov'è l'appagamento di desiderio, che si pretende sia lo scopo del lavoro onirico?". Questa domanda è importante; è diventata infatti la domanda dei profani che ci criticano. Come sapete, l'umanità ha una tendenza istintiva a difendersi dalle novità intellettuali.
Fra le manifestazioni di questa tendenza rientra quella di ridurre la novità alle minime dimensioni, possibilmente comprimendola in una frase a effetto. Per quanto riguarda la nuova teoria del sogno, l"'appagamento di desiderio" si è prestato a diventare tale frase a effetto. Il profano pone la domanda: "Dov'è l'appagamento di desiderio?" non appena ha udito che il sogno deve essere l'appagamento di un desiderio, e già mentre la pone vi risponde con un rifiuto. Gli vengono subito in mente innumerevoli esperienze oniriche proprie in cui al sogno erano connessi sentimenti che andavano dal dispiacere fino a forme di grave angoscia, talché l'affermazione della teoria psicoanalitica del sogno gli appare oltremodo inverosimile. Ci è facile rispondergli che nei sogni deformati l'appagamento di desiderio non può essere palese, ma deve ancora essere cercato e non può quindi essere indicato prima che il sogno sia interpretato. Sappiamo anche che i desideri di questi sogni deformati sono desideri proibiti, respinti dalla censura e che la loro esistenza è stata appunto la causa della deformazione onirica, il motivo dell'intervento della censura. Ma è difficile far comprendere al critico profano che non è lecito indagare sull'appagamento di desiderio prima dell'interpretazione del sogno. Egli continuerà a dimenticarlo. Il suo atteggiamento di rifiuto nei confronti della teoria dell'appagamento di desiderio non è altro, in effetti, che una conseguenza della censura onirica, un sostituto e una emanazione del suo rifiuto di questi desideri onirici censurati.
Naturalmente anche noi sentiamo il bisogno di chiarirci il perché esistano tanti sogni con un contenuto penoso e, in special modo, perché esistano i sogni d'angoscia. Qui ci imbattiamo per la prima volta nel problema degli affetti nel sogno, il quale meriterebbe uno studio a sé stante, che purtroppo non possiamo affrontare. Se il sogno è l'appagamento di un desiderio, dovrebbero essere impossibili nel sogno sensazioni penose; in questo la critica dei profani sembra cogliere nel segno. Ci sono però tre generi di complicazioni da prendere in esame, alle quali costoro non hanno pensato.
Primo: può essere che il lavoro onirico non sia riuscito in pieno a realizzare l'appagamento di un desiderio, così che una parte dell'affetto penoso dei pensieri onirici permane nel sogno manifesto. L'analisi dovrebbe allora dimostrare che questi pensieri onirici erano di gran lunga più penosi del sogno configuratosi a partire da essi. E questo riusciamo a dimostrarlo sempre. In questi casi ammettiamo comunque che il lavoro onirico non ha raggiunto il suo scopo, così come il sogno di bere, formato sotto lo stimolo della sete, non raggiunge il suo intento di spegnere la sete. Si rimane assetati e, per bere, bisogna svegliarsi. Eppure quello era un vero e proprio sogno, che non aveva perso nulla della sua natura. Dobbiamo dire: "Ut desint vires, tamen est laudanda voluntas" ["Benché manchino le forze, tuttavia la volontà è da lodare"]. Perlomeno l'intenzione, chiaramente riconoscibile, rimane lodevole. Tali casi di insuccesso non sono rari. A ciò contribuisce il fatto che al lavoro onirico riesce molto più difficile modificare il significato degli affetti di un sogno che non quello del suo contenuto; gli affetti sono talvolta molto tenaci. Accade dunque che il lavoro onirico trasformi il CONTENUTO penoso dei pensieri onirici in un appagamento di desiderio, mentre l'AFFETTO penoso persiste inalterato. In tali sogni l'affetto non è quindi per nulla adeguato al contenuto, e i nostri critici possono dire che il sogno è tanto poco l'appagamento di un desiderio che in esso persino un contenuto innocuo può venire percepito come penoso.
Contro questa osservazione irragionevole obietteremo che proprio in tali sogni la tendenza del lavoro onirico all'appagamento di desiderio viene in luce nel modo più chiaro, perché isolata.
L'errore sorge dal fatto che chi non conosce la nevrosi immagina il nesso fra contenuto e affetto come troppo intimo, e quindi non può concepire che un contenuto venga modificato senza che venga contemporaneamente modificata l'espressione affettiva che gli compete.
Un secondo fattore, assai più rilevante e penetrante, ma ugualmente trascurato dai profani è il seguente. L'appagamento di un desiderio dovrebbe di certo recar piacere ma, ci si chiede, a chi? Naturalmente, a colui che prova il desiderio. Sappiamo però che il sognatore intrattiene coi propri desideri un rapporto del tutto speciale. Li rigetta, li censura, in breve non li vuole. Un loro appagamento può quindi non arrecargli alcun piacere, bensì soltanto il contrario del piacere. E l'esperienza c'insegna che questo contrario - il quale dev'essere ancora spiegato - compare in forma di angoscia. Il sognatore può dunque essere paragonato, nel suo rapporto coi propri desideri onirici, soltanto alla somma di due persone, congiunte tuttavia fra loro da molti elementi comuni. Al posto di ulteriori argomentazioni, vi racconterò una nota fiaba, nella quale si ritrovano le medesime relazioni. Una buona fata promette a due poveri, marito e moglie, l'esaudimento dei loro primi tre desideri. Beati, essi si propongono di sceglierli accuratamente. Ma la donna si lascia indurre, dall'odore di salsicce arrostite che viene dalla capanna vicina, a desiderarne un paio per sé. Eccole lì all'istante. Il primo desiderio è esaudito. L'uomo si incollerisce e nell'esasperazione desidera che le salsicce pendano dal naso della moglie. Anche questo desiderio si compie e non si riesce a togliere le salsicce dalla loro nuova posizione; questo è il secondo desiderio appagato, ma è il desiderio dell'uomo, ed esso riesce assai sgradito alla donna. Voi sapete come continua la favola: dato che dopotutto i due sono una cosa sola, marito e moglie, il terzo desiderio dev'essere che le salsicce se ne vadano dal naso della donna. Questa fiaba potrebbe essere usata in molti altri contesti; in questo caso ci serve soltanto a illustrare la possibilità che l'appagamento del desiderio di una persona conduca allo scontento dell'altra, se le due non sono d'accordo fra loro.
Non ci sarà ora difficile pervenire a una comprensione ancora migliore dei sogni d'angoscia. Ci avvarremo ancora di un'unica osservazione e ci risolveremo poi a un'ipotesi, in favore della quale depongono parecchi elementi. L'osservazione è che spesso i sogni d'angoscia hanno un contenuto completamente esente da deformazione, un contenuto che è, per così dire, sfuggito alla censura. Il sogno d'angoscia è spesso lo scoperto appagamento di un desiderio, naturalmente non di un desiderio accettato, ma di un desiderio respinto. Al posto della censura è subentrata l'angoscia. Mentre del sogno infantile si può dire che è l'aperto appagamento di un desiderio ammesso, e del comune sogno deformato che è l'appagamento camuffato di un desiderio rimosso, al sogno d'angoscia si adatta soltanto la formula che è l'aperto appagamento di un desiderio rimosso. L'angoscia è l'indizio che il desiderio rimosso si è mostrato più forte della censura, che il desiderio ha imposto, o era in procinto di imporre, il proprio appagamento contro la censura. Comprendiamo che ciò che per il desiderio è appagamento, per noi, che stiamo dalla parte della censura onirica, può essere solo occasione di sensazioni penose e di difesa. L'angoscia che in tal caso penetra nel sogno è, se così volete, angoscia di fronte alla forza di questi desideri solitamente tenuti a freno. Perché questa difesa si presenti sotto forma di angoscia, è cosa che non può essere scoperta soltanto dallo studio del sogno; bisognerà evidentemente studiare l'angoscia altrove.
Ciò che è valido per i sogni d'angoscia non deformati può essere ammesso anche per quei sogni che hanno subìto una parziale deformazione, e per gli altri sogni spiacevoli, le cui sensazioni penose corrispondono probabilmente al fatto che ci si avvicina all'angoscia. Comunemente il sogno d'angoscia è anche un sogno di risveglio; noi siamo soliti interrompere il sonno prima che il desiderio rimosso che è nel sogno abbia imposto il suo pieno appagamento contro la censura. In questo caso la funzione del sogno è fallita, ma non per questo la sua natura è mutata. Abbiamo paragonato il sogno al guardiano notturno o al custode del sonno, che vuol proteggere quest'ultimo da ogni elemento di disturbo. Ma anche il guardiano notturno si trova nella situazione di dover svegliare i dormienti quando si sente troppo debole per scacciare da solo la perturbazione o il pericolo. Tuttavia talvolta riusciamo a preservare il sonno, anche se il sogno comincia a diventare precario e a volgersi in angoscia. Ci diciamo nel sonno:
"in fondo è soltanto un sogno", e continuiamo a dormire.
Quando dovrebbe accadere che il desiderio onirico si trova nella situazione di sopraffare la censura? La condizione necessaria può essere adempiuta tanto da parte del desiderio onirico quanto da parte della censura onirica. Può essere che talvolta, per cause sconosciute, il desiderio divenga eccessivamente intenso; ma si ha l'impressione che più spesso sia il comportamento della censura onirica a provocare lo spostamento del rapporto di forza. Abbiamo già visto che la censura opera con intensità diversa in ogni singolo caso, tratta ogni elemento con un diverso grado di severità; ora vorremmo aggiungere l'ipotesi che essa sia molto variabile in generale e non usi sempre lo stesso rigore contro il medesimo elemento intollerabile. Se le cose giungono al punto che la censura si sente impotente di fronte a un desiderio onirico che minaccia di sopraffarla, allora essa si serve, al posto della deformazione, dell'ultimo mezzo che le rimane: rinunciare allo stato di sonno, generando angoscia.
A questo punto ci accorgiamo di non sapere ancora perché questi desideri malvagi e ripudiati si attivino proprio nottetempo, per disturbarci quando dormiamo. La risposta non potrà essere che un'ipotesi, la quale si rifaccia alla natura dello stato di sonno.
Durante il giorno grava su questi desideri il duro peso di una censura che, di solito, rende loro impossibile manifestarsi attraverso una qualsiasi forma di attività. Di notte questa censura, come tutti gli altri interessi della vita psichica, viene presumibilmente ritirata, o perlomeno potentemente attenuata, in favore dell'unico desiderio di dormire. Dunque questa riduzione della censura durante la notte fa sì che i desideri proibiti possano riattivarsi. Ci sono nervosi insonni, i quali ci confessano che all'inizio la loro insonnia era voluta. Non osavano addormentarsi perché temevano i loro sogni, cioè le conseguenze di questa attenuazione della censura. Tuttavia comprenderete facilmente che tale ritiro della censura non significa una grossolana imprudenza. Lo stato di sonno paralizza la nostra motilità; anche se le nostre cattive intenzioni cominciano ad agitarsi, non possono tuttavia produrre altro che un sogno, il quale è innocuo dal punto di vista pratico. A questo tranquillizzante stato di cose si richiama la ragionevolissima osservazione del dormiente, fatta da lui di notte ma non appartenente alla vita onirica: "E' solo un sogno. Lasciamolo fare e continuiamo a dormire".
In terzo luogo, se rammentate la concezione che il sognatore in lotta contro i propri desideri è paragonabile alla somma di due persone distinte ma in certo modo intimamente congiunte, comprenderete che è possibile un'altra soluzione, e cioè che attraverso un appagamento di desiderio, si realizzi qualcosa di molto spiacevole, ossia una punizione. Per illustrare questo punto torna ancora utile la favola dei tre desideri: il piatto di salsicce arrostite sono il diretto appagamento del desiderio della prima persona della moglie; le salsicce appese al naso sono l'appagamento del desiderio della seconda persona, del marito, ma contemporaneamente anche la punizione per lo stolto desiderio della moglie. (Nelle nevrosi ritroveremo poi la motivazione del terzo desiderio, l'ultimo espresso nella favola). Di tali tendenze alla punizione ce ne sono molte nella vita psichica; sono fortissime, e possiamo ritenerle responsabili di una parte dei sogni penosi. Forse ora direte che in questo modo non rimane gran che del famoso appagamento di desiderio. Ma, riflettendo bene, ammetterete di aver torto. Di fronte alla quantità di cose - di cui in seguito faremo menzione- che il sogno potrebbe essere (e in effetti è, secondo alcuni autori) la nostra soluzione "appagamento di desiderio - appagamento d'angoscia - appagamento di punizione" è molto ristretta. A ciò si aggiunga che l'angoscia è il diretto contrario del desiderio, che i contrari si trovano particolarmente vicini tra loro nell'associazione e, come abbiamo visto, coincidono nell'inconscio; inoltre, che anche la punizione è un appagamento di desiderio, il desiderio dell'altra persona, quella che esercita la censura.
In complesso dunque non ho fatto concessioni alla vostra obiezione contro la teoria dell'appagamento di desiderio. Ci tocca però ancora dimostrare l'appagamento di desiderio in un qualsiasi sogno deformato, e non intendiamo certamente sottrarci a questo compito.
Rifacciamoci a quel sogno, già interpretato, dei tre biglietti teatrali per 1 fiorino e 50, dal quale abbiamo già imparato parecchie cose. Spero che ve lo ricorderete ancora. Una signora, alla quale il marito ha comunicato durante il giorno che la sua amica Elise, più giovane di lei di soli tre mesi, si è fidanzata, sogna di essere a teatro con il marito. Un lato della platea è quasi vuoto. Il marito le dice che anche Elise e il suo fidanzato avrebbero voluto recarsi a teatro, ma non era stato loro possibile perché avevano trovato solo brutti posti (tre per 1 fiorino e 50).
Lei è del parere che non sarebbe poi stata una disgrazia. Avevamo arguito che i pensieri onirici si riferivano al dispetto di essersi sposata così presto e al malcontento verso il marito.
Siamo ora curiosi di sapere come questi foschi pensieri siano stati trasformati nell'appagamento di un desiderio, e dove si trovi traccia di questo nel contenuto manifesto. Ora, sappiamo già che l'elemento "troppo presto, precipitosamente" è stato eliminato nel sogno dalla censura. La platea vuota ne è un'allusione.
L'enigmatico "tre per 1 fiorino a 50" ci diventa ora meglio comprensibile con l'aiuto del simbolismo, che nel frattempo abbiamo imparato (1). Il "3" significa effettivamente un uomo, e l'elemento manifesto è facilmente traducibile: comprarsi un uomo con la dote ("Con la mia dote avrei potuto comprarmene uno dieci volte migliore"). Lo sposarsi è chiaramente sostituito dall'andare a teatro. L'acquistare troppo presto i biglietti sta direttamente al posto dello sposarsi troppo presto. Questa sostituzione, tuttavia, è operata dall'appagamento di desiderio. La nostra sognatrice non era sempre stata così scontenta di essersi sposata per tempo, come lo era il giorno in cui ricevette la notizia del fidanzamento della sua amica. Un tempo ne era stata orgogliosa e si sentiva privilegiata rispetto all'amica. Tutti sanno che le fanciulle ingenue dopo il fidanzamento spesso rivelano la loro gioia di poter di lì a poco recarsi a teatro, a tutti gli spettacoli fino allora proibiti, felici di poter vedere ogni cosa.
Il piacere di guardare, o curiosità, che qui emerge, era all'inizio certamente un desiderio sessuale di guardare, un desiderio rivolto alla vita sessuale, specialmente dei genitori, divenuto poi un forte motivo che spinge le fanciulle a sposarsi precocemente. In tal modo l'andata a teatro diviene un'ovvia sostituzione allusiva dell'essere sposata. Nell'attuale dispetto per essersi sposata così presto, la sognatrice si rifà quindi a quel tempo in cui il matrimonio precoce era stato per lei un appagamento di desiderio giacché soddisfaceva la sua curiosità; e, spinta da questo antico impulso di desiderio, sostituisce ora lo sposarsi con l'andare a teatro.
Non credo di essere andato a scegliere proprio l'esempio più comodo per dimostrare un appagamento di desiderio nascosto. Con altri sogni deformati dovremmo procedere in modo analogo. Questo non posso farlo ora di fronte a voi e mi limito a esprimere la convinzione che comunque ci riusciremmo. Voglio però soffermarmi ancora un po' su questo punto teorico. L'esperienza mi ha insegnato che è uno dei più controversi dell'intera teoria del sogno e che a esso si collegano molte obiezioni e fraintendimenti.
Inoltre, forse sarete ancora sotto l'impressione che dichiarando che il sogno è un desiderio appagato o il suo contrario, ossia un'angoscia o una punizione realizzata, io abbia ritrattato una parte della mia asserzione, e penserete che sia questa l'occasione per costringermi ad avanzare altre riserve. Mi sono anche sentito rimproverare di esporre troppo concisamente, e quindi in modo non abbastanza convincente, cose che a me appaiono evidenti.
Accade sovente che chi ci ha accompagnati fin qui nell'interpretazione dei sogni e ha accettato tutto quanto essa ha finora comportato, di fronte all'appagamento di desiderio si fermi e domandi: "Ammesso che il sogno abbia sempre un senso e che questo senso possa venire scoperto con la tecnica psicoanalitica, perché questo senso, a dispetto di ogni evidenza, deve venir continuamente compresso nella formula dell'appagamento di desiderio? Perché il significato di questi pensieri notturni non deve poter essere altrettanto vario di quello dei pensieri diurni, e quindi il sogno corrispondere una volta a un desiderio appagato, un'altra, come Lei stesso dice, alla cosa opposta, a un timore realizzato, ma allora continuando- non deve poter anche esprimere un proposito, un avvertimento, una riflessione con i relativi pro e contro, oppure un rimprovero, un ammonimento della coscienza, un tentativo di prepararsi per un'azione imminente eccetera? Perché proprio sempre e soltanto un desiderio, o tutt'al più il suo contrario?".
Si potrebbe pensare che una divergenza su questo punto non sia importante, se si è d'accordo sul resto; basta che abbiamo trovato il senso del sogno e il modo per riconoscerlo, mentre passa in seconda linea il fatto che abbiamo dovuto determinare questo senso in modo troppo ristretto. Ma non è così. Un fraintendimento su questo punto tocca l'essenza delle nostre scoperte sul sogno e ne mette in pericolo il valore per la comprensione della nevrosi.
Inoltre quel venire a un accomodamento, che nella vita commerciale viene lodato come disponibilità alla trattativa, negli affari della scienza è fuori luogo e più che altro dannoso.
La mia prima risposta alla domanda perché il sogno non debba avere una molteplicità di significati nel senso accennato è, come abitualmente in questi casi: "Non so perché non debba averli. Io non avrei niente in contrario. Per quanto mi riguarda potrebbe anche darsi. C'è però un piccolo particolare che si oppone a questa più ampia e più comoda concezione del sogno: che in realtà le cose non stanno così". La mia seconda risposta sottolineerà il fatto che l'ipotesi che il sogno corrisponda a molteplici forme di pensiero e operazioni intellettuali non mi è estranea. In un caso clinico ho riferito un sogno che comparve per tre notti di seguito e poi mai più, e ho spiegato questo comportamento con il fatto che il sogno corrispondeva a un proposito che non ebbe bisogno di ripresentarsi dopo che fu eseguito. Successivamente ho pubblicato un sogno che corrispondeva a una ammissione. Come posso dunque contraddirmi e affermare che il sogno è sempre e soltanto un desiderio appagato?
Lo faccio perché non voglio permettere uno sciocco malinteso, che può costarci il frutto dei nostri sforzi intorno al sogno, un malinteso che scambia il sogno con i pensieri onirici latenti e riferisce al primo ciò che appartiene unicamente e soltanto ai secondi. E' infatti giustissimo che il sogno possa supplire a tutto ciò che poco fa abbiamo enumerato e possa venir sostituito da un proposito, un avvertimento, una riflessione, una preparazione, un tentativo di soluzione di un problema eccetera.
Ma se osservate veramente, vedete subito che tutto questo vale soltanto per i pensieri onirici latenti, dalla cui trasformazione scaturisce il sogno. Dalle interpretazioni dei sogni apprendete che il pensiero inconscio degli uomini si occupa di tali propositi, preparazioni, riflessioni eccetera, con cui poi il lavoro onirico costruisce i sogni. Se per il momento non vi interessa il lavoro onirico ma soltanto l'inconscia attività di pensiero dell'uomo, allora potete eliminare il lavoro onirico e dire del sogno - ciò che praticamente è del tutto esatto - che esso corrisponde a un avvertimento, a un proposito, e via dicendo.
Durante il lavoro psicoanalitico capita spesso di aspirare soltanto a distruggere la forma del sogno, e a inserire in sua vece nel contesto i pensieri latenti, dai quali il sogno è scaturito.
Così, del tutto incidentalmente, dall'esame dei pensieri onirici latenti, apprendiamo che tutti quegli atti psichici altamente complicati che abbiamo menzionato possono aver luogo inconsciamente: è un risultato grandioso, ma anche sconcertante.
Comunque, tornando alla vostra domanda, avete ragione soltanto se vi rendete conto di aver usato una forma di discorso abbreviata e se non ritenete che la molteplicità di cui parlate vada ascritta a ciò che nel sogno è essenziale. Quando si parla del "sogno", si deve intendere o il sogno manifesto, cioè il prodotto del lavoro onirico, oppure tutt'al più il lavoro onirico stesso, cioè quel processo psichico che dai pensieri onirici latenti forma il sogno manifesto. Ogni altro uso della parola è un modo di confondere i concetti che può solo causare guai. Se con le vostre asserzioni mirate ai pensieri latenti che stanno dietro il sogno, allora ditelo direttamente, senza oscurare il problema del sogno con un modo di espressione che è vago. I pensieri onirici latenti sono il materiale che il lavoro onirico trasforma in sogno manifesto.
Perché volete assolutamente confondere il materiale con il lavoro che lo modella? Che vantaggio avete rispetto a coloro che conoscevano soltanto il prodotto del lavoro e non sapevano spiegarsi di dove venisse e in che modo fosse fatto?
L'unica cosa essenziale nel sogno è il lavoro onirico che ha operato sul materiale ideativo. Non abbiamo alcun diritto di non tenerne conto nella teoria, anche se in certe situazioni pratiche possiamo trascurarlo. L'osservazione analitica mostra anche che il lavoro onirico non si limita mai a tradurre questi pensieri nella forma espressiva arcaica o regressiva a voi nota. Vi aggiunge sempre qualcosa che non appartiene ai pensieri latenti del giorno precedente, ma che è il vero e proprio motore della formazione del sogno. Questa indispensabile aggiunta è il desiderio, ugualmente inconscio, per il cui appagamento il contenuto del sogno viene rimodellato. Finché prendete in considerazione i pensieri cui supplisce, il sogno può essere qualsiasi cosa, ammonimento, proposito, preparazione e così via; ma esso è anche sempre l'appagamento di un desiderio inconscio, ed è soltanto questo se lo considerate come risultato del lavoro onirico. Quindi un sogno non è mai semplicemente un proposito, un ammonimento, ma sempre un proposito e così via, che con l'ausilio di un desiderio inconscio è stato tradotto nella forma espressiva arcaica e rimodellato per l'appagamento di questo desiderio. Un carattere, l'appagamento di desiderio, è costante; l'altro può variare; nulla vieta che sia anch'esso un desiderio, e in tal caso il sogno rappresenta come appagato un desiderio latente del giorno precedente, per mezzo di un desiderio inconscio.
A me tutto questo è chiaro, ma non so se sono riuscito a renderlo chiaro anche a voi. Mi è anche difficile dimostrarvelo. Da una parte ciò non è possibile senza l'accurata analisi di molti sogni e, dall'altra, questo delicatissimo e importantissimo punto della nostra concezione del sogno non può essere esposto in modo convincente senza far riferimento ad argomenti successivi.
D'altronde vi pare concepibile che, data l'intima connessione che esiste tra tutte le cose, si possa penetrare a fondo la natura di un fenomeno senza essersi occupati di altri fenomeni di natura simile? Poiché non sappiamo ancora niente dei parenti prossimi del sogno, dei sintomi nevrotici, dobbiamo ancora una volta accontentarci dei risultati raggiunti. Voglio soltanto illustrarvi ancora un esempio e fare un'ultima considerazione.
Riprendiamo quel sogno al quale ci siamo rifatti già varie volte, il sogno dei tre biglietti di teatro per 1 fiorino e 50. Posso assicurarvi che all'inizio l'ho preso come esempio senza alcuna particolare intenzione. I pensieri onirici latenti li conoscete.
Dispetto, per essersi sposata così in fretta, alla notizia che la sua amica si è fidanzata soltanto adesso; svalutazione del proprio marito; idea che ne avrebbe trovato uno migliore se solo avesse aspettato. Conosciamo già anche il desiderio che da questi pensieri ha fatto nascere un sogno: la voglia di guardare, di potersi recare a teatro, molto probabilmente una derivazione dell'antica curiosità di conoscere una buona volta che cosa succede quando si è sposati. E' noto che nei bambini questa curiosità si rivolge sempre alla vita sessuale dei genitori; è quindi una curiosità infantile e, qualora sussista anche più tardi, si tratta di un moto pulsionale che affonda le sue radici nell'infanzia. Tuttavia la notizia del giorno non ha dato in alcun modo adito al risveglio di questo desiderio di guardare, ma soltanto al dispetto e al rincrescimento. L'impulso di desiderio non faceva inizialmente parte dei pensieri onirici latenti, e noi potemmo inserire nell'analisi il risultato dell'interpretazione del sogno senza curarci di questo impulso. Il dispetto non era di per sé capace di creare un sogno; un sogno non poteva sorgere dai pensieri del tipo "è stato assurdo sposarmi così presto", prima che da essi fosse stato risvegliato l'antico desiderio di poter vedere una buona volta che cosa succede nel matrimonio. Questo desiderio modellò dunque il contenuto del sogno, sostituendo lo sposarsi con l'andare a teatro, e gli diede la forma di adempimento di un desiderio più antico: "Vedi, posso andare a teatro e vedere tutte le cose proibite, e tu non puoi; io sono sposata e tu devi aspettare". In tal modo la situazione attuale venne mutata nel suo contrario, un vecchio trionfo venne messo al posto della recente sconfitta. E, incidentalmente, il soddisfacimento del piacere di guardare venne fuso con il soddisfacimento di un egoistico senso di competizione. Questo soddisfacimento determina ora il contenuto onirico manifesto, secondo il quale essa è realmente a teatro, mentre l'amica non ha potuto avervi accesso. A questa situazione di soddisfacimento si sovrappongono, modificate malamente e incomprensibili, quelle parti del contenuto onirico dietro cui si celano ancora i pensieri onirici latenti. L'interpretazione del sogno deve prescindere da tutto ciò che serve a raffigurare l'appagamento del desiderio e deve ricostruire partendo da quelle allusioni, i penosi pensieri onirici latenti.
L'ultima considerazione che vi presento intende far sì che la vostra attenzione si concentri sui pensieri onirici latenti messi testé in primo piano. Vi prego di non dimenticare che essi, per prima cosa, sono inconsci al sognatore, in secondo luogo, che sono pienamente sensati e coerenti per cui possono venire concepiti come comprensibili reazioni allo spunto del sogno; e, in terzo luogo, che possono avere il valore di un impulso psichico o di un'operazione intellettuale qualsivoglia. Darò ora a questi pensieri un nome più restrittivo che in precedenza, chiamandoli "residui diurni", sia che il sognatore ammetta di averli sia che invece non lo ammetta. Distinguo pertanto tra residui diurni e pensieri onirici latenti, designando, in conformità con il nostro uso di prima, come pensieri onirici latenti tutto ciò che apprendiamo durante l'interpretazione del sogno, mentre i residui diurni costituiscono soltanto una parte dei pensieri onirici latenti. La nostra concezione è appunto che ai residui diurni si sia aggiunto qualcosa, qualcosa che pure apparteneva all'inconscio, un forte, ma rimosso impulso di desiderio, il quale soltanto ha reso possibile la formazione del sogno. L'influenza di questo impulso di desiderio sui residui diurni crea l'altra parte dei pensieri onirici latenti, quella che non ha più bisogno di apparire razionale e comprensibile in base alla vita vigile.
Per il rapporto fra i residui diurni e il desiderio inconscio mi sono servito di un paragone che qui non posso che ripetere. In ogni impresa occorre un capitalista che sostenga le spese, e un imprenditore che abbia l'idea e sappia realizzarla. Per la formazione del sogno la parte del capitalista è sostenuta sempre e soltanto dal desiderio inconscio; esso fornisce l'energia psichica per la formazione del sogno; l'imprenditore è il residuo diurno, che decide circa l'impiego di queste spese. Ora, può darsi che il capitalista stesso abbia l'idea e la cognizione di causa, o che lo stesso imprenditore possieda il capitale. Questo semplifica la situazione pratica, ma ne complica la comprensione teorica.
Nell'economia politica si continuerebbe a scomporre l'unica persona nei suoi due aspetti, il capitalista e l'imprenditore, e a ricostituire in tal modo la situazione fondamentale, dalla quale il nostro paragone ha preso le mosse. Nella formazione del sogno si presentano le medesime variazioni; lascio a voi l'incombenza di perseguirle ulteriormente.
Non possiamo qui proseguire oltre, poiché voi siete probabilmente già da lungo tempo turbati da una perplessità che merita di venire ascoltata. "I desideri diurni - chiederete sono davvero inconsci nello stesso senso del desiderio inconscio che deve sopravvenire per renderli capaci di produrre il sogno?". Il vostro sospetto è fondato. Qui sta il punto saliente di tutta la questione. Non sono inconsci nello stesso senso. Il desiderio onirico appartiene a un altro inconscio, a quello che abbiamo riconosciuto essere di origine infantile, dotato di particolari meccanismi. Sarebbe altamente opportuno distinguere tra loro queste due forme di inconscio con denominazioni diverse, ma preferiamo attendere finché ci saremo familiarizzati con il campo dei fenomeni nevrotici. Già ci viene rimproverato come frutto di fantasia un solo inconscio: che cosa si dirà se ammettiamo di non poter fare a meno di due specie di inconscio?
Fermiamoci qui. Ancora una volta avete ascoltato soltanto un'esposizione incompleta; ma non vi pare di buon auspicio l'idea che tutto ciò abbia una continuazione che o noi stessi o altri dopo di noi porteranno alla luce? E non abbiamo noi stessi appreso un numero sufficiente di cose nuove e sorprendenti?
NOTE:
Lezione 15 - INCERTEZZE E CRITICHE
Signore e Signori, non lasceremo il campo del sogno senza trattare i dubbi e le incertezze più comuni che si riallacciano alle novità e alle concezioni finora enunciate. Gli ascoltatori più attenti che si trovano fra voi avranno già raccolto entro di sé un bel po' di materiale a questo proposito.
1. Può esservi rimasta l'impressione che i risultati del nostro lavoro interpretativo sul sogno, per quanto correttamente sia stata seguita la tecnica, ammettano un numero tale di indeterminazioni da impedire la traduzione sicura del sogno manifesto nei pensieri onirici latenti. A sostegno di ciò addurrete il fatto che, in primo luogo, non si sa mai se un determinato elemento del sogno debba essere inteso nel suo senso proprio oppure simbolicamente, poiché le cose usate come simboli non cessano per questo di essere sé stesse. E, se non si ha alcun sostegno oggettivo per dirimere questa questione, l'interpretazione rimane affidata all'arbitrio dell'interprete del sogno. Inoltre, siccome nel lavoro onirico gli opposti coincidono, rimane sempre imprecisato se un certo elemento onirico debba venir inteso in senso positivo oppure negativo, come sé stesso o come il suo contrario; e questa è una nuova occasione per l'interprete di esercitare il suo arbitrio. In terzo luogo, a causa delle inversioni di ogni specie così care al sogno, l'interprete è libero di intraprendere una simile inversione in qualsiasi punto del sogno. Infine, sosterrete di aver udito che raramente si è sicuri che l'interpretazione del sogno trovata sia l'unica possibile. Si corre il pericolo di trascurare una sovrainterpretazione, peraltro plausibilissima, dello stesso sogno. Stando così le cose - concluderete all'arbitrio dell'interprete resta un margine la cui ampiezza appare incompatibile con l'obiettiva sicurezza dei risultati. Oppure, potete anche supporre che il difetto non risieda nel sogno, bensì che le insufficienze della nostra interpretazione dei sogni siano riconducibili a inesattezze insite nelle nostre concezioni e premesse.
Tutti i vostri argomenti sono ineccepibili, ma non credo che giustifichino le vostre conclusioni, sia quando sostenete che l'interpretazione dei sogni, quale noi l'esercitiamo, è lasciata in balìa dell'arbitrio, sia quando dite che le deficienze dei risultati pongono in questione la legittimità del nostro procedimento. Se al posto dell'arbitrio dell'interprete mettete la sua abilità, la sua esperienza, la sua comprensione, allora vi darò ragione. Tale fattore personale è inevitabile, specialmente in problemi interpretativi piuttosto difficili. Le cose non stanno però diversamente nelle altre discipline scientifiche. Non c'è alcun mezzo per impedire che uno applichi peggio di un altro, o sfrutti meglio, una certa tecnica. Del resto, l'impressione di arbitrarietà, che suscita per esempio l'interpretazione dei simboli, scompare se si tiene conto del fatto che normalmente l'interconnessione dei pensieri onirici, quella del sogno con la vita del sognatore, e la situazione psichica complessiva nella quale il sogno si inserisce, implicano la scelta di una delle interpretazioni possibili e respingono le altre come inservibili.
D'altra parte, se dalle imperfezioni dell'interpretazione del sogno si deduce che le nostre ipotesi sono inesatte, tale inferenza viene invalidata dall'osservazione che, al contrario, la pluralità di significati o indeterminatezza del sogno costituisce propriamente una delle sue caratteristiche necessarie e prevedibili.
Ricordiamoci di aver detto che il lavoro onirico compie la traduzione dei pensieri onirici in una forma primitiva d'espressione, analoga alla scrittura ideografica. Ma tutti questi sistemi primitivi di espressione sono caratterizzati da siffatte indeterminazioni e ambiguità, senza che con ciò abbiamo il diritto di metterne in dubbio l'utilità pratica. Sapete che la coincidenza degli opposti nel lavoro onirico è analoga al cosiddetto "significato opposto delle parole primordiali" nei linguaggi più antichi. Abel, il filologo al quale dobbiamo questo punto di vista, ci invita a non credere che la comunicazione che una persona faceva all'altra per mezzo di parole così ambivalenti fosse per questo ambigua. Il tono e il gesto, al contrario, dovevano rendere del tutto inequivocabile nel contesto del discorso quale dei due contrastanti significati si intendeva comunicare. Nella scrittura, dove non c'è il gesto, esso era sostituito da un ideogramma aggiuntivo, non destinato a essere pronunciato, per esempio dalla figura di un omino indolentemente accovacciato oppure rigidamente eretto, a seconda che l'ambivalente "ken" della scrittura geroglifica dovesse significare "debole" o "forte". Così, nonostante parole e segni avessero più di un significato, i malintesi venivano evitati.
Gli antichi sistemi di espressione, per esempio le scritture di quelle antichissime lingue, consentono una quantità di indeterminatezze che non tollereremmo nella nostra attuale scrittura. Così in certe scritture semitiche vengono indicate solo le consonanti delle parole; le vocali omesse vanno inserite dal lettore, sulla base della sua conoscenza e del contesto. Non proprio così, ma in modo assai simile, procede la scrittura geroglifica, ragion per cui la pronuncia dell'antico egizio ci è rimasta sconosciuta. La scrittura sacra dell'egizio conosce anche altre indeterminatezze. Così, ad esempio, è lasciato all'arbitrio di chi scrive allineare le figure da destra a sinistra o da sinistra a destra. Per poter leggere bisogna attenersi alla regola di leggere nel verso dei volti delle figure, degli uccelli e così via. Chi scriveva poteva però disporre gli ideogrammi anche in colonne verticali, e, nelle iscrizioni su oggetti più piccoli, in base a considerazioni di decoratività e di riempimento dello spazio, poteva variare anche in altro modo l'ordine dei segni. Il maggior inconveniente della scrittura geroglifica è senz'altro che non conosce separazione tra le parole. Le figure si susseguono nella pagina a distanze uguali tra loro e, in generale, non si può sapere se un segno appartenga ancora alla parola che precede o costituisca l'inizio di una nuova parola. Invece nella scrittura cuneiforme persiana un cuneo obliquo funge da "divisore delle parole".
Una lingua e una scrittura oltremodo antica, ma usata ancor oggi da quattrocento milioni di persone, è quella cinese. Non crediate che io ne capisca qualcosa; mi sono informato su di essa solo perché speravo di trovare analogie con le indeterminatezze del sogno. E la mia aspettativa non è andata delusa. La lingua cinese è piena di indeterminatezze che ci potrebbero incutere spavento.
E' noto che essa si compone di una quantità di suoni sillabici, che possono venir pronunciati da soli o combinati in coppie. Uno dei dialetti principali possiede circa 400 di tali suoni. Ora, poiché si stima che il vocabolario di questo dialetto consista di 4000 parole all'incirca, ne consegue che ciascun suono ha in media dieci significati diversi, meno alcuni, ma altri, in compenso, di più. Esiste però tutta una serie di espedienti per evitare l'ambiguità, dal momento che non si può indovinare soltanto dal contesto quale dei dieci significati del suono sillabico il parlatore voglia evocare in chi ascolta. Tra questi espedienti, la combinazione di due suoni in una parola composta e l'uso di quattro diversi "toni" con cui vengono pronunciate le sillabe.
Ancor più interessante per il nostro confronto è la circostanza che in questa lingua non esiste praticamente la grammatica. Di nessuna delle parole monosillabiche si può dire se sia un sostantivo, un verbo o un aggettivo, e mancano tutte le variazioni verbali attraverso le quali si potrebbero riconoscere il genere, il numero, la terminazione, il tempo o il modo. La lingua è composta dunque, per così dire, solamente del materiale grezzo, proprio come il linguaggio dei nostri pensieri viene risolto dal lavoro onirico nel suo materiale grezzo, omettendo di esprimere le relazioni. Nel cinese, in tutti i casi di indeterminatezza, la decisione viene lasciata all'intelligenza dell'ascoltatore, che si lascia guidare dal contesto. Mi sono annotato un esempio di proverbio cinese, che tradotto letteralmente suona:
"Poco ciò che vedere molto ciò che mirabile".
Non è difficile da capire. Esso può voler dire: quanto meno uno ha visto tanto più trova da ammirare, oppure: molto c'è da ammirare per colui che poco ha visto. Non è naturalmente il caso di decidere tra queste due traduzioni, diverse solo sotto il profilo grammaticale. Nonostante queste indeterminatezze, la lingua cinese, a quanto ci viene assicurato, è un mezzo eccellente di espressione del pensiero. Non necessariamente, dunque, l'indeterminatezza conduce all'ambiguità.
In verità dobbiamo convenire che la situazione è assai più sfavorevole per il sistema espressivo del sogno che per tutte queste lingue e scritture antiche; poiché queste in fondo sono destinate alla comunicazione, cioè appositamente intese a esser sempre comprese, non importa per quali vie e con quali espedienti.
Proprio questo carattere manca invece al sogno. Il sogno non vuol dire niente a nessuno, non è un veicolo di comunicazione, al contrario è destinato a rimanere incompreso. Non dovremmo quindi meravigliarci e confonderci se risultasse che un gran numero di ambiguità e di indeterminatezze del sogno rimangono insolute.
L'unica acquisizione sicura derivante dal nostro confronto è la scoperta che queste indeterminatezze, che potevano essere usate come arma contro la validità delle nostre interpretazioni oniriche, sono invece caratteri regolarmente riscontrabili in tutti i sistemi primitivi di espressione.
Fino a che punto giunga effettivamente l'intelligibilità del sogno può essere stabilito solo attraverso la pratica e l'esperienza.
Molto lontano, ritengo; e la verifica dei risultati ottenuti da analisti addestrati nel modo giusto conferma la mia opinione. Il pubblico profano, e anche il pubblico scientifico profano, si compiace notoriamente, di fronte alle difficoltà e incertezze di un lavoro scientifico, di ostentare uno scetticismo superiore.
Secondo me a torto. Forse non a tutti voi è noto che una situazione simile si è presentata nella decifrazione delle iscrizioni assirobabilonesi. Ci fu un tempo in cui l'opinione pubblica era assai incline a dichiarare che i decifratori della scrittura cuneiforme erano dei visionari e che tutta la loro ricerca era un "imbroglio". Nel 1857 la "Royal Asiatic Society" fece però una prova decisiva. Invitò quattro dei più eminenti studiosi di scrittura cuneiforme, Rawlinson, Hincks, Fox Talbot e Oppert, a inviarle in busta sigillata traduzioni indipendenti di una iscrizione appena trovata, e confrontate le quattro versioni poté proclamare che la loro concordanza era abbastanza grande da giustificare la fiducia nei risultati ottenuti e la certezza di ulteriori progressi. Le beffe da parte dell'ambiente colto profano diminuirono gradualmente e da allora la sicurezza nella lettura dei documenti in scrittura cuneiforme è straordinariamente aumentata.
2. Una seconda serie di perplessità è strettamente legata all'impressione, a cui certamente nemmeno voi avete potuto sottrarvi, che una quantità di soluzioni date dall'interpretazione onirica, e alle quali ci vediamo costretti, appaiono forzate, artificiose, tirate per i capelli, quindi arbitrarie, o addirittura comiche e facete. Queste critiche sono talmente frequenti che voglio scegliere a caso l'ultima di cui mi è giunta notizia. Ascoltate: recentemente, nella libera Svizzera, un direttore d'Istituto è stato destituito dal suo posto perché si occupava di psicoanalisi. Egli ha protestato e un giornale di Berna ha portato a pubblica conoscenza il giudizio delle autorità scolastiche su di lui. Da questo documento stralcio alcune frasi che si riferiscono alla psicoanalisi: "Inoltre sorprende l'affettazione e l'artificiosità di molti esempi che anche si riscontrano nel citato libro del dottor Pfister di Zurigo (...) E' veramente sorprendente quindi che un direttore d'Istituto faccia proprie tutte queste affermazioni e pseudodimostrazioni senza sottoporle a critica". Queste frasi vengono presentate come la conclusione di una persona che "giudica pacatamente". Ritengo piuttosto che sia "artificiosa" questa pacatezza. Vediamo più da vicino queste critiche, nella speranza che un po' di riflessione e un po' di cognizione di causa non possano recare alcuno svantaggio neppure a un giudizio pacato.
E' veramente confortante vedere con quanta rapidità e imperturbabilità un individuo possa sentenziare secondo le sue prime impressioni su un delicato problema di psicologia del profondo. Le interpretazioni gli sembrano affettate e forzate, non gli piacciono, quindi sono errate e tutte quelle storie d'interpretazione non valgono nulla; non una sola volta è sfiorato dal pensiero fugace dell'altra possibilità, che queste interpretazioni debbano apparire tali per buone ragioni; al che si riallaccerebbe l'ulteriore domanda: quali siano queste buone ragioni.
I fatti giudicati si riferiscono sostanzialmente ai risultati dello spostamento, che voi avete conosciuto come il più forte mezzo della censura onirica. Grazie allo spostamento la censura onirica crea formazioni sostitutive, che noi abbiamo designato come allusioni. Si tratta però di allusioni che non sono facili da riconoscere come tali, delle quali non è facile trovare il bandolo che porta all'elemento autentico, e che con questo sono in rapporto attraverso le più strane, le più inusitate associazioni estrinseche. In tutti questi casi si tratta però di cose che devono venir nascoste, che sono destinate a essere tenute segrete; è questo infatti che vuole raggiungere la censura onirica. Ma non ci si può attendere di trovare al suo posto, nella posizione che gli spetta, qualcosa che è stato nascosto. I posti di controllo alle frontiere oggi in funzione operano a questo riguardo in modo più scaltro delle autorità scolastiche svizzere. Nella ricerca di documenti e di piani non si accontentano di ispezionare cartelle e portafogli, ma prendono in considerazione la possibilità che le spie e i contrabbandieri portino simili cose proibite nelle parti più riposte dei loro indumenti, dove decisamente non dovrebbero stare, come per esempio fra le doppie suole degli stivali. E, se quel che vanno cercando è stato riposto proprio lì, si può ben dire che... chi cerca trova!
Se tra un elemento onirico latente e il suo sostituto manifesto riteniamo possibili i nessi più fuorvianti, più strani, che appaiono ora comici ora faceti, è perché ci basiamo su una ricca casistica la cui soluzione, di regola, non è stata scoperta da noi. Spesso non è possibile raggiungere queste interpretazioni con le nostre forze; nessuna persona assennata sarebbe in grado di indovinare certi nessi. Il sognatore ci dà la traduzione tutt'a un tratto, per mezzo della sua associazione diretta - e ciò gli è possibile senz'altro perché è in lui che questa formazione sostitutiva si è prodotta -, oppure ci fornisce un materiale talmente cospicuo che la soluzione non richiede più una speciale perspicacia, ma ci si impone inevitabilmente. Se il sognatore non ci aiuta in uno di questi due modi, l'elemento manifesto ci rimane per sempre incomprensibile. Consentitemi di aggiungere ancora un esempio di questo tipo, recentemente occorsomi. Una delle mie pazienti, durante il trattamento, ha perduto il padre. Da allora si serve di ogni occasione per farlo rivivere in sogno. In uno dei suoi sogni il padre si presenta in una certa connessione non utilizzabile ulteriormente, e dice: "Sono le undici e un quarto, sono le undici e mezzo, sono le undici e tre quarti".
Nell'interpretazione di questa stranezza le venne in mente soltanto che al padre faceva piacere se i figli più grandicelli osservavano puntualmente l'orario dei pasti. Ciò era certamente in rapporto con l'elemento onirico, ma non permetteva alcuna conclusione sulla sua origine. Esisteva il sospetto, giustificato dalla situazione della cura in quel momento, che in questo sogno c'entrasse una ribellione critica, accuratamente repressa, contro il padre amato e rispettato. Nel corso ulteriore delle sue associazioni, apparentemente assai lontane dal sogno, la sognatrice racconta che il giorno prima si era molto discusso di psicologia in sua presenza e che un suo parente aveva dichiarato:
"L'Urmensch [uomo primitivo] continua a vivere in ciascuno di noi". Adesso crediamo di capire. Questa parola le offrì la splendida opportunità di far rivivere ancora una volta il padre morto. Essa lo trasformò nel sogno in un "Uhrmensch" [uomo dell'orologio], facendogli annunciare i quarti d'ora precedenti il mezzogiorno.
Non potrete fare a meno di rilevare la somiglianza di questo esempio con un motto di spirito; e in effetti si è verificato abbastanza spesso che la battuta del sognatore sia stata attribuita all'interprete. Ci sono anche altri esempi in cui non è affatto facile decidere se si abbia a che fare con un motto di spirito o con un sogno. Ma vi ricordate che lo stesso dubbio ci è venuto a proposito di certi lapsus verbali. Un uomo racconta di aver sognato che suo zio gli ha dato un bacio, mentre sedevano nella sua AUTO(MOBILE). Egli stesso aggiunge molto in fretta l'interpretazione: significa AUTOEROTISMO (un termine, tratto dalla teoria della libido, che designa il soddisfacimento ottenuto senza oggetto estraneo). Quest'uomo si è dunque permesso di farci uno scherzo e ha spacciato come sogno una battuta che gli è venuta in mente? Non lo credo, egli ha realmente sognato. Ma da dove proviene questa sbalorditiva somiglianza? Tempo addietro questa domanda mi ha distolto per un tratto dalla mia strada, imponendomi la necessità di sottoporre a un'approfondita indagine il motto di spirito stesso. Da ciò è risultato che nella genesi del motto di spirito un processo di pensiero preconscio viene abbandonato per un istante all'elaborazione inconscia, dalla quale emerge poi come motto di spirito. Sotto l'influsso dell'inconscio esso subisce l'azione dei meccanismi colà vigenti, della condensazione e dello spostamento, quindi degli stessi processi che abbiamo trovato all'opera nel lavoro onirico, ed è a questa comunanza che va ascritta la somiglianza tra motto di spirito e sogno, quando essa si verifica. Dall'involontaria "spiritosaggine onirica", tuttavia, non si ottiene nulla del piacere derivante dal motto di spirito.
Il perché lo potete apprendere se approfondite lo studio del motto di spirito. Lo "spirito" onirico ci appare un cattivo spirito, non ci fa ridere, ci lascia freddi.
In questo campo ricalchiamo le orme dell'antica interpretazione dei sogni, la quale, accanto a molte cose inutili, ci ha lasciato qualche buon esempio di interpretazione che noi stessi non sapremmo superare. Vi racconto ora un sogno di importanza storica di Alessandro Magno riferito, con alcune varianti, da Plutarco e Artemidoro di Daldi. Mentre nel 322 avanti Cristo era impegnato nell'assedio della città di Tiro, ostinatamente difesa, Alessandro sognò di vedere un satiro danzante. Un interprete di sogni che si trovava con l'esercito, Aristandro, gli interpretò questo sogno scomponendo la parola "satyros" in "sa Tyrso" (tua è Tiro) e promettendogli quindi il trionfo sulla città. Alessandro si lasciò indurre da questa interpretazione a continuare l'assedio ed espugnò finalmente Tiro. L'interpretazione, che può sembrare artificiosa, era senza dubbio quella giusta.
3. Mi è facile immaginare che vi farà particolare impressione la notizia che contro la nostra concezione del sogno sono state sollevate obiezioni anche da persone che si sono occupate per parecchio tempo dell'interpretazione di sogni in qualità di psicoanalisti. Sarebbe stato chiedere troppo che un così cospicuo incentivo a nuovi errori rimanesse inutilizzato, e così, attraverso confusioni concettuali e generalizzazioni ingiustificate, sono emerse affermazioni che, quanto a inesattezza, non hanno nulla da invidiare alla concezione medica del sogno. Una di queste vi è già nota. Dice che il sogno è impegnato in tentativi di adattamento alla realtà presente e in tentativi di soluzione di compiti futuri, che quindi persegue una "tendenza prospettica" (Maeder). Abbiamo già dimostrato che questa affermazione si basa su una confusione fra il sogno e i pensieri onirici latenti e che quindi ha come premessa la mancata considerazione del lavoro onirico. Come caratterizzazione dell'attività psichica inconscia alla quale appartengono i pensieri onirici, essa da una parte non costituisce una novità e, dall'altra, non è esauriente, perché l'attività psichica inconscia contiene molte altre cose oltre la preparazione del futuro. Una confusione di gran lunga più grave sembra essere alla base della dichiarazione che dietro ogni sogno si trova la "clausola di morte". Non so precisamente che cosa voglia dire questa formula, ma suppongo che dietro di essa si nasconda una confusione tra il sogno e la personalità del sognatore nel suo complesso.
Una ingiustificata generalizzazione tratta da qualche esempio preciso è contenuta nella tesi che ogni sogno ammette due interpretazioni, una, quella da noi indicata, la cosiddetta interpretazione psicoanalitica, e un'altra, la cosiddetta interpretazione anagogica, la quale prescinde dai moti pulsionali e mira a descrivere le più elevate prestazioni psichiche (Silberer). Esistono sogni di questo tipo, ma è vano cercare di estendere questa concezione alla maggioranza dei sogni. Del tutto incomprensibile, dopo tutto ciò che avete udito, vi apparirà l'affermazione che tutti i sogni debbono essere interpretati bisessualmente, come il punto di confluenza di una corrente che possiamo chiamare virile con una femminile (Adler). Singoli sogni di questo tipo ovviamente esistono, e più avanti potrete vedere che sono costruiti come certi sintomi isterici. Menziono tutte queste scoperte di nuove caratteristiche universali del sogno per mettervi in guardia da esse o, quanto meno, per non lasciarvi in dubbio sul mio modo di giudicarle.
4. Il valore oggettivo dell'indagine sul sogno parve un giorno messo in questione dall'osservazione che i pazienti in trattamento analitico regolavano il contenuto dei loro sogni a seconda delle teorie preferite dai loro medici, sognando gli uni prevalentemente di moti pulsionali sessuali, gli altri di aspirazione alla potenza (Adler), e altri ancora addirittura di rinascita (Stekel). Il peso di questa osservazione si riduce considerando che gli uomini sognavano già prima che ci fosse un trattamento psicoanalitico che potesse dare una direzione ai loro sogni, e che coloro che adesso si trovano in cura erano soliti sognare anche nel periodo precedente il trattamento. C'è comunque del vero in questa novità, ma si vede subito che si tratta di cosa ovvia e irrilevante per la teoria del sogno. I residui diurni che suscitano il sogno sono strascichi dei forti interessi della vita vigile. Una volta che i discorsi del medico e i suoi suggerimenti siano divenuti importanti per l'analizzato, essi entrano nella sfera dei residui diurni, possono costituire gli stimoli psichici per la formazione del sogno al pari degli altri interessi irrisolti e affettivamente accentuati del giorno precedente, e agiscono analogamente agli stimoli somatici che influiscono sul dormiente durante il sonno.
Come questi altri elementi istigatori del sogno, anche i filoni di pensiero che il medico ha sollecitato possono apparire nel contenuto onirico manifesto o venir messi in evidenza in quello latente. Sappiamo infatti che si possono produrre sogni sperimentalmente, o per essere più precisi, che si può introdurre nel sogno una parte del materiale onirico. A proposito di questo modo di influenzare i suoi pazienti, l'analista esercita quindi un ruolo non diverso da quello dello sperimentatore che, come Mourly Vold, assegna determinate posizioni alle membra dei suoi soggetti.
Si può spesso influenzare il sognatore CIRCA L'ARGOMENTO di cui deve sognare, ma non si potrà mai incidere su ciò che egli sognerà. Il meccanismo del lavoro onirico e il desiderio onirico inconscio sono sottratti a ogni influsso esterno. Già nell'esame dei sogni da stimolo somatico abbiamo riconosciuto che la singolarità e l'indipendenza della vita onirica si manifestano nella reazione con la quale il sogno risponde agli stimoli fisici o psichici che sono stati indotti. Alla base dell'affermazione qui discussa, la quale vuole porre in dubbio l'obiettività dell'indagine sul sogno, c'è quindi di nuovo una confusione, quella tra il sogno e il materiale onirico.
Questo, Signore e Signori, è quanto volevo esporvi sui problemi del sogno. Come voi avrete intuito, ho trascurato molte cose, e vi sarete resi conto che in quasi tutti i punti ho dovuto essere incompleto. Ciò è dovuto alla connessione tra i fenomeni onirici e quelli delle nevrosi. Abbiamo studiato il sogno come introduzione alla teoria delle nevrosi e ciò è stato certamente più corretto che se avessimo fatto il contrario. Ma, come il sogno prepara alla comprensione delle nevrosi, così d'altra parte il giusto apprezzamento del sogno può essere ottenuto solo dopo che si ha conoscenza dei fenomeni nevrotici.
Non so cosa ne penserete, ma per parte mia vi assicuro che non mi pento di aver assorbito una parte così notevole del vostro interesse e del tempo a nostra disposizione riservandoli ai problemi del sogno. Da nessun altro argomento si può attingere così rapidamente la convinzione della correttezza delle proposizioni sulle quali la psicoanalisi si regge o cade. Occorre un fastidioso lavoro di molti mesi o addirittura di anni per mostrare che i sintomi di un caso di malattia nevrotica hanno un senso, servono a un'intenzione e provengono dalle vicende del paziente. Per contro, uno sforzo di poche ore può riuscire a dimostrare le stesse cose in una creazione onirica che all'inizio è incomprensibilmente confusa, e quindi confermare tutte le premesse della psicoanalisi, la natura inconscia di alcuni processi psichici, i particolari meccanismi ai quali essi obbediscono e le forze pulsionali che in essi si manifestano. E se accanto all'impressionante analogia fra la struttura del sogno e quella del sintomo nevrotico consideriamo la rapidità con cui il sognatore si trasforma in una persona sveglia e ragionevole, non dubiteremo più che anche la nevrosi si fonda solo su un'alterazione del gioco di forze tra i poteri della vita psichica.