Johann Wolfgang Goethe

 

STORIE FANTASTICHE

 

  

 

 

 

LA NUOVA MELUSINA

 

Egregi signori! So che non amate particolarmente preamboli e discorsi preliminari, perciò vi assicuro senz'altro che questa volta nutro buone speranze di evitarli. Ho già raccontato alcune storie vere con grande soddisfazione di tutti, ma oggi posso dire che ve ne racconterò una che supera di gran lunga le altre e il cui ricordo, nonostante sia accaduta diversi anni fa, mi rende ancora inquieto e addirittura mi fa sperare in uno sviluppo decisivo. Difficilmente ne trovereste una uguale.

Prima di tutto devo confessare che la mia vita non è sempre stata organizzata in modo tale da non avere la certezza del futuro già prossimo, e perfino del domani. Nella mia gioventù non sono stato un buon amministratore e spesso mi sono trovato in difficoltà finanziarie. Una volta mi misi in viaggio per procurarmi un buon guadagno; ma feci le cose un po' troppo alla grande e, dopo esser partito con una vettura personale e aver proseguito per un certo periodo con la diligenza ordinaria, alla fine mi trovai costretto a raggiungere la meta a piedi.

Quand'ero un giovanotto vivace avevo sempre l'abitudine, appena arrivato in una locanda, di cercare la locandiera, o anche la cuoca e di lusingarla, così il mio conto in genere veniva ridotto.

Una sera stavo entrando nella stazione di posta di una piccola cittadina, deciso a comportarmi nel modo solito, quando proprio dietro di me, davanti alla porta, si fermò con gran fracasso una bella carrozza a due posti tirata da quattro cavalli. Mi girai e vidi una donna sola, senza cameriera né servitori. Mi affrettai subito ad aprire lo sportello e a chiederle se desiderasse qualcosa. Quando scese rivelò una bella figura, e il suo viso amabile, se lo si guardava più da vicino, mostrava una lieve ombra di malinconia. Chiesi di nuovo se potevo esserle utile in qualche modo. - Oh, sì- mi disse, se volete tirar fuori con attenzione il cofanetto che sta sul sedile e portarlo su; ma vi prego davvero di non agitarlo o scuoterlo assolutamente quando lo trasportate -. Presi con cautela il cofanetto, lei chiuse lo sportello della vettura, salimmo insieme la scala e lei disse ai servitori che si sarebbe fermata per la notte.

Ora eravamo soli nella stanza, lei mi ordinò di posare il cofanetto sul tavolo vicino alla parete e io, notando da certi suoi movimenti che voleva restare sola, mi congedai baciandole la mano rispettosamente, ma non senza ardore.

- Ordinate la cena per tutti e due - aggiunse; e si può immaginare con quale piacere adempii al mio compito; nella mia baldanza non degnai di uno sguardo il locandiere, la moglie e i servitori. Con impazienza aspettai il momento che finalmente mi avrebbe riportato a lei. Era pronto in tavola, sedemmo uno di fronte all'altro, e per la prima volta da molto tempo mi ristorai grazie a un buon pasto e a una visione tanto ambita: mi sembrava addirittura che a ogni istante diventasse più bella.

La sua conversazione era piacevole, ma cercava di evitare tutto quello che si riferiva alla simpatia e all'amore. Sparecchiarono; io indugiai, provai ogni espediente per avvicinarmi a lei, ma inutilmente: mi tenne a distanza con una specie di dignità alla quale non riuscii a oppormi, e contro il mio desiderio dovetti separarmi da lei presto.

Dopo una notte passata per lo più vegliando e sognando in modo inquieto, mi alzai di buon'ora; mi informai se avesse ordinato i cavalli, sentii che non l'aveva fatto, e andai in giardino, la vidi già vestita alla finestra e mi affrettai a salire. Quando mi venne incontro così bella, ancora più bella del giorno prima, in me si agitarono di colpo passione, malizia e audacia; mi gettai su di lei e la presi tra le braccia. - Creatura angelica, irresistibile! - esclamai -: perdonami, ma non posso evitarlo!- Con incredibile abilità si divincolò dalle mie braccia, senza che avessi potuto darle neppure un bacio sulla guancia. - Contenete questi impeti d'amore improvviso e appassionato, se non volete giocarvi una felicità che vi sta vicina, ma che potrete afferrare solo dopo alcune prove.

- Chiedi ciò che vuoi, spirito angelico! – esclamai -, ma non portarmi alla disperazione -. Lei rispose sorridendo: - Se volete consacrarvi al mio servizio, ascoltate le condizioni! Sono venuta qui a trovare un'amica, dalla quale penso di passare alcuni giorni; intanto vorrei che la mia carrozza e questo cofanetto continuassero il viaggio. Volete incaricarvene voi? Non dovrete fare altro che trasportare con cura il cofanetto fuori e dentro la carrozza; quando si troverà all'interno vi siederete vicino a esso e ne avrete cura.

Quando arriverete in una locanda, lo poserete sul un tavolo, in una stanza particolare, che voi non potrete occupare e dove non potrete dormire. Ogni volta chiuderete la stanza con questa chiave, che apre e chiude qualsiasi serratura e le conferisce una speciale virtù: nessuno in quell'arco di tempo può aprirla.

La guardai, provando una strana sensazione; promisi di fare ogni cosa, se solo avessi potuto sperare di rivederla presto, e se lei avesse suggellato questa speranza con un bacio. Lo fece, e da quel momento fui suo anima e corpo. Ora dovevo solo ordinare i cavalli, mi disse.

Parlammo della strada da prendere, dei posti dove avrei dovuto sostare e aspettarla. Infine mi mise in mano una borsa piena di denaro, e io premetti le labbra sulle sue mani. Al momento del distacco sembrò commossa, e io non seppi cosa facevo o cosa dovessi fare.

Quando tornai dopo aver dato disposizioni, trovai la porta della stanza chiusa. Provai subito la mia chiave speciale, che superò la prova perfettamente. La porta si aprì di scatto, trovai la stanza vuota, solo il cofanetto era posato sul tavolo dove lo avevo sistemato.

La carrozza era pronta, portai giù con cura il cofanetto e lo misi accanto a me. La locandiera chiese: - Dov'è la signora? . Un bambino rispose: - E' andata in città -. Salutai tutti e me ne andai come in trionfo, io che ero arrivato lì la sera prima con i gambali pieni di polvere. Potete facilmente immaginare che approfittando dell'inattività mi misi a riflettere su questa storia, contai il denaro, feci alcuni progetti, e ogni tanto lanciavo un'occhiata al cofanetto. Viaggiai ininterrottamente, non scesi in parecchie stazioni di posta, e non mi fermai finché non arrivai in una bella città in cui lei mi aveva convocato. I suoi ordini vennero eseguiti accuratamente, il cofanetto venne sistemato in una stanza particolare, con vicino un paio di candele spente, come lei aveva ordinato. Chiusi a chiave la stanza, mi sistemai nella mia e mi svagai un po'.

Per un po' il ricordo di lei mi tenne occupato, ma ben presto cominciai ad annoiarmi. Non ero abituato a vivere senza compagnia; la trovai in fretta ai tavoli delle osterie e nei luoghi pubblici, come mi piaceva. Fu così che il mio denaro cominciò a volatilizzarsi e una sera sparì completamente dalla borsa, essendomi abbandonato incautamente al gioco sfrenato. Quando arrivai nella mia stanza ero fuori di me. Sprovvisto com'ero di denaro, in attesa di un conto cospicuo, senza sapere se e quando la mia bella si sarebbe fatta di nuovo vedere, mi trovai in un grave imbarazzo. Avevo doppiamente nostalgia di lei, e credetti di non poter più vivere senza di lei e senza il suo denaro.

Dopo il pasto serale, che non mi piacque per nulla dato che questa volta fui costretto a gustarmelo in solitudine, camminai agitato su e giù per la stanza parlando da solo, mi maledissi, mi gettai a terra, mi strappai i capelli e persi ogni pudore. Di colpo sento un lieve movimento nella stanza vicina chiusa a chiave, e poco dopo sento bussare alla porta ben chiusa. Mi ricompongo, afferro la chiave comune, ma le ante della porta si aprono di scatto da sole, e alla luce delle candele che ardono mi viene incontro la mia bella. Mi getto ai suoi piedi, le bacio la veste, le mani, lei mi rialza, io non oso abbracciarla, nemmeno guardarla; ma le confesso con sincero pentimento il mio errore. - E' scusabile - disse lei -, ma purtroppo ritardate la vostra e la mia felicità. Ora dovete di nuovo procedere per un tratto nel mondo, prima di rivederci. Qui c'è ancora più denaro- disse -, e basterà se siete disposto a fare qualche economia. Questa volta il vino e il gioco vi hanno messo in difficoltà, quindi guardatevi dal vino e dalle donne e lasciatemi sperare in un incontro più felice.

Indietreggiò oltre la soglia, i battenti si richiusero, io bussai, pregai, ma non sentii più nulla. Il giorno dopo, quando chiesi il conto, l'oste sorrise e disse: - Ora sappiamo perché chiudete le vostre porte in modo tanto complicato e incomprensibile che nessuna chiave comune poteva aprirle. Pensavamo che teneste molto denaro e cose preziose, ma ora abbiamo visto scendere dalle scale il tesoro, e in ogni caso sembra degno di essere ben custodito.

Non risposi niente, pagai il conto e salii in carrozza con il mio cofanetto. Così me ne andai di nuovo per il mondo con il solido proposito di badare agli ammonimenti della mia misteriosa amica. Ma non appena arrivai di nuovo in una grande città, feci conoscenza con amabili signore dalle quali non riuscii assolutamente a staccarmi.

Sembrava che volessero farmi pagare cari i loro favori; infatti, pur tenendomi sempre a una certa distanza, mi spingevano a una spesa dietro l'altra, e poiché cercavo solo di assecondare il loro piacere, neppure questa volta pensai alla mia borsa, ma continuai a pagare e a spendere secondo le circostanze. Perciò grandi furono il mio stupore e la mia gioia quando, alcune settimane dopo, notai che il contenuto della mia borsa non era ancora diminuito, anzi era sempre piena e rigonfia come all'inizio. Volli rassicurarmi più da vicino su questa bella qualità, mi misi a contare, annotai la somma precisa e ricominciai a vivere allegramente come prima con la mia compagnia. Non mancarono scampagnate, gite in barca, balli, canti e altri divertimenti. Ma a quel punto non fu necessaria molta attenzione per accorgersi che la borsa in realtà diminuiva di peso, proprio come se io l'avessi privata della virtù di essere inesauribile a causa del mio maledetto contare. Intanto la mia vita di piaceri aveva preso il via e non potevo tirarmi indietro, ma il denaro in contanti presto finì.

Maledissi la mia situazione, offesi la mia amica, che mi aveva indotto in simili tentazioni, mi sentii offeso perché non si era più fatta vedere, e in preda al risentimento mi considerai sciolto dagli obblighi verso di lei e decisi di aprire il cofanetto, nel quale forse avrei potuto trovare un aiuto. Infatti non era abbastanza pesante per contenere del denaro, ma potevano esserci dei gioielli, che sarebbero stati graditi. Stavo per attuare il mio proposito, ma decisi di rimandarlo alla notte per compiere l'operazione in tutta calma, e andai a un banchetto che era annunciato per quella sera. Si fece baldoria, ed eravamo molto eccitati a causa del vino e degli squilli di tromba, quando mi capitò un brutto scherzo: al momento del dolce entrò inaspettatamente un vecchio amico della mia bellezza preferita, di ritorno da un viaggio, si sedette accanto a lei e senza tante cerimonie cercò di far valere i suoi antichi diritti. Ne scaturirono ben presto irritazione, lite, contesa; ci battemmo e io fui riportato a casa mezzo morto con diverse ferite.

Il chirurgo mi aveva fasciato e se n'era andato, era già notte fonda, il mio guardiano dormiva, la porta della stanza vicina si aprì la mia misteriosa amica entrò e si sedette vicino a me sul letto. Mi chiese come mi sentissi; io non risposi, perché ero spossato e di cattivo umore. Lei continuò a parlare con grande sollecitudine e mi strofinò le tempie con un certo balsamo, che in breve mi fece sentire decisamente rinvigorito, tanto rinvigorito che riuscii ad arrabbiarmi e a rimproverarla. In un discorso veemente addossai l'intera colpa della mia sfortuna a lei, alla passione che mi ispirava, alle sue apparizioni e alle sue scomparse, alla noia, alla nostalgia che ero costretto a provare. Divenni sempre più violento, come se una febbre mi avesse assalito, e alla fine le giurai che se non fosse stata mia, se questa volta rifiutava di appartenermi e di unirsi a me, non avrei voluto vivere più a lungo; ed esigevo una risposta precisa. Quando vidi che esitava, trattenendosi dal darmi una spiegazione, persi la testa e mi strappai dalle ferite la doppia e tripla fasciatura, con il fermo proposito di dissanguarmi. Ma quale fu il mio stupore, quando notai che le mie ferite erano tutte guarite, il mio corpo era bello e intatto e lei si trovava fra le mie braccia.

Ora eravamo la coppia più felice del mondo. Ci chiedemmo perdono reciprocamente, senza sapere bene perché. Lei promise di continuare il viaggio con me, e presto ci trovammo seduti uno vicino all'altra in carrozza, con il cofanetto di fronte a noi, al posto della terza persona. Non l'avevo mai nominato in sua presenza; neppure adesso mi venne in mente di parlarne, malgrado fosse sotto i nostri occhi e ce ne occupassimo tutti e due, come per un tacito accordo, a seconda delle circostanze; io lo trasportavo dentro e fuori della carrozza e, come prima, provvedevo a chiudere le porte a chiave.

Finché era rimasto qualcosa nella borsa avevo sempre pagato; quando il denaro in contanti finì glielo feci notare. - Un rimedio si trova facilmente - disse lei, e indicò un paio di piccole borse attaccate in alto su un fianco della carrozza, che io avevo già notato ma che non avevo mai usato. Lei infilò la mano in una di esse e tirò fuori alcune monete d'oro, poi dall'altra delle monete d'argento, e mi mostrò che era possibile continuare a spendere quanto desideravamo.

Così viaggiammo di città in città, di paese in paese, eravamo felici tra di noi e con gli altri, e io non pensavo che mi potesse lasciare di nuovo, tanto più che da qualche tempo era sicuramente incinta, circostanza che aveva aumentato la nostra felicità e il nostro amore.

Ma purtroppo una mattina non la trovai più, e poiché il soggiorno senza di lei mi annoiava, mi misi di nuovo in strada con il mio cofanetto, saggiai la consistenza delle due borse e le trovai sempre intatte.

Il viaggio proseguì felicemente, e se fino a quel momento non avevo avuto voglia di riflettere sulla mia avventura, perché aspettavo uno sviluppo del tutto naturale di quegli eventi straordinari, tuttavia capitò qualcosa che mi stupì, mi preoccupò e addirittura mi spaventò.

Dato che ero abituato a viaggiare ininterrottamente per spostarmi, mi succedeva spesso di farlo nell'oscurità, e nella mia carrozza, quando per caso le lanterne si spegnevano, era molto buio. Una volta, in una di queste notti scure, mi ero addormentato, e quando mi svegliai vidi il bagliore di una luce sul tetto della carrozza. La osservai e mi accorsi che usciva dal cofanetto, che sembrava avere una fenditura, proprio come se il tempo caldo e secco dell'estate che era sopraggiunta lo avesse spaccato. Le mie idee sui gioielli si risvegliarono, pensai che nel cofanetto ci fosse un rubino, e volli accertarmene. Mi sistemai il meglio possibile, in modo da toccare direttamente con l'occhio la fenditura. Ma grande fu il mio stupore quando vidi all'interno una stanza arredata con molto gusto e perfino con sfarzo, ben illuminata dalle lampade, proprio come se avessi guardato in una sala reale attraverso l'apertura di una volta. Potevo osservare solo una parte dell'ambiente, che lasciava indovinare il resto. Un fuoco pareva ardere nel camino, vicino al quale c'era una poltrona. Trattenni il respiro e continuai a osservare. Dall'altro lato della sala arrivò una donna con un libro in mano, e subito riconobbi mia moglie, sebbene la sua figura si fosse ridotta a proporzioni minuscole. La bella si sedette in poltrona a leggere, vicino al camino, attizzò il fuoco con delle molle molto graziose, e potei notare chiaramente che anche la cara piccola creatura era incinta. In quel momento fui costretto a spostarmi un po' dalla mia scomoda posizione, e subito dopo, quando osservai nuovamente per convincermi che non era stato un sogno, la luce era scomparsa e mi trovai a guardare in un'oscurità vuota.

Si può immaginare come fossi stupito, anzi spaventato. Mi vennero mille pensieri su questa scoperta, non riuscivo proprio a spiegarmela.

E così mi addormentai, e quando mi svegliai credetti di avere solo sognato; eppure mi sentii in qualche modo estraneo alla mia bella, e portando il cofanetto con cura tanto maggiore, non sapevo se dovevo augurarmi o temere il suo ritorno alla dimensione umana. Dopo qualche tempo la mia bella entrò effettivamente, verso sera, con un abito bianco, e poiché la stanza era in penombra mi sembrò più alta del solito, e ricordai di aver sentito che tutti coloro che appartengono alla stirpe delle ninfe e degli gnomi, quando si fa notte crescono notevolmente d'altezza. Come al solito volò fra le mie braccia, ma l'angoscia non mi permise di stringermela al petto con autentica gioia.

- Mio caro - disse lei -, sento dalla tua accoglienza quello che purtroppo so già. Tu mi hai visto in questo periodo di tempo; sei informato della condizione in cui mi trovo in certi momenti, e questo ha interrotto la tua e la mia felicità, anzi sta per annientarla del tutto. Devo lasciarti, e non so se un giorno ti rivedrò -. La sua presenza, la grazia con cui parlava, allontanò subito quasi ogni ricordo del viso che fino a quel momento aveva aleggiato davanti a me come un sogno. La abbracciai con ardore, la convinsi della mia passione, le assicurai la mia innocenza, le raccontai della casualità della mia scoperta, insomma tanto feci che lei stessa sembrò tranquillizzarsi, e cercò di tranquillizzare anche me.

- Devi chiederti sinceramente - disse - se questa scoperta non ha compromesso il tuo amore, se puoi dimenticare che mi trovavo vicino a te in due sembianze diverse, se il rimpicciolirsi del mio essere non diminuirà anche il tuo affetto.

La guardai; era più bella che mai, e pensai fra me e me: "E' poi una disgrazia tanto grande avere una moglie che ogni tanto diventa minuscola, che si può portare in giro dentro un cofanetto? Non sarebbe peggio se diventasse gigantesca e mettesse suo marito nel cofanetto?".

Mi era tornata l'allegria. Per niente al mondo l'avrei lasciata andare. - Amore mio - le risposi -, lascia che restiamo così come siamo stati finora. Tutti e due non potremmo stare meglio! Fa' come ti è comodo, e io ti prometto di portare il cofanetto con maggior cura.

Come potrebbe farmi una brutta impressione la cosa più graziosa che io abbia visto nella mia vita? Come sarebbero felici gli innamorati se potessero avere simili miniature! E in fondo era solo una di queste immagini, un piccolo gioco di prestigio. Tu mi metti alla prova e mi stuzzichi; ma vedrai come mi comporterò.

- La questione è più seria di quanto pensi - disse la bella-; comunque sono contenta che tu la prenda con allegria, infatti possono venirne conseguenze molto felici per tutti e due. Voglio avere fiducia in te e farò il possibile da parte mia; ma devi promettermi di non ripensare mai a questa scoperta con biasimo. E a questo proposito aggiungo un'altra preghiera pressante: guardati più di prima dal vino e dall'ira.

Le promisi quello che desiderava, e avrei continuato a farle promesse, ma lei stessa cambiò discorso e tutto tornò come prima. Non avevamo motivo di cambiare posto del nostro soggiorno; la città era grande, la compagnia numerosa, la stagione offriva l'occasione per qualche festa campestre e ricevimenti in giardino.

In tutti questi divertimenti la mia compagna era molto ben vista, addirittura reclamata con entusiasmo da uomini e donne. Un atteggiamento benevolo, amabile, accattivante, unito a una certa nobiltà di modi, la rendevano gradita e degna di stima agli occhi di tutti. Inoltre suonava magnificamente il liuto e cantava, e ogni serata lieta doveva essere coronata dal suo talento.

Devo confessare che non mi era mai importato molto della musica, che anzi aveva su di me un effetto sgradevole. La mia bella, che se n'era accorta presto, non cercò mai di intrattenermi con la musica quando eravamo soli; invece sembrava rifarsi in società, dove trovava una quantità di ammiratori.

E ora, perché dovrei negarlo, la nostra ultima conversazione, malgrado la mia buona volontà, non era stata sufficiente per me a risolvere del tutto la questione; piuttosto la mia sensibilità si dispose in modo singolare, senza che io ne fossi completamente consapevole. Una sera, alla presenza di molte persone, la mia rabbia repressa esplose, e me ne derivò il massimo del danno.

Se ora ci rifletto bene, dopo quella infelice scoperta amavo molto meno la mia bella, ed ero diventato geloso di lei, mentre prima non mi era mai venuto in mente. Di sera, a tavola, eravamo seduti diagonalmente uno rispetto all'altra, a una certa distanza, e io mi trovavo molto bene fra le mie due vicine, un paio di signore che da qualche tempo mi sembravano attraenti. Fra discorsi scherzosi e schermaglie amorose non si lesinava il vino, mentre dall'altra parte due invitati appassionati di musica si erano impadroniti di mia moglie, e riuscirono a spingere la compagnia a cantare, in coro e in assolo. Questo mi mise di malumore; i due amanti dell'arte mi sembrarono entrambi importuni; il canto mi irritò, e quando richiesero anche a me una strofa mi infuriai davvero, vuotai la coppa e la posai molto bruscamente.

L'avvenenza delle mie vicine riuscì di nuovo a placarmi, ma l'ira è una brutta cosa una volta accesa. Continuò a ribollire in me segretamente, anche se tutto avrebbe dovuto predispormi alla gioia, alla condiscendenza. Invece diventai ancora più ostile, quando portarono il liuto e la mia bella accompagnò il suo canto suscitando l'ammirazione degli altri. Sfortunatamente chiesero che tutti facessero silenzio. Quindi non potevo neppure più chiacchierare, e i suoni mi facevano digrignare i denti. C'è da stupirsi se alla fine bastò una piccolissima scintilla ad accendere la mina?

La cantante, finita una canzone fra grandi applausi, guardò verso di me, a dire il vero amorevolmente. Purtroppo i suoi sguardi non mi penetrarono. Lei si accorse che avevo appena mandato giù una coppa di vino e me ne riempivo un'altra. Con l'indice della mano destra mi fece un cenno di affettuosa minaccia. - Pensa che è vino! - disse con un tono di voce sufficientemente alto da farsi sentire da me. - L'acqua è per le ninfe! - esclamai. - Signore - disse alle mie vicine -, adornate la coppa con ogni grazia, in modo che non si vuoti troppo spesso. - Non vi lascerete dominare! - mi bisbigliò una delle due all'orecchio. - Che vuole la nana? - gridai, comportandomi con tale irruenza da rovesciare la coppa. - Se n'è versato molto! - esclamò la splendida creatura; e trasse un suono dalle corde, come a voler attirare di nuovo su di sé l'attenzione della compagnia distogliendola dall'incidente. E le riuscì davvero, tanto più quando si alzò, solo fingendo di volersi sistemare più comodamente per suonare, e continuò a preludiare.

Quando vidi scorrere il vino rosso sulla tovaglia tornai in me.

Riconobbi di aver commesso un grave errore, e mi sentii intimamente pentito. Per la prima volta la musica mi parlava. La prima strofa che lei cantò era un commiato amichevole rivolto alla compagnia, che ancora poteva sentirsi unita. Alla strofa seguente fu come se la comitiva si disperdesse, e ognuno si sentì solo, e separato dagli altri, nessuno credette più di essere presente. Che posso dire dell'ultima strofa? Era rivolta solo a me, era la voce dell'amore ferito, che dà l'addio al malumore e alla spavalderia.

In silenzio la portai a casa, e non mi aspettavo niente di buono. Ma appena raggiunta la nostra stanza, si mostrò molto affettuosa e dolce, addirittura scherzosa, e mi rese il più felice degli uomini.

Il mattino dopo le dissi fiducioso e pieno d'amore: - Più d'una volta hai cantato su richiesta di una bella compagnia, per esempio ieri sera quella commovente canzone d'addio; canta ancora una volta per amor mio un lieto, leggiadro canto di benvenuto in quest'ora mattutina, perché sia come se ci conoscessimo per la prima volta.

- Non posso farlo, amico mio - mi rispose con gravità -. La canzone di ieri sera si riferiva alla nostra separazione, che dovrà avvenire senza indugio: posso dirti solo che l'offesa recata alla promessa e al giuramento avrà per noi le peggiori conseguenze; ti sei giocato una grande felicità, e anch'io devo rinunciare ai miei desideri più cari.

Quando insistetti, pregandola di spiegarsi più chiaramente, rispose:

- Questo posso farlo, purtroppo, perché si tratta di qualcosa che riguarda la mia vita con te. Ora saprai quello che avrei preferito nasconderti il più a lungo possibile. Le sembianze in cui mi hai vista dentro il cofanetto sono quelle a me naturali e innate; infatti appartengo alla stirpe del re Eckwald, il potente principe degli gnomi, di cui tanto parla la storia vera. Il nostro popolo è sempre attivo e operoso, ora come fin dai tempi più lontani, e anche per questo è facile da governare. Ma non devi immaginare che gli gnomi siano rimasti indietro nelle loro attività. Una volta i loro lavori più famosi erano le spade che inseguivano i nemici, se venivano lanciate dietro a loro, catene che si stringevano invisibili e misteriose, scudi impenetrabili e altre cose simili. Ora, però, si occupano soprattutto di oggetti che riguardano le comodità e gli ornamenti, e in questo sono superiori a tutti i popoli della Terra. Ti stupiresti se visitassi le nostre officine e i nostri magazzini. Tutto questo andrebbe molto bene, se non intervenisse una circostanza particolare che riguarda l'intero popolo e specialmente la famiglia reale.

Poiché si fermò un momento, le chiesi di rivelarmi qualcosa di più di quegli straordinari segreti, e lei acconsentì subito.

- E' risaputo - disse - che Dio, appena ha creato il mondo, poiché tutta la Terra era asciutta e le montagne erano là possenti e maestose, Dio, dicevo, prima di ogni altra cosa creò i piccoli gnomi, perché ci fossero anche esseri intelligenti che potessero guardare con stupore le sue meraviglie all'interno della Terra, in gallerie e abissi, e le onorassero. Inoltre si sa che questa piccola razza, in seguito, si è sollevata e ha pensato di arrogarsi il dominio della Terra, e perciò Dio ha creato i draghi, per respingere il popolo degli gnomi nelle montagne. Ma poiché i draghi si annidarono anche loro nelle grandi caverne e nei crepacci e presero l'abitudine di abitare là, e molti di essi sputarono fuoco e causarono altre devastazioni, ai piccoli gnomi ne vennero grandi difficoltà e preoccupazioni, tanto che non seppero più che cosa fare, e perciò si rivolsero a Dio, umili e supplichevoli, e nelle loro preghiere lo implorarono di annientare di nuovo questo spregevole popolo di draghi. Ma anche se, nella sua saggezza, lui non poteva decidersi a distruggere le sue creature, la grande pena dei poveri gnomi lo commosse tanto che senza indugio creò i giganti, che avrebbero lottato contro i draghi, e anche se non li avessero sterminati, almeno li avrebbero ridotti di numero.

Ma quando i giganti riuscirono più o meno a spuntarla con i draghi, anche dentro di loro crebbero l'audacia e la boria, e perciò commisero dei misfatti, specialmente contro i buoni gnomi, che una volta di più, trovandosi in difficoltà, si rivolsero al Signore, che dalla sua grande potenza creò i cavalieri, che avrebbero lottato contro i giganti e i draghi e avrebbero vissuto in buona armonia con gli gnomi.

E così l'opera della creazione, da questo lato, era conclusa, e in seguito giganti e draghi si troveranno sempre uniti, come i cavalieri e gli gnomi. Da questo, amico mio, puoi vedere che noi siamo la razza più antica del mondo, il che torna a nostro onore ma porta con sé anche un grosso svantaggio.

Poiché nel mondo niente può esistere in eterno, ma tutto ciò che una volta è stato grande deve diventare piccolo e ridursi, anche nel nostro caso, a partire dalla creazione del mondo, siamo diminuiti diventando sempre più piccoli; prima d'ogni altra, però, la famiglia reale, che a causa del suo sangue puro è soggetta per prima a questo destino. Perciò i nostri saggi maestri già da molti anni hanno escogitato un espediente, e così ogni tanto una principessa reale viene mandata fuori sulla Terra per sposare un onesto cavaliere, cosicché la razza degli gnomi si rinvigorisca e si salvi da una completa decadenza.

Mentre la mia bella pronunciava queste parole con assoluta schiettezza, la guardai pensieroso, perché sembrava che avesse voglia di rivelarmi qualcosa. Non avevo più dubbi per quanto riguardava la sua graziosa origine; ma mi rendeva un po' diffidente il fatto che avesse preso me invece di un cavaliere, dato che mi conosceva fin troppo bene per poter credere che i miei antenati fossero stati creati direttamente da Dio.

Nascosi stupore e perplessità, e le chiesi con affetto: - Ma dimmi, mia cara bambina, come hai potuto assumere quest'aspetto così imponente e bello? Conosco poche donne che possano paragonarsi a te per la splendida figura. - Lo saprai rispose la mia bella -. Da sempre viene tramandato nel Consiglio dei re degli gnomi di guardarsi il più a lungo possibile da ogni misura straordinaria, cosa che anch'io ritengo del tutto naturale e ragionevole. Forse avremmo aspettato ancora a lungo prima di inviare un'altra volta una principessa sulla terra, se il fratello nato dopo di me non fosse stato tanto piccolo che le sue balie l'hanno perso dalle fasce, e non si sa bene dove sia finito. Dopo questo caso inaudito, mai registrato negli annali del regno degli gnomi, i saggi si riunirono e, per farla breve, venne presa la decisione di mandarmi a cercare un marito.

- La decisione! - esclamai -; è tutto giusto e bello. Si può prendere una decisione, si può stabilire qualcosa; ma i vostri saggi, come sono riusciti a dare a uno gnomo questa figura divina?

- Anche questo - disse lei - era già stato previsto dai nostri avi.

Nel tesoro reale c'era un enorme anello d'oro. Ora ti parlo di come mi sembrò quando mi venne mostrato una volta, da bambina, dove si trovava: infatti è lo stesso che ora ho al dito; e poi si andò avanti in questo modo. Mi informarono di tutto quello che stava per succedere, e mi insegnarono quello che avrei dovuto fare e non fare.

Venne costruito un magnifico palazzo, secondo il modello della residenza estiva dei miei genitori: un edificio centrale, ali laterali e tutto quello che si poteva desiderare. Era posto all'entrata di un grande anfratto di roccia, e lo adornava nel modo migliore. Nel giorno stabilito la Corte vi si trasferì e i miei genitori insieme con me.

L'esercito sfilò in parata e ventiquattro sacerdoti portarono su una preziosa lettiga, non senza difficoltà, il meraviglioso anello. Fu posato sulla soglia dell'edificio, proprio dove si passa per entrare.

Furono compiute delle cerimonie, e dopo un affettuoso congedo passai all'azione. Mi avvicinai, appoggiai la mano sull'anello e cominciai subito a crescere sensibilmente. In pochi minuti avevo raggiunto la mia altezza di adesso; dopo di che misi immediatamente l'anello al dito. In un attimo finestre, porte e portoni si chiusero, le ali laterali si ritirarono nel corpo centrale, al posto del palazzo, vicino a me c'era un cofanetto che presi subito e portai via non senza la piacevole sensazione di essere così grande e forte, ma sempre uno gnomo rispetto agli alberi e alle montagne e ai fiumi, e sempre un gigante in confronto all'erba e alle piante e specialmente alle formiche, con le quali noi gnomi non sempre abbiamo buoni rapporti, e perciò ci tormentano spesso violentemente.

Avrei molto da raccontare su quel che successe prima di trovarti, durante il mio pellegrinaggio. In breve, misi alla prova qualcuno, ma nessuno mi sembrò degno di rinnovare ed eternare la stirpe del magnifico Eckwald.

Durante tutti questi racconti la testa mi dondolò senza che io la scuotessi. Feci diverse domande, alle quali però non ricevetti risposte particolari, mentre seppi con la massima tristezza che doveva far ritorno per forza dai suoi genitori dopo quello che era successo.

Sperava di tornare da me, ma ora doveva inevitabilmente presentarsi là, perché altrimenti tutto sarebbe stato perduto sia per me che per lei. Le borse presto avrebbero smesso di pagare, con tutto quello che ne sarebbe derivato.

Avendo sentito che il denaro poteva finire, non chiesi più che altro potesse succedere. Scossi le spalle, tacqui, e lei sembrò capirmi.

Raccogliemmo tutto e sedemmo in carrozza; di fronte a noi era posato il cofanetto, nel quale non riuscii a notare ancora niente di un palazzo. Oltrepassammo diverse stazioni di posta. Il denaro per il viaggio e le mance venne pagato agevolmente e con abbondanza dalle due piccole borse sistemate a destra e a sinistra, finché raggiungemmo una regione montuosa, e appena scesi la mia bella mi precedette e io, per suo ordine, la seguii con il cofanetto. Mi portò su sentieri abbastanza ripidi fino a una stretta valle, attraverso la quale un limpido ruscello ora precipitava ora serpeggiava tranquillo. Allora mi mostrò un pianoro elevato, mi ordinò di posare il cofanetto e disse:

Addio: troverai facilmente la strada del ritorno; ricordati di me, spero di rivederti.

In quel momento mi sembrò di non poterla lasciare. Era di nuovo in una delle sue belle giornate o, se preferite, nel suo momento migliore. Da solo con una creatura così graziosa, sul prato verde, tra erba e fiori, circondati dalle rocce, con l'acqua che mormorava: quale cuore sarebbe rimasto insensibile! Volevo prenderle le mani, abbracciarla, ma lei mi respinse e mi minacciò, con la consueta dolcezza, di un grave pericolo, se non mi fossi allontanato immediatamente.

- Non c'è nessuna possibilità - esclamai che io resti vicino a te, che tu possa tenermi con te? -. Accompagnai queste parole con gesti e toni così afflitti che lei sembrò commossa e dopo un momento di riflessione mi confessò che non era impossibile che la nostra unione continuasse. Chi era più felice di me! La mia insistenza che diventava sempre più vivace, alla fine, la costrinse a parlare e a rivelarmi che, se mi fossi deciso a diventare piccolo come lei, come l'avevo vista quella volta, avrei potuto restarle vicino, entrare nella sua casa, nel suo regno, far parte della sua famiglia. Questa proposta non mi piacque completamente, ma in quel momento non potevo staccarmi da lei; così, essendo abituato da qualche tempo a cose straordinarie e disposto a prendere decisioni rapide, acconsentii e dissi che poteva fare di me ciò che voleva.

Immediatamente dovetti stendere il mignolo dalla mano sinistra, e lei vi appoggiò il suo, si tolse piano l'anello con la sinistra e lo fece scivolare al mio dito. Appena questo accadde, sentii un dolore violento al dito, l'anello si strinse e mi torturò orribilmente.

Lanciai un urlo acuto e involontariamente cercai a tastoni intorno a me la mia bella, che era scomparsa. Non saprei esprimere come mi sono sentito in quel momento, e non mi resta niente altro da dire eccetto che mi ritrovai ben presto piccolo e basso, accanto alla mia bella, in un bosco di fili d'erba. La gioia di rivederla dopo una separazione breve ma tanto singolare, o se volete, di riunirci senza più separazione, era inaudita. Mi gettai al suo collo, lei ricambiò le mie carezze, e la piccola coppia si sentì felice quanto la grande.

Con un certo disagio risalimmo una collina; infatti il prato per noi era diventato quasi un bosco impenetrabile. Comunque alla fine arrivammo in una radura, e mi stupii molto vedendo la grande massa squadrata, che fui ben presto in grado di riconoscere: era il cofanetto, nelle condizioni in cui l'avevo posato là.

- Va', amico mio, batti con l'anello e vedrai miracoli - disse la mia amata. Mi avvicinai, e appena picchiai vissi davvero il più grande dei miracoli. Spuntarono due ali laterali, e contemporaneamente diverse parti calarono come scaglie e schegge, infatti di colpo mi trovai davanti agli occhi porte, finestre, colonnati e tutto quello che fa parte di un palazzo completo.

Chi ha visto un artistico scrittoio di Rontgen, in cui con una mossa si mettono in moto molle e scomparti, e contemporaneamente o uno dopo l'altro si estraggono leggio e occorrente per scrivere, cassette per le lettere e per il denaro, può farsi un'idea di come si sviluppò quel palazzo, dove la mia dolce accompagnatrice mi trascinò. Nel salone riconobbi subito il camino, che una volta avevo visto dall'alto, e la poltrona su cui lei si era seduta. E quando guardai in alto credetti davvero di vedere nella cupola ancora qualcosa della fenditura attraverso la quale avevo guardato all'interno. Vi risparmio la descrizione del resto; insomma tutto era ampio, prezioso e pieno di gusto. Mi ero appena ripreso dallo stupore, quando sentii da lontano una musica militare. La mia bella metà fece un salto dalla gioia e mi annunciò con entusiasmo l'arrivo del suo signor padre. Allora passammo sotto la porta e vedemmo uno splendido corteo, che sembrava muoversi da una grande anfratto di roccia. Si susseguirono soldati, servitori, maggiordomi e un magnifico seguito di cortigiani. Alla fine vidi una calca dorata, in mezzo alla quale c'era il re in persona. Quando tutto il corteo si dispose davanti al palazzo, il re si avvicinò con i membri più importanti del seguito. La sua incantevole figlia gli corse incontro trascinandomi con sé, ci gettammo ai suoi piedi, lui mi rialzò molto benevolmente, e quando mi trovai davanti a lui mi resi conto che in questo piccolo mondo la mia era la statura più considerevole. Andammo insieme verso il palazzo, e il re in presenza della sua Corte, con un discorso ben studiato in cui esprimeva il suo stupore di trovarci in quel posto, si degnò di darci il benvenuto, mi riconobbe come genero e dispose la cerimonia nuziale per l'indomani.

Provai all'improvviso una sensazione di spavento, quando sentii parlare di matrimonio: infatti finora l'avevo temuto più della stessa musica, che pure mi sembrava quanto di più odioso vi fosse sulla Terra. Quelli che fanno della musica, ero solito dire, almeno immaginano di essere in accordo fra di loro e di agire in armonia:

infatti quando hanno accordato gli strumenti abbastanza a lungo e ci hanno lacerato le orecchie con stonature di ogni tipo, si ostinano a credere di esserne ormai venuti a capo e che uno strumento si accordi perfettamente all'altro. Perfino il direttore d'orchestra è partecipe di questa felice illusione e quindi attacca gioiosamente, e intanto a noi altri continuano a rintronare le orecchie. Invece nel matrimonio non è neppure questo il caso: infatti, malgrado si tratti solo di un duetto, e dunque si dovrebbe pensare che due voci, o due strumenti, potrebbero trovare un relativo accordo, questo capita invece raramente; se l'uomo dà un tono la donna lo prende subito più alto, e l'uomo più alto ancora; allora si passa dal la al tono corale, e poi sempre più in alto, finché gli stessi strumenti a fiato non riescono più a seguirli. E quindi, poiché la musica armonica mi dà fastidio, tanto meno mi si può dar torto se non posso soffrire quella disarmonica.

Non posso e non voglio raccontare tutti i festeggiamenti in cui si esaurì la giornata; infatti vi feci molto poco caso. Il cibo raffinato, il vino eccellente, niente riuscì a piacermi. Pensavo e ripensavo a cosa avrei fatto. Ma non c'era molto da escogitare. Decisi che, appena fosse stata notte, per farla breve, me ne sarei andato, per nascondermi da qualche parte. Raggiunsi felicemente una fenditura nella roccia in cui riuscii a introdurmi a forza e a nascondermi come potei. La mia preoccupazione fu quella di liberarmi il dito dal disgraziato anello, cosa che non mi riuscì assolutamente, anzi sentii che diventava sempre più stretto appena pensavo di sfilarmelo, e provavo anche violenti dolori, che però si calmavano immediatamente appena rinunciavo dal mio proposito.

Mi alzai di prima mattina - infatti la mia piccola persona aveva dormito molto bene - con l'intenzione di guardarmi di nuovo intorno, quando sembrò che cominciasse a piovere su di me. Infatti tra erba, foglie e fiori cadevano una quantità di sabbia e carbone, e come mi spaventai quando tutto intorno a me si animò e un'interminabile esercito di formiche mi si gettò addosso. Me ne ero appena accorto, quando mi attaccarono da ogni parte, e nonostante io mi difendessi subito vivacemente e con un certo coraggio, alla fine mi ricoprirono tanto, pizzicandomi e tormentandomi, che fui felice quando sentii gridare di arrendermi. In effetti mi arresi subito, dopo di che una formica di statura considerevole mi si avvicinò cortesemente, addirittura con deferenza, e si raccomandò al mio favore. Seppi che le formiche erano diventate alleate di mio suocero, e che lui in questa occasione le aveva richiamate ordinando loro di prendermi. Ero un piccolo essere nelle mani di esseri ancora più piccoli. Pensai al matrimonio, e dovevo ringraziare Dio se mio suocero non era in collera e la mia bella non era seccata con me.

Consentitemi di tacere su tutte le cerimonie; per farla breve eravamo sposati. Eppure, nonostante ci fosse allegria tra noi, c'erano delle ore solitarie durante le quali si era indotti a riflettere, e mi capitò quello che ancora non mi era mai accaduto; vi rivelerò cosa e in che modo.

Tutto intorno a me era perfettamente adeguato alla mia nuova statura e alle mie esigenze, le bottiglie e i bicchieri erano proporzionati al piccolo bevitore, anzi, se si vuole, di una misura relativamente migliore che da noi. Il mio piccolo palato trovava eccellenti i bocconi prelibati, un bacio dalla boccuccia di mia moglie era davvero incantevole, e non nego che la novità mi rendeva tutte queste circostanze molto gradevoli. Ma purtroppo non avevo dimenticato la mia precedente condizione. Sentivo in me una misura della mia antica grandezza che mi rendeva inquieto e infelice. Allora capii per la prima volta quello che i filosofi vorrebbero intendere parlando dei loro ideali, dai quali sembra che gli uomini siano tanto tormentati.

Avevo un ideale di me stesso, e a volte in sogno mi sembrava di essere un gigante. Per farla breve, la donna, l'anello, la figura da gnomo, tanti altri vincoli mi rendevano totalmente infelice, tanto che cominciai a pensare seriamente alla mia liberazione.

Poiché ero convinto che tutto l'incantesimo fosse nascosto nell'anello, decisi di limarlo. Perciò sottrassi al gioielliere di Corte alcune lime. Fortunatamente ero mancino, e in vita mia non avevo fatto mai niente con la destra. Mi misi a lavorare sodo; non era cosa da poco: infatti il cerchietto d'oro, per quanto paresse sottile, in proporzione era diventato più spesso rispetto alla dimensione che aveva prima di ritirarsi. In tutte le ore libere mi dedicai inosservato a questa occupazione, e fui abbastanza accorto, quando il metallo fu segato, da mettermi davanti alla porta. Ci ero riuscito:

infatti di colpo il cerchio d'oro saltò con forza dal dito, e la mia persona fu lanciata in alto con tale violenza che credetti davvero di aver toccato il cielo e in ogni caso di aver sfondato la cupola del nostro palazzo estivo, anzi di aver distrutto con la mia nuova goffaggine l'intero edificio.

Ero di nuovo in piedi, senz'altro molto più grande ma anche, mi sembrò, molto più sciocco e maldestro. E quando mi ripresi dallo stordimento vidi vicino a me il cofanetto; lo trovai abbastanza pesante quando lo sollevai e lo portai giù per il sentiero verso la stazione di posta, dove feci subito attaccare i cavalli e partii.

Durante il viaggio feci senza indugio un tentativo con le piccole borse sistemate ai due lati. Al posto del denaro, che sembrava esaurito, trovai una piccola chiave; apparteneva al cofanetto, nel quale trovai un qualche risarcimento. Finché durò, mi servii della carrozza; poi la vendetti per proseguire con la diligenza di posta. Mi disfeci del cofanetto solo alla fine, perché pensavo sempre che si sarebbe potuto riempire un'altra volta, e così alla fine, anche se facendo un giro piuttosto lungo, arrivai di nuovo in cucina dalla cuoca, dove mi avete conosciuto prima.

 

 

 

LA FIABA

 

Sul grande fiume, che una violenta pioggia aveva gonfiato fino a farlo straripare, il vecchio barcaiolo dormiva nella sua piccola capanna, stanco delle fatiche della giornata. Nel cuore della notte alcune voci forti lo svegliarono; sentì che dei viaggiatori volevano essere traghettati.

Quando fu alla porta, vide ondeggiare sulla barca legata due grandi fuochi fatui, che gli assicurarono di avere molta fretta e di voler essere già sull'altra riva. Il vecchio non indugiò, partì e guidò attraverso la corrente con la solita abilità, mentre gli stranieri bisbigliavano tra loro in una lingua sconosciuta molto veloce e ogni tanto scoppiavano in una sonora risata, saltando su e giù, ora sui bordi e sulle panche, ora sul fondo della barca.

- La barca ondeggia! - esclamò il vecchio -, e se siete così irrequieti può capovolgersi; state seduti, fuochi!

A questa richiesta i due scoppiarono in una gran risata, si burlarono del vecchio e si agitarono ancora di più. Lui sopportò con pazienza le loro scortesie, e presto toccò l'altra riva.

- Questo è per la prima vostra fatica! - esclamarono i viaggiatori, e scuotendosi fecero cadere nella barca umida tante monete d'oro lucente.

- Per amor del cielo, che fate! - esclamò il vecchio -. Volete rovinarmi! Se una moneta d'oro fosse caduta in acqua, la corrente, che non può sopportare questo metallo, si sarebbe sollevata in onde terribili, mi avrebbe inghiottito insieme alla barca, e chissà che ne sarebbe stato di voi; riprendetevi il vostro denaro!

- Non possiamo riprendere quello che abbiamo scrollato replicarono quelli.

- Allora - disse il vecchio piegandosi per raccogliere nel berretto le monete d'oro -, mi costringete a fare lo sforzo di cercarle, portarle sulla terraferma e sotterrarle.

I fuochi fatui erano saltati dalla barca, e il vecchio esclamò: Dov'è la mia ricompensa?

- Chi non accetta l'oro deve lavorare per niente!- esclamarono i fuochi fatui.

- Dovreste sapere che posso essere pagato solo con i frutti della terra.

- Con i frutti della terra? Noi li disprezziamo, e non li abbiamo mai mangiati.

- Non posso lasciarvi andare, se non promettete di farmi avere tre cavoli, tre carciofi e tre grosse cipolle.

I fuochi fatui scherzando cercarono di sgattaiolare via, ma si sentirono inspiegabilmente incatenati al suolo: era la sensazione più sgradevole che avessero mai provato. Promisero di esaudire quanto prima la sua richiesta; lui li liberò e se ne andò.

Era già lontano quando lo richiamarono: - Vecchio! ascolta, vecchio!

Abbiamo dimenticato la cosa più importante! -. Ma lui se n'era andato e non li sentiva più. Si era fatto trasportare dal fiume sull'altra riva, per sotterrare quell'oro pericoloso in un posto di montagna, che l'acqua non avrebbe mai potuto raggiungere. Trovò un enorme abisso fra alte rocce, lo gettò là dentro e tornò alla sua capanna.

In questo abisso si trovava il bel serpente verde, che fu svegliato dal suo sonno dalle monete che cadevano tintinnando. Appena vide quei dischi, li inghiottì immediatamente con grande avidità, e si mise a cercare con cura tutte le monete che si erano sparpagliate nei cespugli e nelle fenditure delle rocce.

Appena le ebbe inghiottite, provò la sensazione piacevolissima dell'oro che si scioglieva nelle sue viscere diffondendosi per tutto il corpo, e si accorse con enorme gioia di essere diventato trasparente e luminoso. Da molto tempo gli avevano assicurato che un simile fenomeno era possibile; ma poiché dubitava che questa luce potesse durare a lungo, la curiosità e il desiderio di garantirsi l'avvenire lo spinsero a uscire dalle rocce per scoprire chi potesse aver gettato il bell'oro. Non trovò nessuno. Gli riuscì ancora più gradito ammirare la piacevole luce che diffondeva tra l'erba fresca.

Tutte le foglie parevano di smeraldo, tutti i fiori erano trasfigurati in modo meraviglioso. Frugò inutilmente quel posto solitario e selvaggio; ma la sua speranza aumentò quando giunse in pianura e da lontano vide un bagliore simile al suo. - Se finalmente trovassi uno come me! - esclamò, e si affrettò a raggiungere quel posto. Non si curò della difficoltà di strisciare fra le canne della palude; infatti, nonostante vivesse di preferenza sui secchi prati montani o in profonde fenditure di roccia, mangiasse erbe aromatiche e placasse di solito la sua sete con tenera rugiada e fresca acqua di sorgente, per amore dell'oro e con la speranza della luce meravigliosa, avrebbe fatto qualsiasi cosa gli fosse imposta.

Preso da una grande stanchezza raggiunse finalmente un'umida palude, dove giocavano i nostri due fuochi fatui. Andò loro incontro, li salutò e si rallegrò di aver trovato signori tanto piacevoli imparentati con lui. Le luci lo sfiorarono, scivolarono su di lui e risero a modo loro. - Signor cugino dissero -, se appartenete alla linea orizzontale non significa niente; noi siamo imparentati solo in apparenza, basta che guardiate (e tutti e due sprigionarono fiamme, sacrificando la loro ampiezza per diventare il più possibile lunghi e sottili) come a noi signori della linea verticale doni questa lunghezza slanciata; non prendetela a male, amico, ma quale famiglia può vantarla? Da quando esistono fuochi fatui non ce n'è stato nessuno seduto o disteso.

Il serpente si sentì molto a disagio in presenza di questi parenti, perché poteva alzare la testa in alto quanto voleva, ma sentiva di doverla piegare di nuovo a terra per fare un passo avanti, e mentre prima nell'oscuro boschetto era straordinariamente soddisfatto, ora, davanti a questi cugini, il suo splendore pareva diminuire di momento in momento, e temeva che alla fine sarebbe addirittura svanito.

In preda a quest'imbarazzo chiese velocemente se i signori non potessero dargli qualche notizia sulla provenienza dell'oro lucente che poco prima era caduto nell'abisso fra le rocce; lui pensava che fosse una pioggia d'oro che cadeva direttamente dal cielo. I fuochi fatui risero e si scrollarono, e fecero schizzare tutt'intorno una gran quantità di monete d'oro. Il serpente le inghiottì velocemente.

- Gustatele, signor cugino dissero cortesemente quei signori -, possiamo offrirvi ancora di più. Si scossero altre volte con grande agilità, tanto che il serpente riuscì appena a mandar giù il prezioso cibo a una simile velocità. La sua luce cominciò ad aumentare visibilmente, e finì con il risplendere in modo meraviglioso, mentre i fuochi fatui erano diventati piccole e sottili, senza perdere tuttavia niente del loro buonumore.

- Vi sarò grato in eterno - disse il serpente, quando riuscì di nuovo a prendere fiato alla fine del suo pasto -; chiedetemi quello che volete: vi darò tutto ciò che è in mio potere.

- Magnifico! - esclamarono i fuochi fatui -. Dicci, dove abita la bella Lilie? Portaci il più in fretta possibile al palazzo e al giardino della bella Lilie, moriamo dall'impazienza di gettarci ai suoi piedi.

- Non posso farvi subito questo favore - ribatté il serpente con un profondo sospiro -. Purtroppo la bella Lilie vive al di là dell'acqua.

- Al di là dell'acqua? E noi ci siamo fatti traghettare in questa notte di tempesta! Com'è orribile il fiume che ci divide! Sarà possibile chiamare di nuovo il vecchio?

- Sarebbero sforzi inutili - rispose il serpente -, perché se pure l'incontraste su questa riva non vi porterebbe; può far attraversare il fiume a chiunque, ma non può riportare indietro nessuno.

- Siamo sistemati bene! Non c'è un altro modo per attraversare il fiume?

- Diversi, ma non in questo momento. Io stesso potrei traghettare lor signori, ma solo a mezzogiorno.

- Quella è un'ora in cui non viaggiamo volentieri.

- Allora potete passare di sera sull'ombra del gigante.

- Come si fa?

- Il grande gigante, che abita non lontano da qui, non è in grado di fare niente con il suo corpo; le sue mani non sollevano neppure un filo di paglia; le sue spalle non potrebbero portare nemmeno un fagotto; ma la sua ombra può molto, anzi tutto. Perciò al sorgere e al calare del sole è molto potente, e così di sera ci si può sedere sul collo della sua ombra, il gigante si avvia lentamente verso la riva e la sua ombra porta il viandante al di là dell'acqua. Ma se a mezzogiorno volete trovarvi in quell'angolo del bosco dove fitti cespugli costeggiano la riva, potrò traghettarvi io stesso e presentarvi alla bella Lilie; se invece temete il caldo di mezzogiorno potrete cercare il gigante verso sera in quell'insenatura di rocce; si mostrerà di sicuro cortese.

I giovani signori si allontanarono con un leggero inchino, e il serpente fu contento di essersi liberato di loro, anche per soddisfare una curiosità che già da molto tempo lo tormentava in modo particolare.

In un luogo fra gli abissi di rocce, dove spesso andava strisciando, aveva fatto una scoperta singolare. Infatti, malgrado fosse costretto a strisciare attraverso questi abissi senza luce, con i sensi sapeva distinguere bene gli oggetti. Era abituato a trovare dappertutto solo prodotti della natura di forma irregolare; ora si insinuava fra i denti di grandi cristalli, ora sentiva punte e filamenti d'argento puro, e portava con sé alla luce questa o quella pietra preziosa. Ma con suo grande stupore, in una roccia chiusa tutt'intorno, aveva sentito oggetti che rivelavano la mano creatrice dell'uomo. Pareti lisce, lungo le quali non poteva salire, angoli acuti e regolari, colonne ben modellate e, cosa più strana, figure umane intorno alle quali si era spesso avviticchiato, e che pensava che fossero di metallo o di marmo molto levigato. Voleva ricomporre un'ultima volta tutte queste esperienze servendosi della vista, e confermare quello che aveva solo supposto. Ora pensava di poter illuminare con la propria luce questa meravigliosa stanza sotterranea e sperava di riconoscere in una sola volta questi strani oggetti. Si affrettò e sulla solita strada trovò le fenditure attraverso le quali era solito insinuarsi nel tempio.

Una volta arrivato sul posto si guardò intorno con curiosità, e anche se la sua luce non riusciva a illuminare tutti gli oggetti della rotonda, quelli più vicini gli apparvero distintamente. Con stupore misto a deferenza guardò verso una nicchia splendente, in cui era posta la statua in oro puro di un venerabile re. Le dimensioni della statua superavano le proporzioni umane, ma a giudicare dalla figura, era l'immagine di un uomo piccolo piuttosto che alto. Il suo corpo ben fatto era coperto da un semplice mantello, e una corona di foglie di quercia teneva insieme i suoi capelli.

Il serpente aveva appena visto questa venerabile statua, quando il re cominciò a parlare e chiese: - Da dove vieni?

- Dagli abissi in cui abita l'oro - rispose il serpente.

- Cos'è più bello dell'oro? - chiese il re.

- La luce - rispose il serpente.

- Cos'è più ristoratrice della luce? - domandò quello.

- La parola - rispose questi.

Mentre discorreva aveva sbirciato da un lato, e aveva visto un'altra immagine meravigliosa nella nicchia vicina. Vi era seduto un re d'argento, dalla figura allungata e molto esile; il suo corpo era coperto da una veste ricamata, corona, cintura e scettro erano ornati di pietre preziose; aveva sul viso la serenità della fierezza e sembrava voler parlare, quando una venatura di colore scuro che attraversava la parete di marmo diventò all'improvviso luminosa e diffuse in tutto il tempio una piacevole luce. In questo chiarore il serpente vide il terzo re, dalla possente figura di bronzo, che sedeva là appoggiato alla sua clava, era adorno di una corona d'alloro, ed era più simile a una roccia che a un uomo. Il serpente volle girarsi verso il quarto, che si trovava più lontano, ma il muro si aprì e la venatura luminosa lampeggiò e scomparve.

Ne uscì un uomo di media statura, che attirò su di sé l'attenzione del serpente. Era vestito da contadino e portava in mano una piccola lampada, la cui tenue fiamma si guardava volentieri e illuminava l'intero tempio in modo straordinario, senza gettare neppure un'ombra.

- Perché vieni, visto che abbiamo la luce? - chiese il re d'oro.

- Sapete che non posso illuminare l'oscurità.

- Il mio regno è alla fine? - Chiese il re d'argento.

- Tardi o mai - ribatté il vecchio.

Con voce robusta il re di bronzo chiese: - Quando potrò alzarmi?

- Presto - rispose il vecchio.

- A chi devo unirmi? - chiese il re.

- A tuo fratello maggiore - disse il vecchio.

- Che ne sarà del più giovane? - chiese il re.

- Si siederà - disse il vecchio.

- Non sono stanco - esclamò il quarto re balbettando con voce roca.

Mentre quelli parlavano il serpente era andato strisciando piano per il tempio, aveva osservato tutto, e ora guardava da vicino il quarto re. Stava appoggiato a una colonna, e la sua figura considerevole era più pesante che bella. Ma non si riusciva a distinguere bene il metallo in cui era stato fuso. A ben guardare era una mescolanza dei tre metalli di cui erano fatti i suoi fratelli. Ma le materie non sembravano essersi amalgamate bene al momento della fusione; venature irregolari d'oro e d'argento attraversavano la massa di bronzo e davano alla statua un aspetto sgradevole.

Intanto il re d'oro disse all'uomo: - Quanti segreti conosci?

- Tre - rispose il vecchio.

- Qual è il più importante? - chiese il re d'argento.

- Quello palese - rispose il vecchio.

- Vuoi rivelarlo anche a noi? - chiese quello di bronzo.

- Appena saprò il quarto - disse il vecchio.

- Che mi importa! - mormorò tra sé il re composito.

- Conosco il quarto - disse il serpente, si avvicinò al vecchio e gli bisbigliò qualcosa all'orecchio.

- L'ora è arrivata! - esclamò il vecchio con voce possente. Il tempio riecheggiò, le colonne di metallo risuonarono, e in quell'istante il vecchio sprofondò a occidente e il serpente a oriente, e ogni cosa sparì rapidamente negli abissi delle rocce.

Tutti i passaggi che il vecchio percorreva si riempivano d'oro dietro di lui, perché la sua lampada aveva la straordinaria facoltà di trasformare le pietre in oro, gli animali morti in pietre preziose, e di annientare tutti i metalli, ma per produrre quest'effetto doveva illuminare da sola. Se aveva vicino un'altra luce, emanava solo un bel chiarore, e ravvivava tutto quello che era animato.

Il vecchio entrò nella sua capanna costruita sulla montagna, e trovò la moglie in preda a una grande afflizione. Era seduta vicino al fuoco e piangeva e non riusciva a darsi pace.

- Come sono infelice - esclamò -, oggi non avrei dovuto lasciarti andare via!

- Che succede? - chiese tranquillo il vecchio.

- Appena te ne sei andato - disse la donna singhiozzando -, ho trovato sulla soglia due viandanti turbolenti; incautamente li ho fatti entrare, sembravano due brave persone gentili; erano avvolti in fiamme sottili, si poteva prenderli per fuochi fatui; appena sono in casa cominciano ad adularmi in modo sfrontato, e diventano così insistenti che non riesco a pensarci senza vergogna.

- Quei signori avranno scherzato - ribatté il marito sorridendo; considerando la tua età avrebbero dovuto limitarsi alla semplice cortesia.

- Quale età! Età! - esclamò la donna -. Devo sempre sentir parlare della mia età? Quanti anni ho? Semplice cortesia! Lo so io. Basta guardare come sono diventate le pareti; guarda le vecchie pietre, che non vedevo più da cent'anni; non sai con quale abilità hanno leccato tutto l'oro; e continuavano ad assicurarmi che era migliore dell'oro volgare. Quando hanno finito di spazzare tutte le pareti sembravano di ottimo umore e in poco tempo sono diventati molto più grandi, larghi e splendenti. Allora hanno ricominciato con l'allegria smodata, mi hanno accarezzata di nuovo, mi hanno chiamata la loro regina, si sono scossi e hanno schizzato una quantità di monete d'oro; ma che disgrazia! Il nostro cane ne ha mangiate alcune e guarda, è lì morto nel camino:

povera bestia! Non so darmi pace. L'ho visto solo quando se n'erano andati, - perché altrimenti non avrei promesso di pagare il loro debito con il barcaiolo.

- Quale debito? - Chiese il vecchio.

- Tre cavoli, tre carciofi e tre cipolle; ho promesso di portarli al fiume quando sarà giorno.

- Puoi fare loro questo favore - disse il vecchio -; potranno servirci ancora in qualche occasione.

- Io non so se ci saranno utili, ma loro l'hanno promesso.

Intanto il fuoco ardeva nel camino, il vecchio ricoprì di cenere i carboni, tolse le monete d'oro, e allora la sua piccola lampada brillò di nuovo da sola, in un meraviglioso splendore, i muri si rivestirono d'oro e il cane era diventato l'onice più bella che si potesse immaginare. L'alternarsi dei colori bruni e neri della preziosa pietra la rendeva una straordinaria opera d'arte.

- Prendi il tuo cesto - disse il vecchio -, e metti dentro l'onice; poi prendi i tre cavoli, i tre carciofi e le tre cipolle, sistemali intorno alla pietra e portali al fiume. A mezzogiorno fatti traghettare dal serpente e vai a ritrovare la bella Lilie, portale l'onice; toccandola la renderà viva, come uccide ogni cosa viva toccandola; avrà in lei una fida compagna. Dille che non deve essere triste, che la sua liberazione è vicina, che può considerare la disgrazia più grande come la più grande fortuna, perché l'ora è arrivata.

La vecchia prese il suo cesto e appena fu giorno si mise in cammino.

Il sole che sorgeva splendeva luminoso sul fiume che scintillava da lontano; la donna procedeva a passi lenti, perché il cesto le pesava sulla testa, e non era l'onice a pesare tanto. Quando portava cose morte non le sentiva, al contrario, il cesto si sollevava e si librava in alto sopra la sua testa. Ma portare una verdura fresca o una bestiola viva, le riusciva molto gravoso. Aveva camminato per qualche tempo di malumore, quando di colpo si fermò spaventata, perché era quasi finita sull'ombra del gigante che si allungava fino a lei sulla pianura. E solo allora vide il potente gigante, che si era bagnato nel fiume ed era uscito dall'acqua, e non sapeva come evitarlo. Appena lui vide la salutò scherzosamente, e le mani della sua ombra afferrarono subito il cesto. Con leggerezza e abilità presero un cavolo, un carciofo e una cipolla e li portarono alla bocca del gigante, che poi risalì il fiume e lasciò libera la strada alla donna.

La vecchia pensò se non fosse meglio tornare indietro per sostituire i pezzi che mancavano prendendoli nel suo giardino, e in preda a questi dubbi continuò ad andare avanti arrivando ben presto in riva al fiume.

Rimase seduta a lungo aspettando il barcaiolo, e alla fine lo vide traghettare con uno strano viaggiatore. Un uomo giovane, nobile, bello, che non riuscì a vedere bene, scese dalla barca.

- Cosa vi porta qui? - esclamò il vecchio.

- E' per la verdura che vi devono i fuochi fatui - rispose la donna mostrando quello che portava. Quando il vecchio ne trovò solo due di ogni tipo, si arrabbiò e dichiarò di non poterli accettare. La donna glieli offrì con insistenza, gli raccontò che ora non poteva andare a casa e che il peso da portare lungo la strada le sarebbe riuscito gravoso. Lui insistette nella sua risposta negativa, assicurandole che non dipendeva assolutamente da lui. - Devo lasciare quello che mi spetta insieme al resto per nove ore, e non posso prendere niente per me, finché non ne avrò ceduto un terzo al fiume.

Dopo molti discorsi e obiezioni alla fine il vecchio rispose: C'è un altro modo. Se vi rendete garante per il fiume e se volete riconoscere il vostro debito, io mi prenderò i sei pezzi; ma questo presenta dei rischi.

- Se manterrò la parola non correrò nessun rischio?

- Nessuno. Mettete la vostra mano nel fiume - continuò il vecchio - e promettete di pagare il debito entro ventiquattr'ore.

La vecchia obbedì, ma quale fu il suo spavento quando tirò fuori dall'acqua la sua mano nera come il carbone. La donna rimproverò con furia il vecchio, assicurando che le mani erano sempre state la sua parte più bella, e che a dispetto dei lavori pesanti aveva saputo conservare questi nobili arti bianchi e morbidi. Guardò con grande afflizione ed esclamò disperata:- E' ancora peggio! Vedo che è diminuita, è molto più piccola dell'altra.

- Ora non è che apparenza - disse il vecchio, ma se non manterrete la parola succederà davvero. La mano si ritirerà sempre più e alla fine scomparirà del tutto, senza che dobbiate rinunciare a usarla. Potrete fare qualunque cosa, ma nessuno la vedrà.

- Preferirei non poterla usare, ma che si vedesse - disse la vecchia -; ora questo non ha nessuna importanza, io manterrò la mia parola per liberarmi di questa pelle nera e di questa preoccupazione.

Prese in fretta il cesto, che si alzò da solo sulla sua testa e restò sospeso in aria, e raggiunse il giovane che camminava pensieroso, a passi lenti, sulla riva. La sua splendida figura e il suo strano vestito avevano colpito profondamente la vecchia. Il suo petto era coperto da una corazza lucente, che lasciava vedere tutti i movimenti del suo bel corpo. Dalle spalle scendeva un mantello di porpora, intorno alla sua testa scoperta i capelli scuri ondeggiavano in bei riccioli, il suo dolce viso era esposto ai raggi del sole come i suoi piedi ben fatti. Camminava tranquillamente a piedi nudi sulla sabbia ardente e un profondo dolore sembrava renderlo insensibile a ogni impressione esterna.

La loquace vecchia cercò d'indurlo a conversare, ma le sue parole laconiche le diedero poche informazioni, e così alla fine, a dispetto dei suoi begli occhi, si stancò di parlargli inutilmente e si congedò da lui dicendo:

- Andate troppo piano per me, signore, io non posso perdere un minuto, perché devo passare il fiume sul serpente verde e consegnare alla bella Lilie il magnifico regalo di mio marito . Dopo queste parole si allontanò velocemente e con la stessa velocità il bel giovane si rianimò e la rincorse.

- Andate dalla bella Lilie! - esclamò -. Allora facciamo la stessa strada. Che regalo le portate?

- Signore - rispose la donna -, non è giusto che vi informiate con tanta foga dei miei segreti, dopo aver respinto le mie domande in modo tanto laconico. Se però siete disposto a fare uno scambio e a raccontarmi della vostra sorte, io non vi nasconderò chi sono e quale è il mio regalo.

Si trovarono presto d'accordo; la donna gli confidò la sua intenzione, la storia del cane, e gli fece vedere il meraviglioso regalo. Lui levò subito dal cesto quel capolavoro della natura e prese fra le braccia il cane, che sembrava riposare beatamente. - Felice bestiola!- esclamò -, le sue mani ti toccheranno, ti renderanno viva; la vita non fuggirà davanti a lei per evitare un triste destino! Ma perché dico triste! E' molto più doloroso e temibile essere paralizzati dalla sua presenza di quanto lo sarebbe morire per mano sua! Guardatemi! - disse alla vecchia -. Che situazione miserevole devo sopportare in questi miei anni! Il destino mi ha lasciato questa corazza che ho portato con onore in guerra; questa porpora che ho cercato di meritare con un governo saggio; quella è diventata un inutile peso, questa un ornamento senza significato. Corona, scettro e spada non ci sono più, sono nudo e bisognoso come ogni altro figlio della terra, perché i suoi begli occhi blu sono così fatali da togliere forza a ogni creatura vivente, e quelli che non sono uccisi dal tocco della sua mano sono ridotti a vivere come ombre vaganti.

Continuò a lamentarsi così e non diede per niente soddisfazione alla curiosità della vecchia, che voleva essere informata non tanto del suo stato interiore quanto di quello esteriore. Non venne a sapere né il nome di suo padre né quello del suo regno. Lui accarezzava il cane irrigidito, che i raggi del sole e il petto tiepido del giovane avevano riscaldato fino a farlo sembrare vivo. Fece molte domande sull'uomo con la lampada, sugli effetti della luce miracolosa, e da questa circostanza sembrò ripromettersi molto di buono in futuro per la sua triste condizione.

Mentre parlavano, videro da lontano l'arco maestoso del ponte che si tendeva da una riva all'altra, scintillando meravigliosamente nello splendore del sole. Si stupirono tutti e due, perché questa costruzione non era mai sembrata loro tanto magnifica. - Come! - esclamò il principe -, non era già bello abbastanza quando stava là, davanti ai nostri occhi, in diaspro e cristallo di rocca? Dovremmo aver paura ad attraversarlo, perché sembra fatto di smeraldi, calcedonio e crisolito, con una varietà così piacevole? -. Nessuno dei due era a conoscenza della trasformazione avvenuta con il serpente: perché era il serpente che ogni mezzogiorno si inarcava e stava lì formando un ponte ardito. I viandanti vi salirono timorosi e lo attraversarono in silenzio.

Avevano appena toccato l'altra riva quando il ponte cominciò a oscillare e a muoversi, agitò per un attimo la superficie dell'acqua e il serpente verde, nel suo aspetto solito, scivolò dietro ai viandanti sulla terraferma. L'avevano appena ringraziato tutti e due per aver permesso loro di passare il fiume sul suo dorso, quando si accorsero che altre persone, oltre a loro tre, dovevano far parte della compagnia, anche se non riuscivano a vederle con gli occhi. Sentirono vicino a loro un mormorio, al quale il serpente rispose subito con un mormorio; ascoltarono attentamente e alla fine riuscirono a percepire queste parole:

- Prima ci guarderemo intorno in incognito nel parco della bella Lilie - dicevano due voci alternandosi -, e quando calerà la notte, appena saremo presentabili, cercheremo di portarvi al cospetto di quella bellezza perfetta. Ci incontreremo in riva al grande lago.

- Siamo intesi - rispose il serpente, e un suono sibilante si perse nell'aria.

I nostri tre viandanti si consultarono sull'ordine in cui presentarsi alla bella, perché potevano starle intorno molte persone, ma dovevano andare e venire solo una alla volta per non provocarle gravi dolori.

La donna con il cane trasformato nel cesto si avvicinò per prima al giardino e cercò la sua protettrice, che non era difficile trovare, perché cantava accompagnandosi con l'arpa; i suoni soavi formavano cerchi sulla superficie tranquilla del lago, poi muovevano l'erba e i cespugli come un alito leggero. Era seduta in un verde spiazzo, all'ombra di un magnifico gruppo di alberi diversi uno dall'altro, e al primo sguardo incantò di nuovo gli occhi, l'orecchio, il cuore della donna, che si avvicinò estasiata e giurò a se stessa che la bella da quando l'aveva vista l'ultima volta era diventata ancora più bella. La brava donna salutò da lontano l'amabile fanciulla, elogiandola.

- Che felicità guardarvi; con la vostra presenza diffondete tutt'intorno il paradiso! Com'è leggiadra l'arpa che tenete in grembo, con quale dolcezza le vostre braccia la circondano, come sembra desiderosa di stare sul vostro petto, e come risuona delicata al tocco delle vostre dita sottili! Giovane tre volte felice, tu che potrai prendere il suo posto!

Pronunciando queste parole si era avvicinata; la bella Lilie aprì gli occhi, lasciò cadere le mani e rispose: - Non rattristarmi con lodi inopportune, non fai che accrescere la mia infelicità. Vedi, qui ai miei piedi giace morto il povero canarino che un tempo accompagnava piacevolmente i miei canti; era solito appoggiarsi sulla mia arpa ed era stato ammaestrato con cura a non toccarmi; oggi mentre intonavo una placida canzone mattutina, ristorata dal sonno, e il mio piccolo canterino, più vivace che mai, faceva sentire i suoni armoniosi, uno sparviero piombò sulla mia testa; la povera bestiola, spaventata, si rifugiò sul mio petto e in quell'attimo sentii gli ultimi sussulti della sua vita spezzata. Il rapace, colpito dal mio sguardo, scivolò esanime sull'acqua, ma a che serve la sua punizione, se il mio tesoro è morto e la sua tomba infoltirà solo i tristi cespugli del mio giardino!

- Fatevi animo, bella Lilie! - esclamò la donna asciugandosi una lacrima che il racconto dell'infelice fanciulla le aveva fatto spuntare -. Riprendetevi, ve lo dice la mia esperienza; dovete frenare le vostre lacrime, e guardare alla peggiore infelicità; perché l'ora è giunta.

- E in verità - proseguì la vecchia - c'è un gran disordine nel mondo. Guardate la mia mano, com'è diventata nera! E' davvero molto più piccola, devo affrettarmi prima che scompaia! Perché ho dovuto fare un piacere ai fuochi fatui, perché ho dovuto immergere la mia mano nel fiume? Non potreste darmi un cavolo, un carciofo e un cipolla? Così li porto al fiume, la mia mano tornerà bianca come prima, e potrò quasi tenerla vicino alla vostra.

- Puoi trovare ovunque cavoli e cipolle, ma cercheresti invano i carciofi. Le piante del mio grande giardino non portano né fiori né frutti; ma ogni ramoscello che spezzo e pianto sulla tomba di una persona cara rinverdisce e viene su rapidamente. Purtroppo ho visto crescere tutti questi gruppi di piante, questi cespugli, questo boschetto. Gli ombrelli di questi pini, gli obelischi di questi cipressi, i colossi delle querce e di faggi erano tutti piccoli ramoscelli piantati dalla mia mano, tristi monumenti in un terreno altrimenti sterile.

La vecchia aveva fatto poca attenzione a questo discorso e aveva osservato solo la sua mano, che in presenza della bella Lilie sembrava diventare a ogni istante sempre più nera e piccola. Voleva prendere il suo cesto e scappare via, quando si accorse di aver dimenticato la cosa più importante. Tirò subito fuori dal cesto il cane trasformato e lo depose sull'erba poco lontano dalla bella.

- Mio marito - disse - vi manda questo dono, sapete che il vostro tocco può dare vita a questa pietra preziosa. La docile bestia fedele vi darà certamente tanta gioia, e il dolore di perderla può essere alleviato dal pensiero che sarete voi a possederla. La bella Lilie guardò il docile animale con gioia e, in apparenza, anche con stupore.

- Sono giunti insieme molti segni, che mi danno qualche speranza- disse -; ma, ahimè! E' solo una follia della nostra natura immaginare che il meglio sia vicino quando siamo colpiti da molta infelicità?

A che mi servono tanti segni propizi?

La morte dell'uccello, la mano nera dell'amica?

Il cane di pietra, ha forse un suo simile?

E non me l'ha mandato la lampada?

Lontana dai dolci piaceri umani, Ho familiarità solo col dolore.

Ah! perché il tempio non è sul fiume!

Ah! perché il ponte non è costruito!

La donna aveva ascoltato con impazienza la canzone che la bella Lilie aveva accompagnato con i suoni piacevoli della sua arpa e che avrebbe deliziato chiunque. Voleva congedarsi, ma venne trattenuta dall'arrivo improvviso del serpente verde. Questi aveva sentito le ultime strofe della canzone e le infuse subito coraggio e fiducia.

- La profezia del ponte si è compiuta! - esclamò -. Chiedi a questa brava donna com'è meraviglioso ora l'arco. Quello che un tempo era diaspro opaco, quello che era solo cristallo di rocca, attraverso il quale la luce traspariva al massimo sugli spigoli, ora è diventata trasparente pietra preziosa. Nessun berillo è tanto chiaro, nessuno smeraldo ha un colore tanto bello.

- Vi auguro buona fortuna - disse Lilie -, ma perdonatemi se non credo che la profezia si sia ancora avverata. Sull'altro arco del vostro ponte possono passare solo persone a piedi e ci hanno promesso che cavalli e carrozze e viaggiatori di ogni genere potranno percorrerlo nello stesso momento in salita e in discesa. Non è stato profetizzato che dal fiume s'innalzarono da soli grandi pilastri?

La vecchia, che aveva tenuto sempre gli occhi fissi sulla mano, a questo punto interruppe il discorso e si congedò. - Aspettate ancora un momento - disse la bella Lilie -, e portate con voi il mio povero canarino. Chiedete alla lampada di trasformarlo in un bel topazio, io lo rianimerò toccandolo e insieme al vostro buon cane sarà il mio passatempo; ma fate più in fretta che potete, perché al tramonto la povera bestia comincerà a putrefarsi orribilmente e la bella armonia della sua figura sarà distrutta per sempre.

La vecchia mise il piccolo cadavere nel cesto fra tenere foglie e si allontanò in fretta.

- Comunque sia - disse il serpente riprendendo il discorso interrotto -, il tempio è edificato.

- Ma non è ancora sul fiume - rispose la bella.

- Si trova ancora nelle profondità della terra - disse il serpente -; ho visto i re e ho parlato con loro.

- Ma quando si alzeranno? - chiese Lilie.

Il serpente rispose: - Ho sentito echeggiare nel tempio le grandi parole: "L'ora è giunta".

Una quieta serenità si diffuse sul viso della bella. - Oggi sento queste parole felici per la seconda volta - disse -; quando verrà il giorno in cui le sentirò per la terza volta?

Si alzò e subito dal boschetto uscì una graziosa fanciulla che le tolse l'arpa. A lei ne seguì un'altra, che chiuse la sedia intagliata, dalle undici gambe, su cui sedeva la bella, e si mise sotto il braccio il cuscino d'argento. Poco dopo ne apparve una terza, che portava un grande parasole ricamato di perle, e restò in attesa, nel caso che Lilie avesse bisogno di lei per fare una passeggiata. Queste tre fanciulle erano belle e vivaci oltre ogni dire; eppure non facevano che accrescere la bellezza di Lilie, perché chiunque doveva ammettere che non si poteva paragonarle a lei.

Intanto la bella Lilie aveva contemplato con piacere il meraviglioso cane. Si chinò, lo toccò e in quell'attimo lui si sollevò. Si guardò attorno con vivacità, corse avanti e indietro e alla fine andò a salutare allegramente la sua benefattrice. Lei lo prese e lo strinse a sé. - Malgrado tu sia freddo e vivo solo a metà - esclamò -, sei il benvenuto; ti amerò teneramente, scherzerò con te, ti accarezzerò con affetto, e ti stringerò forte al mio cuore -. Poi lo lasciò libero, lo mandò lontano, lo richiamò, scherzò così piacevolmente e saltellò insieme con lui sull'erba così allegramente che era impossibile non guardare la sua gioia con un piacere nuovo e non prendervi parte, come poco prima la sua tristezza aveva suscitato compassione in tutti i cuori.

Questa allegria, questi piacevoli scherzi vennero interrotti dall'arrivo del giovane triste. Entrò con l'aspetto che già gli conosciamo, solo che il calore della giornata sembrava averlo spossato ancora di più, e in presenza dell'amata diventò a ogni istante più pallido. Portava sulla mano lo sparviero, che stava appoggiato con le ali chiuse, quieto come una colomba.

- Non è gentile - esclamò Lilie - che tu mi porti davanti l'odiosa bestia, il mostro che oggi ha ucciso il mio canarino.

- Non rimproverare il povero uccello! - ribatté il giovane -; accusa piuttosto te stessa e il destino, e concedimi di stare insieme al compagno delle mie miserie.

Intanto il cane non smetteva di stuzzicare la bella e lei rispondeva al suo trasparente tesoro comportandosi nel modo più affettuoso.

Batteva le mani per allontanarlo; poi correva per farlo tornare da lei. Quando scappava cercava di acchiapparlo, e poi lo mandava via quando lui tentava di avvicinarsi. Il giovane li guardava in silenzio e con fastidio crescente; ma alla fine, quando lei prese in braccio l'odiosa bestia che suscitava la sua avversione, la strinse al petto e le baciò il muso nero con le sue labbra celestiali, perse la pazienza e gridò disperato: Io che vivo davanti a te ma separato da te, forse per sempre, a causa di un triste destino; io che a causa tua ho perso tutto, anche me stesso, devo vedere con i miei occhi che un mostro contro natura riesce a suscitare la tua gioia, a incatenare il tuo affetto e a godere dei tuoi abbracci. Dovrò andare avanti e indietro ancora a lungo, misurando questo triste circolo di qua e di là dal fiume? No, nel mio petto c'è ancora una scintilla dell'antico eroismo; in quest'istante fiammeggerà per l'ultima volta. Se le pietre possono poggiare sul tuo petto, allora diventerò una pietra; se il tuo tocco uccide, allora morirò di tua mano.

Dicendo queste parole fece un movimento impetuoso; lo sparviero volò dalla sua mano, e lui si avventò sulla bella, che tese le mani per fermarlo e lo toccò ancor prima. La coscienza l'abbandonò e lei sentì con orrore quel bel peso contro il suo petto. Indietreggiò con un grido e il dolce giovane scivolò a terra esanime dalle sue braccia.

La disgrazia era capitata! La dolce Lilie restò immobile a fissare il corpo inanimato. Le sembrò che il cuore si fermasse nel petto e i suoi occhi erano asciutti. Il cane cercò inutilmente di strapparle un gesto affettuoso; il mondo intero era morto insieme all'amico. Nella sua muta disperazione non si guardò intorno in cerca di aiuto, perché non conosceva aiuto.

Invece il serpente si mosse con sveltezza, sembrò riflettere sul modo di salvarlo, e in effetti i suoi strani movimenti servivano almeno a impedire per qualche tempo le conseguenze più spaventose e immediate della disgrazia. Con il suo corpo flessibile tracciò un ampio cerchio intorno al cadavere, afferrò l'estremità della coda con i denti e rimase fermo là.

Poco dopo apparve una delle belle cameriere di Lilie, portò la sedia dalle undici gambe e con gesto affettuoso costrinse la bella a sedersi; subito dopo arrivò la seconda con un velo color del fuoco, che adornò il capo della sua padrona più che coprirlo; la terza le diede l'arpa, e appena lei strinse a sé il meraviglioso strumento, traendo alcuni suoni dalle corde, la prima tornò con uno specchio lucente e rotondo e si fermò di fronte alla bella, attirò i suoi sguardi e le presentò l'immagine più piacevole che si potesse trovare in natura. Il dolore aumentava la sua bellezza, il velo il suo fascino, l'arpa la sua grazia, e ognuno sperava di veder cambiare il suo triste stato quanto si augurava di trattenere per sempre la sua immagine come appariva in quel momento.

Con lo sguardo tranquillo fisso sullo specchio, ora traeva dalle corde suoni melodiosi, ora il dolore pareva crescere, e le corde rispondevano con forza alla sua pena; aprì la bocca per cantare diverse volte, ma la voce le mancava, e allora il suo dolore si sciolse in lacrime, due fanciulle la presero pietosamente per le braccia, l'arpa le scivolò dal grembo, la cameriera riuscì appena ad afferrarla con un gesto rapido e la portò via.

- Chi ci porterà l'uomo con la lampada prima che il sole tramonti? - Bisbigliò piano, ma in modo percettibile il serpente; le fanciulle si guardarono, e le lacrime di Lilie si moltiplicarono. In quel momento arrivò, senza fiato, la donna con il cesto.- Sono perduta e storpiata! - esclamò -. Guardate, la mia mano è quasi scomparsa; né il barcaiolo né il gigante hanno voluto farmi traghettare, perché sono ancora in debito con l'acqua; ho offerto inutilmente cento cavoli e cento cipolle, vogliono solo i tre pezzi e non si riesce a trovare nemmeno un carciofo in questo posto.

- Dimenticate le vostre preoccupazioni - disse il serpente -, e cercate di aiutarci; forse questo potrà aiutare anche voi. Andate il più in fretta possibile in cerca dei fuochi fatui, è ancora troppo chiaro per vederli, ma forse li sentirete ridere e chiacchierare. Se si affrettano, il gigante li porterà al di là del fiume, così potranno trovare l'uomo con la lampada e mandarlo qui.

La donna fece più in fretta che poté, e il serpente sembrò aspettare il ritorno dei due con la stessa impazienza di Lilie. Purtroppo i raggi del sole che tramontava indoravano già le cime più alte degli alberi della boscaglia e grandi ombre si allungavano sul lago e i prati; il serpente si agitò con impazienza e Lilie si sciolse in lacrime.

In preda a quest'ansia il serpente si guardava intorno, temendo a ogni istante che il sole tramontasse, che la putrefazione penetrasse nel cerchio magico e colpisse inesorabilmente il bel giovane. Alla fine guardò in alto nell'aria lo sparviero dalle penne rosso porpora, il cui petto raccoglieva gli ultimi raggi del sole. Sussultò dalla gioia per il segno propizio, e non si ingannava; infatti poco dopo si vide l'uomo con la lampada che scivolava sul lago, come se camminasse sui pattini.

Il serpente non cambiò posizione, mentre Lilie si alzò esclamando: - Quale spirito benigno ti manda nel momento in cui ti abbiamo tanto desiderato e abbiamo tanto bisogno di te?

- Lo spirito della mia lampada mi ha spinto - rispose il vecchio - e lo sparviero mi ha guidato qua. Quando c'è bisogno di me scintilla, e io guardo nell'aria in cerca di un segno; un uccello o una meteora mi indicano verso quale regione del cielo io debba dirigermi. Sta' tranquilla, bella fanciulla! Non so se potrò essere d'aiuto; non può esserlo un'unica persona, ma solo chi si unisce a molti altri al momento giusto. Aspettiamo e speriamo.

- Tieni chiuso il cerchio - continuò rivolgendosi al serpente; poi andò a sedersi vicino a lui, sopra un cumulo di terra, e illuminò il corpo inanimato.

- Portate qui il dolce canarino e ponetelo nel cerchio!-. Le fanciulle presero il piccolo cadavere dal cesto che la donna aveva lasciato lì e obbedirono all'uomo.

Intanto il sole era tramontato, e, mentre l'oscurità cresceva, il serpente e la lampada dell'uomo cominciarono a fare luce a modo loro, e anche il velo di Lilie diffondeva intorno a sé una tenue luce, che colorava le sue guance pallide e la sua veste bianca con leggiadria infinita, come una delicata aurora. Si guardarono l'un l'altro in silenzio, l'ansia e la tristezza erano mitigate da una speranza certa.

Videro comparire con piacere la vecchia in compagnia delle due allegre fiamme, che intanto dovevano aver sperperato molto, perché erano diventate di nuovo parecchio sottili, ma non per questo si mostrarono meno garbate con la principessa e le sue cameriere. Dissero le solite cose con grande sicurezza e in modo molto espressivo, si mostrarono soprattutto molto sensibili al fascino che il velo luminoso conferiva a Lilie e alle sue compagne. Le fanciulle abbassarono gli occhi con modestia e l'elogio alla loro bellezza le rese davvero belle. Tutti erano contenti e tranquilli tranne la vecchia. Nonostante il marito le assicurasse che la sua mano non poteva ritirarsi ancora, finché la sua lampada l'avesse illuminata, lei dichiarò più di una volta che se continuava così il suo nobile arto sarebbe sparito prima di mezzanotte.

Il vecchio con la lampada aveva ascoltato con attenzione il discorso dei fuochi fatui ed era felice che la conversazione avesse distratto e rasserenato Lilie. E in effetti, non si sa come, si era fatta mezzanotte. Il vecchio guardò le stelle e cominciò a parlare: - Siamo riuniti in un'ora felice, ognuno compia il suo compito, ognuno faccia il suo dovere, e i singoli dolori si dissolveranno in una felicità generale, come un'infelicità generale distrugge le singole gioie.

Dopo queste parole si sentì un rumore meraviglioso, perché tutte le persone presenti parlavano per sé e dicevano a voce alta quello che dovevano fare. Solo le tre fanciulle tacevano; una era addormentata vicino all'arpa, l'altra vicino al parasole, la terza vicino alla sedia, e non si poteva dar loro torto perché era molto tardi. Le giovani fiamme, dopo alcuni complimenti rivolti all'inizio anche alle cameriere, alla fine si limitarono a Lilie, la più bella di tutte.

- Prendi lo specchio - disse il vecchio allo sparviero -, e illumina le fanciulle addormentate con il primo raggio di sole e svegliale con la luce che si riflette dall'alto.

Il serpente cominciò a muoversi, aprì il cerchio e si diresse lentamente, a grandi spire, verso il fiume. I due fuochi fatui lo seguirono solenni, e si sarebbe potuto crederli fiamme assai serie. La vecchia e suo marito afferrarono il cesto, la cui tenue luce finora si era vista appena, tirarono dai due lati facendolo diventare sempre più grande e luminoso, vi deposero il corpo del giovane e gli posarono sul petto il canarino, il cesto si alzò in alto e si librò sulla testa dei vecchi, e seguì da vicino i fuochi fatui. La bella Lilie prese in braccio il cane e seguì la vecchia, l'uomo con la lampada chiuse il corteo, e il luogo era illuminato in modo straordinario da tutte queste luci diverse.

Ma la compagnia, raggiunto il fiume, vide con non poco stupore che un arco meraviglioso s'innalzava sull'acqua; il benevolo serpente aveva preparato per loro una via scintillante. Se di giorno avevano ammirato le trasparenti pietre preziose di cui pareva fatto il ponte, ora, di notte, si stupirono del suo luminoso splendore. L'arco lucente si stagliava netto verso l'alto contro il cielo scuro, ma in basso vividi raggi guizzavano verso il centro e rivelavano la saldezza flessibile della costruzione. Il corteo avanzava lentamente, e il barcaiolo che guardava da lontano, dalla sua capanna, contemplò stupito la curva luminosa e le strane luci che la percorrevano.

Avevano appena raggiunto l'altra riva quando l'arco cominciò a oscillare e ad avvicinarsi all'acqua ondeggiando. Il serpente poco dopo toccò terra, e il cesto si posò sul terreno, e il serpente formò di nuovo il suo cerchio; il vecchio si chinò davanti a lui e gli disse: - Che hai deciso?

- Di sacrificarmi prima di essere sacrificato - rispose il serpente -; promettimi che non lascerai nessuna pietra sulla terraferma.

Il vecchio promise e disse alla bella Lilie: - Tocca il serpente con la mano sinistra e il tuo innamorato con la destra.

Lilie s'inginocchiò e toccò il serpente e il cadavere. Nello stesso istante questi sembrò rivivere, si mosse nel cesto, si sollevò e si mise a sedere. Lilie voleva abbracciarlo, ma il vecchio la trattenne, aiutò il giovane ad alzarsi e lo guidò per farlo uscire dal cesto e dal cerchio.

Il giovane stava in piedi, il canarino svolazzò sulla sua spalla, in tutti e due era tornata la vita, ma lo spirito non era ancora tornato in loro; il bell'amico aveva aperto gli occhi e non vedeva, o almeno sembrava guardare ogni cosa senza nessuna partecipazione, e appena lo stupore di fronte a quest'evento si attenuò un po', si accorsero dello straordinario mutamento del serpente. Il suo bel corpo slanciato si era frantumato in mille e mille pietre preziose lucenti; la vecchia l'aveva urtato sbadatamente, cercando di afferrare il suo cesto, e la forma del serpente non si vedeva più, sull'erba vi era solo un bel cerchio di pietre preziose.

Il vecchio si mise subito a raccogliere le pietre nel cesto, facendosi aiutare dalla moglie. Insieme portarono il cesto sulla riva in un punto elevato, e lui scosse l'intero contenuto nel fiume, non senza riluttanza da parte della bella e della moglie, che avrebbero scelto volentieri qualcosa per loro. Le pietre galleggiarono sulle onde come stelle lucenti e brillanti e non si riusciva a capire se si perdevano in lontananza o andavano a fondo.

- Signori - disse il vecchio con deferenza ai fuochi fatui -, ora vi indicherò la strada e vi aprirò un passaggio, ma voi ci renderete un grande servizio aprendoci le porte del tempio, attraverso le quali dovremo passare questa volta, e che nessuno all'infuori di voi può dischiudere.

I fuochi fatui si inchinarono educatamente e rimasero indietro. Il vecchio con la lampada li precedette fra le rocce che si aprivano davanti a lui; il giovane lo seguì in modo meccanico; silenziosa e incerta Lilie si teneva a una certa distanza da lui; la vecchia non intendeva restare indietro e tese la mano, in modo che la luce della lampada di suo marito potesse illuminarla. I fuochi fatui chiusero il corteo; piegarono le punte delle loro fiamme una verso l'altra e sembrava parlassero tra di loro.

Non avevano camminato a lungo, quando il corteo si trovò davanti a una grande porta di bronzo, le cui ante erano chiuse da una serratura d'oro. Il vecchio chiamò subito i fuochi fatui, che senza farsi sollecitare a lungo consumarono alacremente con le loro fiamme appuntite serratura e chiavistello.

Il bronzo risuonò forte quando le porte si aprirono rapidamente e nel santuario apparvero le dignitose statue dei re, illuminate dalle luci che penetravano all'interno. Tutti si inchinarono davanti ai venerabili dominatori; i fuochi fatui, in particolare, non mancarono di eseguire bizzarri inchini.

Dopo una pausa il re d'oro chiese: - Da dove venite?

- Dal mondo - rispose il vecchio.

- Dove andate? - chiese il re d'argento.

- Nel mondo - disse il vecchio.

- Che volete da noi? - chiese il re di bronzo.

- Accompagnarvi - disse il vecchio.

Il re composito voleva cominciare a parlare, quando il re d'oro disse ai fuochi fatui che gli si erano avvicinati: Allontanatevi da me, il mio oro non è per il vostro palato -. Si rivolsero subito verso quello d'argento e si strinsero a lui; la sua veste risplendeva magnificamente dei loro riflessi gialli. - Siete i benvenuti - disse -, ma non posso nutrirvi; saziatevi in un altro posto e portatemi la vostra luce.

Si allontanarono, passarono davanti a quello di bronzo, che sembrò non accorgersi di loro, e scivolarono fino a quello composito.

- Chi dominerà il mondo? - chiese con voce balbettante.

- Chi si regge sui suoi piedi! - rispose il vecchio.

- Sono io! - disse il re composito.

- Questo si saprà - disse il vecchio -, perché l'ora è giunta.

La bella Lilie si aggrappò al collo del vecchio e lo baciò con affetto.- Venerabile padre disse -, ti sono mille volte grata, perché sento per la terza volta la parola presaga -. Aveva appena finito di parlare quando si strinse ancora più forte al vecchio, perché la terra aveva cominciato a tremare sotto di loro. Anche la vecchia e il giovane si tennero stretti, solo i mobili fuochi fatui non si accorsero di nulla.

Si poteva sentire distintamente che tutto il tempio si muoveva, come una nave che si allontana dolcemente dal porto quando l'ancora viene levata; le profondità della terra sembrarono schiudersi davanti a lui per farlo passare. Non incontrò nulla, neppure una roccia gli sbarrò la strada.

Per qualche istante una pioggia sottile parve cadere dall'apertura della cupola; il vecchio tenne più stretta la bella Lilie e le disse:

- Siamo sotto il fiume, vicini alla meta. Poco dopo credettero di essere fermi, ma si ingannavano; il tempio salì verso l'alto.

E sulle loro teste si sentì un singolare frastuono. Assi e travi cominciarono a precipitare alla rinfusa schiantandosi contro l'apertura della cupola. Lilie e la vecchia balzarono di lato, l'uomo con la lampada afferrò il giovane e rimase immobile. La piccola capanna del barcaiolo - era lei, infatti, che il tempio salendo aveva divelto e accolto in sé- discese lentamente fino a coprire il giovane e il vecchio.

Le donne gridarono forte, e il tempio tremò come una nave che tocca terra inaspettatamente. Le donne si aggiravano angosciate nella penombra intorno alla capanna, la porta era chiusa e nessuno rispose ai loro colpi. Bussarono con più violenza e si stupirono non poco quando, alla fine, il legno cominciò a risuonare. In virtù della forza racchiusa nella lampada la capanna era diventata tutta d'argento. Poco dopo cambiò addirittura aspetto: perché il nobile metallo abbandonò le forme casuali delle assi, delle porte e delle travi, e si ampliò fino a diventare una magnifica costruzione lavorata a sbalzo. Un piccolo tempio magnifico si ergeva al centro di quello grande, o se si vuole, un altare degno del tempio.

Il nobile giovane si avviò verso l'alto, su una scala che saliva dall'interno, l'uomo con la lampada gli faceva luce, e un altro, che era apparso in una corta veste bianca e teneva in mano un remo, pareva sorreggerlo; riconobbero subito il barcaiolo che un tempo abitava nella capanna trasformata.

La bella Lilie salì gli ultimi gradini che portavano dal tempio all'altare, ma doveva continuare a tenersi lontana dal suo innamorato.

La vecchia, la cui mano era diventata sempre più piccola mentre la lampada era stata nascosta, gridò: - Devo essere ancora più infelice?

Fra tanti prodigi, nessuno può salvare la mia mano?

Suo marito indicò la porta aperta e disse: - Guarda, è spuntato il giorno, corri a bagnarti nel fiume.

- Che consiglio! - esclamò lei -. Diventerò tutta nera e scomparirò completamente, perché non ho ancora pagato il mio debito.

- Va' - disse il vecchio -, dammi ascolto! Tutti i debiti sono saldati.

La vecchia si allontanò in fretta, e in quel momento la luce del sole che sorgeva apparve sulla corona della cupola, il vecchio si mise fra il giovane e la fanciulla ed esclamò a voce alta: Tre sono le cose che dominano sulla Terra: la saggezza, l'apparenza e la forza -. Alla prima parola il re d'oro si alzò, alla seconda quello d'argento e alla terza si era sollevato lentamente quello di bronzo, quando il re composito, all'improvviso, si mise a sedere goffamente.

Chi lo guardava, a dispetto del momento solenne, poté trattenersi a fatica dal ridere, perché non era seduto, non era disteso, non era appoggiato, ma era crollato scompostamente.

I fuochi fatui, che fino a quel momento si erano affaccendati intorno a lui, si scostarono; malgrado la luce pallida del mattino parevano di nuovo ben nutriti e con le fiamme vivide; avevano succhiato abilmente, fino in fondo, con le loro lingue affilate, la venatura d'oro della colossale statua. Gli spazi vuoti irregolari che si erano creati rimasero aperti per un po', e la figura conservò la sua antica forma.

Ma quando, alla fine, anche le venature più sottili furono consumate, la statua crollò all'improvviso, e purtroppo proprio nei punti che restano interi quando l'uomo si siede; invece le articolazioni, che avrebbero dovuto piegarsi, rimasero rigide. Chi non riuscì a riderne dovette distogliere gli occhi; quella via di mezzo tra forma e ammasso era ripugnante a vedersi.

L'uomo con la lampada fece scendere dall'altare il bel giovane, che però continuava a guardare fisso davanti a sé, e lo portò davanti al re di bronzo. Ai piedi del potente principe era posata una spada, in una guaina di bronzo. Il giovane la cinse.La spada a sinistra, la destra libera! - esclamò il potente re.

Poi andarono da quello d'argento, che abbassò il suo scettro verso il giovane. Questi lo prese con la mano sinistra, e il re disse con voce cortese: - Pascola le pecore!

Quando giunsero dal re d'oro, egli pose in testa al giovane la corona di foglie di quercia con un gesto di paterna benedizione e disse:- Riconosci il sommo bene!

Durante questi discorsi il vecchio aveva osservato attentamente il giovane. Dopo aver cinto la spada il suo petto si sollevò, le sue braccia si mossero e i suoi piedi si fecero più saldi; prendendo in mano lo scettro la forza sembrò attenuarsi e insieme diventare più potente in virtù di una grazia indicibile; ma quando la corona di foglie di quercia ornò i suoi riccioli, i tratti del suo viso si animarono, i suoi occhi risplendettero di uno spirito ineffabile, e la prima parola sulle sue labbra fu Lilie.

- Cara Lilie!- esclamò salendo la scala d'argento per andarle incontro: infatti lei aveva osservato il suo giro dalla sommità dall'altare -. Cara Lilie, cosa può desiderare un uomo che ha tutto, oltre all'innocenza e al tranquillo affetto che il tuo cuore mi offre?

Oh, amico mio - continuò rivolgendosi al vecchio e guardando le tre statue sacre -, il regno dei nostri padri è splendido e sicuro, ma tu hai dimenticato la quarta forza che domina il mondo, ancora più certa, la forza dell'amore. A queste parole si gettò al collo della bella fanciulla; lei si era liberata del velo e le sue guance si tinsero del più bel rossore immortale. Il vecchio replicò sorridendo: - L'amore non domina, ma forma, e questo è molto di più.

Fra tanta solennità, felicità ed estasi, non si erano accorti che era giorno pieno, e all'improvviso attraverso la porta aperta apparvero alla compagnia oggetti del tutto inaspettati. Un grande spazio circondato da colonne costituiva l'atrio, al termine del quale si vedeva un lungo e magnifico ponte, che si tendeva sul fiume con molte arcate; su entrambi i lati era disposto uno splendido e comodo colonnato per i viandanti, che si erano già riuniti là a migliaia e andavano avanti e indietro alacremente. La grande strada nel mezzo era animata da un flusso di greggi, bestie da soma, cavalieri e carrozze che la percorrevano in tutte e due le direzioni senza urtarsi. Tutti sembravano stupiti della comodità e della magnificenza del ponte, e il nuovo re e sua moglie erano incantati dal movimento e dalla vita di questo grande popolo, così come il loro amore reciproco li rendeva felici.

- Onora la memoria del serpente - disse l'uomo con la lampada ; tu gli devi la vita, le tue genti il ponte, in virtù del quale queste rive vicine saranno unite e diventeranno paesi popolati. Quelle pietre preziose scintillanti che galleggiano, resti del suo corpo sacrificato, sono i pilastri che reggono questo ponte meraviglioso, che si è costruito da solo e si sosterrà da solo su di essi.

Gli chiesero una spiegazione del prodigioso segreto, quando dalla porta del tempio entrarono quattro belle fanciulle. Riconobbero subito le tre compagne di Lilie, dall'arpa, dal parasole e dalla sedia, ma la quarta, più bella delle altre, era uno sconosciuta che attraversò il tempio e salì i gradini d'argento scherzando fraternamente con loro.

- In un futuro mi crederai di più, cara donna? - disse l'uomo con la lampada alla bella-. Salute a te e a ogni creatura che questa mattina si bagnerà nel fiume!

La vecchia ringiovanita e imbellita, del cui aspetto non era rimasta traccia, circondò con braccia giovani e rinvigorite l'uomo con la lampada, il quale accolse le sue carezze con affetto.- Se sono troppo vecchio per te - disse sorridendo -, oggi potrai sceglierti un altro sposo; da oggi in poi non è più valido nessun matrimonio che non venga concluso di nuovo.

- Non sai che anche tu sei diventato più giovane? - rispose lei.

- Sono contento se i tuoi occhi giovani mi vedono come un giovane gagliardo; accetto di nuovo la tua mano, e sarò felice di vivere con te per il prossimo millennio.

La regina diede il benvenuto alla sua nuova amica e scese con lei e le altre compagne di giochi dall'altare, mentre il re in mezzo ai due uomini guardava verso il ponte osservando attentamente il brulichio del popolo.

Ma la sua contentezza non durò a lungo; vide infatti qualcosa che gli procurò un po' di disappunto. Il grande gigante, che non sembrava essersi ripreso ancora dal sonno del mattino, avanzò barcollando sul ponte, causando un gran disordine. Come al solito si era alzato ubriaco di sonno e intendeva bagnarsi nella solita insenatura del fiume; al suo posto trovò la terraferma e brancolò sui larghi pilastri del ponte. Anche se si muoveva fra uomini e animali in modo molto maldestro, la sua presenza venne considerata da tutti con meraviglia, ma nessuno si spaventò; quando però il sole abbagliò i suoi occhi, e lui alzò le mani per ripararsi, l'ombra dei suoi enormi pugni dietro di lui passò tra la folla in modo così violento e goffo che uomini e bestie precipitarono in massa, si ferirono e corsero il rischio di essere gettati nel fiume.

Il re, che aveva osservato l'incidente, cercò la spada con un movimento inconsulto, poi si ricompose, guardò con calma il suo scettro, la lampada e il remo dei suoi compagni. - Indovino i tuoi pensieri - disse l'uomo con la lampada, - ma noi con le nostre forze siamo inermi di fronte a quest'inerme. Sta' tranquillo! Nuoce per l'ultima volta, e per fortuna la sua ombra ci abbandonerà.

Intanto il gigante si era avvicinato sempre più, aveva lasciato cadere le mani per lo stupore di quello che vedeva, non provocò più nessun danno ed entrò nell'atrio a bocca aperta.

Arrivato alla porta del tempio, all'improvviso venne trattenuto al suolo in mezzo al cortile. Rimase là come una colossale e poderosa statua di pietra lucente e rossastra, e la sua ombra segnò le ore in un cerchio tracciato a terra intorno a lui, non in cifre ma in immagini nobili e significative.

Il re si rallegrò non poco nel vedere come fosse diventata utile l'ombra del gigante; non poco si meravigliò la regina, quando salì sull'altare insieme con le sue fanciulle, adornata con magnificenza, e vide il singolare quadro, che copriva quasi la vista del ponte dal tempio.

Intanto il popolo, poiché il gigante stava fermo, si affollò intorno a lui, lo circondò e lo osservò con stupore. Di lì la moltitudine si rivolse al tempio, di cui sembrò accorgersi solo allora, e si affollò sulla porta.

In quel momento lo sparviero con lo specchio si librò in alto sul tempio, raccolse la luce del sole e la diresse sul gruppo che stava sull'altare. Il re, la regina e i loro accompagnatori apparvero nella volta in penombra illuminati da uno splendore celeste, e il popolo si prosternò. Quando la moltitudine si riprese e si rialzò, il re con i suoi stava scendendo dall'altare, per raggiungere il suo palazzo attraverso sale nascoste, e il popolo si disperse nel tempio per appagare la sua curiosità. Contemplò con stupore misto a rispetto i tre re in piedi, ma era ancora più avido di sapere quale ammasso potesse nascondersi sotto il tappeto nella quarta nicchia; infatti, chiunque fosse stato, con ragionevole ritegno aveva steso sul re crollato una splendida coperta, che nessun occhio umano poteva penetrare e che nessuna mano avrebbe osato togliere.

Il popolo non avrebbe più smesso di guardare e di stupirsi, e la moltitudine incalzante sarebbe rimasta schiacciata nel tempio, se la sua attenzione non si fosse rivolta nuovamente alla grande piazza.

Monete d'oro parevano cadere inaspettatamente dall'aria, risuonando sulle lastre di marmo, i viandanti si precipitarono per impadronirsene; e questo prodigio si ripeté ora in un punto, ora in un altro. Certamente i fuochi fatui, andandosene, si stavano divertendo un'altra volta, e spargevano allegramente l'oro delle membra del re crollato. Il popolo avido continuò a correre da ogni parte, si urtò e continuò ad affannarsi anche quando le monete non caddero più. Alla fine si disperse lentamente, si incamminò per la sua strada, e fino a oggi il ponte ha brulicato di viandanti, e il tempio è il più frequentato di tutta la Terra.